Gasparotto, le cadute e la catena dello stress

29.06.2021
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Ogni motivo è buono per restare davanti, perché tutti vogliono starci davanti nei finali di alcune corse o delle prime tappe dei grandi Giri. Chi ha un corridore adatto per quel traguardo – finisseur o sprinter – e si gioca la vittoria; chi invece ha l’uomo di classifica da proteggere fino ai 3 chilometri dalla fine, dove scatta la regola della neutralizzazione del tempo a causa di cadute, incidenti meccanici o forature.

Ecco, fino a quel momento è una volata continua, ormai lo stress sta toccando livelli esasperati e a farne le spese sono gli atleti stessi, a scapito dello spettacolo. Senza contare gli spettatori molesti e imprudenti (per non usare epiteti peggiori) che a bordo strada rischiano di provocare – o provocano purtroppo – pesanti ruzzoloni di buona parte del gruppo.

Le cadute al Tour sono iniziate dal primo giorno
Le cadute al Tour sono iniziate dal primo giorno

Cadute, il Giro e il Tour

Negli occhi abbiamo ancora tutto quello che è successo nelle prime tre frazioni del Tour de France: dalla incauta pseudo-tifosa col cartello a favore di telecamere della prima tappa alle cadute in successione negli ultimissimi chilometri della terza. E al recente Giro d’Italia abbiamo assistito a circostanze simili: la rovinosa caduta nella tappa di Cattolica, tamponamenti violenti tra ammiraglie o addirittura tra ammiraglie e corridore (quella subita da Pieter Serry della Deceuninck-Quick Step dall’auto del Team Bike Exchange durante l’ascesa finale della sesta tappa).

Tutte situazioni frenetiche e sempre più incontrollabili che abbiamo provato a sottoporre ad Enrico Gasparotto, ora direttore sportivo della Nippo Provence Continental (dopo essersi ritirato a fine 2020 con 11 vittorie totali tra cui il tricolore 2005 e due Amstel Gold Race) e soprattutto fresco della prova da “regolatore” in moto per Rcs Sport lo scorso maggio alla corsa rosa (in apertura con i colleghi Barbin, Velo e Longo Borgnini).

Enrico che differenza hai notato guardando la gara da un altro punto di vista?

E’ stata un’esperienza molto formativa e interessante, perché ho avuto modo di capire tante cose che da corridore non consideravo. Ho visto da dietro le quinte tutte le problematiche che hanno grandi gare come Giro o Tour, come permessi, accordi con le prefetture. Oppure le difficoltà logistiche per gli arrivi. Ho aperto le mie visioni.

Ormai in diesse devono tenere d’occhio più di un dispositivo perdendo attenzione
Ormai in diesse devono tenere d’occhio più di un dispositivo perdendo attenzione
Sempre più ex corridori ricoprono questo ruolo importante. Com’è il rapporto con il gruppo?

Devo dire che molti corridori non sanno cosa siano i regolatori, che sono presenti in tutte le gare, e glielo abbiamo dovuto spiegare. Quindi può diventare difficile far capire loro certe situazioni o certe decisioni. Purtroppo ho percepito che il gruppo non è molto sensibile a questa tematica e hanno avuto ragione Gilbert e Trentin a lamentarsi con i loro colleghi che non erano presenti alle riunioni del CPA sulla sicurezza. Viviamo in una società in cui è più facile lamentarsi che ascoltare e i social media non aiutano.

Perché secondo te c’è questo stress sempre più crescente ogni anno? Nelle prime tappe poi assistiamo a degli stillicidi.

Prendiamo ad esempio il Tour che è sempre seguitissimo in tutto il mondo e per il quale molte formazioni annunciano nuovi sponsor o marchi ad hoc. Questo porta a volere visibilità ad ogni costo, non basta più andare in fuga, ma si vuole essere davanti nei finali anche se una formazione non ha corridori per quel traguardo. Lo sponsor lo chiede al direttore sportivo, che a sua volta lo impartisce al suo corridore, che a sua volta deve eseguire. In pratica è una catena di stress.

E come si può interrompere?

Si potrebbe pensare a cambi di strade o percorsi. Magari si potrebbero fare le prime tappe per velocisti fuori dai centri abitati più importanti e poi tornare nei paesi/città più importanti in quelle successive quando lo stress è un po’ minore. Oppure si potrebbe stravolgere il classico trend inserendo salite e cronometro all’inizio in modo da delineare la classifica quasi subito. La Vuelta ha questa tendenza se vogliamo. Il mio ideale sarebbe un prologo, poi un paio di tappe dure con salite impegnative per poi riprendere con un tracciato più classico.

Finora tante, troppe cadute: perché, stress a parte?

Ci sono due fattori che incidono. La velocità ora in gruppo è altissima, è cresciuta in modo incredibile e diventa sempre più difficile controllarla in situazioni di pericolo o in cui bisogna fare attenzione. L’altro aspetto è legato alle strade che presentano sempre più intoppi o difficoltà come rotonde, spartitraffico. Non sono sempre ottimali per ricevere un gruppo di 180 corridori che viaggia forte.

Tutti vogliono stare davanti: velocisti e uomini di classifica
Tutti vogliono stare davanti: velocisti e uomini di classifica
A questo punto non sarebbe meglio modificare la regola della neutralizzazione, proponendo di portarla ai -10/12 chilometri?

Questa è un’idea che ho avuto anch’io e che recentemente mi ha interessato parecchio. Potrebbe essere un disincentivo. Per la verità se ne sta parlando da qualche tempo, ma bisogna trovare il giusto modo per conformare questa normativa per evitare, ad esempio, che gli uomini di classifica una volta entrati in questo tratto portino la bici all’arrivo in modo tranquillo. Io proporrei la neutralizzazione dei tempi ai -10 ma obbligherei chi non si gioca lo sprint a restare agganciato alla coda del gruppo principale se non vuole perdere dei secondi preziosi.

Chiudendo, anche in ammiraglia sembra che ci sia più tensione del dovuto, come i tanti tamponamenti.

Visto che adesso sono anche direttore sportivo, riconosco che non è facile restare attento. Radio, assistenza ai corridori, gps e applicazioni varie, abbiamo tante cose a cui pensare e tutte cose importanti. La tecnologia è fondamentale, ma dobbiamo imparare a restare più vigili. Per quanto riguarda invece i tamponamenti tra le ammiraglie, penso che siano sempre stati ma ora con i social sono più virali.

