«Sempre con noi». Il ricordo di Benedetta per la sua amica Sara

25.01.2025
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Non ci abitueremo mai a certe notizie. Non ci abitueremo mai a certe notizie, specialmente quando parlano di tragedie che potevano essere tranquillamente evitate. Morire in bici mentre ti stai allenando, facendo il tuo lavoro, sta diventando una routine nazionalpopolare che mette i brividi. Mentre era fuori in allenamento col fratello Christian, la diciannovenne Sara Piffer ieri è stata travolta e uccisa da un automobilista in sorpasso che arrivava in senso opposto. Basta solo questo per far capire l’assurdità di questa ennesima morte.

Ieri tutto il mondo del ciclismo e non solo – letteralmente visto che la notizia è rimbalzata in ogni sito anche estero – si è stretto attorno alla famiglia di Sara e della Mendelspeck, la sua formazione. Ogni persona che ha conosciuto Sara si è sentita devastata. Ogni persona che ama il ciclismo si è sentita tirata in causa, insicura e impaurita. Per chi come noi scrive di ciclismo o lo vive profondamente in ogni sua declinazione, sta diventando un esercizio assai complicato parlare di fatti simili. Nello specifico, la lista dei ragazzi morti investiti in allenamento si sta allungando in maniera incontrollabile.

Sara Piffer a maggio 2024 vince a Corridonia e dedica la vittoria allo juniores Lorenzi morto in allenamento (foto Ciclomarche)
Sara Piffer a maggio 2024 vince a Corridonia e dedica la vittoria allo juniores Lorenzi morto in allenamento (foto Ciclomarche)

Lo choc di Benedetta

La Mendelspeck di Renato Pirrone è sempre stata una grande famiglia fin da quando era una formazione giovanile prima di diventare un team continental. Non appena è circolata la notizia della morte di Sara Piffer, sono partiti i primi messaggi di commozione e condoglianze. Difficile trovare qualcosa da dire in più. Il giorno dopo ti concede di affrontare la situazione con una parvenza di maggiore lucidità. Benedetta Della Corte, compagna di squadra di Sara, è ancora comprensibilmente scossa.

«Non ho dormito – ci racconta con la voce calma – ho pianto tutta la notte pensando a lei che era la nostra luce. Ieri ero fuori in allenamento quando ho ricevuto la telefonata di mio padre (Antonello è un dirigente della squadra, ndr). Mi sono bloccata sul momento e non riuscivo più a pedalare. E’ stato un choc fortissimo. Mi sono dovuta far venire a prendere perché non sono stata in grado di ripartire in bici.

«Quello che è successo a Sara – prosegue Benedetta – poteva capitare a me o chiunque altro ragazzo. E non è giusto che si continui a morire in bici. Noi occupiamo lo spazio di uno scooter anche se andiamo più piano, bastano davvero pochissimi secondi per superarci. Pochi secondi tra la vita e la morte. Non ho ancora metabolizzato la sua scomparsa perché proprio pochi giorni fa ci eravamo date appuntamento per oggi e domani per fare distanza assieme. E’ incredibile».

Benedetta Della Corte e Sara Piffer (a sinistra) sono diventate grandissime amiche fin dal primo giorno assieme alla Mendespeck
Benedetta Della Corte e Sara Piffer (a sinistra) sono diventate grandissime amiche fin dal primo giorno assieme alla Mendespeck

Correre per Sara

Il sentimento di papà Antonello è quello di ogni padre che ha un figlio o figlia che corre in bici. Sapendo Benedetta fuori in allenamento per 3-4 ore, lui si tranquillizza solo quando gli arriva un messaggio sul cellulare dal suo computerino della sessione finita. Vivere con questa tensione non è giusto, però la spinta arriva proprio da lei.

«Oggi avevo in programma quella famosa distanza con Sara – riprende Benedetta – e non so se la farò. Per fortuna oggi uscirà con me una ragazza di un’altra squadra che però deve fare solo due ore e mezza. Probabilmente farò anch’io così perché al momento ho paura a restare da sola in strada. Tuttavia voglio pedalare nel ricordo di Sara, perché lei avrebbe voluto così. E perché lei aveva fatto così lo scorso maggio quando era morto investito in allenamento Matteo Lorenzi, lo juniores del Montecorona che aveva corso con suo fratello. Pochissimi giorni dopo avevamo corso a Corridonia e lei voleva vincere per dedicargli la vittoria. Ed è stato così, aveva vinto lei. Il primo successo della Mendelspeck. Che gioia quel giorno».

Sara Piffer era nata il 7 ottobre 2005. Da juniores aveva corso il mondiale di Glasgow e altre gare con la nazionale
Sara Piffer era nata il 7 ottobre 2005. Da juniores aveva corso il mondiale di Glasgow e altre gare con la nazionale

Tra paura e futuro

«Sara ed io – chiude Benedetta trattenendo a stento le lacrime – avevamo legato subito fin dal primo giorno di ritiro un anno fa. Eravamo entrambe celiache ed è stato un ulteriore motivo del nostro forte rapporto di amicizia. Ci aiutavamo portando il nostro cibo alle gare. Sara era sempre sorridente e con una grande passione per il ciclismo. Mi spronava sempre. Era forte, motivata, attenta ai dettagli e ho sempre pensato che sarebbe andata in squadre di categoria superiore nel giro di qualche anno.

«In passato ho continuato a pedalare nel ricordo di un amico morto in bici che non faceva questo sport. Da ieri lo farò pensando anche a Sara, sperando di onorarla con buone gare. Adesso noi ragazze della Mendelspeck dobbiamo diventare il riferimento l’una dell’altra, sapendo che Sara è sempre con noi».

Non ci abitueremo mai a queste notizie e a dover sentire parole del genere. Qualcosa deve cambiare in fretta e radicalmente. La morte di Sara e di tanti altri come lei non può e non deve restare vana.

La favola di Gloag, oggi vincente, un anno fa all’ospedale

01.08.2024
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Ci sono vittorie che hanno un significato particolare. Magari in prove piccole, ma che possono anche valere un record. Quella di Thomas Gloag al Czech Tour ha questo sapore: non è capitato spesso che un corridore fermo da un anno, appena tornato in gruppo riassapori subito il gusto della vittoria.

