E Wout risponde con un colpo da campione. Siena è sua

18.05.2025
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SIENA – Si alza un coro. “Wout, Wout…” e lui si lascia andare a un urlo che quasi non gli appartiene. E forse è così perché quel Wout Van Aert da qualche ora non c’è più. E’ tornato il campione che tutti conosciamo. Poche ore fa avevamo titolato: Il Belgio sulle spine chiede ogni giorno di Van Aert. Ebbene, questa è stata la sua risposta.

A Siena va in scena una tappa da strip-tease tecnico e nervoso. Una frazione che potrebbe decidere addirittura il Giro d’Italia, una giornata che ha ricordato l’epica tappa del 2010, solo che al posto del fango stavolta c’era la polvere.

Bentornato Wout

Quante cose da raccontare, quanti spunti. Ma oggi la notizia è il ritorno alla vittoria di Wout Van Aert. Stamattina era stato tra gli ultimi ad accordarsi: era rientrato nella zona dei bus per un ultimo controllo.

Man mano che la corsa andava avanti, tra accelerate, cadute, attacchi, noie meccaniche, il gruppo si assottigliava. E lui c’era. E’ lì che si vede il campione: lo squalo che fiuta il sangue e poi azzanna la preda.

Infatti ha detto: «Ho cercato di crearmi situazioni favorevoli. Prima della tappa pensavo che avrei potuto vincere con una fuga da lontano. Non avrei immaginato che ci sarebbero stati dei team con voglia di controllare. Quando ho visto che non ero nella fuga, ho pensato di aver sprecato la mia occasione migliore per vincere».

«La Q36.5 ha continuato a lavorare, ha controllato la fuga. Dal secondo settore di sterrato la situazione si è fatta favorevole anche per me, perché c’erano ancora corridori in classifica interessati a fare ritmo e riprendere la fuga. Stavo bene, già dal primo settore. La dinamica è cambiata dopo la caduta: la Ineos Grenadiers (quella in cui sono rimasti coinvolti anche Pidcock e Roglic, ndr) ha approfittato del momento con tanti corridori davanti. E’ stato lì che ho iniziato a crederci».

Nel finale un duello tra titani: Del Toro e Van Aert. Il messicano sembrava più brillante
Nel finale un duello tra titani: Del Toro e Van Aert. Il messicano sembrava più brillante

Duello con Del Toro

La preda di cui parlavamo è molto più giovane di lui. Una preda che per un tratto è stata anche alleata. Isaac Del Toro, talento della UAE Emirates, ha tirato molto. Forse anche più del belga.

I due si sono parlati. Forse si sono accordati con il classico “tappa a me, maglia a te”. Ma a giudicare da come se le sono date nel finale, non sembrava proprio. Addirittura Van Aert nell’ultima curva, per essere sicuro di non farsi passare, è quasi finito sulle transenne per uscire alla massima velocità. Dettaglio che lui stesso ha rimarcato (e anche Del Toro lo ha notato). Se c’è stato un patto, sono stati due ottimi attori.

In realtà poi si è saputo che Wout gli ha detto che non poteva tirare troppo perché dietro c’era il suo leader: Simon Yates.

Intanto dietro era il caos totale. Ciccone che a tratti tirava. Ayuso che non stava fermo e cercava collaborazione. Roglic che inseguiva e Pellizzari che continuava a rientrare per aiutarlo. Bernal che si è rivisto a livelli siderali. Un sacco di carne al fuoco.

Fuori dal tunnel?

La cosa più bella è stato il suo crescendo. E probabilmente è proprio questo che anche a lui è piaciuto di più.

«Non sono ancora al top – ha detto il belga – ma va bene così. Sto crescendo… Sono cresciuto sia durante la tappa (ma quella è la testa, ndr) che durante questo Giro.

«Sono felicissimo, per me vuol dire tanto vincere al Giro e soprattutto tornare al successo dopo un periodo lungo e complicato. Ho studiato bene il finale, conosco bene la Strade Bianche e penso che l’esperienza in questa corsa, mi abbia aiutato. Sapevo che in quel punto, dopo lo strappo di Santa Caterina, sarebbe stato molto difficile superare qualcuno. Nel finale, probabilmente, se avessi avuto gambe migliori ci avrei provato».

All’arrivo c’era la sua famiglia. Anche i suoi bambini sembravano stralunati nel vedere il loro papà così euforico. Gli urli, poi lo sdraiarsi in terra. A riordinare le idee. L’adrenalina resta, ma i nervi crollano. Le forze vanno via, emerge la passione.

«Se sono fuori dal tunnel? Sì – poi ci pensa un attimo Wout – direi di sì. Insomma, una bella e grande domanda. Sono molto emozionato, ho tante cose che mi passano per la testa. Questo è un posto speciale, forse il più bello dove finire una corsa di bici. Una piazza così, con tifosi così vicini, quasi un’arena… Forse è una delle mie vittorie più belle.

«Oggi sono riuscito a entrare nel ristretto gruppo davanti e anche in quello di chi ha vinto in tutti i grandi Giri. Il mio obiettivo principale era vincere una tappa qui. Avrei voluto anche vestire la maglia rosa. Ci sono andato vicino, ma nei giorni successivi ho perso troppo tempo. Forse anche per questo questa vittoria vale ancora di più per me e per la squadra».

Il messicano e l’olandese sullo strappo di Santa Caterina. Guardate che grinta. Alla fine Wout ha vinto anche di esperienza
Il messicano e l’olandese sullo strappo di Santa Caterina. Guardate che grinta. Alla fine Wout ha vinto anche di esperienza

Un nuovo Giro

Da Siena inizia un nuovo Giro d’Italia per tanti: per Roglic, oggi sconfitto di giornata. Per la UAE Emirates. Per la Visma-Lease a Bike.

«Non abbiamo mai mollato – riprende Van Aert – ci siamo andati vicini più volte nelle tappe precedenti. Spero che questa vittoria possa cambiare il Giro anche per i miei compagni. Abbiamo corridori adatti a ogni terreno».

Intanto il suo addetto stampa gli porge il box con la pasta. Lui lo guarda affamato, ma è troppo gentile per mangiare durante la conferenza stampa. Altri lo fanno, credeteci!

«Sicuramente – conclude Van Aert – festeggeremo con una bella bottiglia di vino. Siamo in Toscana. Ho notato che siamo passati anche davanti alla cantina di Antinori, quindi stasera sarà il momento per celebrare. Come sapete, l’Italia è la mia Nazione preferita per le vacanze. E anche per andare in bici. Il Giro mi sta aiutando a scoprire nuove regioni e nuovi posti. Ieri mi è piaciuta molto la zona dove è finita la tappa. E’ davvero bello vincere qua».

Un po’ come ieri, con Ulissi, mentre venivamo via. Van Aert ci ha sorpassato tra i vicoli di Siena, tornati in mano ai turisti. C’era una salita per tornare ai bus. Mentre faceva lo slalom tra la gente, un cenno d’intesa e: «Uff, ancora salita!».