Cosa fa il regolatore? Chiediamolo a Gasparotto

11.05.2021
5 min
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Gasparotto ha cambiato ruolo, ma non lo sguardo. La capacità di guardare dritto al cuore delle cose che aveva da corridore l’ha portata oggi nel nuovo ruolo di regolatore. Anche se, ammette con disappunto, alcuni corridori e parte dell’ambiente non hanno ancora capito di che cosa si tratti. Enrico detto “Giallo” è salito sulla moto di Rcs Sport al Uae Tour e poi chilometro dopo chilometro, è arrivato al Giro d’Italia. Ieri ha preso la prima pioggia della corsa rosa, ma oggi sarà peggio. E comunque ricorda di essersi bagnato ben di più alla Tirreno nel giorno in cui Van der Poel vinse a Castelfidardo.

«Mi hanno proposto questo incarico ai primi di gennaio – racconta – anzi inizialmente era venuto fuori che si liberavano delle posizioni, solo dopo ho saputo di cosa si trattava. Sono uno dei quattro regolatori che Rcs vuole per gestire al meglio il gruppo. Gli altri sono Velo, Longo Borghini ed Enrico Barbin. Siamo più di quelli che prevede l’Uci, ma per stare tranquilli, da noi si fa così. Ero curioso di sapere che cosa ci fosse da fare. Mentre però il Uae Tour non era così difficile da gestire, la Tirreno è stata la prima vera gara, fra moto e auto al seguito. E ho capito davvero il mio compito».

E’ un compito difficile?

Dipende dal ruolo che hai. Velo è quello che sta davanti al gruppo e la sua posizione è la più pericolosa. In ogni caso è un ruolo in cui devi avere capacità decisionale, fermezza e devi essere fermo in quello che decidi, altrimenti è un attimo che qualcuno se ne approfitti.

In che modo lavorate?

Siamo tutti collegati tramite Radio Direzione, un canale attraverso il quale comunichiamo i problemi che ci sono. E’ una frequenza cui hanno accesso la direzione e tutte le figure ufficiali che gestiscono la corsa. Chi è davanti avvisa chi è dietro di eventuali rischi per il gruppo. La figura del regolatore nasce per la sicurezza dei corridori. Ogni ragionamento che facciamo è per la massima sicurezza dei ragazzi. Parliamo di gestire il sorpasso delle moto staffette e quello delle moto dei fotografi, gestendo anche la loro rotazione in testa al gruppo, perché possano lavorare tutti in condizioni di sicurezza. Sta a noi permettere a chiunque abbia un ruolo di lavorare in gruppo, ammiraglie comprese.

Il fatto di aver corso ti permette di capire i movimenti del gruppo?

E’ il motivo per cui siamo tutti ex professionisti, perché riusciamo a capire e prevenire il movimento dei ragazzi. Se capisci in che modo si muove il gruppo, puoi disporre il passaggio di chi deve superare. Comunichiamo le indicazioni a Velo, che sposta il gruppo di conseguenza.

Velo è il regolatore numero uno. Qui sulla moto guidata da Igor Astarloa al Giro del 2015
Velo è il regolatore numero uno. Qui sulla moto guidata da Igor Astarloa al Giro del 2015
Sembra brutto, ma sembra che voi siate i cani e il gruppo un gregge…

E avete ragione, perché sono come un branco di pecoroni. Ho discusso tante volte quando correvo di questi dettagli, affinché lasciassero lavorare le ammiraglie, dando a tutti modo di fare la propria parte. Quello che mi dispiace è che tanti non sappiano che cosa sia il regolatore. Mi chiedono che cosa faccia in moto, se stia collaborando con la Rai…

Forse si dovrebbe insegnarlo ai corridori?

Servirebbe una formazione a livello Uci e non soltanto per i corridori, perché anche alcuni team manager o direttori non capiscono. Alla Sanremo ho dovuto discutere con un’ammiraglia, per la quale ero poco più di una staffetta o di un fotografo.

Sei tranquillo in corsa sulla moto?

Il motociclista che mi è stato assegnato ha fatto tanti anni come scorta, ma non aveva mai guidato in gruppo, perciò gli ho insegnato come muoversi. E devo dire che in queste prime due tappe in linea, si è mosso bene. E questa è una bella soddisfazione. Per contro, anche io ho dovuto imparare la mia parte. E comunque è bello perché sento che in questi giorni si sta creando il feeling in tutto il nostro gruppo.

Dovete ispezionare i percorsi in qualche modo?

Ogni giorno, finita la tappa, facciamo un briefing mettendo sul tappeto tutte le informazioni sulla corsa del giorno dopo. Abbiamo software nei telefonini, la stessa tecnologia che usano i direttori sportivi sulle ammiraglie.

Prima del via, parlando con Longo Borghini, altro regolatore
Prima del via, parlando con Longo Borghini, altro regolatore
Quali sono dunque i tuoi strumenti quando sali in moto?

A parte il casco e l’abbigliamento tecnico, il più importante è il fischietto. Poi la bandierina, l’elenco dei partenti e la mappa della tappa. Questa una volta era di carta e in certi casi lo è ancora, ma di fatto sotto il cupolino della moto si riesce a mettere uno smartphone con lo schermo gigante che ha cambiato le cose.

Arrivi stanco la sera?

Non ho il mal di gambe dei ragazzi, ma c’è comunque tensione. Se piove, se le strade non sono grandi. E comunque c’è tensione per fare le cose al meglio. Inoltre con la diretta televisiva integrale, c’è una pressione incredibile. L’Uci sorveglia ogni fase e le multe arrivano. E noi regolatori abbiamo la responsabilità e ci chiediamo sempre se potevamo fare meglio. Quando alla Tirreno, Simon Carr è finito contro quel paletto, mi sono chiesto per giorni se avrei potuto fare di meglio.

Riesci ancora a mandare avanti la tua squadra continental?

La squadra va avanti da sé e io comunque non sono il tecnico principale. Per quello c’è Marcello Albasini, io do una mano quando serve. Riesco ancora a farlo benissimo.

Gasparotto Amstel 16

Amstel Gold Race: 7 centri italiani e mai per caso

17.04.2021
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Per molti anni, l’Amstel Gold Race è sembrata la “gara stregata” degli italiani. Dalla sua nascita nel 1966 fino al 1997, avevamo collezionato una sola vittoria e ben 7 piazze d’onore. C’era sempre qualcuno più forte, sin dal 1978 quando Francesco Moser dovette arrendersi nello sprint a due alla maggiore brillantezza del padrone di casa Jan Raas, vincitore della corsa principe del calendario olandese per ben 5 volte.

