KUALA LUMPUR (Malesia) – Fare dieci stagioni in un team non è cosa comune nel ciclismo attuale.Ed è quello che Alberto Bettiol ha fatto con la EF Education-Easypost, prima di passare all’Astana-Qazaqstan a metà agosto. Un passaggio rapido, che ha stupito molti.
E’ chiaro che le motivazioni economiche e la brama di punti da parte del team kazako abbiano inciso non poco in questo passaggio di maglia ad effetto immediato, ma ci sono anche gli aspetti motivazionali, di cui ci parlò Bettiol, il quale rimarcò il fatto che alla EF non si trovava affatto male.
Stavolta però abbiamo analizzato anche il punto di vista opposto, quello della sua ex squadra. E lo abbiamo fatto con il il direttore sportivo Tejay Van Garderen. Un diesse giovane, classe 1988, che con Bettiol ha condiviso un bel pezzetto della sua carriera.
Tejay Van Garderen durante una riunione con i suoi ragazzi al Tour de LangkawiTejay Van Garderen durante una riunione con i suoi ragazzi al Tour de Langkawi
Tejay, secondo te cosa lo ha spinto a lasciare la squadra?
Onestamente sono rimasto piuttosto sorpreso. Voglio dire, ho corso con lui e sono stato anche suo compagno di squadra alla Bmc in quella stagione 2018 e da tre anni avevo il piacere di dirigerlo. Dunque quando ho sentito la notizia sono rimasto un po’ così. Non sapevo…
L’Astana si sta muovendo molto sul mercato: vuole restare nel WorldTour…
Sinceramente questo è qualcosa di cui non mi occupo molto. E’ più un aspetto che riguarda Jonathan (Vaughters, il team manager della EF, ndr), l’Astana e Bettiol. Immagino che Alberto abbia fatto ciò che è meglio per lui. E Jonathan ha fatto ciò che è meglio per la squadra.
Cosa ha rappresentato per la tua squadra Bettiol?
Apprezzeremo sempre i risultati che ha portato al team, l’esperienza e la leadership che ha portato agli altri ragazzi e per questo gli auguriamo solo il meglio dove andrà.
Bettiol ha ottenuto 8 vittorie in carriera e tutte nel gruppo di Vaughters, l’ultima il tricolore lo scorso giugnoBettiol ha ottenuto 8 vittorie in carriera e tutte nel gruppo di Vaughters, l’ultima il tricolore lo scorso giugno
E per te, visto che ci hai corso anche insieme?
E’ un grande campione, quel Giro delle Fiandre tutti lo ricordano, ma come compagno di squadra, è sempre stato il migliore che si potesse chiedere. Era sempre felice ed era bello lavorare per lui. Per me era un ottimo regista, qualcuno a cui potevi chiedere consiglio perché sapeva vedere la gara e a capire come sarebbe andata. Insomma tatticamente è molto intelligente…
In corsa si faceva sentire?
Da direttore sportivo sapevo di poter sempre fare affidamento su di lui, anche solo nella stanza per fargli delle domande o nelle riunioni del team. Sapevo che Alberto avrebbe parlato ed esposto la sua prospettiva. Era una sorta di coperta di sicurezza.
Quindi avevate un buon rapporto anche come direttore e corridore?
Assolutamente sì. Un buon rapporto, come detto, sia come compagni di squadra che come diesse e atleta. Quando correvamo insieme ci si poteva prendere semplicemente un bicchiere di vino da buoni amici… Cosa che farò anche adesso che è in una squadra diversa!
Oltre ad Asgreen (contratto di un anno), uno dei sostituti di Bettiol potrebbe essere Battistella (in foto) in una sorta di scambio tra EF e AstanaOltre ad Asgreen (contratto di un anno), uno dei sostituti di Bettiol potrebbe essere Battistella (in foto) in una sorta di scambio tra EF e Astana
Cosa succede adesso quando lo vedi con un’altra maglia?
E’ già successo in Canada. Un giorno mi sono seduto al suo tavolo da pranzo. Alberto era con il resto dei suoi compagni di squadra. Volevo salutarlo, alla fine dopo che se ne era andato non ci eravamo visti e volevo, come dire: recuperare il ritardo. Volevo dargli un abbraccio e dirgli che alla fine non c’era niente di strano. Che era semplicemente un business.
Chiaro…
Fa parte del lavoro. Tante persone, atleti, direttori, staff, hanno cambiato squadra o si sono ritirate, ma siamo rimasti amici.
La EF Education ora prenderà un altro corridore come Bettiol?
Sì. Penso che proveremo a rafforzare la nostra squadra per le classiche. Come ho detto prima riguardo a certe questioni, non so tutto. Io non ho a che fare con i contratti, ci pensa Vaughters. Il mio lavoro è dirigere i corridori, ma immagino che a breve uscirà qualche news.
POC ha da poco presentato il suo nuovissimo casco da strada top di gamma, il Cytal Carbon, che si propone come pioniere di un nuovo approccio alla sicurezza, all’aerodinamica e alla ventilazione. Tutto questo grazie ad un’ala in carbonio realizzata a mano in Italia, integrata perfettamente nella calotta. Quest’innovazione ha permesso agli sviluppatori del brand svedese di realizzare un casco più aperto nella parte anteriore. Sono migliorate in un colpo solo l’ingresso dell’aria nel casco, la resistenza agli urti e le prestazioni in galleria del vento.
«Con il Cytal Carbon – dice Oscar Huss, Chief Product Officer di POC – ci siamo chiesti come potessimo sfruttare le nostre conoscenze nello sviluppo di caschi da strada ad alte prestazioni. L’obiettivo era di portarle a un altro livello. Abbiamo sfidato il pensiero convenzionale, utilizzando materiali unici e sviluppando nuove forme: E alla fine abbiamo trovato una risposta creando un casco nuovo di zecca e integrando un’ala in carbonio realizzata a mano in Italia. E siamo estremamente soddisfatti del risultato».
Andiamo quindi a scoprire nel dettaglio gli aspetti più importanti del Cytal Carbon.
Bene l’aerodinamica, ma il nuovo Cytal Carbon raggiunge anche alti standard di sicurezzaLa presenza della lama in carbonio ha consentito di aumentare la dimensione delle prese d’aria frontaliBene l’aerodinamica, ma il nuovo Cytal Carbon raggiunge anche alti standard di sicurezzaLa presenza della lama in carbonio ha consentito di aumentare la dimensione delle prese d’aria frontali
Ventilazione e aerodinamica totali
Il segreto del Cytal Carbon è appunto quest’ala in carbonio, ispirata a quella delle auto da corsa. E’ stata costruita con forma e spessore variabili per aumentare la velocità dell’aria e migliorare così il raffreddamento del casco. Il suo design unito alla resistenza del carbonio ha consentito anche di aumentare la dimensione delle prese d’aria frontali. Questo, in combinazione con i canali interni che guidano il flusso d’aria, ne fa – a detta di POC – il casco più ventilato che l’azienda abbia mai realizzato.
