EDITORIALE / I giornalisti, quelli che non cambiano

22.07.2024
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NIZZA (Francia) – «E’ cambiato veramente tutto – diceva qualche giorno fa Andrea Agostini, numero due del UAE Team Emiratesl’unica categoria che non è cambiata è quella dei giornalisti».

E’ stata una delle frasi che più ci è risuonata nella testa in questi lunghi e frenetici giorni al Tour de France, probabilmente sentendoci chiamati in causa vista la lunga militanza in gruppo. Il mondo è cambiato completamente, le sale stampa sono piene di facce nuove. Ci sono all’opera tanti ragazzi super tecnici, che non hanno vissuto minimamente il ciclismo degli anni 90 e quello subito successivo. Ci sono pochissimi italiani. Facendo i conti a spanne, tolti gli inviati di RAI Sport con il curiosare competente di Silvano Ploner, il Tour de France 2024 (nella sua parte francese) è stato seguito da cinque fotografi italiani e tre giornalisti (3-4 in più sono arrivati per le ultime due tappe). Tutto il resto che avete letto, anche su testate prestigiose, è stato confezionato da casa telefonando oppure utilizzando gli audio che gli addetti stampa inviano nelle chat dei vari team.

Non serve andare alle corse e spendere. Arrivano gli audio. Le conferenze stampa sono online. Se ti accontenti di avere gli argomenti di tutti gli altri, hai risolto il problema. Per certi editori e certi direttori è manna dal cielo. Speriamo di cuore che la differenza si noti.

La partenza da Firenze è stata vissuta come uno splendido spot cui si è dato poco seguito
La partenza da Firenze è stata vissuta come uno splendido spot cui si è dato poco seguito

Andare alle corse

Non è un bel modo di lavorare. Le corse bisogna seguirle, anche se questo ha un costo e adesso che lavoriamo in proprio lo sappiamo anche meglio. Ma è soltanto guardando in faccia l’atleta, il tecnico o qualunque interlocutore che si riesce a capire effettivamente il senso del suo discorso. Soltanto percorrendo le strade e respirandone l’aria si coglie il senso delle parole. E’ solo immergendosi nel bagno di folla attorno ai pullman che si capisce il consenso di questo o quel campione. Averlo visto al Giro o in qualche Tour di anni fa non basta per raccontarlo oggi. Aiuta, ma non basta. Ogni corsa ha la sua storia, ogni epoca le sue particolarità.

Qualsiasi giornalista che si rispetti, chi scrive per primo, avrebbe voglia di stare fuori ogni santo giorno, ma spesso la sua aspirazione si infrange davanti ai no delle amministrazioni o, peggio ancora, dei direttori. I quali certamente vengono dagli anni in cui il ciclismo era meno presentabile di oggi. E il guaio è fatto.

Il silenzio o l’evidenza ignorata per scelta ha portato agli anni bui da cui Pogacar vuole tenersi giustamente alla larga
Il silenzio o l’evidenza ignorata per scelta ha portato agli anni bui da cui Pogacar vuole tenersi giustamente alla larga

La memoria che aiuta

C’è però un’altra sfumatura nel discorso di Andrea Agostini sulla quale abbiamo ragionato a lungo. La sua frase era venuta fuori parlando dei continui sospetti sulle prestazioni di Pogacar. E’ opinione comune, da noi condivisa, che l’attuale sistema antidoping, il passaporto biologico e la reperibilità Adams siano un ottimo deterrente rispetto alle abitudini malsane di una volta.

Le stesse parole pronunciate ieri da Pogacar nella conferenza stampa danno la sensazione di una generazione meno propensa al compromesso. Forse perché questi ragazzi preferiscono pensare con la loro testa e non ascoltare i consigli di chi già c’era: in questo caso, si dovrebbe definirlo un bene. Aver parlato così significa che il ragazzo ha gli attirbuti, non ha paura di metterci la faccia e si capisce che provi fastidio a dover rispondere per gli errori di gente che correva quando lui non era ancora nato.

Non dimentichiamo però che altre generazioni di corridori giurarono sulla loro trasparenza, in primis sua maestà Lance Armstrong. Salvo scoprire che era tutto finto. Qualcuno scelse di non vedere e ordinò di non farlo. Altri ci provarono e furono messi all’indice. Per questo avere dei giornalisti che ne abbiano memoria non è assolutamente un male. Anzi, forse è una necessità. Ricordiamo bene quando l’irlandese David Walsh fu messo all’indice ed emarginato dallo stesso Armstrong e dai suoi sodali, salvo poi vincere tutte le cause in cui l’americano lo aveva trascinato. Fu lui in qualche modo la chiave per smascherare il programma di doping del team americano.

Nella conferenza stampa di ieri a fine Tour, Pogacar ha usato parole precise: «E’ da stupidi rovinarsi la salute per delle corse»
Nella conferenza stampa di ieri a fine Tour, Pogacar ha usato parole precise: «E’ da stupidi rovinarsi la salute per delle corse»

Il caso di Piccolo

La fiducia è un valore assoluto che va conquistato e mantenuta. Abbiamo applaudito Pogacar perché ci sembra un personaggio credibile, ma verremo meno al nostro lavoro se abbassassimo completamente le antenne e ci fidassimo soltanto di quello che ci viene detto. Questo non significa tornare a un clima di caccia alle streghe o dare un’interpretazione a due tinte di qualsiasi cosa farà Tadej di qui in avanti. C’è già chi lo fa e ci basta.

Significa però osservare, fare la domanda in più e guardarlo negli occhi mentre risponde. Documentarsi e studiare. E questo puoi farlo meglio se ci sei, lo schermo è inaffidabile. Lo sloveno dà la sensazione di essere al di sopra di queste problematiche: evviva per lui, per il ciclismo, per tutti noi. Purtroppo l’episodio che ha coinvolto Andrea Piccolo di recente fa capire tuttavia che il male è ancora nella testa di alcuni atleti. Forse mal consigliati da personaggi del passato. Forse incapaci di pensare che si possa andare avanti con le proprie forze. Oppure forse dediti ad altro e convinti di aver trovato il modo per fare meno sacrifici.

Il Tour del 2024 ha offerto decine di spunti che sono stati colti bene dagli inviati presenti sul posto
Il Tour del 2024 ha offerto decine di spunti che sono stati colti bene dagli inviati presenti sul posto

Racconta, non fare il furbo

In questo mondo che è cambiato tanto, davvero gli unici a non essere cambiati (forse in parte) siamo noi? C’è bisogno soprattutto di giornalisti bravi: conoscerne arricchisce e possiamo garantirvi di averne incontrati tanti sulle strade del Tour, anche molto giovani, ma animati da quel fuoco speciale che riconosci se l’hai addosso. Persone disposte a non avere orari, a lavorare (se serve) nel cuore della notte e a guidare per centinaia di chilometri, per portare a casa una storia originale. Racconta – diceva un vecchio maestro, purtroppo inascoltato – non fare il furbo. Per gente così a bici.PRO c’è sempre posto. Quelli che rielaborano i loro articoli copiando, incollando e rassegnandosi all’omologazione, continuino pure sulla loro strada. Ma forse questo mondo che così tanto è cambiato di loro davvero non ha bisogno.

EDITORIALE / Pogacar, signori: lieto di stupire

27.05.2024
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ROMA – Il giorno dopo è difficile persino rendersi conto che non si tratti di un altro riposo. Si torna alla solita vita e il Giro di Pogacar rimane negli occhi e negli appunti: quelli già trasformati in articoli e quelli che presto lo saranno. Andando via dalla zona di arrivo dell’ultimo traguardo, la sensazione di aver preso parte a un grande evento è stata rafforzata dalla presenza oceanica di pubblico, che si è ripetuta anche a Roma come su ogni strada d’Italia. Pensavamo che il Veneto fosse stato un’eccezione, fra Padova e il Monte Grappa, ma scorrendo le foto delle 21 tappe è immediato rendersi conto che quest’anno il riscontro di pubblico sia stato ogni giorno impetuoso.