La svolta di “Zazà”

A sfatare la maledizione era stato nel 1996 Stefano Zanini e per farlo dovette reinventarsi. Era un velocista, ma decise di anticipare lo sprint. «In fuga c’erano Missaglia, Sciandri e Peron, sono partito ai -15 per andarli a prendere – dichiarò all’epoca – poi scattai d’istinto e a 2 chilometri dall’arrivo, vedendo il gruppo in lontananza, capii che era fatta». Secondo fu Mauro Bettin, quinto Fontanelli: un’edizione molto azzurra.

Zanini Amstel 1996
Stefano Zanini, 29 vittorie in carriera, oggi Ds dell’Astana. In Olanda il giorno più bello
Zanini Amstel 1996
Stefano Zanini, 29 vittorie in carriera, oggi Ds dell’Astana.

L’acuto di Bartoli

Altre però ne sarebbero arrivate. Nel 2002 ad esempio ci fu il sigillo di Michele Bartoli, in fuga a 4 con il compagno di squadra russo Ivanov, l’olandese Boogerd e l’americano Armstrong. Quella fu l’ultima classica del Nord vinta dal toscano: «Era un periodo particolare, ero appena rientrato da un infortunio che avevo temuto potesse chiudere la mia carriera in anticipo, poi era appena arrivata mia figlia».

La settimana di Rebellin

Due anni dopo, proprio all’Amstel iniziò la settimana magica di Davide Rebellin, che in 8 giorni portò a casa oltre alla classica olandese anche Freccia Vallone e Liegi-Bastogne-Liegi. Una gara fortemente italiana (terzo Bettini, quarto Di Luca), con l’olandese Michael Boogerd battuto nello sprint a due dal veneto.

Rebellin Amstel 2004
Rebellin all’Amstel 2004, dietro Boogerd. Quell’anno il veneto vinse la Coppa del Mondo
Rebellin Amstel 2004
Rebellin all’Amstel 2004, dietro Boogerd. Quell’anno il veneto vinse la Coppa del Mondo

Boogerd merita un capitolo a parte: corridore di riferimento al tempo per il ciclismo arancione, con l’Amstel ha avuto un rapporto conflittuale, solo lenito dal successo nel 1999, quando batté Armstrong.

L’olandese infatti è giunto per ben 4 volte secondo e anche nel 2005 incassò una delusione, perdendo in volata con Danilo Di Luca, con Celestino terzo e Rebellin quarto. Boogerd in quel frangente tirava la volata a Freire, solo che andò così forte che lo spagnolo si staccò e quando non ne aveva più, Di Luca gli tolse un altro sorriso dalla bocca…

Cunego, la testa a Liegi

Nel 2008 venne la volta di Damiano Cunego, nel pieno del processo di trasformazione da specialista delle corse a tappe a capitano per le classiche. Nel suo anno migliore (nel 2008 vincerà anche il Lombardia), il veronese batté allo sprint il lussemburghese Schleck e la sua vittoria la raccontò così: «Avevo in testa la Liegi, così vedevo l’Amstel come una prova generale. Attaccavano tutti e non potevo essere sempre io a rincorrere, dovevo anticiparli, così ho trovato la carta vincente».

Damiano Cunego, Amstel 2008
Amstel 2008: Cunego “giustizia” Frank Schleck sul Cauberg
Damiano Cunego, Amstel 2008
Amstel 2008: Cunego “giustizia” Frank Schleck sul Cauberg

Arriva “Gaspa”

Proprio con Cunego e il suo Lombardia sarebbe iniziato un lungo periodo di astinenza da vittorie italiane nelle classiche. A interrompere la parentesi fu Enrico Gasparotto, uscito vittorioso nel 2012 da un quintetto con gente come Freire e Sagan. Il meno pronosticato, che però con l’Amstel aveva saputo instaurare un feeling speciale: sarebbe stato infatti capace di un clamoroso bis nel 2016 (oltre al podio preso anche nel 2018).

Gasparotto Amstel 2016
Il commovente arrivo di Gasparotto nel 2016, con la dedica per Demoitié
Gasparotto Amstel 2016
Il commovente arrivo di Gasparotto nel 2016, con una dedica speciale per Demoitié

Quella vittoria venne vissuta con uno stato d’animo diverso, caratterizzato ancora dal dolore per la perdita, subìta un mese prima, del compagno di squadra francese Antoine Demoitié, uno dei tanti caduti per incidenti stradali: «Il giorno prima arrivò in albergo la moglie, a darci lei una parola di conforto e di motivazione. E’ stata una delle emozioni più forti, io non ero neanche potuto essere al funerale, ero da solo in altura ad allenarmi». Già, certe vittorie hanno davvero un sapore particolare…

Grandi Giri per Van Aert? Gli esperti hanno dei dubbi

18.03.2021
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Vince in volata, vince a crono, va forte in salita: Wout Van Aert è tutto ciò. Il belga sta riscrivendo le regole del corridore completo e stupisce non poco. Dopo la Strade Bianche aveva detto di puntare alla classifica generale della Tirreno-Adriatico e se non avesse incontrato un altro fenomeno come Pogacar ci sarebbe anche riuscito. Ma questo ci porta a pensare un po’ più là. Van Aert può vincere un grande Giro? Oppure è “limitato” alle corse di un giorno? E ancora: le gare di una settimana sono il suo ideale?

Ne abbiamo parlato con tre ex corridori, di altrettante generazioni: Massimo Ghirotto, Michele Bartoli ed Enrico Gasparotto.

Massimo Ghirotto (59 anni) oggi è commentatore dalla moto per Radio Rai
Massimo Ghirotto (59 anni) oggi è commentatore dalla moto per Radio Rai

Ghirotto dice sì, ma…

Partiamo da Massimo. Lui ha corso tra gli anni ’80 e ’90 e ha visto dal vivo anche gli ultimi super atleti che potevano vincere classiche e grandi Giri con un certa facilità.