Il Belgio sulle spine chiede ogni giorno di Van Aert

18.05.2025
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Ogni giorno i giornalisti belgi vanno al pullman della Visma-Lease a Bike e chiedono a Marc Reef, che guida la squadra al Giro, come sta Van Aert. Lo racconta bene Het Nieuwsblad, il cui inviato Jan-Pieter de Vlieger annota che le risposte della squadra stanno lentamente cambiando di tono. Al via della tappa di Matera, Reef ha risposto: «Speriamo che Wout guarisca». Al via da Castel di Sangro, il responso è stato: «Wout sta migliorando un po’ ogni giorno».

I progressi sono visibili, tanto che a Napoli il belga si è ritrovato nell’ultimo chilometro a giocarsi la tappa con Plowright, in piena preparazione per lo sprint. Dal punto di vista tattico, può essere stato un errore, ma Van Aert era felice di avere ancora forza nelle gambe.

9ª tappa, la tappa di oggi: Gubbio-Siena di 181 km
9ª tappa, la tappa di oggi: Gubbio-Siena di 181 km

Il Van Aert del 2020

E’ opinione comune che una prima risposta attendibile sulle condizioni di Van Aert potrebbe arrivare oggi. La tappa Gubbio-Siena è una piccola Strade Bianche. I settori di sterrato sono soltanto cinque, ma i quasi 30 chilometri (di cui 26 concentrati in 34 chilometri di percorso) potrebbero rivelarsi un banco di prova severo e attendibile. L’arrivo a Piazza del Campo è lo stesso di marzo, con la salita di Santa Caterina.

Van Aert vinse su quelle strade nel 2020, con la condizione eccezionale che di lì a poco gli avrebbe permesso di vincere anche la Sanremo. E’ evidente che Wout non abbia la condizione di allora, ma l’assenza dei grandi specialisti potrebbe rendergli il compito meno gravoso.

Nel 2020 Van Aert vinse la Strade Bianche. Qui è con Fuglsang e Alaphilippe
Nel 2020 Van Aert vinse la Strade Bianche. Qui è con Fuglsang e Alaphilippe

Fra Yates e la fuga

Durante la preparazione del Giro, Wout ha svolto una ricognizione sul percorso della tappa. «E’ davvero difficile – ha affermato ieri – si tratta di una Strade Bianche a tutti gli effetti, non di una copia in miniatura come a volte si vede nei Grandi Giri. Mi sento meglio. Tagliacozzo è stata una tappa dura, ma l’ho superata bene. Ieri c’era tanto dislivello, tappa per veri scalatori. Ho sperato di tenere nel finale vallonato e per questo avevo pensato a una fuga, ma non è andata come pensavo.

«E adesso non vedo l’ora di correre sugli sterrati. Ma con la mia forma attuale non posso concentrare tutto in una tappa specifica. Ecco perché voglio provare a lottare per la vittoria di tappa ogni volta che sarà possibile. So che la priorità della squadra è portare Simon Yates al traguardo senza problemi, ma io ho carta bianca per unirmi a una fuga».

L’attacco di Pidcock a Pogacar su Monte Sante Marie: un’immagine dell’ultima Strade Bianche
L’attacco di Pidcock a Pogacar su Monte Sante Marie: un’immagine dell’ultima Strade Bianche

Gli uomini di classifica

Sarà vero però che non ci saranno tra i piedi degli specialisti? E non è forse vero che negli ultimi anni la Strade Bianche si è trasformata in una corsa per scalatori, più che per esperti del fuoristrada? Ci sarà Vacek, che per certi versi somiglia a Van Aert, ma appare molto più in condizione. Ci sarà Pidcock, che a marzo si è arreso soltanto a Pogacar. E il suo allenatore Kurt Bogaerts è in sintonia con lo scetticismo sul ruolo che avrà Van Aert.

«Mads Pedersen con la sua forma attuale – ha detto al giornale belga – può essere della partita, ma per il resto vedo solo i corridori della classifica generale. Giulio Ciccone, Primoz Roglic, Juan Ayuso o Egan Bernal, che ha già ottenuto un quinto posto alla Strade Bianche. Lo si vede anche nelle tappe sul pavé del Tour, dove vengono alla ribalta anche gli uomini di classifica, che hanno il motore più potente. Van Aert potrebbe starci, ma credo che non sia ancora al massimo della forma. E’ normale non essere molto costanti dopo un incidente come quello della Vuelta. Credo che vedremo il Wout van Aert del passato solo nella seconda metà di quest’anno».

Quest’ultimo parere ha gelato l’entusiasmo dei media belgi. Che però stamattina ugualmente si sono presentati al pullman della Visma-Lease a Bike chiedendo a Reef qualche aggiornamento sulle condizioni del loro beniamino. Wout li ha abituati così bene, che è difficile credere nella sua vulnerabilità ed è sempre bello sperare che gli riesca un altro miracolo.

Il calore del “non fans club” di Pellizzari. Una storia da Giro

18.05.2025
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CASTELRAIMONDO – Quanto tifo ieri abbiamo visto lungo il tracciato per Giulio Pellizzari. Ma è così, quando c’è di mezzo l’enfant du pays… E’ il bello del ciclismo e del Giro d’Italia. Tanto calore anche per l’altro marchigiano in gruppo, Gianmarco Garofoli, ma lui è di Ancona e quanto calore ci fosse anche per lui già lo avevamo visto questo inverno, mentre queste maceratesi erano proprio le strade di Giulio.

La sua Camerino distava appena nove chilometri dall’arrivo. E’ qui che si allena ed è qui che ha iniziato a inseguire il sogno di diventare corridore. E oggi eccolo (di nuovo) al Giro d’Italia al fianco di un capitano importante, forse il più importante di tutta la corsa rosa.

Sandro Santacchi a capo del tifo per Pellizzari
Sandro Santacchi a capo del tifo per Pellizzari

Non chiamatelo fans club

Ma di questo tifo vi vogliamo raccontare tramite Sandro Santacchi, il coordinatore del “non fans club” di Giulio.

«Non vuole che si chiami fans club – spiega Santacchi – perché Giulio è particolarmente attento a quello che sono i fatti e non le parole. Mi spiego meglio: lui considera il fan club come un modo di porsi al mondo con troppa apparenza. Un po’ come se non se lo fosse ancora meritato… diciamo così.
Magari tanti suoi colleghi lo vorrebbero, ma lui non lo gradisce in modo ufficiale. Però noi gli andiamo dietro lo stesso, almeno dove è possibile!».

Messa così sembra che Pellizzari possa essere distante da loro, invece… fermi tutti, non è affatto così. Anzi.
«Oggi (ieri, ndr) quando è passato su Sassotetto ci ha guardato e ci ha fatto un sorriso grosso così. Ha visto questo gonfiabile di sei metri! Era contento… E noi con lui».