La sua storia va quasi centellinata per capire bene il valore della sua impresa: Gloag nell’agosto del 2023 era stato investito da un’auto mentre si stava allenando: «Quando mi tirai su guardai la mia gamba sinistra e mi accorsi che il ginocchio non era a posto». Il responso era la rottura completa della rotula, che gli è costata un’operazione e un lungo periodo di fisioterapia. Un periodo difficile, fisicamente e di conseguenza psicologicamente: «Ho avuto vicini la mia ragazza Lucilla, lo staff della Visma-Lease a Bike, i fisioterapisti e tutti si sono impegnati per tenermi su, per farmi vivere quest’esperienza nella maniera più positiva, per combattere lo scoramento. Se sono tornato lo devo a loro, non potrò mai ringraziarli abbastanza».

Per il londinese un anno di sofferenze dopo un incidente in allenamento con frattura di una rotula
Per il londinese un anno di sofferenze dopo un incidente in allenamento con frattura di una rotula

Ciclista con l’anima del Gunner

Il britannico, nei giorni precedenti la corsa, non faceva che dichiarare di considerare la sua sola presenza come una vittoria: «Sono tornato a vivere, a gareggiare, a respirare quest’atmosfera e per me che vivo questa passione con tutto me stesso è già tanto».

Londinese purosangue, tifosissimo (un vero Gunner…) dell’Arsenal come un Nick Hornby un po’ più giovane, a dispetto della sua provenienza Gloag aveva dato subito dimostrazione di essere uno scalatore puro, seppur senza grandi asperità da affrontare nei suoi primi anni: «Io però ho preso la mia attività molto sul serio sin da subito. Già da ragazzino lavoravo su zone sotto soglia e sul ritmo, m’impegnavo per migliorare soprattutto il mio motore aerobico. Era tutta fatica e resistenza, molti dicono che fossi precoce, esagerato, ma già allora volevo raggiungere vette sempre più alte.

Gloag con Roglic, che ha aiutato a vincere il Giro 2023. Era arrivato in extremis, al posto di Tratnik
Gloag con Roglic, che ha aiutato a vincere il Giro 2023. Era arrivato in extremis, al posto di Tratnik

Da bambino, maniaco dell’allenamento

«La svolta è stata l’ingresso nel team Trinity nel 2021: lì ho capito che avevo ancora tantissimo da imparare. Non sapevo nulla di quel che è il ciclismo vero: basti pensare che da junior prendevo 30 grammi di carboidrati e mezza bottiglia d’acqua a gara. Ora siamo a 120 grammi l’ora… Sono sempre andato meglio in salita, forse per genìa, mentre mi sono dovuto impegnare molto per la discesa, al punto da chiamare un insegnante che mi ha spiegato come approcciare una curva, come regolare i pedali, spostare il peso, inclinare la bici pur restando dritto. Ora vado meglio, ma c’è ancora tanto da migliorare».

La sua crescita giovanile era stata abbastanza veemente, tanto da fargli chiudere il Giro Under del 2021 ai piedi del podio. Le sue doti non erano sfuggite al dorato mondo WorldTour, così la Visma-Lease a Bike lo ha subito messo sotto contratto.

Fondamentale è stato il supporto del team, che non ha mai smesso di credere in lui
Fondamentale è stato il supporto del team, che non ha mai smesso di credere in lui

Il lockdown sulle Ande…

Tornando al discorso relativo alla salita, questa affinità ha anche radici… sudamericane. Grande amico del fratello di Esteban Chaves, ha ricevuto l’invito a trasferirsi in casa loro nel periodo del Covid: «Ho perso letteralmente la testa per quei luoghi, quella gente così disponibile e gentile. Le Ande sono qualcosa d’incredibile, puoi trovare montagne per 50 chilometri poi per 200 neanche una salita. E poi, non ricordo di aver mai mangiato frutta e verdura più buone…».

I mesi della riabilitazione sono stati difficili, al di là del supporto. Settimana dopo settimana, il corpo che non dava segnali di ripresa, i dubbi che s’insinuavano nella sua mente. Gloag ha trovato un appiglio nella matematica, che studia all’Open University: «Avevo bisogno di qualcosa di diverso, di non essere sempre focalizzato sulla bici. Quella è stata la mia forza, è stato fondamentale per tenere il cervello occupato».

La vittoria di tappa all’Avenir 2022. Gloag è considerato uno dei migliori scalatori britannici (foto Fletsch)
La vittoria di tappa all’Avenir 2022. Gloag è considerato uno dei migliori scalatori britannici (foto Fletsch)

Ora si volta pagina

Gloag ha conquistato la vittoria come meglio non poteva. Nella terza tappa con arrivo a Dlouhe Strane, il corridore è riuscito a eludere anche la stretta sorveglianza della Uae Emirates, con Hirschi e Ulissi che facevano un po’ il bello e il cattivo tempo in corsa, riuscendo ad arrivare al traguardo in assoluta solitudine.

«E’ indescrivibile quello che provo – dichiarava sul palco – per me già essere presente era un grande regalo, ma vincere è stato un clamoroso bonus col quale ho messo la parola fine a una parentesi troppo lunga, fatta di Covid, tonsillite, un infortunio alla schiena, 10 punti di sutura al ginocchio, poi l’investimento con tutto quel che ne è conseguito. Direi che può bastare, ora spero di vedere altre cose».

Dainese: l’incidente, il rientro, la vittoria, Sierra Nevada… il Giro

15.04.2024
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E’ caduto il 9 febbraio rovinosamente, ha vinto il 4 aprile: in meno di due mesi Alberto Dainese si è ritrovato dalle stalle alle stelle. Il corridore della Tudor Pro Cycling era incappato in un incidente durante un allenamento in Spagna. Aveva riportato una grande botta alla testa e danni seri alla bocca.

Poi alla Région Pays de la Loire Tour, breve corsa a tappe francese, ecco quasi a sorpresa, la vittoria. A Château-Gontiere braccia alzate e tutto, o quasi, sparisce.

In questi giorni Dainese si trova a Sierra Nevada per l’ennesimo ritiro in quota. Sta lavorando in ottica Giro d’Italia.

«E quassù – dice il veneto – già ci ero stato due settimane prima del rientro dopo la caduta e ci starò fino al Romandia. Poi qualche giorno di relax a casa ed ecco il Giro».

Alberto Dainese (primo da sinistra) durante gli allenamenti in Spagna quest’inverno
Alberto Dainese (primo da sinistra) durante gli allenamenti in Spagna quest’inverno
Alberto, partiamo dalla caduta. Hai recuperato possiamo dire…

Diciamo di sì. All’inizio è stata un po’ tosta. Le botte alla bocca e alle labbra si sono fatte sentire. Avevo un bel po’ di punti e non ero affatto bello! Mi vedevo con queste ferite, mi mancavano quattro denti. Facevo anche fatica a mangiare. Poi è subentrato anche un versamento ad un ginocchio. Insomma ci ho messo quasi due mesi a riprendermi. Ma la cosa buona è aver recuperato al 100 per cento.

