Pozzovivo sulla strada del Giro con le brugole in tasca

22.02.2022
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L’episodio di Pozzovivo che parte dall’Italia per andare a Charleroi a recuperare la nuova bici, raccontato nei giorni scorsi dal suo agente Scimone, è ancora più colorito di quanto fosse sembrato in un primo momento.

«Ero a metà ritiro sull’Etna – racconta Domenico – e grazie a Piva, che stava andando in Oman, sono riuscito a organizzare di prendere la bici. Sarei voluto partire da Catania, ma non c’erano voli. Così ho guidato fino a Palermo. Sono andato in Belgio. L’ho presa e sono tornato in Sicilia per continuare ad allenarmi. Metà ritiro con la BMC del 2021, metà sulla Cube con cui correrò quest’anno».

La squadra con Pozzovivo è arrivata a quota 32 atleti. Dopo Kristoff, l’italiano è il più rappresentativo
La squadra con Pozzovivo è arrivata a quota 32 atleti. Dopo Kristoff, l’italiano è il più rappresentativo

Due ritiri in 7 giorni

In uno scambio di messaggi alla vigilia della Ruta del Sol con la Intermarche-Wanty-Gobert, Domenico aveva scherzato dicendo di essere piuttosto indaffarato nel fare in pochi giorni quello che normalmente si fa in due training camp e che se la sarebbe cavata con l’esperienza. E da qui cominciamo. Domenico è al volante, di rientro verso Morcote in Svizzera dove vive. Un asceta della bici e una gran brava persona, misto di passione e serietà.

Il debutto con la nuova squadra è andato, con l’ottavo posto nel giorno della vittoria di Covi e una caduta l’indomani (terza tappa) nei pressi del traguardo di Otura che gli ha portato qualche abrasione.

Per Pozzovivo, prima corsa con tanto morale e un elenco ben chiaro di cose da fare
Per Pozzovivo, prima corsa con tanto morale e un elenco ben chiaro di cose da fare
Sei riuscito a fare quel che avresti fatto in due ritiri?

Nel mio caso (ride, ndr) ne sarebbero serviti tre. Si può capire che non ho ancora la posizione ideale. Non sono mai stato di quei corridori che vanno in giro con le chiavi in tasca facendo i vari aggiustamenti, invece questa volta l’ho fatto per mettermi a posto il più rapidamente possibile. Ho provato diversi set-up, ma ancora non ci sono arrivato. La gara è stata la verifica per capire se ho fatto tutto nel modo giusto. E poi mi sono dato una dead line nella Tirreno-Adriatico. Fino a lì ci arriverò come meglio posso, poi faremo qualche approfondimento.

Andare in Belgio è stato davvero necessario, insomma…

L’alternativa sarebbe stata avere la bici il giorno prima della corsa. Io la notte dormo sereno, ma quella è una prospettiva che non mi tranquillizzava molto.

A proposito di dormire tranquillo, ci riuscivi anche non avendo squadra ad anno ampiamente iniziato?

Ho sempre dormito. Mi ero fissato l’obiettivo di essere in condizione il primo febbraio. L’esperienza precedente più simile era stata la firma a fine 2019, dove eravamo arrivati al 27 dicembre, perciò quando abbiamo passato quella data, ho iniziato a preoccuparmi. Avrei raggiunto la condizione. Avrei fatto qualche salita a tutta. E poi avrei smesso.

Al Giro dell’Emilia 2021, Pozzovivo è arrivato 14°. Ha chiuso la stagione una settimana dopo al Lombardia
Al Giro dell’Emilia 2021, Pozzovivo è arrivato 14°. Ha chiuso la stagione al Lombardia
In serenità?

Con un bel fastidio, perché sapevo che c’erano tante squadre con vuoti in organico in cui avrei potuto benissimo trovare posto. Mi avrebbero potuto prendere ai saldi di fine stagione, ma è vera la battuta sul fatto che avevo trovato squadra quando ero zoppo e stentavo a credere di non riuscirci ora. Quando nel 2019 firmai con la NTT, ancora non camminavo.

E’ vero che i giovani fortissimi oggi in gruppo ti spingono a superare i tuoi limiti?

Mi spostano i numeri. Prima raggiungevo un certo standard e valutavo che bastasse. Adesso il livello è più alto e non posso più accontentarmi. Potreste chiedermi perché non lo facessi anche prima e in effetti qualche rimpianto potrei averlo, ma è anche vero che qualche anno fa non c’erano le stesse tecnologie e le stesse metodiche di allenamento.

Arrivare in condizione al primo febbraio significa essere in anticipo?

Rispetto agli ultimi due anni, sicuramente. Rispetto a quando debuttavo in Australia, non proprio. L’incidente mi ha lasciato degli strascichi. Se lavoro bene arrivo al 100 per cento, altrimenti sono all’80. Non riesco più a stare intorno al 90 per cento. Quindi ho doppia scelta: essere al top o soffrire troppo. L’anno scorso ho sofferto troppo e non volevo ripassarci.

Pozzovivo trova ad attenderlo altri tre italiani: Petilli, Rota e Pasqualon
Pozzovivo trova ad attenderlo altri tre italiani: Petilli, Rota e Pasqualon
Come ti trovi in squadra?

Sentivo tanto parlare di clima familiare e mi pare che sia vero. C’è parecchia Italia e c’è anche competenza. Quello che mi dispiace è non aver preso parte ai ritiri e di conseguenza i programmi sono stati fatti senza prevedere me. Sarò io a dovermi adattare ai piani e al clima della squadra, ad esempio per il Giro. Se ci fossimo allenati insieme, conoscerei le caratteristiche dei miei compagni e oggi ci sarebbero altre sintonie. Anche questo fa parte del dover recuperare.

Il gruppo Giro?

La firma del contratto è stata legata agli obiettivi. E a parte Louis Meintjes, la squadra non ha altri corridori da corse a tappe, per cui il Giro sarà la mia stella polare e ho chiesto di aggiungerci la Vuelta. La motivazione ad andare avanti è stata proprio il ritiro dall’ultima edizione, dopo la tappa di San Giacomo. Mi sentivo bene, andare via e non cercare riscatto sarebbe stato come lasciare il libro a metà.

L’adrenalina del pericolo scampato ti spingerà a dare di più?

Devo dire che sul piano dell’impegno (sorride, ndr) ho pochi margini. Il fatto di aver cambiato squadra e di dover gestire questa situazione sono uno stimolo per uscire dalla routine e sicuramente daranno qualcosa in più.

Crono di Torino al Giro 2021, Pozzovivo fra gli scalatori andati meglio: 31″ da Ganna
Crono di Torino al Giro 2021, Pozzovivo fra gli scalatori andati meglio: 31″ da Ganna
Davvero credevi che la Qhubeka sarebbe ripartita?

Eravamo in contatto con Ryder Douglas e lui ci trasmetteva fiducia. Per cui quando a novembre è uscito l’elenco dei team WorldTour e noi non c’eravamo, è stato un fulmine a ciel sereno. Ricordo bene. Così come ricordo il momento in cui Raimondo mi ha detto che era fatta con la Intermarché. Ero sul Teide, quel posto porta bene. Ero lassù anche a fine dicembre 2019 quando arrivò la NTT.

Quindi quali sono i prossimi passi?

