Venturelli più forte del dolore per lo staff e per la squadra

20.09.2022
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Ha deciso di partire dopo il riscaldamento, ma dire che Federica Venturelli avesse certezze sulle sue condizioni sarebbe poco credibile. Coraggio tanto, quello ha lasciato tutti a bocca aperta. Cerotti su entrambi i gomiti. Una garza sul ginocchio destro. Le mani ferite. E un’abrasione sull’addome che sfregando contro il body le dava un gran fastidio. Tutto per la caduta violentissima del giorno prima. E quando dopo la gara è rientrata al box azzurro, l’applauso con cui è stata accolta ha fatto capire la paura e il sollievo che hanno attraversato il clan azzurro nelle ultime 24 ore.

Brutta caduta

La notizia è arrivata intorno alle 12 con un messaggio. Caduta Federica Venturelli, la stanno riportando in hotel. E’ piuttosto malconcia, non si sa se domani farà la crono. Aspettiamo le radiografie.

«Stavo andando in discesa – racconta mentre gira le gambe sui rulli – forse un po’ troppo forte. C’era un tratto di strada disconnesso, che non era stato segnalato. E purtroppo sono finita in questa parte di strada piena di buche. Ho perso le mani dal manubrio. Sono caduta e intanto ho visto un furgone che saliva dalla parte opposta. Proprio per cercare di evitarlo e scongiurare il peggio, mi sono procurata un bel po’ di abrasioni, cercando di aggrapparmi all’asfalto per non finire dall’altra parte».

Durante il riscaldamento, Federica Venturelli si è confrontata con Velo su come gestire la crono
Durante il riscaldamento, Federica Venturelli si è confrontata con Velo su come gestire la crono

Test sui rulli

Infilare le maniche nel body le è sembrato un supplizio, ma nulla in confronto a quando ha provato a salire sulla Cinelli montata sui rulli. Aveva lo sguardo impaurito e dolorante, così pure quando ha iniziato a pedalare, sentendo il ginocchio e il gomito, sentendo la mano quando ha provato a cambiare e non riuscendo a sfilare la borraccia. Attorno a lei prima Elisabetta Borgia e poi Rossella Callovi accompagnavano le sue smorfie con parole rassicuranti, finché Federica ha iniziato a raddrizzarsi e ad aumentare il ritmo di pedalata.

«Ho deciso di partire – conferma – quando ho finito il riscaldamento, perché comunque avevo ancora male al gomito. Scaldandomi però, un po’ è passato e quindi ho deciso di provarci. Inizialmente avevo paura di non riuscire a far le curve o guidare la bici. Però poi ho visto che ero in grado, anche se non ero al top della mia condizione. E allora ho deciso di partire».

Senza borraccia

Così si è avviata, dopo aver provato a fare un paio di curve, con la certezza che difficilmente sarebbe riuscita ad alzarsi sui pedali. Senza borraccia, perché non potendola prendere, ha chiesto a Giuseppe Campanella, il suo meccanico, di smontare tutto. E forse la spinta decisiva è venuta proprio dall’attaccamento al gruppo azzurro.

«Quando sono caduta – conferma – non è stata tanto la sensazione di vedermi sfuggire il mondiale, perché comunque non ero qua per vincere. C’erano avversarie molto più forti di me, ma per fare esperienza. E’ stato il dispiacere nei confronti dello staff e della squadra che ha fatto tanti sacrifici e quindi ero dispiaciuta di non poter dare il meglio di me. Ieri sera ero abbastanza giù. Però comunque, dopo il controllo in ospedale e la radiografia in cui mi hanno detto che era tutto a posto, mi sono un po’ ripresa. Ho iniziato a pensare che magari sarei riuscita a partire e quindi ho passato una notte non troppo travagliata».

Il mondiale crono delle donne junior è stato vinto da Zoe Backstedt (Gran Bretagna), su Czapla e Joriis
Il mondiale crono delle donne junior è stato vinto da Zoe Backstedt (Gran Bretagna), su Czapla e Joriis

Dolore e adrenalina

L’hanno accolta come se avesse vinto, anche se il 24° posto a 2’59” da Zoe Backstedt è decisamente al di sotto delle aspettative di partenza: il quarto posto agli europei induceva a sperare in qualcosa di meglio e certamente Federica si sarebbe fatta valere. Probabilmente però essere partita aiuterà nella prova su strada, cui arriverà con la certezza di poter pedalare.

«L’adrenalina è servita parecchio – racconta – sentivo solo la fatica. Il male era in secondo piano. Più di tutti, probabilmente mi ha dato fastidio il gomito, soprattutto con le vibrazioni. Oppure dover spostare le braccia per fare le curve o alzarmi in piedi e rilanciare. Infatti la salita è stata la parte in cui ho sofferto di più e ho sentito di non riuscire ad andare come volevo. Adesso so di riuscire a stare in bici e questo è qualcosa che mi mette più tranquilla. Nei prossimi giorni vedrò di riabituarmi a spingere e lavorare anche sulla posizione delle mani sul manubrio, che sicuramente è qualcosa che in discesa o comunque nei momenti un po’ nervosi in gruppo sarà necessario. E tutto sommato è andata anche bene senza borraccia. Di solito bevo molto, ma oggi non era particolarmente caldo. E sono arrivata senza avere la gola secca».

Ancora su Pogacar. Quali risvolti psicologici dalla sconfitta?

31.07.2022
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In primavera avevamo messo in luce la superiorità di Tadej Pogacar nei confronti dei suoi avversari. E di quanto li avesse annientati anche psicologicamente. All’epoca, con la psicologa Elisabetta Borgia parlammo di senso d’impotenza acquisita, in quanto nonostante gli sforzi degli avversari il risultato rimaneva il medesimo vista la superiorità dello sloveno. L’emblema fu la tappa del Carpegna alla Tirreno, dove stravinse letteralmente “giocando”.

Questa sconfitta cambia le cose? Mina gli equilibri psicologici del corridore della UAE Emirates? Che conseguenze può avere? Riprendiamo l’analisi dunque con la dottoressa Borgia.

