Pogacar Merckx

Merckx VS Pogacar, l’opinione di Gregori

06.12.2025
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Ultimamente hanno fatto parlare le dichiarazioni di Roger De Vlaeminck sul paragone tra Merckx e Pogacar. Il belga ha rilasciato al quotidiano fiammingo Het Laatste Nieuws frasi come: «Pogacar non si avvicina nemmeno lontanamente alle dita dei piedi di Merckx». Oppure: «I giornalisti che fanno questo paragone non hanno la minima idea di cosa sia il ciclismo. Se avessi di nuovo 22 anni, Pogacar non sarebbe in grado di superarmi».

Dichiarazioni che a molti sono sembrate quanto meno avventate, considerando le imprese che ogni anno Pogacar sta mostrando al mondo. Ma qual è davvero il posto dello sloveno nella storia del ciclismo? Per capirne un po’ di più abbiamo contattato uno dei grandi maestri del giornalismo sportivo italiano, Claudio Gregori.

Claudio Gregori ha seguito dodici Olimpiadi, ventotto Giri d’Italia e tre Tour de France: una delle voci più autorevoli del giornalismo sportivo italiano
Claudio Gregori ha seguito dodici Olimpiadi, ventotto Giri d’Italia e tre Tour de France: una delle voci più autorevoli del giornalismo sportivo italiano
Claudio, cosa ne pensi delle frasi di De Vlaeminck? 

Quello di De Vlaeminck a mio modo di vedere è un discorso inaccettabile. Guarda ai corridori con cui si è confrontato, soprattutto Merckx dal quale ha perso molte volte. Poi è anche un corridore molto diverso da Pogacar, ma di fatto non analizza le vittorie, i numeri vanno anche pesati. Il ciclismo moderno è molto diverso dal loro, qui tutto è calcolato al millesimo, ogni grammo di carboidrati da prendere durante le gare, ogni caloria. Forse per questo De Vlaeminck vede questa epoca così differente dalla sua.

Tu invece la pensi diversamente?

Pogacar e Merckx sono due corridori diversi che hanno corso in epoche diverse. Facciamoli correre insieme per gioco. Pogacar è sicuramente più forte di Merckx in salita, anche semplicemente perché pesa 66-67 chili, mentre il belga aveva un peso forma di 74-75 chili. Merckx però aveva sicuramente un motore più potente, era più forte sul passo e in volata. Inoltre correva anche in pista, ha fatto il record dell’Ora e vinto 17 Sei Giorni.

Roger De Vlaeminck Parigi-Roubaix
Roger De Vlaeminck ha vinto 4 Parigi-Roubaix, come lui solo Tom Boonen
Roger De Vlaeminck Parigi-Roubaix
Roger De Vlaeminck ha vinto 4 Parigi-Roubaix, come lui solo Tom Boonen
In effetti i numeri del belga forse resteranno imbattibili…

I numeri dicono che Merckx in carriera ha oltre 500 vittorie, tra cui 11 Grandi Giri. Pogacar per ora è arrivato a 105 vittorie con 5 Grandi Giovani ri. Detto questo Pogacar è un campionissimo. Ha vinto 5 Giri di Lombardia su 5 partecipazioni, un dato incredibile. Certo, tra i risultato di Merckx spiccano le 7 Sanremo, come anche le 3 Parigi-Roubaix, mentre lo sloveno è ancora a zero. Ma bisogna anche vedere il modo, appunto pesare le prestazioni. Pogacar è arrivato secondo alla sua prima Roubaix, qualcosa di impensabile fino a pochi anni fa.

Forse è questa la sua grandezza?

Certamente. Nel ciclismo moderno sembrava impossibile entusiasmare con gli assoli, lui invece ha riscoperto questo modo di correre. Ancora più difficile da mettere in atto adesso rispetto a decenni fa. Ha vinto gli ultimi due campionati del mondo attaccando a 100 chilometri dall’arrivo, quando eravamo abituati al fatto che bastasse guardare gli ultimi 30-40 chilometri dall’arrivo. E questa cosa che lo rende amatissimo. Come alla Strade Bianche di quest’anno, quando sembrava tagliato fuori dopo la caduta, invece poi…

Pogacar è arrivato secondo alla sua prima partecipazione alla Roubaix, qualcosa di impensabile fino a soltanto pochi anni fa
Pogacar è arrivato secondo alla sua prima partecipazione alla Roubaix, qualcosa di impensabile fino a soltanto pochi anni fa
C’è poi il fatto che i paragoni veri si potranno fare solo a fine carriera. Quanto potrà correre ancora Pogacar?

Quanto vincerà ancora non lo sappiamo, secondo me potrebbe fare ancora 5-6 anni ad altissimo livello. Però qualche confronto con altri campioni lo possiamo già fare. Per esempio Hinault ha vinto 10 Grandi Giri e solo 5 Classiche Monumento, e credo che Pogacar gli sia già superiore ora, proprio perché è più spettacolare.

Spesso sentiamo dire che però questi assoli solitari stufano. Qual è la tua opinione?

Io mi diverto a guardarlo. Trovo bellissimo che tutti lo si aspettino e lui si presenti sempre puntuale, come a Kigali. Lì il duello con Evenepoel è stato bellissimo, perché poi gli avversari li ha eccome in certe gare. Ritenterà di vincere la Sanremo, una corsa che ha sempre acceso lui negli ultimi anni, e troverà ancora Van der Poel. Lo stesso vale per la Roubaix. Comunque non credo che sia noioso, come non credo che Coppi abbia ammazzato il Giro d’Italia durante la famosa Cuneo-Pinerolo nel ‘49. La gente era lì assiepata con il cronometro in mano, a vedere il distacco con Bartali. Il ciclismo non è bello solo per conoscere il vincitore di una gara, ma anche per l’azione in sé.

Campionati Europei 2025, Evenepoel, Pogacar, Seixas
Secondo Gregori, Evenepoel è il rivale più temibile dello sloveno
Campionati Europei 2025, Evenepoel, Pogacar, Seixas
Secondo Gregori, Evenepoel è il rivale più temibile dello sloveno
Quindi non è vero che Pogacar, a differenza del Cannibale, non abbia rivali all’altezza?

No, e l’abbiamo visto al Tour de France con Vingegaard. Anche se penso che il più temibile sia Evenepoel. Ha due anni in meno di lui, è stato frenato da incidenti molto gravi e comunque ha vinto ha vinto due ori olimpici, quattro mondiali, quattro europei, una Vuelta, cioè ha dimostrato che può lottare nei Grandi Giri. Certo Pogacar è più forte in salita, ma il belga è un cagnaccio e ha la mentalità del campione assoluto.

