Eccessivo calore ai piedi, una sfida per aziende e corridori

30.11.2023
7 min
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Il calore che si genera tra scarpa ed estremità del corpo condiziona la prestazione e il benessere dell’atleta. Far abbassare la temperatura, mantenere una ventilazione costante ed avere un comfort ottimale sono gli obiettivi primari.

Affrontiamo l’argomento con Nicola Minali di DMT e con l’intervento di Luigi Bergamo di Q36.5. Inoltre abbiamo chiesto ad Elia Viviani, testimonial d’eccezione per DMT e tester che ha contribuito a sviluppare le calzature in knit dell’azienda veneta.

Elia Viviani usa le DMT KR0 con doppio Boa
Elia Viviani usa le DMT KR0 con doppio Boa

Il calore ai piedi fa male

Viviani è stato uno dei primi atleti ad indossare le scarpe con la tomaia in tessuto knit e ha contribuito in modo importante allo sviluppo di questa tipologia di calzature. «E’ un pignolo – come ci ha detto Minali – ma è in grado come pochi altri di dare dei feedback sul prodotto e riportare le sue idee, peraltro costruttive a favore del miglioramento».

«Il calore ai piedi è una delle cose che fa più male – dice Elia Viviani – ti condiziona e si cerca di trovare la soluzione perfetta. Con DMT abbiamo dato il via alla rivoluzione della tomaia utilizzando il tessuto Knit, a mio parere una sorta di gamechanger. Per abbattere il problema del calore eccessivo, si lavora principalmente in due direzioni. La scarpa ventilata e la qualità della calza. Le calze estive sono molto sottili e non piacciono a tutti, ma non accumulano calore».

Ogni calzatura passa prima da una bozza su carta (foto DMT)
Ogni calzatura passa prima da una bozza su carta (foto DMT)

Il calore, una sfida costante

Se DMT è stata la prima ad utilizzare il tessuto knit nell’ambito del ciclismo, Q36.5 ha fatto della ricerca sui materiali e della guerra al calore eccessivo i due punti fermi per abbigliamento e scarpe. Le due aziende adottano un approccio differente per le fasi di sviluppo e di valutazione della calzatura. Entriamo nel dettaglio.

L’eccessivo calore ai piedi; un problema che condiziona la performance?

BERGAMO (Q36.5): «Certamente, qualsivoglia eccesso o deficit di temperatura influisce in modo sostanziale nelle prestazioni e nel benessere fisiologico. Questo è il credo da cui è nato il nostro brand: cercare sempre di mantenere il perfetto equilibrio dell’organismo».

MINALI (DMT): «Certo è uno dei problemi contro i quali si combatte da sempre, tanto per l’estate, quanto per l’inverno o la stagione fredda in genere. Ma è anche una sfida e un punto di partenza da considerare quando si sviluppano nuove scarpe».

La difficile realizzazione della scarpa per il ciclista (foto DMT)
La difficile realizzazione della scarpa per il ciclista (foto DMT)
La problematica dei piedi bollenti è un tema che viene affrontato in fase di sviluppo di nuovi prodotti?

BERGAMO (Q36.5): «Tutto il processo di R&D di Q36.5 comprende un’attività di monitoraggio della temperatura, attraverso parametri scientifici standard, grazie a strumenti di rilevazione e con test empirici. Va inoltre specificato che, quando si parla di piedi bollenti, ci troviamo di fronte ad un’alterazione del sistema nervoso periferico conseguente a condizioni di estremo caldo ma altrettanto di estremo freddo. I nostri studi valutano entrambe».

MINALI (DMT): «In questo caso affermo con orgoglio che, da quando DMT ha virato completamente sull’utilizzo della tecnologia Knit, il problema della latenza del calore all’interno della calzatura è quasi scomparso. O meglio, abbiamo dato il via ad un nuovo modo di interpretare la calzatura per il ciclismo e tutto quello che riguarda il comfort, una ventilazione costante e anche l’abbinamento ottimale tra piede e tomaia. Inoltre si lavora anche sui punti di pressione. Credo che il processo evolutivo abbia ancora diversi margini di miglioramento e vedremo un ulteriore progresso in futuro. Inoltre è dovuta una precisazione: quando i corridori vanno sulle strade della Grande Boucle o corrono nei mesi estivi centrali, la temperatura dell’asfalto arriva a 50°C eed è difficile da combattere. Non è un semplice dettaglio».

Dietro ad una scarpa c’è molto da racontare (foto Q36.5)
Dietro ad una scarpa c’è molto da racontare (foto Q36.5)
Fate collimare ricerca e feedback degli atleti?

BERGAMO (Q36.5): «Tomaie e suole sono determinanti nella creazione di una scarpa che sia globalmente adattabile alle differenti conformazioni fisiche. Seguendo il principio dei “three points of contact” di Q36.5, siamo naturalmente molto attenti anche ad altri fattori quali solette e tipologia di chiusure che possono impattare in modo determinante. Naturalmente quando si portano questi concetti agli estremi, come nel caso degli atleti professionisti, si innesca un processo che porta a spingersi ad un livello di dettaglio estremamente più profondo».

MINALI (DMT): «Grazie ai feedback degli atleti cerchiamo di mettere in pratica alcune soluzioni, ma anche di fornire delle alternative, perché i corridori sono diversi. In Diamant il lavoro di modellismo che viene fatto è enorme. Ogni modello viene provato dai professionisti e poi viene riportato ad una produzione su larga scala. Ne è un esempio la calzatura con i lacci usata da Pogacar, quando ha vinto il primo Tour. Si trattava semplicemente di una prova e non era in produzione. Gli avevamo consegnato la calzatura poco tempo prima che andasse in Francia».

Tour 2020, Pogacar indossa le DMT con i lacci, allora un prototipo

Tour 2020, Pogacar indossa le DMT con i lacci, allora un prototipo
Calore eccessivo alle estremità del corpo, ci sono delle conseguenze?

BERGAMO (Q36.5): «Certamente, si parte da una semplice sensazione di fastidio, che rappresenta un elemento di stress e di distrazione da non sottovalutare quando si sta esprimendo un gesto atletico, sino ad arrivare a perdite di sensibilità che sono estremamente pericolose e penalizzanti».

MINALI (DMT): «Una volta si diceva che con il male ai piedi non si andava avanti. Molto è cambiato, nelle forme e nei materiali, nel modo di costruire le scarpe e fare bene quelle per i ciclisti non è facile. Ma il vecchio adagio rimane sempre valido ed attuale».

Avete notato delle correlazioni tra l’aumento della temperatura e la forma del piede?

BERGAMO (Q36.5): «Non c’è una correlazione diretta. La nostra esperienza ci porta piuttosto a considerare l’aumento della temperatura su tutte le parti terminali, mani e piedi, come una conseguenza di un non corretto scambio d’aria. Questo influisce sulla capacità del corpo di adattarsi al cambiamento del clima esterno o delle condizioni interne dovute alle dinamiche di corsa».

MINALI (DMT): «Non c’è un collegamento diretto tra i due fattori. Quello che abbiamo notato è un cambio radicale della forma dei piedi, che sono sempre più magri ed asciutti, quasi allungati. Sono sempre di più gli atleti che mostrano questa evoluzione».

Le suole in carbonio e l’utilizzo di alcune tipologie di plantari personalizzati influiscono sulla temperatura interna alla scarpa?

BERGAMO (Q36.5): «Sicuramente i materiali hanno una rilevanza fondamentale, ma è altrettanto evidente che ci sono alcuni elementi ormai divenuti imprescindibili per gli atleti, come la suola in carbonio o il plantare personalizzato. E’ nostro compito trovare il modo di renderli efficienti anche in termini di gestione del calore».

MINALI (DMT): «Certamente. Le suole in carbonio non dissipano calore e sono molto rigide. Questa rigidità, tanto richiesta dai corridori, ha un prezzo. Si traduce in microsfregamenti che generano attrito e calore. La stessa cosa vale per i plantari, anche se in questo caso è sempre necessario considerare il materiale di costruzione, ma di sicuro non aiutano a rinfrescare».

In che modo si può intervenire per mantenere uno stato di comfort ottimale anche durante la stagione più calda?

BERGAMO (Q36.5): «Estremo caldo o estremo freddo non sono molto diversi da condizioni di clima mite quando si parla di comfort. Il principio è quello di garantire al piede di essere correttamente inglobato dal sistema scarpa, suola/tomaia, per scongiurare e allontanare il più possibile fenomeni di alterazione del sistema nervoso periferico. Quando il piede si trova in una condizione di corretta trasmissione nervosa e affluenza sanguigna si scongiura qualsiasi forma di discomfort».