Mezzo scatto e sul Carpegna Pogacar lasciò tutti sul posto. Vingegaard incluso (che fu secondo)
Mezzo scatto e sul Carpegna Pogacar lasciò tutti sul posto. Vingegaard incluso (che fu secondo)

Attacco come difesa

«Io sono rimasta piacevolmente colpita da come abbia preso la sconfitta – dice la Borgia – tu continui a vincere e sai che prima o poi questa sconfitta deve pur arrivare, ma poi quando arriva non è così semplice da gestire, visto anche la risonanza mediatica che ha.

«Il fatto che abbia esagerato un po’ nelle prime tappe, con quelle volate, quegli scatti, magari era una strategia per coprire alcune lacune che sentiva dentro di sé. Magari sapeva di avere una squadra meno forte e decimata giorno dopo giorno».

Quattro mesi dopo il Carpegna, la “resa” di Pogacar sul Granon: prima batosta della carriera
Quattro mesi dopo il Carpegna, la “resa” di Pogacar sul Granon: prima batosta della carriera

“Frittata rigirata”

La Borgia spiega che Pogacar sembra aver reagito bene alla sconfitta, ma è chiaro anche che a livello mentale un evento del genere ha un effetto importante soprattutto a livello di senso di autoefficacia, ovvero senso di padronanza.

Mentre i suoi avversari fino ad ora alla luce dei risultati a favore dello sloveno erano nel circolo del senso d’impotenza acquisita nei suoi confronti e lui invece aveva un senso di autoefficacia molto forte, adesso gli equilibri sono un po’ mutati.

«Con la sconfitta di Pogacar – riprende la Borgia – si è creato un precedente: gli altri corridori sanno che si può battere, perche questa cosa è già avvenuta. Vingegaard ha aperto un varco.

«Sia chiaro, Pogacar resta un super campione, un fuoriclasse e un bellissimo personaggio del ciclismo attuale, ma in questo Tour qualcuno ha fatto meglio di lui, quindi in ottica di prestazione si sono evidenziati dei limiti personali e del suo team».

Ieri a San Sebastian il primo ritiro stagionale per Pogacar scortato dai compagni. Era la prima gara post Tour
Ieri a San Sebastian il primo ritiro stagionale per Pogacar scortato dai compagni. Era la prima gara post Tour

Da dove ripartire…

In UAE Emirates sicuramente staranno esaminando le cause di questa sconfitta. Una delle più concrete sembra essere il caldo. Sin qui Tadej non aveva mai incontrato il caldo estremo per più giorni e forse questo agente esterno ha fatto emergere un suo punto debole. E lo si è visto anche dalla sua eccessiva perdita di sali.

«Conoscere la causa, il motivo per cui si è reso di meno aiuta moltissimo – dice la Borgia – La situazione peggiore senza dubbio è quando non si hanno risposte. Se invece si riesce ad analizzare la situazione in maniera lucida e metodica prendendo in considerazione dati oggettivi, si può capire dove migliorare e che strategie usare.

«Cosa posso fare io per superare questo ostacolo? In psicologia dello sport una regola aurea è tenere ben chiaro in testa da una parte cosa è andato bene (i miei punti di forza) e dall’altra parte cosa si può migliorare: i punti ‘deboli’ diventano obiettivi di miglioramento. E’ un approccio metodico. E di certo Tadej e il suo staff faranno tutti gli accertamenti del caso».

Pogacar Belgio 2022
Ma Tadej è un ragazzo solare e si saprà rialzare. Non va dimenticato che aveva una squadra decimata… contro una corazzata
Pogacar Belgio 2022
Ma Tadej è un ragazzo solare e si saprà rialzare. Non va dimenticato che aveva una squadra decimata… contro una corazzata

Analisi al dettaglio

Il senso di autoefficacia è stato colpito, ma non stravolto, come dicevamo. Non c’è stata una debacle totale, una controprestazione e dunque non tutto deve essere messo in dubbio. Semmai si cercherà di limare laddove si poteva fare diversamente. 

«In questo caso – spiega la dottoressa – la Jumbo-Visma è una squadra altamente all’avanguardia. Sappiamo, che gli olandesi sono metodici al massimo. Lavorano in modo veramente minuzioso direi.

«Pogacar sembra essere un atleta molto equilibrato, senza “integralismi” sembra fare tutto con molta semplicità e divertimento, ma magari c’è qualche aspetto su cui si può lavorare per crescere ulteriormente».

«Pogacar ha una mentalità da campione e lo si è visto da come ha reagito, ammettendo la sconfitta, e da come ha cercato di attaccare Vingegaard fino alla fine. A volte le sconfitte possono far cambiare atteggiamento, portando l’atleta ad essere più remissivo e meno determinato ad attaccare. Se ogni volta che mi muovo prendo una “scoppola” del genere, magari gioco di rimessa.

Tuttavia al Tour Pogacar non ha fatto così, anzi… Si è subito mostrato grintoso, voglioso di rifarsi. Ha attaccato tanto da dire: “Semmai salto io”. Ed è questa la mentalità del campione».

«Avrà qualche insicurezza in più, ma quelle le hanno tutti».

Borgia: supremazia Tadej e senso d’impotenza auto acquisito

18.03.2022
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Quando Tadej Pogacar attacca non demolisce solo le gambe degli avversari ma anche i loro animi. E quando si parla di animi, di mente e di psicologia entra in pista Elisabetta Borgia, appunto psicologa dello sport nella fila della Federazione e della Trek-Segafredo.

La supremazia dimostrata dallo sloveno in questi pochi anni da professionista, la continuità di questo dominio e la tipologia delle sue azioni, fanno spesso pensare agli altri corridori che si corra per il secondo posto. In tal caso come si trovano gli stimoli? Sarà vero che si è portati a mollare?

Elisabetta Borgia è psicologa dello sport. Lavora con la Trek-Segafredo e la Federciclismo
Elisabetta Borgia è psicologa dello sport. Lavora con la Trek-Segafredo e la Federciclismo

Senso d’impotenza 

«Le prestazioni di Pogacar – spiega la Borgia – degli ultimi anni sono di altissimo livello, difficilmente contenibili. E questo tende ad avvilire i suoi avversari. Però è umano anche lui. Tadej è riuscito a infondere quello che in psicologia è chiamato “senso d’impotenza auto acquisito”. Tradotto: se quello scatto lo fa un altro corridore, gli altri proverebbero a seguirlo, si staccherebbero lo stesso, ma insisterebbero un po’ di più».