Claudio, quindi secondo te che posto avrà (o ha già) Pogacar nella storia del ciclismo?

Per ora vale ancora la definizione di Gian Paolo Ormezzano: “Merckx il più forte, Coppi il più grande”. Ma fra tre anni credo che tra loro due potremmo senza dubbio inserirci anche il campione sloveno.

La storia di Fuente, lo “spauracchio” di Merckx

30.06.2025
6 min
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«Di avversari ne ho avuti tanti, ma quello che mi ha fatto davvero dannare in salita è stato uno: José Manuel Fuente». Un’attestazione di stima da parte di Eddy Merckx che arriva con molti anni di ritardo per “El Tarangu”. Così era chiamato, “lo smemorato”, com’era soprannominato l’asturiano, morto a soli 50 anni per una pancreatite acuta. Colpo di grazia da parte di un fisico che gli aveva sempre dato problemi, ostacolando il suo talento. Oddio, anche la testa ci metteva del suo, considerando alcuni attacchi scriteriati che gli sono costati più di un successo.

L’iberico era il prototipo dello scalatore puro, tutto scatti e rilanci, ma faticava a tenere velocità
L’iberico era il prototipo dello scalatore puro, tutto scatti e rilanci, ma faticava a tenere velocità

Uno scalatore tutto talento

Fuente però era uno scalatore sopraffino, purissimo. Forse il vero prototipo di colui che appena vede la strada rizzarsi sotto le ruote si scatena e stacca tutti. In questo senso era l’espressione di quel talento che, quando lo guardi, pensi sia un dono della natura, come una giocata di Maradona o una volée di Federer. José lo aveva capito subito, si era innamorato ben presto della bici. Sul finire degli anni Sessanta, aveva capito che attraverso di essa poteva affrancarsi dalla sua condizione di povertà contadina nella quale era nato. Non erano certo i tempi odierni, non giravano tanti soldi nel mondo delle due ruote, ma per lui significava comunque fare la differenza.

Il primo suo anno fra i grandi è il 1970: esordisce fra i grandi con una vittoria di tappa al Giro di Catalogna e si distingue alla Vuelta (allora antipasto del Giro d’Italia) finendo 16° ma conquistando la maglia di miglior giovane. L’anno dopo è già maturo per grandi traguardi. Visto che la Vuelta non è andata bene, si schiera al via sia al Giro che al Tour. La classifica è ancora qualcosa di troppo grande, ma intanto si fa vedere cogliendo la vittoria a Pian del Falco e, alla Grande Boucle, a Luchon e Superbagneres. Fuente ormai è pronto…

Lo spagnolo era alla Kas, che al tempo univa quasi tutti i migliori spagnoli del momento
Lo spagnolo era alla Kas, che al tempo univa quasi tutti i migliori spagnoli del momento

La storia di Fuente, la storia della Kas

Nel 1972 passa all’incasso. L’asturiano corre nella Kas, formazione che raggruppa molti dei migliori corridori iberici. Alla Vuelta è uno squadrone che lascia agli avversari le briciole e per i direttori sportivi c’è da lavorare per tenere in ordine le aspirazioni singole. Fuente parte come leader insieme a Miguel Maria Lasa che conquista subito la maglia amarilla, per poi passarla dopo due giorni a Domingo Perurena. Il giovane rampollo aspetta il suo turno e questo arriva a Formigal, dove bisogna decidere solo chi vince, perché fra i primi 8 di classifica ci sono 6 dello stesso team. Fuente fa il vuoto, guadagna quasi 7’, la maglia è sua. Ora però non c’è tempo per riposare: dopo una settimana parte il Giro e lo spagnolo sogna di staccare anche il Cannibale…

Al Giro è subito pronto a graffiare e lo fa non in una tappa semplice, ma sul Blockhaus, dove Merckx aveva già trionfato. Il belga non si aspetta che quello spagnolo vada così forte, invece gli scatta in faccia e al campionissimo non resta che lasciarlo andare e limitare i danni. Fuente va a prendersi la maglia rosa, ma certe malizie del ciclismo ancora non le conosce. Merckx si mette d’accordo con Gosta Pettersson, lo svedese campione uscente, e gli tende un tranello a Catanzaro, lo spagnolo ci casca e perde la rosa. Il fatto che sia il più forte in montagna è la sua delizia ma anche la sua croce: appena la strada si rizza lui prova, senza contare su alcuna tattica, senza strategie. E nella tappa dello Jafferau paga pegno: attacca troppo da lontano, finendo per spomparsi. Merckx ringrazia, sullo Stelvio lo tiene a bada lasciandogli la vittoria e alla fine vince con 5’30” di vantaggio.

L’asturiano insieme a Ocana, grande rivale “interno” che ebbe più fortuna

Galibier e Izoard, una sfida come sul ring

Nel ’73 Fuente sceglie un approccio più soft al Giro perché la corsa rosa gli piace, e tanto. Niente Vuelta, nella corsa rosa vince il tappone di Auronzo di Cadore e riconquista la maglia verde, ma in classifica è solo 8°. Il suo vero obiettivo però è il Tour, disertato dal Cannibale così sono in tanti ad ambire al successo. La sua partenza è ad handicap perché sul pavé proprio non va, rimbalza, finisce che perde oltre 7’. In salita prova a riprendersi e nella tappa di Galibier e Izoard regala un grande spettacolo con il compatriota Luis Ocana, si sfidano con scatti a ripetizione ma alla fine è quest’ultimo a spuntarla, staccandolo di 58”. Fuente finirà terzo in classifica, dietro lo stesso Ocana e Thevenet e pochi si accorgono che così è il primo iberico a salire sul podio dei tre grandi giri. Impresa per pochi…

L’anno dopo si prende la rivincita alla Vuelta, portando il francese al ritiro dopo la prima settimana e battendo lo stesso Ocana che non sale neanche sul podio. Ma nella cronometro finale un lungo brivido gli scorre lungo la schiena, con quel traguardo che non arriva mai mentre il portoghese Agostinho quei chilometri se li è mangiati. Alla fine la spunta per soli 11”: al traguardo non riesce neanche a esultare, tanta è stata la fatica.

