Senza Cicco, Trek a Pedersen. Popovych spiega

07.05.2023
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SILVI MARINA – «Faccio sicuramente meno di un anno fa – dice Popovych con gli occhi che di colpo si intristiscono – perché non è più la stessa cosa. In quei primi mesi di guerra era un caos, mancava tutto. Adesso hanno da vestirsi e da mangiare, gli mancano solo le persone che stanno perdendo. Ho un amico in prima linea. Hanno tutto, tanta gente è tornata a casa anche dall’estero. Non faccio più i viaggi con il furgone, però è sempre difficile. Ho smesso di leggere news da tre settimane perché ci sto male. Ho appena sentito quel mio amico, perché ieri gli sono saltati i nervi. Ha perso due ragazzi con cui stava dall’inizio della guerra e si sta incolpando per averli mandati a prendere una cosa nella trincea in cui sono morti. Ho provato a dargli supporto mentale, quello che possiamo fare è sperare che finisca…».

Silvi Marina si specchia nel mare, in questo dolce avvio di Giro d’Italia. L’hotel della Trek-Segafredo è un gigante sulla spiaggia, in cui assieme alla squadra americana alloggiano Jumbo-Visma e Jayco-AlUla. Popovych ci ha raggiunto nel giardino dopo aver finito di parlare con i corridori, ma con lui il punto sugli amici e la famiglia in patria è un passaggio doloroso e necessario. Sapere da chi c’è dentro è diverso dal sentirlo in tivù.

Popovych guida al Giro la Trek-Segafredo assieme a De Jongh e Baffi. Qui con Andrea Morelli di Mapei Sport
Popovych guida al Giro la Trek-Segafredo assieme a De Jongh e Baffi. Qui con Andrea Morelli di Mapei Sport

Ciccone a casa

A una settimana dal Giro, la squadra ha deciso che Ciccone sarebbe rimasto a casa. L’abruzzese si è negativizzato a cinque giorni dalla partenza, ma ha passato una settimana senza andare in bici e non hanno voluto rischiare, spostando il baricentro dalla parte di Mads Pedersen (foto di apertura).

«Di fatto – spiega Popovych – abbiamo solo sostituito Ciccone con Amanuel Ghebreigzabhier. Pedersen aveva deciso di venire al Giro già da novembre così avevamo impostato la squadra anche su di lui, l’organico è stato sempre questo. Gli uomini che aiutano Mads avrebbero aiutato anche “Cicco”. La sua idea era puntare alle tappe, ma visto che da quest’anno sembra andare più forte, gli avremmo messo accanto uomini come Mollema e Tesfatsion per aiutarlo in salita. Gli altri in pianura sono… macchine (ride, ndr), per cui sarebbe stato al coperto in ogni tappa».

Due eritrei in corsa nella Trek-Segafredo: Tesfatsion e Ghebreigzabhie (s destra)
Due eritrei in corsa nella Trek-Segafredo: Tesfatsion e Ghebreigzabhie (s destra)
Giorni fa Dainese ha detto di temere Pedersen per la sua capacità di andare in fuga.

Lo vedremo giorno per giorno. L’anno scorso Pedersen ha fatto vedere grandi cose su diversi percorsi. Ci giocheremo tutte le carte possibili e inventeremo le cose giorno per giorno. Cercheremo di rendere la corsa dura quando si arriverà in volata, per eliminare i ragazzi più veloci e permettergli di fare le sue volate di 500 metri. Oppure potremo entrare nelle fughe.

Che effetto fa pensare che c’è ancora il Covid a cambiare le cose?

Dispiace, ma in questo periodo te lo devi aspettare. Parlando fra noi siamo consapevoli che fra 3-4 giorni qualcuno potrebbe anche andare a casa per il Covid. Questa la realtà del mondo di adesso. Per Giulio ci è dispiaciuto, ovviamente, il Giro parte da casa sua. Però abbiamo parlato. Gli ho detto: «Si volta come un giornale e si fanno i programmi per prossime corse». Per uno come lui a questo punto è meglio un Tour al top della condizione, che un Giro col rischio di ritirarsi.

Yaro, ti rendi conto che giusto vent’anni fa sul podio del Giro c’eri tu?

Ho pensato che siano passati vent’anni quando mi avete detto di cosa avremmo parlato. Avevo 23 anni, ora ne ho 43. Quel che successe nel 2003 non lo percepivo neanche io. Ho detto spesso che in quei primi anni in Italia, dai 20 ai 22 anni, neppure io capivo che potesse essere un lavoro. Per me è stato sempre un divertimento, un grande divertimento. Da noi in Ucraina la cultura del ciclismo non è mai esistita. In quel periodo mio papà non capiva cosa facessi, finché non venne qua a vedere di persona.

Mollema avrebbe lavorato anche per Ciccone: ora aiuterà Pedersen e cercherà la fuga
Mollema avrebbe lavorato anche per Ciccone: ora aiuterà Pedersen e cercherà la fuga
Tu non gli raccontavi nulla?

Certo, ma i miei genitori pensavano che fossi lontano per divertirmi. Da noi in televisione o sui giornali non facevano vedere le corse. La mia famiglia non sapeva cosa stessi facendo e anche io lo prendevo sempre come un gioco. Solo quando ho cominciato a fare risultati, allora ho cominciato a capire.

Che cosa significò salire sul podio del Giro a 23 anni?

Il Giro d’Italia per me è stato sempre una cosa particolare, una corsa di famiglia. Nel 1999 arrivai in Italia con la nazionale Ucraina. Dal 2000 rimasi con Olivano Locatelli. Vivendo qua, il Giro era la corsa di casa, la corsa della gente, un ambiente particolare. Quando nel 2009 venni al Giro con Armstrong, lui si stupiva di quanta gente mi conoscesse in ogni paese. La gente veniva a chiedere e salutare. E’ sempre stato un piacere.

Terzo al Giro del 2003, dietro Simoni e Garzelli: un Popovych d’annata
Terzo al Giro del 2003, dietro Simoni e Garzelli: un Popovych d’annata
Hai mai pensato che vincendo quel Giro la vita sarebbe cambiata?

Sarebbe cambiata di sicuro, è diverso vincere da essere sul podio. Ma io non ho rimpianti, non passo il tempo a pensare cosa sarebbe successo. Ho fatto e sto facendo la mia vita. Quando ci sono cose che non vanno come devono, volto la pagina e penso a quel che verrà. Sarebbe cambiato qualcosa di certo, ma non ci ho mai pensato.

Ciccone: il miglior avvio di stagione frenato dal Covid

24.04.2023
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Giulio Ciccone ci ha provato. Alla Liegi, sulla Redoute, ha scollinato in quarta posizione, al fianco del compagno Mattias Skjelmose e cercando di rispondere per quanto possibile a Remco Evenepoel. Un altro bel segnale dunque dall’abruzzese, che ha fatto appena in tempo a mettere il Giro d’Italia nel mirino che quel senso di debolezza percepito ieri in corsa si è tradotto nell’ennesima positività al Covid. Così recita il comunicato della Trek-Segafredo.