Alla fine quanto sei stato senza bici?

Poco in realtà. Forse troppo poco, cinque giorni. In pratica fino a che non mi hanno rimesso i denti provvisori. Ho fatto un po’ di rulli. Ma era troppo presto. I punti tiravano e avevo vari dolori. Poi è emerso il problema al ginocchio. E sono stato fermo un’altra settimana. Alla fine prima di riprendere per bene è passato un mesetto.

Ma come hai fatto a livello di preparazione? Hai ripreso da capo?

La base era solida. Avevo fatto davvero un buon inverno, senza malanni e con un grande volume: questa è stata la salvezza. Se avessi avuto un inverno meno buono sarebbe stato un bel casotto. Invece quando ho ripreso, non ero proprio a zero. 

Dainese (classe 1998) è passato dalla Dsm alla Tudor Pro Cycling questo inverno
Dainese (classe 1998) è passato dalla Dsm alla Tudor Pro Cycling questo inverno
E cosa hai fatto quando hai ripreso con costanza?

Ho iniziato con due, tre ore molto semplici. Dalla terza settimana ho inserito anche un po’ d’intensità. Ma questa era anche la prima che facevo a Sierra Nevada in quota. E non ho fatto poi molto. Parlo di 15 ore complessive. Mentre dalla settimana successiva, ho inserito più ore e più volume. Ho fatto due lavori di Vo2Max, sempre in altura, e sono andato a correre in Francia.

Caspita! Solo due lavori e sei stato subito vincente e competitivo (prima della vittoria Dainese ha ottenuto due quinti posti, ndr)?

E infatti questo un po’ ha sorpreso anche me e mi ha dato tanto morale. Ma ripeto, la base era buona. Sono anche consapevole che non era una volata di livello stellare. Non c’erano Philipsen o Merlier, però Marijn van den Berg, con cui battagliavo ha dimostrato di andare forte. Ora sono consapevole che con questo altro ritiro in quota e il Romandia si potrà crescere ancora. Non dico che tutti i dubbi siano spariti, ma so che al Giro dove il livello sarà più alto sarò competitivo.

Hai dovuto riprendere anche il lavoro in palestra?

No, quella no. Dopo due sedute ho dovuto abbandonarla in quanto mi dava problemi al ginocchio destro, quello del versamento. Emergevano dei dolori alla bandelletta e così abbiamo deciso di evitare la palestra. Al suo posto abbiamo compensato con delle volate e delle partenze da fermo. Ne ho fatte un po’ più del solito.

Alberto, raccontaci un po’ quelle volate dopo il rientro. C’era anche della paura?

Le settimane dopo l’incidente sì. Avevo paura ad andare in bici, specie in discesa o col vento. La caduta era avvenuta in modo improvviso e temevo di ricadere da un momento all’altro. Poi è andata scemando. Mentre il giorno della volata no, nessuna paura.

Quest’anno Alberto ha un treno a disposizione e infatti in 6 giorni di corsa ha 6 top 10, tra cui una vittoria
Quest’anno Alberto ha un treno a disposizione e infatti in 6 giorni di corsa ha 6 top 10, tra cui una vittoria
Si è chiusa la vena del velocista!

Esatto. Non ci ho proprio pensato, anche se forse è stato lo sprint più pericoloso che ho fatto da pro’ dopo quello del Polonia in discesa. In particolare la volata che ho vinto è stata anche abbastanza pulita. Nell’ultimo chilometro la velocità era alta ed eravamo tutti in fila. Robin Froidevaux mi ha portato ai 200 metri in posizione e dovevo saltarne solo due.

Per te che ogni volta dovevi partire da dietro, due corridori in effetti erano pochi!

Sì, sì… rispetto al passato è una bella differenza. Prima avevo Bardet che poverino è uno scalatore e mi lasciava in ventesima posizione. E infatti come mi suggerì anche Petacchi, persa per persa a quel punto, partivo lungo. Adesso invece ho un treno.

E sul fronte dei valori, quelli della volata che hai vinto erano buoni? E’ un dato curioso dopo l’incidente…

Il misuratore non funzionava. Non posso rispondere pertanto a questa domanda con precisione, però non credo siano stati cattivi. Quel giorno ho sbagliato rapporto. Ho fatto la volata con il 54×10 ed ero durissimo. Mi sembrava stessi facendo una partenza da fermo! Il picco di potenza in questi casi, con quel rapporto così duro, non è altissimo. Però la volata l’ho tenuta a lungo e comunque se riesci a girare quel rapporto male non stai. Io poi non amo andare duro negli sprint. 

L’incidente e 4 operazioni, ma ora Iacomoni vuole ripartire

25.01.2024
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Ventuno novembre del 2023. Un giorno che Federico Iacomoni non scorderà più. Uno di quelli che segnano l’esistenza, che in un attimo cambiano gli stati d’animo e le prospettive. Ancora oggi, riparlandone, il giovane talento appena approdato alla Zalf Euromobil non nasconde le sue emozioni.

Un’uscita di allenamento come tante sulle strade nei dintorni di Mosana, in Val di Cembra. Strada normale, senza buche o avvallamenti. Il problema è che in senso contrario si è formata una lunga fila. E come sempre c’è il furbo che passa invadendo l’altra corsia. Federico gira la curva, l’auto è proprio di fronte: impatto pieno. Il ragazzo è sbalzato di almeno una decina di metri, verso un piccolo burrone.

I terribili esiti dell’incidente. Oggi la ripresa è finalmente iniziata, con tanta fisioterapia
I terribili esiti dell’incidente. Oggi la ripresa è finalmente iniziata, con tanta fisioterapia

«Ricordo poco di quei momenti – racconta – so però che l’automobilista non è scappato, si è fermato a prestare soccorso. Non riuscivo a muovermi. Mi hanno portato subito all’Ospedale Santa Chiara di Trento, dove mi hanno riscontrato una grave frattura all’omero, spezzato in più punti e frantumato vicino al gomito. Per rimetterlo insieme mi hanno preso un pezzo d’osso dal bacino, anche quello da rimettere a posto. Inoltre mi ero rotto anche ulna e radio, sempre a sinistra. Sono rimasto in ospedale quasi due mesi, durante i quali mi hanno operato per ben 4 volte con anestesia totale».

Hai già iniziato la fisioterapia?