«Se tu provi a contrastare un avversario e il tuo tentativo è sempre stato fallimentare ad un certo punto quando lui si muove tu cerchi di risparmiare energie, ti tiri indietro in qualche modo. Okay, in questo momento Pogacar è “over the top”: un giorno però anche lui non sarà al massimo ma gli altri saranno meno determinati».

Dopo la Strade Bianche Valverde (secondo) ha abbracciato Pogacar: «Con una superiorità così, c’è poco da fare»
Dopo la Strade Bianche Valverde (secondo) ha abbracciato Pogacar: «Con una superiorità così, c’è poco da fare»

Ma Tadej è umano

In questo ultimo passaggio viene in mente la tappa del Ventoux dello scorso anno. Pogacar sicuro di sé attacca, ma non fa il solito vuoto. Vingegaard lo rintuzza e addirittura lo stacca. Roba di una manciata di secondi, nulla più, però quell’azione dimostrò che Pogacar era umano, che era battibile.

«Spesso si parte con la classifica disegnata in anticipo. La tua mente è razionale e sa che lui è più forte. Dici a te stesso che parti per il secondo posto e parti con una convinzione diversa. Il senso di auto efficacia (di cui abbiamo parlato più volte, ndr) si basa sulle esperienze precedenti, siano esse nel bene che nel male, e se un corridore contro di lui più volte le ha prese, alla fine s’innesca questo meccanismo difensivo».

E torniamo quindi al discorso di prima: perché devo distruggermi per seguirlo e poi essere anche staccato?

Vingegaard “stacca” Pogacar sul Ventoux, uno dei pochissimi momenti di difficoltà dello sloveno
Vingegaard “stacca” Pogacar sul Ventoux, uno dei pochissimi momenti di difficoltà dello sloveno

Azzerare la memoria

E allora viene da chiedersi come si possa superare, se non Pogacar, questo ostacolo mentale, quindi se stessi. Come ci si può trarre d’impaccio da una situazione di inferiorità psicologica.

«Il momento per fare dei cambiamenti è il presente. E’ da lì che costruisci il futuro. Il passato… è passato. Io dico sempre ai miei atleti: partite in gara con la memoria azzerata, specialmente se il momento che state attraversando non è di quelli super.

«Quando vai alle gare senza quella motivazione del tipo “spacco il mondo” è un po’ come boicottarsi in anticipo. Stiamo nel presente e tiriamo fuori il 100%, poi quello che si fa… si fa. Bisogna lasciare fuori quel che è successo in precedenza perché ci condiziona».

Non solo nello sport, nella società attuale troppo spesso non si vive il presente e la realtà. Imparare a farlo è un qualcosa che si allena
Nella società attuale troppo spesso non si vive il presente e la realtà. Imparare a farlo è un qualcosa che si allena

Vivere il presente

Un processo mentale affatto scontato, però. Non è facile mettere tutto da parte in un solo colpo. E la Borgia lo sa bene.

«Ci si riesce – spiega la Borgia – nel momento in cui mi focalizzo sul presente. E questo “focus”, chiamiamolo così, si può allenare. Nella nostra società siamo iper proiettati verso il futuro: siamo qui, ma con la mente siamo già verso quel che sarà. Progettiamo, siamo proiettati verso un tempo diverso.

«Dobbiamo allenarci nella vita quotidiana a vivere il presente, il momento. Sono a colazione, mi concentro sul latte e il caffè, e non sto lì col telefono in mano. Mi alleno, penso all’allenamento. Penso a ciò che faccio: questo è vivere il presente. E quando ho acquisito questo giusto processo mentale poi è più facile anche in gara attivarlo. E’ più facile azzerare la memoria».

«E questo modo di ragionare è ancora più importante in una corsa a tappe. Come ti comporti giorno dopo giorno. E’ tutto un archiviare e ripartire senza memoria. E se poi il periodo è di quelli super è chiaro che ti gasi, che interiorizzi il tutto. Ed è quello che sta vivendo Pogacar. Ormai ha delle certezze acquisite. E valle a minare quelle certezze».

Come cambia la percezione della fatica col passare degli anni?

19.11.2021
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La fatica è l’anima del ciclismo. Il gioco è tutto lì, lo spettacolo è tutto lì. Ma le grandi storie derivano dal fatto che non sempre chi fa più fatica è anche colui (o colei) che vince. Anzi, spesso chi ne fa di più sono coloro che arrivano dietro. Ma a dare spettacolo è chi più resiste.

In un atleta, nel corso degli anni il rapporto con la fatica cambia. Si evolve, per assurdo può anche piacere, ma il più delle volte si arriva ad odiarla. E non sarebbe un qualcosa di strano, visto che è nella natura dell’essere umano cercare di farne il meno possibile.

Elisabetta Borgia già collaborava con la Trek-Segafredo, adesso è entrata a farne parte ufficialmente
Elisabetta Borgia già collaborava con la Trek-Segafredo, adesso è entrata a farne parte ufficialmente

Fatica ed età

Ma torniamo al ciclismo e poniamo la questione come cambi la percezione della fatica col passare degli anni ad Elisabetta Borgia, psicologa dello sport entrata ufficialmente a far parte della Trek-Segafredo.

«Da un punto di vista fisiologico – dice la Borgia – sappiamo che si fa più fatica sugli scatti, perché si perde esplosività. Estremizzando il concetto: si diventa più portati per le corse a tappe che per le classiche. Ma questa parte non è di mia competenza. Lo è quella mentale.

«La percezione della fatica nasce dalla consapevolezza di riuscire a starci, in quella zona di fatica appunto. Spesso sento dire dagli atleti: non riesco a fare fatica. Ebbene, molto dipende dalla motivazione e dal senso di autoefficacia che si ha. Il senso di autoefficacia è quanto ci si sente forti, per semplificare al massimo».