«Purtroppo dobbiamo comunicare – si legge – che Giulio Ciccone è risultato positivo al Covid-19. Giulio è stato testato questa mattina, 24 aprile, dopo essersi svegliato con sintomi lievi. Ora osserverà un periodo di riposo mentre il nostro staff medico monitorerà le sue condizioni. La partecipazione di Giulio al Giro d’Italia è ora in stand-by, da decidere dopo aver valutato il suo recupero e aver ottenuto un test Covid negativo. Una decisione definitiva verrà presa negli ultimi giorni prima dell’inizio della gara».

Quest’anno Ciccone ha cambiato molto nella sua preparazione e sta mostrando davvero belle cose in questa primavera. Ha ottenuto una vittoria e in più di qualche occasione ha ficcato il naso in mezzo ai grandissimi, cose che sembravano impossibili fino ad un fa. Quest’ultima tegola davvero non ci voleva.

Giulio Ciccone (classe 1994) firma autografi a dei bambini dopo la Liegi
giulio Ciccone (classe 1994) firma autografi a dei bambini dopo la Liegi

Freddo ardennese

Quando è arrivato sul traguardo della Liegi era gonfio dal freddo e dalla fatica. E infatti scherzando diceva: «Sembra che abbia preso delle botte». Dopo una mezz’oretta, il corridore della Trek-Segafredo è sceso dal bus e già sembrava un altro dopo la doccia e dopo essersi scaldato. Il fratello Marco lo attendeva per portarlo all’aeroporto e da lì in Italia.

Mentre firmava autografi, “Cicco” raccontava. «E’ stata veramente una giornata dura. E il freddo, anche se non sembrava, alla fine ha fatto il suo gioco. E poi , più di 250 chilometri… è stata una giornata di quelle vere, toste…

«Sono stato tra i più attenti all’attacco di Evenepoel? Diciamo di sì. Le mie sensazioni non erano male, anzi avevo avevo una buona gamba. Ovvio che il cambio di ritmo di Remco è un qualcosa che va oltre le mie possibilità. Almeno per il momento, quindi ho provato a fare il mio».

Per Giulio anche un’ottima Freccia, quinto. E ancora pronto a marcare i big. Qui, eccolo con Pogacar
Per Giulio anche un’ottima Freccia, quinto. E ancora pronto a marcare i big. Qui, eccolo con Pogacar

A testa alta coi big

Provarci è importante. Anche magari fare un po’ di fuorigiri, ma non partire battuti in partenza del tutto. Un po’ ciò che ha fatto Pidcock. Dopo la sgroppata per inseguire il campione del mondo, Giulio ha rifiatato e di nuovo se l’è giocata con quelli di questo pianeta.

Fare certe azioni è importante per il corridore. Dà fiducia. Scollinare quarti su una Redoute nel testa a testa non è poco. Specialmente di questi tempi, quando c’è sempre almeno uno dei quattro fenomeni di mezzo.


«Penso che abbiamo giocato una buona carta con insieme a Mattias – andava avanti Ciccone – abbiamo provato ad andare il più regolare possibile, poi dietro sono rientrati. Sono rientrati vari gruppetti e da lì sono iniziati un po i giochi:  scattini da fermo, inseguimenti… e, sapete, lì diventa più una questione tattica che di gambe, però io sono comunque soddisfatto della mia condizione… del risultato (13°, ndr) un po’ meno. Guardiamola in prospettiva».

In passato Giulio aveva sempre faticato in primavera, quest’anno invece ha già vinto. Eccolo al Catalunya davanti a Roglic
In passato Giulio aveva sempre faticato in primavera, quest’anno invece ha già vinto. Eccolo al Catalunya davanti a Roglic

Un avvio davvero super

Avanti significa Giro d’Italia, anche se all’indomani della bella Liegi, il condizionale diventa ora d’obbligo. Per anni abbiamo messo di fronte Ciccone alla questione classifica sì, classifica no. Quest’anno l’approccio è stato diverso. Questa volta si tratta di fare il meglio possibile. Poi sarà la strada a dare il suo verdetto.

«E’ dall’inizio dell’anno che ho delle ottime sensazioni – diceva – e sono contento di come sto impostando le gare, di come ci arrivo concentrato. Penso che fino ad ora sia stato uno dei migliori avvii di stagione. Anzi forse il migliore avvio di stagione di sempre. L’obiettivo è quello di tenere questa linea».

Sulla Redoute accanto al compagno Skjelmose. Cicco ha chiuso 13° , il danese 9° ma erano entrambi nel secondo drappello inseguitore
Sulla Redoute accanto al compagno Skjelmose. Cicco ha chiuso 13° , il danese 9° ma erano entrambi nel secondo drappello inseguitore

Dal Belgio all’Abruzzo

Tra Liegi e la “sua” Pescara ci sono di mezzo due settimane, durante le quali si spera che il Covid passi alla svelta e non comprometta il buono costruito fin qui. Un periodo cruciale.

«Non  correvo dal Catalogna – diceva ancora ieri prima di tornare verso casa – mi mancava qualche giornata di gara e qualche fuori giri. Da qui al Giro d’Italia non correrò più, anche perché non manca tantissimo. Ci saranno questi ultimi giorni che saranno di rifinitura… e poi si parte!

«Non ho mai avuto in programma di fare delle ricognizioni. Le strade abruzzesi le conosco tutte e abbiamo deciso di avere l’avvicinamento il più tranquillo possibile. Se tutto va per il verso giusto, sono sicuro che poi qualcosa di buono arriva».

Questo diceva ieri sera, prima di sapere di avere il virus già in corpo. Ciccone lo conosce bene: fu lui il primo corridore a rientrare dopo una positività, in quel Giro d’Italia del 2020 che suscitò più dubbi che entusiasmi. Ora che la storia è tracciata e la letteratura più completa, speriamo che al via da Fossacesia ci sarà anche lui, con gambe pronte per fare male.

Nuovo casco Trek Velocis Mips, sulla testa dei pro’

20.04.2023
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Il casco Trek lo abbiamo notato in diverse occasioni, a partire dal Tour de France 2022. Un casco marchiato Trek, non Bontrager, un dettaglio che non è un caso, per un prodotto che è cambiato molto e non si tratta solo di un restyling. Ci sono un nuovo design e una nuova costruzione, ma c’è anche il Mips di ultima generazione.

Ventilato e “scaricato” dove serve, con il carbonio che irrobustisce
Ventilato e “scaricato” dove serve, con il carbonio che irrobustisce

Il top di gamma è Trek

Quello che potrebbe sembrare un semplice dettaglio, in realtà cela un importante cambio di strategia del gruppo americano, che nel portfolio, oltre a Trek ha Bontrager. Oltre ai nuovi caschi infatti, c’è anche tutta una nuova categoria di abbigliamento marchiata Trek, il che fa pensare che i prodotti Bontrager rimarranno contestualizzati ai “soli” componenti della bicicletta. Vedremo anche le nuove scarpe Trek? E’ lecito pensarlo.