Sandro Santacchi è alla guida di un gruppo di amici, sostanzialmente come ce ne sono tanti nei paesi d’Italia. E guida questo gruppo sotto le insegne della sua società ciclistica la Frecce Azzurre di Camerino.

Griglia e ciclismo

Ieri su Sassotetto erano in tanti. Gli amici del paese, uniti dalla passione per la bici e l’amore per Pellizzari che hanno visto crescere. Il gonfiabile sì, gli striscioni anche… ma pure carne alla brace e vino.

«Siamo tornati giù da poco. Ci siamo divertiti. Perché siamo tutti innamorati di lui? Perché è una gran bella persona, in tutte le sue sfaccettature… E’ sempre sorridente, è sempre disponibile con tutti e allo stesso tempo è concentratissimo sui suoi obiettivi. E’ un professionista esemplare. Non lascia niente al caso. Ma quando poi monta in bici ha una cattiveria… E’ bestiale».

«Io, e non solo io, mi sono avvicinato a lui, prima di tutto perché c’è un bel rapporto con la sua speciale famiglia. Perché se Giulio è così è perché ha la fortuna di avere una famiglia stupenda. Abbiamo iniziato a seguirlo dalle sue gare juniores, noi tutti siamo appassionati di ciclismo. Era un piacere vedere pedalare questo ragazzino e si intravedeva subito che la stoffa c’era. E da lì, man mano, è nato tutto».

Qualcuno si aspettava che la Red Bull-Bora gli lasciasse spazio… ma la maglia rosa di Roglic è troppo importante
Qualcuno si aspettava che la Red Bull-Bora gli lasciasse spazio… ma la maglia rosa di Roglic è troppo importante

Tifo competente

Prima, quando vi abbiamo detto che Santacchi è uomo di ciclismo, intendevamo nel vero senso della parola. Ha anche un certo occhio tecnico.

«Le doti di Giulio in bici le stiamo vedendo – racconta Santacchi – e ancora non abbiamo visto tutto, perché Giulio è in crescita. Ha già fatto un bello step dall’anno scorso. In tal senso mi ha molto colpito la cronometro che ha fatto a Tirana. Fino all’anno scorso non aveva mai preparato bene questa disciplina e quest’anno, stando in una squadra dove si cura di più, è andato subito bene».

La cosa bella è anche il rispetto verso l’atleta: non c’è invadenza. Il tifo vero è “senza nulla a pretendere”. Non pensiamo solo al “non fans club” di Pellizzari, ma in generale alle tantissime persone che lungo la strada scrivono un foglio, uno striscione o fanno scritte sull’asfalto. Il tifoso applaude quando passa il gruppo, applaude più forte quando passa il suo beniamino. In questo caso il ragazzo in corsa, dell’enfant du pays, diventa l’orgoglio di una terra.

«Se l’avevamo sentito prima della tappa di ieri? Vi dico questa – conclude Santacchi – ci siamo ripromessi che con l’inizio del Giro, Giulio avrebbe “staccato” il telefono. Era arrivato al punto che ogni sera aveva 400 messaggi e lui è tipo da rispondere a tutti! Quindi ha preferito fare così per non intaccare la sua concentrazione. Però sapeva che lo aspettavamo. Erano giorni che ci lavoravamo per farlo contento… e perché piaceva anche a noi. Anche perché non so quante altre volte potrà capitare che il Giro passerà dalle nostre parti con Pellizzari è protagonista. Bisognerà attendere altre congiunzioni astrali! Intanto ci siamo goduti questa».

Plapp vince, Ulissi bacia la rosa. Emozioni a non finire

17.05.2025
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CASTELRAIMONDO – Continuava a voltarsi indietro. Silenzioso. Uno sguardo al cronometro, un sorso della bevanda per il recupero, un altro sguardo al cronometro. Silenzio. «Quanto avevo di distacco, ditemelo». Ancora silenzio. Poi un urlo… Forte, di gioia. Diego Ulissi è la nuova maglia rosa del Giro d’Italia.

La tappa va a Luke Plapp, cronoman che, appena rimasto da solo, si è capito subito che non lo avrebbero più ripreso. Secondo Andrea Vendrame, uno dei protagonisti della fuga, Plapp è stato bravissimo: «Si vedeva nettamente che era quello che ne aveva di più. E’ andato forte, forte per davvero. Io ci ho provato. Ho dato una mano a Fortunato, che è un grande amico, per i punti della maglia. Spero mi ricambierà».

Plapp, De Marchi, il destino…

Certo, la maglia rosa sulle spalle di un italiano mancava da quattro Giri e quasi 90 tappe. L’ultimo a portarla è stato Alessandro De Marchi, compagno di squadra proprio di Plapp alla Jayco-AlUla. Magari con la sua azione l’australiano ha costretto gli altri a tirare forte e ha aiutato, indirettamente, Ulissi a prenderla. Chissà. Ci piace pensare che ci sia un piccolo zampino anche di De Marchi, che qui al Giro non c’è: tagliato fuori dalla squadra all’ultimo minuto.

«Questa mattina – racconta Plapp – l’obiettivo era andare in fuga e pensavo potesse essere una tappa perfetta per me. Dopo la caduta nella crono di Tirana ho faticato un po’, mi fa ancora male il polso, ma la squadra ha sempre creduto in me. Nel finale ho avuto crampi alla gamba sinistra ma ho deciso di spingere. Questa vittoria la voglio dedicare a tutti. Per me è importante vincere con questo team: volevo portare in giro la cultura australiana nel mondo. Era il team che desideravo sin da bambino».

«De Marchi? E’ stato con noi l’anno scorso qui al Giro ed è stato bello viverlo con lui. E’ un corridore di grande esperienza. Ho saputo che non avrebbe fatto il Giro quando lo avete saputo voi. Che dire? Avrà la possibilità di essere al Tour o alla Vuelta. Spero di tornare a correre presto con lui».

Luke Plapp si prende Castelraimondo dopo un assolo di 45 km
Luke Plapp si prende Castelraimondo dopo un assolo di 45 km

E’ festa XDS

La festa esplode nel clan della XDS-Astana. Sappiamo le difficoltà che stanno attraversando: i punteggi, la rivoluzione in corso all’interno del team. E questa maglia rosa è un premio per tutti.
E’ stato bellissimo, per esempio, vedere come Lorenzo Fortunato, appena arrivato al traguardo, sia subito andato da Ulissi per chiedergli se l’avesse presa.

Un grande abbraccio glielo ha dato anche Fausto Masnada. «E’ stata una tappa molto difficile – racconta Masnada con un sorriso largo – Strano a dirsi, ma questa mattina sul bus, durante la riunione, avevamo deciso che Fortunato e Ulissi dovevano entrare nella fuga e tutti abbiamo lavorato perché ci riuscissero. E credetemi, non è stato affatto facile, perché per due ore siamo andati a velocità folli. Però una volta entrati nella fuga abbiamo capito che poteva essere la loro, la nostra, giornata».

