Gavazzi: il Bernal “piemontese” e quel sorriso ritrovato

27.08.2025
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Sorridente, disponibile, disteso, con la battuta sempre pronta, in una sola parola: felice. Egan Bernal ha messo piede in Italia per la partenza della Vuelta Espana con un piglio che sembrava aver quasi perso. Si era assaporato un po’ di quel buon umore al Giro d’Italia, ma si vedeva che l’animo del corridore colombiano era differente. Sulle terre piemontesi, che lo hanno visto sbocciare nel suo grande talento, Bernal sembra essersi totalmente ritrovato. Su queste strade ci ha vissuto per tanti anni, sono state loro ad accoglierlo quando era arrivato in Italia alla corte dell’Androni Giocattoli di Gianni Savio. 

Il sorriso sul volto di Bernal non è mai mancato, ma alla partenza della Vuelta, sulle strade piemontesi, ha un sapore speciale
Il sorriso sul volto di Bernal non è mai mancato, ma alla partenza della Vuelta, sulle strade piemontesi, ha un sapore speciale

Un sorriso per tutti

Egan Bernal era approdato nella professional italiana da perfetto sconosciuto, ad accoglierlo aveva però trovato la figura di Francesco Gavazzi. Il valtellinese, ritiratosi nel 2023, ora sta studiando per ottenere l’abilitazione UCI e diventare direttore sportivo. Nel frattempo lavora come gommista nell’azienda che prima era del nonno e ora è in mano ai suoi cugini. L’obiettivo è di salire in ammiraglia a partire dalla prossima stagione, ma questo è un’altra storia che ci auguriamo di avere modo e piacere di raccontare più avanti. 

«Anche dopo aver vinto il Tour de France – racconta Gavazzi nella sua pausa pranzo – Bernal non è mai cambiato di una virgola. E’ sempre stato un ragazzo umile e aperto, forse troppo. Ha sempre concesso un sorriso e un autografo a tutti, e in alcuni casi eravamo noi a dovergli dire di muoversi perché la gara stava per iniziare. Adesso non lo vedo più dal vivo, ma quello che si vede in televisione o nelle poche gare alle quali assisto, è un ragazzo professionale e disponibile».

La serenità ritrovata di Bernal può essere un fattore chiave in questa Vuelta
La serenità ritrovata di Bernal può essere un fattore chiave in questa Vuelta
Com’è stato il tuo primo incontro con Bernal?

Eravamo in ritiro a Padova, nel novembre del 2015. Stavamo facendo un po’ di prove per i materiali e avevamo programmato un’uscita in bici. Gianni (Savio, ndr) era venuto da noi presentandoci questo ragazzo colombiano di diciotto anni. Ci aveva detto che arrivava dalla mountain bike e che era davvero molto forte. Poi siamo partiti con la pedalata.

Che è successo?

Ci ripetevamo di andare piano, dovevamo fare un giro sui Monti Berici e tornare indietro. Appena abbiamo approcciato una discesa, dopo tre curve, ci troviamo Bernal a terra. Lui si era rialzato subito, però dentro di noi abbiamo pensato: «Chissà che fine fa questo». Gli sono bastate poche settimane per farci capire che aveva doti fuori dal comune. 

A Limone Piemonte, primo arrivo in salita, il colombiano è quarto
A Limone Piemonte, primo arrivo in salita, il colombiano è quarto
Ha “rimediato” subito…

Non una presentazione in grande stile, ma in gruppo ci ha fatto vedere che sapeva stare. Seguiva i corridori più esperti e quando c’era da limare non si tirava indietro. Inoltre, fin da giovane, ha dimostrato un carattere solare e deciso. Non ha mai avuto paura di parlare ed esporsi. 

Sicuro di sé?

E delle sue idee. A quel tempo c’erano tanti corridori esperti in squadra, compresi Frapporti e io, lui non aveva paura a dire la sua. Ha sempre avuto le caratteristiche del leader, senza sovrastare gli altri. Sono doti che ho riscontrato anche in altri grandi campioni come Nibali e Pogacar. Questi corridori in bici si divertono, non li vedi mai stressati o rabbuiati. 

Bernal è arrivato in Piemonte grazie a Gianni Savio che dalla Colombia lo ha portato all’Androni Giocattoli nel 2016
Bernal è arrivato in Piemonte grazie a Gianni Savio che dalla Colombia lo ha portato all’Androni Giocattoli nel 2016
Hai notato questa cosa anche nel momento più difficile, dopo l’incidente del 2022?

Sinceramente sì. Non l’ho vissuto molto, anche perché l’anno successivo mi sono ritirato, ma non ha mai dato l’impressione di aver perso quelle sue caratteristiche umane che lo contraddistinguono. Magari ha perso serenità in bici, però con se stesso no. 

In questi primi giorni in Piemonte sembra ancora più sorridente, se possibile.

Ci sono luoghi che ti danno delle sensazioni positive, una scarica di energia unica, e improvvisamente ti senti ancora più forte e sicuro. Il Piemonte per Bernal è una seconda casa. La sua stella è nata lì, in tanti anni ha costruito amicizie e ha trovato tanti tifosi intorno a lui. 

Nonostante i suoi diciannove anni Bernal è diventato uno dei volti di riferimento del team di Savio insieme a corridori come Chicchi, Gavazzi e Pellizotti
Nonostante i suoi diciannove anni Bernal è diventato uno dei volti di riferimento del team di Savio insieme a corridori come Chicchi, Gavazzi e Pellizotti
Un qualcosa che può spingerlo per tutta la Vuelta?

Credo che Bernal potrà andare forte anche una volta arrivati in Spagna, è partito bene e questa cosa gli ha dato morale. Lui è un corridore che nella terza settimana migliora, serviva partire con il piede giusto. Gli ho sentito dire in un’intervista che si augurava potesse andare tutto bene, di non cadere o avere problemi. Evitare queste complicazioni lo farà sentire ancora più sicuro. Credo che il podio sia alla portata di Bernal. 

E domani iniziano le salite…

La testa è importante, ma come ho detto prima ha dimostrato di essere forte da questo punto di vista. Atleticamente Egan ha dalla sua ottime qualità sulla distanza e in salita.  

Savio nel ricordo di Rujano. Tanto affetto e qualche spigolo…

12.02.2025
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A 42 anni suonati, José Rujano non ha ancora intenzione di appendere la bici al chiodo. Corre ormai solamente in Sud America, anzi per meglio dire nel suo Venezuela, ha trovato un ingaggio alla Jimm Santos Triple Gordo correndo l’ultima Vuelta al Tachira al fianco del figlio Jeison e ogni tanto qualche colpo di pedale del vecchio campione l’ha ancora assestato, ad esempio nella settima tappa chiusa al Cerro del Cristo Rey all’11° posto.

Savio, scomparso lo scorso 30 dicembre, si era guadagnato grande stima in tutto il continente americano
Savio, scomparso lo scorso 30 dicembre, si era guadagnato grande stima in tutto il continente americano

Il primo incontro con Savio

La particolarità però non è tanto questa (anche se vedere padre e figlio nello stesso team ciclistico non capita proprio spesso…), quanto il fatto che quei giorni fatidici tra allenamenti e gare sono arrivati poco dopo aver appreso della scomparsa di Gianni Savio. Non una persona qualsiasi, ma qualcuno che ha avuto un peso decisivo nella sua vita. Un rapporto che tra alti e bassi è andato avanti per tutto il nuovo secolo, sin da un giorno del 2002. Durante proprio la Vuelta al Tachira…

«Ero davvero giovanissimo allora – ricorda il corridore venezuelano, ancora profondamente legato all’Italia – ed ero in lotta per la vittoria finale. Un giorno si avvicina a me questo signore particolarmente elegante, con i suoi baffi sembra un uomo d’altri tempi e mi comincia a chiedere chi sono, come sono arrivato a quel livello, se mi sarebbe piaciuto provare a correre in Italia. Figurarsi, era un sogno che si avverava».