«Il rapporto con la fatica – riprende la Borgia – è strettamente personale. La differenza tra giovani e veterani potrebbe essere la fame di successi che si ha. E’ l’aspetto motivazionale, è il riuscire ad esprimersi sempre al massimo.

«Un atleta più maturo invece riesce magari anche a prevenire certe situazioni, ha una visione più equilibrata della corsa o di un determinato periodo e si crea le condizioni per raschiare meno il barile. Quando un giovane deve partire tre settimane per l’Australia dice: “Wow, che bello si parte”. Al corridore più esperto magari tutto ciò pesa: “Eh ma qui lascio la casa, non vedo i figli…”. Gli costa più fatica partire. E in qualche modo pensa già al suo “dopo lavoro”».

Stringere i denti. Lottare sino all’ultima goccia di sudore. L’età tende quindi a smussare questa attitudine, se così si può chiamare?

«Non credo che il mollare prima o dopo dipenda poi così tanto dall’età. Credo piuttosto dipenda dal soggetto. L’adulto magari non ha bisogno di fare fuorigiri in modo continuo come il giovane, perché l’adulto ci arriva di mestiere, sa tenersi qualcosa solo per quelle determinate situazioni. Ma se è motivato porta la sua fatica fino al limite».

Fatica e stress possono trasformarsi in paura
Fatica e stress possono trasformarsi in paura

Paura e blocco

Col passare degli anni si può avere “paura” di fare fatica? Il corpo, e di conseguenza la mente, la ripudiano.

«In fin dei conti il momento di fatica massima per un atleta è un momento molto importante. Il corridore si può sentire invincibile o vulnerabile.

«Invincibile, se per esempio, sta facendo tanta fatica ma è davanti da solo. In quel caso tutto gli viene bene e fare fatica quasi non gli costa.

«Vulnerabile, invece, quando è in un momento della corsa, della stagione o della carriera in cui fa tanta fatica ma non sta dove vorrebbe essere. In quel caso non riesce a raggiungere quel limite che ben conosce. I battiti cardiaci non salgono perché magari è stanco fisicamente o perché la mente non lo fa arrivare a quel limite perché non lo vuole più, perché è nauseato. Si crea un blocco».

La Borgia spiega che tutto ciò si risolve con degli approfondimenti e la prima cosa è risalire alle cause di questo blocco. Bisogna capire il perché. Bisogna capire se è un momento o se si è in una vera fase discendente della carriera. 

«In questo caso, se per esempio ti fa fatica fare anche le cose più piccole, devi accettare il fatto che magari non devi più correre. Di sicuro devi analizzare che tipo di paura hai nel far fatica: hai paura di tutto? Hai paura quando ti passano? Serve un’analisi approfondita».

Francesca Barale stremata dopo la crono iridata: il più delle volte i giovani riescono a dare anche più del 100%
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Valverde, regola ed eccezione

Insomma, e lo dice anche la Borgia, c’è uno strettissimo legame tra fatica e motivazione. Sino a quando la motivazione è alta la percezione della fatica “tarda” ad arrivare o comunque in qualche modo è accettata. E questo a prescindere dall’età. E Valverde (foto in apertura) in qualche modo è sia colui che conferma la regola che l’eccezione.

«Un corridore come lui – conclude la Borgia – riesce ogni volta a rimodulare i suoi obiettivi e a trovare di conseguenza le giuste motivazioni. Ha la voglia di un ragazzino, pronto a rischiare in discesa, a stare manubrio contro manubrio e farsi tirare il collo. Nello specifico parliamo di un campione fisico e mentale.

«E’ come chiedere ad un atleta che ha vinto tutto cosa lo motiva. Pensare di vincere per una seconda o terza volta quella determinata gara non potrà avere lo stesso carico motivazionale e invece lui ci trova la stessa gratificazione che in altri atleti non trovi».

Interviene Dalia Muccioli: la testa vince sempre

19.10.2021
5 min
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Questo pezzo segna un ampliamento della collaborazione di Dalia Muccioli con bici.PRO oltre l’aspetto delle video interviste, nelle quali ha iniziato a sperimentarsi sin dal Giro d’Italia Donne. Qui si parla della sua esperienza come atleta legata all’alimentazione, guarda caso dopo aver letto un pezzo scritto da Rossella Ratto, di cui è stata anche compagna di nazionale (foto di apertura).

Leggendo l’intervista di Rossella Ratto con Elisabetta Borgia, psicologa e mental coach, riguardante lo stress mentale collegato alle pressioni sull’alimentazione, inevitabilmente mi sono tornati in mente alcuni episodi degli scorsi anni, quando ero ancora un’atleta. Sicuramente un tasto dolente per molti ragazzi e ragazze che praticano sport ad alto livello.

Molte volte ci convinciamo che pesare meno significhi andare più forte e di conseguenza ottenere un risultato migliore nella competizione. In parte può essere vero, perché è inutile negare che il peso dell’atleta possa influenzare la prestazione finale. Ma bisogna anche ammettere che c’è un filo sottilissimo che delinea proprio quel limite: quello dell’anoressia o della bulimia.

Elena Cecchini conquista il titolo italiano nel giorno di cui parla Dalia Muccioli in questo pezzo
Elena Cecchini conquista il titolo italiano nel giorno di cui parla Dalia Muccioli in questo pezzo

Personalmente amo follemente mangiare e probabilmente questo è stata da sempre la mia fortuna. Non ho mai sofferto di disturbi alimentari, ma al tempo stesso posso ammettere che il peso sia stato un pensiero costante durante la mia carriera. Ero quasi “ossessionata” dal raggiungere quel numero sulla bilancia. Era come se nella mia testa si fosse innescato un meccanismo per cui solo così, con quel peso e con quella forma fisica, potessi andare forte sulla bicicletta.

Quel giorno a Varese

Ritorno al 2013, di preciso al 23 giugno. Quel giorno vinsi il campionato Italiano su strada donne elite a Rancio Valcuvia, vicino Varese. Vinsi con il cuore, con le gambe, ma soprattutto con la testa! 