«Dietro non si capiva bene cosa volesse fare la Red Bull-Bora, se tenere la maglia o no. Anche perché essendo una fuga composta da corridori molto forti, era difficile da controllare. Alla fine però possiamo dire che questa sera si festeggerà la maglia rosa… Quando ho saputo che l’aveva presa? Proprio sull’arrivo, a cento metri per la precisione. Io passo e lo speaker annuncia la maglia di Diego!».

Ulissi in rosa

Finalmente Diego Ulissi arriva in conferenza stampa. E’ davvero sereno, soddisfatto, orgoglioso… e anche un filo emozionato. Con la XDS-Astana è venuto per fare “casino”, per provarci come ha sempre fatto. Perché otto tappe al Giro non le vinci così, specie se non sei uno sprinter… con tutto il rispetto per i velocisti.

«Oggi – inizia a raccontare Ulissi, riallacciandosi senza saperlo alle parole di Masnada – poteva essere proprio il giorno giusto per fare qualcosa di buono. Tutti i compagni hanno fatto un grande lavoro per far sì che io e Lorenzo fossimo presenti nella fuga. Riguardo alla tappa bisogna solo dire che Plapp è stato superiore. Ma io sono contento di come sono andato. Il percorso era esigente e sono rimasto con i migliori. Francamente non avevo idea dei vantaggi, la radio non funzionava bene e mi dicevano di andare a tutta. Sapevo che stavo lottando sui secondi. Poi – e Ulissi sorride – la gente a bordo strada ha iniziato a urlarmi che mi stavo giocando la maglia. E’ stato incredibile».

Ma cosa vuol dire la maglia rosa per un corridore, specie per un italiano? Tanto, forse tutto. «Forse la radio non funzionava bene davvero. E sì, sono esperto, ma credo che alla fine non mi dicessero più i distacchi per non destabilizzarmi, per non deconcentrarmi. Magari inizi a farti dei pensieri… Non so, ma credo sia stata la scelta giusta da parte dell’ammiraglia».

«Non sono uno che si fa prendere dai sentimenti spesso, però quando ho visto la maglia rosa con la scritta XDS-Astana mi sono emozionato. A 36 anni ripercorri tutta la tua carriera. Mi sono levato belle soddisfazioni. Ho superato momenti difficili. Ho pensato alla mia famiglia. In questi 16 anni ho costruito una bellissima famiglia con tre bambine. E ancora i miei genitori, i miei nonni, tutti i sacrifici che hanno fatto fin da quando ero piccolino, per portarmi alle corse… Sì, mi sono emozionato pensando a loro».

L’incontro fugace nel dietro le quinte. Un cinque, un sorriso e una bottigliona!
L’incontro fugace neldietro le quinte. Un cinque, un sorriso e una bottigliona!

Tante gioie e un sassolino

Questa maglia rosa è un premio alla carriera, dunque. Ulissi mancava al Giro d’Italia da due anni. La UAE Team Emirates non lo aveva convocato nel 2024: altre tattiche, altri obiettivi. Conquistarla a 36 anni non è cosa da poco, specie in questo ciclismo sempre più estremo, in cui l’età dei vincenti si è decisamente abbassata.

«Con l’età non è facile rimanere a grandi livelli – spiega il toscano – ma ho grandi motivazioni. Ho anche cambiato squadra per questo: per cercare di vivere giornate come questa. In UAE in questi anni hanno fatto altre scelte, come mandarmi in Ungheria a caccia di punti in concomitanza della corsa rosa, ma credo che dopo tanti anni in quel gruppo, praticamente tutti quelli della mia carriera, e con quello che avevo fatto, correre e vincere un Giro d’Italia al fianco di Tadej me lo sarei meritato. E l’anno scorso per me è stata una stagione importante, nel senso che non sono andato piano. Ho fatto moltissimi punti e ho chiuso tra i primi venti al mondo».

La conferenza termina ed Ulissi si alza e se ne va. Altre procedure post arrivo lo attendono. A un certo punto spunta da dietro una transenna. Lui in rosa, l’addetto stampa Yuri Belezeko con una bottiglia di spumante…

«Domani? Con la maglia rosa sulle spalle bisogna dare tutto. Certo, sarà una tappa particolare e complicata e servirà anche un po’ di fortuna. Ma lotterò. E poi arrivare in Toscana in rosa… Intanto penso a dormire bene stanotte!». Cosa che forse non sarà così facile… per fortuna.

Tiberi cresce e Roglic è pericoloso. Parola di Caruso

17.05.2025
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TAGLIACOZZO – Ad eccezione di Ayuso e Del Toro, abbastanza giovani e sfrontati da minacciare le certezze dei più grandi, fra i primi otto della tappa di ieri ci sono i corridori più titolati di questo Giro d’Italia. Gli altri sono appena più indietro, ma la classifica ora ha finalmente una forma. Damiano Caruso e i suoi 37 anni sono la voce più autorevole del primo gruppo. Ancora una volta il siciliano ha tagliato il traguardo accanto ad Antonio Tiberi. Franco Pellizotti dice che non lo vedeva da un pezzo così in forma e Damiano e le sue prestazioni gli danno ogni giorno ragione.

Con Tiberi quarto a 27 secondi da Roglic, Caruso viaggia in undicesima posizione e mantiene lo sguardo fisso su ciò che gli accade intorno, a metà tra il fratello maggiore e l’angelo custode. «E’ andata anche bene – dice – per essere un arrivo così esplosivo. Per quanto mi riguarda sono super soddisfatto sia della prestazione della squadra, della mia e anche per quella di Antonio. Non è una sorpresa, sta facendo quello che ha promesso. Ma di Roglic non mi fido, lui la sa lunga, nell’arco delle tre settimane può ancora dire molto…».

Tiberi che cresce

La Bahrain Victorious ha preso in mano la corsa poco prima dell’ultimo bivio verso Marsia, la località sciistica ormai dismessa che ha ospitato il traguardo della settima tappa del Giro d’Italia.

«Siamo atleti che lavorano insieme da tanto – spiega Caruso – quindi è un gruppo affiatato. La squadra ci dà fiducia, quindi è giusto ricambiarla. Si vede anche da come corriamo, in gara non c’è bisogno nemmeno di parlare. Ci guardiamo e ognuno sa quello che deve fare e questo è gratificante. In questo quadro, Antonio sta crescendo nella personalità e in tutti gli aspetti, quindi il progetto va avanti. E alla fine è andata bene anche per me. Era un finale molto impegnativo, perché gli ultimi due chilometri erano abbastanza tosti. Tutta la tappa, specialmente la partenza, è stata corsa a ritmi veramente importanti. E’ venuta fuori una giornata impegnativa, ma anche soddisfacente per me, per la squadra e per il nostro leader, quindi oggi (ieri, ndr) andiamo a riposarci contenti».