Sul fronte delle corse, il programma prevede Laigueglia, al 99,9 per cento la Tirreno-Adriatico, un altro periodo in altura, il Giro di Sicilia, Freccia, Liegi e Giro d’Italia. Non farò il Tour of the Alps perché la squadra è al completo, ma ho sempre detto che mi sarebbe piaciuto andare in Sicilia e ci andrò.

Quali altri fronti ci sono oltre alle corse?

Quello dei materiali. Il fitting dell’abbigliamento con Nalini, che per me non è banale, incluso il body da crono. E poi sempre per la crono dovrò prendere la bicicletta. Credo che il modello nuovo uscirà per il Tour, per cui al Giro dovremmo avere quella del 2021. Mi prenderò il tempo che serve dopo la Tirreno per trovare tutte le soluzioni più giuste. Dopo il buon livello raggiunto l’anno scorso, voglio raggiungere uno standard ugualmente soddisfacente.

Ehi Alberati, ma chi è questo Buitrago?

28.07.2021
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«Un paio di giorni fa visto che era qui da me nel Parco Ciclistico Etna ad allenarsi in altura, gli ho fatto fare un test, in accordo col suo team ed il suo allenatore Aritz, e sono usciti dei valori speciali. Un qualcosa del genere non hai la fortuna di vederlo sempre». Chi parla è Paolo Alberati e il soggetto in questione è Santiago Buitrago, giovane colombiano che corre nel team Bahrain-Victorious

Paolo Alberati, oltre ad esserne il manager insieme a Maurizio Fondriest e ad Andrea Bianco, è anche il suo punto di riferimento qui in Europa o comunque un consigliere fidato. Fino a qualche giorno fa, come detto, “Santi” era “a casa” di Alberati in Sicilia, e più precisamente in ritiro sull’Etna. L’obiettivo? Preparare il finale di stagione. Per ora sembra non essere stato inserito nella squadra che andrà alla Vuelta, ma nulla è perduto. «Santiago ci tiene molto – ha detto Alberati – E’ lì che l’anno scorso ha fatto la sua prima grande corsa a tappe. E non era al top, aveva anche tre chili in più di adesso. Vorrebbe fare bene San Sebastian e appunto andare alla Vuelta».

Buitrago in allenamento sulle strade siciliane in compagnia di Canaveral della Bardiani
Buitrago in allenamento sulle strade siciliane in compagnia di Canaveral della Bardiani

Dalla Colombia all’Italia

«L’ho scoperto come sempre con l’aiuto di Andrea Bianco, mio amico esperto di ciclismo che da molti anni vive in Colombia a Bogotà. Mi ricontattò nel 2015 suggerendomi un ragazzino che era sprecato per fare “solo” Mtb. Quel ragazzino era Egan Bernal. Da lì abbiamo iniziato a lavorare insieme. Negli anni sono arrivati Sosa, Rivera, Osorio e adesso Buitrago. Mi fido molto di Bianco. Non andiamo a vedere solo i risultati ma chi ci sembra possa avere più potenziale.

«Così a marzo 2018 Buitrago arriva in Italia. Lo mando al team Cinelli di Francesco Ghiarè (adesso all’Area Zero), tra Toscana e Liguria. Lui gli dà casa e sostegno e noi continuavamo ad allenarlo. Ricordo che facemmo un test nel mio studio a Perugia, appena arrivato, e siglò un Vo2 Max superiore ad 80. E infatti si piazzò subito, fece anche una vittoria. Così lo segnalammo ad alcune squadre WorldTour. Dopo il Giro della Valle d’Aosta, che finì quarto, la Bahrain lo mise sotto contratto: un triennale con salario ad incremento nelle stagioni successive».

Adesso Buitrago ha la residenza ad Andorra e questo visto i tempi di pandemia gli ha semplificato non poco la vita con le varie restrizioni per quel riguarda i voli. In più lassù, tra i Pirenei, si sente anche un po’ alle quote di casa (è della regione di Bogotà).

Buitrago alla Settimana Internazionale Italiana
Buitrago alla Settimana Internazionale Italiana

Il via libera di Caruso

Ma noi Buitrago lo abbiamo “scoperto” soprattutto alla Settimana Internazionale Italiana. In Sardegna doveva aiutare Padun.

«Ma è successo – riprende Alberati – che Santiago, che è molto rispettoso ed educato, stava bene. Dopo la prima tappa Pellaud aveva preso la maglia dei Gpm. Così il giorno dopo mentre stavano facendo una salita, chiede a Damiano Caruso se poteva scattare per prendere i punti del Gpm. Allora Damiano, che anche se era in azzurro era pur sempre un riferimento della Bahrain, gli dice: okay, mettiti dietro. Accelera, lo porta fuori, Buitrago fa la volata e va a prendersi i punti. Da quel momento ha messo la maglia di miglior scalatore nel mirino Riuscendo a portarla a casa (foto apertura, ndr). Già in passato Caruso mi aveva detto: tienilo da conto che questo è buono!».

Buitrago a crono: non va male ma deve migliorare
Buitrago a crono: non va male ma deve migliorare

Scalatore ma non troppo

Ma Buitrago è uno scalatore puro? Secondo Alberati no. E’ sicuramente un corridore molto forte in salita, ma se messo bene sulla bici da crono può difendersi alla grande.

«Santiago è alto 174 centimetri per 60 chili e quando sta bene ha più di 400 watt alla soglia nel test Conconi. Come anticipato se ben messo può fare bene a crono, come il Quintana dei tempi migliori. In più non ha bisogno di mezzo gruppo per restare davanti. In tal senso lo hanno aiutato molto le corse in Toscana. Lì i percorsi sono nervosi, le salite sono corte e vanno prese davanti. Pensate che ha ancora il Kom sul Lamporecchio. Ce l’hanno lui e Fiorelli, che non è propriamente scalatore! Per me potrà presto arrivare nella top ten di un grande Giro».

Buitrago, avendo corso in Italia, aveva la tessera sanitaria e grazie all’aiuto di Alberati è riuscito a fare il vaccino per il Covid a Pedara (Ct)
Buitrago, avendo corso in Italia, aveva la tessera sanitaria e grazie all’aiuto di Alberati è riuscito a fare il vaccino per il Covid a Pedara (Ct)

Serietà al massimo 

Dicevamo di un ragazzo, classe 1999, molto educato e rispettoso.

«Anche taciturno direi – confida Alberati – preferisce stare zitto che spararle grosse. In più ascolta. Qualche sera fa eravamo a cena. Tutti hanno preso la pizza e lui un’insalata e del prosciutto. Stessa cosa in piscina. Tutti hanno fatto il bagno, lui no. Non vuole uscire dai binari. Vuol fare bene, ha voglia. Rispetto a molti nostri ragazzi non hanno la casa e la famiglia a 10′ di macchina. Sanno che hanno una sola grande opportunità e se la vogliono giocare bene».

Barbieri, come mai un team tutto tuo?

Giada Gambino
25.01.2021
6 min
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Rachele Barbieri scende le scale interne del Rifugio Sapienza, sorride, ha appena finito di allenarsi, si è fatta una doccia veloce ed è subito pronta. E’ tanto determinata, forte, sicura e matura, aspetti che non passano inosservati. Quando era piccola era così tanto competitiva che, a scuola, durante l’ora di ginnastica metteva i piedi in testa a tutti i ragazzini. Guarda fuori dalla finestra, ammira il bellissimo paesaggio innevato che offre l’Etna e inizia a raccontarsi… 

Ai campionati italiani ciclocross di Lecce 2021, Barbieri ha dato man forte alla Arzuffi
Tornata al cross per i tricolori di Lecce 2021 con la Arzuffi
Com’è entrato il ciclismo nella vita di Rachele Barbieri?