Proprio nell’ultimo fine settimana. I tempi sono lunghi, ma spero entro breve di poter almeno iniziare a salire sui rulli, sarebbe già un passo avanti. Per il momento è importante curare non solo l’aspetto fisico, ma anche quello psicologico perché anche da quel punto di vista è stata una bella botta. Cerco di guardare tutto in positivo, già essere di nuovo a casa mi ha dato una bella carica.

Iacomoni ha iniziato a vincere molto presto (qui a San Pietro in Cariano nel 2018, photobicicailotto)
Iacomoni ha iniziato a vincere molto presto (qui a San Pietro in Cariano nel 2018, photobicicailotto)
Il team ti è stato vicino?

Molto, sono rimasti davvero scioccati da quanto avvenuto, anche perché ero molto carico per il passaggio alla Zalf. Gianni Faresin è venuto più volte a trovarmi e siamo in contatto pressoché quotidiano, mi hanno fatto sentire subito della famiglia. Ma devo dire che anche il vecchio team, la Sias Rime Drali, mi ha dato supporto.

Che stagione hai vissuto con loro?

Buona, con bei risultati. Ho anche vinto la classifica a punti al Giro del Friuli, ma sinceramente mi sono divertito tanto al GP Industria e Artigianato Carnaghese. Queste sono le gare dove ho fatto meglio, nella seconda parte di stagione. E questo mi dà conforto pensando al tempo che ci vorrà per raggiungere la forma migliore, evidentemente quello è un buon periodo per me. Lo scorso anno avevo staccato dopo Brescia, in estate, per oltre un mese. E’ chiaro che ora la preparazione andrà completamente rimodellata.

La vittoria a Carnago, con un’azione di forza, precedendo Piccolo ed Epis di 16″ (Photors)
La vittoria a Carnago, con un’azione di forza, precedendo Piccolo ed Epis di 16″ (Photors)
Quando sono nati i contatti con la Zalf, sono figli di questi risultati?

No, già in aprile avevamo preso contatti e sicuramente sapere di essere seguito da un team così importante mi ha dato la tranquillità per affrontare la stagione puntando a emergere il più possibile. E’ un passo fondamentale per puntare al professionismo e sapere che sono della famiglia – ribadisco questo concetto – mi dà la voglia di mettermi in gioco dopo quello che mi è successo.

Che corridore sei?

Un passista che ha per caratteristica quella di voler sempre attaccare, prendere le corse di petto. Ora nel nuovo team molto può cambiare e dovrò prendere le misure. Io mi aspetto una crescita prestativa, che non passa solamente attraverso i risultati. Spero molto di poter far bene nella seconda parte di stagione, anche con il team siamo d’accordo nel non affrettare i tempi, perché i danni sono stati seri.

Il trentino punta con forza alla seconda parte di stagione, storicamente la più favorevole per lui
Il trentino punta con forza alla seconda parte di stagione, storicamente la più favorevole per lui
Hai assorbito il colpo?

Non del tutto, ma diciamo che ci sto lavorando. E’ stato duro, i primi giorni sono stati tremendi. Io tra l’altro sono iscritto all’Università e avevo in programma esami a dicembre che sono forzatamente saltati. Per fortuna in queste giornate riesco ad avere più tempo per studiare, quindi conto di poter dare quegli esami e anche altri appena possibile. Ma quel che conta per me è poter salire presto in bici, non sapete quanto mi manca…

Venchiarutti smette col sorriso: ci ha provato fino alla fine

17.11.2023
4 min
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Per fare questa intervista abbiamo aspettato un paio di settimane, giusto il tempo che Nicola Venchiarutti ricevesse le risposte necessarie (in apertura foto Instagram). L’ultimo anno e mezzo per lui è stato difficile da digerire da una parte, mentre dall’altra gli ha visto compiere una grande ripartenza. L’incidente di Castelfidardo l’ha costretto a fermarsi e riprendere la sua attività praticamente da zero. Alla Work Service ha trovato chi lo ha aspettato e gli ha dato la possibilità di riprovarci

La stagione e la carriera di Venchiarutti sono finite con l’esperienza alla Serenissima Gravel (foto Instagram)
La stagione e la carriera di Venchiarutti sono finite con l’esperienza alla Serenissima Gravel (foto Instagram)

Stop

Del suo calvario abbiamo già parlato, ma da alcune storie postate su Instagram nel finale di stagione ci è nata la curiosità di tornare da lui e sentire come stesse. I segni dell’incidente sono ancora lì e non se ne andranno. Gli ultimi esami sono stati per un verso rincuoranti, ma non tutto tornerà come prima e questo ha costretto Venchiarutti a prendere una decisione importante

«Mi fermo – racconta da casa in un momento di tranquillità – non ha più senso continuare a correre in bici. I danni della caduta sono troppo grandi per ritornare in sella un’altra volta e lanciarmi nella mischia. Da inizio novembre ad ora ho fatto alcuni esami che hanno evidenziato alcune criticità che non è possibile far rientrare».

L’inizio di stagione aveva visto un miglioramento costante delle prestazioni (foto Instagram)
L’inizio di stagione aveva visto un miglioramento costante delle prestazioni (foto Instagram)
A quali esami ti sei sottoposto?

Quello più importante è stata una risonanza magnetica alla schiena per il discorso dei ferri che ho nella colonna vertebrale e per vedere il tipo di lesione al midollo spinale. 

Cosa è emerso?

I ferri sono rimasti nella stessa posizione e questo è positivo. Il midollo, invece, è più o meno uguale, si vede una lesione e rimarrà sempre così. E’ il punto in cui la vertebra, la D12, è schizzata nel momento in cui si è fratturata. In più hanno visto che sono uscite tre ernie, nella zona in cui ho la placca che sostituisce le tre vertebre rotte. 

I danni alla colonna e al midollo erano troppo gravi per recuperare pienamente la forza (photors.it)
I danni alla colonna e al midollo erano troppo gravi per recuperare pienamente la forza (photors.it)
Ernie dovute allo sforzo?

Sì, alla sforzo intenso prodotto nella pedalata, il problema è che la colonna vertebrale lavora in modo diverso da dopo l’incidente. Ora a riposo queste tre ernie dovrebbero rientrare da sole, il problema è che se dovessi tornare a correre mi uscirebbero di nuovo.

Com’è stato questo 2023 in gara?

I primi mesi, dopo la paralisi completa, miglioravo parecchio e lo sentivo. Per sei mesi è andata così, poi sono arrivato ad un livello dal quale non riuscivo a salire. Non aumentava la forza, lo capivo dalle sensazioni e dal misuratore di potenza. 