Il ragazzo biondo col ciuffo

Non è semplice spiegare il perché. La considerazione più ovvia è che il ragazzo biondo con il ciuffo abbia stregato i tifosi di tutta Italia. Sarebbe stato bello avervi a bordo per rendervi conto del quotidiano assedio del pullman della UAE Emirates, ma sarebbe riduttivo limitare tutto a Pogacar. I tifosi hanno avuto attenzioni per tutti i corridori, dimostrando di aver capito la sola cosa che conta di questo Giro d’Italia. Abbiamo assistito allo show del solista più grande, quello che dopo la Strade Bianche definimmo in un altro Editoriale il vero fenomeno di questo ciclismo. Perché vince le classiche, le crono, doma le montagne e lo fa senza la supponenza e la freddezza di alcuni suoi colleghi altrettanto forti.

La disponibilità di Pogacar verso i bambini non è venuta meno neppure sulle grandi salite
La disponibilità di Pogacar verso i bambini non è venuta meno neppure sulle grandi salite

Tadej Pogacar ha firmato migliaia di autografi e se lungo le salite ha avuto occhi e cuore per i bambini non è stato per ruffianeria, ma perché sente di dover fare qualcosa per i più piccoli. Allo stesso modo in cui, portato a seguire la tappa di Trieste al Giro del 2014, quando aveva 16 anni, trasse da quello sprint l’ispirazione per diventare un corridore. A ben vedere, andando da anni in cerca di un faro per il ciclismo italiano, quale fra i grandi azzurri degli ultimi tempi ha mostrato una simile disponibilità verso i piccoli? Pogacar ha mostrato lo stesso candido entusiasmo che nei primi anni fu di Sagan, non a caso altro beniamino di un pubblico ampio e trasversale.

Le regole di una volta

All’inizio del Giro ci sono state critiche, compresa quella di Bettini che abbiamo condiviso e in parte ancora sposiamo. Sembrava strano che il leader della corsa si mettesse a inseguire tutti, come animato da un’ingordigia mal mascherata. In realtà con il passare dei giorni abbiamo imparato a riconoscere nei gesti di Pogacar lo stupore per logiche che non gli appartengono, forse perché i campioni o o vecchi del gruppo che lo hanno accolto non hanno avuto il carisma, la capacità o la voglia di spiegarle. O forse perché a 25 anni non si ha troppa voglia di sottostare a schemi che si reputano vecchi e ti impediscono di dare un seguito e un premio al duro lavoro. La faccia di Pogacar nel giorno in cui ha lasciato andare la fuga di Cusano Mutri era piena di stupore, più che di convinzione. Avrebbe potuto e forse voluto vincere anche lassù, ma ha scelto di stare a quelle regole. Poi però basta. E dove ha potuto, ha vinto.

Un arrivo e un inchino: a Bassano del Grappa, Pogacar ha ringraziato così il pubblico del Giro
Un arrivo e un inchino: a Bassano del Grappa, Pogacar ha ringraziato così il pubblico del Giro

Dicono e pensiamo che lo abbia fatto con un margine così ampio perché non aveva di fronte avversari della sua altezza. Vero, ma se guardiamo la classifica dell’ultimo Tour in cui Vingegaard lo piegò a suon di scatti, i margini sono gli stessi di questo Giro. E alle spalle dei due giganti (pur divisi da 7’29”) c’erano stati baratri altrettanto profondi. La sua supremazia ha infastidito qualcuno? Immaginate di essere andati a un concerto di Eric Clapton e di annoiarvi per i suoi assoli di chitarra. Il Giro d’Italia del 2024 è stato un grande concerto, con momenti corali e altri splendidi assoli, ma quando Pogacar ha guadagnato il centro del palco, non s’è potuto fare altro che applaudirlo.

L’Italia che arriva

E l’Italia c’è stata, forse più che in un recente passato. Il quinto posto di Tiberi che riporta a casa la maglia bianca dopo nove anni è uno squarcio molto interessante di futuro. Gli scatti di Pellizzari hanno mostrato la grinta di un ragazzino per nulla intimorito dai nomi che ha osato sfidare. Piganzoli si è messo alla prova scegliendo di non uscire di classifica: il suo 13° posto al primo grande Giro dice che ha la testa dura e i mezzi per riprovarci. Milan sta diventando un gigante dello sprint, con ancora tanto da imparare per gestire i finali più complessi. Ganna ha ritrovato il passo nella crono di Desenzano e per il resto della corsa ha tirato per la squadra con una generosità a volte persino eccessiva. Sembrano piccoli sprazzi, al cospetto di un gigante come lo sloveno, ma sono molto di più.

Sportivi e tifosi

E sullo sfondo, ma più spesso davanti c’è stato Pogacar. Ha attaccato. Ha vinto, gestito e dimostrato qualità di leadership fuori del comune. Ogni giorno ha confermato una normalità e un’educazione sbalorditive. Ha mostrato coraggio nel correre il Giro prima del Tour e insieme la determinazione feroce nel cercare di migliorare ancora. Si è aperto con i giornalisti, ammettendo anche dei piccoli momenti di difficoltà. Ha raccontato di sé. Ha dato spettacolo in tappe da campioni che altrimenti sarebbero state consegnate a velleità di rango inferiore.

Non ha corso al risparmio, come avrebbe potuto fare avendo in testa il Tour: gli sarebbe bastato gestire il vantaggio delle crono e correre sulle ruote. Non l’ha fatto. A quelli che l’hanno criticato e hanno criticato il suo Giro chiediamo il favore di chiudere per un istante gli occhi. Di rivedere tutti i momenti salienti di questo Giro e le sue vittorie. E poi, arrivati al podio di Roma, di riaprirli e immaginare che Pogacar sia italiano. Parlerebbero ancora allo stesso modo?

EDITORIALE / L’Italia, la legge del calcio e la nicchia del ciclismo

08.04.2024
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Sangue, soldi e sesso. In mancanza di vittorie, se si realizza una di queste condizioni, anche il ciclismo ha diritto al suo grande spazio. La caduta dei campioni al Giro dei Paesi Baschi ha conquistato le prime pagine e le successive, come pure lo spazio in alcuni telegiornali, con conduttrici e conduttori in evidente imbarazzo nel pronunciare nomi per loro totalmente sconosciuti. Abbiamo poco da lagnarci, basterebbe chiedere agli appassionati di tennis per quanti anni siano rimasti in sala d’attesa, accontentandosi della storia d’amore fra il giocatore e la velina e tornando finalmente a respirare grazie a Sinner.

La caduta nella 4ª tappa del Giro dei Paesi Baschi ha avuto più attenzione della vittoria di VdP a Roubaix (immagine Eurosport)
La caduta nella 4ª tappa del Giro dei Paesi Baschi ha avuto più attenzione della vittoria di VdP a Roubaix (immagine Eurosport)

Una vetrina in subaffitto

In Italia lo sport è un mondo strano. Il calcio si mangia tutto e chi è chiamato a dirigere i grandi media ha chiaro di non dover lasciare spazio ad altro. Difficile dire se vengano scelti per questa loro idea o se gli venga chiesto di farla propria. Il resto, in ogni caso, ha a disposizione una piccola vetrina in subaffitto. Quando ci si lamenta per la mancanza di una squadra WorldTour in Italia, si agitano spesso fantasmi del passato, ma ci siamo chiesti quale potrebbe essere da noi il ritorno di immagine per un simile investimento?