Grazie a mia sorella maggiore Rebecca. Cercavo sempre di copiarla in tutto. Quando lei andava a fare allenamento con i suoi compagni la invidiavo tantissimo. Un giorno il suo allenatore mi portò una bici, la provai e me ne innamorai subito. Una serie di combinazioni hanno portato me a continuare e lei, dopo qualche anno, a smettere. 

Strada, pista, ciclocross… 

Ho avuto la fortuna di crescere in un team che mi faceva praticare tutte le sfaccettature del ciclismo. Nel ciclocross ho conquistato il primo campionato italiano e mi ha permesso di crescere tantissimo. Ho sempre avuto tanta passione e ciò ha permesso di non far pesare gli aspetti più duri. Poi arrivò la convocazione in nazionale per fare dei test su pista, ma coincideva con il periodo del cross. Naturalmente, una chiamata in nazionale non si rifiuta! Da quel momento ho iniziato a dedicarmi maggiormente alla pista. Finché, dopo tanti anni di pista e strada, quest’anno ho ricominciato a cimentarmi nel ciclocross, anche per il periodo particolare dove tante gare non si sono fatte. Fortunatamente le Fiamme Oro mi hanno dato la possibilità di farlo.

Preparativi per l’uscita: il ritiro in Sicilia si è svolto prima nel velodromo di Noto, poi sull’Etna
In Sicilia per allenarsi: prima a Noto, poi l’altura sull’Etna
Il ritorno al passato…

Una grande emozione, tanto divertimento. L’ultima gara è stata il campionato italiano. Appena ho finito ho pensato che se ce ne fosse stata un’altra l’avrei fatta senza pensarci, ma dovevo prepararmi per il ritiro qui sull’Etna. Le gare di cross sono concentrate in circa tre quarti d’ora, sono molto allenanti per la pista. 

Quale specialità preferisci?

In pista sono riuscita a rendere di più, anche perché la nazionale, le Fiamme Oro e la mia squadra mi hanno sempre permesso di dedicarmici a pieno. Però sarei curiosa di provare a fare una stagione intera di cross per vedere dove posso arrivare. In Belgio e in Olanda il livello è davvero superiore e mi piacerebbe scontrarmi con loro in una condizione ottimale. Non nascondo, però, che diventare una grande atleta su strada non mi dispiacerebbe perché, comunque sia, è la specialità che ti da più visibilità. 

Come ti prepari per un grande appuntamento? 

Abbiamo la fortuna che la nazionale ci porta ai nostri obiettivi nella condizione ottimale. Una grande parte del lavoro lo facciamo a casa e per questo ho un preparatore. Poi il lavoro si finalizza in pista con lavori specifici abbastanza intensi come, ad esempio, le prove a cronometro. Il livello della nostra nazionale è davvero alto, anche un semplice allenamento è uno stimolo in più. Hai sempre tanto da imparare. Ogni tanto Dino scherza e ci dice che potremmo fare un campionato europeo tra di noi perché il livello è davvero altissimo. 

Due parole fra Rachele e Chiara Consonni, prima di un allenamento
Due parole fra Rachele e Chiara Consonni, prima di un allenamento
E gli allenamenti su strada?

La strada è funzionale alla pista e gli allenamenti servono per entrambe le discipline. Se devo preparare un appuntamento per la pista, gli allenamenti sono brevi ed intensi. Invece per quanto riguarda le corse su strada è necessario inserire tanti chilometri. Negli ultimi anni ho inserito un po’ di più la palestra, dal momento che il mio fidanzato è un preparatore atletico e riesce a darmi una grande mano. Ciò mi aiuta davvero tanto per quanto riguarda la forza e l’esplosività

Fare gruppo…

E’ molto importante. Ho fatto da poco il corso della federazione per diventare direttore sportivo e creare delle affinità sarà un mio pallino. Noi ragazze abbiamo tutte un bel caratterino (sorride, ndr) e metterci d’accordo non è proprio semplice. Ma siamo un bel gruppo e riusciamo a risolvere le questioni in fretta. Siamo tanto competitive, quando ci sono in ballo le convocazioni c’è molta tensione e diventa tutto un po’ più difficile da gestire. Però riusciamo sempre a trovare un buon equilibrio. 

Il tuo prossimo obiettivo? 

Sto lottando per arrivare al massimo nel periodo olimpico e spero di avere la possibilità di giocarmi le mie carte (il volto si illumina, ndr). Farò il possibile per essere al meglio e sono sicura che la scelta ricadrà sulle migliori. Se mai dovesse arrivare la convocazione, non lo prenderei come punto d’arrivo. Cercherò di ambire alla vittoria, penso sempre che bisogna puntare al massimo. 

Rachele Barbieri: lavori specifici sui rulli in altura, simulando gli sforzi più intensi del quartetto
Lavori specifici sui rulli in altura, simulando gli sforzi più intensi del quartetto
La vittoria che ti ha segnata di più? 

Il campionato del mondo 2017 nello scratch. La prima gara tra le élite. Anche la vittoria che ho conquistato quest’anno su strada vicino casa. Due anni fa ho passato un periodo difficile; riuscire a riprendermi e a vincere è stata una bella sensazione. Grazie all’appoggio di diversi sponsor vicino casa e delle Fiamme Oro, la scorsa stagione ho corso con una squadra creata da me. Vincere così, da sola, contro tutte le altre, vicino casa, davanti agli amici… è stata una bella soddisfazione. Sono riuscita ad arrivare dove volevo essere e dove mi merito di essere. 

Perché creare una squadra da zero? 

Ho avuto diversi problemi con quella vecchia, avrei voluto trovare un buon team ma era difficile. Appoggiandomi alla mia prima società ho trovato alcuni sponsor che hanno sostenuto l’idea. Questo mi ha permesso di svolgere senza problemi tutta la stagione su pista e anche l’attività su strada. Quest’anno ho ricevuto diverse proposte, ma ho deciso di portare avanti il mio progetto per preparare i grandi appuntamenti del 2021 al meglio e in serenità. 

A Montichiari, Barbieri con Salvoldi e in mezzo a Fidanza e Alzini, preparando gli europei di Plovdiv 2020
A Montichiari, Barbieri preparando gli europei di Plovdiv 2020
Come hai superato il tuo momento difficile?

Quando ci sono dei momenti grigi, anche se le persone che ti vogliono bene cercano di darti i giusti consigli, tendi a non vederli nel modo corretto. Ho avuto la fortuna di incontrare una mental coach, Elisabetta Borgia. Una persona molto professionale, che mi ha dato una mano a ritrovare il senso di ciò che stavo facendo, reindirizzare i miei sogni e ritrovare me stessa. Lasciandomi le critiche che avevo vissuto davvero male. Si ha sempre paura di queste figure, ma mi ha sempre dato la risposta giusta, che non è quella che vorresti sentire. 

Su strada qual è il terreno giusto per Rachele Barbieri?

Per arrivare a casa mia ci sono 15 chilometri di salita e sicuramente non sono una scalatrice. Negli ultimi anni vivo a Modena con mia sorella e questo problema non l’ho più, ma fino a qualche tempo fa chiamavo mio papà e mi facevo portare a casa o gli ultimi chilometri erano davvero tosti. Le salite e i tanti chilometri non sono proprio adatti a me. Però devo dire che mi piace… quando salgo del mio passo. Piano, mi piace (ride, ndr).