Fuente in rosa. La sua grande occasione è stata nel ’74, quand’era reduce dal secondo successo alla Vuelta
Fuente in rosa. La sua grande occasione è stata nel ’74, quand’era reduce dal secondo successo alla Vuelta

L’attacco a Sanremo e la crisi sul Longan

Torna al Giro, alla terza tappa a Sorrento è già in rosa e inizia a colpire Merckx come farebbe un pugile sul ring, mettendo l’avversario alle corde e tempestandolo di colpi: sul Carpegna gli rifila 1’05”, al Ciocco 41” e nella cronometro di Forte dei Marmi i secondi gli sono ancora favorevoli, ne salva 18”. Merckx comincia a paventare la sconfitta, perché arrivano le Alpi ma ancora una volta Fuente non sa gestirsi. Nella tappa di Sanremo va all’attacco troppo presto e sul Longan va in crisi nera perdendo 8’.

Il seguito è un lento recupero: 2’21” sul Monte Generoso, 13” a Iseo, 1’47” sulle Tre Cime di Lavaredo. Tappe che non fanno che confermare che contro Merckx, contro “quel” Merckx avrebbe potuto vincere, con una condotta meno scriteriata perché il belga non lo teneva. E’ l’ultimo squillo della sua carriera, nel 1976 si ritira per problemi renali che lo porteranno anche a un trapianto, fino alla sua scomparsa.

Il corridore di Limanes, nel ’76 affiancò Gimondi alla Bianchi, ma i reni iniziavano a dare grandi problemi
Il corridore di Limanes, nel ’76 affiancò Gimondi alla Bianchi, ma i reni iniziavano a dare grandi problemi

Il problema dell’iperinsulinemia

Solo con il tempo si scoprirà che Fuente era affetto da iperinsulinemia, uno scompenso di glucosio che lo portava in date condizioni ad andare in crisi, senza un’alimentazione e un’idratazione adeguata. Oggi sarebbe uno scherzo risolvere il problema ma allora erano altri tempi e forse il fatto che a fronte dei suoi ripetuti scatti aveva difficoltà a tenere alti ritmi senza dover subito rilanciare si deve proprio a questo. Ma in salita faceva male, eccome…

Pogacar e VDP al vaglio di De Vlaeminck, maestro severo…

25.05.2025
6 min
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E pensare che lo consideravano un burbero, uno strafottente. Ma dove lo trovi un campione che in una domenica pomeriggio di Giro d’Italia prende il cellulare e ti chiama da migliaia di chilometri di distanza, guardando anche lui la corsa rosa e si mette a chiacchierare amabilmente? Lui è Roger De Vlaeminck, “monsieur Roubaix, considerato ancora oggi un maestro delle Classiche. Uno dei tre capaci di fare il Grande Slam, vincendo tutte e 5 le Monumento.

«Io sono sempre stato onesto – sorride – ho sempre detto tutto con sincerità senza ipocrisie. Mi criticano perché dico che quasi tutti i campioni di oggi ai miei tempi non avrebbero vinto una corsa. Ma pensate che anche gli altri, anche lo stesso Eddy Merckx non pensino la stessa cosa? E’ che per quieto vivere non lo dicono, ma io a 78 anni non devo rendere conto a nessuno…».

L’ultima sua Monumento, la Milano-Sanremo del 1979, battendo Saronni, Knudsen e Merckx
L’ultima sua Monumento, la Milano-Sanremo del 1979, battendo Saronni, Knudsen e Merckx

Passista veloce? No, molto di più…

Non è un’intervista, quella che prende il via guardando le imprese della carovana rosa è più una chiacchierata fra presente e passato. De Vlaeminck è stato capace di vincere 3 Sanremo, 4 Roubaix, 2 Lombardia più un Fiandre e una Liegi. L’esempio del ciclista completo, eppure tutti, pensando a lui lo ricordano come un semplice passista veloce.

«Passista veloce io? Ma io vincevo anche le crono, ho battuto gente come Moser contro il tempo. Sai qual è la vittoria più bella per me? Non è una classica, ma il Giro di Svizzera del 1975 perché in un giorno battei Merckx 3 volte: in linea, a cronometro e nella classifica finale. Eddy era un riferimento per tutti: con lui in gara non c’era bisogno di fare strategie, bastava seguirlo e se ne avevi, provare a batterlo. A me riuscì, anzi quando completai la mia collezione con il Fiandre del ’77 avrei voluto che secondo fosse lui, non Teirlinck».

De Vlaeminck insieme a Merckx: «Tutti lo imitavamo, nell’alimentazione come negli allenamenti» (foto Rouleur)
De Vlaeminck insieme a Merckx: «Tutti lo imitavamo, nell’alimentazione come negli allenamenti» (foto Rouleur)

Quel Giro perso per la sella…

Eppure pensare a De Vlaeminck vincitore del Lombardia sembra quasi una contraddizione in termini: «Ma l’ho fatto due volte, nel ’74 e ’76. Non ero proprio negato per le salite, solo che nel mio curriculum non ci sono Grandi Giri. Io però penso che il Giro d’Italia del ’75 avrei anche potuto vincerlo, se non è successo è a causa di un errore di  un meccanico, che nella quarta tappa mi alzò la sella di un paio di centimetri. Col risultato che mi vennero i crampi sulla salita di Prati di Tivo e persi 4 minuti. Vinsi 7 tappe e su 23 in totale fui fuori dai primi 8 solo due volte. Avevo una gamba eccezionale e nel Giro di Svizzera successivo lo dimostrai».

Ma c’è anche un’altra ragione: Roger era figlio di un ciclismo dove si pedalava sempre, si era al top all’inizio come alla fine della stagione. Un po’ come avviene oggi: «Non facciamo di questi paragoni. Uno solo è di quel tipo e si chiama Tadej Pogacar. Lo sloveno mi piace, emerge dappertutto, a marzo come a ottobre. Si vede che ha fame di successo. Gli altri? Confermo quel che ho detto, non avrebbero vinto una corsa ai miei tempi».

Van der Poel e Pogacar. Entrambi a caccia del Grande Slam, ma per Roger solo lo sloveno può…
Van der Poel e Pogacar. Entrambi a caccia del Grande Slam, ma per Roger solo lo sloveno può…

Giudizi impietosi sul ciclismo di oggi

Neanche Van der Poel? «Van der Poel lo vedi emergere nelle classiche, fa la volata e vince, ma poi? Dove lo vedi più? Come va a cronometro? E quando la strada si rizza sotto le ruote? Non è completo, sicuramente la Roubaix sa interpretarla, ma d’altronde è un campione del ciclocross. Anch’io facevo ciclocross, ho anche vinto il mondiale del ’75. Ne facevo 15 proprio per preparare la stagione su strada e anche lì c’era gente forte. Correvo senza particolare preparazione, soprattutto per guadagnare, eppure ne ho vinti 112…».