MINALI (DMT): «L’aria deve circolare costantemente. Il calore prodotto dal piede, il vapore ed il sudore non devono bagnare la tomaia e devono uscire. Ovviamente si parla di materiali che lo rendono possibile e mi rifaccio allo Knit. Poi si può parlare di forme e delle soggettività degli atleti, ma una ventilazione costante dell’estremità corporea non deve essere sacrificata. Questa affermazione è valida per la stagione estiva, ma anche nel corso di quella fredda, perché una tomaia che non si inzuppa di sudore non si raffredda e non fa ghiacciare i piedi».

Champions League della pista, un format per tutti

12.11.2023
6 min
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LONDRA – Battiti e watt sprigionati sia dagli atleti in pista che dal pubblico sulle tribune. La Uci Track Champions League è una centrifuga emozioni e adrenalina che ti intrattiene costantemente. E non potrebbe essere altrimenti in un evento organizzato dalla Warner Bros Discovery.

Le sue serate offrono sempre alta qualità di ciclismo e coreografie studiate ad hoc per gli spettatori. Le ultime due prove disputate nel velodromo olimpico Lee Valley di Londra hanno definito le classifiche finali. L’olandese Harrie Lavreysen e la neozelandese Ellesse Andrews hanno vinto le discipline degli sprint, mentre il canadese Dylan Bibic e la scozzese Katie Archibald quelle dell’endurance (in apertura foto UciTCL). Noi però abbiamo voluto approfondire il dietro le quinte con il trentaduenne francese Florian Pavia, il Series Director della UCI Track Champions League. Una persona disponibile e moderata, nata in Marocco, con origini di Pantelleria (tanto che suo padre parla ancora italiano) e che ha lavorato per ASO (la società organizzatrice del Tour de France) prima di passare al gruppo WBD. Sentiamo cosa ci ha detto.

Origini italiane. Il francese Florian Pavia è il Series Director della Uci Track Champions League. Nel 2024 spera di portare Viviani e Ganna
Origini italiane. Il francese Florian Pavia è il Series Director della Uci Track Champions League. Nel 2024 spera di portare Viviani e Ganna
Nel 2021 quando è nata, si diceva che la Champions League doveva sedurre il telespettatore. Ad oggi è vinta la sfida per voi?

Credo di sì. Abbiamo voluto il format per questo e lo organizzeremo fino al 2028. Volevamo rendere il ciclismo su pista accessibile per tutti. Non solo per chi ama la pista, ma anche per un pubblico molto più largo e distante dal ciclismo. La priorità resta sempre il prodotto televisivo, però va trovato sempre il giusto equilibrio tra l’esperienza nel velodromo e quella che viene percepita a casa. Su questo ci lavoriamo sempre dopo ogni evento, facendo tante prove.

In questa ricerca di equilibrio guardate più all’utente da casa?

Certamente, il nostro resta un prodotto che deve privilegiare il telespettatore. Nel velodromo abbiamo cinquemila persone, che sono comunque tantissime per un evento del genere, però da casa ne abbiamo più di centomila. I numeri sono sempre cresciuti dalla prima edizione ad oggi. In realtà sono incrementi piccoli perché avevamo già iniziato molto bene. Siamo sull’ordine del 10 per cento di crescita ogni anno in televisione.

Velocità, keirin, eliminazione e scratch sono le discipline perfette per un prodotto televisivo di massimo tre ore (foto UciTCL)
Velocità, keirin, eliminazione e scratch sono le discipline perfette per un prodotto televisivo di massimo tre ore (foto UciTCL)
E nei velodromi?

Lì invece abbiamo percentuali molto più alte. A Parigi nel 2022 avevamo avuto circa 2.500 persone, quest’anno oltre 4.000. E senza avere i grandi nomi della pista francese. Questo significa che la gente che è venuta per assistere e godersi il nostro spettacolo. Un mix tra gare e coinvolgimento generale, con giochi di luci e musica. Sono tre ore di gare che volano via velocemente. Ed il pubblico resta appassionato dall’inizio alla fine.

Come scegliete le sedi delle prove?

La scelta dei velodromi in questi anni non è stata mai casuale. Un po’ per i mercati di quei Paesi e un po’ per la tradizione che hanno su pista. Maiorca, ad esempio, è un’ottima meta anche per il buon clima. Vorremmo andare in Olanda ad Apeldoorn. Ci stiamo lavorando per farlo già nel 2024. Bisogna dire che poi abbiamo dei nostri requisiti da rispettare.

Quali sono?

I velodromi devono avere un’altezza al soffitto di almeno nove metri per poter installare la cable-cam. Poi ci vuole tutto lo spazio necessario per le attrezzature. Abbiamo un camion-regia che controlla diciotto telecamere puntate su pista e spalti. Infine, abbiamo anche un compound dentro al velodromo che si occupa di tutte le luci e gli effetti coreografici con grande coordinazione. Uno spettacolo del genere non lo possiamo allestire in qualsiasi posto.

Rispetto alla prima edizione cosa è cambiato?

Dal 2021 ad oggi abbiamo dovuto fare inevitabilmente degli aggiustamenti. Ad esempio l’ordine delle gare lo abbiamo cambiato quest’anno in modo che fossero più coerenti e logiche per la televisione. Ci siamo resi conto che la presentazione dei leader delle classifiche non potevamo più farle dopo circa 45 minuti di gare. Era una questione televisiva, ma il pubblico del velodromo non capiva. Così abbiamo deciso di farla subito ed trasmetterla in differita in un momento di piccolo intervallo.

Possono esserci novità per le prossime Uci Track Champions League?

Per le edizioni future stiamo facendo riflessioni se aggiungere delle specialità. La parte della velocità funziona molto bene. E’ in linea con la nostra idea di evento. La parte endurance invece è un po’ più difficile. Questi corridori corrono per circa dieci minuti. Metà di loro ti dice che è perfetto, l’altra metà no perché non riesce ad esprimersi al massimo. Se vogliamo mantenere tre ore di programma, non abbiamo alternative. Tuttavia per gli atleti dell’endurance abbiamo organizzato nel pomeriggio una corsa a punti (che assegna qualche punto nel ranking UCI, ndr) così possono utilizzarla come gara di riscaldamento.

Secondo voi può rubare scena e atleti alle Sei Giorni?

Penso di no. La Champions League è un prodotto totalmente differente dalle Sei Giorni. Quelle sono gare per un pubblico che segue la pista costantemente, quasi di nicchia. Ad esempio il loro format si presta poco alla televisione.

Nell’anno olimpico ci sarà la possibilità di vedere qualche nome importante?

Solitamente la qualificazione per la Champions League avviene con i mondiali, ma l’anno prossimo non sarà possibile perché ci saranno prima le Olimpiadi. Quindi dopo Parigi 2024 vedremo i risultati e distribuiremo le nostre 17 wild card. Indipendentemente da tutto, guardando in casa vostra, a noi piacerebbe molto avere corridori come Viviani o Ganna. Faremo un tentativo per portarli da noi.

Villa: «Le Sei Giorni servono, quel che manca è il tempo»

04.11.2023
5 min
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Dopo il ritorno trionfale della Tre Giorni di Grenoble e con la Champions League che distoglie atleti e riflettori, la Sei Giorni di Gand lancia la stagione delle notti in pista. L’antica capitale delle Fiandre ospita l’evento dal 1922 (il velodromo di Kuipke è invece del 1927) e basta scorrerne l’albo d’oro per capire che si tratta di una manifestazione al top degli specialisti. L’ultimo italiano ad averla vinta fu Elia Viviani nel 2018, in coppia con Iljio Keisse che proprio quest’anno saluterà il suo velodromo. Andando più indietro, tuttavia, il 1998 salta agli occhi per la vittoria di Silvio Martinello e Marco Villa.

Proprio con il cittì della pista azzurra allora abbiamo voluto riprendere il discorso, partendo da due affermazioni opposte di Elia Viviani e Benjamin Thomas, entrambi grandi specialisti della pista, lanciati verso le Olimpiadi di Parigi. Viviani ha detto di voler correre di più su pista durante l’inverno, ma che le Sei Giorni non gli danno quello di cui ha bisogno, dovendo lavorare soprattutto sull’omnium. Il francese ha detto di volervi prendere parte. A dire il vero, se non fosse caduto nella penultima tappa in Cina, avrebbe corso anche a Gand. In ogni caso, ci ha detto che, avendo disputato soltanto tre madison durante la stagione, la Sei Giorni è quel che serve per riprendere l’occhio e i meccanismi della specialità.

Martinello e Villa hanno vinto a Gand nel 1998. Qui invece, sempre a Gand, ma nel 2001
Martinello e Villa hanno vinto a Gand nel 1998. Qui invece, sempre a Gand, ma nel 2001
Caro Marco, le Sei Giorni sono ancora utili per un pistard che svolge attività olimpica?