Non esiste lo sport come valore oggettivo, mentre esiste l’oggettività di un certo tipo di cultura. La grande prestazione in teoria dovrebbe trascendere i confini nazionali e gli interessi di parte. E se ieri il Van der Poel della Roubaix è olandese e non italiano e se anche il primo dei nostri (Andrea Pasqualon) arriva al traguardo in cinquantesima posizione, la grandezza dello spettacolo dovrebbe svegliare la voglia di raccontare. C’erano tre milioni di persone lungo le strade. C’era il campione del mondo in fuga come un’aquila. C’erano la resa eroica di Pedersen e il cinismo spietato di Philipsen. Ci sono state le cadute di Viviani, Milan e Bettiol: i primi due attesi alle Olimpiadi su pista. C’era il mondo. Quel che mancavano erano i giornalisti dall’Italia, perché tranne pochi specializzati, gli altri hanno dovuto raccontarla da casa.

Van der Poel non è neppure francese, lo era suo nonno Raymond Poulidor. Eppure L’Equipe di oggi in edicola ha riservato alla Roubaix dieci pagine, oltre alla prima con l’iridato da testa a piedi (immagine di apertura. Il titolo recita: Sua Altezza del pavé). Il calcio l’hanno messo dopo, perché è giusto che una qualsiasi giornata di campionato venga dopo una prova Monumento. La Sanremo è un Monumento: siamo certi che il resto dello sport si sia fermato per ammirarla?

La vittoria della Roubaix di Van der Poel si è svolta in un contesto trabordante di pubblico
La vittoria della Roubaix di Van der Poel si è svolta in un contesto trabordante di pubblico

La missione del giornalista

I lettori vanno educati, un po’ come i figli e gli studenti. Se a un figlio proponi sempre la stessa vita, crescerà con orizzonti limitati e non potrà sviluppare le sue potenzialità. Se l’insegnante non è capace di spiazzare gli studenti diversificando il modo di raccontare la cultura, avrà fallito la sua missione. Anche i contadini sanno che a un certo punto la rotazione delle colture è il solo modo perché il campo continui a rendere.

Se un organo di informazione, qualunque sia la sua forma, continua a proporre sempre gli stessi argomenti, quale tipo di cultura sportiva potrà sperare di generare nei suoi lettori? Va bene, qualche direttore che si sentisse chiamato in causa potrebbe rispondere che non gliene importa nulla e che non è questa la sua missione, ma di questo potremmo discutere a lungo.

Se quello che facciamo è spolpare sempre lo stesso osso e rinunciamo a trasmettere dei valori, come possiamo pretendere che domani la gente avrà voglia di leggere altro? Qual è il ruolo del giornalista nel formare nuovi cittadini? E se domani, tornando allo sport, Van der Poel sarà italiano, siamo certi che le pagine a lui dedicate non verranno vissute come spazio sottratto alla routine e agli interessi del calcio?

Con Pantani la popolarità del ciclismo era riuscita a far vacillare quella del calcio
Con Pantani la popolarità del ciclismo era riuscita a far vacillare quella del calcio

Lo spirito olimpico

Ad agosto Parigi chiamerà a raccolta l’elite dello sport mondiale e, come ogni quattro anni, ci ritroveremo a tifare davanti a discipline di cui non sappiamo nulla. Ogni sportivo ha la sua storia, ogni grande impresa ti scuote dentro se chi la racconta suona i tasti giusti. Ma la sensazione è che nel Paese più bello del mondo con la corsa più dura del mondo, tutto questo venga visto come noia e semmai occasione per spremere limone e sponsor, in attesa che ricominci il campionato e si possa finalmente rimestare nel paradiso del calcio.

Non può essere il ciclismo a cambiare la storia, ma i valori dello sport potrebbero essere tanto potenti da scardinare pregiudizi e cattivi costumi. Si è scelto tuttavia di appiattirsi su un mondo che non riesce a sganciarsi dalla dittatura dei milioni e si fa andare bene il razzismo e l’omofobia. Allora forse, nel chiudere questo amaro editoriale, la sensazione che ci assale è che rientri tutto nello stesso disegno. Va bene che il pubblico venga assecondato e beva quello che gli viene versato, senza che debba chiedere altro. Casomai gli venisse poi la voglia di pretendere qualcosa di diverso da chi, qualunque sia la sua bandiera, invece dello sport, è chiamato a fornirgli leggi, democrazia e lavoro.

Si capisce bene che Pantani a un certo punto sia diventato scomodo. Come lo inquadri uno che offusca il calcio, i suoi sponsor e i limitati orizzonti e accende le luci sul ciclismo, sponsorizzato per giunta non da una multinazionale, ma da una piccola catena di supermercati? Magari una spintarella perché se ne parli un po’ meno o in modo diverso, avrà pensato probabilmente qualcuno, gli si potrebbe anche dare, no?

Cinque euro: ecco come sono arrivati. Ma qualcosa non torna

21.02.2024
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Il tempo che uscisse l’Editoriale che sollevava il tema del possibile costo di iscrizione di 5 euro alle gare regionali (foto Mosna in apertura) e siamo stati raggiunti da due comunicazioni. La prima proveniente dal Comitato regionale dell’Emilia Romagna, che due giorni prima si era riunito per esaminare la questione. La seconda dall’ufficio stampa della FCI per dire che il presidente Dagnoni avrebbe voluto fare delle puntualizzazioni. A margine di questo, la condivisione dell’articolo sui social ha portato a una ridda di commenti, mentre il frullare dei messaggi su whatsapp da parte dei direttori sportivi ha assunto in breve i connotati di una bufera di vento.

La firma è di Fabrizio Bontempi: ecco la delibera che autorizza i 5 euro per l’iscrizione
La firma è di Fabrizio Bontempi: ecco la delibera che autorizza i 5 euro per l’iscrizione

Provvedimento in extremis

Riepilogando: il 14 febbraio, pensando a un insolito regalo agli innamorati del ciclismo, la FCI diffonde una delibera a firma di Fabrizio Bontempi per la quale gli organizzatori di gare regionali possono richiedere una quota di iscrizione per le loro gare: ammontare di 5 euro.

La reazione dell’ambiente si divide. Da una parte ci sono coloro che si fanno i conti in tasca e dicono di non aver messo a budget quello che alla fine dell’anno sarà un costo significativo. Dall’altra quelli che criticano il provvedimento preso a pochi giorni dall’inizio delle gare, invocando la necessità che un certo tipo di azioni vengano concordate e messe eventualmente in atto l’anno successivo. Fra le nuove regole c’è anche quella relativa alle visite di idoneità per gli stranieri. Se prima bastava un certificato di sana e robusta costituzione rilasciato dal Paese di origine, di colpo viene richiesta l’idoneità come quella che fanno gli italiani. Richiesta legittima, tempi sbagliati.

Malagò, presidente del Coni, e Dagnoni: lo sport dilettantistico italiano ha bisogno di interventi importanti
Malagò, presidente del Coni, e Dagnoni: lo sport dilettantistico italiano ha bisogno di interventi importanti

L’esempio del fuoristrada

Cosa dice il presidente della Federazione? Come si diceva nell’Editoriale, la gestione di Dagnoni sta proseguendo senza grossi ostacoli. Opposizioni all’orizzonte non se ne vedono e sebbene non manchino le criticità, il programma viene portato avanti secondo le linee guida condivise da chi ha votato l’attuale gestione. Poco importa che alcuni ora si lamentino: questo è l’attuale governo del ciclismo italiano per come è stato votato.

«Questa esigenza – dice Dagnoni – è nata dai presidenti regionali. Si sono chiesti: perché nel fuoristrada e nel paraciclismo si paga e nella strada no? Noi abbiamo recepito l’orientamento della maggioranza: non erano tutti d’accordo, ma quasi tutti. Per cui il Consiglio federale ha recepito questa istanza e, visto che siamo in democrazia, si è data a chi vuole applicare quel costo la facoltà di farlo. Anche perché numeri alla mano ritengo che la Federazione abbia fatto abbastanza in sostegno degli organizzatori».

Il fuoristrada tramite Ghirotto aveva ottenuto la quota di iscrizione la scorsa estate: perché il passaggio automatico alla strada?
Il fuoristrada tramite Ghirotto aveva ottenuto la quota di iscrizione la scorsa estate: perché il passaggio automatico alla strada?