Su un aspetto, De Vlaeminck è particolarmente “battagliero”: «Tutti paragonano Pogacar a Merckx, ma c’è una cosa profondamente diversa: la caratura degli avversari. Eddy aveva veri campioni che lo contrastavano e che non hanno vinto e sono diventati celebri come avrebbero potuto proprio perché c’era lui che si prendeva tutto. Oggi Tadej chi ha come rivali?».

Il belga di Eeklo, classe 1945, in sella alla sua Gios. Con la famiglia ha una forte amicizia (foto Barlaam)
Il belga di Eeklo, classe 1945, in sella alla sua Gios. Con la famiglia ha una forte amicizia (foto Barlaam)

L’assenza di campioni italiani

Eppure si dice sempre che questa è l’epoca d’oro del ciclismo, quella fatta di grandi fenomeni… «Tutti settoriali. Vingegaard lo vedi al Tour e basta, se va bene magari emerge in un altro Grande Giro e qualche corsa a tappe, ma nelle classiche dov’è? Van Aert si sta spegnendo, Evenepoel gareggia col contagocce. Pogacar mi piace perché fa tante corse e le fa sempre al massimo. Lui ha lo spirito che avevamo noi».

E’ un ciclismo che ti piace? «No, per nulla, lo trovo noioso. Alla Roubaix si sapeva che ce n’erano solo due che potevano vincere, alla Sanremo tre perché c’era anche Ganna. Il ciclismo di oggi soffre molto l’assenza degli italiani, cinquant’anni fa ce n’erano almeno 15 fortissimi, che potevano vincere dappertutto, oggi tolto Filippo a cronometro chi c’è? Ve lo posso assicurare: vincere contro Gimondi, Moser e Saronni non era per nulla facile…».

Insieme a Francesco Moser, rivale di tante battaglie ma anche compagno alla Sanson nel ’78
Insieme a Francesco Moser, rivale di tante battaglie ma anche compagno alla Sanson nel ’78

Tadej e un Grande Slam legato alla fortuna

Pogacar e Van der Poel sono a due vittorie dal Grande Slam, potranno farcela? «Tadej penso di sì, è il migliore in tutte le corse, tra Sanremo e Roubaix avrà solo bisogno di un po’ di fortuna, soprattutto nella prima che è più difficile da interpretare. VDP no, lui è solo per le Classiche del Nord. Lo vedi tra Sanremo e Roubaix, poi diventa uno dei tanti».

Rispetto ai suoi tempi però quel che è cambiata profondamente è la preparazione: «Io non credo che tanti si allenino più di quanto facevamo noi. Io dopo la Gand-Wevelgem, che allora era l’antipasto della Roubaix, facevo altri 140 chilometri, arrivando a 400 a fine giornata. E per allenarmi per bene per la Roubaix, con mio fratello Erik (7 volte iridato di ciclocross, ndr) andavamo in campagna cercando i contadini che avevano appena passato il trattore sul campo e pedalavamo il più possibile dentro il solco. Oppure andavamo sui binari dei treni, per acquisire maneggevolezza della bici. Dicevano che in bici ero il più elegante, adesso sapete perché…».

Pogacar, che fatica uscire dall’ombra del Cannibale…

30.04.2025
5 min
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Il dannato paragone con Merckx sembra una tappa che Pogacar sarà destinato ad affrontare per tutta la vita e non sarà possibile stabilire se ne avrà mai passato il traguardo. Nei giorni successivi alla disarmante vittoria della Liegi, media di ogni genere si sono sforzati di cercare punti di contatto e differenze, immaginando che gli avversari del vero Cannibale si siano sentiti come quelli attuali dello sloveno. «Mi è stata posta questa domanda tantissime volte – ha detto Pogacar –  e io non posso che essere felice e umile perché ho un talento incredibile per il ciclismo».

Troppo intelligente per esporsi. Probabilmente gratificato dal fatto che tanti intorno a lui abbiano tempo da dedicare alla faccenda. Fondamentalmente disinteressato da tutto quello che accadde così tanti anni fa.

Tadej Pogacar ha 26 anni e 7 mesi. E’ professionista dal 2019, ha vinto 95 corse
Tadej Pogacar ha 26 anni e 7 mesi. E’ professionista dal 2019, ha vinto 95 corse

I Giri di Merckx

I Belgi di Het Nieuwsblad, che probabilmente hanno voluto rivendicare l’originalità del… “cannibalismo merxiano”, hanno così messo qualche picchetto per evitare che il vento delle parole porti il discorso troppo lontano.

Pogacar si è annunciato a 20 anni, vincendo tre tappe della Vuelta 2019 e salendo sul podio. L’anno dopo ha vinto il primo Tour. A distanza di cinque anni, ha in bacheca tre maglie gialle e una rosa, con 17 tappe in Francia e 6 al Giro.

Cosa aveva combinato Merckx nei Grandi Giri all’età di Pogacar? Aveva partecipato al Tour solo per tre volte (contro le cinque di Pogacar), vincendole tutte e tre, con 20 vittorie di tappa. Aveva già vinto il Giro per due volte (su 3 partecipazioni), con 12 tappe vinte.

Pogacar si è agganciato al treno di Hinault e Merckx, due campionissimi nelle classiche e nei Giri
Pogacar si è agganciato al treno di Hinault e Merckx, due campionissimi nelle classiche e nei Giri

Tutti i Monumenti

Stando ai numeri, un altro dei motivi per cui l’attuale campione del mondo viene paragonato al belga è la capacità di vincere su tutti i terreni, in mezzo a tanti campioni specializzati su una sola tipologia di gare. Anche Merckx era così. L’elenco delle vittorie di Pogacar è impressionante: 2 volte il Fiandre, 3 volte la Liegi, 4 Lombardia, 2 Freccia Vallone, 3 Strade Bianche e un’Amstel Gold Race.

Alla stessa età, Merckx aveva vinto 4 volte la Milano-Sanremo, 2 volte la Parigi-Roubaix, 3 Liegi, 3 Freccia Vallone, 2 volte la Gand-Wevelgem e un Fiandre. Per lui 10 vittorie nei Monumenti, mentre Pogacar ne ha 9. Una sola gara di scarto, con la differenza che Merckx le aveva già vinte tutte, mentre la Sanremo e la Roubaix sono ancora indigeste per Tadej.

In aggiunta si fa notare che alla stessa età, Merckx fosse già alla seconda maglia iridata e, alla stessa età di Pogacar, fosse arrivato alla Liegi con 141 vittorie da professionista contro le 95 dello sloveno.

Quaranta corridori a Liegi lottando per il 4° posto: era davvero impossibile inseguire Pogacar?
Quasi quaranta corridori a Liegi lottando per il 4° posto: era davvero impossibile inseguire Pogacar?

