Disordini alimentari, male oscuro di cui nessuno parla

11.02.2021
5 min
Salva

I disordini alimentari. I corridori non ne parlano, soprattutto per paura di mostrarsi deboli agli occhi dei team manager e di non essere confermati. In questo quadro di ciclismo estremizzato, la pressione sugli atleti è spasmodica. Allenamenti monitorati. Spostamenti da dichiarare. Social cui rendere conto. Interviste. Il peso forma che non ti concede scampo. Quel numerino infernale che esprime il rapporto fra potenza e peso è l’asticella di una gara che si rinnova ogni giorno. Se più di tanto non si possono aumentare i watt, la convinzione che diminuendo i chili tutto andrà meglio rischia di diventare patologica e in parecchi casi lo è già. Per questo si smette di correre e tanti lo hanno fatto. Forse quando un pezzo da 90 come Dumoulin parcheggia la bici, dovremmo chiederci se non sia stato piuttosto il contesto a spingerlo.

I corridori a tavola hanno spesso dei bei problemi, soprattutto i più fragili: la pasta è un monte da scavalcare. In questo viaggio nell’argomento, ci siamo affidati a Laura Martinelli, nutrizionista del team Novo Nordisk, che per l’ennesima volta ha avuto la pazienza di ascoltarci e ci ha fornito argomenti estremamente interessanti.

Clement Chevrier ha smesso di correre, ha raccontato di aver sofferto di anoressia
Chevrier ha raccontato di aver sofferto di anoressia
Ci conferma che il problema dei disordini alimentari c’è davvero?

Purtroppo sì. In letteratura è sempre più legato alla sfera femminile, ma è presente anche in ambito maschile. Fra gli sport più soggetti, c’è sicuramente il ciclismo per il discorso già fatto sul rapporto fra potenza e peso. Poi gli sport con suddivisione in base a categorie di peso e gli sport estetici.

Perché non se ne parla?

Perché spesso una delle soluzioni è smettere di correre.

Esiste un regime alimentare minimo per un ciclista professionista?

Certo che esiste, ma non credo sia quello il focus. Se parliamo di apporto calorico minimo, quello c’è. Ciò che fa la differenza è la durata di certi regimi alimentari. Le scorte di grasso sono preziose risorse di energia. Se calo l’apporto calorico per un periodo breve, gestendo la situazione, non accade nulla di compromettente. Se invece la cosa si prolunga, avvengono cambiamenti nel metabolismo basale che si riduce. Mangio sempre uguale, ma l’organismo consuma meno e allora mangio meno, cadendo nell’anoressia. Altrimenti un’altra forma di compensazione è il vomito. E allora si parla di bulimia.

I corridori più fragili hanno un rapporto conflittuale con l’alimentazione, soprattutto con la pasta
Tanti corridori hanno un rapporto conflittuale con l’alimentazione
A chi capita di incorrere nei disordini alimentari?

La fascia più a rischio è quella dei giovani, che sono più suscettibili alle informazioni fuorvianti. E gli scalatori, per cui la leggerezza è un imperativo.

Parlando con alcuni corridori che non hanno voluto essere citati, la sensazione è che il problema sia più urgente nelle squadre piccole.

Forse perché c’è una certa ignoranza di base. Più scendi di categoria, più ti ritrovi con figure professionali che ricoprono più ruoli. Il manager, il direttore sportivo, il nutrizionista…

Lo stesso per uomini e donne?

Anche qui, le giovani sono sempre le più esposte. Spesso queste mancanze derivano dall’insicurezza e da un deficit di autostima. Gli atleti più esperti riescono a gestirsi meglio. E poi il passare degli anni rallenta il metabolismo e rende certi passaggi meno delicati.

Nei team si riesce ad affrontare il problema?

Soltanto se c’è buona collaborazione. Il professionista che in un team può accorgersi di queste cose è colui che è a più stretto contatto con l’atleta, quindi il preparatore o il direttore sportivo, che fisicamente rileva il problema. Una volta che lo si è individuato, va affrontato con il medico e lo psicologo o lo psichiatra esterno al team.

Brajkovic è sempre stato magrissimo e ha parlato della sua bulimia
Brajkovic, sempre magrissimo, ha raccontato della sua bulimia
Perché esterno?

Perché i team non hanno simili figure. Si trova uno specialista che viva vicino casa dell’atleta e si avvia un cammino di recupero.

Pisicologo o psichiatra?

Entrambi, ma dipende dalla storia della malattia. Perché di malattia si tratta.

Qual è la percentuale di riuscita?

Sembra brutto dirlo perché in ambito scientifico andrebbe valutata la possibilità di recupero, ma di solito l’insorgenza di simili problemi comporta la fine dell’attività.

Visto che il problema è così grave, nei team si fa attività di formazione sul tema?

Sì, ma dal nostro punto di vista, quindi con un approccio legato all’attività nutrizionale. Diciamo che si adotta una metodica preventiva. Se non si procede con la giusta periodizzazione, si crea un processo ossessivo che poi non si recupera. E’ qualcosa che si fa soprattutto nei ritiri e soprattutto con i giovani. Per fortuna sul tema c’è una sensibilità crescente. Dieci anni fa nel gruppo eravamo in due, oggi ogni squadra ha un nutrizionista di riferimento.

Gambe scavate pubblicate su Instagram, così come la foto di apertura
Gambe pubblicate su Instagram, come la foto di apertura
In una recente intervista, Moscon che corre alla Ineos ci ha detto: «E’ cambiato molto sul piano dell’alimentazione, dove si era arrivati a livelli un po’ ossessivi. Tra corridori ci si spinge spesso al limite e si arriva al punto quasi di patire la fame ». 

Meno male! Sono in contatto con il collega di Ineos e la sensazione che si fossero spinti un po’ all’estremo si aveva. Sembra brutto dirlo, ma al di là dell’aspetto etico, in certi ambienti la facilità di ricambio dei corridori rende la questione meno urgente. Se invece hai un solo leader e pochi altri atleti di vertice, sei anche spinto a tutelarli di più.

Perché non se ne parla?

Forse perché è una situazione sottostimata e tuttora non compresa. E’ un rischio per il ciclismo, perché fa perdere talenti buoni. Nella fase di passaggio al professionismo, ci sono delle fragilità che non andrebbero sottovalutate. Poi da grande, una volta che sei entrato nel sistema, capisci come gestirti e ti salvi. Ma se ci cadi…

Se ci cadi?

Se ci cadi e continui a correre, non ne esci più