Vietato dissociarsi

Dice che la FCI ha versato contributi alle società per 500 mila euro, sotto forma di ristori (fiscali). Racconta che nei suoi ultimi tempi alla guida della Lombardia, il fondo distribuito dalla Federazione ai Comitati era stato ridotto a 600 mila euro nel nome della necessità di risanamento federale. Quindi aggiunge di averlo riportato a 800 mila dopo la sua elezione.

«Quando i comitati hanno chiesto di uniformare tutto – prosegue – abbiamo dato la facoltà ai singoli di decidere se far pagare quella che non chiamerei tassa, anche se nel comunicato di Bontempi si usa quella parola. I 5 euro non vengono versati alla Federazione, ma semmai sono una quota con cui si partecipa ai costi di organizzazione. Ripeto, non è un’idea mia né del Consiglio: è un’istanza che è arrivata dalla base. E noi abbiamo accettato di uniformarci a quello che è già vigente nel fuoristrada, che è diventato un movimento importante, forse ancora più della strada.

«Sul fatto che sia arrivata a febbraio… Avremmo dovuto farlo nel Consiglio federale di gennaio che è slittato. E siccome non si poteva aspettare oltre, abbiamo fatto un Consiglio online ed è stata emessa la delibera. Quello che non accetto, semmai, è che ci siano stati Comitati regionali che si sono dissociati. Come Comitato, puoi consigliare di non far pagare e va benissimo, ma non puoi dissociarti da una decisione del Consiglio federale».

Ecco la riunione online con cui il Comitato dell’Emilia Romagna si è espressa contro la delibera
Ecco la riunione online con cui il Comitato dell’Emilia Romagna si è espressa contro la delibera

Passaggio saltato

Ma questo è il bello della democrazia e francamente qualche passaggio dell’intervento di Dagnoni non convince. Va bene il parere espresso dalle regioni, ma quando lo hanno espresso? Chi guida un movimento così importante deve essere consapevole di quello che c’è in ballo e delle dinamiche interne al movimento stesso. Dire che così hanno voluto gli altri suona un po’ pilatesco. Dire che il fuoristrada sia quasi più importante della strada potrebbe significare non aver saputo gestire la strada, abbandonata a se stessa. E laddove si proponga qualcosa che impatti su una situazione consolidata, occorre un passaggio intermedio. Un filtro che permetta a tutti di esprimersi: quello che in democrazia si chiama referendum.

C’è chi sui social ha sostenuto che rimanere al «si è sempre fatto così» non porti da nessuna parte. Vero, ma la riforma del ciclismo deve essere strutturale, condivisa e non legata a balzelli estemporanei come quello dei 5 euro.

Paolo Bettini, Alessandro Spada, Paolo Kessisoglu, Matteo Gozzoli (sindaco Cesenatico), presentazione tappa Nove Colli del Giro 2020
Una foto di tre anni fa: Paolo Bettini, Alessandro Spada, Paolo Kessisoglu e Matteo Gozzoli (sindaco Cesenatico)
Paolo Bettini, Alessandro Spada, Paolo Kessisoglu, Matteo Gozzoli (sindaco Cesenatico), presentazione tappa Nove Colli del Giro 2020
Una foto di tre anni fa: Paolo Bettini, Alessandro Spada, Paolo Kessisoglu e Matteo Gozzoli (sindaco Cesenatico)

L’opposizione di Spada

A quanto risulta, Lombardia e Toscana sarebbero contrarie alla novità. L’Emilia Romagna lo ha espresso con una mail, dicendo che la regione non applicherà la nuova norma per motivi fiscali e di tempistica. Abbiamo preferito interpellare direttamente il presidente Alessandro Spada.

«Semplicemente abbiamo voluto sentire le nostre società – spiega – per capire quale fosse il loro orientamento, per cui sabato abbiamo fatto una riunione online d’urgenza. Non c’è stata una preclusione ideologica, però i tempi e i modi sono assolutamente sbagliati. A 10 giorni dall’inizio della stagione agonistica, sicuramente non ci sono i modi per adeguarsi. Anche perché c’è grosso spavento, da parte di tutte le società, su come incassare quei soldi. La Riforma dello Sport sta avendo un grosso impatto, la gestione di un gruppo sportivo è piena di adempimenti e il commercialista è ormai una figura di continuo riferimento. L’altra sera abbiamo faticato per tenere il discorso sul tema dei 5 euro, dato che tutti parlavano di quale impatto stia avendo la legge nazionale. Spero che Dagnoni e il presidente del Coni Malagò trovino il modo di parlarne con il Governo».

Quel 29 luglio 2023, il solo Metti della Toscana si schierò subito contro (foto FCI)
Quel 29 luglio 2023, il solo Metti della Toscana si schierò subito contro (foto FCI)

L’incontro di luglio

Eppure del tema si era già parlato e forse a questo si riferisce Dagnoni. Anche se il tema era poi caduto apparentemente nel dimenticatoio.

«Se ne era fatto cenno – racconta Spada – a un Consiglio dei presidenti del 29 luglio 2023. Non era all’ordine del giorno, ma ci fu chiesto un parere non vincolante. Chi più e chi meno, ci eravamo espressi a favore, pur con qualche riserva. Il solo contrario era stato Saverio Metti della Toscana. Avevamo espresso dei dubbi, ricordo che fui io a sollevare la questione della Riforma dello Sport. Mettere un ulteriore balzello sarebbe stato di difficile gestione, soprattutto nei confronti dell’Agenzia delle Entrate. Ci sarebbe stato tutto il tempo per sentire le società, perché il confronto con la base era ed è fondamentale. E a quel punto in autunno si sarebbe potuto metterlo in campo. Ma se Dagnoni o la Federazione nazionale ci credono così tanto, perché non renderlo obbligatorio? 

«La decisione è passata a maggioranza? Io non partecipo al Consiglio federale, per noi del Centro il referente è Lino Sechi, presidente delle Marche. E lui non ci ha detto nulla del fatto che l’ultima volta, sia pure online, si sia parlato di questo. Come tutti i presidenti regionali, ero fermo a quanto detto il 29 luglio, quando fu recepita la proposta di Ghirotto e del fuoristrada, che divenne subito esecutiva. Noi esprimemmo dei dubbi per l’applicazione alla strada e lì eravamo fermi. Se ci fosse stato da votare allora, non credo che l’esito sarebbe stato quello attuale». 

EDITORIALE / Quei giovani cresciuti all’ombra dei campioni

29.01.2024
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Ricordate l’editoriale di un paio di settimane fa, in cui definimmo la nazionale della pista come la sola WorldTour italiana? Oggi proseguiamo nel discorso, ispirati da un’osservazione fatta pochi giorni fa da Giulio Pellizzari su alcuni giovani prodigiosi, poi sottolineata da Giovanni Ellena.

«Sicuramente è un fatto fisico e di crederci – ha detto Pellizzari parlando dell’inattesa vittoria del ventenne messicano Del Toro al Tour Down Under – ma secondo me la differenza la fa l’ambiente. A dicembre si è allenato con Pogacar, Ayuso, Hirschi e tutti più forti al mondo e quello secondo me fa tanto. Prendi consapevolezza dei tuoi mezzi, perché dalle voci che girano, in allenamento non era niente meno dei migliori».

«E’ una cosa giustissima – gli ha fatto eco Ellena – Pellizzari ha visto giusto. Il confronto con certi campioni, il fatto di pedalargli al fianco, ti fa scattare una molla: se lo fa lui, lo faccio anch’io. Se invece non sei con loro, chiaramente hai il dubbio e la paura. E’ una questione psicologica».