Quaranta inseguitori indecisi

Dopo il terzo posto della Liegi, Ben Healy si è avvicinato al fresco vincitore e gli ha chiesto quanto tempo gli manchi per andare in pensione. «Ho un contratto fino al 2030 – gli ha risposto ridendo Pogacar – forse sarà quello l’anno giusto».

Il senso di impotenza dei rivali è paragonabile a quello dei tempo di Merckx, anche se alcuni comportamenti hanno dato da pensare anche all’entourage di Pogacar.

«E’ la prima volta nella mia vita – ha detto Matxin, capo della gestione sportiva del UAE Team Emirates – che vedo quaranta corridori arrivare insieme a Liegi per giocarsi il 4° posto. Se fossero andati d’accordo, forse sarebbero riusciti a raggiungere Tadej».

Dopo la Liegi, Healy sconsolato ha chiesto a Pogacar fra quanti anni andrà in pensione
Dopo la Liegi, Healy sconsolato ha chiesto a Pogacar fra quanti anni andrà in pensione

La fatica del pavé

E a proposito del fatto che l’Amstel Gold Race abbia mostrato un Pogacar meno incisivo, il tecnico spagnolo ha convenuto che quel giorno qualcosa non sia andato nel modo migliore.

«Tadej ha solo 14 giorni di gara – ha detto – e ha viaggiato anche poco, per cui riesce a recuperare perfettamente. Tre giorni tra l’Amstel e la Freccia, poi quattro prima della Liegi, sono ben altra cosa rispetto ai Grandi Giri quando deve essere attento e sotto tensione ogni giorno. Il passaggio più impegnativo è stato dovuto al fatto che prima delle Ardenne, Tadej ha corso per due volte sul pavé, al Fiandre e alla Roubaix, e anche per lui non è stato facile riadattarsi».

E adesso Vingegaard

A proposito di differenza rispetto a Merckx, dopo aver vinto come Pogacar la Liegi e la Freccia tra i 26 e i 27 anni, il belga andò al Giro e lo vinse, correndo nel mezzo anche Francoforte e altre tre corse. Poi, battuto da Godefroot al campionato nazionale, andò al Tour de France e vinse pure quello.

Pogacar invece dopo la Liegi si è preso una settimana di stacco totale dalla bicicletta e poi si sposterà a Sierra Nevada per preparare il Tour cui arriverà dopo il Delfinato. E in Francia troverà Vingegaard, che per problemi mai risolti arriverà al Delfinato con 10 giorni di corsa e senza aver fatto una sola classica. Capito perché è davvero impossibile tentare qualsiasi tipo di paragone?

EDITORIALE / La storia del ciclismo e i record che cadranno

14.04.2025
5 min
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BRUXELLES (Belgio) – Si torna a casa dopo la prima parte del Nord ragionando sulla terza Roubaix consecutiva di Van der Poel, 45 anni dopo il record di Moser. E’ passato davvero un tempo lunghissimo e questo dà la misura della eccezionalità del trentino e di come i record del passato non siano soltanto bersagli da luna park. Alle nostre spalle abbiamo campioni eccezionali e sarebbe sbagliato pensare che il nuovo corso così spettacolare li farà dimenticare. E’ vero, ci sono stati passaggi di cui il ciclismo avrebbe fatto a meno, ma prima di quelli c’è stata una storia così ricca ed emozionante con cui Pogacar e Van der Poel dovranno fare a lungo i conti e non è detto che riusciranno a uguagliarla.

Van der Poel è in fuga verso altri record, ma la strada non è sempre semplice
Van der Poel è in fuga verso altri record, ma la strada non è sempre semplice

I record che non cadono

Sembrava scontato che Van der Poel avrebbe vinto il quarto Fiandre, ma ha trovato sulla sua strada il solito Pogacar pazzesco che glielo ha ricacciato in gola. Probabilmente ci riuscirà nei prossimi anni, ma potrebbe anche non accadere mai. Anche Boonen sembrava lanciato verso il poker, ma dopo la terza vittoria trovò sulla sua strada un Cancellara altrettanto pazzesco che in un modo o nell’altro spense la sua voglia di record. E lo stesso Cancellara, giunto al tris, avrebbe potuto fare poker nel 2016, il suo ultimo anno da corridore, ma dovette inchinarsi a Sagan.

Ancora Boonen si è fermato a quota quattro Roubaix, agganciando il fantastico record di Roger De Vlaeminck. Sembrava che sarebbe riuscito a passarlo, in un modo o nell’altro, ma dovette inchinarsi a sua volta a Terpstra, Hayman e Van Avermaet: chi avrebbe potuto immaginarlo? Eppure accadde.

Resiste e resisterà chissà per quanto il record dei cinque Tour, vinti da Anquetil, Merckx, Hinault e Indurain. Contro quel muro si è fermato Froome e chissà se l’aggancio riuscirà a Pogacar o a Vingegaard. Ci riuscì Armstrong, che arrivò addirittura a quota sette, ma qui il discorso merita un distinguo. Se si accetta che in quegli anni dal 1999 al 2005 tutto il gruppo viveva al pari dell’americano, allora il record resta. Se invece ci fu disparità anche nei confronti dei colleghi, allora il record dei 5 Tour è ancora saldamente al suo posto. I sette successi di Lance esistono di fatto solo nella memoria di chi li ha vissuti. Probabilmente quelli sono gli anni di cui avremmo fatto a meno, ma è inutile piangere sul latte versato. Bene fa il ciclismo ad andare avanti nel segno di altri valori.

Al Tour de France del 2021, Cavendish ha agganciato Merckx a quota 34 vittorie, lo ha battuto nel 2024
Al Tour de France del 2021, Cavendish ha agganciato Merckx a quota 34 vittorie, lo ha battuto nel 2024

La saggezza di Pogacar

I record sono fatti per essere battuti, alcuni infatti sono caduti e altri cadranno. Nel 2003 Cipollini ha vinto la 42ª tappa al Giro d’Italia, battendo un primato stabilito da Alfredo Binda nel 1933: giusto 70 anni prima. Lo scorso anno, Cavendish ha battuto con 35 tappe vinte al Tour il record di Merckx stabilito nel 1975: 49 anni prima. I record sono fatti per essere battuti, ma non si deve cadere nella faciloneria di pensare che con essi si cancelli lo spessore di chi li deteneva. Perché Binda nel frattempo, restando nell’ambito del Giro, vinse per 5 volte la classifica generale. E ugualmente limitandoci all’ambito del Tour, Merckx conquistò per 5 volte la maglia gialla.

