Una volta il Monte Zoncolan, arrivo della tappa con partenza da Cittadella, avrebbe fatto davvero paura, come la facevano le salite con punte di pendenza superiori al 20%. Le cose però sono un po’ cambiate, vuoi per l’evoluzione della tecnica (ossia i rapporti da utilizzare), vuoi anche per il diverso modo di interpretare i grandi Giri, vuoi soprattutto per il semplice trascorrere del tempo, come spiega Gilberto Simoni, due volte vincitore del Giro d’Italia
Il trentino è testimone di questo profondo cambiamento in atto: «Il fatto è che le pendenze più aspre non fanno più paura come ai miei tempi…».
Perché?
L’evoluzione tecnica è pesata molto: già quando correvo io iniziò a diffondersi la tripla, ma non era molto amata dai corridori. Il cambio vero c’è stato con l’avvento delle Compact e delle 12 velocità. Fino al 2005 si saliva sullo Zoncolan con 9 rapporti, mettevi davanti il 39 e dietro dal 25 in su. Ogni dente poteva risultare determinante, oggi sicuramente è un po’ più facile il lavoro dei corridori.
Un’immagine storica della grande tappa del 2003, con Pantani davanti a SimoniUn’immagine storica della grande tappa del 2003, con Pantani davanti a Simoni
Questo influisce psicologicamente nell’affrontare una salita simile al Giro d’Italia?
Sicuramente, puoi scegliere dal 32 al 39 davanti e anche dietro le possibilità sono molte, soprattutto per prendere il tuo passo e faticare di meno. Ricordo che quando salivamo e la benzina finiva, non riuscivi più a procedere di agilità e iniziavi a zigzagare. Erano però momenti di grande fascino, cercavi di supplire con lo stato d’animo alle forze che mancavano, mettevi tutto te stesso.
Oggi non è così?
La fatica è sempre fatica, questo è chiaro, è uguale per tutti, solo che salite del genere influiscono meno. All’arrivo penso che vedremo una decina di corridori con distacchi inferiori al minuto, questo fa capire che non siamo più di fronte a salite decisive come prima. Una salita così dura farebbe più male in mezzo alla tappa, se qualcuno decide di attaccare e di rendere la frazione selettiva ancor prima della salita finale. Si rischia di andare fuori soglia e quando avviene a grande distanza dal traguardo accumuli minuti.
In una tappa simile è questione solo di gambe o anche di strategia?
La strategia conta tantissimo, diciamo anzi che ormai corse del genere sono affrontate ragionandoci sopra con ampio anticipo, non si agisce più d’istinto. Di una cosa però sono sicuro: lo spettacolo non mancherà, una tappa simile è sempre incerta e affascinante, dal difficilissimo pronostico.
Bernal cede, Caruso li lascia andare. Entrambi corrono in difesa e si ritrovano insieme sull'ultima salita. Nasce un patto non scritto. Yates nemico comune
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Mentre Nizzolo veniva scortato verso il palco, nel marasma dopo l’arrivo i suoi compagni del Team Qhubeka-Assos si abbracciavano con uno slancio raro a vedersi. La squadra aveva già vinto due giorni fa la tappa di Montalcino con Schmid e la volata con il milanese ha prolungato il momento pazzesco per un team rinato dal poco, che nei giorni scorsi aveva perso con Pozzovivo l’uomo per la classifica. Mentre raccontava il finale ai colleghi belgi, Campenaerts è parso commuoversi. Quando lo raccontiamo a Giacomo, anche lui ha il groppo in gola.
La pelle d’oca
«Mi viene la pelle d’oca – dice – adesso che hai menzionato questa cosa. Ho sentito attorno una fiducia estrema e questa cosa mi ha dato tantissima motivazione nei giorni scorsi. Probabilmente abbiamo sbagliato qualcosa, ma sentivo grandissima fiducia da parte loro. Tutti erano concentrati nei minimi dettagli, per portarmi al meglio negli ultimi metri. E devo dire che li ringrazio tantissimo perché oltre all’aspetto fisico, anche dal punto di vista mentale mi hanno dato tantissima fiducia. E spero si possano godere questa vittoria».
Victor Campenaerts dopo l’arrivo era davvero contentissimoVictor Campenaerts dopo l’arrivo era davvero contentissimo
Lampi negli occhi
Il racconto ha perso forse lo slancio della grande emozione e Nizzolo sembra molto controllato nei suoi slanci. Nei giorni scorsi avevamo raccontato del suo casco e della sua bicicletta, ma questa volta è diverso. Però nel lampeggiare degli occhi sopra il bordo della mascherina, si capisce che la vittoria ha messo a posto tutti i tasselli. Arrivare secondo magari non peserà tanto, ma di certo un po’ fastidio lo dà.