«Credo sia la domanda che tutti si pongono nel mondo del ciclismo e credo che una risposta certa non la sappia neanche Wout stesso. Si tratta di un corridore rarissimo che va forte dappertutto, anche nel cross non dimentichiamolo. Il fatto però che sia alto 187 centimetri e pesi 77 chili ci dice che è anche un bel “bestione”. Mi viene in mente Indurain. Lui vinceva i Giri, ma non le classiche. Allora penso a Moser, che vinceva entrambi, però va detto, e lo sostiene Francesco stesso, che i Giri di Moser erano disegnati per lui. C’erano tante crono e pochi arrivi in salita.

«Per cui dico che sì, potrebbe anche vincere dei grandi Giri, ma dovrebbe perdere almeno 2-3 chili, anche se a guardarlo in volto mi sembra già bello scavato, ma lo può fare. In questo caso, in teoria, perderebbe un po’ di spunto veloce per le volate, ma è anche vero che se Van Aert dovesse pensare alla classifica generale immagino non faccia anche gli sprint: il rischio sarebbe alto e dovrebbe dosare le energie.

«Meglio nelle corse di una settimana? Con i se e con i ma non si fa molto, ma alla Tirreno se non ci fosse stato Pogacar avrebbe vinto. A Prati di Tivo Van Aert non aveva neanche un compagno di squadra. In quelle situazioni avere un paio di uomini incide molto.

«I grandi Giri sono sempre più duri: il Giro lo conosciamo, la Vuelta propone arrivi in salita con pendenze incredibili e anche il Tour si sta allineando. Van Aert dovrebbe lavorarci e dovrebbe avere una squadra per lui, ma credo che alla fine per saperlo del tutto debba fare una prova vera. Io per esempio mi dissi: possibile che grande e grosso come sono non posso andare forte a cronometro? Per risolvere il dubbio provai… e la risposta fu no! ».

Bartoli è stato uno dei più grandi interpreti delle classiche, oggi è un preparatore
Bartoli è stato uno dei più grandi interpreti delle classiche, oggi è un preparatore

Bartoli: «E’ più da classiche»

Seguendo l’ordine temporale, passiamo al punto di vista del campione toscano, protagonista delle classiche a cavallo tra gli anni ’90 e 2000.

«Van Aert che vince un Tour la vedo dura. Anche perché ha 26 anni ed è nella maturità o quasi. Sì, potrà crescere ancora, ma poco. Poi magari mi sbaglio e vince tutto! Però non vedo quei margini necessari per diventare un corridore da corse a tappe. Dove può primeggiare alla grande è nelle classiche. E’ un corridore che dà spettacolo e può vincere dalla Sanremo al Lombardia, passando per la Liegi. Lì ci sono salite che durano 10′ e su scalate di quella durata va più forte di altri. Anche al Lombardia può far bene, anche se è la classica più lontana dalle sue attitudini, ma avendo mostrato di andare forte in salita può farcela.

«Una sua caratteristica predominante è la determinazione. Rispetto a Van der Poel è più completo. Mathieu è più spregiudicato, è uno che punta forte su un obiettivo e lo vince. Guardiamo cosa ha fatto nella tappa di Prati di Tivo: si è staccato pensando al giorno dopo. Van Aert quel giorno invece ha mostrato grande concentrazione. Secondo me è andato anche più forte di Pogacar per certi aspetti. Gli scattavano in faccia, si staccava, li recuperava e li staccava a sua volta, ma non lo faceva perché voleva riprenderli, ma per salire con un passo che fosse il più veloce possibile. 

«Il belga nella tappa dei muri ha pagato un po’ rispetto a Pogacar perché lui è meno scalatore e nell’arrivo del giorno prima aveva speso di più, anche per questo dico che non lo vedo nelle tre settimane (situazioni così capitano spesso, ndr). Di contro, è anche vero che l’anno scorso nel finale del Tour è andato forte lo stesso. Però spesso in vista degli arrivi in salita, una volta finito il suo lavoro, si staccava. E questo conta nel risparmio delle energie.

«Chi mi ricorda? A mia memoria nessuno. Magari fra qualche anno dirò: questo corridore mi ricorda Van Aert. No, uno così vincente su tutti i terreni non c’è. Basta poi leggere i suoi numeri: vince le volate a 1.500 watt e tiene sulle salite vere. Wout unisce le due cose in modo incredibile».

Enrico Gasparotto, Saudi Tour 2020
Oggi Gasparotto collabora con il team continental Nippo-Provence e con Rcs come regolatore
Enrico Gasparotto, Saudi Tour 2020
Oggi Gasparotto collabora con il team Nippo-Provence e con Rcs come regolatore

Gasparotto: «Non si snaturi»

E per finire parola al friulano-svizzero, l’unico che tra l’altro con Van Aert ha anche condiviso gare e chilometri in gruppo visto che ha corso fino alla stagione scorsa.

«Se Van Aert può vincere un grande Giro? Io dico di sì, ma devono esserci situazioni favorevoli, come più chilometri a crono e meno arrivi in salita. Mi vengono in mente due esempi, Indurain e Cancellara. Fabian ha vinto un Tour de Suisse. Per dire che se troverà sul suo cammino percorsi ideali ce la può fare.

«Mi ha colpito la sua crescita progressiva. Parlavo con lui quando ancora era nella continental e alternava strada e cross. E’ giovane adesso, all’epoca nel 2016, era un “bimbo”. Sempre educato. Ci siamo anche incontrati qualche volta sul Teide. Sembrava dovesse venire alla Wanty. Negli ultimi anni si è dedicato moltissimo alla cura dei dettagli e il miglioramento è stato continuo. E’ cresciuto nelle tappe di montagna e anche a crono ha fatto passi in avanti. L’altro giorno a San Benedetto nonostante la bici nuova aveva una posizione perfetta ed è stato subito performante: significa che ci lavora.

«Van Aert alla Tirreno ha dimostrato che può vincere una gara di una settimana, magari non facilmente, ma se arrivi davanti a gente come Bernal e Landa che sono scalatori significa che ce la puoi fare. Nei grandi Giri invece subentrano altri fattori. Vero che lo scorso anno ha fatto grandi performance nella terza settimana ma se parti per fare classifica è diverso. Portare a spasso 76-77 chili per tre settimane è diverso che farlo con 59 o per una sola settimana (incidono anche spesa energetica e recupero, ndr).