Un livello altissimo

E’ mancato Roglic, dice Caruso. Ieri tutti lo aspettavano, invece Primoz non ha risposto all’attacco di Ayuso e neppure ai precedenti di Ciccone e Bernal. Ha preferito o è stato costretto a starsene alla finestra e alla fine ha perso un’occasione.

«Siamo andati forte tutto il giorno – racconta – regolari e a tutta. L’accelerazione è una delle caratteristiche di Ayuso, lo scatto secco, più di quanto lo abbia Antonio. L’importante però è che ci sia stata una reazione da parte di entrambi. Sono felice di questo, perché ho risposto anch’io bene, nonostante i miei 37 anni. Se tutto va bene e uno ha voglia di correre e continuare a fare sacrifici, può ancora correre ad alti livelli. Però devono esserci questi presupposti, altrimenti non si va più avanti. C’è da dire che si va davvero forte. Si potrebbe pensare che non sia stato un grande arrivo, dato che non ha fatto differenze notevoli. L’arrivo invece era giusto, il fatto però è che tutti i corridori sono preparatissimi e il livello è così alto che certi giorni i percorsi non bastano più…».

Roglic dorme, Ayuso lo pizzica. Ma Tagliacozzo non fa male

16.05.2025
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TAGLIACOZZO – Se Roglic avesse avuto la stessa prontezza quando è scattato Ayuso, probabilmente oltre ad aver conquistato la maglia rosa, avrebbe vinto anche la tappa. Invece lo sloveno ha esitato, mentre è stato rapidissimo a lasciare la conferenza stampa quando l’interruzione di corrente ha fatto spegnere le luci. In montagna può capitare, lui si è alzato subito di scatto, ha lasciato la risposta a metà e si è precipitato giù dalla scaletta verso l’antidoping. Per certi versi c’è da capirlo. Dopo la discesa al piazzale dei pullman, li attendono due ore di viaggio fino alla costa adriatica, ma i modi lasciano a desiderare. Chiamiamola originalità.

Dopo l’arrivo di Ayuso, l’abbraccio col massaggiatore Paco: è la prima vittoria in un Grande Giro
Dopo l’arrivo di Ayuso, l’abbraccio col massaggiatore Paco: è la prima vittoria in un Grande Giro

La prima di Ayuso

Il primo arrivo in salita del Giro non ha fatto male come tradizione vorrebbe. Gli ultimi due chilometri della scalata finale che da Tagliacozzo conduce a Marsia erano i più ripidi, ma la sensazione è che non siano bastati per fare azioni di classifica. Fra quelli più attesi, soltanto Pidcock e Piganzoli hanno pagato più di quanto fosse lecito aspettarsi (rispettivamente 34″ e 38″). Fra i primi invece si è risolto tutto in una serie di provocazioni. Prima il forcing della Bahrain Victorious. Quindi i due attacchi violenti di Ciccone, poi rimasti nelle gambe. Quindi il forcing di Bernal e solo alla fine, con lo sforzo di 35-40 secondi che sapeva di avere nelle gambe, la rasoiata di Ayuso che ha lasciato tutti sul posto.

«Non è una semplice vittoria – dice lo spagnolo della UAE Emirates – è la mia prima vittoria in un Grande Giro, quindi è una di quelle che ricorderò per sempre. Ricordo la prima da professionista a Getxo e questa è la prima tappa in un Grande Giro, siate certi che la porterò sempre con me. Nel finale ho sempre seguito Roglic perché in questi arrivi lui è il più forte e vince praticamente sempre. Quando è iniziato l’attacco, non sapevo se stesse aspettando che partissi o stesse giocando. Ma quando la mia distanza è arrivata, ho attaccato e non mi sono fermato finché non è finita. Prima di muovermi ho lasciato che gli altri sprecassero un po’ di energia. Più o meno sono azioni che hai in mente, ma dipende sempre da come arrivi e dalle gambe. Mi sentivo bene. Sapevo di poter fare un attacco di circa 30-45 secondi, che più o meno è quello che ho fatto, forse un po’ di più. Era importante fare un attacco solo, anziché provare e poi voltarsi e poi rifarlo ancora. Un attacco solo e possibilmente vincente».

La fuga di Roglic

Pizzicato al riguardo, Roglic ha giocato, ma probabilmente dietro il tanto sorridere e mostrarsi gioviale c’è stato qualche minuto di buco, che gli ha impedito di rispondere agli attacchi finali. Il leader della Red Bull-Bora ha perso ieri l’appoggio di Hindley, ma si ritrova accanto un Pellizzari solido e pimpante e starà a lui essere all’altezza del compito che lo attende. La maglia rosa è tornata dopo quella di Tirana, ma la sensazione è che neppure questa volta, Roglic si svenerà per difenderla.

«Non sono più così giovane – dice – i giovani invece si accendono subito. Io ho bisogno di un po’ di tempo per iniziare a carburare, ma me ne vado da questa salita con la maglia rosa. Ancora una volta lo ripeto: è un privilegio. Gli avversari sono sempre più vicini e non so quando me la porteranno via. So però che oggi la nostra squadra ha corso bene per tutto il giorno. Mi sto godendo la giornata, non si sa mai quanto durerà. Essere qui a lottare con i migliori è meraviglioso, anche se quando è partito l’attacco non ero nella posizione in cui dovevo essere. Forse ho dormito un po’».

A questo punto, approfittando dell’interruzione di corrente, la maglia rosa se ne è andata, covando forse il sottile fastidio per non essere riuscito a vincere sull’arrivo che lo chiamava da giorni e su cui non è andato oltre un pur lodevolissimo quarto posto, alle spalle di Ayuso, Del Toro e Bernal.

«Del Toro è un compagno di squadra e un amico – ha detto Ayuso dopo la vittoria – mi fido totalmente di lui»
«Del Toro è un compagno di squadra e un amico – ha detto Ayuso dopo la vittoria – mi fido totalmente di lui»

L’attesa degli sterrati

Ayuso invece ha la calma serafica di chi vuole stringersi forte il momento e farne parte finché ci sarà luce. Risponde alle domande e non evita quelle scomode. Anche quando gli chiedono chi secondo lui vincerà il Giro. E poi lo spagnolo butta lo sguardo sulla tappa di Siena, la meno prevedibile.

«Siamo venuti con l’ambizione di vincere – dice – io per primo ho l’ambizione di vincere. Ma penso che la responsabilità e il peso della gara si vedranno sulla strada. Oggi è solo un primo passo, già domenica sugli sterrati ci sarà una tappa forse più temibile. Sarà sicuramente una delle più impegnative di questo Giro. Non avremo bisogno soltanto di buone gambe, di una buona posizione o di una squadra forte. Servirà anche la fortuna perché le forature possono rovinare l’intero Giro. Bastano una foratura o un brutto momento e mesi di lavoro andranno in fumo».