In questi giorni di prodigiose imprese, che sembrano stratosferiche a noi più… giovani che non abbiamo vissuto gli anni di Merckx e Gimondi, si sente spesso accostare il nome di Pogacar a quello del Cannibale belga. E’ chiaro che nell’era dei facili social, il paragone è ritenuto accettabile, ma siamo certi che lo sia? Tadej potrà anche ricordare la fame di Merckx, ma per raggiungerlo, dovrebbe vincere per 7 volte la Sanremo, altre 4 volte il Giro, altre 2 volte il Tour, altre 2 volte il mondiale. Pogacar è probabilmente più intelligente dei tanti che cercando di appuntargli la stella sul petto e ha sempre rifiutato ogni confronto. Fa bene ed è proprio questa sua modestia a renderlo così amato. Anche perché basta uno starnuto della dea bendata perché le vittorie sfuggano, in anni che non sono mai uguali fra loro.

Pogacar, qui con la compagna Urska, si è misurato con la Roubaix: un test bellissimo, vanificato da un solo errore
Pogacar, qui con la compagna Urska, si è misurato con la Roubaix: un test bellissimo, vanificato da un solo errore

Uno sport di giganti

Vengono in mente anche le parole di Elisa Longo Borghini alla vigilia del Fiandre. Parlando della Milano-Sanremo dedicò un tributo sacrosanto alle ragazze di ieri. Sembra che il ciclismo femminile sia nato con il WorldTour, dimenticando grandi atlete come Jeannie Longo e Fabiana Luperini. Donne capaci di vincere a ripetizione il Tour de France e il Giro d’Italia quando i giorni di corsa erano più di adesso.

Si tende a cadere anche nell’errore di dirsi che le performance di oggi siano così superiori, da annichilire i campioni del passato. Come dire che i soldati di oggi siano più valorosi di quelli che scendevano sul campo di battaglia con il moschetto e la baionetta. In realtà ogni periodo storico ha avuto le sue armi, i suoi valori e le sue tecnologie. I campioni hanno sempre avuto accesso al meglio del loro tempo, anche quando correvano con bici da 15 chili su strade di fango. E grazie a quello che avevano, hanno inscenato i duelli pazzeschi che hanno fatto innamorare generazioni di tifosi, rendendo il ciclismo uno sport di giganti. Ma davvero crediamo che le sfide fra Coppi, Bartali, Anquetil, Magni, Koblet, Gimondi, Merckx, Poulidor, Hinault, Lemond, Fignon, Moser e i campioni che si sono succeduti negli anni fossero meno emozionanti delle attuali?

Saronni e il primo Pogacar. La Vuelta della sua esplosione

03.10.2024
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Passano i giorni, ma l’eco della straordinaria impresa iridata di Tadej Pogacar non si spegne, soprattutto per come essa è arrivata. Per la dinamica che ha esaltato da una parte la sua follia, dall’altra la sua clamorosa superiorità sulla concorrenza. Sono ripartiti i confronti con i grandi del passato e c’è già chi afferma che siamo di fronte al più grande ciclista di sempre.

Andando più in là in questi discorsi di confronto che lasciano sempre il tempo che trovano, noi abbiamo voluto rispolverare il Pogacar dei primordi nel mondo dei professionisti, quel ventenne sloveno che si rivelò al mondo alla Vuelta 2019 con un terzo posto condito da tre vittorie di tappa. Giuseppe Saronni, che contribuì al suo arrivo alla Uae Emirates, ricorda bene chi era allora e le differenze con quello attuale.

Una delle tre vittorie di tappa alla Vuelta 2019, dove molti scoprirono il talento dello sloveno
Una delle tre vittorie di tappa alla Vuelta 2019, dove molti scoprirono il talento dello sloveno

Il ragazzino che sorprese tutti

«Io andrei ancora più in là nel tempo, all’anno prima e alla sua vittoria al Tour de l’Avenir che è sempre stata la corsa più importante della categoria inferiore. Già allora ci arrivavano testimonianze su questo sloveno bellissimo nell’andatura, nella posizione in bici, anche nella faccia limpida anche sotto sforzo. Si vedeva che aveva qualità non comuni, in salita staccava corridori che erano già nelle professional.

«Chi era presente alla corsa francese – prosegue – ci raccontò di imprese che fecero strabuzzare gli occhi a tanti e di Pogacar si cominciò a parlare con molta frequenza. Noi lo avevamo già contattato e dall’anno successivo era sotto contratto con noi. Appena passato di categoria ci mise poco ad ambientarsi, a vincere anche fra i grandi, soprattutto nelle piccole corse a tappe, conquistando quelle dell’Algarve, della California, ma soprattutto lo faceva con una facilità disarmante, che lasciava attoniti i diesse delle squadre avversarie. Procedeva passo dopo passo, ma si vedeva che stava bruciando le tappe e quindi decidemmo che fosse già maturo per farsi le ossa in un Grande Giro. Così lo portammo alla Vuelta e lì sbocciò il campione che conosciamo».

Pogacar vincitore dell’Avenir 2018: per Saronni è stato quello il momento della sua rivelazione al mondo
Pogacar vincitore dell’Avenir 2018: per Saronni è stato quello il momento della sua rivelazione al mondo

L’azzardo di cambiare le regole

A quel tempo però Pogacar era solito aspettare la fine delle tappe, piazzare la sua stoccata nei chilometri finali, ma già allora c’era l’impressione che quel modo di correre quasi lo annoiasse: «E’ un’ipotesi, solo lui potrebbe dare una risposta esauriente. Il principio è che quando stai bene e hai un potenziale come il suo, ti senti portato a fare cose anche illogiche come quella di domenica. Sei talmente superiore che sei in grado anche di cambiare le regole di corsa. Un’azione come quella era azzardata, non potevi sapere che cosa sarebbe successo dietro, se si sarebbero organizzati, inoltre se avevi forze sufficienti per portarla a compimento. Ora sappiamo tutti com’è andata…».

Saronni nei suoi primi anni di carriera ha convissuto con Eddy Merckx, al quale tutti avvicinano lo sloveno con il Cannibale che addirittura ha detto che gli è superiore. Fare confronti fra epoche diverse è difficile, ma Beppe li ha conosciuti bene tutti e due, in che cosa differiscono? «Non possiamo metterli di fronte, troppo diversi i periodi, la tecnica, la scienza del tempo. Ai nostri tempi non si parlava di preparazione, tabelle di allenamento, alimentazione, tutti temi che oggi sono all’ordine del giorno. Io ho un paio di foto con Eddy, fatte al mondiale del ’76 vinto da Moser che custodisco gelosamente: allora Merckx non faceva più paura, eppure aveva un carisma, meritava un rispetto enorme per quello che aveva fatto.