Proprio quel giorno Dalia partì convinta e consapevole di poter vincere. Già dai giorni prima studiava, pensava a un modo per sorprendere le sue avversarie e cosi fu. 

Riuscii così a portare a casa quella bellissima maglia tricolore, in una giornata emozionante a dir poco. Avevo appena vent’anni, un bene o un male? Giovane promettente, nella mia testa tanto caos!

Gli anni seguenti continuai ad ottenere buoni risultati, ma non riuscivo a rispettare le mie aspettative e così ogni volta perdevo un pochino di fiducia in me stessa. Come detto sopra, il peso era un pensiero fisso nella mia vita.  

E quel giorno a Superga

Nel 2015, arrivai alla vigilia del campionato Italiano con l’arrivo sul Colle di Superga con 2 chili in più rispetto al peso forma

Così mi convinsi che seppur potesse essere un arrivo adatto alle mie caratteristiche, quel giorno non avrei mai potuto vincere.

Decisi in accordo con il team di anticipare la salita finale con un attacco da lontano, pensando ovviamente che la fuga sarebbe stata ripresa prima dell’inizio del Superga. Centrando la fuga giusta, arrivammo all’attacco dell’ascesa con 40” di vantaggio, ma nella mia testa era impensabile poter vincere con quel peso.

Decisi ugualmente di provarci fino in fondo e arrivai terza al traguardo assieme ad Elisa Longo Borghini, con vittoria finale di una grande Elena Cecchini, con la maglia delle Fiamme Azzurre, in fuga con me dall’inizio della corsa.

Sul podio di Superga, alle spalle della friulana sale Elisa Longo Borghini. Terza Dalia Muccioli
Sul podio di Superga, alle spalle della friulana sale Elisa Longo Borghini. Terza Dalia Muccioli

Due chili di troppo

Già dai giorni precedenti avevo pensato a una soluzione per rimediare ai quei dannati chili in più, ma ormai era troppo tardi: non c’era più nulla da fare. Così la mia testa si convinse che ero lì per partecipare, per fare il mio lavoro come gregaria e niente di più

Partii in parte arrabbiata con me stessa. Venivo da mesi in cui avevo anche altri pensieri per la testa e probabilmente in quel periodo ero stata un pochino distratta sul fronte dell’alimentazione e ne pagai le conseguenze. Pensieri, stress mentale, pressioni che mi auto imponevo sicuramente non aiutarono ad avere un’ottima forma fisica e mentale .

Quei 2 chili in più mi sembravano 10. Se ci penso ora mi sembra assurdo, ma a volte la testa quando parte per la “tangente” è irrecuperabile in alcune occasioni!

Dopo l’arrivo

Dopo l’arrivo provai un mix di emozioni: felicità mista ad arrabbiatura e delusione. Ho sempre pensato che se fossi partita più decisa e con una mentalità diversa, quel giorno magari avrei potuto giocarmela diversamente

Molte volte da fuori è facile criticare: «Avevi un rapporto troppo duro mentre scalavi il Superga, eri troppo pesante».

Ovviamente tanta gente non sa cosa ci sia dietro alla preparazione di un appuntamento o soprattutto di una stagione. A volte si pensa che la vita del ciclista sia una vita privilegiata: «Pedali, fai quello che ti piace». Sì, è vero, ma dietro c’è un lavoro duro per ogni giorno, ogni ora, ogni minuto dell’anno

Dalia Muccioli aveva già vinto il tricolore del 2013 a Rancio Valcuvia, davanti a Bronzini e… Rossella Ratto
Dalia Muccioli aveva già vinto il tricolore del 2013 a Rancio Valcuvia, davanti a Bronzini e… Rossella Ratto

Veri professionisti

Ad oggi penso sia fondamentale per uno sportivo essere accompagnato sia da un nutrizionista sia da un mental coach per ampliare la visione del mondo in cui si ritrova. E’ fondamentale capire che la testa vince sempre su tutto: puoi avere le gambe del campione del mondo, ma se non hai la testa in modalità ON, non vincerai mai! 

E’ una vita all’insegna di sacrifici e rinunce, questo meraviglioso sport: il ciclismo. Può toglierti tanto, ma al tempo stesso può darti e regalarti tanto.

Eccesso di magrezza: essere tirato è sempre un bene?

08.10.2021
4 min
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Chi non ha mai stimato la condizione di un atleta guardando quanto fosse magro e definito, insomma quanto fosse tirato? Purtroppo questo è lo stereotipo del ciclista forte nella cultura comune, ma non sempre è così e la realtà che si cela non è da sottovalutare.

Il problema fantasma

Nessuno ne vuole parlare, ma dagli studi emerge che i DCA (disturbi del comportamento alimentare) quali anoressia, bulimia, binge eating (volgarmente detto “il disturbo delle abbuffate”) e la vigoressia, ossia il non vedersi mai abbastanza fit, sono sempre più comuni. Chi ne soffre non ne è consapevole e per questo i casi sono tendenzialmente sotto diagnosticati o ignorati. In media il 20% delle sportive professioniste soffre di uno di questi disturbi, percentuale che potrebbe essere ancora più alta in uno sport come il ciclismo, in cui il rapporto potenza/peso è di massima rilevanza. I DCA non si limitano al femminile, sebbene le donne ne siano più soggette, si stanno diffondendo anche al maschile, basti pensare alle dichiarazioni di Froome, Chevrier e Brajkovic. Abbiamo così intervistato al riguardo Elisabetta Borgia, dottoressa in Psicologia dello sport.

Clara Koppenburg, tedesca, dal prossimo anno alla Cofidis: tiratissima
Clara Koppenburg, tedesca, dal prossimo anno alla Cofidis: tiratissima

L’influenza sulla performance

«E’ un problema che colpisce sia chi ne soffre – spiega Elisabetta Borgia – che non si riconosce e non accetta la sua immagine, sia l’avversario che, sulla base dello stereotipo, si sente inferiore perché non altrettanto magro e definito. Inoltre può essere vissuta sia in maniera virtuosa che punitiva. Si pensi ad esempio ad un corridore che vince dopo avere perso quel paio di chili. In questo caso assocerà il successo alla perdita di peso e sarà indotto a ridurre sempre più l’apporto calorico. Viceversa un commento inadeguato o un’analisi approssimata in seguito ad una performance deludente, possono innescare una connessione prestazione-peso pericolosa. Allenamenti post gara o privazione dei pasti possono altresì attribuire al cibo una funzione punitiva o ricompensativa».