Un giovanissimo Rujano maglia dei gpm al Giro del 2005
Un giovanissimo Rujano maglia dei gpm al Giro del 2005

Il sogno del Giro d’Italia

Non era una proposta da poco, perché Savio gli propose un contratto quadriennale, il che significava mettersi a posto, economicamente parlando, per un po’ di tempo e poter mettere qualcosa da parte: «Ma io non badavo a questo. Gianni mi dava l’opportunità di correre il Giro d’Italia e io ne avevo tanto sentito parlare. A quel tempo Savio era già molto conosciuto in Sud America, aveva portato ai vertici internazionali Leonardo Sierra. Sapere che credeva in me era un grande onore».

Savio ha sempre avuto un grandissimo fiuto ciclistico. Sapeva che quel ragazzo venezuelano, taglia piccola ma esplosiva soprattutto in salita, aveva della stoffa e Rujano non tradì le attese, conquistando una tappa, il terzo posto in classifica e la maglia verde al Giro del 2005 e aggiudicandosi anche la classifica combinata. Ma in quegli anni di vittorie il venezuelano ne portò a casa una buona quantità, tanto da solleticare gli appetiti di altre squadre.

Savio insieme a Leonardo Sierra, la sua prima grande scoperta in Sud America
Savio insieme a Leonardo Sierra, la sua prima grande scoperta in Sud America

Il litigio e la riappacificazione

Con Savio il rapporto non era sempre idilliaco, anzi. Oggi Josè lo riconosce non senza un pizzico di rammarico: «Avevamo due caratteri forti, al quarto anno entrammo in rotta di collisione e infatti andai via dal team cercando nuove strade. Potevamo anche litigare, ma c’era fra noi un profondo rispetto reciproco, continuavamo a restare in contatto, a incrociarci per le strade del mondo e alla fine nel 2011 tornai a correre con lui all’Androni».

Quel rapporto è andato via via cementandosi, andando anche al di là del ciclismo: «Conosceva tutta la mia famiglia, ci sentivamo almeno 3 volte l’anno e spesso capitava anche che ci si incontrava nei suoi viaggi da questa parte del mondo. Ci siamo sentiti anche lo scorso anno, sentivo che stava male e che faceva fatica a parlare».

José Rujano al centro con i compagni di team alla Jimm Santos Triple Gordo (foto Instagram)
José Rujano al centro con i compagni di team alla Jimm Santos Triple Gordo (foto Instagram)

L’ultima, dolorosa telefonata

L’ultima volta che ha provato a chiamarlo è stato un paio di mesi fa: «Quella telefonata, ci penso spesso e mi fa ancora male perché sentivo dentro di me che non lo avrei più sentito. Cercava di nascondere il male, di mostrarmi speranza. Gli dissi che avrei tanto voluto fare l’ultima Vuelta al Tachira con lui, ancora una volta. Non è stato possibile e mi dispiace tanto».

Da dove nasceva questo suo profondo amore per il ciclismo sudamericano? «Io penso che sentisse dentro di sé di essere un po’ sudamericano anche lui. Aveva un grande occhio, ha portato tanti corridori a gareggiare in Europa, in tanti gli dobbiamo molto. Non era famoso solo in Venezuela, anche in Colombia, in Messico, sono tanti i Paesi dove Gianni ha trovato amici, si è fatto conoscere, ha favorito l’affermazione dei ciclisti locali».

Una delle sue vittorie più belle, al Giro d’Italia 2011 battendo Contador sul Glossglockner
Una delle sue vittorie più belle, al Giro d’Italia 2011 battendo Contador sul Glossglockner

Un personaggio fuori dal tempo

Come detto, il loro rapporto non era sempre semplice. «Gli dicevo sempre che era un po’ tirato nel pagare gli stipendi – dice con un sorriso – ma è sempre stato una persona corretta. Era un personaggio, al quale piaceva che il ciclismo fosse sinonimo di spettacolo e voleva che i suoi corridori fossero capaci di darlo. Per questo ci chiedeva sempre di attaccare, andare in fuga. Ma aveva anche un’umanità fuori del comune, quando qualcuno si faceva male gli restava sempre vicino, ogni caduta era per lui un trauma».

Nel suo racconto, José ha anche un altro rammarico: «Con Gianni anche mio figlio avrebbe avuto più possibilità di affermarsi e correre in Europa. Io so che Jeison può fare bene, ha qualità. Anche all’ultima Vuelta Venezuela poteva benissimo andare nei primi 5 se non avesse preso l’influenza. E’ stato sfortunato tante volte, ma è diverso da me, ha la mentalità del professionista soprattutto quando si allena, facendo quel che il preparatore gli dice. Io sono più figlio del mio tempo, più naif. Ma non mollo, voglio correre anche l’anno prossimo e provare a vincere la Vuelta al Tachira per la quinta volta. A 22 anni dalla prima…».

Felline racconta il suo Savio: nonno, manager e punto di riferimento

09.02.2025
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LALLIO – Certi articoli ti capitano tra le mani, delicati come fossero fatti di cristallo. Mentre Fabio Felline ritirava le sue nuove biciclette al Trek Store in provincia di Bergamo ci si rendeva conto di come il torinese fosse in procinto di cambiare vita. Durante quella mattinata l’ex corridore professionista faceva fatica a distaccarsi dal modo di parlare degli atleti. D’altronde non si può pretendere di voltare pagina nella propria vita come se si fosse davanti a un libro. Tante volte si usa questa metafora quando si vuole dire che una persona è davanti a un grande cambiamento. La vita, però, non gira pagina ma continua tenendo ben saldo quanto si è scritto in precedenza

L’Androni Giocattoli è stata la squadra di Gianni Savio, che ha lanciato tanti corridori italiani, qui con Cattaneo
L’Androni Giocattoli è stata la squadra di Gianni Savio, che ha lanciato tanti corridori italiani, qui con Cattaneo

L’animo torinese

Il destino poi a volte si mette di traverso, decidendo di metterti alla prova in maniera definitiva. Così nell’inverno che lentamente ha decretato l’addio di Felline al ciclismo agonistico si è aggiunta anche la perdita di un punto di riferimento: Gianni Savio. Il “Principe” era diventato un punto saldo nella vita di Fabio Felline e del ciclismo italiano. Per anni la sua figura ha rappresentato il ponte attraverso il quale speranze di corridori provenienti da terre lontane si sono aggrappate per cercare un posto nel ciclismo che conta. Savio per Felline è stato prima un nome lontano, poi un team manager e infine cognato e nonno.

«Gianni – racconta Felline in un angolo dello store – l’ho conosciuto quando ero un bimbo, poi il nostro rapporto di lavoro si è concretizzato tra il 2011 e il 2012 dopo la chiusura della Geox-TMC Transformers, squadra in cui correvo appena passato professionista. Durante quell’inverno avevo voglia di tornare a una dimensione più piccola di ciclismo, nonostante avessi la possibilità di andare alla Liquigas. Scelsi, invece, di correre all’Androni Giocattoli con Gianni (Savio, ndr) che era la squadra di Torino e di un manager torinese».

Non solo italiani, l’Androni è stata il trampolino di lancio per tanti atleti sudamericani, qui Savio con Bernal
Non solo italiani, l’Androni è stata il trampolino di lancio per tanti atleti sudamericani, qui Savio con Bernal
Che anni sono stati per te?

Di quelle stagioni ho ricordi molto belli, sono riuscito a vincere quattro corse e, cosa più importante, mi sono trovato benissimo. Sono stati due anni cruciali, che mi hanno permesso di spiccare il volo verso le grandi squadre. Da lì è iniziato il mio percorso di sei anni in Trek, poi è arrivata la parentesi dell’Astana e ancora la Trek.

Cosa ti ricordi del vostro primo incontro?

Appena l’ho conosciuto ho avuto l’impressione di aver davanti un signore, di quelli che oggigiorno ce ne sono sempre meno. Si è dimostrato subito una persona di parola. La prima volta che lo vidi nell’inverno del 2011 gli dissi che sarei voluto entrare nella sua squadra. Lui mi chiese qual era il mio contratto e in nemmeno una settimana mi fece una proposta di pari livello. Avrebbe potuto farla a ribasso ma visto che alla Geox avevo firmato un contratto triennale decise di rispettarlo.