La voglia di vincere sempre

«Possiamo confrontarli dal punto di vista caratteriale, questo sì: Merckx sappiamo tutti che voleva vincere sempre. Per lui il mondiale e la gara di quartiere avevano lo stesso valore e le correva con lo stesso obiettivo. Tadej forse è da allora il corridore che più lo ricorda da questo punto di vista, non partecipa mai per il solo gusto di partecipare, ogni volta che inforca la bici vuole fare qualcosa, farsi vedere, provarci, a prescindere da quale sia il percorso».

Nelle dichiarazioni del dopo mondiale, Pogacar ha ammesso che teme di avere un tallone d’Achille nella Sanremo, che pure Merckx vinse ben 7 volte: «La Classicissima di allora era ben diversa proprio per le ragioni esternate prima: tecnica dei mezzi a disposizione, differenze dei corridori, preparazione… Il percorso della Sanremo permetteva anche di fare quelle differenze che oggi sono impossibili, sia perché è un tracciato molto semplice, sia perché a inizio stagione i corridori sono uniformati, vengono dalla preparazione invernale, sono tutti pronti e al massimo. Ma attenzione: proprio perché è semplice, la Sanremo è una corsa difficilissima da interpretare perché anche uno come Tadej non sa come esprimere la sua superiorità, non ci sono appigli per farlo, anche il Poggio è troppo poco. Non è un caso se coloro che l’hanno vinta con la maglia iridata addosso si contano sulle dita di una mano…».

Pogacar chiuse terzo a 2’55” da Roglic e alle spalle anche di Valverde. La maglia roja è un altro suo obiettivo
Pogacar chiuse terzo a 2’55” da Roglic e alle spalle anche di Valverde. La maglia roja è un altro suo obiettivo

Meglio la Roubaix della Sanremo…

E la Roubaix? Tadej farà come Hinault, che la corse e la vinse una volta sola e poi non ne volle più sapere? «Tadej l’ha già corsa da junior, sa che cos’è e sa anche che per certi versi è addirittura più facile rispetto alla Sanremo per lui. Io credo che quando vorrà e la preparerà a dovere potrà anche vincerla, a maggior ragione con condizioni climatiche estreme come c’erano quasi sempre quando correvo io mentre ora sono diventate piuttosto rare. Ripeto: la Roubaix ha quelle caratteristiche che possono esaltare la sua superiorità tecnica e tattica, la Sanremo resta un rebus, per questo è affascinante e lo sarà ancora di più».

GF Alé La Merckx, a Verona fra passione e grande ciclismo

15.04.2023
5 min
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Il 10 e 11 giugno nella splendida e romantica cornice di Verona andranno in scena due giornate di ciclismo per gli amanti della bicicletta. La regina del weekend sarà la Gran Fondo internazionale Alé La Merckx. Un evento ciclistico unico che ogni anno attira granfondisti da ogni parte del mondo, portandoli a pedalare dal cuore della città veneta, sui monti e le colline della Lessinia, tra malghe e vigneti, fino all’arrivo in località “Le Torricelle”. Fianco a fianco degli atleti professionisti vestiti dal marchio Alé che è organizzatore dell’evento. 

Ad accompagnare la GF ci saranno attività inclusive per chi pedalerà senza attaccare il numero sulla schiena. Per i più piccoli la “Sprint Giovanissimi“, oppure attività che coinvolgono accompagnatori, amici, famiglie dei partecipanti, con l’opportunità di mettersi in gioco, divertirsi e partecipare attivamente durante il weekend dell’evento, uniti dalla passione per la bicicletta.

Non mancano i saliscendi per misurarsi a suon di pedalate
Non mancano i saliscendi per misurarsi a suon di pedalate

Un luogo romantico

Il teatro o meglio dire l’arena che accoglierà la Alé La Merckx sarà Verona. Infatti la bella e maestosa Piazza Bra, sulla quale si affaccia la celebre Arena di Verona, si trasforma nel palcoscenico perfetto per ospitare la partenza delle gare di medio fondo e gran fondo.

Dopo aver superato la lapide in memoria di Shakespeare che recita “Non esiste mondo fuor dalle mura di Verona…”, i partecipanti dei due percorsi pedaleranno insieme per circa 60 chilometri, prima tra le vie della città scaligera costeggiando i suoi Bastioni Austriaci, poi lungo i magnifici percorsi che si snodano nei territori della Provincia di Verona, tra le meraviglie della bassa Valpolicella, i curatissimi vitigni dei più pregiati vini veneti e i borghi storici pedemontani. 

I patecipanti potranno scegliere tra due percorsi: il lungo di 129 chilometri con un dislivello di 2.600 metri e il medio di 82 chilometri con un dislivello di 1.450 metri. Inoltre la 16ª edizione della granfondo ciclistica Alé La Merckx, sarà anche tappa unica europea per l’assegnazione delle maglie del Campionato Granfondo Mediofondo dell’Union Européenne de Cyclisme (UEC).

Il percorso

A rendere iconica questa Gran Fondo c’è la lunga salita di 18 chilometri dove in omaggio al campione Eddy Merckx, è stato inserito il tratto cronometrato denominato “la salita del Cannibale”.

Il percorso offre un’infinita e preziosa selezione di luoghi unici che il territorio veronese regala agli occhi appassionati dei ciclisti. Il panorama non smette di stupire neanche quando si pedala a cavallo della dorsale: lo sguardo spazia senza limiti dall’alto verso il basso in direzione sud su una parte della Pianura Padana in direzione nord verso le creste dei Monti Lessini e del Monte Baldo dove si intravede in lontananza il Lago di Garda. Raggiunto il paese di Ronconi, i ciclisti sono accolti da una lunga discesa tecnica che richiede attenzione e prudenza e porta verso la Valpantena. Ecco che qui, dopo circa 60 chilometri dalla partenza, le strade del Lungo e del Medio si dividono al bivio tra lungo e medio.

Il gran finale si inoltra nella città di Verona, nel quartiere di Borgo Venezia (così chiamato perché rivolto verso la città lagunare), per poi raggiungere l’agognato traguardo che, per entrambi i circuiti, è fissato in salita, in località “Le Torricelle”. Lungo 4,5 chilometri, con una pendenza media di poco meno del 5%, questo celebre tratto finale è stato inserito nel percorso dei Mondiali di Ciclismo del 1999 e del 2004, oltre che del Giro d’Italia.