Dal punto di vista fisico, tutta una serie di complicanze che compromettono la salute dell’atleta anche a lungo termine vengono totalmente ignorate. Non si tratta solamente dell’interruzione del ciclo mestruale nella donna, ma di gravi alterazioni a livello metabolico e psicologico, dell’apparato cardiovascolare, osteoarticolare, respiratorio e gastroenterico.

La magrezza non si può misurare a occhio, ma dov’è il confine fra tirato e troppo magro?
La magrezza non si può misurare a occhio, ma dov’è il confine fra tirato e troppo magro?

Chi è più predisposto?

«L’identità è fatta di come ti senti – prosegue Elisabetta Borgia – e di come ti vedono gli altri. Tra allievi e junior il cambiamento fisico e della figura di riferimento comporta una maggiore vulnerabilità. Specialmente per le personalità perfezioniste, che hanno difficoltà a regolare le emozioni ed hanno paura di una valutazione negativa dalle figure più prossime. L’allenatore diventa spesso il confessore, il cui detto è percepito come sacro senza bisogno di essere giustificato né spiegato. Per questo motivo è fondamentale che queste figure facciano particolare attenzione alle indicazioni e richieste che fanno agli atleti. Pretendere che si pesino tutte le mattine di fronte a loro è una pratica a suo modo violenta, che può facilmente creare un’ossessione nel giovane atleta».

Mara Abbott, americana ritirata nel 2016, sempre estremamente tirata
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I fattori scatenanti

«Aspettative sempre più alte che, quando diventano irrealizzabili – spiega la psicologa – fomentano il senso di colpa, l’ansia e la delusione. Spesso i corridori perdono il controllo della situazione così finiscono per alternare periodi di anoressia e bulimia ad altri di binge eating. Non sopportano più la pressione e si sfondano della “qualunque” a tavola. Oppure non soddisfatti dalla gara, fanno ulteriori tagli alla dieta o aumentano il carico di lavoro nel disperato tentativo di perdere quel peso a cui imputano i loro insuccessi».

Katarzyna Niewiadoma è sempre stata magrissima, prossima al limite?
Katarzyna Niewiadoma è sempre stata magrissima, prossima al limite?

Come intervenire?

«Bisogna combattere l’ignoranza – ribadisce Elisabetta Borgia – il giovane ciclista è come un pesciolino in un acquario. Perché cresca bene e in salute, bisogna curare l’acqua, ovvero quello che è l’ambiente, sensibilizzando le figure a lui più prossime. Quando i sintomi si manifestano è già tardi e l’intervento non è semplice. E’ fondamentale la collaborazione di più figure professionali specifiche, che creano un’equipe multidisciplinare lavorando sul sistema di riferimento dell’atleta, per trasmettere un messaggio univoco e poter capire cosa c’è dietro al malessere che causa il disturbo. Io punto al modello DBT le cui pratiche sono basate sul mindful eating, letteralmente mangiare con consapevolezza. Questa pratica è come un allenamento, può essere adottata da chiunque, senza che presenti effettivamente un disturbo. Ed insegna ad assaporare ed apprezzare il pasto nel momento in cui si mangia, per ripristinare il corretto rapporto col cibo».

Vincere come si era immaginato: caso o tecnica mentale?

05.10.2021
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Idee che si hanno in testa, sogni. Alla fine il corridore immagina le sue vittorie. Ma un conto è sognarle e un conto è “vederle” e realizzarle. L’ultimo della serie è Sonny Colbrelli, ma poco prima era toccato a Filippo Baroncini. Il giovane azzurro, a detta sua e di chi gli era vicino, ha vinto esattamente come intendeva fare partendo nel punto in cui aveva deciso. Fortuna? Chiaroveggenza? No, di certo c’è un qualcosa di più. Un qualcosa che non è solo gambe. E’ concentrazione, convinzione e forse anche una “tecnica mentale”, ammesso si possa dire così.

Baroncini è rimasto sereno e tranquillo durante il mondiale. Eccolo mentre si stava recando al via della crono
Baroncini è rimasto sereno e tranquillo durante il mondiale. Eccolo mentre si stava recando al via della crono

Tecnica della visualizzazione

Focalizzare un obiettivo e raggiungerlo nel modo in cui si è pensato: ne parliamo con Elisabetta Borgia, mental coach della Trek-Segafredo.

«Non conosco ancora Baroncini – spiega la dottoressa – ma lo farò il prossimo anno! Come si fa? Si lavora per obiettivi. L’evoluzione dello sport ci ha portato a parlare di “goal setting”, il problema però è che oggi ancora si continua ad individuarlo come un appuntamento sul calendario. Mentre andrebbe individuato come prestazione. Cioè quel giorno devo essere al massimo, devo essere al top in tutto: fisico, testa, tecnica…

«Oggi – riprende la Borgia – si parla molto di visualizzazione, imagery in inglese. Ci sei tu al centro e ti immagini in varie situazioni. Quando poi ti immagini vincitore inneschi anche il livello emotivo. Attivi delle responsabilità su di te e non ti curi dell’esterno. I grandi atleti hanno un grande controllo su se stessi e sulla loro disciplina. Pensano al percorso e non a questo o a quell’avversario, al fatto che potrebbero forare… Pensano alla propria strategia. “Sono sul pezzo”.

«Ma questo succede quando hanno avuto un avvicinamento graduale e sono riusciti ad arrivare al massimo nel giorno X. A quel punto pensano alla salita, al rapporto da usare, ai tempi del loro attacco. Il problema semmai è opposto, vale a dire che spesso oggi gli atleti sono in balia degli eventi. E pensano meno a loro stessi.

«Un atleta forte anche mentalmente si visualizza in prima persona. Cioè non vede se stesso mentre fa l’azione, ma gli avversari, la strada, il pubblico… Un po’ come quando ai videogiochi di auto si vedono le ruote e la strada».