Dipende dai programmi delle Sei Giorni. Ai miei tempi nel calendario ce n’erano 12, i programmi erano diversi, l’intensità in gara era diversa. Però qualcuna fa sempre comodo, non solo a Benjamin Thomas, ma anche a noi. Stiamo facendo poche madison. Scartezzini e Consonni hanno corso abbastanza assieme. Viviani e Consonni hanno corso pochissimo e mi piacerebbe vederli fare un’americana. Un conto è farla per vincere una medaglia o da coppia che vuole vincere la gara, un conto è allenarsi. Più ne fai, meglio è. A volte essere in testa alla classifica di una Sei Giorni aiuta anche a capire come devi correrla per vincere. Un conto è fare una volata ogni tanto, quando stai bene. Un conto è fare una volata o saltarla perché devi difendere la testa della classifica in caso di qualche attacco. Quando attacca uno che è indietro in classifica, chi è davanti deve andare a prenderlo.

Quindi come valuti il ragionamento di Elia e di Thomas?

Bisogna vedere Elia in che contesto l’ha detto, cosa intendesse. Magari teneva conto anche del fatto di dover chiedere l’autorizzazione alla squadra e, volendo fare anche le Coppe del mondo, magari deve moderare le richieste. Se anche Thomas ha fatto solo tre madison, vuol dire che ha avuto gli stessi problemi di Viviani. Il calendario della pista e l’impegno con la squadra sono notevoli per entrambi.

Hai parlato di Sei Giorni che si corrono a intensità diverse.

E’ vero. L’affinità tecnica della coppia resta, ma è cambiato il modo di correre. La prima cosa che vedo è che prima si usava un rapporto più agile che permettesse di arrivare fino alle due di notte. Adesso ci sono meno gare, si finisce prima e le medie sono più alte. Quindi se prima si parlava di gare intense nel periodo di off season, adesso l’impegno è notevole. Non vai lì a girar le gambe. Si corre con rapporti più lunghi, non è più una corsa a tappe, ma una serie di gare singole, se vogliamo fare l’esempio della strada.

Viviani è stato l’ultimo italiano a conquistare la Sei Giorni di Gand, nel 2018 con Keisse
Viviani è stato l’ultimo italiano a conquistare la Sei Giorni di Gand, nel 2018 con Keisse
Ti aspetti che qualche specialista andrà a farle?

Dipende dalle esigenze e dal tempo. Vedo ad esempio che Reinhardt sta facendo la Champions League e potrebbe andare a fare le Sei Giorni. Kluge, che è il suo compagno della madison (i due sono campioni europei in carica, ndr), è meno impegnato su strada e credo che adesso anche lui abbia più tempo per la pista. Credo che in genere quelli che non sono nelle squadre WorldTour potrebbero esserci, mentre altri, come ad esempio lo stesso Benjamin Thomas, faranno le Coppe del mondo cercando di farle coincidere con i momenti senza corse su strada.

L’Italia riparte da Noto o prima da Montichiari?

Ufficialmente da Noto, però Montichiari in teoria è disponibile. Ce l’hanno riconsegnata martedì e qualche giorno fa ho fatto girare Lamon e Galli. Lamon perché è rientrato dalle ferie e voleva girare, Galli perché lo porteremo proprio alla Sei Giorni di Gand con gli under 23, dato che ci è stato anche lo scorso anno. Li accompagnerà Masotti, io penso di andare qualche giorno verso la fine, perché prima sarò a Noto.

I francesi andranno in altura sul Teide intorno al 10 dicembre.

Potrebbero avere in testa gli europei (Apeldoorn, Olanda, 10-14 gennaio, ndr), più che la prima Coppa del mondo in Australia (Adelaide, 2 febbraio, ndr) che mi sembra lontana. Noi dobbiamo giostrare le presenze degli atleti che abbiamo a disposizione, cercando di dividere tra chi farà il Tour Down Under e quindi potrà correre la prima Coppa del mondo e chi invece farà gli europei. Dobbiamo unire i programmi della nazionale e quelli delle squadre. Ad esempio la Ineos dovrebbe portare Viviani e Ganna in Australia e lo stesso la Movistar con Manlio Moro. La partenza per il Down Under è negli stessi giorni dell’europeo, quindi loro non ci saranno. Però si fermeranno qualche giorno di più ad Adelaide e la settimana dopo la corsa ci sarà la Coppa del mondo. Non credo invece che ci andranno Milan, che ha corso fino alla Cina, e neppure Consonni, che voleva partire più tranquillo. Quindi loro due potrebbero fare l’europeo.

Kluge e Reinhardt sono i campioni europei in carica della madison
Kluge e Reinhardt sono i campioni europei in carica della madison
Con i team è già tutto definito? Ad esempio con la Lidl-Trek visto che Milan e Consonni dal 2024 saranno con loro?

Abbiamo già parlato, Amadio da team manager ha avuto i suoi colloqui con Luca Guercilena, io da tecnico ho già dato il programma a Josu (Josu Larrazabal, responsabile area performance della Lidl-Trek, ndr). Nei giorni scorsi in America stavano sistemando il calendario dei ragazzi, quindi abbiamo anticipato la nostra pianificazione per condividere con loro un programma affidabile, sia per gli uomini, sia per le donne. Lo abbiamo mandato a tutti. Ho messo in evidenza le date in cui ci saranno le convocazioni e dove vorrei tutte le ragazze e i ragazzi. Sono momenti in cui non ci sono impegni su strada, per cui non dovremmo avere problemi.

Manca poco alle Olimpiadi, hai trovato collaborazione?

Molta. Anche le squadre sanno che gli atleti fanno la pista volentieri e le Olimpiadi sono un obiettivo dell’anno più che rispettabile per la loro carriera, senza trascurare gli impegni delle squadre. Si stanno dimostrando tutti collaborativi, ma non avevo dubbi.

Lampo d’azzurro su Beihai: Milan si lancia, Viviani lo infila

12.10.2023
6 min
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BEIHAI – Dedicato a Marco Villa, pensiamo non appena Viviani e Milan sfrecciano accanto andando a fermarsi in fondo allo stradone liscio, dritto e caldo. La prima tappa del Tour of Guangxi parla italiano, come meglio non si poteva sperare, il tecnico della pista azzurra avrà gongolato vedendo davanti due dei suoi. La gente è assiepata alle transenne, calde per il sole. I fotografi sono pronti e la volata è un esercizio di tattica e potenza. Giocano pulito. E Milan involontariamente si trasforma nel perfetto leadout per Viviani. Parte infatti ai 300 metri e il veronese trova lo spunto per passarlo. Nei giorni scorsi gli avevamo chiesto come mai non avesse preso Morkov, poi finito all’Astana.

«Evidentemente – sorride accaldato – il progetto di Cavendish era più concreto. Credo che Mark farà il record di tappe al Tour, come credo che anche io con un buon supporto e le giuste gambe, posso essere competitivo contro i migliori sprinter. Sono sempre stato anche realista, però oggi ho dimostrato che ci sono».

Il Trofeo del Tour of Guuangxi è esposto la mattina al foglio firma, sorvegliato da guardiani speciali
Il Trofeo del Tour of Guuangxi è esposto la mattina al foglio firma, sorvegliato da guardiani speciali

Un lampo di Milan

Primo Viviani, secondo Milan. Il gigante friulano ha pagato care le fatiche del Giro e da maggio ha messo insieme appena nove giorni di corsa, faticando a trovare ritmo e sensazioni Anche i mondiali di Glasgow su pista non lo hanno mostrato ai livelli che ben conosciamo.

«Sono contento che sia tornato a sprintare – dice Viviani – perché essendo nello stesso gruppo della nazionale, sappiamo anche come ci vanno le cose. E Jonathan dal Giro non ha più ritrovato le sensazioni che voleva. Dopo l’arrivo gli ho fatto i complimenti. Alla fine l’ho passato solo io, perché mi sono trovato nella situazione perfetta per farlo. Ma tutti gli altri sono rimasti dietro ed è partito a 300 metri. Qualche mese fa, contro i miei stessi interessi, gli avevo detto che avrebbe dovuto finire bene l’anno, perché il prossimo per lui comincia una nuova avventura da leader e non sarebbe facile iniziare con l’ultima vittoria fatta a maggio. Sono felice di averlo visto fare una volata lunga e bella. Quanto a me, sono contento di essere tornato a vincere nel WorldTour una cosa che mi mancava da tanto».

Questa prima tappa a Beihai è stata la 47ª giornata di gara per Milan, appena la 9ª dopo il Giro
Questa prima tappa a Beihai è stata la 47ª giornata di gara per Milan, appena la 9ª dopo il Giro

Contento a metà

Milan sorride. E’ contento per la vittoria dell’amico, ma proprio perché non vince da maggio e da tutto questo tempo non azzecca una bella corsa, non gli sarebbe dispiaciuto affatto alzare le braccia. Gli chiediamo che effetto faccia veder vincere il… vecchiaccio.