A noi viene in mente il Tour di Wiggins. L’ex pistard di sua maestà fu costretto ad una grande rivoluzione del suo fisico per centrare la Grande Boucle. E Gasparotto ha la sua idea…

«Fossi in lui preferirei puntare alla “top five” dei cinque monumenti e alle corse a tappe di una settimana, piuttosto che cambiarmi per conquistare un grande Giro. Lui nasce perfetto per queste gare. Se dovesse concentrasi su un grande Giro andrebbe troppo a modificare le sue caratteristiche, ma il fascino del Tour è il fascino del Tour… e qualche corridore non resiste, ci perde la testa! Meglio, per me, mantenersi sui propri standard».

Gasparotto è già ripartito. Eccolo tra i giovani

29.01.2021
4 min
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Enrico Gasparotto ha chiuso la sua carriera qualche mese fa. La sua ultima corsa è stata la Vuelta. Da quel momento è iniziata la sua seconda vita. E questo passaggio non sempre è facile. Ma il Gaspa volenteroso qual è non ci ha messo troppo a trovare un’alternativa. E forse più di una…

E infatti è già ripartito con un nuovo progetto a stretto contatto con dei giovani corridori. 

Enrico Gasparotto, moglie Anna Moska
Enrico Gasparotto con sua moglie, Anna Moska
Enrico Gasparotto, moglie Anna Moska
Enrico Gasparotto e la moglie Anna Moska
Enrico, prima di tutto dicci com’è il primo inverno da “non corridore”…

Per ora bene dai! Mi sono divertito in montagna e soprattutto non sento la mancanza di ritiri ed allenamenti, questo mi dice che probabilmente era il momento giusto per chiudere la carriera. Quando smetti temi che questo possa accadere, ti puoi pentire… Poi, magari quando inizieranno le corse, ci saranno il Giro o le Olimpiadi, mi mancherà.

Hai iniziato un nuovo percorso, di cosa si tratta?

La Nippo-Provence-PTS Conti è legata alla EF Procycling. E’ un team gestito da Robert Hunter che ha una società, la ProTouchGlobal, che cura le procure di ciclisti e motociclisti, che fa parte dell’organizzazione di alcune corse tra cui le Hammer Series e il Tour de Suisse. Il diesse e manager  è Marcello Albasini, papà di Michael. Chiusa la sua esperienza come tecnico della nazionale svizzera (posto che ha lasciato a suo figlio) ha sposato questo progetto.

Un’avventura tutta rossocrociata…

Abbiamo bici Cannondale. Ci sono quattro corridori svizzeri, due francesi, due etiopi, un russo, un polacco, un norvegese, due giapponesi. Abbiamo una “team house” nella Svizzera tedesca. Marcello ha una passione grande e insegna il ciclismo ai ragazzi. I due etiopi davvero non avevano nulla. Lo vedo che li segue con amore.

Come li ha trovati questi corridori?

Erano al centro Uci di Aigle in Svizzera, dove iniziò anche Froome.

E in tutto ciò qual è il tuo ruolo?

L’idea è quella di fare il direttore sportivo in aiuto a Marcello, ma è anche vero che in una continental così piccola e appena nata, tra l’altro in periodo di covid, ti ritrovi a fare un po’ di tutto: back office, diesse, logistica… Per esempio con Marcello ci svegliamo alle 7 e cuciniamo per la colazione, apparecchiamo, sparecchiamo, poi carichiamo l’allenamento sul software affinché poi i ragazzi se lo ritrovino sui computerini… E dopo l’allenamento, ancora cucina, pacchi, sistemiamo… Insomma se non hai voglia di rimboccarti le maniche meglio restare a casa. 

Adesso dove siete? 

In ritiro in Provenza, nel Sud della Francia. Per questo cuciniamo anche perché è consentito solo il catering.

Sei mai uscito con loro in bici?

No, non ho il necessario. Mi sono portato il vestiario e le scarpe per correre, ma alla fine vedo che sono sempre stanco e non ci sono andato!

Cosa ha colpito Gasparotto dell’essere passato “di qua”, di non essere più un corridore?

Che in questa realtà ti rendi conto di quanto sono privilegiati atleti e staff delle WorldTour. Lì ognuno ha il suo compito e quello fa, almeno nella maggior parte dei casi. Qui invece se non sei flessibile non funziona. E non funziona per i ragazzi. E’ per il loro bene, qui il ciclismo è passione vera. Okay, il ciclismo è soprattutto WT, ma è anche questo.

La Nippo-Provence-PTS Conti, è nata quest’anno. La sede è in Svizzera
La Nippo-Provence-PTS Conti, è nata quest’anno
Quando è nata questa idea?

Con Roby Hunter sono parecchio amico. Inoltre mia moglie Anna lavora nella sua agenzia e sapevo di questo progetto sin dal primo giorno. Quando ho capito che avrei avuto molto tempo a disposizione mi sono offerto.

Quali sono i vostri obiettivi?

A meno che non vengano annullate all’ultimo minuto a breve partiremo per la Turchia, dove faremo quattro competizioni. Successivamente ci sposteremo in Croazia.

Che età hanno questi ragazzi?

Vanno da 19 ai 24 anni.

Ma è solo un progetto per la loro crescita o secondo te c’è anche qualcuno di buono davvero?

No, no, alcuni hanno i numeri. Qualche giorno fa abbiamo fatto un test sulla stessa salita sulla quale lo hanno fatto i ragazzi della EF e il nostro migliore ha fatto un tempo di 15” più basso del migliore della EF. Un paio hanno espresso 6,2-6,3 watt/kg. 

Però, quelli sono numeri importanti…

Sì, comunque sia è un buon punto di partenza. Poi sono anche il primo a dire che il test non fa il corridore. Bisogna anche saper guidare la bici, limare, essere freddi per competere ad alti livelli. Due di loro stavano per passare in una WorldTour, poi questa possibilità è sfumata, mentre quelli più giovani devono crescere e migliorare e devono anche finire la scuola. In realtà, gli svizzeri l’hanno finita, però qui al termine devono fare il tirocinio obbligatorio e pertanto si allenano nel tempo libero dopo il lavoro.

Enrico Gasparotto, Amstel Gold Race 2016

Gasparotto, il tricolore, l’Amstel e Scarponi…

12.12.2020
7 min
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L’ultima volta che Gasparotto è ripartito da casa dei genitori, era ancora un corridore. La Vuelta era finita da poco e probabilmente Enrico aveva in testa la possibilità di correre fino alle Olimpiadi. A cose normali, il 2020 sarebbe stato il suo ultimo anno, con Tokyo e il mondiale di Martigny in maglia svizzera. Lo aveva deciso, poi il Covid ha cambiato tutto.