Per quanto riguarda l’aerodinamica, Cytal Carbon è stato sottoposto ad un grande numero di test. Parliamo sia in simulazioni CFD (fluidodinamica computazionale) che in galleria del vento. Poi la palla è passata ai corridori della EF Education-EasyPost che l’hanno provato a lungo prima di indossarlo al Tour de France 2024. In apertura, Alberto Bettiol, mentre Carapaz lo indossava nel giorno in cui a Torino ha conquistato la maglia gialla.
Anche qui, comunque, il punto forte sono state le generose prese d’aria frontali che l’adozione dell’ala in carbonio ha permesso di realizzare. Infatti le dimensioni e gli angoli delle prese d’aria catturano e conducono l’aria all’interno del casco anziché intorno ad esso. Si riducono così in modo significativo le turbolenze. Mentre si mantiene un flusso lineare anche al di fuori della calotta, migliorando in questo modo le prestazioni aerodinamiche.
Carapaz lo aveva in testa quando a Torino ha conquistato la maglia giallaCarapaz lo aveva in testa quando a Torino ha conquistato la maglia gialla
Sicurezza iper-testata
Abbiamo parlato di ventilazione e aerodinamica, ma la funzione principale di un casco resta pur sempre la sicurezza. In POC non si sono accontentati dei normali test di certificazione. Il Cytal Carbon è stato sottoposto anche a tutta una serie di test interni, che ormai costituiscono una guida fondamentale per l’azienda. Ed essi hanno ispirato anche un’altra miglioria in termini di resistenza agli urti. Tra le lamine di carbonio dell’ala è stata infatti inserita un’anima realizzata con tecnologia Koridion. Si migliora così la sicurezza gestendo e trasferendo le forze attraverso il casco, rafforzandone in questo modo l’integrità complessiva.
Per finire, nello sviluppo e nella progettazione del Cytal Carbon è stato utilizzato il Whole Helmet Concept™. Si tratta di un sistema che garantisce che il casco sia superiore alla somma delle sue parti. Tutti i dettagli del prodotto – la qualità e la forma dei materiali, la costruzione uni-corpo, le diverse zone di densità dell’EPS, le cinghie ergonomiche e il sistema di regolazione – lavorano insieme per garantire la massima qualità possibile.
Le dimensioni e gli angoli delle prese d’aria conducono l’aria all’interno del casco anziché intorno ad essoLa calotta superiore chiusa ha doppia funzione: aerodinamica e per aumentare la sicurezzaLe dimensioni e gli angoli delle prese d’aria conducono l’aria all’interno del casco anziché intorno ad essoLa calotta superiore chiusa ha doppia funzione: aerodinamica e per aumentare la sicurezza
Peso, prezzo e altri dettagli
Il nuovo Cytal Carbon è disponibile in due colorazioni, Hydrogen White e Uranium Black. Sono invece tre le taglie disponibili: S (50-56 cm), M (54-59 cm) e L (56-61cm).
Il peso in taglia M è di 250 grammi, mentre il prezzo consigliato al pubblico sul sito di POC è di 400euro. Ricordiamo che il distributore italiano di POC è Summit Sports.
NIZZA (Francia) – La faccia dolce ma niente affatto mite del Tour de France ha lo sguardo di Richard Carapaz, salito con orgoglio sul podio di Nizza per la maglia a pois, dopo aver calcato nel 2021 quello di Parigi alle spalle di Pogacar e Vingegaard. Non si può essere gente qualunque per frequentare certi posti. E così quest’anno per impedire a Pogacar di conquistare anche la classifica degli scalatori c’è voluto un campione olimpico, vincitore nella sua storia del Giro d’Italia e del Giro di Svizzera. E quando è sceso da quel gradino così bello, aveva gli occhi che scintillavano, come dopo aver vinto la tappa di Superdevoluy in quel giorno altrettanto scintillante.
«Tenere questa maglia – ha detto Carapaz dubito dopo – era diventato un puntiglio ed è ora motivo di orgoglio. La squadra ha fatto un ottimo lavoro per permettermi di entrare in ogni fuga. E’ un premio prestigioso. Tutti i corridori del mio Paese la sognano perché in Ecuador ci sono molte montagne. Essere il re della montagna al Tour de France significa molto per me».
La sua cocciutaggine e la determinazione nello sfuggire ogni giorno alla morsa feroce del UAE Team Emirates, risultando l’unico in grado di sfilare un osso dalla bocca del mastino in maglia gialla, gli sono valse il premio di Supercombattivo del Tour.
A Superdevoluy, la vittoria di tappa che finora mancava nel palmares di CarapazA Superdevoluy, la vittoria di tappa che finora mancava nel palmares di Carapaz
Qualcosa che mancava
Dopo la maglia gialla di Torino, ceduta con orgoglio sul Galibier, il giorno più bello è stato quello di Superdevoluy. In cima a quella salita a quota 1.500, dove non c’era neanche il fresco tonificante dell’alta quota, Richard ha coronato il sogno di alzare le braccia al cielo. Qualcosa che gli mancava e che in qualche modo gli ha permesso di regolare qualche conto in sospeso con la corsa francese.
«Tre anni fa sono salito sul podio – ha spiegato Carapaz – ma sentivo che mancava ancora qualcosa: dovevo provare a vincere una tappa. L’ho fatto e anche questo è molto speciale, è stata un’emozione molto potente. Lo senti sulla pelle che è la corsa più grande del mondo. Dopo la caduta al Giro di Svizzera, sapevo che non avrei potuto lottare per la generale. Nella prima settimana abbiamo provato a vedere in che modo avrei potuto inserirmi in quel discorso, ma è stato subito chiaro che non potevo continuare fino a Nizza. E allora abbiamo deciso di aspettare il momento giusto, cioè la terza settimana. Sapevo che avrei potuto fare la differenza in alcune tappe, come poi è successo».
Sabato verso il Col de la Couillole, con Powless a tirare: la conquista della maglia a pois ha richiesto una strategia ben precisaSabato verso il Col de la Couillole, con Powless a tirare: la maglia a pois ha richiesto una strategia ben precisa
Lavoro di squadra
L’idea di partenza non era questa, ma aver saputo riadattare le ambizioni e il battito del cuore ha fatto sì che il Tour nato male si sia trasformato forse nel più bello della sua carriera. Il ritiro dal Giro di Svizzera, nello stesso giorno in cui decise di non ripartire anche Alberto Bettiol dopo la caduta nella tappa del San Gottardo, non lasciava presagire niente di buono. Invece la squadra ha saputo gestire al meglio il suo avvicinamento.