Anche prendere una salita nella posizione in cui si voleva può essere un obiettivo mentale in gara
Anche prendere una salita nella posizione in cui si voleva può essere un obiettivo mentale in gara

Piccoli obiettivi in corsa

In effetti questa disamina ricalca al meglio quel che è successo a Baroncini. Certo il corridore romagnolo ha dovuto attendere un bel po’, visto che su 160 chilometri di gara ha dato la stoccata quando ne mancavano solo 6. E questo succede spesso nel ciclismo moderno. Come si fa ad aspettare tanto e a restare calmi? Pensiamo alla Sanremo: si fanno 300 chilometri, ma per i primi 290 praticamente non succede “nulla”.

«Ma se io ho fatto tutto quello che dovevo fare sono tranquillo – continua la Borgia – Oggi si usa spesso una strategia di suddivisione del percorso in fasce e per ognuna ci si dà dei piccoli obiettivi. Anche perché non puoi fare la tua strategia e restare impassibile: ci sono anche gli altri e se qualcuno ti prende in contropiede e parte a 30 chilometri dall’arrivo? Devi “stare” in gara.

«Per questo è importante suddividere la gara in piccoli obiettivi. Per esempio: all’attacco di quello strappo devo essere tra i primi dieci. In quel tratto devo stare coperto, qui devo mangiare… Serve anche a non perdere la concentrazione. Che poi è restare concentrati su quello che si deve fare. Se invece siamo in un grande Giro gli obiettivi più piccoli sono le tappe: frazione piatta, oggi non devo prendere buchi, non devo cadere…».

Probabilmente Nibali nella sua ultima vittoria si è immaginato la sua azione, tanto più che correva sulle strade di casa
Probabilmente Nibali nella sua ultima vittoria si è immaginato la sua azione, tanto più che correva sulle strade di casa

Effetto Carpenter 

Di fronte a queste teorie viene da chiedersi se ci sia stato un momento in cui un atleta si chiude in una stanza a meditare e ad immaginarsi la scena.

«Oggi in molti hanno il preparatore mentale che li aiuta nella visualizzazione, ma tanti altri lo hanno sempre fatto senza saperlo. Penso a Nibali che non ha un mental coach ma riesce comunque a concentrarsi e a motivarsi. E col tempo ognuno affina le sue tecniche, che poi sono dettate dallo spirito di sopravvivenza: questo è buono lo tengo, questo non va bene lo scarto. Poi c’è anche il rovescio della medaglia. C’è chi invece meno ci pensa e meglio è. E il problema di oggi è che i corridori pensano troppo».

Infine una curiosità: visualizzare un obiettivo o un’azione apporta più energie fisiche? Un minimo sembra di sì. E non solo per la consapevolezza che si assume.

«Si chiama effetto Carpenter – conclude la Borgia – Se tu immagini un obiettivo il corpo si attiva, in una piccola percentuale… ma si attiva. Faccio un esempio: penso che devo fare gli addominali, ebbene una piccolissima contrazione addominale avviene veramente».

Il caso di Roglic. Dottor Jekyll al Tour, mister Hyde alla Vuelta

09.09.2021
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Al Tour in qualche modo si complica la vita, alla Vuelta domina: lo “strano” caso di Primoz Roglic, un po’ come nel celebre romanzo di Stevenson. Con l’aiuto di quattro figure analizziamo il cambiamento dello sloveno tra Francia e Spagna.

Soprattutto quest’anno Primoz ha vinto a mani basse, dominando dalla prima all’ultima tappa. L’anno scorso aveva un po’ traballato nel finale, complice un’annata particolare con un calendario iper caotico, e i fantasmi del Tour perso poche settimane prima in modo rocambolesco.

La caduta di Roglic al Tour di quest’anno…
La caduta di Roglic al Tour di quest’anno…

Il corridore: Gasparotto

Partiamo con l’occhio del corridore. Abbiamo chiesto ad Enrico Gasparotto fresco ex, e quindi con giudizio più libero, ma che ha visto Roglic in gruppo, anche alla Vuelta 2020.

«Prima di analizzare il Roglic tra Tour e Vuelta – dice Gaspa – per me bisogna concentrarsi sulla differenza delle tre corse a tappe. Il Giro è quello più imprevedibile. E lo è non tanto per le cadute ma per la morfologia del nostro territorio. In ogni tappa, dal Nord al Sud, c’è una salita, una discesa, un tranello. Ricordo che ogni volta che c’era un capitano che lottava per la classifica c’era tensione in squadra, perché ogni situazione poteva volgere in peggio.

«Il Tour è la gara a tappe più importante, la più seguita e questo genera tensione nei ragazzi e nei team. E la riportano in corsa. Il percorso sarebbe più facile, ma questa voglia di stare davanti, di farsi vedere e i corridori che sono tutti al super top della condizione, genera una grande tensione globale in corsa e fuori. E poi c’è la Vuelta che ha salite più corte ma strade ampie e buone ed è più facile da interpretare anche tatticamente.

«Al Tour è fondamentale avere uomini capaci di stare davanti per davvero. E anche l’atleta deve saper guidare perfettamente la bici e forse in questo senso, venendo da altri sport, a Roglic manca quello 0,01% di abilità nel districarsi nelle situazioni estreme. Anche alla Vuelta ha preso dei rischi esagerati in certe situazioni. Però so che la Jumbo ci sta già lavorando su con l’ex downhiller Sainz. Lui ha collaborato con altri team, anche con noi alla Ntt. Ha aiutato nella tecnica la nazionale svizzera di Mtb, che infatti ai recenti mondiali ha fatto tripletta».

Sepp Kuss il suo gregario più fidato
Sepp Kuss il suo gregario più fidato

Il diesse: Zanini

Dal corridore, passiamo al diesse. Ci siamo rivolti a Stefano Zanini, in forza all’Astana-Premier Tech. E anche lui punta forte sul discorso dello stress in gara. «Probabilmente – spiega Zazà – perché dei tre grandi Giri la Vuelta è quello meno stressante. In Spagna si prende tutto con più calma e parlo anche dell’ambiente di contorno».