E’ una lettura giusta?
La vittoria mette in ordine tutti i pezzi, dà un senso al cammino fatto finora. Averla vinta chiude il cerchio di tutto quello che c’è stato prima.
Sull’arrivo con il fiato corto e l’emozione: prima vittoria al GiroSull’arrivo con il fiato corto e l’emozione: prima vittoria al Giro
Già una volta prima di oggi avevi esultato, invece la vittoria ti fu portata via…
Se parlate di Torino nel 2016, la sentivo mia, ma la valutazione dei giudici è stata diversa (Giacomo tagliò per primo il traguardo, ma venne declassato per aver chiuso Modolo alle transenne, ndr). Ci sono state parecchie occasioni in cui ho sentito di poter vincere eppure ho sbagliato qualcosa nel finale. Però sapevo di avere il potenziale di poter vincere una tappa al Giro. Oggi non ero particolarmente teso, mi sono concentrato sulla mia volata. Poteva essere oggi, come un altro giorno
L’allungo di Affini ti ha offerto un riferimento?
Il mio obiettivo di oggi era riuscire a esprimere il mio potenziale senza rimanere chiuso. In realtà questo finale era quello che meno mi piaceva, per la strada larga e dritta, mentre io preferisco gli arrivi tecnici. Ho preso come riferimento prima Gaviria e poi Affini, che mi ha dato un punto di riferimento e che ha fatto una sparata davvero notevole. Il mio obiettivo era non rimanere chiuso. Ho preso probabilmente un po’ troppa aria, ma è andata bene così.
I compagni lo hanno abbracciato e hanno festeggiato con rara commozioneI compagni lo hanno abbracciato e hanno festeggiato con rara commozione
C’erano tutti i tiuoi tifosi, ma questa volta non c’era tuo padre…
E’ vero, il mio fan club è un insieme di amici e parenti che mi seguono ogni volta che possono. Oggi mancava mio papà Franco perché ha subìto un’operazione pochi giorni fa, niente di grave, ma è ancora in ospedale. Una menzione speciale va a lui, spero di avergli dato un motivo per sorridere.
E alla fine è arrivata anche la tappa al Giro.
Perché non avessi mai vinto è una bella domanda, alla quale non saprei dare una risposta. In volata non è mai semplice trovare la quadra. Il mio motto è fare il meglio, se taglio il traguardo sapendo di aver fatto il massimo, allora non ho rimpianti. Oggi per vincere ho rischiato di perdere, perché mi sono esposto al vento molto presto e mi è andata bene.
I tifosi erano con lui, mancava solo suo padre FrancoI tifosi erano con lui, mancava solo suo padre Franco
Si può dire che ora il grande obiettivo di stagione, soprattutto dopo il secondo posto alla Gand, sia il mondiale nelle Fiandre?
Ho assolutamente la motivazione di farmi trovare nelle migliori condizioni possibili nel periodo del mondiale. Farò un programma di avvicinamento adatto a questo. Ho visionato il percorso, mi piace molto, però devo farmi trovare al top della condizione per farmi trovare competitivo ai mondiali.
Cassani, che continua a sfilare accanto a loro da giorni e per tutto il giorno, avrà certamente annotato il suo nome. Fece di Giacomo il leader per i mondiali del 2016 a Doha, quando era ancora un ragazzo di 27 anni, pieno di promesse, ma molto meno solido di adesso. Un posticino per lui nel personale elenco degli azzurri, probabilmente a prescindere da questa vittoria, crediamo fosse già stato previsto. Diciamo che ora probabilmente potrebbe essere un posto più comodo.
Davide Cimolai diventerà padre. Per questo la sua sfida sarà vincere e dedicarle i fiori alla sua compagna. E' il sogno di “Cimo” alla vigilia del Giro
L’unico sterrato che finora abbia mai respinto Egan Bernal, ricorda Giovanni Ellena, è quello che si trovò sotto le ruote con la bicicletta da cronometro in un giorno del 2016.
«Mi telefonò da un punto sperduto a 10 chilometri da casa – ricorda il direttore sportivo piemontese della Androni – dicendomi che non riusciva più a tornare a casa. In effetti aveva imboccato una strada che di colpo era diventata sterrata e che non lo avrebbe mai ricondotto all’hotel in cui viveva. Così andai a riprenderlo con la Peugeot di mia figlia. Non ricordo perché non avessi l’ammiraglia, ma ricordo benissimo il percorso di ritorno con quella macchina così piccola e la bicicletta da cronometro caricata dentro».