Charly Wegelius, che lo ha guidato dall’ammiraglia, ha ammesso sorridendo che qualsiasi altro corridore fosse uscito così male dalla corsa svizzera, non sarebbe stato selezionato per il Tour. Eppure nessuno nella dirigenza della EF Education-EasyPost ha avuto dubbi nel concedere una chance a Richard. Di lui il capo Vaughters ha un’opinione singolare. Lo punzecchia spesso perché si impegni di più in allenamento e sfrutti meglio il suo talento. Ma Richard di fronte a queste battute sorride, annuisce e tira avanti.
«Tutti arrivano qui con la loro squadra migliore – spiega – i migliori corridori, il miglior staff e con la voglia di avere successo e noi siamo riusciti a portare a casa qualcosa di bello. La vittoria di tappa ha avuto un gusto speciale. La squadra è stata sempre in prima linea. Abbiamo parlato molto con i direttori sportivi nella riunione, sapevamo che sarebbe stata una giornata dura per il vento e il lavoro dei velocisti per la maglia verde. Non si poteva prendere vantaggio tanto presto nella tappa. Ma siamo stati intelligenti, abbiamo aspettato che le acque si calmassero e soprattutto abbiamo lavorato insieme».
Carapaz ha resistito alla voglia di Pogacar di prendere anche la maglia a pois: complimenti reciproci al Col de la CouilloleCarapaz ha resistito alla voglia di Pogacar di prendere anche la maglia a pois: complimenti reciproci al Col de la Couillole
La corsa nella corsa
Sabato, come pure il giorno prima a Isola 2000, per qualche chilometro ha pensato di poter assistere in prima persona al duello fra i primi della classe. Al Col de la Couillole, i due lo hanno preso e lasciato all’ultimo chilometro. Il giorno prima invece era stato Pogacar a saltarlo al doppio della velocità, ingolosito da quell’arrivo per lui così speciale.
«Soprattutto sabato – ammette nella zona mista di Nizza – mi sarebbe piaciuto arrivare con loro, ma andavano troppo veloci per me che avevo trascorso buona parte della giornata in fuga. E’ stata molto dura e un po’ snervante. Abbiamo dovuto fare molti calcoli e l’unico modo per blindare questa maglia era andarsela a prendere ogni giorno con un’altra fuga. Durante il Tour sono progredito giorno dopo giorno. Non dico che sia stato facile riuscire a stare davanti, ma ho avuto le gambe per farlo. Non poteva finire meglio, la squadra ha lavorato davvero bene. Conquistare una maglia di classifica significa fare una corsa nella corsa. Studiare una strategia a parte rispetto a quella dei primi. Il Tour è sovrapposizione e intreccio di tante corse diverse, ma finché non ci sei dentro, non lo capisci».
La sua estate conoscerà ora finalmente il riposo, prima di riaccendere i motori e fare rotta vero la Vuelta e i mondiali di Zurigo. Le Olimpiadi non saranno affar suo per questa volta, il percorso iridato gli si addice invece molto di più. Se ne va con il sorriso dolce e l’appagamento del marinaio che ha raggiunto il porto anelato. Si guarda intorno, riempie gli occhi di bellezza, sapendo che presto sarà il tempo per alzare nuovamente le vele.
RIMINI – C’è un sacco di gente che aspetta i corridori, come ce n’era tantissima a Firenze in questa partenza toscana del Tour de France che resta come uno stupore sul volto di Bettiol. Eppure quando Alberto è arrivato al pullman, aveva lo sguardo torvo e i nervi a fior di pelle. Ha lasciato giù la bici, non ha risposto ad alcun saluto e poi è sparito per i tre gradini, cercando un luogo riparato in cui sbollire la rabbia. Poco dopo Ben Healy ne è sceso e si è messo a girare le gambe sui rulli, unico della squadra. Il suo attacco, mentre dietro i compagni tiravano, ha suscitato più di un interrogativo.
Ai piedi del pullman rosa della EF Education-Easy Post c’è un gruppetto di tifose di Carapaz che inneggiano al loro campione. Fanno notare quanto sia stato brutto farlo fuori dalla selezione olimpica. Proprio lui che è il vincitore uscente, ma che forse dopo Tokyo parlò troppo duramente contro il suo comitato olimpico. Giusto accanto c’è Lisa, la compagna bionda di Bettiol, che quel malumore l’ha capito benissimo e fa un sorriso a suggerire che passerà. E infatti dopo una decina di minuti, Bettiol scende dal pullman. Indossa un completo nero e il sorriso di chi ha cominciato a fare pace col mondo.
«Sono contento per come mi sono sentito – dice – soprattutto per il calore che ho ricevuto e questa è la cosa più importante. Poi in corsa è così, a volte basta poco. Sono stati bravi i due ragazzi (Bardet che ha vinto e Van den Broeck che lo ha aiutato a farlo, ndr) al momento di attaccare. Noi forse abbiamo sbagliato a far muovere Ben Healy e invece dovevamo fare un po’ più di forcing. Però va bene così, il ciclismo è questo. Comunque dai se la gamba è così, ci sono tre settimane per divertirsi».
La corsa è prima passata attraverso Piazza Duomo, veramente stracolma di tifosiPoi il gruppo è salito a Piazzale Michelangelo e da qui ha preso la via del MugelloI tifosi di Pantani hanno accolto da re anche Tadej PogacarLa corsa è prima passata attraverso Piazza Duomo, veramente stracolma di tifosiPoi il gruppo è salito a Piazzale Michelangelo e da qui ha preso la via del MugelloI tifosi di Pantani hanno accolto da re anche Tadej Pogacar
La gialla a pochi metri
La volata del gruppo l’ha vinta Wout Van Aert davanti a Pogacar, Alberto è arrivato decimo. Difficile dire se in caso di tappa ancora in gioco, se la sarebbe giocata diversamente. Ma intanto, mentre dai bar del lungomare arrivano le prime voci della partita dell’Italia contro la Svizzera, il discorso va avanti.
«Volevamo fare la corsa più dura – prosegue Bettiol, parlando dell’attacco del compagno – e pensavamo di muoverci per costringere gli altri a collaborare. La Visma era compatta, ha fatto un ritmo forte, ma non eccessivamente forte. Anche la Lidl di Ciccone tirava. E alla fine non li abbiamo presi per pochi metri. Forse, per come mi sono sentito, per come ha lavorato la squadra, ci meritavamo di più.
«Comunque è una giornata che sicuramente mi ricorderò finché vivrò. E’ stata quasi irripetibile, ho cercato di godermi ogni centimetro di strada. Porterò questa bellissima maglia in giro per la Francia. Ma prima c’è domani che arriviamo a Bologna, poi a Torino, poi si riparte da Pinerolo. La squadra ha fatto una buona gara, ci sentiamo bene. Peccato perché alla fine, per pochi metri, non ci siamo giocati una maglia gialla…».