Che team manager era?

Super positivo, grintoso. Il suo motto era, prima di partire, “cattivi e determinati”, ovviamente in senso agonistico. La cosa bella era che non si abbatteva mai, cercava sempre di vedere il bicchiere mezzo pieno. Non l’ho mai visto fare una scenata davanti ai corridori, piuttosto ti prendeva da parte e ti parlava faccia a faccia. Savio era una persona in grado di gestire perfettamente i rapporti umani e di lavoro, caratteristica che lo ha reso impeccabile.  

Anni dopo è tornato nella tua vita, ma in vesti differenti.

Tra la fine del 2016 e l’inizio del 2017 ho incontrato sua figlia, Nicoletta. Sapevo che Gianni avesse una figlia ma fino a quel momento non avevo mai avuto modo di conoscerla. Da lì si è creata quella che è stata la nostra storia personale: una famiglia con un piccolo che si chiama Edoardo, e Gianni che era suo nonno.

Qui Savio con la famiglia, a sinistra la figlia Nicoletta, compagna di Felline
Qui Savio con la famiglia, a sinistra la figlia Nicoletta, compagna di Felline
Dal lato familiare che “Savio” hai conosciuto?

La cosa bella è che uno nel mondo della bici lo mitizzava un po’, lui era il “Principe”. Invece era una persona da scoprire, con le sue manie ma anche le sue cose semplici. Aveva un rapporto stupendo con gli animali, di rispetto. Piccole cose che ti fanno capire l’animo buono, come andare a trovare e dar da mangiare al cavallo di sua figlia Nicoletta. Aveva anche una grande passione per i cani. Se in casa trovava una formica o un ragno non li schiacciava, ma prendeva un pezzo di carta per farli passare sopra e metterli fuori dalla finestra. 

Qual è l’aspetto più bello della persona che ti porti un po’ anche dietro?

Che non si lamentava mai, non demordeva mai, a volte quasi ti infastidiva (ride, ndr) e ti chiedevi come fosse possibile che non avesse mai un problema. Aveva sempre questo lato positivo, ed è una cosa che mi ha sempre colpito perché, al contrario, io sono più brontolone. A volte anche Nicoletta mi diceva: «Dovresti prendere da mio papà sotto certi aspetti». E in qualche modo ho sempre cercato di farlo. 

Il lato “nascosto” di Gianni Savio, nonno amorevole. Qui con il piccolo Edoardo
Il lato “nascosto” di Gianni Savio, nonno amorevole. Qui con il piccolo Edoardo
Invece dal lato ciclistico com’è cambiato il vostro rapporto negli anni? 

Era super rispettoso, se avevo voglia di parlare lui c’era, altrimenti non si intrometteva. In passato gli ho chiesto dei consigli, anche aiuto quando ne ho sentito il bisogno. Però non era mai una figura invasiva, ma una porta a cui bussare.

C’è stato un momento in cui hai avuto l’esigenza di bussare a quella porta?

Sì, tante volte. Anche solo a fine del 2024 quando non sapevo bene cosa fare. Savio fino all’ultimo mi ha dato una mano, cercando una soluzione, oppure anche con una parola di conforto per farmi vedere il bicchiere mezzo pieno, come solo lui era capace di fare. E’ una persona che manca e che secondo me mancherà sempre di più.

La chiusura della Drone Hopper è stato un duro colpo per il “Principe”
La chiusura della Drone Hopper è stato un duro colpo per il “Principe”
Hai corso con lui in Androni, squadra che poi ha chiuso nel 2022 è stato un colpo duro?

Mi è dispiaciuto perché quella squadra è sempre stata un po’ la sua ragione di vita, nel ciclismo. Quindi sicuramente vedevi che, nonostante lui abbia sempre mantenuto la sua proverbiale positività, era un uomo che dentro di sé era stato ferito. il progetto era continuato con la Petrolike, peccato che non abbia potuto continuare a viverlo.

Il ricordo di Gianni che ti porti dentro?

Dal lato personale certi consigli dietro le quinte, quando ti diceva determinate cose. Ma quelli li voglio tenere per me. Però sapeva trovare il momento giusto per dirti qualcosa, e quando lo faceva il suo consiglio o la sua parola prendevano un valore incredibile. 

Da ciclista, invece?  

D’inverno capitava che mi dicesse: «Fabio, andiamo a berci una cioccolata calda?». Solo perché voleva parlarmi e chiedermi come andasse la vita, per sapere se tutto fosse in ordine. Cose d’altri tempi che nessun manager fa più. Quelli sono i comportamenti e le attenzioni per i quali rimarrà un personaggio unico.

La Petrolike e l’ultima creatura di Savio, affidata a Bellini

19.01.2025
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Gianni Savio se n’è andato lasciando in eredità il suo ennesimo tributo al ciclismo italiano. Il dirigente scomparso a 76 anni era stato infatti “costruttore” della Petrolike, il team di licenza messicana fortemente voluto per dare uno spazio di crescita ai corridori locali, ma aveva fatto subito presente come fosse necessario, per conseguire i suoi ambiziosi traguardi, infarcire il roster di corridori svezzati, pronti al ciclismo europeo e quindi italiani.

Tra i tanti campioni scoperti dal dirigente piemontese anche Egan Bernal, rimastogli sempre affezionato
Tra i tanti campioni scoperti dal dirigente piemontese anche Egan Bernal, rimastogli sempre affezionato

L’ultima avventura, che Savio non ha potuto vivere, vedere concretizzarsi e questo è uno dei più forti rammarichi che ha lasciato in Marco Bellini, il suo braccio destro da 25 anni (con lui nella foto di apertura alla presentazione del Giro 2012: con loro Rujano). Per lui parlarne, a qualche settimana di distanza dalla scomparsa di quello che innanzitutto era un amico, non è semplice: «Per 25 anni sono stato più con Gianni che con mia moglie. Ho iniziato nel 2001 come diesse, poi dal 2010 sono entrato nella società e ci eravamo divisi i compiti in maniera chiara: io mi occupavo della parte gestionale, del rapporto con gli sponsor, lui della stampa, delle pubbliche relazioni».

Gianni era uomo di un ciclismo antico, come faceva a rimanere al passo con uno sport che è cambiato così tanto?

Era un personaggio con un carattere diverso, non aveva bisogno di adattarsi, anzi a questo ciclismo metteva un freno. Per due volte ha avuto la possibilità di fare il vero salto di qualità, nel 2011 e nel 2017 ma in entrambi i casi ha scelto di non venire meno allo spirito del team, al “suo” ciclismo per conformarsi. Sicuramente aveva una concezione che mancherà in questo mondo.

Savio insieme a Ponomar, l’ucraino ultimo acquisto della Petrolike
Savio insieme a Ponomar, l’ucraino ultimo acquisto della Petrolike
E’ sempre rimasto legato all’altra parte dell’Oceano, perché?

Perché la sua natura era davvero vicina alla cultura, alla società, al modo di vivere in quelle terre. Lì si sentiva a casa sua e lo accoglievano come fosse di lì. Sempre. Trovava un ambiente ospitale che fosse in Colombia, in Venezuela, in Messico. Era sempre in contatto con i media locali. Attraverso di lui il ciclismo sudamericano si è evoluto, partendo da Cacaito Rodriguez, Leonardo Sierra, José Rujano. Ne ha tirati fuori tanti avvalendosi anche dei suoi infiniti contatti con appassionati del posto. Lo stesso Bernal è una sua scoperta.

Perché dici che la Petrolike resta un rammarico?

Non ha potuto viverla appieno. Era ormai un anno e mezzo che per le sue condizioni di salute non poteva uscire di casa e per lui il ciclismo andava vissuto sul posto. Dopo l’operazione all’anca gli mancavano le corse. La squadra è stata la sua ultima creatura, per certi versi il suo lascito, infatti era stato chiaro nella volontà di partire sì con un progetto locale ma poi, se volevano davvero farlo crescere, renderlo multinazionale e con un’anima italiana, come sta avvenendo.