Per Venchiarutti qualche esperienza con i pro’, ma sempre con tante difficoltà: qui al Memorial Pantani
Per Venchiarutti qualche esperienza con i pro’, ma sempre con tante difficoltà: qui al Memorial Pantani
Con i diesse e i compagni ne hai parlato?

Anche loro vedevano la mia sofferenza in alcuni casi. Andare a correre all’estero diventava faticoso anche solo per il viaggio. Dopo un po’ di ore seduto sul pulmino, la schiena mi dava fastidio, anche ora che sono seduto alla scrivania ogni tanto mi fa male. Avendo ancora un fisico magro sento le placche a contatto con la colonna. 

Dal punto di vista medico però la ripresa è stata positiva, no?

I medici hanno sempre detto che ho avuto un recupero notevole, però mi sono reso conto, con il passare del tempo, che a livello atletico non sarei tornato come prima. Questo all’inizio mi ha reso triste, però a mente fredda sono contento di essere tornato ad una vita normale. La bici farà sempre parte di me, ma non allo stesso modo, pedalare mi piace e farmi un giro ogni tanto rimarrà una bella sensazione. 

La decisione di smettere è arrivata in questi giorni: difficile, ma ponderata (photors.it)
La decisione di smettere è arrivata in questi giorni: difficile, ma ponderata (photors.it)
Riuscirai a tornare ad una vita normale?

Per la parte superiore del corpo dovrò sempre fare palestra o nuoto, mi servirà anche nel momento in cui deciderò di fare un lavoro da ufficio. Ora quando sto seduto per un po’ di ore, sono costretto ad alzarmi e stendermi. Paradossalmente in bici stavo meglio, perché distribuivo il peso anche sulle braccia. 

Nonostante tutto ti sentiamo sereno…

Sì, se penso a com’ero messo prima non posso che essere felice per quello che sono riuscito a fare. Sto pensando se rimanere nel mondo del ciclismo oppure fare altro, ancora non ho deciso. Fino a due settimane fa ero totalmente concentrato sul correre.

Quanto sono cambiati i tempi di recupero? Spiega Guardascione

26.08.2023
4 min
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Si continua a dire che per vedere il miglior Bernal bisognerà attendere il prossimo anno, che questa stagione è fondamentale per il recupero. L’incidente che ha messo fuorigioco il colombiano, all’inizio del 2022, ha conseguenze che si protraggono ancora oggi. Bernal è tornato a correre un grande Giro solamente nel 2023, con il Tour de France (nella foto di apertura alla presentazione della 20ª tappa). A poche settimane di distanza è stata annunciata la sua partecipazione alla Vuelta, altro gradino importante verso la scalata alla sua miglior condizione. 

Dopo la caduta alla Vuelta del 1994 (a destra nel fermo immagine della volata) Cipollini recuperò in tempi record
Dopo la caduta alla Vuelta del 1994 (a destra nel fermo immagine della voltata) Cipollini recuperò in tempi record

Il punto di vista medico

Carlo Guardascione, medico del team Jayco-AlUla, è uno dei nomi più noti ed importanti del gruppo. Abbiamo deciso di chiedere a lui un parere su quelle che sono le tempistiche di recupero. Ora i tempi sembrano allungarsi e non poco, si parla sempre più di “stagione di recupero”. Anche in passato era così oppure si tratta di un cambiamento portato dal ciclismo moderno?

«Bisogna fare delle distinzioni – spiega Guardascione – tra traumi singoli e politraumi. Dal punto di vista medico è meglio rompersi il femore in tre punti diversi e sottoporsi ad un’operazione, piuttosto che subire un politrauma come quello di Bernal. Un incidente come il suo allunga notevolmente i tempi di recupero, perché si subiscono diversi scompensi che poi l’atleta si porta dietro una volta tornato in bici».

Nonostante il grave infortunio, Jakobsen (che vola oltre la transenna) in meno di un anno torna a correre e a vincere
Nonostante il grave infortunio, Jakobsen (che vola oltre la transenna) in meno di un anno torna a correre e a vincere

Jakobsen ed Evenepoel

Uno degli incidenti più recenti, accaduti in corsa, che è rimasto maggiormente nella memoria dei tifosi, è quello di Jakobsen al Tour de Pologne del 2020. L’altro è la caduta di Evenepoel al Giro di Lombardia dello stesso anno. 

«Jakobsen – dice Guardascione – ha subito un trauma facciale spaventoso, ma una volta sistemato è riuscito a tornare in sella in tempi davvero brevi. Per quanto brutto e doloroso possa essere un trauma come quello di Jakobsen o dello stesso Evenepoel sono più “semplici” da far rientrare. Tant’è che entrambi, nel giro di un anno, anche qualcosa meno, sono tornati alle corse e a vincere. Nel subire un trauma come la frattura del bacino (nel caso di Evenepoel, ndr) entra in campo anche l’aspetto psicologico. Sai che per guarire da una frattura del genere hai bisogno di 5 mesi e ti dai un obiettivo in termini di tempo.

«In un caso come quello di Bernal – riprende – l’obiettivo principale era rimettere in piedi la persona prima del corridore. Non ci si è dati dei tempi di recupero, perché i traumi erano talmente tanti che non si potevano ipotizzare delle tempistiche».

Evenepoel, dopo la frattura del bacino al Lombardia, tornerà in gruppo direttamente al Giro del 2021, quasi un anno dopo
Evenepoel, dopo la frattura del bacino al Lombardia, tornerà in gruppo direttamente al Giro del 2021

Tutto estremizzato

Nel ciclismo moderno, però, è tutto estremizzato, nel bene e nel male. Le terapie di guarigione e recupero permettono di riprendersi in maniera completa. Tuttavia le prestazioni, in gara, sono talmente elevate che bisogna essere al top per pensare di essere competitivi

«Un conto è voler tornare competitivo – ci dice nuovamente Guardascione – un conto è tornare a pedalare in gruppo. Se si vuole vincere non basta essere al 95 o al 99 per cento. Nel ciclismo moderno devi essere perfetto se vuoi provare a vincere, dieci anni fa non era così. Non c’era questa estremizzazione della performance, siamo come in Formula 1. E per raggiungere la perfezione ci vuole tempo, quindi non si allungano i periodi di recupero, ma quelli per tornare competitivi. Una frattura si cura sempre in 2 mesi, ma per tornare in gruppo con l’ambizione di vincere si deve lavorare tanto. Lo si vede da anni, in gara vai solo se sei perfetto, con i numeri giusti. Non esiste che si vada alle corse con la gamba da “costruire”. Soprattutto dopo un infortunio».