La EF Education-Easypost voleva rendere la corsa dura, ma non è bastatoLa partenza da Firenze è stata un’esperienza che Bettiol ricorderà a lungoLa EF Education-Easypost voleva rendere la corsa dura, ma non è bastatoLa partenza da Firenze è stata un’esperienza che Bettiol ricorderà a lungo
Una promessa ai tifosi
Forse perché c’eravamo quando quel tricolore l’ha conquistato e ha parlato del via da Firenze come di una favola, ci assale la voglia di farci raccontare la partenza. Sin dalla discesa dal pullman è stato un bagno di folla, in una folla che raramente abbiamo visto così numerosa, ancorché un po’ indisciplinata.
«Passare con il Tour de France sopra Ponte Vecchio – sorride – è stato un sogno. Mi sono divertito, è stato qualcosa di unico. E’ stato bello, mi sono divertito e mi sono emozionato: è stato bello far parte di questo spettacolo, peccato per il finale. Se quando sono arrivato qui era rabbia o rammarico? Un po’ di rabbia, ma una rabbia sana. Siamo qui per fare bene.
«Ero sicuro che la tappa veniva così. Dura, ragazzi, ma non eccessivamente, perché siamo al Tour. Questa tappa al Coppi e Bartali, con tutto il rispetto, arriva un corridore per angolo. Al Tour ne arrivano quasi 50 in volata. E’ normale, il livello è altissimo. E allora io rilancio e prometto di provarci ogni giorno. Come ho fatto oggi, come ci abbiamo provato come squadra. Lo prometto a me stesso, prima di tutto. E penso che gli italiani si divertiranno con me e spero di dedicargli una vittoria. Non domani però, domani sarà molto dura. Domani vince Pogacar».
Tris di Evenepoel a San Sebastian. Attacco in salita a 73 chilometri dall'arrivo e poi sprint a due con Pello Bilbao. Poteva staccarlo? Forse non ha voluto
IL PORTALE DEDICATO AL CICLISMO PROFESSIONISTICO SI ESTENDE A TUTTI GLI APPASSIONATI DELLE DUE RUOTE:
VENITE SU BICI.STYLE
bici.STYLE è la risorsa per essere sempre aggiornati su percorsi, notizie, tecnica, hotellerie, industria e salute
PASSO BROCON – Quasi trent’anni fa raccontai la vittoria di Tobias Steinheuser al Giro delle Regioni. Era il 1995 e il tedesco succedette al connazionale Baldinger, precedendo sul podio Uwe Peschel e il nostro Sgnaolin. Curiosamente è quello che penso mentre Georg Steinhauser, suo figlio, taglia il traguardo della tappa di oggi e si abbandona entusiasta fra le braccia dello staff EF Education-Easy Post sul traguardo.
Negli ultimi chilometri di salita si è tolto di dosso tutto quello che poteva. Prima gli occhiali, poi persino i guanti. E a capo di una fuga durata 136 chilometri, con la benedizione e i complimenti di Pogacar, il tedeschino di 22 anni ha conquistato la prima vittoria da professionista. Il suo precedente successo venne pure in Italia nel 2021, nella tappa di Valnontey al Giro di Val d’Aosta, in cui vestiva la maglia della Tyrol-Ktm.
«Ho tolto tutto quello che potevo – racconta – volevo essere il più leggero possibile per essere il più veloce possibile. Penso sia quello che serve per vincere una tappa in un grande Giro. I guanti sono poca cosa, per cui è possibile che sia stata una ricerca di leggerezza soprattutto psicologica. Però è anche vero che ho corso senza il misuratore di potenza, ho preferito ascoltare le mie sensazioni. La prima volta che l’ho tolto è stato nella tappa regina. I miei tecnici mi hanno detto che la bici sarebbe stata più leggera di 200 grammi e allora ho pensato: “Okay, non ne ho davvero bisogno!”. Oggi è stata la stessa cosa, ma per gli allenamenti non potrei farne a meno, in quel caso è prezioso».
Le mani sul casco nel segno dell’incredulità per la prima vittoria da professionistaLa sua precedente vittoria risaliva al Giro di Val d’Aosta del 2021Le mani sul casco nel segno dell’incredulità per la prima vittoria da professionistaLa sua precedente vittoria risaliva al Giro di Val d’Aosta del 2021
Il padre corridore
Era già andato in fuga nella tappa di Livigno, quella senza misuratore di potenza, ma alla fine era stato ripreso da Quintana e Pogacar dopo 176 chilometri di fuga. Quel terzo posto non gli bastava e così ha riprovato. L’albero genealogico dice che è figlio di un professionista e nipote di un gigante. Jan Ullrich sposò la sorella di suo padre Tobias e da lei ebbe due figli, prima di sprofondare nei suoi guai. In altre occasioni Georg ha raccontato di non avere grande assiduità con Jan, mentre suo padre gli è spesso vicino.
«E’ venuto a salutarmi nel giorno di Livigno – racconta – anche se ha sempre cercato di restare sullo sfondo delle cose. Mi ha lasciato prendere le mie decisioni, fare le mie cose. Per lui era semplicemente importante che mi piacesse questo sport. Ha riconosciuto più volte che per lui è come se la sua carriera e la mia siano molto distanti, davvero altre epoche. Però è sempre stato il mio riferimento, non avendo avuto idoli nella mia carriera.
«Faccio semplicemente le mie cose, ma ovviamente guardo le gare. E se vedo Froome andare in salita al Tour de France, riconosco che è qualcosa di straordinario. Oppure Kwiatkowski che vince la Milano-Sanremo per pochi centimetri. Sono momenti che ricordi per sempre e penso solo di voler essere come loro e di ottenere risultati come quelli. E oggi è la prima volta che ho realizzato qualcosa di così speciale e ne sono super felice».
Suo padre Tobias passò professionista nel 1996 con la Refin e fu professionista fino al 2005Steinhauser e Ullrich ai mondiali dilettanti del 1994 in SiciliaSuo padre Tobias passò professionista nel 1996 con la Refin e fu professionista fino al 2005Steinhauser e Ullrich ai mondiali dilettanti del 1994 in Sicilia
Scalatore fuori misura
Il problema è che essendo alto 189 centimetri (appena uno più di suo padre) si fa fatica ad etichettarlo. Quando vinse quella tappa in Val d’Aosta si lasciò dietro Hellemose, con un vantaggio di 3’41”. Le fughe sono il suo pane quotidiano, le salite non lo mettono a disagio malgrado la statura e i 65 chili, che a ben vedere non sono poi molti.