Secondo anno di vita per la formazione messicana, ultima scommessa di Gianni Savio
Secondo anno di vita per la formazione messicana, ultima scommessa di Gianni Savio
La squadra cambia un po’ pelle rispetto alla stagione precedente…

Seguiamo i programmi che ci siamo dati sin dalla sua fondazione. Il primo anno è stato molto positivo, ora dobbiamo crescere come qualità per poi, se tutto andrà bene, provare a fare il salto fra le professional nel 2026. Il cambiamento si vedrà subito, infatti saremo a Mallorca e nelle corse spagnole d’inizio stagione, affrontando subito le squadre WorldTour e consentendo ai ragazzi di fare una grande esperienza.

E’ un team che diventa molto italiano.

Lo era già, non solo attraverso la mia presenza, ma abbiamo Fabrizio Tacchino come preparatore, Andrea Peschi fra i diesse, il nutrizionista Cristiano Caporali che viene dalla nazionale di triathlon. Poi chiaramente ci saranno i corridori e qui abbiamo cercato gente d’esperienza, che potesse essere utile per insegnare e dare l’esempio ai più giovani certamente non senza inseguire le proprie ambizioni personali, che sono anche quelle del team.

Lorenzo Galimberti è uno dei tre italiani scelti per dare esperienza al team messicano (foto Facebook)
Lorenzo Galimberti è uno dei tre italiani scelti per dare esperienza al team messicano (foto Facebook)
Su chi avete puntato?

Noi abbiamo scelto tre corridori, tutti con caratteristiche diverse. Per Filippo D’Aiuto mi sono affidato molto all’esperienza di Peschi che conosce bene il mondo degli under 23. Filippo racchiude quelle caratteristiche che cerchiamo, un corridore giovane ma con un grande equilibrio personale e una spiccata personalità. C’è poi Lorenzo Galimberti che sarà importante nelle corse impegnative, vista la sua propensione per le salite e infine Lorenzo Peschi, il figlio di Andrea che aiuterà gli sprinter.

Italiani a parte, la punta del team resta Caicedo?

Certamente, è il nostro diamante e nella prima stagione lo ha dimostrato portando a casa molti risultati, ma abbiamo alle sue spalle molti corridori che possono crescere proprio cibandosi della sua esperienza, come i fratelli Prieto o anche Macias. Inoltre arriva nel team anche l’ucraino Andrii Ponomar, che ha una gran voglia di rivalsa. E’ ancora giovane e con grandi potenzialità inespresse. E’ una squadra con un grande potenziale, ma aveva bisogno dell’iniezione di esperienza soprattutto perché buona parte del suo calendario sarà in Europa, in gare di elevato prestigio. Correre nel Vecchio Continente è la scuola migliore, ma bisogna farlo con approccio umile, cercando d’imparare il più possibile.

Caicedo resta la punta della squadra, ma quest’anno non sarà l’unica
Caicedo resta la punta della squadra, ma quest’anno non sarà l’unica
Partite subito forte…

Sia chiaro che non andiamo in Spagna con l’intento di fare chissà cosa, i ragazzi devono essere consci che saranno di fronte al meglio del movimento. Io voglio che acquisiscano esperienza, che capiscano com’è il ciclismo a certi livelli, ben diverso da quello che hanno affrontato finora. E’ un grande sacrificio che facciamo, ma sono sicuro che è per una buona causa. Questo anche grazie ai nostri dirigenti, che non chiedono risultati immediati, che capiscono qual è la nostra realtà e affrontano tutto con pazienza e concretezza.

Per la professional che altri passi serviranno?

Dovremo arrivare a un roster di 20 corridori, equamente divisi fra sudamericani ed europei e soprattutto dovremo prendere corridori che siano in grado di raccogliere risultati. Sarà un altro passo importante, imponente direi e potremo farlo solo con l’appoggio delle aziende che ci supportano, come Sidermec e Androni Giocattoli che sono sempre rimaste al nostro fianco come anche Salice Occhiali e Pella Sportswear. Ma intanto pensiamo alla stagione alle porte, per dare continuità al nostro discorso.

La vittoria di Macias nella tappa del Giro del Friuli, una delle perle del 2024 (foto Bolgan)
La vittoria di Macias nella tappa del Giro del Friuli, una delle perle del 2024 (foto Bolgan)
E per salutare Gianni nella maniera migliore…

La cosa che mi manca di più è quel telefono che squilla alle 11 del mattino. Era come una sveglia: Gianni era solito alzarsi tardi, infatti soffriva quando era al Giro e doveva svegliarsi presto. Durante la giornata ci sentivamo spesso, anche alla sera la sua ultima chiamata era per me. Ma cascasse il mondo, alle 11 del mattino il telefono squillava. E oggi a quell’ora mi capita di guardare lo smartphone e pensarlo…

Il popolo del ciclismo a Torino per l’addio a Gianni Savio

03.01.2025
6 min
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TORINO – «Mi raccomando, teniamoci in contatto». Prendendo in prestito il suo saluto elegante e gentile, gli amici del pedale hanno voluto dire così ciao a Gianni Savio ieri mattina alla Chiesa Gran Madre di Torino, luogo che peraltro ha salutato tanti arrivi celebri del Giro d’Italia negli ultimi anni.

Uomo e diesse d’altri tempi, che ha conquistato tutti con la sua classe e la sua disponibilità, Gianni ha radunato una squadra di oltre duecento persone tra ex corridori, diesse, meccanici, dirigenti, giornalisti e appassionati di ciclismo in occasione del suo funerale, celebrato nello stesso giorno in cui ricorreva anche la morte del Campionissimo Fausto Coppi. Tra i tanti presenti alla cerimonia anche Giovanni Ellena, Wladimir Belli, il presidente federale Cordiano Dagnoni e Franco Balmamion.

Il tributo di Tafi

C’era anche il re delle classiche Andrea Tafi, che con noi ha voluto ricordarlo così: «Il primo pensiero che mi viene in mente è che ha creduto subito in me. Il mio primo contratto da professionista ho avuto il piacere e l’onore di poterlo firmare insieme a lui, nonostante in tanti mi chiedessero perché volessi andare in una piccola squadra come la sua. Ha creduto fortemente in quello che avevo fatto da dilettante, mi ha dato questa grande opportunità e senza di lui non sarei qui a dire che ho vinto la Roubaix o il Fiandre. Questo gliel’ho ripetuto tante volte e, nonostante ci siano stati alti e bassi, sono stati anni bellissimi con Gianni. Ricordo ancora anche quando ha preso Leonardo Sierra, era uno scopritore di grandi talenti e ha dato le opportunità a chi aveva talento i mezzi per poterlo esprimerlo e non è cosa da poco».

Il campione toscano aggiunge ancora: «Come hanno detto in tanti in questa giornata, la cosa che è mi è piaciuta molto in lui è che non è mai cambiato di una virgola, sempre uguale nei suoi modi cortesi e con un solo ideale: l’amore per il nostro sport. Ci lascia una grande persona, un petalo di questo fiore meraviglioso che è il ciclismo».

Tafi ha ringraziato Savio per aver creduto in lui da giovane e avergli permesso di avere la sua grande carriera
Tafi ha ringraziato Savio per aver creduto in lui da giovane e avergli permesso di avere la sua grande carriera

Lo scopritore di talenti

Più di tre lustri, Savio li ha vissuti quotidianamente con Giovanni Ellena, ora al Team Polti-VisitMalta: «Abbiamo condiviso 17 anni di lavoro, ma è difficile fermarsi soltanto a una caratteristica di Gianni. Mi ricordo i nostri “scontri lavorativi”, in senso buono. Entrambi avevamo la testa dura e magari per arrivare a una conclusione ci passava del tempo. Però, da lui ho imparato molto e una caratteristica che ho cercato di fare mia è di non infierire nel momento degli errori, perché tutti ne commettiamo. L’ho visto trovarsi davanti a situazioni complicate, ma lui non ha mai inferito con la persona che aveva commesso qualunque tipo di errore. Anzi, si è sempre comportato in maniera elegante e signorile».