«Sono contento sinceramente che mi abbia passato lui – sorride a denti stretti – e non qualcun altro. Oddio, contento, insomma… E’ stata una giornata bella calda, ma l’andatura non è stata particolarmente sostenuta, a parte i primi chilometri quando voleva partire la fuga. I ragazzi mi hanno scortato per tutto il tempo e nel finale mi hanno lasciato al punto giusto, anche se forse mi sono trovato davanti troppo presto. Non potevo aspettare nessuno, perché non volevo essere riassorbito e quindi sono partito lungo. Mi aspettavo qualcuno da dietro, ho cercato di dare tutto fino all’arrivo, però ci sono ancora 5 giorni. Non saranno tutti arrivi per me, ma sicuro cercherò di fare bene».

La testa e le gambe

Per un motivo o per l’altro, entrambi hanno buttato in questo sprint un anno di bocconi più o meno amari. E tutto sommato il fatto che siano ancora qui a lottare in questa caldaia cinese significa che sono in cerca di riscatto. Milan ha ammesso di non essere stanco tanto nelle gambe, quanto psicologicamente e Viviani è sulla stessa lunghezza d’onda.

«Ieri ho letto un tweet che ricordava le 18 vittorie del 2018 – ricorda Viviani – e non è semplice passare a zero nel 2020, sette nel 2001, due l’anno scorso e vincere la prima del 2023 solo la settimana scorsa… Ovvio che sono cose differenti, cambia tutta la dimensione, non bisogna mollare e non è mai facile. Servono le gambe, ma la testa fa la differenza. Non è stato facile passare la settimana scorsa tra il Croazia e la partenza per la Cina. C’erano 10 giorni a casa e allenarsi non è stato facile. Devi capire bene il tuo corpo per decidere quali allenamenti fare e accorciare le ore. A fine stagione è inutile farne 5-6, meglio 4 di qualità. Ho trovato anche dei giorni per andare in pista con la scusa di test sui materiali e per fare allenamenti di qualità. Quindi la settimana è passata bene, però senza le gambe non ti inventi niente».

La Ineos è in Cina con i due Hayter, Leonard, Narvaez, Plapp e Rowe: tutti per Viviani
La Ineos è in Cina con i due Hayter, Leonard, Narvaez, Plapp e Rowe: tutti per Viviani

Destinazione Parigi

Milan è come se avesse sentito e racconta di non aver avuto sensazioni ottime, ma discrete. Dice di aver fatto dei buoni allenamenti prima di partire e qualche lavoretto specifico ieri nel provare il percorso di tappa. E poi, mentre il compagno di nazionale si avvia verso altri giornalisti, Milan gli riconosce il merito di aver sempre creduto nella doppia attività, fra strada e pista.

«Essere il portabandiera della doppia attività – risponde Viviani a distanza – mi fa sentire orgoglioso. E’ un gruppo cresciuto negli anni insieme, quindi è ovvio che vediamo dei punti di riferimento in uno o nell’altro. E’ bello che anche gli altri siano cresciuti alternando la doppia attività e che vadano ad affrontare una stagione importante come quella olimpica. Jonathan è diventato campione olimpico a vent’anni, non è una cosa da tutti, non è una cosa che si dimentica. E l’anno prossimo torneremo a essere lo stesso gruppo che ha fatto belle cose negli ultimi anni in pista».

Ci arriverà a capo di un inverno composto da 2-3 settimane di stacco e poi tanto lavoro per la strada. Nessuna Sei Giorni, al massimo qualche gara Classe 1. Molto probabilmente non sarà neppure agli europei pista di gennaio, per non dover anticipare troppo la preparazione. L’obiettivo sarà arrivare pronto al Tour Down Under e poi di partecipare alla prima Coppa del mondo su pista. Ma adesso c’è questa storia cinese da portare a compimento. Domani si riparte in maglia di leader, il resto si vedrà giorno dopo giorno.

Tour of Guangxi: si comincia, fra tifosi e due espulsioni

11.10.2023
7 min
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BEIHAI – Prima un centro commerciale, poi l’hotel delle squadre. Il Tour of Guangxi comincia alla cinese, con tanti ragazzini pieni di domande e il vociare allegro. Siamo stati accolti con grandissimo calore e tanti sorrisi, ma la barriera della lingua finora è risultata difficilmente sormontabile. I pochi che parlano inglese diventano il bersaglio delle mille domande che il cervello annota a ogni passo. E poi c’è internet, chiuso rispetto al resto del mondo. La VPN che dovrebbe permetterci di aggirare il blocco in questo momento non funziona troppo regolarmente, speriamo si connetta per tempo. Google e tutti i social di Meta, compreso Whatsapp, in Cina non si aprono. E pare che negli ultimi mesi il governo abbia inasprito i filtri.

Anne Wu, assieme all’olandese Sjors Beukeboom, ha condotto la presentazione: una in cinese, l’altro in inglese
Anne Wu, assieme all’olandese Sjors Beukeboom, ha condotto la presentazione: una in cinese, l’altro in inglese

Tutti al Wanda Plaza

Il Wanda Plaza è un centro commerciale, probabilmente uno dei più grandi di questa città, piccola per essere cinese. Dai 26 milioni abbondanti di Shanghai, siamo arrivati a Beihai che ha 400.000 abitanti e si affaccia sul Mar Cinese Meridionale, davanti all’isola di Hainan su cui si è corso fino a pochi giorni fa.

Si comincia domani e i primi ad essere applauditi sono stati i tre corridori che si sono prestati oppure sono stati estratti per la partecipazione al bagno di folla. Tim Wellens che ha da poco vinto il Renewi Tour e di questa corsa colse la prima edizione. Elia Viviani, campione olimpico. E Jakub Mareczko, che in Cina ha vinto più di 30 corse, quest’anno ha fatto centro per due volte e magari spera con un colpo di coda di trovare la giusta ispirazione per la prossima stagione, dopo il 2023 di pochissime corse con la Alpecin-Deceuninck (appena 32 giorni di gara).

Dopo 4 anni di buio

Mentre scrutiamo fra gli sguardi delle ragazzine che dalla balconata riprendono tutto con i cellulari, pensiamo a quel senso di festa clamorosa che fu in Italia il ritorno alle gare dopo i 4 mesi di lockdown. Loro si accorgono che le guardiamo: prima salutano, poi si nascondono emozionate. Il Guangxi Tour mancava da quattro anni, comprensibile che per il pubblico sia qualcosa da esaltare, alimentare con risate e foto.

«Sono super felice di essere qui – dice Wellens –  ho tanti bei ricordi. Il percorso è più duro di quando vinsi, c’è una tappa molto impegnativa, per cui conterà avere ancora buone gambe. E’ comunque una prova WorldTour, nessuno è venuto per non fare sul serio. Mi piace sempre viaggiare verso parti di mondo che normalmente non frequentiamo. E’ passato tanto tempo dall’ultima volta che si è corso da queste parti, sono certo che per i tifosi sarà molto bello»

Maglie da firmare per Viviani, accolto come una star
Maglie da firmare per Viviani, accolto come una star

Un giorno per volta

Gli hanno regalato dei fiori e una collanina, che osserva lentamente. Poi gli hanno portato un mucchio di maglie da firmare. Elia Viviani ce lo aveva detto in una delle ultime interviste: la squadra ha deciso che, vista la sua condizione, venire qui gli farà bene. E così, se da un lato avrebbe preferito mandare la bici in vacanza, il veronese sa di avere la gamba vincente (il successo in Croazia è ancora fresco) e cercherà di battere il ferro ancora caldo.

«Ho già corso in Cina, al Tour of Beijing dove vinsi due tappe – racconta lasciando dopo ogni frase il tempo per la traduzione – però mai da questa parte. Sono uno sprinter, quindi ho delle ambizioni prima di chiudere la stagione. Una vittoria di tappa sarebbe molto importante, abbiamo diverse chance e domani ci sarà la prima. Meglio andare avanti giorno per giorno. Ci sono strade larghe, quindi si arriverà alle volate a grande velocità, ma con buona sicurezza. Le motivazioni a questo punto della stagione sono importanti e la mia è vincere di nuovo. Essere qui con una corsa dopo quattro anni è strano, pensando a quello che hanno vissuto e che noi seguivamo attraverso i media. Per loro è stato tutto più lungo, ma adesso vogliamo che i fan si divertano».

Lionel Marie, primo da sinistra, guida la nazionale cinese al debutto WorldTour
Lionel Marie, primo da sinistra, guida la nazionale cinese al debutto WorldTour

Marie e la nazionale

Il tempo di sentire Mareczko che ha raccontato la sua voglia di vincere, perché ha vinto in tutta la Cina però mai al Tour of Guangxi e nel centro commerciale è entrata la nazionale cinese guidata da Lionel Marie. Il francese, 57 anni, racconta di aver avuto i primi contatti con la Cina 12 anni fa e più di recente di aver fondato la continental China GLory. Dice che i suoi ragazzi non sanno cosa significhi andare a 60 all’ora per due ore. Racconta che dopo quattro anni di Covid c’è da ricostruire da zero.