L’incidente è passato, Cataldo ha rimesso il numero

23.08.2023
5 min
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Cinque mesi sono lunghi da passare, soprattutto quando sai di aver davvero guardato la morte in faccia. In cinque mesi Dario Cataldo è tornato piano piano ad assaporare il gusto di rimettersi il numero sulla schiena, salire in bici e presentarsi alla partenza. E’ successo alla Bemer Cyclassics di domenica e per chi ricorda bene la sua storia, si è trattato di un successo pienamente all’altezza di quello, effettivo, di Mads Pedersen per il quale Cataldo ha lavorato finché ne ha avuto la forza.

Quella caduta alla Volta a Catalunya, per chi c’era e per chi ha visto le immagini, poteva essere il momento finale della carriera del lancianese, ma Cataldo non lo ha mai voluto, ha sempre scacciato via i dubbi.

«Ho lottato con questo pensiero con tutto il mio orgoglio – racconta – perché ogni corridore, ma direi ogni sportivo vuole essere padrone del proprio destino e decidere autonomamente quand’è il momento di chiudere, di voltare pagina e non farlo per colpa di un incidente. Tanti ci sono passati, da Malori a Pozzovivo per fare due nomi, poi con il tempo hanno preso strade diverse. Ma sono sempre scelte che si fanno a mente fredda e non per forza di cose. Io non volevo che fosse così».

Le immagini dell’incidente in Catalogna. Frattura di vertebra, costole, clavicola e acetabolo
Le immagini dell’incidente in Catalogna. Frattura di vertebra, costole, clavicola e acetabolo
Che sensazioni hai provato ad Amburgo?

E’ stato bello, un debutto col piede giusto nella gara giusta, dove non c’era una partenza infuocata per cercare la fuga. Ho lavorato oltre 130 chilometri per la squadra, mi sono messo spesso a tirare (foto di apertura), avrei anche potuto finirla, ma con l’ammiraglia abbiamo deciso che era meglio assimilare il lavoro fatto per il primo giorno di gara.

A che punto sei dopo 5 mesi senza gare e tanto lavoro di riabilitazione?

Sono contento pur sapendo che è dura. Dal punto di vista aerobico sono a posto, ma un po’ di forza manca, devo recuperare il giusto tono muscolare dalla parte dell’anca fratturata. Soffro gli sforzi corti e intensi, ma sono tutte cose che avevo messo in preventivo.

Com’è stato rientrare in carovana, alla vigilia avevi paura?

Un pochino sì, stranamente mi spaventava il rientro in gruppo, quei piccoli o grandi rituali che si fanno prima di ogni gara, invece mi sono accorto che è stato tutto naturale, come se quei 5 mesi fossero passati via. E’ stato molto semplice a dir la verità e questo mi ha dato coraggio.

Cataldo all’ultimo Giro d’Italia, è ancora evidente il busto che doveva portare dopo l’incidente
Cataldo all’ultimo Giro d’Italia, è ancora evidente il busto che doveva portare dopo l’incidente
In questi 5 mesi che cosa c’è stato di bello e di brutto?

Di bello sicuramente vedere tutti, ma dico tutti dalla famiglia agli amici, dalla squadra ai tifosi starmi vicini giorno dopo giorno nel mio cammino di ripresa, accompagnare ogni passo avanti verso il ritorno. Sentivo tanta forza arrivarmi da fuori e questo è stato importante. Di brutto paradossalmente proprio il fatto che ogni piccolo progresso sia sembrato infinitesimale rispetto alla “montagna” che dovevo scalare. Ogni tanto arrivava qualche incertezza, ma non volevo assolutamente mollare.

Il team quindi ti ha supportato al meglio?

Sempre. Il rapporto in seno alla squadra era già molto buono prima, ma devo dire che sin dall’inizio tutto lo staff medico ha preso a cuore la mia situazione e quando ho comunicato ai dirigenti che avevo ripreso ad allenarmi, mi hanno subito fatto avere una serie di proposte per programmare il mio ritorno alle gare. Ci tenevano a farmi rientrare bene e a farmi sentire parte dell’ingranaggio anche da fuori. Il lato professionale si è fuso con quello umano in una maniera che mi ha lasciato di stucco.

L’ultima vittoria di Cataldo, la più bella, al Giro d’Italia del 2019 battendo Cattaneo
L’ultima vittoria di Cataldo, la più bella, al Giro d’Italia del 2019 battendo Cattaneo
Ora si fa sul serio, visto che sei rimasto in Germania…

Sì, affronto il Giro di Germania da oggi fino a domenica, sapendo che sarà naturalmente più dura per me, in una corsa a tappe ci sono sempre la caccia alla fuga, i cambi di ritmo… Insomma diventa tutto più intenso e quindi so che ci sarà da soffrire, ma fa parte del gioco. Non so come il mio fisico reagirà, non nascondo che nella mente c’è sempre qualche piccolo dubbio e solo la strada potrà dissiparlo.

Ha un percorso che può andar bene per le tue condizioni, essendo appena rientrato?

Sono tracciati nervosi, che possono mettermi in difficoltà ma servono. Spero di andare il più avanti possibile, arrivare al traguardo finale sarebbe un altro grande passo avanti.

Il corridore abruzzese, qui con Pedersen, ha già il contratto per il 2024. Ora vuole sfruttare al meglio le gare di fine stagione
Il corridore abruzzese, qui con Pedersen, ha già il contratto per il 2024. Ora vuole sfruttare al meglio le gare di fine stagione
Dopo che cosa ti aspetta?

Farò il Giro del Lussemburgo, Plouay e poi la stagione italiana, andando avanti fino a fine stagione. La cosa importante è poter affrontare tutto questo con calma, avendo già il contratto per la prossima stagione. Questo mi consente di lavorare con tranquillità pensando alla piena ripresa.

Sinceramente, in questi mesi hai mai ripensato all’incidente, a come avresti potuto evitarlo?

Sapete, tante volte in 17 anni di carriera sono arrivati momenti in cui pensavi che bastava un metro avanti o uno indietro e saresti finito sull’asfalto rischiando la vita. Sono fatalista, tante volte l’ho scampata, ma quel giorno, a quell’ora toccava a me essere lì. Speri sempre che non accada, ma devi accettarlo se fai questo mestiere.

Dal buio a tre medaglie: la devozione di Cretti per la bici

09.08.2023
7 min
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GLASGOW – Tre medaglie in un ciclismo che raramente ci capita di raccontare e spesso vive nell’ombra. Bronzo nell’inseguimento, argento nello scratch e nell’omnium. Forse l’unica nota positiva di questo mondiale caotico e sovrapposto è la possibilità di vedere all’opera i ragazzi della nazionale paralimpica, che solitamente si sfidano lontano dai riflettori dei grandi. Potremmo discutere a lungo su cosa sia veramente grande, ma così vanno le cose. Perciò quando ieri pomeriggio mi sono seduto con Claudia Cretti nella hall del velodromo, non nascondo di essermi sentito un po’ emozionato e anche un po’ in colpa.