Tanti talenti internazionali, ma anche tanti giovani del nostro Paese lanciati nel mondo del pedale. «Tutti parlano di Bernal o Sosa, ma Gianni ha creduto in italiani che all’inizio nessuno voleva come Vendrame e Ballerini – prosegue Ellena – e che ora tutti vediamo quanto valgono. Loro due, come tanti altri hanno fatto tanta fatica a passare professionisti e probabilmente non ci sarebbero riusciti se non avessero incrociato Gianni Savio sulla loro strada». 

Ellena ha ricordato Vendrame e Ballerini, qui con Savio alla Tirreno del 2017, come alcuni dei talenti migliori scoperti da Gianni
Ellena ha ricordato Vendrame e Ballerini, qui con Savio alla Tirreno del 2017, come alcuni dei talenti migliori scoperti da Gianni

Un terzino alla Maldini

L’ex pro’ torinese Umberto Marengo, suo corridore per una stagione con la Drone Hopper-Androni, lo ricorda con affetto: «Con lui ho vissuto un’annata difficile nel 2022, anche a causa del Covid, ma non mi ha mai fatto mancare il suo appoggio. Ogni volta, ci infondeva tutta la sua grinta e ci dava tante motivazioni. La sua eleganza era il tratto distintivo e ha sempre creduto nei giovani».

C’è poi chi rimembra persino i suoi trascorsi sul rettangolo verde del pallone da ragazzo, prima di salire con classe sull’ammiraglia e non scendere più e lanciarsi alla scoperta di talenti. «Tra il 1975 e il 1976 abbiamo giocato insieme nel Vallorco, in Prima Categoria. Era un terzino fluidificante, alla Maldini, mentre io ero ala sulla stessa fascia, a destra. Era molto generoso e ben dotato tecnicamente. Ricordo che già allora era appassionato di bici e spesso ne parlavamo in spogliatoio, lui sempre con la sua eleganza e la “r” arrotata», racconta un ex compagno di calcio, Michele D’Errico.

Sullo sfondo, mentre Gianni se ne va, la sua amata Torino in una grigia giornata d’inverno
Sullo sfondo, mentre Gianni se ne va, la sua amata Torino in una grigia giornata d’inverno

L’uomo dei sogni

Sport e famiglia, i due capisaldi di Gianni. L’amata “Pablita”, con cui ha festeggiato le nozze d’oro la scorsa estate, ha affidato il suo messaggio nella lettura di un amico per ringraziare dell’ondata d’affetto ricevuta in questi giorni tra visite, telefonate e messaggi ricevuti da lei e dalle figlie Annalisa e Nicoletta. A raccontare le gesta del nonno al piccolo nipote Edoardo Felline ci penserà papà Fabio, ritiratosi ufficialmente due domeniche fa e anch’egli grato nel suo percorso, ciclistico e umano, al compianto suocero.

«Ci mancherai, grande Gianni. Di te mancheranno la gentilezza, la disponibilità, il tuo sorriso e l’attenzione che ponevi ai rapporti umani», le parole in chiesa di Vladimir Chiuminatto, diesse del Madonna di Campagna . «Il ciclismo è stata la tua seconda casa, in cui ti sei mosso sempre in maniera elegante. Ci mancherà vederti camminare con passo spedito nei pressi del traguardo poco prima dell’arrivo dei tuoi ragazzi. Grazie alla tua determinazione e alla tua competenza, hai contribuito a far avverare i loro sogni. Mancherai a tutte quelle persone con cui hai collaborato in questi anni e per cui sei stato un condottiero carismatico, così come ai tuoi tifosi. Non solo quelli italiani, ma a quelli di tutto il mondo, in particolare a quelli sudamericani, a cui hai regalato grandi imprese». 

Noi appassionati siamo certi che il suo sorriso disponibile ci accompagnerà sempre: d’altronde, Gianni si è semplicemente avvicinato in anticipo al traguardo. 

In Venezuela con Savio, sulle tracce di Rujano

31.12.2024
8 min
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Quando il piccolo aereo iniziò a salire verso Merida con il motore che dava inquietanti colpi di tosse, Gianni Savio reagì con un sorriso bonario allo sguardo preoccupato. Era la terza tappa di un viaggio che allora sembrava ancora più avventuroso. Da Roma ad Atlanta, poi Caracas, infine l’ultimo tratto verso Santa Cruz de Mora a casa di Josè Humberto Rujano. Il piccolo venezuelano era arrivato terzo al Giro d’Italia e andare a scoprire quel suo mondo così lontano era parsa un’idea grandiosa. La coincidenza saltata negli Stati Uniti ci aveva permesso di trascorrere una giornata ad Atlanta a dieci anni dalle Olimpiadi, scoprendone una faccia molto meno sfavillante della prima volta. La notte a Caracas, con la raccomandazione di Gianni di non uscire per nessun motivo dall’hotel, era passata rapidamente, l’adrenalina era davvero tanta. E ora il volo verso la principale località delle Ande Venezuelane era il modo più semplice per avvicinarsi e colmare il resto della distanza in auto su strade alte e piene di curve. Le montagne erano là davanti come dei contrafforti.

Gianni se ne è andato ieri. Ha lottato, ma alla fine ha poggiato la bici in un luogo sicuro e ha chiuso gli occhi. Si potrebbe raccontarlo attraverso i talenti che ha scoperto, siamo certi che avrebbero pagine da raccontare. Ma adesso quel che ci assale è l’onda dei ricordi personali attraverso cui imparammo a conoscere e capire quell’uomo che da solo lottava in mezzo ai giganti con la dignità del grande condottiero. Sempre con la giacca e la camicia. Sempre con un sorriso. E sempre con grandi storie in fondo agli occhi, fatte di lunghi viaggi in terre sconosciute da cui, cercatore d’oro, tornava ogni volta con un nuovo nome da proporti.

Giro del 2005, Rujano vince a Sestriere e ipoteca il podio dietro Savoldelli e Simoni
Giro del 2005, Rujano vince a Sestriere e ipoteca il podio dietro Savoldelli e Simoni

Caffè e Rolex

L’abitazione della famiglia Rujano era piccola e allegra, tirata a lucido come quando aspetti una persona importante. Si vedeva che «el señor Giani» fosse di casa. Lo capivi dalla festa dei bambini e dalle facce sorridenti e beate di chiunque venisse fuori dalla porticina con la tenda di fili che toccandosi facevano un rumore allegro. Il padre del corridore era un ometto piccolo e ricurvo, con molti meno anni di quelli che dimostrava. Il tempo che Gianni facesse le presentazioni e per me iniziò la fase delle domande, delle foto e della curiosità. Lui invece si mise in un angolo a raccogliere gli umori e i racconti di quella famiglia cui aveva offerto una chance importante.

Quel giorno Rujano ci portò a fare un giro nei luoghi della sua infanzia. Quelli in cui avrebbe trascorso la sua esistenza di raccoglitore di caffè se non avesse incontrato la bicicletta. Per fare la foto nella piantagione indossò un Rolex nuovo di zecca, preso dalla banca per l’occasione. Non si fidava a tenerlo in casa, perché le rapine erano all’ordine del giorno. Quando quelle foto girarono in Europa, i corridori di qui ironizzarono su quell’orologio che probabilmente per Josè significava avercela fatta, il simbolo dell’emancipazione. Loro cosa ne sapevano di cosa significasse avere fame?

«Sono situazioni che ho visto tante volte – disse Savio la sera mentre tornavamo verso l’alberghetto al Tovar – soldi che gli cambiano la vita e che devono essere bravi a gestire, ma so già che non sarà facile. Una volta forse era più facile, oggi ci sono tante persone che gli girano attorno, sia qui sia in Europa. Gente che chiede e, se il corridore è buono come Rujano, il rischio è che i soldi finiscano presto. Domani ti porto a casa di Leonardo Sierra, quello del Mortirolo al Giro del 1990. Non lo riconoscerai».