La parola ai pro’

Prima di procedere con il nostro test, siamo partiti da coloro che questo casco lo stanno utilizzando già da parecchio e se ne servono quotidianamente come di uno strumento di lavoro. Elisa Longo Borghini e Gilulio Ciccone, professionisti della Trek-Segafredo.

«Fin dalla prima volta che ho indossato il Velocis – racconta la piemontese – il casco mi ha colpito positivamente per la leggerezza. Basta prenderlo in mano per rendersene conto. Come donna, poi, ho trovato geniale l’idea di creare uno spazio nella parte posteriore, per far passare i capelli. Tante volte, noi cicliste ci siamo dovute arrangiare con soluzioni fantasiose per la gestione dei capelli raccolti. Anche per questo il Trek Velocis è un passo avanti».

«Per un casco – fa eco Ciccone – credo che il design sia un elemento importante. Perché l’occhio vuole sempre la sua parte. In questo senso, con Velocis, Trek ha centrato in pieno l’obiettivo. Ha realizzato un casco bello dal look aggressivo. A me, piace tantissimo. La sua leggerezza e comfort lo rendono ideale per le salite, dove ogni grammo conta. Insieme alla buona vestibilità, è un fattore che gioca un ruolo determinante. Credo che ad oggi sia una delle migliori opzioni disponibili in questa categoria di prodotti».

L’evoluzione del Velocis

Se messo a confronto con la versione precedente, il nuovo casco è decisamente più aggressivo, moderno e leggero, eppure non perde coerenza estetica rispetto alla gamma Velocis, che in precedenza era marchiata Bontrager. Non è un casco che voglia essere un compromesso, perché mette la sicurezza, un’insieme di soluzioni moderne, la leggerezza e la ventilazione ad un livello superiore rispetto ad altri fattori.

E’ stato mantenuto un disegno arrotondato, nonostante le ampie feritoie, alle quali si aggiungono le due “bocche” frontali. Queste ultime sono particolarmente utili per mantenere ventilata la fronte e tenere asciutta l’imbottitura frontale.

C’è il rotore Boa ed un filler perimetrale sottile e quasi impercettibile. Non è un vantaggio secondario, perché non dà fastidio quando si indossano gli occhiali e contribuisce ad una chiusura precisa, facile da customizzare e particolarmente efficiente.

Il Mips è nella versione Air -stabile, leggero e anche integrato – e “bypassa” la gabbia, senza sacrificare la sicurezza e il potere di dissipare gli effetti negativi di un impatto.

Rispetto al Bontrager Velocis Mips, questo è anche un casco Trek, perché utilizza gli inserti in carbonio OCLV in alcuni punti strategici che proteggono, irrobustiscono e compattano la scocca sottostante.

Compatto e ben sollevato dalle orecchie
Compatto e ben sollevato dalle orecchie

Il nostro test

Leggerezza e ventilazione prima di tutto. Se il primo aspetto è percepibile grazie ad un’insieme di fattori, ad esempio le imbottiture ridotte per numero e risicate nello spessore, ma efficienti e ben posizionate, la ventilazione è costante e lo è anche alle basse andature. Importante e per nulla scontato, un fattore che rende il nuovo Trek Velocis molto sfruttabile, a nostro parere non solo in ambito road. Nel gravel competitivo? Perché no. Il fitting è “tondo”, per un casco che non ha punti di pressione, profondo nel modo corretto e che riduce anche quella sorta di ingombro sopra la fronte che ha caratterizzato la versione anziana. In questo punto il nuovo Velocis è più asciutto e “magro”.

Dietro è facilmente aggiustabile, grazie ad una gabbia che si adatta in altezza, flessibile e con un rotore nel punto dove è posizionato. La regolazione perimetrale è potente, molto potente, ma non comprime mai sulle tempie, anche se è necessario prestare attenzione nel momento della chiusura. Lo stesso rotore è facilmente azionabile anche quando si è in movimento.

In conclusione

Il Trek Velocis Mips è un prodotto di prim’ordine, lo è per la qualità complessiva abbinata ad un prezzo che non è per tutti (299,99 euro di listino). E’ un casco dedicato all’agonista che tiene conto di ogni dettaglio. Al pari di una leggerezza notevole si percepisce sostanza e compattezza, per un casco ben fatto e molto curato nei dettagli. Davvero apprezzabile il Mips Air, che sviluppa la sua azione principalmente grazie alle imbottiture, mai eccessivamente spesse e scaricate nei punti dove è possibile limitare il peso.

Trek Bikes

Catalunya, vince Ciccone: per Cataldo e per il morale

21.03.2023
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Evenepoel scatta ancora. Stringe bene la prima curva e poi si rilancia verso la seconda, dopo la quale c’è l’arrivo. Ciccone ha battezzato la sua ruota da quando il campione del mondo ha aperto il gas e non la molla nemmeno questa volta. Per chi lo conosce è facile pensare che voglia dedicare la vittoria all’amico Cataldo e per questo è disposto ad andare a fondo nella sofferenza. Ma queste sono parole, sulla bici hanno un altro suono e ben altro sapore. Eppure l’ennesima accelerazione di Remco non scava buchi, fra le ruote non c’è luce e quando il belga allarga la linea entrando nell’ultima curva, Ciccone si infila lesto come una saetta. Le mani questa volta sono basse sul manubrio, la lezione di Tortoreto ha trovato la giusta considerazione.

Il rettilineo è breve e si apre davanti. Evenepoel è indietro, Roglic tenta la rimonta, ma non guadagna neanche un centimetro. Ciccone conquista l’arrivo di Vallter, località sciistica oltre i duemila metri. E anche se nel suo palmares ci sono tappe del Giro e la maglia gialla del Tour, visti i rivali che ha battuto, per l’abruzzese si tratta della più bella vittoria.

«Siamo partiti con il piede giusto – sorride con lo sguardo sicuro – e oggi è stata una vittoria molto particolare. Dopo la caduta di Cataldo, avevo promesso alla squadra che avrei vinto per lui e farlo così, con questi corridori, è ancora più bello. Quindi oggi la dedico a Dario e gli auguriamo tutti di rimettersi il prima possibile».

E’ stato Evenepoel a fare il forcing decisivo dopo il team Bahrain, ma con lui sono rimasti Ciccone e Roglic
E’ stato Evenepoel a fare il forcing decisivo dopo il team Bahrain, ma con lui sono rimasti Ciccone e Roglic
Racconta, cosa hai combinato?

L’ultima salita è stata davvero molto veloce e nella mia testa ho cercato di fare del mio meglio per rimanere agganciato. Segui, segui, segui. Nell’ultimo chilometro ho cercato di ragionare e di non sbagliare niente.