Moro (in primo piano) e Milan subito accanto sono entrati nel quartetto in modo fulmineo, grazie al lavoro di Montichiari
Moro (in primo piano) e Milan subito accanto sono entrati nel quartetto in modo fulmineo, grazie al lavoro di Montichiari

La sfida dei quartetti

Nella nazionale della pista, sarà pure per caso, ma dal momento in cui si è rimesso in moto il meccanismo dei quartetti, grazie agli allenamenti comuni a Montichiari sono saltati fuori anche giovani capaci di insidiare i titolari più forti. Prima Jonathan Milan e poi Manlio Moro hanno bussato fortissimo alla porta di Villa, al pari di quello che a breve potrebbe fare anche Federica Venturelli.

Non succede invece su strada, proprio perché manca la famosa squadra WorldTour in cui i giovani, pedalando accanto ai campioni, potrebbero imparare più rapidamente qualcosa sui loro limiti (in apertura Cunego e Simoni l Giro del 2005, ndr). Cercare di scoprirli in corsa rende tutto più complicato e lento: come andare all’esame universitario, avendo studiato sul libro del liceo. Allenarsi accanto a un campione di livello mondiale significa provare a prendergli le misure in ogni occasione. E se anche è vero che i giovani del ciclismo attuale sono poco propensi ad ascoltare consigli (questo dipende dal carisma di chi i consigli li vuole dare), la consapevolezza di tenere sempre più a lungo le ruote del numero uno al mondo ha dato certamente a Del Toro (e ad Ayuso prima di lui) la consapevolezza di valere più del minimo sindacale.

La Carrera di Boifava permise a Pantani di crescere e misurarsi accanto a Chiappucci
La Carrera di Boifava permise a Pantani di crescere e misurarsi accanto a Chiappucci

La catena dei leader

Tanto per dare un’idea, proviamo a ricordare il… passa parola che ha permesso ai vari leader del ciclismo italiano di formarsi accanto a campioni inizialmente più grandi di loro.

Gotti è passato professionista accanto a Bugno e ha vissuto sotto lo stesso tetto per quattro stagioni. Casagrande, che pure il Giro non l’ha mai vinto, ha approfittato di una stagione accanto a Franco Chioccioli. Pantani non lasciava passare un solo giorno senza prendere le misure a Chiappucci alla Carrera. Lo stesso romagnolo è diventato poi il riferimento di Garzelli alla Mercatone Uno. Non è stato forse Simoni il metro di paragone per il primo Cunego? Allo stesso modo Nibali, passando alla Liquigas accanto al miglior Di Luca, cercava quotidianamente il confronto. Così Bettini con Bartoli, Paolini con Bettini e anche Bennati, che si è formato guardando da vicino e tirando le volate di Cipollini. L’ultimo a beneficiare di un simile traino fu Aru con Nibali: non a caso i quattro anni trascorsi con il siciliano all’Astana sono stati i migliori della sua carriera.

Confidiamo che gli azzurrini passati nelle continental straniere abbiano la possibilità di allenarsi e crescere dal confronto con Vingegaard, Van Aert, Roglic, Gaudu, Quintana e tutti i campioni con cui potranno misurarsi.

Pozzovivo avrebbe avuto il profilo per ispirare e alzare il livello dei giovani in una professional?
Pozzovivo avrebbe avuto il profilo per ispirare e alzare il livello dei giovani in una professional?

Il coraggio di osare

Sappiamo bene che al cospetto di colossi come UAE Emirates, Visma-Lease a Bike e Bora-Hansgrohe, non ci sono professional che tengano. Alle nostre squadre manca però il coraggio di osare, investire su un corridore di nome, che diventi traino e ispirazione per i giovani del team. D’accordo, difficilmente un uomo di gran nome accetta di lasciare il WorldTour, eppure l’ha fatto Trentin e la Tudor ne trarrà certamente beneficio. Qualche anno fa la Eolo-Kometa aveva pensato a Viviani e poi a Nibali: sarebbe stato geniale. La Bardiani ha provato con Visconti, Modolo e Battaglin, ma non ha funzionato.

La politica di queste due squadre è quella di far crescere in casa i talenti migliori, che senza prospettive superiori diventeranno però appetibili per le squadre più grandi. La scelta di entrambe di non ingaggiare un corridore come Pozzovivo è comprensibile, ma fa riflettere. E’ stata valutato il vantaggio che la presenza di un così grande professionista avrebbe potuto avere sui giovani della squadra? Per Piganzoli o Pellizzari, due nomi a caso, provare a stargli a ruota in ogni santo giorno di allenamento sarebbe stato una scuola interessante. Avrebbe certamente meno senso prenderlo ora, con entrambi i ritiri alle spalle, perché quel che conta in certe operazioni è la quotidianità. Certi ragionamenti probabilmente andrebbero fatti a monte, quando si progetta un’impresa e si devono elencare i passaggi per realizzarla e gli indicatori di verifica per poterne infine valutare gli esiti.

EDITORIALE / Cinque squadre che tramano nell’ombra

30.10.2023
6 min
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La fusione sfumata fra Jumbo-Visma e Soudal-Quick Step è stata l’ammissione che così non si può andare avanti. Che i costi sono diventati difficili da sostenere anche per le squadre più grandi e che per continuare a dominare c’è bisogno di averne sempre di più, a fronte di sponsor che iniziano a farsi delle domande.

«Non credo che possano continuare così anno dopo anno – ha detto Pogacar da Singapore, parlando della Jumbo – sarebbe un po’ strano. Nel 2024 ci saranno anche alcuni cambiamenti. Primoz va alla BORA-Hansgrohe e con lui perdono un leader importante. E’ positivo che ci siano più squadre che hanno un forte blocco per i Grandi Giri, l’anno prossimo non sarà più Jumbo-Visma contro UAE Emirates. Ci sarà anche Remco e anche la Ineos sarà competitiva. Ciò non farà altro che arricchire ulteriormente il Tour de France».

Le parole di Pogacar sono giunte da Singapore, dove è impegnato nei Criterium del Tour (foto alenmilavec)
Le parole di Pogacar sono giunte da Singapore, dove è impegnato nei Criterium del Tour (foto alenmilavec)

Il tesoro del Tour

L’ultimo verbo, usato da Pogacar in riferimento ai contenuti tecnici della sfida, ha però anche altre sfumature: la corsa all’oro è nel vivo. All’indomani della presentazione del Tour de France infatti (foto ASO in apertura), l’agenzia di stampa Reuters ha diffuso una notizia sorprendente: cinque squadre di punta sarebbero in trattative per organizzare una competizione ciclistica alternativa. L’obiettivo è quello di limitare il potere dei grandi organizzatori e consentire l’afflusso di più denaro alle squadre.

Finora soltanto Flanders Classics, per bocca del suo CEO Thomas Van der Spiegel, aveva ventilato la possibilità di dividere i proventi dei diritti televisivi con le squadre. Stiamo parlando della società belga che organizza 70 prove in linea, tra cui il Giro delle Fiandre, la Coppa del mondo e il Superprestige di ciclocross. Gli altri soggetti dominanti del ciclismo, da ASO a RCS, hanno sempre preferito evitare il discorso. ASO non ha mai diffuso informazioni sul valore effettivo dei diritti del Tour. Tuttavia appare chiaro che per il gruppo, che pubblica L’Equipe e aveva fra le sue punte anche altre testate poi chiuse, la Grande Boucle rappresenti la principale fonte di guadagno.

L’ipotesi di rendere a pagamento salite come l’Alpe d’Huez è del tutto remota o rappresenta un fronte caldo?
L’ipotesi di rendere a pagamento salite come l’Alpe d’Huez è del tutto remota o rappresenta un fronte caldo?

Il costo del biglietto

Le squadre investono sempre di più ed è comprensibile che gli sponsor cerchino il modo di rientrare seppure parzialmente dei costi. Il punto è capire se questo sia possibile anche nel ciclismo.