Gli occhi di Sierra

Leonardo Sierra, una porta sui ricordi. La prima volta del Mortirolo al Giro d’Italia e il venezuelano in fuga che cadeva in discesa quasi ad ogni curva. Vinse la tappa nel suo secondo anno da professionista e diede l’avvio a una carriera di otto anni, quasi tutta con Savio. Prima alla Selle Italia, poi alla ZG Mobili, quindi nel 1994 il grande salto nella Carrera al fianco di Chiappucci e Pantani. Il tempo di ricordare la sua immagine da indio e il faccione che si affacciò alla finestra della casetta nel prato fu davvero un colpo. Era lui, tanti chili di più. La voce che sapeva di birra anche di buon mattino e gli abbracci al «señor Giani» con quell’affetto sudamericano che supera la barriera del tempo. Lo sguardo era sempre lo stesso, un po’ languido ma con un fondo di fuoco.

«E’ tornato qua – raccontò Gianni – ha speso parecchio, ma alla fine è stato furbo a tenersi qualcosa da parte. Non vive da signore, ma non ha nemmeno l’esigenza di lavorare. E vedrete che farà anche pace col bere».

La conferma venne qualche tempo dopo attraverso la foto di un Sierra più magro spulciata su qualche social e tramite lo stesso Rujano, incontrato nuovamente in Argentina al Tour de San Luis, quando si era rimesso a correre per guadagnare ancora qualcosa e aiutare suo figlio. Gianni aveva visto giusto. Nel 2006 infatti, Josè fu convinto dal suo agente a mollare la squadra durante il Giro e fu portato alla Quick Step di Boonen campione del mondo. Ci rimase per pochi mesi, poi cambiò altre due squadre per tornare infine alla Androni del «señor Giani». Ci rimase in tempo per vincere ancora una tappa al Giro, ma alla fine anche lui appese al chiodo la bici che era diventata di colpo troppo pesante.

A 4.200 metri

Gianni parlava e intanto la strada si arrampicava. Parecchi ciclisti, il clacson che suonava per salutarne alcuni e chiamarli per nome. L’ultimo passaggio di quei pochi giorni in Venezuela, dopo aver rilasciato delle interviste a una radio locale, prevedeva di salire fino a Pico el Aguila, il Teide di laggiù, ma duemila metri più in alto. Rujano all’ultimo momento scelse di non venire, perché disse che avrebbe iniziato ad allenarsi e salire lassù non era adatto al momento. Per cui facevano strada Gianni e un allenatore di cui oggi è impossibile ricordare il nome.

La pendenza sembrava dolce, poca roba e ti accorgevi che qualcosa stesse cambiando quando ti fermavi per guardare il panorama e sentivi la testa pesante. Arrivammo dopo 80 chilometri di salita da Merida. Un rifugio. Delle antenne. E la strada che proseguiva pianeggiante con un anello di una decina di chilometri. Salire di slancio i quattro gradini per entrare nel bar ci fece capire la differenza fra una quota europea e l’assenza di ossigeno in questo avamposto andino.

«A volte quando sento parlare dell’altura in Europa – disse Savio – mi viene da sorridere. Qui siamo quasi a 4.200 metri. Rujano e i corridori di qui ci vengono spesso nei momenti in cui si allenano sul serio. Arrivano quassù e poi hanno questa strada di pianura in cui fanno i loro giri. Credo che qualche volta si fermi a dormire qui. Capito perché quando devono salire sullo Stelvio o sulla Marmolada, per loro non è questa grande preoccupazione?! Anche le corse qui sono tutte abbastanza simili. Prima i chilometri piatti in basso in questi stradoni tutti uguali, poi puntano una salita interminabile e inizia la selezione».

I meriti di Gianni

Il resto è un collage di ricordi che passano per le fughe del Giro e le polemiche per le esclusioni davanti alle quali «el señor Giani» usciva dai gangheri, ma sempre con quel suo stile da signore d’altri tempi. La squadra mista al Tour del 1995, in cui i suoi corridori corsero assieme a quelli della Deutsche Telekom che l’anno dopo il Tour lo avrebbero vinto con Riis e poi con Ullrich. La nuova vita regalata a Scarponi, Rebellin e Bertolini, come pure a Masnada e Cattaneo. La scoperta di Egan Bernal. Nessuno gli ha mai riconosciuto sino in fondo i meriti che aveva.

Questo nuovo ciclismo non sembrava più la casa di Gianni Savio e forse per questo – e per i problemi di salute – tenersene lontano non gli era parso poi così difficile. Invece, dopo la delusione della Drone Hopper, era ripartito con il progetto della Petrolike che gli aveva fatto brillare nuovamente gli occhi. C’era tutto il suo mondo. Il Sudamerica. Il senso di aver scoperto qualcosa di nuovo. E anche il gusto per la sfida contro i più grandi, con l’eleganza e l’ironia di sempre. In questo pedalare veloci verso l’assenza di limiti, sentiremo la mancanza del «señor Giani». Ci piace pensare che sia da qualche parte laggiù, in mezzo alle sue Ande, in cerca di un nuovo nome da proporci.

Savio, l’avventura in Messico e l’ingaggio di Caicedo

27.01.2024
5 min
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Lo scorso anno l’avventura colombiana della GW Shimano, oggi il dirottamento verso il Messico e la Petrolike: il nuovo progetto che vede protagonista Gianni Savio e Marco Bellini. Il manager torinese tiene fede alla sua fama di giramondo e di innovatore del ciclismo, novello Caronte che ha attraversato mille fasi, ma che con la sua esperienza frutto dei tanti anni sulle strade è ancora all’avanguardia anche nel ciclismo contemporaneo.

Gianni Savio, 75 anni. La Petrolike è la sua tredicesima squadra dal 1992
Gianni Savio, 75 anni. La Petrolike è la sua tredicesima squadra dal 1992

Tutto nasce da “Don Hector”…

Che cos’ha di particolare la Petrolike? La curiosità nasce soprattutto da un nome, praticamente il primo che è stato ingaggiato: Jonathan Caicedo. Non un corridore qualsiasi, perché parliamo del vincitore di una tappa al Giro d’Italia appena tre anni fa. L’ecuadoriano, insieme a Camargo ha lasciato il “paradiso” del WorldTour per entrare in una squadra certamente ambiziosa, ma che rientra ancora fra le continental. Un passo indietro che stupisce. D’altronde la differenza di consistenza si è vista subito, considerando il suo trionfo alla Vuelta al Tachira. Il battesimo della squadra messicana non poteva essere migliore.

Savio non c’era: ancora alle prese con i postumi di un intervento chirurgico, è rimasto in Italia tenendosi in contatto con il team via telefono e in particolare con il diesse David Plaza, anche lui dal passato consistente, con 13 anni da professionista.

«Il progetto – spiega Savio – è frutto della passione del titolare della Petrolike, Don Hector Guajardo. Pensate che gestisce una delle più grandi imprese petrolifere del Centro e Sud America, eppure ogni giorno non manca di farsi la sua uscita in bici. Nel progettare il team, il magnate messicano ha pensato a noi come gestori tecnici, ma anche a prendere almeno un corridore di fama, in grado di garantire l’immagine fin da subito per pilotare la squadra verso il suo futuro, destinato, lo dico subito, quantomeno a una professional in breve tempo».

Caicedo, 30 anni, aveva vinto la tappa del Giro 2020 sull’Etna, con 21″ su Visconti
Caicedo, 30 anni, aveva vinto la tappa del Giro 2020 sull’Etna, con 21″ su Visconti
Su che basi Caicedo ha fatto questo passo indietro? Non è una cosa comune…

Il suo ingaggio dall’EF Education EasyPost è stato deciso direttamente dalla dirigenza messicana, Jonathan è arrivato anche prima di me e Bellini. Hector è un personaggio schivo, che non vuol neanche apparire troppo, tanto che non è voluto essere presente nel video di presentazione, ma ha idee molto chiare. La scelta di Caicedo è giustamente stata legata a fattori economici, d’altronde parliamo del campione nazionale di un Paese piccolo, ma che nel ciclismo inizia a contare.