Nei mesi alla Androni Giocattoli, Egan ha vissuto a lungo in PIemonteNei mesi alla Androni Giocattoli, Egan ha vissuto a lungo in PIemonte
Il sorriso giusto
Negli ultimi mesi secondo Ellena qualcosa è cambiato. Aveva incontrato il suo ex corridore nei giorni del Trofeo Laigueglia, quando aveva approfittato del passaggio in Italia per visionare qualche tappa del Giro, e lo aveva trovato teso e incupito. Adesso invece è evidente che Egan abbia ritrovato la voglia di divertirsi, il sorriso giusto e soprattutto stia finora tenendo a bada il mal di schiena.
«Nei giorni scorsi – prosegue Ellena – è venuto qualche volta all’ammiraglia per parlare scambiare qualche battuta. Ci siamo anche scritti dei messaggi. Io credo che aver corso a marzo la Strade Bianche gli abbia dato la fiducia per fare quella tappa verso Montalcino, avendo per di più accanto una squadra così forte che gli ha permesso di gestire a proprio piacimento la tattica. Ha la faccia di quando finalmente può fare le cose a suo modo e si ha la sensazione che si stia davvero divertendo».
La coppia colombiana, Bernal-Sosa, ora entrambi alla IneosLa coppia colombiana, Bernal-Sosa, ora entrambi alla Ineos
Istinto da biker
Neppure Ellena si è troppo meravigliato dell’ottimo comportamento del colombiano prima sullo strappo di Campo Felice e poi sugli sterrati toscani.
«Non dimentichiamoci – dice – che viene dalla mountain bike. Ha partecipato anche ai mondiali e non solo per onor di firma, ma prendendo medaglie. Al punto che quando arrivò da noi, mantenemmo per lui una posizione più alta e vicina a quella della bici da fuoristrada. Soltanto dopo il Lombardia del 2016, che lui non corse a causa della caduta al Beghelli, lo portammo da un biomeccanico e passò definitivamente alla posizione da strada, abbassandosi di quasi 2 centimetri nella parte anteriore».
Il colombiano è di ottimo umore: si vede anche dal modo di correreIl colombiano è di ottimo umore: si vede anche dal modo di correre
Quella tacchetta
La biomeccanica è un pallino di Giovanni Ellena, così anche lui sentendo parlare di mal di schiena e degli spessoriche il colombiano ha sotto la scarpa destra, ha un po’ storto il naso.
«Volendo essere puristi – dice – qualche appunto si potrebbe fare. Però la sensazione è che per ora le cose funzionino e, se sta bene lui, sta bene anche a noi. E’ nuovamente un piacere vederlo correre e credo anche che per lui si possa tirare fuori la definizione di fuoriclasse. A ben vedere, è un corridore che può vincere i tre grandi Giri e anche classiche dure come la Liegi. A questo si aggiunga la sua grande intelligenza. Aveva sempre detto di voler correre la Strade Bianche, ma sono certo che in quel giorno di marzo mentre pedalava verso il podio, si è reso conto che quel percorso gli sarebbe andato bene anche al Giro d’Italia. E per lo stesso motivo, fatte tutte le proporzioni, a marzo ci abbiamo portato anche Cepeda. Finì fuori tempo massimo, ma almeno l’altro giorno a Montalcino si è salvato alla grande».
Sul Giau si è spenta la luce e Remco Evenepoel si è ritrovato a pedalare nel buio. Passivo di 24'05" e una lezione molto aspra da cui uscirà anche più forte
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Il corridore italiano più famoso nel ciclismo contemporaneo è da oltre un anno il testimonial ideale di Dorelan ReActive: Vincenzo Nibali ha stretto un accordo biennale con l’azienda romagnola. Una scelta legata alla volontà di dimostrare che anche il sonno notturno è un elemento importante nella performance di un atleta e quindi è necessario dotarsi degli strumenti di maggior qualità disponibili sul mercato.
Il campione della Trek-Segafredo, arrivato al Giro d’Italia attraverso vie più tortuose di quanto preventivato considerando il recente infortunio al polso, nella sua ripresa ha sfruttato anche le possibilità derivategli dall’utilizzo di prodotti Dorelan ReActive come materassi e cuscini uguali a quelli di casa e posti in ogni camera d’albergo della squadra lungo il percorso della corsa rosa.
Quanto è importante nella prestazione di un corridore in un grande Giro avere un buon riposo notturno e quindi strumenti di qualità come materassi e cuscini?