Scusate la prima persona: di solito non si usa, ma quando si parla di emozioni è inutile girarci attorno. Claudia non la conoscevo prima del suo incidente al Giro d’Italia. Era il 2017, settima tappa da Isernia a Baronissi. Cadde, finì in coma e le notizie che uscivano sui giornali non autorizzavano a sperare in nulla di buono. Invece il destino aveva in serbo altre strade. Si risvegliò e quando tornò a casa chiese ai suoi di rimetterla in bicicletta. Ricordo di aver letto un’intervista in cui riferiva di una frase sentita dalla bocca di Alex Zanardi: «Non guardare la metà che non hai, ma quella che ti è rimasta». Serve tanta forza per dire certe parole, crederci davvero e rialzarsi. Osservando le sagome degli atleti in gara, ho pensato a tutte le scuse che trovo per non uscire in bicicletta e mi sono sentito un po’ piccolo.

Nella volata dello scratch, fuggita l’australiana, ha regolato facilmente le altre
Nella volata dello scratch, fuggita l’australiana, ha regolato facilmente le altre
Torni a casa con tre medaglie, te l’aspettavi?

No, soprattutto non pensavo mai di arrivare sul podio nell’omnium. L’emozione più grande è stata fare il terzo posto nell’inseguimento: pensavo di essere la più scarsa del mondo, invece ho dimostrato il mio valore. Poi nello scratch ho fatto notare a tutti la mia volata. Se avessi avuto il guizzo per andare dietro all’australiana, avrei vinto sia lo scratch sia l’omnium e sarebbe stato un passo in più.

Eppure quando l’australiana è partita, sembravi avere tutto sotto controllo…

Stavo anche per partire, in effetti, però ho visto che le mie avversarie, che nell’omnium erano messe bene, mi controllavano a ruota. Allora mi sono detta: se le porto sotto, magari in volata riescono a battermi. Così le ho tenute d’occhio e ho pensato a fare la mia volata. Speravo di raggiungere l’australiana, invece ho vinto solo la volata alle sue spalle. Però me ne torno a casa con un’esperienza gigante per i prossimi mondiali.

Hai ripreso subito su strada, già nel 2019: volevi riprenderti quello che hai lasciato in quell’incidente?

Appena sono arrivata a casa, dopo quattro mesi in ospedale, volevo andare in bici. Nelle prime uscite, ho fatto fatica. Però la mia passione è stata da sempre il ciclismo, quindi passando i mesi e gli anni, ho dimostrato di migliorare. Noto che i risultati in Italia migliorano, per cui mi piacerebbe arrivare passo dopo passo al podio nelle Coppe del mondo e ai mondiali. Non guardo il passato, ma al presente: sono le prime medaglie di questo nuovo segmento della mia vita. Quindi sono orgogliosa e punterò a migliorare ancora.

Due medaglie nello stesso giorno che si sommano all’inseguimento: niente male
Due medaglie nello stesso giorno che si sommano all’inseguimento: niente male
Il settore pista ha adesso un tecnico come Silvano Perusini, come ti trovi?

Ci chiama spesso durante la settimana, ci dice cosa fare durante il giorno e ci siamo trovati spesso a Montichiari. E’ cambiato un sacco, in pista è nato anche il miglioramento nell’inseguimento rispetto a Parigi, facendo ripetute e tutti i lavori specifici. Anche prima ho ottenuto medaglie col quartetto e anche nello scratch, però nel paraciclismo è tutto nuovo. Ogni anno scopro cose nuove, per questo ora puntiamo ai prossimi mondiali a Rio, sapendo che essere più vicini ai migliori in pista diventa utile anche su strada. Sono contentissima di poter fare doppia esperienza, sia strada che pista.

In questi mondiali ci si lamenta perché ci sono troppi eventi e tutti insieme. Forse invece per voi è il modo di avere una vetrina superiore? 

Si, è vero. In Italia tre quarti delle persone non sanno cosa sia il paraciclismo. Invece questa visibilità, avendo i mondiali con normodotati e paraciclisti insieme, rende più appetibile anche il nostro settore. Ognuno degli atleti che è qui arriva da brutte cadute, brutti incidenti e così via. Però per tirarsi su nuovamente, contano la testa, alzarsi e riuscire a ottenere medaglie importanti.

Per te è stato più difficile ripartire o arrivare qui a vincere queste medaglie?

E’ stato un miracolo che sia riuscita a sopravvivere al mio incidente. Devo dare un ringraziamento gigante all’ospedale di Benevento e alla mia famiglia che mi è stata vicina sin dal primo giorno. E anche la nazionale para ciclistica che ci segue un sacco bene e a Luca Cecchini, che mi sono stati vicino sino alla partenza dell’inseguimento. Sono davvero soddisfatta.

Scusa la domanda, se si può chiedere: qual è la tua disabilità?

Il trauma cranico che mi è successo il 6 luglio del 2017, mi ha provocato dell’epilessia. Ho fatto diverse verifiche e visite mediche per capire in quale categoria fossi per il paraciclismo e l’anno scorso facendo i mondiali di Parigi mi hanno messo in C5 definitiva. Il paraciclismo ha tante disabilità. Mi hanno messo in categoria C5 e sarà quella, se sarà possibile e se crederò in me, con cui potrei partecipare alle Olimpiadi. E anche lì la mia testa va verso le medaglie, quindi ce la metterò tutta.

E’ il sogno più grande?

Effettivamente sì. Da quando ero piccola e ho iniziato ad andare in bici, le Olimpiadi erano un sogno gigante. Mi piacerebbe dimostrare quanto valgo.

Nella finale per il bronzo dell’inseguimento eri contro una britannica…

Facevano tutti il tifo per lei. Ma io a quel punto non pensavo a queste cose, pensavo a spingere a dare il massimo. E quando ho sentito lo speaker dire il mio nome, ho cominciato a esultare. E’ stata una bella esperienza.

L’abbraccio con il tecnico Perusini corona un periodo di duro lavoro
L’abbraccio con il tecnico Perusini corona un periodo di duro lavoro
Com’è stato in questi giorni il rapporto con gli altri atleti della nazionale?