«Per cui – dice – dover telefonare a mio padre per dirgli che smettevo, è stato un passo importante. Lui correva, ma non è mai riuscito a passare professionista. Ce l’ha fatta il figlio. E da quando era in pensione, senza nulla togliere a mia madre, un momento bello della sua giornata era sedersi davanti alla televisione per guardare le mie corse. Quando gli ho detto che era finita, mi ha ricordato che passando professionista gli avevo detto che avrei smesso a 38 anni. E poi ha aggiunto che se c’è riuscito lui, ci sarei riuscito anche io. L’ho ringraziato per essermi rimasto accanto senza mai intromettersi. E quel punto si è messo a piangere».

Enrico Gasparotto 2005
In maglia tricolore nel 2005, da neoprofessionista. Gasparotto: una sorpresa per tutti
Enrico Gasparotto 2005
Nel 2005, neopro’ e campione italiano

Non è facile raccontare l’addio di un corridore che hai visto ragazzino, è come perdere un pezzetto di te. La storia di Enrico in particolare ha vissuto momenti molto forti, cui non è stato possibile restare indifferenti. Dalle vittorie al brusco risveglio durante il viaggio di nozze, quando scoprì di non avere più un contratto. Certi risvegli lasciano il segno e il cammino compiuto da “Gaspa” per riprendersi quello che aveva perduto è stato uno dei momenti più belli da raccontare. Anche se alla letteratura più commerciale certe storie non interessano. E’ meglio osannarli se vincono e per il resto fingere che non esistano. Questa chiacchierata avrebbe meritato una birra, la possibilità di guardarsi negli occhi, ma il periodo lo impedisce. La birra ci sarà di certo al momento di scriverla e sarà una La Chouffe, come quella che ci consigliò anni fa.

La porta si è chiusa.

Non me ne rendo conto al 100 per cento, perché siamo a dicembre e c’è il Covid. Forse quando a febbraio non andrò sul Teide e saranno ricominciate le corse, allora sarà diverso. Adesso mi sveglio al mattino e se fuori nevica, sono contento perché non devo uscire o inventarmi il modo per fare fatica.

Enrico Gasparotto, maglia rosa, Giro d'Italia 2007
Cronosquadre in Sardegna: vince la Liquigas e Gasparotto prende la maglia rosa
Giro 2007, in maglia rosa dopo la cronosquadre
Avresti voluto continuare fino a Tokyo?

Ho cercato l’opportunità per farlo. Il 2020 sarebbe stato l’ultimo anno. Avevo avvisato mio padre che mi sentivo pronto. Poi durante il lockdown ho cominciato a pensare di spostare la riga più avanti, perché l’idea di fare le Olimpiadi mi stuzzicava. Però l’opportunità non è arrivata e non me la sono sentita di andare in giro a pregare dopo una carriera così. Ho preferito chiudere il discorso. 

Come avevi immaginato l’ultimo anno di Gasparotto?

Ogni corsa sarebbe stata l’ultima. Avrei avuto il tempo di salutare, ma la pandemia ha segnato tutti. Le classiche si sono corse senza pubblico e l’Amstel non si è neanche fatta. Ma sono contento della mia carriera. Il campionato italiano. La maglia rosa. Passare con il Giro d’Italia per il mio paese. La prima Amstel. Le difficoltà che mi hanno portato alla Wanty. La risalita grazie a un mental coach per riconquistare quello che avevo già vinto prima, quindi la seconda Amstel. Aver ricevuto i messaggi privati di tanti giovani mi riempie di orgoglio.

Enrico Gasparotto, Tre Giorni La Panne, 2008
Nel 2008 batte Paolini nella prima tappa della Tre Giorni di La Panne
Enrico Gasparotto, Tre Giorni La Panne, 2008
Nel 2008, prima tappa alla Tre Giorni di La Panne
Non solo messaggi privati…

Mi hanno detto che Ganna nella conferenza dopo i mondiali ha ringraziato Gaspa e Sobrero per averlo aiutato a restare tranquillo. Il fatto che a 24 anni, sul tetto del mondo, si sia ricordato di me… E prima nemmeno eravamo particolarmente amici, ci siamo avvicinati proprio in quel ritiro sopra Macugnaga. Ma mi hanno scritto Battistella, Sobrero, Gino Mader. Persino Tao Geoghegan Hart mi ha mandato un bellissimo vocale, ringraziandomi per i consigli che gli avevo dato sul Teide, allenandoci due volte insieme. Non sono arrivato al punto di mettermi a piangere, ma certo pensandoci un po’ di magone mi viene.

Enrico Gasparotto, Amstel Gold Race 2012
Nel 2012 la prima Amstel Gold Race di Gasparotto in maglia Astana
Enrico Gasparotto, Amstel Gold Race 2012
Amstel Gold Race, la prima nel 2012

Lo sai, più o meno. Ma se vuoi che un campione possa salutare bene il suo pubblico, devi permettergli di mettersi a nudo. E se accetta di farlo, chi lo ha applaudito per quello che ha fatto in bici, lo amerà scoprendo l’uomo che c’è dietro l’armatura.

Ci sono stati momenti duri?

Su tutti, i due lutti. Hanno segnato una svolta. Uno è stata la morte di Demoitié, che era mio compagno di squadra (fu investito da una moto alla Gand del 2016 ed è poi morto all’ospedale di Lille, ndr). E poi la morte di Scarponi.

Eravate amici?

Scarpa è uno dei quattro ciclisti in attività che c’erano al mio matimonio. Un’amicizia nata all’Astana, durante una serata a Calpe, mi pare. Lo sapete com’era, era capace di trattarti come il migliore amico e contemporaneamente pensare che fossi chissà cosa. Grazie a questo, era amico di tutti e nemico di nessuno. Ma io sono uno diretto e così glielo chiesi cosa pensasse davvero di me. Restammo a parlare tutta la notte in camera mia. Dovevamo fare capodanno insieme, le Feste insieme e… non ci siamo riusciti. E mi dispiace (la voce si strozza, ndr). Faccio fatica ancora adesso ad andare a Filottrano. Andai al funerale e non ci sono più tornato. Ho paura, penso per un senso di protezione pensando a quanto potrei stare male. Ho incontrato i suoi genitori e mi veniva da piangere. Faccio fatica a non farlo ogni volta che vedo Anna e i gemelli. Forse adesso avrò più tempo…

Enrico Gasparotto, moglie Anna Moska
Torna dalla luna di miele con Anna e scopre di essere rimasto senza squadra: è il 2016
Enrico Gasparotto, moglie Anna Moska
Con Anna, sempre al suo fianco
Già, il tempo. Il tempo sana tutte le ferite. Hai pensato a cosa farai adesso?