Infatti è sembrato un finale perfetto.

Non so dove ho trovato le forse per fare l’ultimo sprint negli ultimi 50 metri, ma ora sono davvero felice. Voglio godermi questo giorno e domani iniziamo a pensare al resto della corsa.

Eri venuto per fare classifica?

No, l’idea principale era puntare a una tappa. Ma per come si è messa finora, potrei anche lottare per la classifica. La vivrò giorno per giorno e senza stress. La squadra è forte per ogni tipo di corsa (dopo aver perso ieri Cataldo, la Trek-Segafredo oggi ha perso per caduta anche Elissonde, ndr).

Gli attacchi di Evenepoel facevano male?

Sappiamo tutti che quando si muove Remco, devi seguirlo, ma devi avere le gambe per farlo, quindi non è facile. E’ facile saperlo, ma è difficile farlo. Oggi è andata bene, ho avuto le gambe che servivano.

Questa volta in volata è andata bene…

Ne avevo persa qualcuna nelle ultime settimane (il riferimento proprio al giorno di Tortoreto lo fa sorridere, ndr), ma sapevo di stare bene. E ho fatto tutto nel modo giusto.

Come è stata l’ultima salita?

L’abbiamo fatta veramente molto forte. Il Bahrain l’ha presa subito con un ritmo veramente fortissimo. Poi il passo è calato verso la metà, quando è andato via Chaves. Io comunque sapevo quello che dovevo fare. Sapevo che avrei corso solo sulle ruote di Evenepoel e di Roglic e così ho fatto. Mi sono giocato le mie carte fino alla fine.

Ciccone ha parlato di vittoria più bella della carriera e l’ha dedicata a Cataldo
Ciccone ha parlato di vittoria più bella della carriera e l’ha dedicata a Cataldo
Evenepoel ha continuato a scattare sino in cima.

E’ andato veramente fortissimo, negli ultimi metri ero al limite. Però quando vedi il traguardo, riesci a trovare qualche energia per sprintare e dare il 100 per cento.

Il fatto di essere oltre i duemila ha inciso?

Mi sono sempre trovato bene in altura e mi piace molto arrivare su queste salite molto lunghe, ma regolari e soprattutto sopra i 2.000 metri. Quindi sapevo che oggi potevamo giocarci una buona occasione e farlo così con i migliori al mondo per me è una grande soddisfazione. Non ho paura di dire che sia la vittoria più bella della mia carriera.

Sassotetto, 4 gradi. Vincono in due: Roglic e il ciclismo

10.03.2023
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«Per far capire cosa sia il ciclismo a chi non lo conosce – diceva Bennati a Siena – vorrei portarli tutti su un arrivo perché possano guardarli in faccia».

Le loro facce di oggi dopo il traguardo di Sassotetto raccontavano più delle parole che potremmo scrivere. Oggi alla Tirreno-Adriatico per un po’ si è temuto che la tappa venisse annullata per il forte vento, come era appena successo alla Parigi-Nizza. Invece i corridori alla Corsa dei Due Mari hanno stretto le mani sul manubrio e si sono lasciati dietro Sarnano, addentando le rampe di Sassotetto.

Così Roglic precede Ciccone e il redivivo Tao Geoghegan Hart
Così Roglic precede Ciccone e il redivivo Tao Geoghegan Hart

Finale spettrale

C’è stato il forcing della Movistar. C’è stato l’attacco di Caruso. Poi è venuto lo scatto di Mas. E poi come un giustiziere è arrivata la volata di Roglic che ha battuto Ciccone. Un bel ciclismo, sia pure solo nel finale di una salita probabilmente… azzoppata dal vento.

Sulla montagna si è abbattuto il gelo: quattro gradi al traguardo contro i 20 di Sarnano, ai piedi della salita. Pioveva già da mezz’ora, ma un conto è prenderla chiusi in una giacca pesante, altro vederla cadere addosso ai corridori appena coperti. 

Uno scenario dantesco sulla montagna cara a Michele Scarponi, da cui esce vincitore un campione ritrovato come Roglic e da cui esce col sorriso anche il ritrovato Caruso.

«E’ stato un giorno molto duro – confessa Roglic quando arriva alle interviste – il vento era violento. Non regolare, ma con raffiche improvvise. Ho rischiato di staccarmi, ma quando mi sono reso conto che si poteva arrivare in volata, ho chiesto a Wilco (Kelderman, ndr) di darmi una mano. Sto rientrando da quel brutto infortunio, mi sembra di sognare. Abbiamo fatto una salita più lunga di quella di Tortoreto, mi sto divertendo. Se ero rilassato dopo la vittoria di ieri, figuratevi quanto mi senta leggero oggi. Indosso tutte le maglie di classifica e sotto – dice abbassando un paio di altre lampo – ho anche altri strati. Era freddo là in cima».

Ciccone amareggiato

Ciccone dopo l’arrivo aveva la faccia più scura degli altri, perché oltre al fango, all’acqua sporca e ai brividi, nei suoi occhi balenava la delusione.

«Appena tagliata la linea del traguardo – dice – la delusione è stata forte, perché la gamba c’era è la vittoria è mancata per pochissimo. A mente fredda, e soprattutto guardando a chi mi ha battuto, accetto il risultato con più serenità. Fare secondo dietro ad un Roglic così è una dolce sconfitta. Io sto bene, la condizione c’è e credo di averlo dimostrato. Ringrazio i miei compagni perché sono stati impeccabili, tutto è andato come volevo. Insomma, per pochissimo ci è mancato solo il risultato pieno, ma credo che possiamo essere soddisfatti

«L’azione di Caruso è stata coraggiosa e, senza una reazione un po’ decisa, poteva anche arrivare. Il mio attacco prima dell’ultimo chilometro è servito per rompere l’equilibrio, come spinta per l’allungo di Mas che ha ripreso Caruso.  A posteriori, potevo contribuire e dare seguito per evitare quel momento di controllo che ha permesso ad altri di rientrare lanciati».

La strada del Giro

Sul volto scurito dalla pioggia di Caruso in cima al monte brillava una luce diversa. Ora la sua strada verso il Giro ha corsie più larghe, al pari di quello che ci ha raccontato Roglic.

«L’anno scorso – ha detto Damiano – sul mio conto ne ho sentite di tutti i colori. Ora sono sereno e per qualche minuto ho anche pensato di poter vincere, ma vado comunque in albergo soddisfatto. E’ stata una giornata positiva anche per me».

«Quando si è trattato di scegliere fra Tour e Giro – gli fa eco Roglic – ho visto nel Giro una buona possibilità. Qui alla Tirreno, che per me è una corsa in più, ci sono compagni come Kelderman e Bouwman che mi scorteranno a maggio. Dovremo sfidare dei giovani molto forti, avete visto come è fatto oggi il ciclismo. E Remco Evenepoel è il primo di loro…».