«Ci sono stati momenti nella mia carriera – Steinhauser spiega e sorride – in cui non ero sicuro di essere abbastanza forte per andare in salita. Ma sento che questa tappa lo ha dimostrato ancora una volta. Anche altre prove del passato hanno dimostrato che sono in grado: forse il mio corpo è alto, ma ho anche abbastanza muscoli per farcela. Semmai quello che mi sta stupendo e che mi rende felice è il mio recupero. Sono entrato nella terza settimana un po’ nervoso perché è il primo grande Giro e molti giovani corridori sono super stanchi. Per me finora è stato il contrario. Stamattina mi sentivo bene, sto recuperando. Quindi penso decisamente che i grandi Giri siano fatti per me, ma non so se per fare classifica o andare a caccia di tappe. Per ora mi godo questo momento e poi vedremo cosa verrà».
Il gruppo è partito daSelva di Val Gardena, scalando subito la meraviglia del Passo SellaIn fuga con Steinhauser è stato a lungo anche Ghebreigzabhier, eritreo di 29 anniIL gruppo è partito daSelva di Val Gardena, scalando subito la meraviglia del Passo SellaIn fuga con Steinhauser è stato a lungo anche Ghebreigzabhier, eritreo di 29 anni
Nessuna pressione
Quel che è certo è che in squadra da stasera si respirerà aria nuova. Non avendo portato al Giro Carapaz, che avrebbe potuto pensare alla classifica, e con Chaves sotto tono, era chiaro che la sola via per ritagliarsi uno spazio fosse andare a caccia di tappe. Ma questo pare non sia stato fonte di pressione, in un team che in effetti appare molto scanzonato e lascia ai corridori tanta aria e tanta libertà.
«In effetti – conferma Steinhauser – non vedo molta pressione. Noi ragazzi ci divertiamo molto e ovviamente siamo qui per correre e per provare a vincere. Sento che i direttori sportivi hanno molta fiducia in noi e fino ad ora ci avevamo provato molte volte, ma non aveva funzionato. Oggi è andata bene e adesso vedremo cosa succederà nei prossimi giorni. Mi sono divertito molto. Immagino che per fare questo lavoro tu debba divertirti e amare la sofferenza. Oggi è stata una giornata fantastica. Anche solo correre davanti a tutti è una sensazione straordinaria e arrivare fino al traguardo è semplicemente super speciale. Ancora non riesco a crederci».
Dopo l’arrivo Steinhauser si è abbandonato sfinito fra le braccia dei massaggiatoriDopo l’arrivo Steinhauser si è abbandonato sfinito fra le braccia dei massaggiatori
A proposito di passerelle
Sul traguardo è appena arrivato un po’ di sole. Dopo un Giro corso tutto al sole, per il secondo giorno hanno preso acqua e freddo e anche oggi hanno davanti 12 chilometri in bici per arrivare ai pullman. Un locale riservato sulla cima gli ha permesso di cambiarsi, ma forse sarebbe bene pensare anche a questo quando si invocano passerelle sotto la pioggia. Dall’inizio del Giro, ben più di una volta i corridori hanno dovuto fare chilometri e chilometri dopo l’arrivo: dai 24 di Prati di Tivo a quelli di Cusano Mutri. Siamo arrivati al diciassettesimo giorno di corsa e tutto va bene. Tiberi ha difeso la maglia bianca e incrementato il vantaggio. Pellizzari ha pagato gli sforzi di ieri. Steinhauser ride beato: per lui oggi la fatica ha avuto il sapore più dolce.
Sarebbe perfettamente in linea con la preparazione per il Giro d’Italia. Invece Richard Carapaz, che la maglia rosa la vinse nel 2019 e la perse il penultimo giorno nel 2022, se ne va dal Romandia e mette nel mirino il Tour de France. Lascia la Svizzera con una vittoria di tappa che vuol dire tanto e si somma ai due successi di inizio stagione nel campionato nazionale e poi in una frazione del Tour Colombia.
L’effetto benefico
Sull’arrivo di Leysin, il campione olimpico di Tokyo è rimasto freddo fino ai 2,2 chilometri dall’arrivo, lasciando sfogare persino Egan Bernal. E poi, quando è partito, nessuno dietro è riuscito a contrastarlo. Ci ha provato il sorprendente Lipowitz, che lo ha quasi preso, ma non è riuscito a passarlo.
«Sapevo che la tappa era importante – ha detto – e che avevo molte opzioni. Alla fine ho colto l’occasione e ci ho provato fino al traguardo. Conoscevo le strade e aspettavo il momento giusto per partire. Sono molto felice dopo questa prima parte di stagione in Europa, penso che la squadra abbia dimostrato di che pasta sia fatta. Ma sta per arrivare la parte più bella della stagione».
Subito dopo il successo, forse il più contento di tutti è parso il direttore sportivo Charly Wegelius, che lo ha seguito dall’ammiraglia.
«Richard – dice – ha avuto un inizio di stagione davvero difficile, con alcune battute d’arresto. Ma si è allenato bene, sappiamo che è bravo, ora deve continuare così. Penso che abbia fatto un ottimo lavoro, senza arrendersi. Ha aspettato fino al momento giusto e poi è andato. Avere intorno un corridore del suo livello è motivante per l’intero gruppo».
La vittoria di Carapaz a Leysin rilancia la sua stagione, non proprio fortunataLa vittoria di Carapaz a Leysin rilancia la sua stagione, non proprio fortunata
Il Tour verso Parigi 2024
La scelta del Tour per una volta non è figlia del prestigio della corsa francese, ma di un programma che dovrebbe portare Carapaz di nuovo in gran forma per la sfida di Parigi. L’oro olimpico che simbolicamente porta appeso al collo merita di essere difeso. Anche nel 2021 passò per il Tour e lo chiuse al terzo posto, dietro Pogacar e Vingegaard e poi in Giappone staccò tutti quanti, resistendo anche al fuso orario e a complesse vicende federali che dopo la vittoria lo spinsero a un attacco inatteso.
«Alla fine – dice quando lo incontriamo – penso che sto facendo una buona stagione. Non ho avuto sempre fortuna durante le gare di quest’anno, ma penso di essere molto felice e questo lo trovo la cosa più importante. Questi tre anni da campione olimpico sono stati un periodo molto bello. Ci sono stati molti cambiamenti e penso in meglio. Mi sono divertito molto a essere conosciuto grazie a questo titolo e per lo stesso motivo del 2021 quest’anno è molto importante per me e per il mio Paese. Sto bene, penso che voglio affrontare le Olimpiadi nel migliore dei modi».