Qualcuno sogna di diventare professionista, ma senza fretta perché un alto livello da queste parti equivale a un medio livello europeo. Lavorano per i punti della qualificazione olimpica e dice che con i suoi parla in inglese, perché il cinese è troppo complicato. La stessa parola ha almeno quattro diversi significati, impossibile per lui. Non lo dica a noi che siamo qui da appena due giorni…

Due corridori… espulsi

Poi dal centro commerciale, salendo sul pullman che da ieri ci trasporta seguendo gli orari che ogni giorno arrivano su WeChat (che sostituisce Whatsapp), arriviamo all’hotel delle squadre. Si parla di conferenza stampa, in realtà è un evento organizzato da Giant per la Jayco-AlUla. Tutti i corridori seduti e poi di colpo in piedi per posare con i tifosi. Quindi domande, domande con premi e alla fine anche una sfida virtuale fra i corridori presenti. E’ festa grande, genuina e semplice. Ma l’ingenuità non tragga in inganno, irriderli porta a conseguenze pesanti. Se ne sono accorti Thijssen e Mikhels della Intermarché-Wanty messi fuori corsa per aver simulato gli occhi a mandorla in un video social. La rivolta sui social cinesi ha costretto la squadra a fermarli.

Domani comincia il Guangxi Tour, corsa di sei tappe che chiude la stagione 2023. L’arrivo della prima tappa è previsto per le 14,30 ora locale: le 8,30 in Italia. La vivremo con la curiosità della prima volta in Cina e raccontando dei suoi protagonisti. Sperando che la connessione in qualche modo anche stasera decida di funzionare. Sono le 18 adesso che chiudiamo il pezzo, ci sono due ore per cercare di metterlo nel sito.

Zanatta sicuro: Sagan fenomeno 10 anni prima di Remco

05.10.2023
9 min
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Come Evenepoel e forse anche meglio, ma dieci anni prima, Peter Sagan è stato l’esempio della carriera di un giovane fenomeno cresciuto con regole meno affrettate rispetto ad altri. Lo slovacco, che al Tour de Vendee di domenica scorsa ha disputato l’ultima gara da pro’, probabilmente non era consapevole di poter diventare così importante. Quando si è affacciato sul mondo del ciclismo professionistico, forse non sapeva neppure dove fosse.

Zanatta e Sagan, qui alla partenza del Tour 2013, hanno lavorato assieme sin dal passaggio di Peter nel 2010
Zanatta e Sagan, qui alla partenza del Tour 2013, hanno lavorato assieme sin dal passaggio di Peter nel 2010

Parola a Zanatta

Ciascuno di noi abbia avuto la fortuna di vivere Peter da vicino può raccontare aneddoti a non finire. Ma se c’è uno che l’ha visto arrivare e crescere e si è stupito per il portento, quello è Stefano Zanatta, che di giovani se ne intende e della Liquigas di allora era il direttore sportivo. Il trevigiano è a casa con una punta di influenza, ma non si sottrae al racconto.

«Peter arrivò come un fulmine a ciel sereno – racconta – lo prendemmo perché aveva fatto bene nel cross e poi nel 2008 aveva vinto i mondiali juniores di mountain bike in Val di Sole. Su strada sembrava quasi che non corresse, però cominciai a prendere informazioni. Venti giorni dopo quel mondiale, andò al Lunigiana e vinse l’ultima tappa. Allora chiesi se per tornare vero la Slovacchia sarebbe passato di qui. Mi dissero che sarebbe andato a una corsa in Istria e lì vinse due tappe e la classifica. La settimana dopo, ai mondiali di Varese, mi incontrai con il suo manager. Gli proposi di venire con noi, inizialmente fra i dilettanti, perché era un bel corridorino, ma non sembrava che avesse tutte queste potenzialità…».

In pista a Montichiari per lavorare sulla posizione. Sembra un bimbo al luna park
In pista a Montichiari per lavorare sulla posizione. Sembra un bimbo al luna park
Invece?

Arrivò al primo ritiro con gli under 23, eravamo a Cecina alla Buca del Gatto. Li seguiva Biagio Conte e Peter in teoria a casa non aveva la bici da strada. Gliela avevamo data tre giorni prima e dopo i primi due giorni andarono a fare distanza. C’erano Viviani e Cimolai, entrambi neoprofessionisti, che dovevano partire forte. Era gente che da noi vinceva le corse e tornarono dicendo che questo qui a un certo punto aveva accelerato e li aveva lasciati lì. Biagio era convinto che a casa si fosse allenato, così andai a chiederglielo, ma lui confermò di aver fatto solo un po’ di cross e di mountain bike e tante camminate in montagna. Così ci rendemmo conto che fosse uno fuori dal comune.

Basso raccontò che la sua molla erano le difficoltà economiche della famiglia.

Lui era forte, ma sicuramente viveva in un paese dove la situazione familiare era un po’ incerta. Aveva quattro fratelli e questi ragazzini si divertivano ad andare fuori in bicicletta. Quel primo anno, ero al Giro di Polonia e un giorno me lo vidi arrivare in hotel. Era a casa e si presentò la sera alle sei avendo fatto 100 chilometri per arrivare e altri 100 ne avrebbe fatti per tornare. Era venuto con suo fratello e due amici per vedere la tappa. Non conosceva il ciclismo, quello era uno dei primi contatti.

Prima vittoria da pro’ nel 2010: 3ª tappa della Parigi-Nizza ad Aurillac. Batte Rodriguez e Roche
Prima vittoria da pro’ nel 2010: 3ª tappa della Parigi-Nizza ad Aurillac. Batte Rodriguez e Roche
In che senso non lo conosceva?

A parte il Tour e la Parigi-Roubaix, perché la nazionale l’aveva portato a fare la Roubaix juniores e lui era arrivato secondo, non sapeva nulla. Le altre corse gliele abbiamo insegnate noi. L’episodio al Tour Down Under del 2010 la dice lunga sul personaggio, anche se io non c’ero e il racconto di Dario Mariuzzo (uno dei tecnici della Liquigas, ndr) è da sbellicarsi dalle risate.

Cosa successe?

Il secondo giorno finì a terra e si fece male a un gomito, con un grosso taglio provocato da una corona, per cui gli misero 20 punti. Non era il Peter brillante di adesso, quando parlava alzava appena gli occhi. Il dottor Magni lo portò in ospedale e rimase con lui per tre ore. E quando ne uscirono, Peter gli disse: «Domani, io start». Magni cercava di farlo ragionare, dicendogli di dormirci sopra e il giorno dopo avrebbero valutato. Ma lui fu irremovibile: «Dottore, io domani start». E infatti ripartì e dopo tre giorni andò in fuga con Armstrong, Valverde e Cadel Evans. Tirò alla pari per tutto il tempo. E quando gli chiedemmo perché mai lo avesse fatto, visto il livello degli avversari, rispose: «Perché ero in fuga e chi va in fuga deve tirare». Era tutto da costruire, anche quando cominciammo a spiegargli che la Parigi-Nizza non era la Coppi e Bartali e ci sembrava strano dirglielo…

L’amicizia con Oss non si discute: qui dominano il Giro del Veneto 2010 e vince il trentino
L’amicizia con Oss non si discute: qui dominano il Giro del Veneto 2010 e vince il trentino
Però intanto alla Parigi-Nizza lo portaste e lui vinse la prima corsa da pro’…

In Francia ci andavamo tutti gli anni dal 2005 e avevamo vinto una sola tappa con Pellizotti, arriva questo e ne vince due: capite perché eravamo sorpresi? A quel punto cominciammo a tutelarci perché non ce lo portassero via e insieme pensammo a come fare per farlo crescere gradualmente. Ci eravamo resi conto che poteva veramente andare tanto in alto: la fortuna di avere una squadra forte alle spalle, gli avrebbe permesso di lavorare con calma. Altrimenti già quell’anno avremmo avuto la tentazione di portarlo alla Sanremo. Invece avevamo la squadra fatta per Bennati e a lui dicemmo che semmai l’avrebbe corsa l’anno dopo.

E’ stato difficile gestirlo così? Oggi si tende a buttarli subito dentro…

A noi sembrava logico fare così, perché la scuola che ho avuto era questa. Farli crescere un po’ alla volta, mentre adesso le teorie sono un po’ cambiate e quindi magari qualcuno preferisce avere tutto subito. Non so se sia meglio o peggio, dico che quella era la logica del momento: seguimmo lo stesso metodo di lavoro usato con Vincenzo (Nibali, ndr). Cioè portare i giovani a fare corse buone dove potessero esprimersi. Che senso aveva portarlo alla Sanremo perché tirasse per il Benna?