Le auto hanno iniziato la discesa. Prima le ammiraglie, poi quelle del Giro-E. La Polizia e lentamente tutti quelli che non vedono l’ora di tornare a valle e riprendere l’autostrada. Il livello del gruppo è così alto che nessuno degli uomini di classifica ha perso terreno. Sono saliti in gruppo, col paradosso che anche in salita ormai si sta bene a ruota. Non era un arrivo risolutivo, ma ha confermato che i migliori sono tutti lì. Ha ceduto Pidcock, inaspettatamente. Anche Piganzoli ha ceduto, ma non stava bene. Invece Fortunato, che ieri è caduto, oggi ha sofferto ma ha tenuto duro. Fra una schermaglia e l’altra, il vero Giro deve ancora cominciare.

In ammiraglia Decathlon: adrenalina, tattiche e un sogno svanito

16.05.2025
6 min
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TAGLIACOZZO – Ed eccoci qui, un anno dopo: prima tappa appenninica e di nuovo sull’ammiraglia della Decathlon AG2R. Ed è sempre una bellissima esperienza, perché essere dentro al Giro d’Italia è una cosa grandissima. A farci da Cicerone stavolta c’era il direttore sportivo, uno dei più esperti del team francese Didier Jannel.

Con il tecnico francese si è parlato molto di tattiche. E tutto sommato, vivendo la corsa da dentro, qualche domanda ce la siamo posta. Perché, ad esempio, la BORA-hansgrohe ha tirato così tanto? Con collegamenti via telefono da e con altre televisioni, il diesse francese aveva saputo che la squadra di Roglic non era interessata alla tappa. «Ma allora perché tira?», obiettava Jannel.

Tattiche in primis

Jens Voigt, ex corridore oggi inviato di Eurosport, è venuto ad intervistare il diesse chiedendogli un parere sulla corsa. E anche al tedesco, Jannel esprimeva i suoi dubbi sull’andamento tattico della corsa. Ovviamente con il suo Nicolas Prodhomme nella fuga sperava in un vantaggio più corposo.

E ancora tattiche e domande: perché Pedersen e compagni hanno aumentato il ritmo al punto da generare anche qualche caduta in discesa?

Forse dalla TV non si è visto, ma nella planata finale il gruppo si era allungato e frastagliato notevolmente. Tra l’altro è al termine della planata stessa che c’è stato un momento spettacolare, che solo stando nella corsa si può vivere.

In quel frangente è stato adrenalinico assistere al rientro in massa dei ragazzi della Groupama-FDJ, tutti in fila per capitan Gaudu. Otto corridori, un treno. Volavano via a 65 all’ora tra ammiraglie, curve, rotatorie, moto… La giuria era piombata su di loro come un falco. L’ultimo vacone ad attendere il treno è stato Lorenzo Germani. Il laziale spianato sulla bici filava che era un bellezza.

Nicolas Prodhomme in fuga con altri 6 atleti. E’ stato tra gli ultimi ad arrendersi a 5 chilometri dal traguardo
Nicolas Prodhomme in fuga con altri 6 atleti. E’ stato tra gli ultimi ad arrendersi a 5 chilometri dal traguardo

Prodhomme in fuga

Appena arrivati questa mattina nel clan della Decathlon-AG2R a Castel di Sangro abbiamo notato subito 14 bici. Loro sono rimasti in sette: perché portarne così tante? Perché sette erano per la corsa e altre sette pronte sui rulli. La partenza infatti era in salita e l’intento della squadra francese era duplice: non far staccare Sam Bennett, il velocista e capitano, e mettere nella fuga Prodhomme. Il ragazzo è stato bravissimo centrando l’obiettivo.

Così, eccoci sul percorso. Siamo partiti una ventina di minuti prima della tappa. Dopo qualche chilometro abbiamo mangiato un gustoso panino preparato da uno chef locale e quando finalmente è partita la fuga siamo entrati anche noi ufficialmente in gara. In questo modo ci siamo ritrovati subito dietro alla fuga, senza dover effettuare manovre pericolose per sorpassare il gruppo. Una pratica ormai consueta.

A quel punto il direttore sportivo ha preso in mano la situazione… e la radio. Indicava con attenzione i punti salienti del percorso: tratti duri, tecnici, insidiosi.

Radio alla mano

Dopo la salita più impegnativa di giornata, cioè Monte Urano (era cattivissima), Jannel ha detto al ragazzo: «Adesso c’è una salita facile, cerca di mangiare, pensa ad alimentarti». Poco dopo, ecco radiocorsa chiamare la nostra ammiraglia. Prodhomme ha chiesto dei gel e una borraccia con 80 grammi di carboidrati.

Il direttore sportivo però restava un po’ sulle spine. Il distacco massimo era arrivato a quattro minuti, ma dietro c’era sempre la BORA a tenere un ritmo sostenuto. Jannel aggiornava costantemente Prodhomme sui distacchi, ma restava incerto sull’andamento tattico.

Tuttavia per un momento, mancavano circa 65 chilometri, è sembrato persino che la fuga potesse riuscire nel suo intento. Il vantaggio tutto sommato era buono, la corsa dietro si era leggermente “addormentata” e il percorso e il vento erano favorevoli.

Jannel voleva tenere alto il morale del suo ragazzo e gli diceva: «Stai attento a Scaroni. Perché Scaroni, lo conosciamo, quest’anno ha vinto il Tour des Alpes-Maritimes, è in forma. Però è anche vero che ieri è caduto». Come a dire, “curalo” ma non spaventarti.

Altro uomo da tenere sott’occhio era Paul Double: «Lui è uno scalatore molto importante. Sai come va e quest’anno ha vinto una tappa alla Coppi e Bartali». E poi ha aggiunto qualcosa che tirava in ballo anche Buitrago ma che non siamo riusciti a capire nel bailamme della corsa.

Il direttore sportivo Didier Jannel, un veterano del gruppo Decathlon-Ag2R
Il direttore sportivo Didier Jannel, un veterano del gruppo Decathlon-Ag2R

La dura realtà…

Lungo l’ultima discesa di giornata, il distacco inizia a crollare. La Lidl-Trek di Ciccione ci mette lo zampino. Tira persino con Pedersen in persona, la maglia rosa. E così, a circa 25 chilometri dall’arrivo, ecco che la giuria, quando il vantaggio era appena superiore al minuto, ferma le ammiraglie che seguivano la fuga. E quindi anche la nostra.

Dobbiamo ammetterlo: un po’ di tristezza è calata in ammiraglia in quel momento. E’ vero, si sapeva che a quel punto i sette ragazzi davanti non sarebbero più arrivati, però la speranza, come si dice, è l’ultima a morire. «Nicò sta bene – aveva detto Jannel – la vittoria al Tour of the Alps gli ha dato convinzione che poteva fare bene qui al Giro e che poteva vincere una tappa. Perché vincere una tappa era e resta il nostro obiettivo».