La prima vittoria 2023, Ciccone l’aveva immaginata così

08.02.2023
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L’aveva vista, immaginata e provata. Quando Giulio Ciccone è uscito dall’ultima curva sull’Alto de Pinos, sapeva che la vittoria non poteva scappargli. Così ha sprintato da dietro e ha battuto Tao Geoghegan Hart, Pello Bilbao e Vlasov nella seconda tappa della Vuelta Valenciana.

«Mi sentivo bene – racconta – e soprattutto conoscevo bene la salita finale. Oddio, non ero l’unico (sorride, ndr), perché d’inverno ci alleniamo tutti lì. Io c’ero stato fino a due giorni prima a fare dei lavori e me l’ero immaginata. Sapevo che dovevo uscire per secondo dalla curva, me l’ero studiata. Non sempre va come te la immagini, però quel giorno ha funzionato. Non sapevo il numero esatto di quanti corridori ci sarebbero stati davanti, però il finale a quel modo, in testa mia lo avevo già visto».

Ciccone ha corso per tre tappe con la maglia gialla di leader sulle spalle. Qui a ruota di Vlasov
Ciccone ha corso per tre tappe con la maglia gialla di leader sulle spalle. Qui a ruota di Vlasov
A Calpe avevi preannunciato che avresti corso più libero…

Lo avevo detto, no? Non avevo mai vinto così presto, anche Laigueglia e la tappa dell’Haut Var sono state dopo. Ho fatto un inverno diverso dal solito, sia a livello di approccio mentale, sia tecnico. Ho stravolto le mie abitudini, ho lavorato di più e soprattutto, cosa fondamentale, mi sono allenato senza intoppi. Ti ammali e perdi una settimana. Se poi ti succede qualcos’altro ne perdi un’altra. Io per fortuna non ho avuto intoppi e questo ha fatto tanto.

Avevi anche parlato di correre nuovamente d’istinto.

Vero, anche se stavolta l’istinto è stato un po’… attendista. Mi sono trattenuto dall’andare da subito ed è stato giusto così. E’ normale che in certe situazioni, in cui magari conosci il finale, ti venga da aspettare. L’istinto un po’ più cattivo e ignorante (ride, ndr), quello viene fuori sempre nelle tappe del Giro, quando arriva il momento di andare in fuga.

Ultima tappa: Ciccone li ha controllati tutti, ma gli è sfuggito Rui Costa, che vince la classifica
Ultima tappa: Ciccone li ha controllati tutti, ma gli è sfuggito Rui Costa, che vince la classifica
Quanto è stato stressante difendere la maglia?

Niente di particolare. Alla fine, nelle corse così brevi vai sempre a tutta. Non c’è un giorno, come nei grandi Giri, in cui puoi stare più tranquillo. Si sapeva che ci sarebbero stati ancora tre giorni a tutta: uno più a tutta dell’altro. Sapevo che stavo bene, quindi me la sono… goduta. Il giorno dopo aver vinto, ho rischiato un po’ perché ho avuto una foratura a 10 chilometri dall’arrivo e sono arrivato con la ruota forata grazie ai tubeless. Lì ho un po’ tentennato (ride, ndr). Un altro giorno sono arrivato terzo e alla fine è stata bella anche l’ultima tappa.

Anche se Rui Costa ti ha fatto lo scherzetto e ha vinto la corsa?

Alla fine non sento di aver fatto errori particolari. Le gambe sono due, gli occhi sono due, quindi non puoi avere tutto sotto controllo. E in quel momento nei miei schemi c’era di guardare il secondo o il terzo della generale, i più vicini. Non il sesto. Però è vero che Rui Costa aveva vinto già la prima corsa a Mallorca ed è ripartito sui suoi livelli migliori. 

Rui Costa lo ha beffato: il portoghese sembra aver ritrovato smalto dopo gli anni alla UAE Emirates
Rui Costa lo ha beffato: il portoghese sembra aver ritrovato smalto dopo gli anni alla UAE Emirates
Intanto l’Italia è ripartita con quattro vittorie in tre giorni.

Non sono mai stato dell’idea che qui non ci siano buoni corridori. E’ ovvio che se uno guarda agli anni dietro, quando si vincevano sempre i grandi Giri e i mondiali erano una partita fra italiani, allora pensi che siamo messi male. Però sappiamo che il ciclismo moderno è totalmente diverso. Ovvio, ci mancano un Pogacar e un Evenepoel, però abbiamo una generazione di atleti con cui secondo me siamo messi molto bene.

Prossime gare?

La prossima sarà l’Haut Var, poi Laigueglia e la Tirreno, quindi per ora dovrei rimanere a casa. Il problema è che a San Marino il tempo non è dei migliori, quindi stavo valutando con la squadra come organizzarmi. E’ possibile che torni al caldo da qualche parte, sono stato già un mese in Spagna, sono qui da due giorni e mi sa che riparto presto. 

Sul podio finale di Valencia, Ciccone per 16″ alle spalle di Rui Costa. Terzo Geoghegan Hart
Sul podio finale di Valencia, Ciccone per 16″ alle spalle di Rui Costa. Terzo Geoghegan Hart
Quanto morale ti ha dato la vittoria?

Quando lavori tanto e poi raccogli i risultati, stai sempre bene. E’ una bella ricompensa. Partire così ti permette di continuare, sapendo che sei sulla strada giusta. E poi fra poco arrivano le corse più belle. Già la Tirreno sarà un primo vero test, peccato per quella crono il primo giorno. La classifica non sarà una priorità, la vedremo dopo la prima tappa. Con dei percorsi così belli nei giorni successivi e la mia buona condizione, sinceramente non vorrei sacrificare una vittoria di tappa per provare a tenere duro. Se la classifica verrà, sarà una conseguenza dei risultati.

Trek Madone SLR7, mamma mia quanto spinge

31.01.2023
6 min
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Il test della nuova Trek Madone SLR7

«La Trek Madone precedente era un po’ per tutti. Questa è una vera bici aerodinamica da corridore e pensata per chi vuole spingere, sentire la bicicletta ed essere veloce quando c’è da scattare, fare uno sprint, rientrare sulla fuga a gas aperto e tirare a vento in faccia».

Apriamo il racconto del test della nuova Madone di settima generazione con questo virgolettato di Jacopo Mosca, che dal momento della consegna non ha più mollato la nuova versione della bicicletta.

Imponente e muscolosa, unica, con l’IsoFlow che oltre ad essere una nuova soluzione, pone anche un solco netto tra le bici “normali” e quelle aerodinamiche da agonista e senza mezze misure. E poi abbiamo raccolto le considerazioni di tre corridori molto differenti tra loro: Giulio Ciccone, Juanpe Lopez e Quinn Simmons.