Nel 2010 aveva 20 anni tondi, ma non ha mai avuto le dichiarazioni altisonanti di Evenepoel…

Peter non ha mai avuto la mania, tra virgolette, di pensare di essere il più forte. Però ha sempre corso per vincere e il suo fisico gli permetteva di farlo, anche se gli allenamenti non erano perfetti e mangiava di tutto. Bastava che buttasse dentro, secondo lui il cibo era cibo. Poi ha cominciato a capire che ci sono delle regole, ma in quegli anni mi diceva che poteva vincere anche se mangiava solo una brioche. Era vero, ma non si potevano riscrivere le regole dell’allenamento perché lui era un’eccezione.

Si rendeva conto di essere così forte?

Secondo me nei primi anni no. Almeno fino al 2014, quando è andato via e ha cominciato a capire la gestione delle corse per spendere meno energie. Lui andava. Gli bastava salire in bici, pedalare, stare davanti e fare bagarre quando c’era da lottare. Non ti chiedeva mai quale fosse il punto giusto per attaccare, anche se ascoltava molto quello che gli consigliavamo.

Giocava anche nelle famose tappe del Tour vinte con un pizzico di… arroganza?

Quell’anno, era il 2012, si divertiva tanto. Andava veramente forte, ma è un fatto che dopo quella prima Parigi-Nizza ci dicemmo con gli altri tecnici che non avremmo più dovuto pensare di andare alle corse come facevamo prima. Bisognava cambiare modo di approccio alle gare e la disposizione in corsa. Perché Sagan ha portato la possibilità di fare nel ciclismo quello che nessuno aveva immaginato. Peter era avanti a tutti per il suo modo di pensare e di fare. Lo dicevamo nelle riunioni con Scirea, Volpi e Mariuzzo: «Ragazzi, non pensate di ragionare con Peter come per gli altri». Non aveva limiti. Per come andava in salita, avrebbe potuto vincere anche le corse a tappe più leggere, però mentalmente non riusciva a stare troppi giorni concentrato.

Peter ha sempre voluto attorno un gruppo solido di amici, da Oss a Viviani, Da Dalto e gli altri di quella Liquigas.

Quando è arrivato, non parlava tanto, magari per la lingua. Era più riservato, più cupo, ti guardava un po’ così. Invece dopo un po’ ha scoperto di far parte di un bel gruppo. Ha avuto un ottimo rapporto anche con Da Dalto, che nei primi anni lo andava a prendere, lo aiutava a fargli trovare i posti dove fare la spesa. L’ha fatto vivere come uno del posto. Poi con ragazzi come Oss e Viviani ha tirato fuori il suo spirito goliardico ed è nato il Peter che tutti conosciamo. Uno che in allenamento non stava mai fermo, era sempre fuori dalla sella anche quando facevamo 150 chilometri ed era sempre lì a fare scherzi e toccarli. Forse all’inizio si è sentito un po’ isolato in una squadra di italiani, quando poi è arrivato anche suo fratello, si è sciolto.

Ti è dispiaciuto che quel gruppo si sia sciolto?

Quando decise di andare via, mi aveva chiesto da gennaio se avessi piacere di andare con loro, seguendo il suo gruppo. Io però non me la sentii, perché comunque era la Liquigas e avevo un ottimo rapporto Roberto Amadio. Insomma, a gennaio non avrei mai pensato che ci lasciassero per strada, per cui ci siamo salutati come si fece con Vincenzo e con tanti altri. Peter ha fatto la sua strada e la mia indole non è mai stata quella di seguire un atleta, anche se a lui ero molto legato. E’ il corridore che sono andato a prendere quando aveva 18 anni e che è diventato grande davvero. Però è rimasto un ottimo rapporto. Se c’è qualcosa, risponde subito.

Quando ti sei accorto che la sua stella si stava offuscando, fermo restando che ha fatto 13 anni da pro’?

Non pensavo che avrebbe fatto una carriera così lunga. Uno che corre come lui anche per divertirsi, a un certo punto non trova più gli stimoli. Invece lui è stato bravo a tener ancora bene, a parte questi ultimi due anni. Il suo modo di correre è stato dispendioso, bisogna fare sempre più sacrifici e intanto arrivano i giovani. Dopo dieci anni di carriera, ti ritrovi in una situazione che non riconosci più. Secondo me, Peter ha smesso di divertirsi dopo il terzo mondiale consecutivo, quando arrivava uno e gli chiedeva una cosa, arrivava un altro e gliene chiedeva un’altra. E a quel punto ha un po’ mollato. Fisicamente ne aveva ancora far bene, però non era più Peter con la cattiveria di prima.

Viviani ha ancora fame: prima di Parigi, vuole il Giro

27.09.2023
7 min
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La vittoria è tornata un anno dopo. L’ultima volta per Elia Viviani era stata ugualmente alla CRO Race, sul traguardo di Zagabria nel 2022. Nel mezzo, una stagione da 55 giorni di corsa (più la pista), che hanno dipinto del veronese un ritratto di luci e ombre, a metà fra l’ambizione che resta alta e la necessità di incastrarsi in un programma che non sempre ha avuto la forma da lui desiderata.

Il 7 febbraio, le candeline sulla torta sono state 34 e per la prima volta Viviani ha festeggiato il compleanno da uomo sposato. Tutto nella sua storia di uomo e di atleta fa pensare a una dimensione ormai stabile, con il prossimo obiettivo olimpico al centro di una carriera che di medaglie olimpiche ne ha già due, accanto alle 88 vittorie su strada. Eppure la sensazione è che nei suoi occhi ci sia ancora l’inquietudine di chi ha altro da dimostrare.

Ieri a Sinj, prima tappa della CRO Race, Viviani ha vinto la prima del 2023. Non esultava dalla CRO Race 2022
Ieri alla CRO Race, Viviani ha vinto la prima del 2023. Non esultava dalla stessa corsa del 2022
Partiamo da ieri, che effetto fa vincere dopo un anno di digiuno? 

Quando vinci a settembre, un po’ di paura di passare l’anno a digiuno ti viene. Sapevo che era un buon periodo, perché guardando indietro dopo qualche anno sono tornato competitivo ad Amburgo e Plouay. Insomma, erano segnali sul fatto di essere in condizione e competitivo con gli altri. Questo era già un bel punto per me, con il programma di fine stagione che potrebbe permettermi di risollevare il bilancio. Adesso c’è il Croazia e mi hanno aggiunto il Gree-Tour of Guanxi, in Cina, perché evidentemente la squadra vede delle possibilità per me.

Neppure quest’anno hai corso un grande Giro: in qualche misura questo ha inciso sulle prestazioni e sui risultati?

Sono due anni che non ne faccio, un po’ conta. Al Giro, Cavendish ha dimostrato di aver saputo vincere una tappa e per giunta quella di Roma. Saltare una grande corsa a tappe ti fa mancare qualcosa a livello fisico, ma ti toglie anche delle belle occasioni, che i corridori con qualche anno di corsa nelle gambe riescono a cogliere. Le cose sono due. Può esserci un dominatore e allora le vince tutte lui. Oppure c’è il momento in cui le volate non sono più così caotiche e i corridoi che le fanno sono quei 4-5 che sono arrivati in fondo e quelle diventano occasioni per centrare vittorie prestigiose.

Ai mondiali hai detto di voler fare più corse in pista. Questo significa che nel 2024 la strada sarà in secondo piano?

Il punto di quello che ho detto al mondiale riguardava il fatto tattico. Mi sono reso conto che faccio tanti errori nelle prove di gruppo. E’ vero che con le gambe puoi raddrizzare un buon omnium nella corsa a punti finale. Però è vero che se lasci troppi punti per strada, puoi lottare per una medaglia arrivando da dietro. Oppure, come è successo a me quest’anno, magari non la prendi. Quindi non si tratta di un fatto di preparazione, perché ormai abbiamo un buon sistema per arrivare pronti alle gare. Invece devo correre per leggere meglio i movimenti, gli attacchi, questi aspetti qua.

Glasgow, mondiali pista. Viviani si avvia al bronzo dell’eliminazione: la bici gliela porta Bettiol
Glasgow, mondiali pista. Viviani si avvia al bronzo dell’eliminazione: la bici gliela porta Bettiol
Andranno bene le Sei Giorni?

No, in realtà. Le Sei Giorni danno la gamba, ma si fanno prove diverse. Devo correre degli omnium, per cui stiamo guardando qualche gara di Classe 1, come quella di Grenchen a dicembre. E poi probabilmente nell’anno olimpico, per me sarà meglio fare tutte le Coppe del mondo e le gare di livello per arrivare bene a Parigi. L’obiettivo è arrivare pronto per la stagione su strada e quella su pista, fra marzo e aprile.

Ti aspetta un inverno molto intenso?