Conta tantissimo. Per un corridore che guarda alla classifica generale è direi essenziale. Nell’economia di una corsa di tre settimane, bisogna risparmiare ogni energia. Ma soprattutto bisogna recuperarne il più possibile nell’arco di tempo che intercorre fra quando tagli il traguardo e ti rimetti in linea di partenza. Materassi e cuscini sono “accessori” che fanno la differenza. Non ho mai avuto grandi problemi a dormire e riposare in carriera, ma da quando ho potuto apprezzare la qualità di certi prodotti, il mio riposo ne ha giovato.
Le incombenze quotidiane sono a scapito del riposo, per questo poi bisogna recuperareLe incombenze quotidiane sono a scapito del riposo, per questo poi bisogna recuperare
Nella tua esperienza hai trovato grandi differenze nelle sistemazioni in albergo fra l’Italia e gli altri Paesi europei, sempre in relazione ai grandi Giri?
Ad inizio carriera sì, specialmente quando alloggiavo in hotel piccoli, a conduzione familiare. Ogni Paese ha i suoi “gusti”, per così dire. Negli ultimi anni le sistemazioni sono cambiate, siamo alloggiati molto spesso in hotel internazionali, con standard comuni tra Paesi. Quando posso, però, io cerco di mantenere sempre i miei standard di riposo con i miei accessori preferiti.
Quando è iniziata la tua collaborazione con Dorelan ReActive e che cosa hai apprezzato in particolare?
La qualità, senza dubbio. Dorelan mi ha fatto comprendere la differenza tra un buon riposo e un riposo eccellente. E non a parole, ma con i fatti. Da quel momento ho dotato casa mia solo di prodotti Dorelan ReActive per il riposo.
Tutta la parte extra corsa per un capitano che punta alla classifica, ossia gli impegni di fine tappa con i media, i trasferimenti verso l’hotel, le tempistiche legate a massaggi e cena che chiaramente riducono il tempo dedicato al riposo, quanto influiscono secondo te sulla prestazione?
Senza dubbio sono aspetti a cui non puoi fare a meno ma che bisogna imparare a gestire, altrimenti rischi di pagarli caro nell’arco delle tre settimane. Ogni momento che si intervalla, deve essere dedicato al recupero. Alimentarsi, idratarsi, evitare di stare in piedi e poi, nel trasferimento all’hotel, bisogna riuscire a dormire. Gli impegni ci sono, ma vanno ridotti al minimo indispensabile per dare spazio al riposo.
Victor Lafay vince a Guardia Sanframondi, dopo un giorno in fuga e un solo scatto nel finale. Parla di lui il suo diesse Damiani. Una tattica ben congegnata
Simon Yates s scuote e prende a schiaffi il gruppo dei migliori. Cede anche Bernal, che preferisce controllare. Per il britannico torna per ora il podio
Con poco meno di due minuti subiti ieri e la classifica che lo vede ora 8° a 2’24” da Bernal, Ciccone osserva la classifica con lo sguardo apparentemente disinteressato di chi lotterà un giorno per volta. Guercilena lo ha chiarito e a Giulio sta bene così. E’ il suo mantra, forse il modo di non risentire delle tensioni. La sua indole di attaccante infatti rende difficile restare a ruota dell’avversario e probabilmente l’abruzzese trova più difficile centellinare le energie che sparare tutto in attacchi spettacolari. Roberto Reverberi, con cui Ciccone è passato professionista e da cui ha imparato il mestiere, lo ha capito osservandolo e ripensando al ragazzino pelle e ossa che nel 2016 scortò alla vittoria di Sestola al suo primo Giro d’Italia (foto di apertura).
«Che possa vincere, secondo me no – dice – ma può essere da podio. Ieri è stata una corsa un po’ particolare. C’era tensione. Se uno non è tanto pratico su strade così, ha un sacco di tensione, paura di cadere e di rimanere dietro. Però in condizioni normali, il Giro è ancora lungo. Può tranquillamente arrivare sul podio. La giornata storta ci sta. Non la vedo così grave, ne voleranno di minuti ad andare alla fine… E’ più facile che i distacchi pesanti li prendano altri, piuttosto che lui».
Il passo falso di Montalcino è un incidente di percorso: il Giro è ancora lunghissimoIl passo falso di Montalcino è un incidente di percorso: il Giro è ancora lunghissimo
D’altra parte nella terza settimana ha già fatto vedere di starci comodo…
Se andate a guardare due anni fa (lasciate stare l’anno scorso che è stato strano e poi ha avuto il covid), corse per la maglia dei Gpm ed andò forte. Nella terza settimana, nella penultima tappa a Monte Avena è stato in fuga per due volte e due volte lo hanno ripreso. E quando sotto l’ultima salita gli sono arrivati addosso i primi della classifica, è rimasto con loro ed è arrivato terzo. Se avesse fatto classifica, si è capito che sarebbe arrivato quarto o quinto già due anni fa. Adesso magari gli hanno dato i gradi di capitano, perché hanno visto che Nibali non va tanto bene, però secondo me nella terza settimana può andar forte.