Da chi prendi ispirazione?

Cerco sempre di trarre il meglio da tutti i ciclisti e le cicliste professioniste con cui mi confronto. Tante volte mi attrae la spensieratezza di Peter Sagan e altre volte la professionalità di Elia Viviani. Penso che dovrei cercare di essere più un Sagan, vivendomi tutto con allegria. 

Chiara ed Elisa: gli opposti che si attraggono

24.01.2021
< 1 min
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Nome. Cognome. Anno di nascita… Inizia così questo viaggio divertito e divertente nella stanza di Elisa Balsamo e Chiara Consonni nel Rifugio Sapienza, ai piedi della magia dell’Etna.

Due giovani campionesse della pista, con storie diverse alle spalle e personalità diametralmente opposte. Le abbiamo fatte sedere davanti alla telecamera, sottoponendo loro domande identiche.

Ci sono momenti in cui si deve essere seri e altri in cui si può scherzare. Davanti all’obiettivo di bici.PRO, Elisa e Chiara hanno tirato fuori la loro simpatia, la personalità e il loro essere ragazze vere e splendide. Il futuro della nostra pista è in ottime mani.

Lo straordinario viaggio di Mattia Viel

24.01.2021
7 min
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Per raccontare questa storia, bisogna aprire l’hard disk dei pezzi pubblicati e tornare indietro alla fine del 2018, quando nel ritiro freddo e ventoso di Cesenatico, Gianni Savio passando in rassegna i corridori in arrivo, buttò nel mezzo il nome di Mattia Viel.

«Avevamo due stagisti – disse – Lizde e Viel, che passerà professionista con noi. Sarà di supporto per Fedrigo, nel grande mosaico che è una squadra. Non ha velleità clamorose, ma può ritagliarsi il suo spazio».

A 11 anni, nel 2006, con Marco Villa ancora in attività: la pista è già la sua passione
A 11 anni, nel 2006, con Marco Villa: la pista è già la sua passione

Di poche parole

Da allora la vita seguì le sue strade ed è stato singolare, due anni dopo, ritrovarsi con Viel nel Rifugio Sapienza, guardando fuori per comprendere il meteo e guardando avanti per indovinare il futuro. Non ci conoscevamo, ma sentendolo parlare con Luca Chirico, che con lui ha diviso i giorni siciliani, era come se la sua presenza in gruppo avesse una data antecedente a quel 2018. E così in un mattino con pochi chilometri da fare, gli abbiamo chiesto di raccontarci che cosa ci sia dietro quella barba e le poche parole di uno che sembra aver percorso già molte strade.

«Sono piemontese – dice – e per questo ho sempre avuto parecchi contatti con l’Androni Giocattoli. Sono stato per anni nel giro della nazionale della pista, facendo anche mondiali ed europei. Da junior ho sempre vinto parecchio, diciamo che da me si aspettavano tutti molto, compreso il sottoscritto. Poi per una scelta personale, qualcosa si è messo di mezzo. Qualcosa che va bene per la vita di Mattia e forse ai tempi un po’ meno per Viel il corridore».

Nel 2012 a Maleo vince da junior battendo Sartoris
Nel 2012 a Maleo vince da junior battendo Sartoris
Va bene, ci hai incuriosito. Quale scelta?

Ho perso mia mamma che avevo dieci anni. Una cosa che ricordo è che prima di mancare, mi disse: «Mi raccomando, vai sempre bene a scuola». Si chiamava Anna, all’epoca era direttore marketing alla Lavazza. E quindi mi sono sempre portato dentro questa cosa qui, che mi ha sempre influenzato nelle mie scelte. Perciò invece di fare la classica scuola un po’ più semplice che mi lasciasse il tempo per uscire in bici già da junior, mi iscrissi al miglior liceo linguistico di Torino, l’Altiero Spinelli, e questo mi ha portato via davvero tanto tempo. Però finché uno è giovane, se ha un po’ di talento, esce…

Mentre il tipo del bar sbatte il filtro del caffè con la veemenza di un fabbro, ci serve un secondo per deglutire e andare oltre.

Nel 2017 Viel corre con la Unieuro Trevigiani e corre il Beghelli
Nel 2017 Viel corre con la Unieuro Trevigiani e corre il Beghelli
E tu talento ne avevi…

Andavo bene. Nel 2013, a 18 anni, andai ai mondiali su pista di Glasgow e qui incontrai Alessandro Fissore, che mi chiese se mi interessasse conoscere il gruppo di Chambery che faceva da vivaio alla Groupama. Io dissi di sì e forse da quel momento inizia il rammarico più grande della mia carriera, pur davanti a una straordinaria esperienza di vita. Potevo rimanere in qualche squadra italiana, andare alla Colpack e fare il mio percorso tra strada e pista. Invece andai a Chambery a fare quei test e uscii dai radar. Era un altro mondo, ci davano addirittura un contributo per iscriverci all’Università, presi anche la licenza francese. Poi fu chiaro che stavano cercando il nuovo Bardet, perché tutti gli scalatori li fecero passare e io che non ero proprio uno scalatore… A vent’anni iniziai a guardarmi intorno e si creò un contatto con la Unieuro-Trevigiani.

Nel nostro archivio c’è anche una frase di Marco Milesi, diesse di quel team: «In più abbiamo preso Mattia Viel – diceva in un pezzo di febbraio 2016 – un altro del 1995, che non è male e può fare i suoi risultati».

Era la squadra di Finetto, Malucelli, Malaguti, Fedeli, Carboni, Ravanelli, Plebani e anche di Almeida e io ero a loro disposizione. Nel 2017 avevo anche ripreso la pista con il quartetto, facendo qualche piazzamento su strada.

Le cose andavano bene, insomma?

Partecipai alla Vuelta San Juan, facendo anche un settimo posto e conobbi Raimondo Scimone che diventò il mio procuratore. Ma a fine 2017 venne fuori una brutta tegola. Unieuro sarebbe uscita e Trevigiani non aveva i soldi per tenere gli elite. Così mi ritrovai a piedi a 22 anni, nel Piemonte in cui non ci sono squadre né sponsor. Insomma, ero senza contatti. E mentre già pensavo che fosse a 22 anni fosse arrivata la mia ora di metterci una pietra sopra, mi chiama un ex compagno di squadra, Seid Lizde, che come un pazzo mi fa: «Matti, Matti, oggi devi firmare con me, andiamo su in Inghilterra!». Mi dice di prepararmi che dobbiamo andare a Londra, che c’è una bella squadra, il team Holdsworth Pro Racing.

La vittoria alla Sei Giorni di Torino gli riapre la porta dell’Androni
La vittoria alla Sei Giorni di Torino gli riapre la porta dell’Androni
E tu?

Gli dico: «Ma sei matto? Non ci sentiamo da due anni e te ne esci così?». Però avevo sempre questa fissazione delle lingue e mi sono detto: piuttosto che andare in una continental italiana, se anche non diventerò nessuno nel mondo della bici, almeno mi sarò goduto qualche bella esperienza. Il progetto era ben fatto. C’era Downing di ritorno dal Team Sky, c’era il figlio di Thurau, ma era il giocattolino di qualcuno. E quando chi metteva i soldi si stancò, il giocattolino smise esistere.