Com’è stata costruita la squadra?

Con Jonathan c’è Camargo che è un corridore in crescita, poi Nelson Soto che ha corso nella Caja Rural ed è un buon velocista, che nel Continente può fare la differenza. Con loro una serie di giovani messicani molto promettenti. L’intento di base della squadra è promuovere il ciclismo in Messico e portarlo a livello internazionale. Dopo l’esperienza del gruppo di Ugrumov a San Marino, da dove è emerso un talento come Del Toro, c’era bisogno di dare ulteriore impulso al movimento che ha grandi potenzialità. Poi un tecnico come Plaza è già una garanzia per un progetto destinato a durare.

Il trionfo di Caicedo a Tovar, che gli è valso la vittoria alla Vuelta al Tachira (foto Diario de los Andes)
Il trionfo di Caicedo a Tovar, che gli è valso la vittoria alla Vuelta al Tachira (foto Diario de los Andes)
Un progetto legato solamente al Messico e/o al Continente Americano o ci sarà spazio anche per corridori italiani?

Io e Marco siamo abituati ad andare per gradi, fare un passo alla volta soprattutto dopo esperienze ancora recenti che ci hanno scottato come quella della Drone Hopper. Iniziamo intanto con questo gruppo, con un livello continental portando i ragazzi a gareggiare in Europa e anche in Italia, dove già abbiamo ricevuto diversi inviti. Procediamo sulla base di un programma condiviso, se tutto andrà come deve già dal prossimo anno potremo chiedere la licenza professional e allargare il roster, anche con qualche corridore giovane italiano.

Alla Vuelta al Tachira c’era anche la GW Shimano e quindi la domanda viene spontanea: perché questo vostro cambiamento?

Il rapporto con il team colombiano si è chiuso senza la minima vena polemica, in perfetto accordo. Noi contavamo di poter lavorare su un progetto in divenire, almeno triennale come ci era stato detto con un corposo aumento del budget ogni anno, ma alla fine del 2023 ci è stato detto che i soldi a disposizione erano gli stessi dell’inizio, quindi non eravamo più in grado di sostenere un’attività internazionale. Il team ormai è strettamente colombiano, noi avevamo altre idee quindi ci siamo lasciati senza alcun rancore. Venivamo da una grande stagione, con ben 32 corse vinte tra cui alcune anche importanti, basti pensare alla doppia presenza nella Top 10 del Giro Next Gen. Le basi tecniche c’erano, ma non quelle economiche.

La volata vincente di Nelson Soto a San Cristobal. Il colombiano è stato doppio argento ai Panamericani (foto Compasinformativo.com)
La volata vincente di Nelson Soto a San Cristobal. Il colombiano è stato doppio argento ai Panamericani (foto Compasinformativo.com)
Alla Petrolike c’è una situazione diversa?

Parliamo di investimenti molto maggiori, di spunti importanti e della volontà di promuovere l’attività nel Paese e non solo. Da una parte c’è l’esempio di Del Toro, dall’altro anche quello di Umba, colombiano che proprio partendo dal nostro precedente gruppo sta ora sviluppando la sua carriera che spero sia molto fortunata. Lo dico molto sinceramente: mi piacerebbe che in Italia si tornasse ad avere qualche patron come Don Hector, con la stessa passione e la stessa voglia d’investire, come avveniva nel secolo scorso quand’eravamo l’ombelico del mondo. Allora sì che potremmo rilanciare il ciclismo tricolore…

GW Shimano un anno dopo. Savio è soddisfatto e rilancia

28.10.2023
5 min
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«Alla fine sono soddisfatto della nostra stagione. Soprattutto se penso da dove eravamo partiti. Anche per questo voglio fare i complimenti a tutta la squadra: staff, corridori, meccanici…». Gianni Savio introduce così la prima annata della GW Shimano-Sidermec.

La squadra era nata in fretta e furia dopo il “crollo” di Drone Hopper. E non è neanche preciso dire che sia nata da quelle ceneri. Il discorso è diverso, più complesso e, se vogliamo, anche più romantico.

Gianni Savio, team manager della GW Shimano-Sidermec
Gianni Savio, team manager della GW Shimano-Sidermec

Dal fattaccio…

«Credo – racconta Savio – che per comprendere questa stagione della GW Shimano sia necessario ripartire da quanto accaduto un anno fa, quando siamo stati spiazzati da Drone Hopper, il nostro main sponsor.

«Da giugno in poi hanno smesso di pagare. Io e Marco Bellini abbiamo fatto dei miracoli per arrivare al termine del 2022. Devo ringraziare alleati storici, come Pino Buda di Sidermec per esempio, e il premio di valorizzazione di Piccolo e Cepeda ceduti alla EF Education EasyPost. Ricordo che il bonifico legato alla loro cessione arrivò il martedì e il mercoledì era già verso altri lidi».

Drone Hopper aveva un contratto quadriennale con il team e paradossalmente Savio e i suoi poche volte erano stati tranquilli come allora. Questo significava poter pianificare. Invece le coperture non c’erano. C’era però un parco mezzi, tra cui un camper e il motorhome, uomini, atleti e conoscenze da non perdere.

«Per fortuna – prosegue il piemontese – ho ancora dei buoni rapporti con la Colombia e mi è arrivata questa offerta per fare una continental più strutturata». Di fatto per il gruppo colombiano GW Shimano c’era la possibilità di fare attività in Europa.

Tanti i giovani primettenti. Qui Acuna (21 anni) alla Bernocchi. Anche per il prossimo anno la squadra correrà con bici GW
Tanti i giovani primettenti. Qui Acuna (21 anni) alla Bernocchi. Anche per il prossimo anno la squadra correrà con bici GW

Alla rinascita

Poi sappiamo come è andata. E’ nata appunto questa squadra che ha consentito a Savio e Bellini di portare a casa rispettivamente il 40° e il 20° anno di attività. Traguardi non da poco. L’attività prende corpo. La GW Shimano-Sidermec, stravince in Sud America, anche se spesso si è trattato di corse più piccole e open, e se la cava benissimo anche nel Vecchio Continente.

«Abbiamo corso molto anche da noi – prosegue Savio – in tutto abbiamo messo nel sacco 30 giorni di corse 2.1 e 1.1 (il massimo livello consentito ad una continental, ndr), ottenendo buoni piazzamenti e persino una vittoria: Restrepo al Giro di Reggio Calabria (nella foto di apertura, ndr). E poi c’è stata l’esperienza, per me nuova e fantastica, del Giro d’Italia under 23».

Affiatamento e buon clima hanno portato a risultati di tutto rispetto (foto Instagram)
Affiatamento e buon clima hanno portato a risultati di tutto rispetto (foto Instagram)

Sorpresa Giro U23

E qui il tono di Savio si accende. Il manager è rimasto colpito in positivo dal “baby Giro”. Un’aria diversa che ben collimava con la rosa giovane dei corridori, a parte qualche eccezione.

«Abbiamo piazzato due atleti nei primi dieci – dice Savio – German Gomez quarto e Santiago Umba nono. Siamo saliti sul podio della classifica a squadre lottando con corazzate come la Jumbo-Visma Development. Tutto ciò, accompagnato dalle tante vittorie in Sud America, mi ha lasciato soddisfatto». 

L’idea di provare a fare un salto di categoria e tornare professional c’è anche stata, le risorse no. Inoltre Savio e Bellini dopo quanto accaduto un anno fa hanno adottato la politica del “rischio zero”.

«Non ci prenderemo più neanche i rischi calcolati», vale a dire fare dei progetti, prendere dei corridori senza ancora la copertura in mano, ma sapendo, come di fatto poi avveniva, di avere le risposte dagli sponsor storici. Insomma fare impresa.