Possibile che la vera fatica sia dosare le energie?
Secondo me soffre a stare a ruota. Gliel’ho detto anche io, l’altro giorno: «Stai lì, stai buono non ti muovere. Non avere la pressione di far classifica, hanno portato Nibali per quello. Dovrà essere lui a sentire la pressione. Poi quello che viene, viene. Se anche arrivi 10°-12°, non sei partito per quello. Che pressione puoi avere?». Invece lui risponde che adesso le pressioni si cominciano a sentire… Secondo me, se corre tranquillo, senza scattare, si accorgerà che ogni giorno ne salterà qualcuno. Nella terza settimana, Cicco può fare la differenza.
E’ difficile fargli accettare un modo di correre così freddo?
A lui piace andare all’attacco, perché sa che potrebbe vincere. Stare lì fermo gli costa. Ma finché non ha 6-7-8 minuti, non lo lasciano andare. Deve puntare a muoversi nei finali, chissà se l’ha capito. Lo sanno che è pericoloso, che se si avvicina la maglia, può far qualcosa sulle salite vere.
Al Giro del 2019, terzo il penultimo giorno a Monte Avena dopo due fugheAl Giro del 2019, terzo il penultimo giorno a Monte Avena dopo due fughe
L’esempio di Nibali può aiutarlo.
Nibali sa come si corre, so che gli ha già detto più volte di stare tranquillo, ma quando uno ha l’indole dell’attaccante, è dura tenerlo a bada. Giulio fatica più a stare fermo che ad attaccare, sapendo com’è. Se viene l’ultima settimana e la gamba sta bene, poi può anche muoversi. Conta la testa, non puoi rischiare di saltare. Il ciclismo moderno è così, una volta facevano magari anche attacchi da lontano, adesso si aspetta l’ultima salita e nemmeno troppo lontano dall’arrivo per non rischiare di perdere il secondo, il terzo, il quarto posto…
Un bel cambio di mentalità, in effetti…
E’ uno che vincere non gli fa mica schifo! E’ uno che cerca di dare il massimo, è meticoloso nelle cose che fa. Però è evidente che devi cambiare se vuoi fare l’uomo di classifica in un grande Giro. Se attacchi oggi, domani rischi di lasciarci e penne. Ma d’altra parte è l’unico che in Italia può arrivare nei primi cinque. E per adesso la situazione è questa qui.
Giuseppe Di Fresco è il tecnico (pure lui siciliano) che nel 2004 accolse Caruso in Toscana. Il suo ricordo. Le prime vittorie. E un Giro che poteva vincere
La tappa del Giro da Siena a Bagno di Romagna non è come tutte le altre, non può esserlo. Stiamo parlando di un tributo a due personaggi che hanno fatto la storia del ciclismo, ma che per molti versi sono stati parte integrante del Paese a prescindere dalla loro attività. Gino Bartali è un’icona assoluta, corridore che ha riempito le pagine dei giornali prima e dopo la guerra, protagonista con Coppi di quello che probabilmente è stato il più grande dualismo della storia dello sport.
Alfredo Martini, che con Bartali correva, ha poi influito in maniera decisa nel corso degli anni sul mondo del ciclismo con la sua saggezza, ricoprendo per molte stagioni il ruolo di Commissario tecnico della nazionale, ruolo che ora è sulle spalle di quello che molti considerano il suo erede designato, Davide Cassani: «Per me è la più grande delle gratificazioni essere avvicinato a lui, è il personaggio al quale mi ispiro».
Che cosa hanno significato questi due nomi?
Sono la storia del ciclismo tutto, questa tappa rappresenta un tuffo nel passato del quale c’è sempre bisogno. E’ un doveroso riconoscimento verso chi ha dato tantissimo al nostro sport non solo con le vittorie o con le corse, ma per il modo di porsi.
Gino Bartali insieme a Eugeni Berzin: era il Giro 1994, vinto proprio dal russoGino Bartali insieme a Eugeni Berzin: era il Giro 1994, vinto proprio dal russo
Che ricordo hai di Bartali?
Quando correvo era presente molto spesso alle nostre corse ed era entusiasmante vedere quanto la gente lo amava. Si fermava spesso a parlare con noi corridori, ci conosceva tutti, era molto piacevole scambiare battute con lui. Aveva un carisma enorme, eppure non lo faceva pesare e neanche ti accorgevi che stavi parlando con un pezzo di storia d’Italia.