E un’altra volta a piedi…

A quel punto, era in piena estate, ho chiesto a un mio compagno di squadra australiano (Nicholas Yalluris, nrd) di accompagnarmi alla Sei Giorni di Fiorenzuola. E senza allenamento specifico, ci siamo piazzati vincendo anche qualche prova. Così siamo andati a quella di Torino, con l’idea di vincerla ed effettivamente abbiamo vinto, battendo anche le coppie della nazionale italiana, che per me era anche una bella rivincita. E proprio una sera di quelle, si affacciò Gianni Savio, che cercava uno stagista. Io con loro avevo già fatto qualche chilometro nel 2015 e dal primo agosto il viaggio riprese. Da quel momento è nato tutto e dopo 3 anni sono ancora qui. Dovendo dire qualche grazie…

A chi?

A Massimo Sibona, che lavorava per l’Androni come commercialista, e insieme a Raimondo Scimone riuscì a mettere la parola giusta nel momento giusto, così da convincere la squadra per farmi fare quello stage. Oltre al lavoro del procuratore, Raimondo Scimone è stato fondamentale negli anni, spronandomi davanti ad ogni ostacolo, fino al passaggio al professionismo.

Dopo la vittoria della Sei Giorni di Torino, lo stage con l’Androni in Cina
Dopo la vittoria della Sei Giorni di Torino, lo stage con l’Androni in Cina
E come andò?

Ero stupito della mia condizione. Mi ritrovai al Tour of Hainan con Masnada, Ballerini, Frapporti, Belletti… la squadra del Giro. Mi facevano tirare per ore ogni giorno, ma io a quel punto volevo passare e tiravo. Qualche volta mi buttavo all’attacco e piano piano capii che quello poteva essere il mio ruolo. Savio dice che il ciclismo è spietato e devi darti da fare per capire subito in quale posizione collocarti. Io lo capii in Cina.

E davvero si è riaperta una bella porta…

Voglio andare avanti, avere una carriera. Voglio che non sia una parentesi. Ho ridimensionato i miei obiettivi, ma sono riuscito a rimanere convincendo Savio e Bellini. Fa piacere mettersi a disposizione della squadra, ma quando vado in fuga penso sempre a vincere. Certo, non posso fare quello che facevo da ragazzino, ma ho ancora 25 anni e magari le cose potrebbero cambiare.

E la pista?

Credo che avrei potuto ottenere di più e mi piacerebbe rientrare in quel giro, come ha fatto Simion. Vedo solo problemi logistici, perché il gruppo degli azzurri vive quasi tutto intorno a Montichiari e fare aventi e indietro da Torino sarebbe un problema. Diciamo che ad ora il progetto è accantonato, ma non dimenticato.

Nel 2020, Mattia Viel è partito con il Tour de Langkawi
Nel 2020, Mattia Viel è partito con il Tour de Langkawi
Andare via da Torino?

No, perché nel frattempo con la mia ragazza che si chiama Carla Lee patrocinio e che ho conosciuto in Cina ho aperto un’attività: Bike Kinetic Lei è specialista del movimento umano. Quindi facciamo programmi specifici per il ciclismo, riabilitazione post infortunio, esercizi posturali e programmi fitness, stretching e massaggio sportivo. In futuro ci piacerebbe organizzare tour in bicicletta, coffee ride con i consigli di un professionista e cucina.

Da quanto tempo l’hai aperta?

Nel 2020, un modo per dare qualcosa al ciclismo nella mia provincia, sperando di diventare un punto di riferimento. Inoltre, visto il mio amore per la pista, ho aperto una sede a un chilometro dal Velodromo Francone di San Francesco al Campo, mentre a Torino mi appoggio ad altri studi. A causa del Covid, molti servizi attualmente sono online, ma fortunatamente il feedback dei clienti è comunque ottimo.

Magia del ciclismo e delle persone che mette sulla tua strada. Chi poteva immaginare che dietro quella barba e quello sguardo curioso sulla cima di questo vulcano che oggi è coperto di neve, avremmo scoperto una storia come questa? In bocca al lupo Mattia, ci hai messo addosso davvero una grinta immensa.

Alzini, il ciclismo è un affare di famiglia

24.01.2021
5 min
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Bionda, bella, un metro e ottanta: nell’Italia dei social e dell’effimero, qualcuno potrebbe chiedersi perché mai Martina Alzini dovrebbe spaccarsi di fatica su una bici. Mentre la ascoltiamo e la guardiamo, tuttavia, nella mente risuona la frase di un amico: «Andate a veder cos’è un corridore». E presto ogni parola della ragazza della Valcar-Travel&Service si incanala nel solco del ciclismo vero. Quello dei campioni e della passione che smuove le montagne.

Queste tre ragazze ora sono alla Valcar, ma da esordienti erano rivali. Qui nel 2011: da sinistra: Persico, Balsamo e Alzini
Insieme alla Valcar, rivali da esordienti: Persico, Balsamo, Alzini

«Il ciclismo – dice – è lo sport che ha caratterizzato la mia infanzia. Le squadre in cui sono andata sono state delle seconde famiglie. E’ una fortuna che auguro a tutti i bambini. Che trovino un ambiente in cui divertirsi, perché nel ciclismo e nello sport in generale, si impara a vivere».

Martina è uno dei pezzi forti del nostro quartetto. Agli europei di Plovdiv ha prima aiutato il quartetto a realizzare il nuovo titolo italiano dell’inseguimento a squadre, mentre l’indomani ha abbassato di 4” quello dell’individuale. Nel ritiro della nazionale sull’Etna, è anche l’addetta alla logistica degli allenamenti. E’ lei a tracciare il percorso coordinandosi con Salvoldi e poi a guidare le ragazze su strada. La sua presenza è discreta e sorniona. Tante volte la vedi seduta a margine del baccano delle altre come se fosse distratta, però segue tutto.

Sull’Etna si allenano in cicli di 4 giorni: uno prevede lavori specifici per il quartetto sui rulli in altura
Sull’Etna si allenano in cicli di 4 giorni: uno prevede lavori specifici per il quartetto sui rulli in altura
Ne fanno di chiasso…

Sono ragazze. Mi viene da ridere, perché non ho ancora 24 anni e non sono delle più giovani. Mi sono trovata in dei quartetti che ero la più grande.

Non buttarti giù… piuttosto che cosa ti aspetti dal 2021?

Sono davanti all’anno della mia vita, con gli obiettivi di andare a Tokyo e quello di entrare in un corpo di Polizia. Per una donna, specialmente per me che non vorrei mai abbandonare la pista, è il solo modo per lavorare tranquilla.

Perché la bici e perché la pista?

La bici perché è sempre stata la passione di famiglia. Di mio papà Giancarlo che correva al tempo di Saronni e di mia mamma Manuela che correva negli anni di Maria Canins. La pista perché fin da piccolissima ho avuto la fortuna di allenarmi nella pista di Busto Garolfo. L’ho sempre trovata un ambiente che dà emozioni diverse dalla strada. Dovessi scegliere, mi terrei la pista, insomma…

Martina Alzini
A novembre ha demolito di 4″ il record italiano dell’inseguimento, portandolo a 3’26″836
Martina Alzini
A novembre ha demolito il record italiano dell’inseguimento
L’altro giorno Salvoldi ha messo anche te fra le ragazze che, a suo avviso, potrebbero puntare soltanto sulla pista.

La speranza di entrare in un corpo militare è legata proprio a questo. Mi piace essere realista. La pista dà più possibilità di medaglia. Su strada c’è una sola campionessa europea all’anno, su pista si contano sulle dita di due mani.