Siamo stati nello stesso hotel e loro chiedevano a noi alcune cose specifiche, su come facciamo le gare. Loro a noi, capito? In teoria sarebbe il contrario. Ho visto Filippo Ganna parlare con Andrea Tarlao, chiedendogli alcune cose per fare la gara. C’è tanta sintonia facendo i mondiali insieme. 

Frequenti ancora le ragazze con cui correvi?

Ci sentiamo con le mie compagne della Valcar. Quando ci siamo viste qua in hotel, hanno detto che hanno pianto per me il giorno dello scratch, anche Martina Alzini, Miriam Vece. C’è tanta sintonia, l’amicizia continuerà. E se ho ripreso a correre, lo devo a Valentino Villa.

La sera del doppio argento, grande festa nell’hotel degli azzurri
La sera del doppio argento, grande festa nell’hotel degli azzurri
Torni a casa e come riprende la vita?

Bici, bici, bici, bici e bici. Voglio migliorare le cose in cui sono un po’ sotto tono, anche su strada. Ho fatto due Coppe del mondo quest’anno, ma sono andate male. Però l’anno prossimo faccio vedere alle altre quanto valgo.

Ci saranno altri grandi appuntamenti per quest’anno?

Vediamo se ci sarà la possibilità di fare gli europei, altrimenti parteciperò ai campionati italiani di ciclocross e forse di mountain bike fra settembre e ottobre. Non mi fermo di certo, questo ormai l’avete capito bene…

Imola è dimenticata. La Dygert sta tornando…

20.11.2022
5 min
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Una mattina di Colorado Springs. Un velodromo, una bici. E una ragazza che pedalata dopo pedalata torna alla vita. In fin dei conti sono pochi minuti, il suo tecnico Gary Sutton ha fissato limiti che non vanno oltre i 15 minuti per ogni blocco di allenamento. Ma quei blocchi sono eterni, sono come un addentrarsi nelle pieghe della sua mente. Chloe Dygert sta tornando e non è un personaggio di poco conto.

Ogni minuto di quel semplice allenamento è un viaggio dentro se stessa, anzi per meglio dire assaporare un ritorno alla normalità al quale non sperava neanche più. E non c’entra neanche tanto il ciclismo perché quel che le era successo le aveva precluso anche la vita normale.

«Cosa ne sanno gli altri di quel che ho passato? Anche salire e scendere dall’auto – dice – era portatore di un dolore indicibile, mi muovevo al rallentatore, come un’automa. Pensavo che quel dolore non mi avrebbe lasciato più, mi stavo quasi adagiando nella convinzione che sarebbe stato mio compagno per tutta la vita. Invece ecco qui: pedalo e non lo sento, non c’è. Se n’è andato e non lo rimpiango di certo…».

Il suo ritorno in bici nei test a Colorado Springs: Chloe tornerà sia su strada che su pista (foto Casey Gibson)
Il suo ritorno in bici nei test a Colorado Springs: Chloe tornerà sia su strada che su pista (foto Casey Gibson)

Inizia tutto a Imola 2020

Pedalata dopo pedalata la Dygert ripensa a quando tutto è iniziato: quel giorno, quel maledetto giorno a Imola. 2020. In palio il titolo mondiale a cronometro. L’americana è la campionessa uscente, l’anno prima nello Yorkshire ha sorpreso tutti, anche le favoritissime olandesi. La corsa contro il tempo è il suo forte, lo ha dimostrato anche in pista. Sfreccia, la Dygert e ai rilevamenti è lanciata verso il bis. Poi una curva, la bici che slitta, il guard rail vicino. Troppo vicino. Un attimo, ma è come se un ninja con la sua lama affilata la trafiggesse da parte a parte. La coscia viene tranciata, il metallo va a toccare anche l’osso. Le immagini sono agghiaccianti, le sue urla dicono tutto.

L’80 per cento del muscolo è compromesso, l’operazione e la degenza sono lunghe e dolorose. Quel che Chloe non sa è che quello è l’inizio di un calvario lungo tre anni, fatto di sofferenza, tappe, anche elementi avversi esterni come il Covid. Che poi tanto avverso, nel suo caso non è. Perché? Perché posticipa le Olimpiadi di un anno e le consente comunque di esserci anche se a mezzo servizio, anche se non è la Dygert che avrebbe voluto essere. Ma riesce comunque a esserci, qualificandosi in extremis, portando a casa un 7° posto nella crono e contribuendo al bronzo del quartetto (che senza di lei, diciamocelo, è poca cosa…).

Non bastasse l’infortunio…

Sono risultati eccezionali, se si pensa che da quel maledetto giorno imolese, la Dygert in tre anni ha potuto gareggiare appena per 5 giorni su strada.

«Appena sembrava tutto risolto, ecco che ci ricascavo – pensa mentre l’allenamento procede – in primavera mi è crollato il mondo addosso. Non bastasse il dolore, ci si è messa anche la malattia di Epstein Barr (una forma di herpesvirus che porta affaticamento estremo, mal di gola, ingrossamento dei linfonodi e altri sintomi, ndr). Avevo appena iniziato la campagna del Nord ed era già finita».

Dalla malattia, con tempo e pazienza era uscita fuori, ma quei dolori restavano. Avevano già rimesso mano alla gamba, ma l’operazione non era andata a buon fine e oltre ai dolori, anche i movimenti erano ridotti. Ma Chloe non si è arresa. Non si è rassegnata. Ha continuato a studiare sull’argomento, a informarsi, a cercare una soluzione e alla fine ha trovato chi poteva rimetterla in sesto. Una nuova operazione, complessa, fatta da mani ferme e sicure. Tanto tessuto cicatriziale rimosso dal muscolo. Una lunga convalescenza, scandita però da un fatto nuovo: quel dolore stava svanendo. La Canyon Sram, il suo team, intanto l’aspettava, con pazienza.

Chloe è pronta a riprendersi il suo posto, anche in nazionale (foto Getty Images)
Chloe è pronta a riprendersi il suo posto, anche in nazionale (foto Getty Images)

L’anno della rinascita

«Potevo sedermi, lamentarmi, piangere, ma sarebbe servito a qualcosa? Oggi metto la parola fine su due anni di black out della mia vita – dice – nei quali non potevo fare quel che mi è sempre piaciuto, quello che avrei voluto. La bici mi aveva portato a questo, la bici mi sta portando verso la luce in fondo al tunnel. E’ vero, pedalo in un velodromo vuoto, contro nessuno, non c’è un cronometro, non c’è una classifica. Ma questa è la gara più importante e difficile, questa è la vittoria più bella. Ogni giro di pedivella senza che senta dolore è un segno di speranza. Preparatevi, gente, Chloe sta tornando…».