I grandi sport professionistici di squadra possono contare su diversi introiti. Ad esempio c’è la vendita dei biglietti. Essa da una parte comporta la manutenzione degli impianti, ma garantisce un’importante fonte di guadagno. Negli anni 60 fu fatto il tentativo di far pagare un biglietto di ingresso per il Mont Ventoux e lo stesso sarebbe possibile teoricamente per l’Alpe d’Huez o il Mortirolo. Ci sarebbero da controllare gli accessi mediante l’assunzione di controllori e l’installazione di varchi, ma bisognerebbe anche essere certi che i numeri non inizino a calare. I tifosi potrebbero viverlo come un vero e proprio tradimento.

Una differenza sostanziale del ciclismo rispetto ad altri sport di squadra è anche che in nessun altro mondo lo sponsor dà il nome al team, come invece succede da noi. La Juventus si chiama Juventus e non Jeep. Il Milan è Milan e non Emirates. E se pure è vero che nella stessa corsa ci sono più marchi a sfidarsi e non solo due come in una partita di calcio, le tappe dei Grandi Giri hanno più traguardi intermedi e classifiche in cui più o meno tutti possono brillare di luce propria. Quale sport assicura ore e ore di diretta a una squadra che porta il nome del suo sponsor?

In Belgio si paga per seguire le gare di cross: lo spettacolo è così popolare che nessuno si stupisce
In Belgio si paga per seguire le gare di cross: lo spettacolo è così popolare che nessuno si stupisce

I diritti televisivi

E poi ci sono i diritti televisivi, la cui entità è obiettivamente da capire. Tolti i grandi Giri e qualche altra classica, infatti, sono poche le corse che riescono a coprire i propri costi. Per questo e non per amore della mondializzazione, si organizzano gare negli Emirati e nei vari deserti del mondo. Per sommare risorse che creino ricchezza, ma permettano anche di tenere in vita corse di prestigio come la Tirreno-Adriatico e la Parigi-Nizza. Gli organizzatori che con i diritti televisivi realizzano profitti li condivideranno con le squadre? Probabilmente no, come hanno dimostrato i precedenti tentativi di riformare il ciclismo professionistico su strada.

Perciò, come già nel 2012, ecco nuovamente la suggestione di creare un calendario parallelo, per affrancare i team dal potere dei grandi organizzatori. E’ successo nel golf e nel tennis, ad esempio, dove nuovi tornei sono nati e hanno affiancato quelli della grande storia. Secondo la Reuters, fra le squadre coinvolte ci sarebbero la Ineos Grenadiers e la Jumbo-Visma, anche se i rispettivi responsabili hanno preferito non commentare. Stessa reazione da parte di CVC Partners, società che dal 2006 al 2016 ha gestito la Formula Uno e nel 2020 fece la sua offerta per gestire la Serie A di calcio. Nell’articolo della Reuters sarebbe molto vicina al nuovo tentativo.

«Il ciclismo è un gigante addormentato – ha detto alla Reuters Richard Plugge, il team manager della Jumbo-Visma – e merita un modello di business migliorato. Per tutte le parti interessate, ma soprattutto per i team del WorldTour. L’unico modo per arrivarci è la cooperazione».

Sir Jim Ratcliffe, proprietario di Ineos, nel 2019 con Brailsford e Froome: il suo team dietro l’operazione?
Sir Jim Ratcliffe, proprietario di Ineos, nel 2019 con Brailsford e Froome: il suo team dietro l’operazione?

L’esempio belga

Ma siamo certi che la torta da dividere sia così grande e che il pubblico del ciclismo sia intenzionato a pagare per assistere a uno spettacolo che da quasi due secoli si svolge su strade aperte?

In Belgio l’hanno digerita. Il clamoroso ridisegno del Giro delle Fiandre con la creazione del circuito finale ha permesso a Flanders Classics di prevedere delle aree a pagamento, senza però escludere la possibilità per gli altri di assistere alla corsa liberamente. Nelle gare di cross si paga per entrare e per consumare, ma qui si tratta di circuiti facili da controllare e lo sport è così popolare che nessuno trova insolita la necessità di pagare per un tagliando.

Contador intervista per Eurosport Guillen, patron della Vuelta. Quando costerebbe mandare commentatori dall’Italia?
Contador intervista per Eurosport Guillen, patron della Vuelta. Quando costerebbe mandare commentatori dall’Italia?

L’esempio italiano

Nel resto d’Europa, il discorso è più complesso: in Italia senza dubbio. Basti pensare che la maggior parte degli spettatori televisivi tende a preferire il ciclismo su un canale in chiaro o relativamente economico come Eurosport. I costi per seguire i campionati di calcio e tornei altrettanto prestigiosi all’estero sono decisamente superiori. Chi acquista quei diritti (pagandoli profumatamente) sa di poterne recuperare una fetta addebitandoli agli utenti televisivi, cui però vengono garantiti servizi superiori.

Quanto costerebbe a Eurosport Italia mandare degli inviati alle corse, affinché possano commentarle dal vivo? E quali ripercussioni ciò avrebbe nei costi d’abbonamento?

Brian Cookson, qui con Sagan al Gala dell’UCI 2016, resta un attento osservatore del ciclismo
Brian Cookson, qui con Sagan al Gala dell’UCI 2016, resta un attento osservatore del ciclismo

«Come ha recentemente affermato John Lelangue – scriveva in un suo blog del 2020 l’ex presidente dell’UCI Brian Cookson – il ciclismo è sopravvissuto per più di 50 anni nel modo in cui sopravvive oggi. Non ci sono meno corridori o meno sponsor rispetto agli anni ’90 o 2000. Perché mettere in discussione un modello che funziona forse non perfettamente, ma che sicuramente si è evoluto e sviluppato nel corso degli anni in qualcosa che è quanto di più vicino a un modello economico? E anche se noi fan possiamo approvare, disapprovare o ignorare qualsiasi persona, prodotto, governo o organizzazione che paga per lo spettacolo, è lo spettacolo che amiamo e continueremo ad amare. E il fatto che, a pensarci bene, non lo paghiamo molto, lo rende ancora migliore».

EDITORIALE / La fusione saltata e il professionismo perduto

09.10.2023
5 min
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Se anche la squadra numero uno al mondo fa fatica a trovare lo sponsor, si leggeva qualche giorno fa sui social, allora siamo messi male. Prima doveva essere la Ineos Grenadiers che per prendere Evenepoel, avrebbe assorbito la sua squadra. Poi è venuta fuori la fusione con la Jumbo-Visma e in questo caso il giovane belga sarebbe probabilmente finito proprio alla Ineos. Adesso che anche la fusione con il team olandese è saltata, al Tour vedremo sfidarsi Pogacar, Roglic, Vingegaard ed Evenepoel (i due sono insieme alla Vuelta nella foto di apertura). Non male! D’altra parte, tuttavia, ci sarà da capire se ci saranno cicatrici nelle squadre coinvolte

Lefevere e Bakala si dividono il controllo della Soudal-Quick Step: 20 per cento al belga, 80 al ceko
Lefevere e Bakala si dividono il controllo della Soudal-Quick Step: 20 per cento al belga, 80 al ceko

Casa Soudal-Quick Step

La Soudal-Quick Step rimarrà fino al 2025, quando si concluderà la licenza WorldTour assegnata al gruppo di Lefevere. Patrick, che ne sa una più del diavolo, ne esce come colui che ha salvato il posto di lavoro a corridori e personale. Pare che non abbia avuto parte attiva nella trattativa per la fusione, gestita invece Zdenek Bakala. Il magnate della Repubblica Ceka, da anni a capo della squadra, ne detiene l’80 per cento contro il 20 di Lefevere. Cedere la squadra alla Jumbo-Visma avrebbe significato liberarsi dei costi di un team che non vince più come una volta.

Chiaramente la notizia ha riportato il buon umore nella squadra che ha bisogno di un forte rimpasto dirigenziale. Lefevere stesso non ha mai fatto mistero di cercare la via più breve per un buon pensionamento e forse la ricerca di un erede sarebbe auspicabile e indicata. Non è un mistero che la squadra sia scossa da tensioni interne, che abbia recentemente perso atleti importanti e che l’uscita di elementi come Ricardo Scheidecker, passato alla Tudor, abbia complicato i rapporti fra la componente del marketing e quella tecnica.