Si decide la Liegi: sulla Redoute si cerca di salvare il salvabilePoco prima, Carapaz è stato l’unico che abbia provato a rispondere all’attacco di PogacarSi decide la Liegi: sulla Redoute si cerca di salvare il salvabilePoco prima, Carapaz è stato l’unico che abbia provato a rispondere all’attacco di Pogacar
Le beghe politiche
La sua partecipazione al Tour dello scorso anno è durata circa 160 chilometri. Poi la stessa caduta che ha messo fuori uso anche Enric Mas ha tolto di mezzo anche lui. A 22 chilometri dall’arrivo della tappa di Bilbao, lo spagnolo si è ritirato, mentre Richard è arrivato fino al traguardo e poi ha deciso di non ripartire. Le radiografie avevano infatti evidenziato una microfrattura della rotula che sconsigliava di insistere.
«Torno in Francia anche per questo – sorride – e penso che ho ancora le carte in regola per dire la mia. Le Olimpiadi si terranno la settimana successiva e ripeteremo lo schema di Tokyo, che per me ha funzionato benissimo. Ho una possibilità e voglio giocarmela. Rispetto ai problemi dell’ultima volta molte cose sono cambiate anche in Ecuador. Nella federazione sono arrivate persone nuove e credo che avremo tutto il supporto di cui abbiamo bisogno per questa avventura».
A Leysin, per Carapaz 2,2 chilometri di attacco in apnea: alla fine era davvero provatoA Leysin, per Carapaz 2,2 chilometri di attacco in apnea: alla fine era davvero provato
Lo studio dei percorsi
Tornando brevemente alla tappa, Carapaz ha fatto capire quanto sia ormai importante conoscere bene i percorsi perché l’attacco sia efficace. Per cui, dopo aver approfittato del lavoro della Ineos per Rodriguez, Richard si è mosso proprio al momento giusto.
«Conoscevo la salita – dice – sapevo che nel finale era più veloce e avrei dovuto anticipare. Conoscere il finale è spesso decisivo. Quando a febbraio ho vinto la tappa regina del Tour Colombia, sapevo di avere una sola opportunità e l’ho sfruttata al meglio possibile. Conoscevo la salita, mi ero allenato da quelle parti. Avevamo studiato il profilo, l’altitudine, il fondo stradale. E alla fine ero riuscito a vincere. Qui in Svizzera è stata la stessa cosa. Ma adesso è tempo di tornare a casa e di rimboccarsi le maniche. Il Tour sembra vicino, ma non manca poi così tanto…».
LAIVES – Guardando la starting list della EF Education-Easy Post al Tour of the Alps c’era un corridore classe 2005 il cui nome destava interesse e curiosità. Markel Beloki, figlio di Joseba, ha completato i suoi primi quattro mesi da neoprofessionista.
Venticinque giorni di gara spalmati su dieci corse – di cui due WorldTour e tre a tappe – sono una bella base di partenza per chi dovrebbe essere al primo anno tra gli U23. Abbiamo avvicinato il giovane Beloki prima di una tappa del TotA e a giudicare dalla nostra chiacchierata, il suo approccio nel mondo dei grandi è quasi di reverenza per ogni cosa. Come un ospite che entra in casa d’altri ed osserva tutte le migliori maniere per non disturbare. In realtà Markel sta assorbendo tutto quello che vede e gli succede attorno.
Markel Beloki in questi prima quattro mesi da neopro’ ha disputato gare di alto livelloMarkel Beloki in questi prima quattro mesi da neopro’ ha disputato gare di alto livello
Chiacchiere e caffè
Il bus della EF Education-Easy Post, come tanti altri, è attrezzato di una macchinetta del caffè che esce da un vano laterale. E’ il bar dei corridori dove fanno le ultime chiacchiere fra di loro, con i meccanici, i tifosi e i giornalisti. Passa di lì anche il diesse Tejay Van Garderen che sorride all’indirizzo di Beloki, che ricambia, come a dire “oggi tocca a te con le interviste”. Ne prendiamo spunto.
«Il rapporto con Tejay è ottimo – ci dice Markel – e sono molto felice di questo. Ricordo che guardavo le sue gare e le sue prestazioni con attenzione. Potrei dire che ho caratteristiche simili a lui, ma non so se sono più scalatore. Sicuramente lui è stato un grande corridore che andava forte in salita e a cronometro. Anche a me piacciono le crono. Infatti lui mi insegna tanto su entrambi i terreni. Mi piacerebbe molto arrivare al suo livello, ma so che è molto difficile da raggiungere».
Coffee-break. Prima di ogni tappa, Markel si confronta con compagni e staff guardando dettagli sulla biciCoffee-break. Prima di ogni tappa, Markel si confronta con compagni e staff guardando dettagli sulla bici
Parola d’ordine: imparare
Beloki è cordiale con tutti. Ma per correre nel ciclismo attuale bisogna saper sfoderare una bella grinta appena sali in bici. Come è stato quindi questo inizio di stagione?
«Sento che mi sto migliorando – risponde sicuro – indubbiamente ho fatto un bel salto, da juniores ad un team WorldTour. Adesso penso che devo prendermi il tempo necessario per imparare molte cose su questa nuova categoria. Voglio continuare così passo dopo passo senza troppa fretta.
«Ho tanti insegnanti per la verità – prosegue – a cominciare naturalmente dai direttori sportivi. Ogni giorno sto imparando molto dai miei compagni di squadra, che mi aiutano sempre tanto. Loro sono tutti speciali, sanno tante cose e hanno molta esperienza. Non ho un vero punto di riferimento perché in squadra lo sono tutti. Certo avere grandi campioni come Rui Costa, Chaves o Carthy da cui apprendere è bello. Per me questa è la base di partenza migliore».
Beloki ha vissuto la condivisione della vittoria di un compagno grazie a Carr, prima a Maiorca poi al TotABeloki ha vissuto la condivisione della vittoria di un compagno grazie a Carr, prima a Maiorca poi al TotA
«Finora ho imparato anche in tutte le gare che ho disputato – ci dice Beloki con un pizzico di soddisfazione – per esempio il Giro dei Paesi Baschi è stato davvero bellissimo. Per me è la corsa di casa. Una corsa molto dura però. Ogni tappa era impegnativa, stressante, dall’inizio alla fine. Sono uno scalatore, ma sia in Spagna che al Tour of the Alps c’erano tante salite e tanti scalatori molto più forti di me. In queste corse il mio compito era di aiutare la squadra, lavorando a fondo per i compagni. Sono molto contento di come sono andate le cose».
Poche pressioni, tanti dettagli
Dicevamo che Markel ha un cognome importante che crea, come tanti altri come lui, un inevitabile confronto. Lui però resta fedele al suo basso profilo e non ci pensa.
«Mio padre Joseba – spiega Beloki junior – ha avuto una bella carriera, però siamo in due periodi così differenti che non si possono fare paragoni. E’ per questo che il mio cognome non mi pesa. Al momento non sento nessuna pressione. Penso solo a fare al meglio il mio percorso da professionista ogni giorno che passa».