Finendo tardi e con la previsione di cominciare presto, l’inverno passa veloce. Torno dalla Cina il 18 ottobre. Probabilmente ridurrò lo stacco, perché ho visto che con gli anni le quattro settimane cominciano a essere troppe da ricostruire. Per cui ne farò due senza far niente, ma già nella terza qualcosina riprenderò. Quindi sarà un inverno corto, mettiamola così.

Sfogliando l’album delle tue foto, ultimamente sono più quelle in maglia azzurra che in maglia Ineos: come mai?

La verità è che anche agli europei, c’è stato un gruppo che ha girato bene. Tra le nazionali di pista e strada riesco sempre a dare qualcosa in più, a trovare me stesso. Qualcuno dice anche che essere andato all’europeo mi ha permesso di vincere subito qua al Croazia. Forse è vero. Vestire la maglia azzurra è speciale e quando non si portano risultati, anche se hai corso bene come domenica, ci rimaniamo male anche noi. La maglia azzurra è sempre stata qualcosa di speciale per me, una seconda squadra. Quando ho bisogno di correre, come è successo al Matteotti, so che posso chiamare e loro sono pronti. Questo per me è una certezza.

Agli europei di Drenthe, per spiegazione di Bennati, Viviani ha corso come riferimento per Ganna
Agli europei di Drenthe, per spiegazione di Bennati, Viviani ha corso come riferimento per Ganna
Sei stato con Villa l’artefice del rilancio della pista, sei andato agli europei per supportare Ganna. ti senti un po’ il… papà del gruppo azzurro?

Un po’ sì. Ho visto ragazzi con cui durante la stagione non ho tanto a che fare, come Mozzato e Sobrero, che apprezzavano che io fossi lì. Abbiamo parlato tanto: della stagione, di qualche gara, di diversi aspetti. Non solo Pippo, che è come un fratello, ma anche gli altri. Mi ha fatto piacere vedere che erano contenti, che in quei tre giorni di ritiro hanno cercato di prendere qualcosa da me. E’ bello essere un punto di riferimento, far capire cosa vuol dire vestire la maglia azzurra ed essere tutti per uno. Perché comunque per essere convocato fai dei risultati, quindi è normale che l’ambizione personale ce l’abbiamo tutti. Eppure in quei giorni tutti devono essere a disposizione di uno o due. Ovvio che non sia facile, quindi è una cosa che mi rende orgoglioso.

I giovani ascoltano?

Non sono così rari quelli che lo fanno, ma non sono neanche tanti. Alcuni arrivano e sono loro a spiegarti come vanno le cose. Non ricevono molto, forse non gli interessa. Invece ci sono delle eccezioni e mi fa piacere vederle anche in squadra. Tarling ad esempio è uno di quelli curiosi, vuole imparare, è un bambinone. Ad altri non interessa.

Hai parlato delle tue ambizioni. Dopo gli anni d’oro alla Quick Step alla Cofidis non ha funzionato e sembra che tu le abbia riposte da qualche parte. Non vorresti più un Morkov a tirarti le volate?

Ho provato a prendere Morkov fino a pochi giorni fa, l’ambizione c’è assolutamente. La questione è che è tutta una catena. Vincere fa ritrovare confidenza a me, ma fa anche capire al team e ai corridori che sono con me che valgo ancora un aiuto. Vincere significa che so ancora fare il mio e questo porta ad aumentare gli obiettivi. Se il prossimo anno parto dall’Australia, dalla corsa di Cadel Evans che per me è sempre stata una bella gara, potrei già avere un cerchiolino rosso a inizio stagione. E da lì, è tutta una catena che ti porta a puntare più in alto. Come Amburgo…

Sui social, Viviani ha commentato il tanto tempo dall’ultima vittoria. Intanto è salito a quota 88
Sui social, Viviani ha commentato il tanto tempo dall’ultima vittoria. Intanto è salito a quota 88
Non ti ha stupito?

Per tanti è stata una sorpresa, ma non per me. Per me Amburgo era un obiettivo, così pure Plouay, che mi sono sempre piaciute. Plouay era un po’ proibitiva con 4.000 metri di dislivello, eppure sono arrivato nei dieci. E’ stato un segnale. Quindi le ambizioni ci sono e sono alte. Devo essere sicuro di avere un buon programma. Vorrei assolutamente essere al Giro d’Italia, per me è importante anche per Parigi. Prima delle Olimpiadi ho sempre fatto il Giro e so che è qualcosa in più a livello fisico. Ma non lo farei solo per Parigi, ma anche perché mi manca correre una corsa a tappe di tre settimane, sia fisicamente che come ambizione. Vincere al Giro sarebbe qualcosa di più speciale ancora.

Forse in questa nuova Ineos, che non si capisce quale mercato stia facendo, potrebbero aprirsi un po’ di spazi anche per il velocista al Giro, no?

Sicuramente la Ineos Grenadiers è in un momento di costruzione e il lavoro è incentrato sul cercare l’uomo che vince il Tour. L’obiettivo rimane quello di qualche anno fa, quindi andare al Tour con i migliori e provare a vincere. Riuscirci è una questione abbastanza complicata, per cui se si decide di andare in Francia con tutti i più forti, al Giro più che alla Vuelta ci sarà spazio per il velocista. In Spagna si va con il pieno di scalatori per correre ai ripari. Sì, sono convinto, il Giro per me sarebbe l’opportunità migliore.

L’Italia a Drenthe con Ganna capitano e Trentin in agguato

21.09.2023
5 min
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Ganna, Affini, Trentin, Viviani, Mozzato, Pasqualon, Sobrero, Cattaneo. Questi gli azzurri di Bennati per gli europei di Drenthe, con gli ultimi due che ieri hanno corso la crono individuale e nel pomeriggio di oggi correranno il Team Mixed Relay con l’aggiunta di Affini (Guazzini, Longo Borghini e Cecchini fra le donne). Per il resto, la spedizione azzurra in Olanda ruoterà attorno a Filippo Ganna e semmai a Trentin, qualora la corsa si rompesse in modo imprevedibile.

Il cittì aretino ne è piuttosto sicuro e lo conferma in questa chiacchierata svolta alla vigilia della partenza degli azzurri, ragionando di uomini e del percorso che in apparenza dice poco, ma propone le sei scalate al Col du Vam, che non si può mai sapere…

Bennati certo: se il percorso di Drenthe fosse davvero veloce, avrebbe puntato su Dainese
Bennati certo: se il percorso di Drenthe fosse davvero veloce, avrebbe puntato su Dainese
Ti ha convinto il Ganna che si è buttato nelle volate della Vuelta o quello del Wallonie?

Diciamo che se in questo europeo si dovesse arrivare in volata, non sarà come gli sprint che Ganna ha fatto alla Vuelta. Però si può dire che quelli sono stati propedeutici in termini di preparazione. Non sarà una volata classica, anche perché se avessi pensato a un finale del genere, avrei portato un velocista puro come Alberto Dainese.

C’è Viviani, no?

La presenza di Elia potrebbe far pensare che possa essere un’alternativa. In realtà, l’idea che mi sono fatto io è che in questa occasione la sua convocazione sia più orientata a un discorso di squadra, di armonia del gruppo, perché tutto giri nel migliore dei modi attorno a Pippo. Sappiamo benissimo che uno dei motivi per cui Elia è tornato alla Ineos è proprio il suo rapporto speciale con Ganna, per cui in questo europeo avrà il compito di fare il regista, l’uomo squadra.

Viviani sarà il regista in corsa e con Pasqualon sarà il punto di appoggio di Ganna
Viviani sarà il regista in corsa e con Pasqualon sarà il punto di appoggio di Ganna
Questo fa sì che Trentin potrà correre più liberamente?

Di sicuro avere accanto Viviani gli toglie questo ruolo, per cui Matteo potrà concentrarsi esclusivamente per il finale. Quindi certamente avrà più libertà.

Ti aspettavi un Ganna così brillante, al punto da costruirgli attorno a squadra per gli europei?

Sì, assolutamente. Ne abbiamo parlato tante volte, io sono sempre stato convinto che su strada possa fare grandi cose. Non lo dico io, l’ha dimostrato alla Sanremo facendo una prova veramente superlativa. Poi ad agosto è riuscito anche a vincere una volata al Wallonie. Ha dimostrato più volte che lo spunto veloce non gli manca, ma è chiaro che non è un velocista. Ha però una progressione così potente, che in una corsa impegnativa può diventare molto veloce.

Trentin non sarà più regista in corsa e nel finale potrà giocare le sue carte
Trentin non sarà più regista in corsa e nel finale potrà giocare le sue carte
Pensi che l’europeo verrà duro?