Mi piace essere sempre attivo, impegnarmi in qualcosa che tocco con mano. Aver smesso così tardi non aiuterà. Alla mia ex squadra avevo presentato un progetto, offrendomi di correre per metà anno e poi con un ruolo da talent scout. L’età media dei corridori si è abbassata e nei team serve qualcuno che vada in giro a scovare talenti. I procuratori fanno l’interesse degli atleti, non delle squadre. Matxin è stato un grande talent scout per la Quick Step

Saresti un ottimo direttore sportivo.

Il progetto ora è prendere la licenza Uci da direttore e da trainer. L’esperienza di questi anni assieme ai più giovani mi ha fatto capire quanto sia cambiato questo ambiente. E’ più facile che i corridori si aprano con quelli che hanno sofferto assieme a loro. Si confidano più facilmente. Per questo le squadre sono contente di ragazzi come Pellizotti e Popovych, perché arrivano dove altri diesse non arrivano. Poi se diventi bravo, vai avanti. Altrimenti largo ai giovani.

Enrico Gasparotto, Amstel Gold Race 2016
Nel 2016 vince la seconda Amstel in maglia Wanty e riconquista il WorldTour
Enrico Gasparotto, Amstel Gold Race 2016
Nel 2016 la seconda Amstel di Gasparotto
Cosa ha detto Anna, tua moglie, della scelta di smettere?

La cosa più bella di tutta questa avventura è stato il suo supporto. Mentre io facevo il mio percorso con il mental coach, lei studiava per diventarlo. Quello che mi è piaciuto in questi anni è vederla serena. La vita cambia e lei è più tranquilla di me. Gliel’ho chiesto se sia vero o sia facciata per non turbarmi. Avere accanto una persona così mi rende felice e più sereno davanti a ogni cosa che affronterò. E’ fondamentale, perché ho fatto lo sportivo, ma sono un uomo.

Ci sarà ancora la bici nella vita di Gasparotto?

In questi giorni ho camminato in montagna, fatto scialpinismo, usato le ciaspole e la mountain bike. Ma sono caduto e mi sono fatto male alla schiena. Per ora mi entusiasmano di più altri sport, poi magari quando riprenderò la bici da corsa sarà come tornare a casa. Ma spero anche di poter tornare a casa davvero, in Friuli, per salutare le persone che in questi anni ho trascurato. E rivedere la mia stanza. In cui mio padre ha sistemato tutti gli articoli di giornale, le maglie e i trofei. E’ uguale a quando l’ho lasciata. Solo ci abbiamo messo il letto matrimoniale.

Enrico Gasparotto, mondiali Imola 2020
A Imola per Gasparotto il primo mondiale della carriera, in maglia svizzera: arriva 46°
Enrico Gasparotto, mondiali Imola 2020
A Imola 2020 il primo mondiale della carriera
Meglio smettere così che nel 2015, quando non volevi andare alla Wanty?

Assolutamente. Se avessi smesso allora, avrei avuto addosso tanta rabbia. Quando arrivò quel contratto, rimasi a pensarci per due giorni e per fortuna accettai, perché si trasformò in una spinta fortissima. Vinsi l’Amstel e ritrovai un posto nel WorldTour. Voglio smettere ed essere contento. Non diventare uno di quei cinquantenni pieni di rancore che parlano male del ciclismo. Non sarebbe stato giusto per tutto quello che il ciclismo ha rappresentato nella mia vita.

Vuelta, nel riposo parla Gasparotto

02.11.2020
5 min
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Giorno di riposo alla Vuelta. I corridori che domani non sono chiamati a fare la prestazione nella cronometro individuale hanno dormito un po’ di più. Per gli altri invece è stato un giorno molto importante, magari non duro, ma nel quale è servita comunque una certa concentrazione. La crono di 33,5 chilometri che infatti li aspetta deciderà probabilmente la Vuelta.

Tra coloro che se la sono potuta prendere più comoda oggi c’è stato Enrico Gasparotto. Uno dei pochi “italiani” impegnati in Spagna. Le virgolette servono perché il friulano da quest’anno batte bandiera svizzera. 

Gambe stanche 

«Oggi piove – racconta Gasparotto – ed è il giorno di riposo ideale. Ho fatto giusto un po’ di rulli. Il muro finale di domani (1,8 chilometri con punte al 29 per cento, ndr) non l’ho ancora visto. Mi stavo informando proprio poco fa. Credo che i rapporti che utilizzeremo saranno gli stessi dell’altro giorno sull’Angliru. Immagino anche che qualcuno potrà cambiare la bici alla base della salita. Di sicuro non io!».

Il friulano in testa nella fuga verso l’Angliru
Il friulano in testa nella fuga verso l’Angliru

Gaspa è un po’ stanco. La sua condizione fisica non è al top e la situazione contrattuale di certo non lo aiuta. Lui però sta affrontando questo momento con maturità e consapevolezza.

«La mia Vuelta? C’è poco da dire, sono arrivato qui che ero già abbastanza stanco e provato da una stagione lunga, passata ad inseguire la condizione. Una situazione così genera stress. Di solito hai altri riferimenti. Un po’ come diceva Nibali.

«Senza contare che qua in Spagna ogni giorno sembra di correre una classica. Nessuno ha la certezza di arrivare a Madrid e così tutti ci danno sotto. E’ vero che la bolla funziona benissimo, che non abbiamo contatti con l’esterno, che non c’è gente sulle salite, però le notizie sul covid le leggiamo e queste generano una corsa molto attiva. 

Qua in Spagna ogni giorno sembra di correre una classica

Enrico Gasparotto

«A “peggiorare” questa situazione c’è la Movistar. Quest’anno non hanno raccolto quanto fanno di solito. Sono motivati, ma non sono in testa ed ecco che animano sempre la corsa da molto lontano. Hanno otto corridori che stanno molto bene. L’altro giorno Soler ha attaccato a 50 chilometri dal traguardo. Valverde lo ha fatto ai 70 nella tappa nei Paesi Baschi. Quando si muovono certi calibri poi dietro inseguono. Bello? Sì, per voi dalla tv ma se sei al gancio come me non tanto! Ieri ero nella fuga, mi hanno ripreso e sono arrivato 8′ dentro il tempo massimo. Sono stato il gambero di giornata: almeno un riconoscimento l’ho preso!».