Le tensioni sono iniziate quando il padre di Evenepoel ha cominciato a sparare a zero sul potenziale del team: si capisce quanto sia urgente una guida che rimetta ciascuno al suo posto.

Bagioli al Gran Piemonte e Van Wilder alla Tre Valli hanno vinto d’orgoglio per sé e per la loro squadra
Bagioli al Gran Piemonte e Van Wilder alla Tre Valli hanno vinto d’orgoglio per sé e per la loro squadra

Casa Jumbo-Visma

La Jumbo-Visma si troverà senza sponsor a partire dal 2025. La catena di supermercati olandesi ha ritirato il supporto da quando Frits Van Eerd è stato arrestato. Il manager, che ne aveva fatto crescere il fatturato da 400 milioni a 10 miliardi, è accusato di riciclaggio. Ragione per cui, morto suo padre, l’azienda è passata nelle mani delle sorelle che hanno deciso di interrompere la sponsorizzazione, ritenendola troppo cara. Si parla di un importo intorno ai 12 milioni di euro all’anno.

In ogni caso, Richard Plugge si trova ora a dover gestire un buco piuttosto importante, dato che anche l’attesa sponsorizzazione di Amazon non sarebbe più sul tavolo. Si parla dell’interessamento del Pon Group, che detiene la proprietà di Cervélo e da poco anche delle scarpe Nimbl, ma i rapporti saranno ancora idilliaci, dopo che probabilmente la squadra avrebbe valutato di passare con Specialized?

Dal 2024 Roglic correrà con la Bora-Hansgrohe e sfiderà al Tour Pogacar, Vingegaard ed Evenepoel
Dal 2024 Roglic correrà con la Bora-Hansgrohe e sfiderà al Tour Pogacar, Vingegaard ed Evenepoel

Casa UCI

L’Unione Ciclistica Internazionale non ha parlato di opportunità. Si è pronunciata soltanto per ricordare alle squadre che qualsiasi operazione di questo tipo (la fusione) deve attenersi alle disposizioni del Regolamento UCI. Esse impongono infatti di garantire il rispetto delle disposizioni contrattuali per tutto il personale delle squadre coinvolte, dagli atleti allo staff.

Non un cenno alla struttura traballante del WorldTour, lasciato in mano al “bullismo tecnico” dei team più grandi. Nessuna riforma strutturale appare per ora all’orizzonte in un’organizzazione che propugna la mondializzazione del ciclismo, drenando risorse laddove i suoi cercatori sono in grado di trovarle, apparentemente a qualunque costo.

La prossima grande sfida per gli uomini di Aigle, nel cui Management Commitee permane Igor Makarov in barba agli atleti e i team russi banditi con la guerra all’Ucraina, è il mondiale in Africa. In precedenza il presidente Lappartient aveva insignito dell’Ordine al merito del ciclismo mondiale (massima onoreficenza UCI) Gurbanguly Berdimuhamedov. Per festeggiare, il dittatore turkmeno eletto con il 97 per cento dei voti e ora rimpiazzato da suo figlio, pedalò durante il World Bicycle Day tra migliaia di figuranti in bici. Non esistono atleti del Turkmenistan che prendano parte a mondiali o rassegne mondiali. Ugualmente si era previsto di far svolgere il mondiale su pista del 2021 nel nuovissimo velodromo di Ashgabat. Ciò non avvenne e la rassegna fu dirottata su Roubaix a causa del Covid e (si spera) per ragioni di opportunità.

David Lappartient attribuisce (online) a Berdimuhamedov l’Ordine al merito del ciclismo mondiale (foto Azatlyk Radiosy)
David Lappartient attribuisce (online) a Berdimuhamedov l’Ordine al merito del ciclismo mondiale (foto Azatlyk Radiosy)

Il ciclismo

«La fusione è stata un’ottima idea – avrebbe detto qualcuno presente al tavolo delle trattative – ma per metterla in pratica occorreva un po’ più di professionalità».

Probabilmente è vero, ma ribadiamo che sarebbe davvero necessario ristrutturare il professionismo, perché ci siano risorse per tutti e obblighi meno asfissianti. Nulla vieta di tornare a squadre di 20 corridori, che costino meno e lascino aperta la porta a più soggetti. Quello che abbiamo vissuto è la riprova che in parecchi livelli di questo sport manca del sano e concreto professionismo.

Il ciclismo, ha detto qualche giorno fa Argentin, era una famiglia che funzionava gestendo le situazioni nell’interesse di tutti. Questo non significa che si possano coprire magagne e responsabilità: nell’interesse della famiglia, mio padre mollava anche ceffoni indimenticabili. Al contempo, si assicurava che tutti avessero nel piatto ciò di cui avevano bisogno. Il ciclismo in mano a manager e avvocati che non lo conoscono rischia di perdere di vista le sue vere necessità. La corsa sfrenata all’oro, ne siamo purtroppo certi, non sarà priva di conseguenze. Un esempio su tutti: i gregari di Remco Evenepoel saranno contenti di tirare per uno che fino a ieri non vedeva l’ora di andarsene e magari ci starà ancora pensando?

EDITORIALE / Il popolo di IBF 2023 ha richieste precise

18.09.2023
6 min
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MISANO ADRIATICO – Ciascuno dei 53 mila visitatori di IBF 2023 (Italian Bike Festival) ha portato con sé occhi sgranati, competenza e voglia di conoscere. E quando poi ciascuno ha ripreso la via di casa, aveva con sé gadget e un’idea precisa di quale sarà la prossima bici, il completo, il casco e ogni accessorio. La fiera che per il secondo anno si è svolta attorno all’autodromo dedicato a Marco Simoncelli ha chiamato a raccolta un pubblico pazzesco, che soprattutto il sabato e la domenica ha portato con sé un entusiasmo traboccante.

Intendiamoci, il momento va gestito. Dopo il boom di vendite durante e dopo il Covid, sarebbe stato incauto aspettarsi che la bolla continuasse a gonfiarsi. Eppure l’interesse e la passione del pubblico rappresentano un capitale su cui le aziende produttrici dovrebbero ragionare con attenzione. Vale la pena tagliare fuori così tanta gente attuando una politica dei prezzi sempre e comunque al rialzo, oppure si può ragionare di normalizzare la situazione, autorizzando un ricambio più continuo e meno traumatico? L’alta gamma tira, come ogni bene di lusso che si rispetti, da quando però la bicicletta va considerata tale?

La nostra squadra a IBF: Alberto, Emiliano, Luciano, Gabriele, Enzo, Stefano e accosciati Matteo e Federica
La nostra squadra a IBF: Alberto, Emiliano, Luciano, Gabriele, Enzo, Stefano e accosciati Matteo e Federica

A casa di bici.PRO

Il pullman di bici.PRO e l’hospitality allestita con Leonilde Tresca e la Marina Romoli Onlus sono diventati n punto di passaggio, in cui incontrarsi per scambiare idee e sensazioni. Preziosi il conforto del Caffè Gabelò, le bottiglie ghiacciate di Gran Cuvée di Vini Fantini e i ravioli cucinati durante l’aperitivo del sabato. Ci sono diversi modo per fare il nostro mestiere. Quando si riesce a svolgerlo con rigore (stando alla larga dai pettegolezzi) e insieme divertendosi, non ci sono limiti che non si possano raggiungere e superare.

Il bello di un evento come IBF è infatti che ha concesso nuovamente spazio agli incontri. E proprio dal parlare continuo con i lettori, con i corridori e coloro che gestiscono aziende e territori, è emerso ciò che già lo scorso anno si era manifestato, ma non aveva ancora delimitato la sua vera dimensione. Il ciclismo sta cambiando.