La nuova Trek Madone, senza dubbio aggressiva e corsaiola
La nuova Trek Madone, senza dubbio aggressiva e corsaiola

GIULIO CICCONE: «Io uso sia la Emonda come prima bici per un 70% e poi la Madone che è quella più aerodinamica e più adatta per le tappe di pianura dei grandi Giri. Quest’ultima è velocissima. E’ stata lanciata al Tour de France e proprio lì ho iniziato ad usarla. La prima impressione, quando monti in sella è quella di sentire la bici che scappa via. Offre degli enormi vantaggi nelle fasi di rilancio, ad esempio all’uscita delle curve. E si sente come agevola il mantenimento di un’alta velocità senza grosse resistenze».

JUANPE LOPEZ: «La nuova Trek Madone è velocissima. L’ho usata la prima volta alla Vuelta Burgos. Mi piace. Rispetto alla precedente è più veloce e più sfruttabile anche su salite inferiori ai 15 minuti. Il peso entro quel limite non è un problema. Quando devo affrontare dislivelli importanti scelgo la Madone. E’ utile anche nelle corse mosse, perché forse, fra le bici aerodinamiche del gruppo è la più maneggevole e leggera.

QUINN SIMMONS: «Uso due modelli di bici Trek, la nuova Madone e la Emonda, direi che ora sono probabilmente 50 e 50. Prima ero quasi sempre sulla Emonda, ma ora con la nuova Madone, un po’ più leggera e un po’ più veloce, considero fifty-fifty. Ti fa sentire sempre veloce e ti permette di tenere un’ottima impostazione in sella, favorevole all’aerodinamica».

Quinn Simmons all’ultimo Tour con la nuova Madone
Quinn Simmons all’ultimo Tour con la nuova Madone

Madone SLR7 in test

Il telaio e la forcella sono quelli costruiti con il carbonio OCLV800, ultimo sviluppo del composito Trek. Il cockpit è quello di nuova generazione, più stretto sopra e con un flare (ovvero una sorta di svasatura) che lo porta ad essere largo nella sezione bassa. Quello usato sulla bici test ha un appoggio superiore, in pari ai comandi del cambio pari a 39 centimetri, mentre le estremità basse sono aperte a 42.

C’è la trasmissione Shimano Ultegra Di2 (52-36 e 11-30) con le ruote Bontrager Aeolus Pro51. Il cerchio è full carbon con il canale interno da 21 millimetri e le gomme sono le R3 da 25, sempre Bontrager e in versione copertoncino.

La sella è corta con i rails in acciaio. Il valore alla bilancia, rilevato e senza pedali è di 8,12 chilogrammi per un prezzo di listino di 10.999 euro.

IsoFlow, stabilità da primato

Le versione più anziana della Madone SLR aveva l’IsoSpeed, ovvero il dissipatore che permetteva alla bicicletta di essere più confortevole della media delle bici aero, ma anche di garantire stabilità e trazione ottimali su fondi sconnessi. Qui invece abbiamo una bici che sfrutta la zona del nodo sella, il piantone ed i foderi obliqui per aumentare l’efficienza aerodinamica, sacrificando in parte il comfort, ma non la stabilità.

Anzi, la nuova Trek Madone ha una stabilità da primato e una reattività del tutto accostabile ad una bicicletta molto più leggera. L’Iso Flow non prevede nessun inserimento meccanico smorzante.

Reggisella diverso…

Il profilato che parte dall’orizzontale e sostiene la sella non è poi così diverso dal passato, con il reggisella vero e proprio che si innesta nel telaio. Efficiente il sistema che permette di variare l’angolazione della sella, senza che questa venga sganciata dal fermo.

Cambia la modalità di serraggio e dal lato pratico cambia anche la performance di questa parte del telaio, proprio perché non c’è più l’IsoSpeed e per via di quella tubazioni che formano una sorta di traliccio. La bici è rigida e si sente.

Il cockpit un esempio di funzionalità e comfort
Il cockpit un esempio di funzionalità e comfort

Tubeless da 28, tanta roba

A nostro parere è la configurazione migliore, considerando una ruota medio-alta. Un buon tubeless da 28, gonfiato nel modo corretto permette di non disperdere nulla quando la strada sale, essere scorrevoli e attaccati al terreno quando si spinge nei tratti pianeggianti e di andare alla corda in discesa, piegando senza paura. E anche il comfort ne guadagna in differenti contesti stradali.

Riecco Cataldo e il suo lavoro di regista in corsa

04.01.2023
6 min
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Nei giorni del ritiro della Trek-Segafredo a Calpe, la settimana prima di Natale, avevamo raccontato dello scambio con Dario Cataldo sulle velocità del gruppo e il correre frenetico da un paio d’anni a questa parte. Riavvolgendo però il nastro, il viaggio con l’abruzzese prevedeva anche un excursus sul suo ruolo di regista in corsa: “road captain”, come dicono da quelle parti. Arrivato nella squadra di Guercilena al colpo di reni, Dario si è infatti fatto largo con la sua esperienza, firmando un rinnovo biennale fino al 2024.

«C’è stato da subito un ottimo approccio – spiega – il fatto di avere un team ben strutturato aiuta a lavorare meglio. Mi sono trovato a mio agio sin da subito. Potremmo definirlo un incontro di necessità. Io con l’esperienza di regista in corsa fatto in altre squadre, loro che avevano bisogno di una figura di questo tipo e quindi è andato tutto molto bene. Già dalle prime gare, almeno per i riscontri che ho avuto, i miei compagni sono stati contenti e quindi è stato un piacere ricevere questa proposta di rinnovo da parte di Luca. Conferma la fiducia che mi ha dato e io sono contento di averla ripagata».

Al suo primo anno in Trek, Cataldo ha scortato Ciccone al Giro d’Italia
Al suo primo anno in Trek, Cataldo ha scortato Ciccone al Giro d’Italia
Hai parlato di struttura. Tu hai cominciato con Liquigas, poi Quick Step, quindi Team Sky, Astana e Movistar. Ci sono dei requisiti perché una squadra sia definibile ben strutturata?

La parte fondamentale è legata alle persone che ci lavorano. E’ necessario che siano non solo professionali, ma che ci mettano impegno e passione per creare la giusta collaborazione. La struttura è relativa a chi la dirige dall’alto, al team manager che organizza il lavoro e assegna i compiti. E Luca Guercilena in questo è molto bravo. In una mega struttura come la Ineos, hanno una quantità di personale impressionante ed è facile dividere i compiti quando hai tantissime persone.

Facile rispetto a cosa?

Per qualunque compito, riesci a trovare la persona ad hoc. In una squadra come questa c’è tanto personale, però il giusto per quello che serve. Credo che Luca riesca ad organizzare molto bene tutte le risorse di questo team per farle rendere al meglio di quello che si può. E quando c’è l’impegno da parte di ognuno nel suo ruolo, anche noi atleti siamo stimolati a dare il massimo. Non hai scuse, devi dare il massimo per ripagare l’impegno che ci stanno mettendo anche gli altri.

Nel 2014 e 2014, Cataldo ha corso con Sky: qui con Froome all’Oman 2014 dopo la vittoria a Green Mountain
Cataldo ha corso con Sky: qui con Froome all’Oman 2014 dopo la vittoria a Green Mountain
Che lavoro fa il regista in corsa?