Gasparotto e il 2021

In effetti la Vuelta è davvero scoppiettante. Oltre alla Movistar e al covid ci sono percorsi mai banali. E la stanchezza in gruppo, che c’è anche se non sembra, crea dei bei distacchi per chi non è davanti.

«C’è da dire anche che siamo al 2 di novembre e siamo ancora qua a correre – continua il vincitore di due Amstel – Arrivati ad un certo punto sono le motivazioni a fare la differenza, quelle che spesso ti fanno andare oltre i limiti. Non sono mai stato così magro a novembre! Credo che il prossimo anno ci sarà una stagione molto europea. E’ saltato il Down Under e credo che anche in Argentina non si correrà. Suppongo non ci saranno ritiri a dicembre e magari partiremo un po’ più tardi».

La Movistar è per “Gaspa” la squadra più forte e pericolosa
La Movistar è per “Gaspa” la squadra più forte e pericolosa

A fine stagione la NTT dovrebbe chiudere i battenti. Il management sta cercando sponsor per salvare il gruppo ma con i tempi che corrono non è facile.

«Trovare un main sponsor è complicato, ma è vero che ci sono anche aziende che con il covid hanno aumentato i loro fatturati. Io ho qualche contatto ma è in stato embrionale. Da un lato penso che questa potrebbe essere la mia ultima gara, e mi dispiace. Dall’altro spero di fare ancora almeno un anno e chiudere con delle buone performance. Fosse stata una stagione normale a settembre magari ci sarei anche stato a chiudere. C’erano i mondiali in Svizzera e avrei potuto fare i Giochi Olimpici. Partecipare a queste corse è ancora il mio sogno».

Carapaz vs Roglic

Con Gasparotto in veste di informatore dal gruppo parliamo anche della sfida Roglic-Carapaz che infiamma la Vuelta. Chi la spunterà? Enrico sembra non avere dubbi.

«La sfida credo sia tra loro due. Domani Roglic potrebbe dare un bel colpo a Carapaz e se pensiamo che da qui alla fine c’è un solo tappone di montagna (sabato, ndr) Primoz potrebbe farcela. Però attenzione, perché nel mezzo ci sono diverse tappe perfette per le imboscate. Ci sono percorsi adatti a creare situazioni pericolose e con una Movistar così motivata e in palla qualcosa mi aspetto. La Ineos ha già perso due uomini e Sosa non sta bene. Carapaz perciò non può contare su una squadra in grado di controllare o aiutarlo. La Jumbo invece mi sembra stia bene. Carthy e Martin? Meglio Carthy perché la EF la vedo solida, mentre Martin è abbastanza isolato». 

Roglic contro Carapaz: chi vincerà la Vuelta 2020?
Roglic contro Carapaz: chi vincerà la Vuelta 2020?

Se pensiamo alle imboscate visto come Carapaz e la Movistar si sono lasciati, fossimo nell’ecuadoriano non dormiremmo sonni tranquilli. Ci sta che quel volpone di Unzue, manager della Movistar, abbia ancora il dente avvelenato. D’altra parte chissà se quella tappa così insidiosa nell’ultimo sabato di gara può riaprire il cassetto dei fantasmi a Roglic. In fin dei conti lo sloveno ha perso il Tour proprio all’ultimo atto pericoloso. Tuttavia Gasparotto dice di no.

«In gruppo parlo spesso con Primoz, abbiamo amici in comune. Quello del Tour è un capitolo chiuso. Lui è un ragazzo molto tranquillo, sereno, modesto… e lo vedo anche rilassato. Carapaz invece mi sembra un po’ più teso, anche se con lui non ho mai parlato».

Mattia Cattaneo, Alto de Angliru, Vuelta 2020

Lo Zoncolan è più duro, parola di Cattaneo…

01.11.2020
2 min
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Questa volta Cattaneo in fuga c’è andato per arrivare e aveva trovato anche la compagnia giusta. Perché oltre al drappello degli stranieri, stando al vento si riusciva anche a fare quattro chiacchiere con Formolo e Gasparotto. Anche loro fra gli ultimi superstiti della pattuglia tricolore. Al traguardo il corridore della Deceuninck-Quick Step è arrivato infine 21° a 6’12” eppure segnali positivi se ne sono visti.

Si poteva arrivare, ma…

Ma non ci hanno lasciato tanto spazio. Sembrerà una frase fatta, però si va forte davvero.

Mattia Cattaneo, Enrico Gasparotto, Alto de Angliru, Vuelta 2020
Cattaneo e Gasparotto, tocca a loro tirare
Mattia Cattaneo, Enrico Gasparotto, Alto de Angliru, Vuelta 2020
Turno in testa alla fuga per Cattaneo e Gasparotto
Avevi già fatto l’Angliru?

No, prima volta assoluta. E’ duro, ma secondo me lo Zoncolan è peggio. Oggi ho visto un chilometro davvero terrificante, quel tratto dritto al 23 per cento. Per il resto è una salita dura con dei tratti in cui respirare. Lo Zoncolan invece molla un po’ solo nella galleria e poi è di nuovo cattivo.

Che effetto fa una salita così dura senza pubblico?

Altro effetto spettrale. Il pubblico fa differenza, non senti niente, ti passa meglio. Oggi si sentivano i rumori del gruppo e quelli delle moto e delle macchine, di cui normalmente non ci accorgiamo. L’Angliru così è solo sofferenza.

Non si sono viste grandi differenze, come li vedi i primi?

Sono allo stesso livello ed è un gran bel livello. Togliendo la giornata forse non brillantissima, Roglic mi sembra il più determinato.

Il fatto che si corra di novembre abbassa le prestazioni?

Non credo, magari fosse vero. Vanno fortissimo e anche io non sto andando male. Sono venuto con tre settimane di allenamento dopo tutto il lavoro del Giro. Mi manca qualcosa, ma va sempre meglio. Noto che le salite lunghe smascherano la mancanza di fondo, ma sto crescendo e ci riprovo di certo. Domani si riposa. Veniamo da tre giorni durissimi in una Vuelta strana e durissima. Le prime tappe sono state folli, senza giorni di rodaggio. Dovendo ridurre il numero delle tappe, hanno tolto proprio i giorni di avvio. Vogliono il sangue questi spagnoli…