E se parliamo di Martini?
E’ il Maestro. Una persona dalla straordinaria cultura e non parlo solo di ciclismo perché aveva la saggezza tipica dell’uomo che ha vissuto tanto, profondamente, che aveva studiato alla scuola della vita. Aveva una conoscenza straordinaria delle persone. La mia più grande soddisfazione è essere stato indicato da lui per il ruolo che attualmente ricopro.
Sono personaggi attuali o testimonianze di un ciclismo passato?
Le epoche sono diverse, ma quella che non è minimamente cambiata è la fatica che si fa in bicicletta, allora come oggi. I loro esempi non ci lasceranno mai e dedicare loro una tappa è un doveroso omaggio perché se il Giro d’Italia è oggi quello che è lo deve anche a loro…
Alessandro Petacchi “legge” il percorso del Giro con gli occhi del velocista. Le tappe piatte sono noiose, le volate rischiose. Una salitella farebbe ordine
«Grazie a Gino mi è venuta voglia di correre in bicicletta. Alfredo è stato un amico vero oltre a un commissario tecnico straordinario». I ricordi di Roberto Poggiali – inossidabile ottantenne fiorentino, già campione italiano dilettanti nel 1962, poi corridore professionista e in seguito direttore sportivo – fanno rivivere due miti del ciclismo mondiale, ai quali è dedicata la 12a tappa del Giro, la Siena-Bagno di Romagna. La corsa transiterà nei paesi natali di Bartali e Martini, Ponte a Ema e Sesto Fiorentino.
Ottantenne in gran forma, ancora oggi Poggiali legatissimo alla biciclettaOttantenne in gran forma, ancora oggi Poggiali legatissimo alla bicicletta
«Vivevo sulle rive dell’Arno – ricorda Poggiali – in una zona con diversi distributori di benzina: uno di questi era a meno di 100 metri da casa mia. Un ragazzo di una decina d’anni più grande di me da bambino si era ammalato di poliomielite, aveva braccia fortissime, ma camminava male. Nel pomeriggio, finita la scuola, andavo spesso ad aiutarlo. Da lì passavano anche molti ciclisti degli anni Cinquanta, da Gastone Nencini a Guido Boni a Mario Baroni, e anche Gino Bartali. Sempre abbronzati, atletici, li ho conosciuti in quelle circostanze e così mi venne voglia di andare in bicicletta».
Tutto da rifare
E’ un fiume in piena, Poggiali: il segreto della sua memoria di ferro lo deve molto probabilmente alla sua passione per la bicicletta, che coltiva ancora oggi.
Martini vinse anche corse, ma fu soprattutto un grande gregarioMartini vinse anche corse, ma fu soprattutto un grande gregario
«Dopo 4-5 anni, quando da dilettante vincevo anche belle corse internazionali – prosegue – Bartali cominciò a seguirmi. Eravamo già negli anni Sessanta e lui doveva fare la squadra della San Pellegrino con Coppi: mi venne a vedere in tre o quattro occasioni».
I rapporti con Ginettaccio, però, si intensificarono al di fuori delle corse: «Ci incontravamo spesso alle serate e agli eventi legati al ciclismo (lui era sempre in mezzo) e il nostro rapporto si faceva sempre più stretto. Era spesso critico nei confronti del mondo del ciclismo, voleva alleviare le sofferenze dei corridori e accoglieva con favore le evoluzioni tecniche che stavano trasformando la bicicletta». Burbero, apparentemente duro, un campione nello sport e nella vita, Bartali è stato per decenni un simbolo di passione, onestà, dedizione, ben oltre il termine della sua carriera.
Gino Bartali è stato un modello di rettitudine e anche di fede cristianaGino Bartali è stato un modello di rettitudine e anche di fede cristiana
La scuola di Masi
Poggiali, a questo punto della chiacchierata, apre una finestra sul mondo della tecnologia al servizio del professionismo: «Gino Bartali si affidava a buoni maestri, come Gino Cinelli. I suoi telai, avveniristici per l’epoca, erano concepiti per aumentare la velocità e diminuire la fatica. Un altro innovatore era Faliero Masi, che con la sua piccola azienda artigianale costruiva una bicicletta al giorno». Un perfezionista, Masi, che studiava l’angolo più efficace per aumentare la forza propulsiva della pedalata: «Ma ti spiegava anche il perché: “Quando il contadino pigia il piede sulla zappa, non lo pigia mai in verticale, ma lo fa in modo tale che la zappa entri in obliquo nel terreno e allora bisogna pedalare in questa maniera”, diceva. Bartali e io, in quei momenti, eravamo tutt’orecchi».