Se guardiamo l’altimetria, fa quasi ridere. Però con questo Col du Vam fatto per sei volte con strade molto strette, in un ciclismo in cui si va sempre a tutta dal chilometro zero fino all’arrivo, non mi aspetto una gara di attendismo. Quindi considerando che il chilometraggio non è proibitivo, si correrà da subito sicuramente pancia a terra e non credo che corridori come Van Aert, De Lie e anche Pedersen avranno paura ad aprire la corsa da lontano.

Anche i nostri sono veloci, ma anche capaci di entrare nelle azioni che dovessero crearsi…

Diciamo che la squadra l’ho costruita anche in base a questo. E’ una squadra che ha esperienza. Mozzato è il più giovane, ieri ha corso l’Omloop van het Houtland. E’ abituato a correre in Belgio, è abituato a limare, quindi non ha paura di stare davanti e si integra molto bene con gli altri. Sobrero ha fatto la Vuelta e come lui anche Cattaneo, per questo hanno fatto la crono. Soprattutto è gente che non ha paura di prendere aria e sanno limare molto bene.

Cattaneo, come pure Sobrero, esce dalla Vuelta e ieri entrambi hanno corso la crono. Cattaneo 5° a 1’13” da Tarling, Sobrero 20° a 2’14”
Cattaneo, come pure Sobrero, esce dalla Vuelta e ieri entrambi hanno corso la crono. Cattaneo 5° a 1’13” da Tarling, Sobrero 20° a 2’14”
Nella tua testa, casomai si arrivasse in volata vedi tutti per Ganna?

Bisogna sicuramente valutare in base a che tipo di gara verrà fuori. Sicuramente in un arrivo del genere, con la condizione che ha, Filippo può starci molto bene. Parliamoci chiaro, è difficile fare un treno perché le strade sono strette. Quindi la nostra forza deve essere sicuramente la superiorità numerica. Resto convinto che sia un arrivo di tante gambe e alla fine saranno quelle a decidere.

Il treno è difficile, ma Viviani può tirare la volata a Ganna?

Sarebbe auspicabile, però deve arrivare in fondo a farlo. Più che tirargliela, la cosa più importante è l’approccio alla volata. Bisogna entrare veramente nelle primissime posizioni. E poi non è detto che si chiuda in volata. Potremmo addirittura provare a fare un’azione con Matteo e Filippo, quindi davvero saranno le gambe a dettare la legge.

Avete già pedalato sul percorso?

Lo faremo venerdì tra la gara degli under 23 e quella delle U23 donne del pomeriggio. Prima di allora c’è poco altro da dire.

Grenoble, la politica e il ritorno della Tre Giorni

29.08.2023
5 min
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Alla fine di novembre 2022 sembrava che il destino del velodromo di Grenoble fosse segnato. Il sindaco verde della città lo avrebbe smantellato, in barba alla sua lunga storia. L’impianto, costruito per le Olimpiadi Invernali del 1968, è stato teatro di spettacolari Sei Giorni (in apertura, foto Le Dauphinée Libere). Ma mentre quelle del Nord Europa sono da sempre caratterizzate da un livello tecnico e agonistico elevatissimo, la Sei Giorni francese era un vero show. Lo ricordano Paolo Bettini, Silvio Martinello, Marco Villa e tutti i campioni che su quella pista di legno hanno avuto occasione di correre. E lo ricorda bene anche Pierangelo Bincoletto, che a Grenoble vive ormai da anni e di quel velodromo era diventato la bandiera.

«Il sindaco di Grenoble – racconta – aveva deciso di effettivamente di smontare la pista per costruire dei gradini che trasformassero il Palazzo in un’arena per fare spettacoli. Solo che lì dentro il suono e l’audio non sono ottimali, perché era stato studiato per lo sport. Alle Olimpiadi Invernali del 1968, ci fecero il pattinaggio artistico e l’hockey su ghiaccio. Poi dal 1971 ci fu installata dentro la pista e si cominciò a farci le Sei giorni. E le Sei Giorni andavano piuttosto bene…».

Bincoletto ancora oggi è presidente di un’associazione sportiva: è il primo un basso a destra (foto Le Dauphinée Libere)
Bincoletto ancora oggi è presidente di un’associazione sportiva: è il primo un basso a destra (foto Le Dauphinée Libere)

Il Taxi delle Sei Giorni

Bincoletto è stato per anni il “Taxi” delle Sei Giorni: il pistard esperto cui venivano affidati gli stradisti più celebri che decidevano di cimentarsi in quelle settimane ad alti giri che si corrono di notte. Nato a Oderzo nel 1959, il trevigiano passò professionista nel 1980 e dall’anno dopo e fino 1997 ha passato l’inverno nel mondo delle Sei Giorni.

A Grenoble ne ha fatte dieci e in quel periodo nel velodromo ci si poteva anche allenare. Per questo nel 1985 si trasferì nella cittadina francese, anche perché il velodromo coperto di Milano era crollato per neve e il Belpaese perse per molti anni un impianto coperto. E in Francia rimase, avendo nel frattempo incontrato una ragazza che sarebbe diventata sua moglie.

Nel 2006 anche Paolo Bettini, iridato a Salisburgo, corse con Villa la Sei Giorni di Grenoble (foto Le Dauphinée Libere)
Nel 2006 anche Paolo Bettini, iridato a Salisburgo, corse con Villa la Sei Giorni di Grenoble (foto Le Dauphinée Libere)
Perché smantellarlo?

Sono quasi otto anni che nel Palazzo dello Sport non si fanno più Sei Giorni. Il sindaco di Grenoble si chiama Eric Piolle ed è un verde accanito e ha cominciato a tagliare le sovvenzioni per la manifestazione, puntando a realizzare piste ciclabili e a chiudere il centro al traffico. In realtà la Sei Giorni non inquina, ma lui ha risposto che i contributi che dava all’associazione che organizzava le attività di animazione del Palazzo dello sport erano troppo alte per la città. E così si sono fermate tutte le attività.

Tu eri coinvolto in qualche modo della gestione del velodromo?

No, io sono presidente di un’associazione sportiva che raggruppa dei club, e facciamo attività in un velodromo scoperto che si chiama Albert Fontaine. Quindi il ciclismo su pista continua, ma non ci è permesso di usare la pista coperta. A un certo punto abbiamo avviato una trattativa e il Comune ce lo avrebbe concesso per 35.000 euro all’anno, da ottobre a febbraio, ma senza riscaldamento, senza acqua calda, senza luci. Saremmo arrivati a 70.000 euro. Ci abbiamo provato. Lo abbiamo tenuto per una stagione, poi abbiamo capito che non avremmo ricevuto altri contributi e abbiamo mollato la presa. Finché a novembre scorso su Le Dauphinée Libere è uscita la notizia della demolizione. Che si è scoperta essere in realtà una manovra politica.

Bincoletto, qui ai mondiali pista del 1982, è stato pro’ dal 1980 al 1996
Bincoletto, qui ai mondiali pista del 1982, è stato pro’ dal 1980 al 1996
In che senso?

Sul momento c’è stata una mobilitazione di noi del ciclismo, anche perché non ne avevamo mai sentito parlare. Poi ci siamo resi conto che fosse una boutade, un sasso nello stagno per provocare delle onde e capire se a qualcuno interessasse fare qualcosa.

E il sindaco?

Non ha detto una parola, finché una settimana dopo è arrivato il salvatore della patria. Infatti sullo stesso giornale è uscito in prima pagina che un certo Guy Chanal avrebbe salvato il velodromo e la Sei Giorni, che però nel 2023 sarà una Tre Giorni, fra ottobre e novembre.

Dici che è stata tutta una manovra pubblicitaria?

Questo signore aveva già tenuto il velodromo per quasi vent’anni, era il presidente di un’associazione che 150 mila euro all’anno di sovvenzioni per organizzare la Sei Giorni, nel periodo in cui oltre alle bici nel Palazzo di svolgeva la gara di motocross. Quando il sindaco Piolle ha tagliato i fondi e si è parlato di demolizione, lui è arrivato come il salvatore della baracca, affittando la pista per i tre giorni necessari alla manifestazione.

Il Palazzo dello Sport di Grenoble fu costruito per le Olimpiadi Invernali del 1968 e ospitava le gare su ghiaccio
Il Palazzo dello Sport di Grenoble fu costruito per le Olimpiadi Invernali del 1968 e ospitava le gare su ghiaccio
Quindi ci sarà la Tre Giorni di Grenoble?

E a quanto si è capito, non sarà lo show di una volta, ma coinvolgerà specialisti di gran nome e che andranno alle Olimpiadi. Gente del calibro di Viviani, per intenderci.

Quindi riassumendo?

Il problema era solo politico. Lo sport purtroppo è gestito dalla politica. Essendo presidente di una società sportiva, ho partecipato a riunioni con il sindaco Piolle e ho capito come funzionano certe cose. Non è solo un problema italiano, insomma, e da trevigiano sono curioso di vedere come andrà col velodromo di Spresiamo.