Credi sia possibile entrare in un corpo militare?

Non ho ricevuto chiamate o proposte, ma dopo quello che ho fatto vedere nella scorsa stagione e i record italiani del quartetto e dell’inseguimento individuale, magari qualcuno potrebbe essere interessato.

Ciclismo e ragazze, oggi sembra davvero un’altra musica…

Tante persone, quando ero piccola e raccontavo quel che facevo, mi chiedevano se davvero anche le femmine corressero in bici. Oggi le cose sono cambiate, il ciclismo è diventato uno sport che va tanto d’accordo con le ragazze. I social ci danno visibilità e hanno portato l’immagine femminile anche in uno sport di fatica come il nostro. Se usati in modo costruttivo, i social possono fare tanto.

Scese dall’Etna, ritrovo nel piazzale di un centro commerciale, per partire in bici
Scese dall’Etna, ritrovo in un parcheggio per partire in bici
Criticavano Letizia Paternoster che corre con gli orecchini di perla?

E dov’è il problema? Pensate che Pauline Ferrand Prevot ha vinto il mondiale ed era truccata…

Che cos’è Tokyo per Alzini?

Un sogno che semmai te ne accorgi il giorno che si avvera. Il posticipo, ragionandoci bene, ci ha dato una seconda possibilità. Guardando come stiamo lavorando, non ci manca niente. E comunque sarebbe la prima esperienza in un cammino che porta verso Parigi.

Sembra brutto dirlo, ma a breve ci saranno le elezioni federali. Pensi mai cosa succederebbe se i quadri tecnici della nazionale venissero cambiati?

Credo che su strada non cambierebbe molto, se andasse qualcun altro. In pista invece sentiremmo la differenza, perché siamo tutte cresciute con questa impronta, questo metodo di lavoro. Sarebbe un grande cambiamento.

Il debutto 2021 dove avverrà?

Alla Vuelta Valenciana, sperando che si faccia. Poi le classiche del Nord, che sono le mie preferite. Sarò a disposizione delle altre, ma avrò anche il mio spazio personale.

Due Cannondale gialle della Valcar in testa: Alzini e Balsamo
Due Cannondale gialle della Valcar in testa: Alzini e Balsamo
Se il ciclismo è lo sport della famiglia Alzini, che cosa pensano vedendoti andare così forte?

Sono tanto orgogliosi, soprattutto i miei nonni. Mario e Giusi. Soprattutto in questi mesi difficili, chiusi in casa. Il mio è un nonno digitale, non lo ferma nessuno. «Ti abbiamo visto muovere le prime pedalate – mi dicono – ti abbiamo visto cadere in giardino…».

La conversazione in realtà non si è svolta tutto di un fiato, perché qualche minuto dopo l’inizio, il resto della nazionale è venuto a reclamare il tavolo del bar per giocare a carte. Così ci siamo spostati nell’area del piano terra adibita a palestra. Due sedie e per tavolo il suo fitness cube.

«Almeno serve a qualcosa – ha detto con un bellissimo sorriso – non diciamolo a Dino che non lo uso mai…». Va bene, non diciamolo a nessuno…

Zanardi, questo sport è una scuola per la vita

Giada Gambino
23.01.2021
5 min
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Fuori c’è tanta neve, fa freddo, ma dentro il Rifugio Sapienza l’ambiente è così caldo e tranquillo che rende tanto piacevole sedersi a un tavolo e chiacchierare. Così Silvia Zanardi, atleta della BePink, inizia a raccontare la sua storia e la sua carriera ciclistica nata da una continua “lotta” con la madre che voleva continuasse a fare danza.

Lasciare la danza per il ciclismo… 

Mio fratello aveva iniziato a fare ciclismo e io, per un anno, sono andata sempre a vedere agli allenamenti. Il mondo del ciclismo mi affascinava molto, principalmente perché ogni domenica potevo gareggiare e confrontarmi con altre ragazzine; mentre nella danza l’unico momento di confronto era il saggio che si faceva una volta l’anno e questo non mi andava bene. L’anno successivo riuscii a convincere mia madre e da G2 iniziai. 

In partenza dell’allenamento con la grande amica Martina Fidanza
In partenza dell’allenamento con Martina Fidanza
Ricordi la prima vittoria? 

L’ultima gara da G6, era stata organizzata dalla mia squadra e ci tenevo tantissimo a fare bene. Le emozioni di quel momento le ricordo benissimo. Ho appeso in camera la foto dell’arrivo proprio di quella gara, non ho alzato le mani perché non potevo da regolamento, ma ho fatto un urlo enorme

Quella più bella ? 

Ne ho fatte un paio su strada e su pista, quella che mi sta più a cuore è sicuramente il doppio oro al mondiale junior 2018 su pista: il quartetto e la corsa a punti. Due maglie iridate, davvero un sogno. 

Pista o strada? 

Pista! Non mi pesa fare gli allenamenti. Ogni settimana non vedo l’ora di andare al velodromo di Montichiari, il tempo passa via velocemente. 

Come hai scoperto questa specialità?

Da esordiente di primo anno, ero in una squadra maschile dove sono stata formata tantissimo. Poi l’anno successivo sono andata in un team femminile e da lì ho subito iniziato. Avevo la pista di Firenzuola proprio vicino casa e sono stata completamente rapita. 

Fra la strada e la pista, Silvia preferisce la seconda. E qui due risate con Chiara Consonni…
Fra la strada e la pista, Silvia preferisce la seconda
I tuoi allenamenti… 

Mi piace fare i lunghi in compagnia. Se sei un po’ giù di morale… parlando scacci via i pensieri negativi e si rende anche molto piacevole un allenamento di più di 100 chilometri che passano velocemente. Se invece sono da sola mi metto le cuffiette e penso, penso tanto, un po’ a tutto. Andare in bici è il mio sfogo. Quando, ad esempio, devo fare dei lavori specifici preferisco stare da sola, ma nei lunghi… impazzirei! (ride, ndr) 

Come prepari un grande appuntamento?

Il mio preparatore mi aiuta molto durante gli allenamenti, cerca sempre di spronarmi e motivarmi.  Quando devo preparare una gara importante seguo alla lettera tutto ciò che mi dice, soprattutto per quanto riguarda la dieta. Anche se è un po’ difficile… mi piacciono molto i dolci. A volte devo contenermi! 

La scuola? 

Ho fatto il liceo artistico, sinceramente… (guarda e scoppia a ridere, ndr) non ero una cima. Non mi piaceva studiare, ma mi piaceva tanto disegnare. Dai… non si può riuscire in tutto, mi sono dedicata allo sport. 

L’argento all’europeo 2020 su pista élite…

E’ stata un po’ una batosta! Mi sarebbe naturalmente piaciuto salire sul gradino più alto del podio. Però, come mi dice sempre una mia compagna di nazionale, che penso sia davvero molto matura: «Non è una medaglia persa, ma è un argento vinto». Ed è vero, sono giovane, sono al secondo anno U23 e anche solo correre con le elite è stata un’opportunità immensa e di questo sono molto grata a Dino (Dino Salvoldi, tecnico azzurro della pista, ndr). 

Silvia Zanardi, europei Plovdiv 2020
L’argento agli europei elite nella corsa a punti l’ha vissuto come una batosta, avendo vinto quello U23
Silvia Zanardi, europei Plovdiv 2020
Argento europeo elite (con rammarico) nella corsa a punti
Il tuo prossimo obiettivo ? 