Markel Beloki malgrado il cognome importante, ammette di non sentirne la pressioneMarkel Beloki malgrado il cognome importante, ammette di non sentirne la pressione
«Il mio obiettivo è imparare – conclude Markel – come avrete capito. Ne ho tantissime di cose da imparare, soprattutto quelle piccole. Ad esempio andare all’ammiraglia per prendere bene le borracce sia per me che per i compagni. Per tutti sembra una cosa facile, invece è molto difficile, oltre che importante. Ecco, anche da questo ho già capito che per provare ad essere un buon corridore in futuro bisogna curare questi dettagli. Non si può fare altrimenti».
La prestazione di Borghesi è stata buona, eccellente se si pensa che si tratta di una classica monumento: 13° posto, nel drappello inseguitore, ad appena 28” dalle ragazze che si sono giocate la vittoria. Il bicchiere è decisamente è mezzo pieno.
Letizia Borghesi (classe 1995) all’arrivo della Roubaix sabato scorsoLetizia Borghesi (classe 1995) all’arrivo della Roubaix sabato scorso
Feeling da crossista
«E’ stata una gara durissima – ha detto la trentina – Questo terreno, il pavé, mi piace veramente tanto. Quando c’è da spingere sulle pietre mi trovo a mio agio. Entravo bene nei settori. Sarà anche perché vengo dal ciclocross, ma sento che mi muovo con naturalezza».
Tutto facile? Neanche per sogno. La corsa delle donne, rispetto a quella maschile all’inizio muoveva verso Sud. E in quei giorni di vento caldo, nell’alta Francia, questo significava avere il vento contro o di lato, facendo aumentare lo stress della gara.
E così succede che nella bagarre iniziale Letizia si difenda bene, ma poi nei primi settori di pavé incappa in una noia meccanica. Tutto quello di buono fatto sin lì, tutto quello fatto per restare davanti rischia di sfumare.
Di sfumare, ma non di svanire, perché la gamba c’è. Ed è anche bella piena.
«Mi è scesa la catena – racconta Borghesi – pensavo fosse tutto finito. Invece sono ripartita e ho continuato a lottare davvero duramente. Ho fatto uno sforzo enorme per rientrare nel primo gruppo. E poi sono riuscita a tenere le migliori».
Tra le grandi. Letizia ha detto che ama questa corsa, il pavè e che non vede l’ora di tornare (foto Instagram)Tra le grandi. Letizia ha detto che ama questa corsa, il pavè e che non vede l’ora di tornare (foto Instagram)
Ritmi da leader
Borghesi è un fiume in piena. Ascoltarla mentre ci racconta di una Roubaix con il viso ancora impolverato e le tracce di sudore infangate è un contesto che esalta le emozioni.
Lei ha parlato di riuscire a tenere le migliori, ed è vero, ma ad un tratto il drappello in cui viaggiava stava quasi per riprenderle… le migliori. Andava più forte di Kopecky e compagnia bella.
«Sì, sì – si accende Borghesi – ad un certo punto quasi abbiamo creduto di riprenderle. Andavamo davvero forte. Io però ero a tutta per restare attaccata. Si spingeva tanto e non c’era respiro. Non volava una mosca. Io almeno non dicevo nulla. Speravo solo di arrivare qui al velodromo».
«Mi spiace un po’ per il finale, perché nella volata mi sono ritrovata con i crampi». E poi, dopo una breve pausa, aggiunge: «Ma questa Roubaix per me è un ottimo punto di partenza per il futuro».
La trentina ha fatto molte classiche. Domenica chiuderà la sua Campagna del Nord con l’Amstel Gold RaceLa trentina ha fatto molte classiche. Domenica chiuderà la sua Campagna del Nord con l’Amstel Gold Race
Sguardo in avanti
A 25 anni Borghesi ha tutte le carte in regola per poter continuare a crescere e a sognare in grande.
Prestazioni del genere in gare simili ti danno qualcosa. Ti lasciano qualcosa: consapevolezza in primis, ma anche piccoli “ritocchi” al motore. Sai che se le cose vanno bene ci puoi essere. Così capisci dove limare, dove poter guadagnare quel qualcosa. E in più in queste gare spingi il tuo corpo un po’ oltre, spostando l’asticella dei parametri fisici.
Senza contare che sono occasioni di vivere in prima persona il ciclismo al massimo livello. Giusto l’altro giorno l’altra Letizia, Paternoster, ci spiegava come studiasse le grandi: nei movimenti in gruppo, nel mangiare, nei rapporti. Anche Borghesi non perde occasione di osservarle.
«Kopecky – dice – si è mostrata in grande forma e riesce ad essere competitiva su ogni terreno. Poi c’è Vos che è, e resta, una garanzia. L’obiettivo è quello di arrivare al loro livello. E di lavorare per farlo. Si cerca d’imparare dalle più forti.
«La cosa bella che ho notato è che riescono ad essere tranquille e a dare tranquillità alle compagne anche nei momenti più concitati della corsa. E questa credo sia una grande qualità».
ROUBAIX (Francia) –La classica delle pietre è notoriamente una delle “gare laboratorio” dal punto di vista tecnico. La particolarità del percorso spinge a preparare bici ad hoc, molto più del solito. Una volta c’erano le ruote con i raggi più tirati e saldati nell’incrocio e il doppio nastro. Adesso c’è molto di più. Adesso non ci sono più “palliativi”, modifiche ai prodotti, ma prodotti nuovi o, per meglio dire, differenti. Qualcuno il doppio nastro lo usa ancora, ma di fatto siamo in un’altra era.
I telai moderni benché più aerodinamici, veloci e prestanti al tempo stesso sono anche più “versatili”, almeno alcuni di essi. Perché? Perché lasciano anche tanta luce per il passaggio degli pneumatici larghi. Pensiamo alla Cannondale della EF Education-Easy Post o alla Specialized Sl 8 che avevano quest’anno le atlete della Sd Worx-Protime.
Monocorona da 62 denti per Tarling. La Ineos però ci ha impedito di avvicinarci e quindi niente foto da vicinoCassetta 10-28 per Elisa Balsamo e monocorona da 52. Senza salite, ha optato per una scala di rapporti più corta, ma anche più progressivaIn casa Visma monocrona da 54 denti per tutti. Così come le ruote, le Reverse da 40 mm, ma nella versione “robusta”Gommini di supporto per non far saltare le borracce nei tratti di pavè della RoubaixMonocorona da 62 denti per Tarling. La Ineos però ci ha impedito di avvicinarci e quindi niente foto da vicinoCassetta 10-28 per Elisa Balsamo e monocorona da 52. Senza salite, ha optato per una scala di rapporti più corta, ma anche più progressivaIn casa Visma monocrona da 54 denti per tutti. Così come le ruote, le Reverse da 40 mm, ma nella versione “robusta”Gommini di supporto per non far saltare le borracce nei tratti di pavè della Roubaix
Quali rapporti
Partiamo dai rapporti. La maggior parte dei corridori aveva il classico 54-40, tra questi anche sua maestà Van der Poel. Però si sono viste tante, ma davvero tante monocorona. E stavolta non le proponeva solo Sram, ma anche Vision.