Papa Alfredo
Il ricordo di Martini, che quest’anno avrebbe compiuto 100 anni, è più vivo e personale. L’incipit dice tutto: «Alfredo è stato un uomo che, se avesse fatto la carriera da ecclesiastico, sarebbe diventato Papa. Sapeva stare in tutti gli ambienti e nello sport è sempre riuscito a mettere le cose al posto giusto, nel momento giusto». Per Poggiali era impossibile non andarci d’accordo: «Umano, riusciva sempre a pianificare tutto e si assumeva sempre le sue responsabilità, non scaricando mai le colpe sui corridori».
La lezione di Martini ha formato generazioni di atleti e uomini: l’onestà prima di tuttoLa lezione di Martini ha formato generazioni di atleti e uomini: l’onestà prima di tutto
Un uomo retto
Roberto ha conosciuto bene Martini dal punto di vista professionale: «Oltre a convocarmi in alcuni campionati mondiali, nel 1973 è stato il mio tecnico alla Sammontana».
Un aneddoto privato, però, riassume con efficacia il rapporto tra i due toscani: «Un’estate eravamo al mare insieme – ricorda Poggiali – nello stesso stabilimento balneare. Andavo in macchina con lui, guidavo io: era il periodo delle prove per il mondiale. Bastavano poche parole per dirci tutto. Quando correvo bene, entrava lui: “Oh, oggi mi sei piaciuto Robertino”. Se la domenica successiva andavo più piano: “Eh, oggi saresti fuori”. Una volta ero dentro, una volta ero fuori. E poi si arrivò alla corsa decisiva, la sbagliai, non arrivai tra i primi e dunque quell’anno non mi convocò».
La scena successiva il mattino dopo, sotto l’ombrellone. Inizia Poggiali, risponde Martini.
«Elda dov’è?», era la moglie di Martini.
«Elda non c’è, è rimasta a casa».
«E perché?».
«Perché si vergogna, per l’amicizia che abbiamo. Mi ha fatto una parte perché ti ho lasciato fuori».
«Come? Posso andare un attimo a casa tua?».
Poggiali andò da Elda per chiarire e ricomporre l’amicizia scalfita da questioni professionali: «“Lui ha fatto la cosa giusta – le dissi – avresti dovuto vergognarti se mi avesse convocato senza che me lo fossi meritato. Dovresti essere orgogliosa di quello che ha fatto”. Lei si sciolse e ci abbracciammo».
L'attacco di Simon Yates ai 900 metri parla di fiducia. Il vincitore del Tour of the Alps sta ritrovando smalto. Bernal lo ha capito e ha risposto forte
La 6ª tappa del Giro d'Italia ci ha fatto conoscere la grinta di Gino Mader, vincitore a San Giacomo, e ha consegnato la maglia rosa ad Attila Valter. E' stato il giorno dei ventagli di Ganna a Forca di Presta e dell'attacco di Ciccone con Bettiol. Doveva e poteva essere anche il giorno per raccontare agli italiani che nelle terre flagellate dal sisma del 2016 le cose stavano andando a posto. Purtroppo gli elicotteri non hanno inquadrato molto. Perciò, ecco quello che vi siete persi e che magari s'è preferito non mostrare. Sono passati 5 anni, valutate voi se si possa davvero parlare di ricostruzione. La foto dell'hotel Regina Giovanna di Borgo d'Arquata, così come le riprese aeree sono state gentilmente fornite da Francesco Riti. Il resto lo abbiamo semplicemente ripreso lungo il percorso.
«Passare là in mezzo – diceva Alessandro Amadio, massaggiatore della Cofidis, facendo il pieno alle porte di Ascoli Piceno durante la sesta tappa del Giro – fa sempre male al cuore».
Già, là in mezzo. Ma chi l’ha visto davvero, da casa, che cosa ci fosse là in mezzo? E De Marchi (foto di apertura di Francesco Riti) si è accorto di quei muri squarciati? Al maltempo, che ha certamente impedito di mostrare a dovere le bellezze dei Sibillini, si è aggiunta infatti la singolare coincidenza di immagini non mostrate, per quale motivo non si è ben capito (difficile che gli operatori non si siano accorti di nulla). Sta di fatto che già nella sera della sesta tappa del Giro d’Italia, quella vinta da Mader a San Giacomo, sui forum e sui social di chi ha vissuto e fatto le spese del terremoto del 2016 è iniziato un aspro tam tam per le immagini non mostrate.