Teoricamente era quello di partecipare alle Olimpiadi 2024, ma Dino mi ha dato una mezza speranza per poter essere convocata a quelle di Tokyo e sto cercando di fare del mio meglio per riuscirci. Su strada mi piacerebbe vincere una classica, ma non ho proprio una corsa dei sogni da voler conquistare. 

La vittoria più emozionante di una tua compagna? 

L’europeo elite, la vittoria di Martina Fidanza. Eravamo tutte lì a fare il tifo per lei, ci credevamo davvero (i suoi occhi diventano lucidi, ndr). C’era una ragazza in fuga e quando Dino le ha detto di partire, lei ha seguito alla lettera quanto gli diceva ed è riuscita a vincere (si emoziona e le scendono lungo il viso le lacrime, come se stesse rivivendo il momento, ndr).

Martina Fidanza… 

Ultimamente ho legato molto con lei, siamo anche in camera insieme qui sull’Etna. Con tutte ho un buon rapporto. Certo, siamo diverse tra noi, ci sono quelle un po’ più pazzerelle come la Consonni e quelle più tranquille che equilibrano il gruppo. Io sono a metà. Avere un gruppo unito è molto importante, quando vediamo che qualcuna di noi è un po’ giù di morale cerchiamo di scherzare e farla divertire. 

Sul belvedere di Taormina, prendendo in giro Chiara Consonni che ha paura dell’altezza
Sul belvedere di Taormina, prendendo in giro Chiara Consonni che ha paura dell’altezza
Cosa rappresenta per te il ciclismo? 

Questo sport insegna a non mollare e a credere in se stessi. Quando ti stai allenando per un appuntamento si deve pensare all’obiettivo e concentrarsi su quello per non abbattersi. Una frase che ripeto sempre a una mia grandissima amica, Martina Sgrisleri, che non è nella mia stessa squadra, ma abbiamo corso insieme nelle categorie giovanili, è questa: «Ricordati perché lo stiamo facendo! Vogliamo ottenere ciò che desideriamo, questo è ciò che conta!». Il ciclismo è proprio una scuola di vita. Ti aiuta ad esprimerti al 100 per cento e ti insegna a confrontarti con le altre persone, sta un gradino sopra tutti gli altri sport. 

C’è qualcosa che invece non ti piace? 

Il pavè! Non mi piace per nulla. Anche i ciottoli che si trovano all’interno dei paesi mi fanno impazzire; non riesco a spingere. E poi il vento… odioso (sbuffa e alza gli occhi al cielo, ndr).

Chi è per te un idolo? 

Giorgia Bronzini è un punto di riferimento. Mi ha dato tanti consigli, la sua carriera è stata di grande livello e vorrei ottenere anche la metà delle maglie conquistate da lei.

Se non avessi fatto ciclismo…

Di certo ( sorride, ndr) non sarei diventata una ballerina! Mi sono sempre piaciuti tanto sport come la pallavolo e l’atletica. 

Il segreto per riuscire nello sport?

Divertirsi! Mi hanno insegnato che soprattutto da piccolini ci si deve sempre divertire, non si deve pensare sempre e solo alla vittoria. E questo è ciò che ho sempre fatto e che continuo a fare. 

Cinque minuti per scoprire le 7 vite di Chirico

23.01.2021
6 min
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«A casa c’è la neve – ride Chirico – giù in basso ci sono 18 gradi. Se penso che l’altro giorno ho fatto un allenamento con lo Squalo a meno due, mi sa che non torno più su…».

Come un gatto

Luca Chirico ha più vite di un gatto. Il varesino, incontrato sulla cima dell’Etna, veste oggi la maglia dell’Androni, ma andando a ritroso nella sua carriera, sono più le volte in cui è stato a un passo dallo smettere di quelle in cui ha rischiato di vincere. La storia è complessa e passa per due interventi all’arteria femorale, qualche caduta di troppo, incomprensioni non meglio precisate e tutta una serie di coincidenze grazie alle quali è ancora in gruppo. Il fatto che siamo qua a parlare di lui non è dovuto però un atto di clemenza, bensì al ricordo di quando Luca era un azzurro che ha corso due mondiali da junior e da U23 e alla curiosità di capire quanta testa serva per non mandare tutto in malora.

Nella tappa di Sestriere al Giro 2020 arriva nel gruppetto di Fabbro e Majka
Sestriere, al Giro 2020: arriva con Fabbro e Majka

La tappa turca

«Le volte in cui ho rischiato davvero di smettere – dice al tavolo del bar del Rifugio Sapienza – sono state un paio. Nel 2016 ho avuto il primo problema all’arteria e la squadra (la Bardiani-Csf, ndr) non mi ha confermato. Sembrava che dovessi smettere, ma avevo fatto l’operazione proprio per andare in bici e così ho trovato la squadra turca: la Torku. Lì sono andato bene e ho firmato con l’Androni, ma un po’ il problema dell’arteria e un po’ qualche incomprensione, abbiamo rescisso il contratto. Se ripenso a quel periodo, mi sono fidato delle persone sbagliate, ma capita e neanche io ho avuto la capacità di reagire. Poi sembrava che dovessi cominciare a giugno con la Nippo, in cui smetteva Cunego, ma non se ne fece niente…».

Due volte azzurro

Già così sarebbe bastato. Chirico ha gli occhi chiari che non stanno mai fermi e un parlare a scatti che rende anche bene l’idea del corridore che era e che cerca ancora di essere. Non ha un carattere semplice. In gara riesce a trasfigurarsi oltre i suoi limiti allo stesso modo in cui, se le cose non vanno, si butta giù. Uno scattante sugli strappi e poi veloce in volata. Uno che se te lo porti in fuga e ti distrai, potrebbe fregarti per bene. Un uomo tagliato su misura per l’Androni Giocattoli, anche se tornare a vestire questa maglia proprio semplice non è stato.

Nel 2014, Chirico in maglia Trevigiani, vince il Memorial Rusconi
Nel 2014, Chirico in maglia Trevigiani, vince il Memorial Rusconi
Quindi siamo arrivati a metà 2018 e Chirico è senza squadra…

Ormai l’avevo messa lì, dopo sette mesi senza correre. Gente che continuava a passare professionista, chi vuoi che mi prendesse? Avevo 26 anni, neanche tanti. La fortuna è stata conoscere a metà 2018 Giampietro Foletti di Asteel, l’agenzia di comunicazione e marketing che affianca l’Androni. E lui ha cominciato a credere in me e mi incitava ad allenarmi. E come lui ha iniziato a farlo Fabio Aru. E così ho continuato a pedalare. Sono arrivato ad avere un nuovo aggancio con Savio e Bellini e per il 2020 sono rientrato con l’Androni.

L’anno del Covid, perfetto per ricominciare…

Ma alla fine è andato anche bene. Sono ripartito dalla Malesia, ma sono caduto e mi sono ritirato. Poi il Savoie Mont Blanc alla ripartenza dopo tanto lavoro con Aru a Sestriere. La prima gara in cui ho avuto buone sensazioni è stato il campionato italiano, mentre non sono contento del Giro. Sono stato bene qua in Sicilia, ma appena siamo passati di là ho sempre avuto problemi di respirazione. In più mi mancavano la confidenza con le gare e con le prime posizioni. Al Coppi e Bartali stavo per lanciare la mia bella volata a Forlì, convinto di fare bene, ma Bagioli ha scartato e sono finito per terra…

Ai mondiali di Ponferrada, con Martinelli, nel giorno della rivelazione di Moscon
Ai mondiali di Ponferrada, con Martinelli, nel giorno della rivelazione di Moscon
Pensi che la tua storia sarebbe stata diversa senza tanti intoppi?