Una filosofia nuova

Il ciclismo sta cambiando. I corridori e quelli che cercano di emularli ci saranno sempre, ma si sta facendo largo un’utenza che vuole prendersela più comoda, pur non rinunciando a contenuti tecnologici importanti. In quasi tutte le aziende che producono biciclette, accanto ai modelli superleggeri e rigidi, si affermano le versioni endurance: appena più pesanti e molto più comode. In questo caso nessuno storce il naso se al posto del Dura Ace si propone di montare il 105, anzi. Il fatto che Shimano (sorprendentemente assente) abbia puntato sul rilancio di questo gruppo fa pensare sia stata accolta la necessità di andare incontro alle esigenze del pubblico, senza rinunciare all’affidabilità.

Novizi e bambini

Non è un caso che il gravel sia uscito dalla nicchia e si confermi ancora di più il veicolo per conquiste non più scandite dal cronometro. Non è un caso che l’abbigliamento stia diventando sempre più tecnico, ma anche… stiloso. Forse dipende anche dalla ventata di nuovi ciclisti nati durante il Covid: donne e uomini che probabilmente ignorano la storia del Giro d’Italia, ma hanno capito alla grande il valore del ciclismo e del suo benessere.

Quel che più è piaciuto di IBF è stata anche la presenza importante di bambini, ben contenti di misurarsi negli spazi loro riservati. Nel momento in cui si fa così tanta fatica a trovare uno spazio sicuro per loro (chiedere a Elisa Balsamo), sapere che la bicicletta sia per loro il veicolo dei sogni rende anche più urgente la necessità di fare qualcosa per trovare quegli spazi.

Ciclomercato e sponsor

E poi sapendo leggere fra le righe e nelle frasi a mezza bocca, Italian Bike Festival ha aperto le porte sul mercato della bicicletta fra i team dei pro’. Così è parso di cogliere la traccia di importanti avvicendamenti sia sul fronte dei mezzi meccanici, sia su quello dell’abbigliamento. Il team Ineos Grenadiers parrebbe molto vicino alla spagnola Gobik. Invece il cambio nella proprietà di Lapierre potrebbe allontanare le bici di Digione dalla Groupama-Fdj, dopo anni di sviluppo concertato e proficuo. Radio gruppo parla di un ipotetico interessamento da parte di Wilier Triestina, ma il condizionale è d’obbligo: ci si muove nel campo delle ipotesi e per sapere come andrà a finire basterà aspettare poche settimane.

Accanto all’Area Food di IBF il palco delle premiazioni e delle interviste con i campioni
Accanto all’Area Food di IBF il palco delle premiazioni e delle interviste con i campioni

Il nostro impegno per domani

I 53 mila visitatori di IBF 2023 sono un esercito su cui vale la pena ragionare, che potrebbe spingere il ciclismo verso pratiche già in uso nel mondo delle auto e delle moto. A fronte di prezzi così elevati, che ormai hanno aperto la porta all’acquisto mediante finanziamento, perché non ragionare sugli affitti a lungo termine? Le bici usate dopo uno o due anni potrebbero poi infoltire il mercato dell’usato.

C’è una geografia economica da ridisegnare, ma la certezza che salta agli occhi è che la bici piace: lo abbiamo letto negli occhi di ciascuno di loro. Sarà nostra cura immaginare un mondo che possa andargli incontro e permettergli di vivere al meglio il loro sogno.

EDITORIALE / Vuelta, un altro giorno su cui riflettere

04.09.2023
4 min
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Era veramente impraticabile l’arrivo di ieri alla Vuelta? Ed è possibile che la decisione sia stata presa sulla base delle immagini social e televisive, senza che un ispettore di percorso e un giudice fossero sul posto per verificare?

In questo ciclismo che va così forte, sembra che alcune componenti siano ancora troppo lente, portando il ridicolo fino ai vertici più alti dello sport. Al Giro d’Italia si decise di moncare la tappa di Crans Montana sulla base di richieste non documentate, non mostrando le foto in possesso a chi aveva il compito di vigilare sul percorso. Al Giro Next Gen alcuni video su Instagram provocarono la squalifica dei corridori attaccati alle ammiraglie, mentre la Giuria aveva già omologato l’arrivo. Così anche questa volta si è neutralizzato il finale senza che un organo ufficiale del ciclismo internazionale si sia preso la briga di andare a verificare. E questo non va bene. Anche perché i corridori della Vuelta hanno poi proseguito fino al traguardo senza alcun problema. L’espressione di Kuss nella foto di apertura denota stupore: forse neppure il leader della Vuelta ha capito il perché della decisione.

Sulla stessa base sarebbe stata azzerata forse la tappa vinta da Quintana sul Terminillo nel 2015 e si sarebbero messe in discussione anche le Tre Cime di Nibali nel 2013. Non vogliamo dire che i corridori debbano andare al martirio e correre in qualunque condizione, ma pretendiamo scelte adottate su basi oggettive.

Così la strada alcune ore prima dell’arrivo. Nonostante la pulizia, la corsa è stata neutralizzata (immagini cyclinguptodate)
Così la strada alcune ore prima dell’arrivo. Nonostante la pulizia, la corsa è stata neutralizzata (immagini cyclinguptodate)

Social, la giuria parallela?

In questo caso non si tratta neppure di avere un protocollo per le condizioni avverse unificato e indeformabile, si tratta di portare nelle organizzazioni e in chi le sovrintende lo stesso professionismo che si pretende negli atleti e nei gruppi sportivi. Invece continuiamo a vedere percorsi disegnati senza apparenti criteri tecnici (come la cronosquadre di questa Vuelta) e decisioni prese per non doverne discutere dopo l’arrivo, come se chi è chiamato a prenderle abbia sul collo il fiato di rivendicazioni che non è sicuro di poter sostenere. Come se nella scuola il preside togliesse di mezzo le materie più spinose, per non subire le lamentele di alunni e genitori. E anche questo non va bene.

L’organizzatore ha il diritto di proporre il percorso e il dovere di disegnarlo secondo i criteri tecnici previsti dai regolamenti dell’UCI. L’UCI a sua volta ha l’obbligo di verificarlo. Può capitare che condizioni imprevedibili rendano il percorso impraticabile, ma la decisione di cambiarlo richiede ben altra presenza sul terreno. Altro che social…

La presenza di fango sull’asfalto interessava solo l’ultima rampa. Era davvero impossibile arrivare?
La presenza di fango sull’asfalto interessava solo l’ultima rampa. Era davvero impossibile arrivare?

UCI inadeguata o pigra?

La settimana scorsa, Salvatore Puccio fu purtroppo portatore di una profezia infausta, parlando di regolamenti, di chi dovrebbe prendere le decisioni e delle conseguenze drammatiche di gestioni troppo disinvolte.

Al via della Vuelta, a causa della pioggia e delle troppe curve della crono di Barcellona, De Plus è finito all’ospedale con l’anca fratturata. Quel percorso era sbagliato e la pioggia lo ha teso pericoloso. L’arrivo di ieri era davvero impraticabile? Kamna, Sobrero e i primi otto dell’ordine di arrivo lo hanno affrontato senza problemi, gli altri hanno concluso la corsa in anticipo. Sin dalla vigilia, l’ultimo chilometro (solo quello) appariva invaso dal fango, ma al momento del passaggio della corsa, la strada era pulita. Secondo alcuni, il problema riguardava anche il breve tratto di discesa prima dell’ultimo strappo: scivoloso, secondo Evenepoel, che ha ben accolto la neutralizzazione degli ultimi 2 chilometri. Un punto di vista piuttosto prevedibile il suo, considerando che nell’ultimo chilometro al 12 per cento, il belga avrebbe dovuto difendersi da altri attacchi di Roglic.

Quel che stona è il criterio attraverso il quale si è deciso di modificare il finale. L’UCI drena milioni di euro a tutti gli organizzatori, forse sarebbe il caso che destinasse maggiori risorse per gestire simili situazioni. Non si può accontentare tutti, ma non è improvvisando o chinando ogni volta il capo che si rende il ciclismo più affascinante.