Il road captain, qui lo chiamiamo così, fondamentalmente è l’anello di congiunzione tra il corridore e il direttore sportivo, nel senso che fa il direttore in corsa. Quando ci sono decisioni veloci da prendere o bisogna gestire le piccole dinamiche che si creano all’interno del gruppo, che ovviamente un direttore sportivo dalle retrovie non riesce a vedere. Quindi, usando l’esperienza, uno con il mio ruolo dice come muoversi, sa gestire i tempi e i corridori. E intanto insegna il mestiere ai ragazzi più giovani.

Da solo o in comunicazione con il direttore sportivo?

Porti gli occhi del direttore in gruppo. Quindi bisogna comunicargli le informazioni ed è lui che prende le decisioni finali sulle tattiche di corsa. Ogni giorno si fa una strategia e il regista la gestisce. E se ci sono imprevisti, comunica alla radio e riceve le informazioni utili per la corsa. A volte ad esempio dal gruppo non vedi chi c’è nella fuga, altre volte non lo vede l’ammiraglia, perché radio corsa non è tempestiva…

Con il meccanico Adobati, ragionando sul nuovo manubrio Bontrager
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Sono punti di vista tanto diversi?

Quando si osserva cosa succede in gruppo, chi ha un’esperienza di anni fa valutazioni differenti. Sa come si muovono certi corridori o certi gruppi. Io stesso vedo un grosso cambio in me da quando ero più giovane, come vedevo il gruppo e come lo vedo adesso. Ci sono alcuni dettagli da cui riesco ad anticipare tante situazioni.

Il regista rinuncia alle proprie chance di vittoria oppure ha i suoi spazi?

Alla fine può anche capitare, però dipende dalle caratteristiche personali. Se analizzo la mia carriera, devo ammettere che la mia predisposizione per questo ruolo ce l’avevo sin dagli juniores. E’ vero che ho vinto un Giro d’Italia U23, ma non sono mancati segnali forti di una certa attitudine. In alcune situazioni dove sarei dovuto essere più egoista, non lo sono stato. Ne avrei avuto tranquillamente la possibilità, ma invece di cogliere l’occasione, ho optato per aiutare il corridore di riferimento.

Il primo team in cui Cataldo è spiccato come regista in corsa è stata l’Astana: più con Aru che con Nibali
Il primo team in cui Cataldo è spiccato come regista in corsa è stata l’Astana: più con Aru che con Nibali
La vittoria di un compagno ti ripagava?

In realtà, non sempre il compagno in questione riusciva a vincere e io avevo perso comunque la mia chance, ma non me ne sono mai fatto un problema. Comunque l’anno scorso mi sentivo tanto la responsabilità di questo ruolo, quindi mi ci sono buttato al 100 per cento. Da un certo punto di vista è un peccato non provare a fare qualcosa per me stesso, tanto che lo stesso Josu (Larrazabal, capo dei preparatori della Trek-Segafredo, ndr) mi ha detto che vuole tornare a vedere il Dario che, quando c’è il momento, approfitta dell’occasione.

Quindi si può fare?

Sarà una piccola sfida per me stesso. Rifare quello step indietro e non concentrarmi solo come road captain, ma provare a cogliere anche le occasioni che dovessero capitare (Cataldo ha vinto 7 corse da pro’, fra cui una tappa alla Vuelta, una al Giro e un tricolore crono, ndr). Non credo si possa dire che mi sia seduto in questo ruolo, perché comunque è un incarico di grossa responsabilità. Il fatto di cercare qualche occasione è paradossalmente più comodo. Se fai un’azione, parlano di te in televisione. Magari nei giorni prima hai fatto un lavoro ben più importante, ma non se ne è accorto nessuno…

Cataldo riprenderà a correre alla Vuelta San Juan: questa la sua Emonda da gara, messa a punto a Calpe
Cataldo riprenderà a correre alla Vuelta San Juan: questa la sua Emonda da gara, messa a punto a Calpe
Si parte dall’Argentina?

Alla Vuelta San Juan e poi ci sarà il Giro d’Italia, che parte dall’Abruzzo. E’ quasi obbligatorio!

Svolgi in squadra il ruolo che Bennati ha avuto per anni in squadra. Come va col nuovo cittì?

Abbiamo corso insieme un anno alla Liquigas e sono arrivato alla Movistar l’anno dopo che ha smesso. A Benna, come prima a Cassani, dico: «Se ti servo per la causa, io ci sono». Ma non mi va di andare in nazionale solo per dire che ho indossato la maglia azzurra. Che io venga convocato oppure escluso, non me la prendo sul lato personale. Indossare la maglia azzurra, soprattutto se ti impegni al massimo, resta l’onore più grande.

Classifiche addio, rivedremo il vero Ciccone?

18.12.2022
7 min
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Sono più cattivi i rivali o le maldicenze? Da un paio di stagioni, a Ciccone hanno attaccato varie etichette, bollandolo come uno che non è arrivato dove si sperava e che guadagna più di quanto valga. Nel farlo tuttavia, non hanno mai tenuto conto degli incidenti di percorso che il ragazzo ha incontrato e di quel privato familiare di cui per discrezione non si parla, ma scuote la vita di chiunque vi incappi. Così immaginiamo che al momento di pubblicare questo articolo, ci saranno quelli che neanche lo leggeranno e metteranno mano ai loro commenti e altri che invece andranno avanti nella lettura. Lo scriveremo per loro.

Il terzo gruppo in partenza: in precedenza sono andati i primi due. Fra le 9,30 e le 10 il parcheggio si svuota
Il terzo gruppo in partenza: in precedenza sono andati i primi due. Fra le 9,30 e le 10 il parcheggio si svuota

Il signore di Cogne

A Calpe stamattina il cielo era grigio, nella notte ha piovuto e le strade erano ancora bagnate. C’è di buono che fa caldo, per cui le bici al rientro erano ridotte come cenci, ma il lavoro è andato avanti lo stesso. Prima dell’allenamento, gli allenatori spiegavano il percorso e il modo di affrontarne le varie sezioni. I corridori della Trek-Segafredo sono così tanti, da uscire divisi in tre gruppi. I primi ad andare sono stati quelli che debutteranno al Tour Down Under e alla Vuelta San Juan, poi sono partiti gli altri. Quando Ciccone viene a sedersi, ha la faccia di chi ha appena finito il massaggio.

Il 2022 ha avuto 73 giorni di corsa, fatti di Giro e Tour. La vittoria di Cogne e il terzo posto sul Fedaia. Il secondo posto nella classifica dei Gpm al Giro e il terzo in quella a pois del Tour.

La vittoria di Cogne al Giro ha riportato in primo piano il “vecchio” Ciccone, garibaldino e sfrontato
La vittoria di Cogne al Giro ha riportato in primo piano il “vecchio” Ciccone, garibaldino e sfrontato
Si riparte, cosa ti aspetti?