Una volta finiti dietro al gruppo, i discorsi alla radio sono cambiati radicalmente. Si è tornati a parlare di logistica: come riprendere gli atleti, dove parcheggiare, come radunarsi ai bus che erano a 15 chilometri dall’arrivo. Insomma, come organizzare il rientro in vista della prossima tappa. Che sarà di nuovo molto, molto dura.

Andrea Garosio ancora in gruppo. Da corridore a regolatore…

16.05.2025
5 min
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E’ successo tutto molto in fretta, quasi senza volerlo. Quando lo scorso novembre Andrea Garosio ha deciso di smettere con il ciclismo, la stagione era appena finita. L’idea di lasciare c’era da tempo, ma la conferma è arrivata dopo pochi giorni: «Avevo ancora una proposta da una squadra, ma poi non è andata. E ho deciso che era finita».

Dopo un inverno passato con il padre nell’impresa di famiglia e un po’ di indecisione su cosa fare da grande, Garosio è stato chiamato dalla RCS Sport: lo volevano al Giro d’Italia come regolatore. Era un pomeriggio di gennaio e il telefono ha squillato.

Una figura ibrida, a metà fra la direzione e la giuria, che si muove con la moto per garantire sicurezza e fluidità alla corsa. Lo abbiamo intercettato per capire meglio cosa significhi questo nuovo ruolo e cosa si nasconde dietro le quinte della corsa rosa.

Andrea Garosio è stato pro’ per 9 stagioni. Ha chiuso la carriera nel 2024 alla Polti-Kometa
Andrea Garosio è stato pro’ per 9 stagioni. Ha chiuso la carriera nel 2024 alla Polti-Kometa
Andrea, come sei arrivato a fare il regolatore?

Mi hanno chiamato da RCS Sport. Ero a lavoro con mio papà. In quel periodo andavo un po’ con lui perché volevo tenermi la possibilità di restare legato al ciclismo, quindi non mi ero ancora impegnato con nessuno. A casa abbiamo una piccola azienda edilizia. Avevo ricevuto alcune proposte, anche per lavori d’ufficio, ma non avevo deciso. Mi ha chiamato Barbin e mi ha detto che avrebbero voluto parlarmi. Quasi non ci credevo all’inizio. Poi mi hanno convocato, ho parlato direttamente con Mauro Vegni e Luca Papini. Mi hanno spiegato tutto e ho colto al volo l’occasione. In più avevo anche il corso da direttore sportivo di terzo livello. Insomma avevo i requisiti anche per l’UCI.

Quanto il to passato da corridore, fresco ex corridore, ti ha aiutato per fare il regolatore?

Molto. Aver corso tanti anni aiuta: conosci le dinamiche, capisci la corsa. Quando vedi il profilo della tappa sai già che tipo di giornata sarà. Poi durante la corsa, essendo vicino al gruppo, sai se stanno accelerando, se c’è vento, se è un momento di stress. In discesa, per esempio, sai se conviene allungare un attimo per dare spazio, oppure se puoi stare più vicino. Insomma, sei in mezzo alla corsa. Ti muovi come un corridore, anche se sei in moto. Capisci le intenzioni del gruppo e ti adatti.

Ma concretamente, cosa fa un regolatore?

Regola tutto quello che riguarda i mezzi in corsa. Dalla gestione dei fotografi, che devono sapere quando possono avvicinarsi ai corridori, alla sicurezza degli atleti che si staccano, posizionando le staffette o la polizia per ogni gruppetto. Poi se c’è un ostacolo a terra che non è stato segnalato, puoi metterti davanti al gruppo e indicare la direzione. Quando c’è una caduta, devi far defluire il traffico, assicurarti che arrivino i medici e l’ambulanza. Se c’è un rientro dopo una foratura o un incidente meccanico, devi gestirlo. Sono tante piccole cose che non si vedono, ma fanno parte del lavoro quotidiano.

Ieri un bel da fare per Garosio e colleghi nelle fasi della neutralizzazione…
Ieri un bel da fare per Garosio e colleghi nelle fasi della neutralizzazione…
A livello tecnico, con quante radio sei collegato?

Due. Una è quella nostra, interna alla direzione. L’altra è il radiocorsa, quella di tutti: ammiraglie, direzione, giuria. Noi della direzione abbiamo un canale nostro in cui ci coordiniamo su tutto: eventuali pericoli, decisioni da prendere, posizionamenti.

C’è stato un momento difficile, oltre alla maxi caduta di ieri che però con la neutralizzazione tutto sommato è stata poi “facile”?

Il circuito di Lecce per esempio. C’erano due strettoie e l’ho segnalato subito, ero davanti e ho sentito anche le lamentele. Se fossi stato ancora un corridore, avrei pensato che fosse un punto pericoloso, invece da regolatore lo valuti diversamente. Per me il circuito era bello. Le strettoie c’erano, ma non erano impossibili da affrontare.

E’ più complicato stare davanti o dietro al gruppo?

Davanti è più complicato per l’attenzione. Devi essere preciso, non intralciare, leggere bene la discesa. C’è un lavoro più attivo. Chi scatta e chi chiude. Dietro invece c’è più da fare in generale, perché se qualcuno si stacca lo devi seguire, mettere in sicurezza. Ma se non ci sono corridori staccati, dietro è più tranquillo. Davanti hai più responsabilità, soprattutto nei momenti chiave.

Quando sei dietro però, i corridori non ci sono più…

Solo se non si staccano. Se invece ci sono corridori in difficoltà, devi seguirli, assicurarti che ci siano le staffette, vedere se rientrano. Però è più semplice da gestire: sono pochi, li conosci, sanno come muoversi. Davanti invece hai la responsabilità di non intralciare nessuno, di vedere tutto prima che accada.

Dalla tv non si vede ma in corsa c’è sempre un bel caos di mezzi al seguito. Il regolatore come Garosio ha il compito di gestire questo traffico
Dalla tv non si vede ma in corsa c’è sempre un bel caos di mezzi al seguito. Il regolatore come Garosio ha il compito di gestire questo traffico
Andrea da ex corridore: chi ti ha impressionato sin qui?

Sicuramente Pedersen. E’ fortissimo e mi ha stupito soprattutto nella crono di Tirana. Incredibile davvero. Poi vedo molto bene Roglic: mi sembra in forma. Ayuso invece si sta nascondendo tanto. Entrambi però hanno squadre fortissime. Sarà una bella sfida fino alla fine.

Il tuo ex compagno Piganzoli?

Ci ho parlato in questi giorni con “Piga”, lo vedo tranquillo. Secondo me ha preso tanta fiducia lo scorso anno dopo il Giro dell’Emilia dell’anno scorso. Ha valori buoni, va forte, gli auguro davvero di fare un bel Giro. Siamo amici, siamo stati compagni di camera tante volte, lo conosco bene. Anche Pellizzari mi ha sorpreso, soprattutto nella crono. Non era una prova semplice: strade larghe, ritmi alti, eppure è andato forte. Lui però ha un capitano importante (Roglic, ndr)… vedremo. Ma se va forte a crono, vuol dire che sta bene.