Evidentemente il percorso pianeggiante e l’idea di un componente in meno che si potesse rompere o “incepparsi” (vedi il salto di catena), ha allettato non poco meccanici e corridori.
Usavano le mono Visma-Lease a Bike, Movistar, molti della EF e alcuni atleti individualmente. Tra questi spiccava e non di poco la 62 denti di Joshua Tarling, il “bimbo” fenomeno della cronometro. Al netto della sua squalifica per traino prolungato durante lo scambio di una borraccia dall’ammiraglia, il gallese ha avuto coraggio e gamba.
Profili (e ruote) differenziate per alcuni Soudal. Anteriore standard e posteriore da gravel, la Roval Terra. Con il canale più largo attutiva meglio le pizzicate risalendo sul pavéUna Aeolus RSL49v per le ragazze della Lidl-Trek, ruota “un-official” ma ben robustaSpazi ridotti all’osso per Mozzato. Il tubeless Vittoria 32 mm passava di un soffio nel carro della sua BianchiLa bici di VdP sull’ammiraglia era quella che ha cambiato (come da programma) quando è iniziato il pavè…E queste erano le gomme che montava: tubelss da 32 mm. Era partito quelli da 30 mmIl tubeless 35 mm usato da Pasqualon… siamo ai limiti del gravelIn casa Bora si è optato per il copertoncino Mondo, di solito usato per l’endurance (è più robusto)Profili (e ruote) differenziate per alcuni Soudal. Anteriore standard e posteriore da gravel, la Roval Terra. Con il canale più largo attutiva meglio le pizzicate risalendo sul pavéUna Aeolus RSL49v per le ragazze della Lidl-Trek, ruota “un-official” ma ben robustaSpazi ridotti all’osso per Mozzato. Il tubeless Vittoria 32 mm passava di un soffio nel carro della sua BianchiLa bici di VdP sull’ammiraglia era quella che ha cambiato (come da programma) quando è iniziato il pavè…E queste erano le gomme che montava: tubelss da 32 mm. Era partito quelli da 30 mmIl tubeless 35 mm usato da Pasqualon… siamo ai limiti del gravelIn casa Bora si è optato per il copertoncino Mondo, di solito usato per l’endurance (è più robusto)
Gomme e ruote
Pianeta gomme… e ruote. Ormai la ruota in carbonio ad alto profilo è del tutto sdoganata: non è più una notizia. Però vedere le 60 millimetri con una certa frequenza per la Roubaix ci ha colpito un bel po’. La virata verso gli alti profili è strettamente legata anche alla disponibilità delle gomme che si possono montare. Gomme più larghe (e tubeless) consentono di osare di più con il profilo dei cerchi.
Posto che il tubeless l’ha fatta da padrone, grazie anche al “salsicciotto” che si può montare al suo interno e al liquido sigillante in caso di foratura, questa gomma è ormai prodotta in molti standard. Larghe, larghissime, rinforzate: i 28 millimetri erano davvero pochi, mentre hanno spopolato i 32. In certi casi montati proprio al limite. Pochissimi i tubolari avvistati.
Quando parliamo di pneumatici larghissimi pensiamo a Continental. Il brand tedesco ha proposto i 35 millimetri. Per questa Roubaix per esempio, li montava Andrea Pasqualon, che infatti non ha esitato ad usare ruote da 60 millimetri.
Occhio poi alle ruote stesse. In apparenza erano identiche a quelle standard, ma in più di qualche caso si trattava di cerchi più robusti. In casa Soudal-Quick Step per esempio si è pensato ad un set misto: strada (anteriore)-gravel (posteriore).
I dati dei tecnici Specialized, fornitore del team, dicevano che dal punto di vista aerodinamico la perdita di efficienza al posteriore era inferiore rispetto al vantaggio che si aveva sul pavé, specie in termini di sicurezza, trazione e resistenza alle forature.
I doppi comandi del cambio. In tanti li hanno scelti, anche Elena Cecchini ma anziché sull’interno curva li ha voluti sulla piegaNon era la prima volta che in casa Visma si usava la Soloist, ma era la prima volta che questa bici veniva imposta come scelta di squadraBici gravel, Factor Ostro Gravel, per gli Israel – Premier Tech… che infatti guardate dove potevano passare!In molti hanno fatto arrivare il nastro manubrio quasi fin all’attacco. Visto che si usa molto la presa alta nella Roubaix, meglio avere una sezione maggiore di buon gripEcco il nuovo nastro Onetouch 3D di Prologo, con la tecnologia Cpc. Con i nuovi materiali dei nastri stessi e le gomme più larghe, il doppio nastro manubrio sta scomparendoI doppi comandi del cambio. In tanti li hanno scelti, anche Elena Cecchini che anziché sull’interno curva li ha voluti sulla piegaNon era la prima volta che in casa Visma si usava la Soloist, ma era la prima volta che questa bici veniva imposta come scelta di squadraBici gravel, Factor Ostro Gravel, per gli Israel – Premier Tech… che infatti guardate dove potevano passare!In molti hanno fatto arrivare il nastro manubrio quasi fin all’attacco. Visto che si usa molto la presa alta nella Roubaix, meglio avere una sezione maggiore di buon gripEcco il nuovo nastro Onetouch 3D di Prologo, con la tecnologia Cpc. Con i nuovi materiali dei nastri stessi e le gomme più larghe il doppio nastro manubrio sta scomparendo
Tre tipi di scelta
Infine c’è un aspetto che ci ha colpito nelle scelte tecniche: la genesi delle stesse scelte. Le varie opzioni percorrono tre vie principali: la soluzione di squadra, gestita dai team performance; la soluzione proposta dal costruttore (o brand) e la scelta lasciata all’atleta.
Facciamo esempi pratici. La Visma-Lease a Bike decideva per tutti, infatti i setup erano uguali per tutti gli alfieri schierati: telaio Cervélo Soloist, ruote Reverse da 40 millimetri, gomme da 32 mm, monocorona da 54. A discrezione del corridore la possibilità di montare il doppio comando (sulla piega) oppure no. Quello che abbiamo inoltre notato è una scelta sempre più ampia dei reggisella con zero off-set, una conferma di questo tipo arriva proprio dalle Soloist.
C’era poi la soluzione dei team di Specialized, per esempio. Il costruttore americano, che propone telai, ruote e gomme, forniva ai team il loro setup ideale. Poi stava al team e all’atleta avallare quelle scelte o virare sul personale. Infine la terza modalità: si parte dai materiali standard e il corridore faceva le proprie scelte sempre nel ventaglio di materiali a disposizione.