Ho perso tanto, soprattutto per le due operazioni. Ho tantissimi rimpianti. Venivo dal mondiale di Offida con gli juniores e quello di Ponferrada da U23, potevo avere una bella carriera. Di sicuro non mi è tornato indietro quello che ho dato. Però credo di avere ancora dei margini. E con il Giro nelle gambe, il 2021 potrebbe essere davvero il primo anno ben fatto.

Ti alleni con Bartoli, giusto?

Ci sono arrivato tramite Ulissi, con cui mi alleno a Lugano. Mi ha messo in contatto lui, perché hanno lavorato a lungo insieme. E con Michele mi sono trovato subito bene, considerando anche che non avevo un preparatore da due anni.

Michele dice che puoi ottenere di più di quanto hai fatto vedere finora e che l’attività che ha fatto in questi ultimi anni non è stata per niente solida…

Dopo l’ultimo test, pochi giorni fa, mi ha detto che siamo tre step avanti rispetto allo scorso anno nello stesso periodo. Avevo perso forza e resistenza. A casa facevo le 5 ore, ma non è mai come farle in gara. Il Giro, come detto, mi ha dato una bella base.

Nel 2017 corre con la Torku. Si vede in Italia solo per i tricolori di Ivrea
Nel 2017 corre con la Torku. Si vede in Italia solo per i tricolori di Ivrea
Cosa dicevi dell’uscita con lo Squalo?

Mi capita spesso di allenarmi con Vincenzo e ogni volta è estremamente motivante. Dà sempre consigli, parliamo molto e riesce a suggerirmi dritte su allenamento, corsa e vita che per me sono molto importanti. Ho tanto da imparare. In più allenarsi con lui in salita è come quando in gara vai oltre i tuoi limiti, il livello si alza tanto e il tempo passa meglio. L’altro giorno abbiamo deciso di fare una salita fino a mille metri. C’erano due gradi sotto zero, un metro di neve e ghiaccio sulla strada. Ma siamo arrivati su e ci siamo quasi divertiti. Anche lui è venuto in Sicilia per Capodanno, qua il tempo è incredibile. Ma adesso speriamo di ripartire.

Da Laigueglia?

Avrei dovuto cominciare a San Juan, adesso vediamo. Dall’11 al 24 febbraio saremo in ritiro in Liguria e lì si faranno i piani, in attesa degli inviti di Rcs. Per noi andare al Giro sarebbe la svolta della stagione.

Dopo le sei ore e i 4.000 metri di dislivello del mercoledì, celebrati con 80 grammi di pasta in bianco con il pomodoro a parte, giovedì Chirico si è concesso un giorno di riposo. Giretto sul mare e cannolo.
«Anche qua è zona rossa – ha scherzato – ma c’è il sole. Ti prendi il caffè, te lo porti fuori e sembra tutto normale. Da noi, se resti fuori a prendere il caffè, congeli…».

Un altro ostacolo sulla strada di Letizia

22.01.2021
3 min
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Non è ancora un allarme, ma certo il cammino di Letizia Paternoster a sei mesi dalle Olimpiadi ha subito un altro stop, che ha impedito ai suoi allenatori di vederla all’opera. La trentina non è andata al raduno della Trek-Segafredo in Spagna e non ha raggiunto poi, come da programma, la nazionale della pista in Sicilia. La causa è stata una febbriciattola fastidiosa (Letizia stessa ha parlato di una lieve forma di Covid) che l’ha tormentata per qualche settimana e che di fatto ha interrotto nuovamente la sua preparazione.

«Non sono preoccupato – ha spiegato il cittì azzurro Salvoldi, che l’ha preparata e guidata alle vittorie più importanti – ma sto già pensando al momento in cui riprenderà, perché tutta questa energia che ha nell’allenarsi va incanalata nel modo giusto. Lei ha voglia di ripartire, di essere competitiva ad aprile in Belgio e poi alle Olimpiadi, mentre secondo me ci sarebbe da pensare a una sola data: quella di Tokyo».

La sua prima apparizione post lockdown ai campionati italiani
La sua prima apparizione post lockdown ai campionati italiani

Un anno nero

L’ultimo anno di Paternoster è stato flagellato da una tendinite al ginocchio, che di fatto le ha impedito di riprendere dopo il lockdown e l’ha vista rientrare in gara a fine ottobre ai campionati italiani, che non ha concluso, poi alla Ceratizit Challenge by La Vuelta di tre tappe, in cui ha disputato soltanto le prime due.

«Però ha continuato a lavorare – dice ancora Salvoldi – è venuta in pista a Montichiari anche quando la nazionale dopo gli europei ha mollato un po’. Condivido il suo stato d’animo, ha pagato tanto questa situazione e capisce anche lei di essere molto lontana dalle altre. Da quello che sappiamo, avrà i risultati degli ultimi esami alla fine di gennaio, che non è esattamente un tempo breve».

Tigre in gabbia

Fra le insidie, al di là della scelta o meno di trattare l’infiammazione prima di averne individuata la causa (scelta che compete ai medici), quel che andrà gestito alla ripresa sarà proprio lo straordinario temperamento di Letizia Paternoster.

«E’ agonista più di tutte le altre – prosegue Salvoldi – non credo che tutto questo possa scoraggiarla, semmai mi preoccupo del contrario. E’ così agonista che ha sempre somatizzato le tensioni della gara. La sera prima delle finali che poi ha vinto, le è capitato spesso di avere un po’ di febbre. E di sicuro adesso è lì a caricarsi nell’attesa di ripartire. Lei si infuria se perde la volata in allenamento e diventa di ottimo umore se la vince. Vive ancora della legge del “tutto o niente”. Negli ultimi tempi è molto migliorata, ma deve ancora raggiungere la maturità necessaria per dare la giusta proporzione ai problemi. Pazienza, dal mio punto di vista, se ad aprile non sarà in Belgio a giocarsi la Gand. Con Guercilena e lo staff della Trek siamo sempre andati d’accordo e ora la priorità è che lei riprenda bene».

Assieme a Elisa Balsamo, nella madison bronzo ai mondiali di Berlino 2020
Assieme a Balsamo, nella madison bronzo a Berlino 2020

Elisa e Letizia

Uno dei fattori di cui tenere conto nel gestire il suo rientro, che speriamo sia pronto, c’è anche il fatto che nel frattempo le quotazioni di Elisa Balsamo e del resto del gruppo delle inseguitrici sono salite a dismisura.

«Ma non credo – dice Salvoldi – che questo creerà problemi, pur ammettendo che al defilarsi di Letizia è coincisa la vera esplosione di Elisa. In tutti questi anni, all’interno del gruppo sanno quanto vale la Balsamo e quanto vale la Paternoster. Nessuna pensa che la sua assenza significhi avere un posto libero. Sanno che per guadagnarsi il posto dovranno andare forte e che una Letizia al top è un valore aggiunto per il quartetto. In questo credo di essere la loro figura di riferimento per la credibilità e l’obiettività con cui sono sempre state fatte le scelte. Sanno che si viene scelte e sanno che si resta fuori. Hanno tutte la voglia di fare il bene del quartetto. Per cui sarà importante riavere Letizia in squadra, il resto sapremo gestirlo nel modo giusto».