Speriamo bene per entrambi: due italiani davanti fanno bene a tutto il movimento…

Assolutamente. E io tifo per loro. Li conosco entrambi, anche se con Piga ho più confidenza visto che spesso è stato anche mio compagno di stanza. Sono ragazzi giovani, motivati, stanno bene. Spero vivamente che riescano a lasciare il segno.

Il Giro sul Mortirolo senza Recta Contador, ma la salita ci aspetta

16.05.2025
5 min
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Alla fine si è deciso di non farla. Il Giro d’Italia avrebbe dovuto scalare un Mortirolo inedito, quello che in Valtellina e fra gli organizzatori è stato ribattezzato come la “Recta Contador”. Era tutto pronto. Le autorità hanno lavorato nei tempi prestabiliti, sistemando il fondo stradale. Quando abbiamo parlato alla vigilia del Giro, Garzelli lo aveva appena provato, stupito per la sede stradale molto stretta, che avrebbe previsto il divieto al pubblico. Invece c’è stato appena il tempo di rientrare in Italia e Mauro Vegni ha deciso di non correre rischi. Nessuna squadra conosce quel tratto e il Giro d’Italia scalerà il Mortirolo senza deviazioni.

Gigi Negri è il motore del turismo in Valtellina: il cicloturismo è il cuore dell’estate
Gigi Negri è il motore del turismo in Valtellina: il cicloturismo è il cuore dell’estate

Un altro Mortirolo

Lo racconta Gigi Negri, riferimento del ciclismo in Valtellina, che ha aspettato il Giro nei giorni pugliesi ed ha avuto modo di confrontarsi sul tema con il patron della corsa. Nella sua voce c’è un po’ di rammarico, ma anche la soddisfazione perché nella prossima estate i cicloturisti potranno scalare il Mortirolo da un versante inedito. Soprattutto nei giorni di Enjoy Stelvio Valtellina in cui a rotazione i grandi passi di lassù saranno riservati alle bici. E questo stimola la curiosità e la competizione che anima i conquistatori delle grandi salite.

«Ho parlato con Mauro – spiega – e la conferma è che per quest’anno non si fa la Recta Contador. Bisogna dirlo chiaramente. I lavori sono stati ultimati a fine aprile, perché lì in alto c’era la neve. Il fatto che le squadre non abbiano potuto provare una salita molto impegnativa che cambierebbe la storia della tappa lo ha spinto a decidere per il no. Ha pensato che se poi ci fosse un problema, verrebbe fuori un putiferio. Avrebbe dovuto fare una riunione, oltre che con le squadre, anche con l’UCI e alla fine ha preferito non rischiare. In ogni caso, in quel tornante a destra, metteremo una gigantografia di Contador con tanto di indicazione per la variante».

Al bivio del Mortirolo, una gigantografia indicherà la Recta Contador
Al bivio del Mortirolo, una gigantografia indicherà la Recta Contador

Lo sbaglio di Alberto

Il Giro volterà a destra, Contador andò dritto. La storia è ghiotta da conoscere ed è proprio Negri a ricordarla. Il suo racconto ci aveva incuriosito già qualche tempo fa, ma lo avevamo tenuto in caldo aspettando il Giro.

«Era l’anno 2014 – racconta – e facevamo il Contador Day. Si scalavano Gavia e Mortirolo, che l’anno prima si era affrontato da Mazzo. Quell’anno, per dargli la giusta visibilità, si era deciso di salire dal lato della Valcamonica, quindi da Monno. Io sono un valtellinese convinto che i nostri passi uniscono e non dividono, per cui ogni anno si cercava di fare un versante diverso. Nel 2014 partimmo da Aprica e Alberto si mise in movimento con il gruppo alle spalle. Si scendeva verso Edolo, fino al bivio per Monno. Cominciò la salita. Solo che a un certo punto, appena usciti dall’abitato di Monno, dove c’è il mega tornante, lui cosa fa? Mette giù la testa e parte, ma non fa il tornante e va dritto in una stradina stretta».

Alberto Contador nel 2014 tracciò la linea della Recta Contador: quell’anno vinse la Vuelta
Alberto Contador nel 2014 tracciò la linea della Recta Contador: quell’anno vinse la Vuelta

La Recta Contador

Negri è alle spalle nell’auto con Angelo Zomegnan, che in quegli anni era il direttore del Giro d’Italia, dopo essere stato il vicedirettore della Gazzetta dello Sport. I due si accorgono dello sbaglio di percorso, ma non c’è modo di fermare lo spagnolo.

«Chiaramente in quel periodo Contador era ancora professionista – prosegue Negri – e faceva quel giro anche per allenamento. Quindi non fece il tornante e si infilò in questa strada che tagliava dritta. Saliva a testa bassa sull’asfalto che non era perfetto. E così, non potendo fare altro, decidemmo di andare in cima, salendo dal versante… ufficiale. Lo trovammo in cima al Mortirolo. Si era fermato al rifugio per cambiarsi e io gli dissi: “Ma Alberto, hai sbagliato!”. Invece lui era molto soddisfatto e disse: “Nessuno sbaglio, d’ora in poi questa sarà la Recta Contador”. Era soddisfatto di aver fatto una cosa inedita. E da lì quel tratto ha preso il suo nome».

Una sfida per l’estate

La Recta Contador probabilmente verrà inquadrata dalle telecamere nella 17ª tappa che il 28 maggio porterà il gruppo da San Michele all’Adige a Bormio. E in attesa che un domani anche i professionisti ne accettino la sfida, rimarrà terreno di conquista per i cicloturisti che dall’estate inizieranno a sfidare i giganti della Valtellina.

«E io – sottolinea Luigi Negri – devo ringraziare il sindaco di Monno e tutte le Istituzioni perché hanno speso veramente tanti soldi per metterla a posto. Sicuramente è un percorso nuovo per raggiungere il Mortirolo. Sono 2,9 chilometri che arricchiscono la nostra offerta turistica. Poi abbiamo saputo che Contador non sarebbe potuto venire per altri impegni con Eurosport, per cui ce ne siamo fatti una ragione. Soprattutto perché non sarebbe giusto giocare con la sicurezza dei corridori».

Il ragionamento è giustissimo. Gli stringiamo la mano chiedendoci come facessero negli anni in cui non esisteva VeloViewer e la pratica delle ricognizioni sui percorsi era sconosciuta o poco frequentata. E quando ai direttori sportivi, quelli più bravi, bastava una buona altimetria per guidare i corridori. Ma i tempi cambiano, giusto così. La Recta Contador noi l’abbiamo fatta casualmente in auto una volta che scalando il Mortirolo ci rendemmo conto che così avremmo guadagnato qualche chilometro. Ma in bicicletta state attenti: la pendenza è davvero degna del miglior Alberto Contador.