Con Zanini emerge il discorso della squadra. In Francia Roglic aveva anche Van Aert che in qualche modo ha calamitato attenzioni e richiesto uomini.

«Dite che potrebbe aver influito la presenza di altri big? Ci può stare. Io non conosco bene Primoz e non so che carattere abbia realmente. Da fuori sembra tranquillo, poi bisogna vedere se magari soffre la presenza di chi può essere leader al posto suo. Io gli metterei vicino un uomo completamente per lui. Il classico gregario super fidato. E Kuss è il più vicino (ma in pianura fa fatica visto che è uno scalatore, ndr) a ricoprire questo ruolo. Fatto sta che per me un capitano lo devi “coccolare” e dargli fiducia al 100% fino alla fine, anche se un giorno perde 2′. Poi, ovvio: se qualcuno in squadra va più forte devi rivedere le cose, ma devi fare il tutto e per tutto per stargli vicino».

Infine Zanini interviene sui rischi presi da Roglic e dalla sua ammiraglia anche in quest’ultima Vuelta.

«Certi rischi non glieli farei prendere, sicuro. O guadagni bene, altrimenti un’azione come quella nel giorno in cui è caduto in discesa per pochi secondi non è necessaria. Con questo non voglio giudicare la Jumbo-Visma, ognuno fa la sua corsa. Magari per come hanno perso il Tour l’anno scorso, non vogliano più rischiare e guadagnare il più possibile ogni volta che si presenta l’occasione».

In Spagna, anche in corsa, ci sono momenti più rilassanti
In Spagna, anche in corsa, ci sono momenti più rilassanti

Il preparatore: Cucinotta

Ma non si vince senza gambe buone e per questo ecco l’intervento di Claudio Cucinotta, sempre in forza all’Astana, ma preparatore anche di molti biker di livello internazionale.

«Bisognerebbe capire bene come si prepara Roglic per l’una e per l’altra corsa – dice il tecnico – ma questo lo sa solo lui realmente. Sicuramente in Spagna rispetto al Tour incontra dei livelli di concorrenza e ritmi leggermente inferiori. Non tanto sulle salite, quanto per arrivarci. E questo genera un livello di pressione diversa che magari al Tour può metterlo in difficoltà. E’ un fatto che alla Vuelta Primoz sbagli meno. L’anno scorso quando ha perso il Tour ha avuto un calo di testa e non fisico, perché fino al giorno prima aveva dominato. In un lasso di tempo così breve non può cambiare la situazione in quel modo».

In Spagna, a parte qualche caso, ci sono salite più corte del Tour. Primoz è un ottimo cronoman e in teoria dovrebbe essere sfavorito su questa tipologia di percorso.

«Roglic è tutto! E’ uno scalatore, ma è esplosivo. Se andiamo a vedere vince spesso gli sprint con arrivo in salita e per me le scalate brevi lo avvantaggiano. Ma non è che sulle salite lunghe vada male…

«Se c’è differenza nei valori espressi nelle due corse? Quest’anno non lo sappiamo perché al Tour si è ritirato presto (e la metà di quelle poche tappe le ha fatte in modo malconcio, ndr) dopo la caduta. L’anno scorso invece i suoi valori erano molto simili tra le due gare. Per me quindi la differenza del suo rendimento non è fisica».

Sulle strade di Spagna Roglic mostra sempre grande autorevolezza
Sulle strade di Spagna Roglic mostra sempre grande autorevolezza

La mental coach: Borgia

A questo punto il giudizio della psicologa diventa forse il più importante visto che la parola stress è quella che è emersa praticamente sempre. Parola ad Elisabetta Borgia, che collabora con la Trek-Segafredo e molti altri atleti.

«Si è parlato di stress, ma non credo sia la parola chiave. Dopo quel Tour perso in quel modo contro Pogacar è chiaro che su Roglic c’è una pressione super al Tour. La corsa francese è più stressante della Vuelta e lo stress incide sugli atleti. E un atleta chiamato a vincere nel bene o nel male è più esposto alla pressione. Detto questo però Roglic ti vince le Olimpiadi che non sono propriamente una corsetta! Che ci abbia lavorato su? Che abbia imparato dai suoi errori? Poi è anche vero che la pressione in una gara secca è diversa da quella prolungata in tre settimane».

A questo punto la Borgia apre un “capitolo” molto interessante.

«Un aspetto molto importante nella prestazione è il senso di auto efficacia. Questo è un costrutto dello psicologo Bandura che dice che è fondamentale nel benessere della persona, e nello sportivo ancora di più, quanto ti senti forte. E un Roglic che ha già vinto due Vuelta arriva in Spagna in modo diverso da come farebbe in Francia, dove ancora non è riuscito a vincere, anche se ci è andato vicino. Alla Vuelta sa di essere forte, si sente “a casa”, è in una “comfort zone”. Al Tour magari non è riuscito a tirare fuori il Roglic migliore. Poi è anche vero che è caduto in questa Vuelta e viene da chiedersi se sia consapevole dei propri limiti, se sia sempre lucido».

Infine vogliamo capire se il fatto che la Vuelta per molti sia un obiettivo di “riparazione” o comunque non il primo goal della stagione, possa incidere sull’approccio mentale. Ho sbagliato al Tour o al Giro e vado alla Vuelta per raccogliere qualcosa…

«Sicuramente si hanno sensazioni diverse: un conto è preparare il primo obiettivo e un conto il secondo, specie se è l’ultimo ed è “o la va o la spacca”. Quest’anno poi, con le Olimpiadi di mezzo, ci sono stati tanti approcci differenti. Una cosa fondamentale di Roglic è che ha una resilienza non da poco. Fa flop al Tour, va alle Olimpiadi e vince, va alla Vuelta e vince. E lo stesso ha fatto l’anno scorso. Segno che comunque questo ragazzo ha delle risorse importi. E’ sul pezzo. Okay lo stress e la testa, ma è forte. Perché comunque, e lo dico sempre, la testa conta, ma le corse si vincono con le gambe. Se hai 50 watt in meno anche se di testa sei forte non vinci».