Paesi fantasma
Che cosa non si sarebbe visto? La condizione disastrosa dei paesi rasi al suolo dal sisma e non ancora ricostruiti.
Il passaggio del Giro d’Italia è spesso l’occasione per raccontare la meraviglia dei luoghi, ma poteva essere l’occasione di sottolineare lo stato di persistente emergenza. Noi però c’eravamo, ed essendo originari di quelle stesse zone e avendole molto a cuore, come forse qualcuno saprà, abbiamo documentato con una piccola videocamera e con l’aiuto del drone di Francesco Riti i paesaggi attraverso cui si è mossa la tappa.
Per il passaggio del Giro, fumogeni da quel che resta di Arquata del Tronto
Dal centro di Pretare sono state portate via le macerie, resta solo un gran silenzio
Il senso dell’abbandono è palpabile
La corsa si è infilata in mezzo a quel che resta di paesi inesistenti
Dopo lo sgomento iniziale, chi passa e non conosce, neanche più guarda
La chiesa di Piedilama, in fondo si vede il cielo
Per il passaggio del Giro, fumogeni da quel che resta di Arquata del Tronto
Dal centro di Pretare sono state portate via le macerie, resta solo un gran silenzio
Il senso dell’abbandono è palpabile
La corsa si è infilata in mezzo a quel che resta di paesi inesistenti
Dopo lo sgomento iniziale, chi passa e non conosce, neanche più guarda
La chiesa di Piedilama, in fondo si vede il cielo
Il peso dell’indifferenza
Questo video, montato con grande sensibilità da Federica Paglia, serve per mostrare a chi non se ne sia reso pienamente conto in quale scenario si è mossa la corsa.
Alla partenza da L’Aquila, 12 anni dopo il terremoto del 2009, si è parlato molto di come la città sia rinata. Nelle zone dei Monti Sibillini ancora non si può neppure parlare di ricostruzione. In un modo o nell’altro il Giro d’Italia porti la voce di queste persone, che dopo la distruzione continuano a sperimentare l’indifferenza.
Alessandro De Marchi vince la Tre Valli Varesine, battendo Formolo in una volata a due. Torna alla vittoria dopo tre anni. Un po' di luce dopo l'incidente
Nei pronostici d’inizio Giro, la tappa da Perugia a Montalcino era considerata una delle grandi incognite per la classifica: inserire il percorso della Strade Bianche all’interno della Corsa Rosa poteva essere una variabile impazzita, in funzione della classifica. Ivan Basso, responsabile della Eolo Kometa, quei percorsi li conosce bene e ridimensiona un po’ l’attesa per l’evento: «Lo sterrato non è più una novità per il Giro e l’averla fatta più volte ha tolto un po’ quell’aura di incertezza che lo caratterizzava».
A tuo parere potrà ancora avere un peso importante sulla classifica?
Dipende quasi esclusivamente dal clima: con la pioggia è chiaro che sarà un’incognita e che potrà succedere di tutto, in caso di bel tempo non credo che influirà tantissimo. E’ chiaro che si tratta sempre di una frazione con salite, quindi qualcosa succederà, non credo che ci sarà un arrivo in volata…
Un’immagine dell’ultima Strade Bianche: in caso di pioggia la situazione sarà diversaUn’immagine dell’ultima Strade Bianche: in caso di pioggia la situazione sarà diversa
Si può paragonare il peso della Strade Bianche nel Giro con una frazione sul pavé al Tour?
No, c’è una differenza. Innanzitutto la tappa del pavé è di pianura e lì le incognite sono veramente create in maniera esclusiva dal terreno e dalle sue insidie. Da noi saranno le salite a influire, non il terreno. Inoltre c’è anche un discorso di predisposizione tecnica diversa, sul pavé devi saperci andare…
Come si affronta una tappa del genere?
Senza particolari tensioni – sentenzia Basso – sapendo che in condizioni normali è probabile che ci si marchi stretto. Magari qualche corridore andrà in difficoltà, ma dipenderà da situazioni pregresse. Io credo che per la tappa le squadre saranno pronte, non sarà una frazione decisiva, anche se qualcuno potrà pagare dazio.
A proposito di squadre, nell’affrontare una frazione simile bisogna avere accortezze particolari, diverse rispetto alle altre tappe?
Non particolarmente, salvo com’è logico per gli pneumatici. Si dovranno usare tubolari particolari e soprattutto pressioni diverse rispetto a quelle delle tappe su asfalto, ma sono soluzioni ormai chiare anche ai profani. Molto, come detto, dipenderà dal clima, in caso di pioggia diventerà una tappa difficilissima e allora sì che ci saranno sconquassi in classifica…