In testa ho sicuramente la consapevolezza di essere ancora competitivo. E la certezza che bisogna lavorare di più. Il livello è altissimo, non si può lasciare più nulla al caso. Bisogna sempre rimanere concentrati e curare bene i minimi dettagli.

I rivali saltano fuori da tutte le parti…

Sono capitato nella peggiore generazione di tutte (sorride, ndr). Ci sono quei 3-4 fenomeni che hanno qualcosa in più e su loro vive il ciclismo di adesso. In parallelo continuano ad arrivare giovani molto forti, che però hanno ancora tutto da dimostrare.

Due chiacchiere prima di partire: la maglia 2023 della Trek-Segafredo è bianca e rossa davanti, rossa dietro
Due chiacchiere prima di partire: la maglia 2023 della Trek-Segafredo è bianca e rossa davanti, rossa dietro
Su cosa stai lavorando?

Ho smesso di fare troppi programmi e di avere troppi pensieri. Sto lavorando tanto sulla testa per tornare ad essere libero. A livello tecnico invece ci sono tanti aspetti che si possono migliorare. E’ quasi scontato parlare della crono, ma in generale è un cammino lungo, che è già iniziato. Ovvio, non posso dire che sono soddisfatto. Però ci sono state occasioni, come al Tour, in cui ho dimostrato che quando sto bene – togliamo dal mazzo i fenomeni – sono al livello degli altri scalatori. Quindi voglio incrementare ancora il lavoro e migliorare il più possibile.

Hai parlato di programmi e pensieri.

Voglio tornare ad essere libero, quello che è stato il carattere che mi ha sempre caratterizzato negli anni. Tornare quello che ero prima, perché forse negli ultimi due anni ho provato a restare un po’ più calmo. Però secondo me non si può cambiare la natura di un corridore e la mia è quella di attaccare, scattare, andare, partire. Quello è il mio punto forte e per quello voglio lavorare. Se la classifica verrà, sarà la conseguenza delle buone prestazioni.

Decimo sull’Alpe d’Huez e primo degli italiani: per Ciccone quel giorno 142 chilometri di fuga
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Possibile che la maglia gialla del 2019 ti abbia portato su una strada non tua?

Sì, perché poi anche nel Giro del 2021 c’è stato qualche segnale che ci ha indirizzato. Alla fine sono andato a casa per caduta a tre tappe da Milano, però ero intorno alla quinta posizione e non ero neanche partito per fare classifica. Non avevo curato nessun dettaglio e mi sono ritrovato lì. Quello è stato un altro segnale che ha aggiunto la pressione di provare. Lo stesso poi è capitato alla Vuelta. Nonostante ci fossero dei grandi nomi, ero nei primi 10. Poi c’è stata un’altra caduta non per colpa mia e anche lì sono andato a casa con niente in mano. Erano segnali che sia io sia la squadra abbiamo raccolto e abbiamo provato a lavorarci.

Sarà così anche quest’anno?

Non voglio pormi questo obiettivo, anche perché è un’arma a doppio taglio per tutti, per me in primis. Significa caricarsi di una pressione che non fa bene e porta a quello che è successo negli ultimi due anni. Ritrovarsi sotterrati prima da mille aspettative e poi da mille critiche. Le mie responsabilità me le prendo, ma ora voglio tornare il corridore che sono sempre stato. Quest’anno al Giro ci sono arrivato dopo il Covid e mille altri problemi. Sapevo che non potevo fare classifica e lo avevo anche detto. Però sono riuscito a vincere una bella tappa e quasi a fare il bis sul Fedaia (è arrivato 3° a 37″ da Covi, ndr). Le tappe sono alla mia portata e sto lavorando per quello.

Ciccone ha già una bella gamba: la preparazione è ripresa già da tre settimane
Ciccone ha già una bella gamba: la preparazione è ripresa già da tre settimane
E’ stato difficile tenere a freno l’istinto?

Ho seguito tanti consigli e mi sono automaticamente adattato. Non è stato difficile, ma non lo è stato nemmeno tornare a quello che ero prima. Dal momento in cui ho deciso che dovevo tornare a divertirmi, mi sono divertito. Ho svoltato dopo la batosta del Blockhaus. Sapevo che rischiavo di saltare ed è successo proprio a casa mia. Però la cosa che mi è piaciuta di più è stata la mia reazione. Il mondo sembrava essermi caduto addosso, invece la sera del giorno di riposo mi sono fatto una bella mangiata di arrosticini con gli amici più stretti, abbiamo tirato una linea e siamo ripartiti. La chiave principale per il prossimo anno è essere super competitivo, limare tutti i dettagli possibili, lavorare tanto, divertirmi e far divertire. E’ quello che ho sempre fatto.

Le critiche non mancano, ti aspettavi un percorso diverso per la tua carriera?

Me l’aspettavo con meno intoppi, ecco. A me non piace trovare scuse e quindi non voglio aggrapparmi a questo, ma di sicuro il primo anno nel WorldTour è andato molto bene. Il 2020 era iniziato ancora meglio, pensavo di essere arrivato a un livello che poteva essere la mia linea, invece sono arrivati i problemi. Sono stato il primo o uno dei primi corridori ad avere il Covid. Ho avuto paura, perché comunque ero stato male e non sapevo esattamente cosa fosse. Adesso quando ti arriva un tampone positivo, sai che sei limitato e soprattutto non puoi farci niente. Se ti capita in un periodo sbagliato, non puoi cambiare le cose e la mia sfortuna è arrivata nel periodo sbagliato.

La proposta di matrimonio ad Annabruna sul palco di Lorenzo ad agosto (foto Jova Beach Party)
La proposta di matrimonio ad Annabruna sul palco di Lorenzo ad agosto (foto Jova Beach Party)
Per il tipo di corridore che sei, perché non puntare soprattutto a Tirreno e classiche?

Il livello adesso è così alto che azzardarsi a dire qualcosa, ti porta a sbilanciarti. Ho sempre detto che a me piacciono la Freccia e la Liegi, due gare che quest’anno vorrei fare veramente bene. E bisognerà essere pronti a partire già dalla Tirreno. E anche questa in effetti potrebbe essere un bell’obiettivo.

Proposta di matrimonio al Jova Beach Party.

In realtà ci pensavo da prima. Il mio sogno era farla a Parigi, sul podio dei Campi Elisi, perché fino a 2-3 giorni dalla fine ero in lotta per la maglia a pois. Però ovviamente non ci sono riuscito e avevo rimandato tutto a una grande occasione. Siccome al Giro avevo avuto i contatti con Jova e sapevo che lui faceva questo concerto in Abruzzo, mi sono detto che quella poteva essere la grande occasione. Lui si è divertito ancora più di me, l’abbiamo organizzato insieme. Sto diventando grande, la prossima settimana farò 28 anni. E la testa a posto penso di averla già messa da un pezzo.