Quattro dei cinque atleti della Colombia U23 ai mondiali erano della GW Shimano-Sidermec. Qui: Pescador, Guatibonza e Gomez (più Umba)
Quattro dei cinque atleti della Colombia U23 ai mondiali erano della GW Shimano-Sidermec. Qui: Pescador, Guatibonza e Gomez (più Umba)

Avanti coi giovani

«Il progetto sui giovani – dice Savio – qui c’è stato per davvero. Alcuni, come Umba e Guatibonza, sono in procinto di passare in due WorldTour e presto annunceremo il tutto. Per l’anno prossimo sarebbe bello rifare il Giro U23. Abbiamo raccolto degli ottimi risultati alla Vuelta Colombia U23 e al Tachira, in Venezuela, abbiamo vinto appunto con Jonathan Guatibonza, un colombiano atipico visto che è un velocista!

«Il nostro progetto va avanti. Siamo in trattativa con alcuni ragazzi e per questo non faccio nomi. La linea resta la stessa comunque: più atleti del Sud America – avendo GW Shimano come main sponsor è normale – e qualche ragazzo italiano. Intendiamo poi incrementare la partecipazione in qualche corsa di alto livello per noi, penso ad un Sibiu Tour per esempio. Già prendere parte a gare così ti consente di acquisire maggiori punteggi e magari passare dall’86ª posizione nel ranking UCI alla 35ª».

Savio si conferma un inguaribile ottimista e speriamo possa continuare a lungo. Certo però che una storia simile, ci riporta a quanto scritto nel nostro ultimo editoriale: la mancanza di un “sistema corale del fare ciclismo” in Italia. Quando si sente che il Tour de France dirotta alcuni suoi sponsor a favore delle squadre e delle corse nazionali, viene da pensare che magari anche questa situazione sarebbe potuta andare diversamente.

Bici e valigia pronta per Malucelli, il ciclista giramondo

01.10.2023
6 min
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Mentre domenica si correva l’europeo, Matteo Malucelli stava affrontando la Paris-Chauny, classica del calendario francese adatta alle ruote veloci e nell’occasione ha chiuso al 9° posto. Potrà sembrare poco a uno sguardo superficiale, ma non è così. Per il ventinovenne forlivese è la continuazione di una stagione, la sua prima nella Bingoal dove ha colto ben 13 Top 10 e per una squadra come quella belga, affamata di punti Uci, è un bel bottino.

Quella fiamminga è solo l’ultima squadra nella carriera di Malucelli, diventato suo malgrado una sorta di giramondo. Basti pensare che dal 2020 ha girato ben 5 team e ognuno gli ha dato qualcosa, lo ha fatto crescere non solo come ciclista ma anche dal punto di vista umano. Tutto serve per la sua maturazione, anche gare come quella di domenica scorsa.

Jasper Philipsen vincitore in volata sui francesi Tesson e Penhoet, con Malucelli nono (Photo News)
Jasper Philipsen vincitore in volata sui francesi Tesson e Penhoet, con Malucelli nono (Photo News)

«Non era una gara qualunque, se si considera che a vincere è stato Jasper Philipsen e che sono arrivato a pochi centimetri da gente come Coquard e Girmay. Era la prima volta che la facevo: quand’ero all’Androni frequentavamo la porzione primaverile delle classiche franco-belghe, queste no e per me è stata una scoperta».

Che gara era?

Dicono che sia una corsa per velocisti e infatti si è conclusa con una volata di gruppo, ma lo sprint te lo devi guadagnare perché ci sono 2.300 metri di dislivello e infatti qualche pezzo grosso è rimasto indietro, come Groenewegen. A me quelle strade piacciono, più di quelle belghe perché ci sono meno spartitraffico e rotonde, il tracciato è più filante pur avendo le caratteristiche tipiche di quelle prove. Per me essere arrivato nei primi 10 vuol dire tanto, conferma che sto attraversando un buon momento.

Sui muri delle Fiandre, Malucelli si sta trovando a meraviglia e vuole emergere nel 2024
Sui muri delle Fiandre, Malucelli si sta trovando a meraviglia e vuole emergere nel 2024
Anche nelle prove immediatamente precedenti eri andato bene…

Sì, dal mio rientro in gara a metà settembre ho “bucato” solo la prima corsa, il Campionato delle Fiandre perché sono caduto a 200 metri dal traguardo sennò sarei sempre stato intorno alla decima-quindicesima piazza. La mia è stata una stagione abbastanza strana, con tante corse nella prima parte e poi una lunga pausa in estate perché non c’erano impegni nel mio calendario e che ho usato per allenarmi a casa, poi ho ripreso con il Renewi Tour che era poco adatto a me. Io sono uno che cresce di condizione correndo, per questo sono fiducioso per le prossime gare.

Come ti trovi nel team belga?

Non è facile, bisogna adattarsi a un sistema diverso dal nostro, per fortuna qui tra Spezialetti fra i diesse e Tizza nel team, c’è anche un po’ d’Italia che addolcisce il tutto. I risultati sono frutto anche del mio capire pian piano come stanno le cose. In primavera ho preso belle mazzate in gara, perché proprio non mi ci ritrovavo.

Con Tizza che per Matteo è stato fondamentale nell’ambientamento in Belgio
Con Tizza che per Matteo è stato fondamentale nell’ambientamento in Belgio
Tu sei quasi tuo malgrado un ciclista globalizzato: 5 diversi team in 5 diverse parti del mondo dal 2020 in poi. Proviamo a identificare ogni capitolo attraverso un particolare iniziando dalla Caja Rural

Ci sono rimasto due anni, ma praticamente il secondo, dove dovevo mettere a frutto quello che avevo imparato, non ho potuto correre per il Covid che aveva fermato tutto. Una cosa che mi è rimasta impressa? La cena alle 21,30, io sono abituato a mangiare alle 19,30, loro a quell’ora facevano merenda. Dicevo loro: «Ma non vi pesa andare a letto con la pancia piena?». Oltretutto alzandosi poi presto la mattina. Non riuscivo proprio ad abituarmi…

Nel 2021 sei tornato così all’Androni…

Se si parla di Androni si parla di lui: Gianni Savio. Gli devo tantissimo e proprio avendo girato il mondo ho capito a posteriori quanto valga, il suo modo di vedere il ciclismo, anche il suo carattere per certi versi particolare ma necessario per farsi rispettare in questo mondo.

Poi sei approdato alla Gazprom…

E dico la verità, mi ci sarei fermato a lungo perché era la squadra ideale per me, con una buona parte italiana, ma con una metodica russa, fatta di regole chiare, di programmazione, l’ideale per la mia mentalità da ingegnere, dove non si trascurava nulla. Tutti sanno com’è andata a finire e mi è dispiaciuto tantissimo.

Ad agosto dello scorso anno hai trovato posto al China Glory Continental Team

Non era certo facile, un team così lontano dalla nostra cultura, ma ho apprezzato quell’esperienza. Anche in questo caso, parlando di che cosa mi è rimasto impresso, mi viene in mente qualcosa legato all’alimentazione. Avevo corso spesso in Cina ma non mi ero mai fidato della cucina locale, avevamo sempre i nostri cuochi e nostri cibi. Mi sono dovuto adattare e ho scoperto una cucina tipica molto buona, oltretutto più salutare di quanto si possa pensare.

La volata finale del Saudi Tour con il forlivese beffato da Consonni
La volata finale del Saudi Tour con il forlivese beffato da Consonni
Infine l’approdo alla Bingoal…

Devo dire grazie a Tizza che mi ha dato una mano sia ad entrare che ad ambientarmi. Trovare una cosa bella? Devo dire il calendario che fanno, tutte gare franco-belghe con i classici muri e il pavé, qualcosa che avevo visto solo in televisione e dove mi sono trovato bene. Questa poi è davvero la patria del ciclismo: fai una gara neanche troppo conosciuta al martedì? Al mattino è pieno di gente alla partenza, c’è un clima unico, sono appassionati veri.

A proposito di viaggi, ti aspetta il Giro di Turchia.

L’ho già affrontato tre volte ed è una gara che mi piace molto, ci sono 4-5 occasioni per sprint di gruppo, in alcune tappe forse è scontato, in altre bisognerà guadagnarselo. Io vorrei sfruttare la buona condizione che ho anche per migliorare i miei risultati e per capire che cosa mi aspetta il prossimo anno.