Romeo, Giulietta e i giovanissimi

Un’edizione ricca di novità. E’ infatti in arrivo la “Romeo e Giulietta”, una pedalata gratuita di circa 31 chilometri che, da quest’anno, sarà aperta a tutti. Prevista per sabato 10 giugno, precederà la gran fondo, snodandosi lungo un percorso tutto nuovo, con partenza alle 9.30 dall’Area Expo dell’evento, in via Pallone. Si tratta di un’iniziativa inclusiva a 360°, anche grazie alla collaborazione con il C.E.R.R.I.S., che aiuta e supporta molti ragazzi disabili, anche attraverso la pratica sportiva. Per loro, è stato pensato un percorso ad hoc più breve.

L’impegno di Alè passa anche dai più piccoli, con l’organizzazione degli “Sprint Giovanissimi”.  Anch’essi previsti per sabato 10 giugno, sono invece una manifestazione dedicata ai piccoli atleti in età dai 7 ai 13 anni, dalla categoria G1 alla G6. Sarà possibile iscriversi alla Sprint, dal 26 maggio all’8 giugno, unicamente tramite Fattore K, il portale KSport della Federazione Ciclistica Italiana. Le iscrizioni sono aperte solo alle società venete per un massimo di 150 piccoli atleti.

I percorsi si snodano tra i panorami veronesi
I percorsi si snodano tra i panorami veronesi

Pedalare insieme

Altra iniziativa che accompagnerà la Gran Fondo Alé La Merckx, sarà la “Griglia Scaligera”. Consiste in una griglia speciale che non concorre a premiazione, ideata per rispondere ad un’esigenza spontanea manifestata da molti cicloamatori. Quella di pedalare in assoluta sicurezza, privi di tensioni di sorta, ansie di classifica o stress “da gara”, godendosi la magnificenza del paesaggio circostante e le bellezze scenografiche dell’autorevole palcoscenico veronese.

Un format particolare all’interno della gara stessa, che si avvarrà della compagnia di alcuni ex ciclisti professionisti d’eccezione che “scorteranno” i partecipanti dispensando anche qualche consiglio tecnico. Novità di quest’anno è l’inserimento delle e-bike: al momento dell’iscrizione online, i partecipanti dovranno segnalare il tipo di bici con cui affronteranno la “Griglia Scaligera”. Per poter iscriversi è inoltre necessario appartenere ad una squadra oppure fare in loco la tessera giornaliera assicurativa (al costo di 10 euro) ed essere dotati della copia originale del certificato medico agonistico valido alla data della manifestazione.

L’edizione 2023 della GF non sarà però solo ciclismo: durante la mattinata della competizione, sarà proposto un tour guidato (in lingua italiana e inglese) gratuito per tutti gli accompagnatori dei ciclisti in gara, alla scoperta delle bellezze di Verona.

AléLaMerckx

EDITORIALE / De Rosa e l’italiano che non ci basta più

27.03.2023
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Anche se ormai sembra impossibile fare un discorso privo di termini inglesi, quasi che il ricchissimo dizionario di italiano improvvisamente non basti più, c’è stato un tempo in cui tutto ciò che fosse tricolore era vanto e ispirazione. Nel ciclismo soprattutto. La scomparsa di Ugo De Rosa, che se ne è andato ieri a 88 anni (in apertura, foto De Rosa), è diventata l’occasione per ripercorrere gli ultimi 30 anni di storia della bicicletta, intensi come una lunga volata.

L’azienda è ora sulle spalle di Cristiano e Danilo De Rosa e dei loro figli (foto De Rosa)
L’azienda è ora sulle spalle di Cristiano e Danilo De Rosa e dei loro figli (foto De Rosa)

Sette giorni in officina

Era il 1992 quando ebbi l’occasione di vivere per una settimana a Cusano Milanino, nell’officina del signor Ugo, accanto a sua moglie Maria e ai suoi figli, per un’intuizione del mio direttore di allora. I colossi taiwanesi e di riflesso quelli americani non erano ancora diventati così predominanti. Si ragionava sullo sviluppo dell’acciaio, si cominciava a saldare il titanio, l’alluminio era la scelta dei corridori e si respirava l’arrivo potente del carbonio. Sapevamo bene che sotto la vernice di alcune bici d’altra marca in mano a grandi campioni, ci fosse una De Rosa. Ancora si poteva e veniva fatto regolarmente.

Il signor Ugo indossava un camice azzurro, ne percepivi la severità e insieme la passione per il suo lavoro: non puoi avere cura di un’azienda, se non riesci ad essere severo nel pretendere la stessa cura dai tuoi collaboratori.

Attorno a lui operavano i tre figli. Cristiano, che già allora possedeva le chiavi del marketing. Danilo, figura trasversale e primo tester delle biciclette. Doriano, bravissimo a saldare il titanio. Le De Rosa erano e sono bici di lusso. Eppure nelle sue parole traspariva una concretezza un po’ perplessa.

«Una decina di anni fa – raccontò in uno di quei giorni del 1992 – la bicicletta più bella costava poco più di un milione, che era lo stipendio medio di un operaio qui in Lombardia. Oggi una bella bici costa tre milioni e mezzo, quindi tre volte quello stipendio che nel frattempo è rimasto uguale. Ho sempre osservato chi veniva a comprarsi una De Rosa. Se veniva un operaio, capivi che aveva risparmiato e si stava facendo un regalo bellissimo. Oggi tanti hanno il cappotto con le toppe sui gomiti, perché soprattutto se hanno famiglia, quel risparmio non è più così semplice».

Alta gamma regina

Raccontiamo di biciclette bellissime, che costano come e più di automobili di medio livello. Eppure gli stipendi degli operai sono rimasti identici, seppure convertiti in euro. Ci mancherà non poterne ragionare con Ugo De Rosa, per dare una nuova dimensione allo sport della bicicletta, diventato negli ultimi anni un movimento di elite. Basta parlare con chi le vende, per sentirsi dire che dopo la fiammata del Covid, le gamme medie ormai sono ferme, mentre si vendono tantissimo le bici di altissima gamma.

Prevedendo ciò che forse sarebbe successo, perché Ugo De Rosa aveva le mani d’oro e il naso sopraffino, una volta ci confidò di aver chiesto a suo figlio Cristiano di verificare sulle riviste gli annunci di bici usate.

Ugo e Maria sono stai compagni di tutta la vita. Dal loro matrimonio sono nati tre figli: Danilo, Doriano e Cristiano
Ugo e Maria sono stai compagni di tutta la vita. Dal loro matrimonio sono nati tre figli: Danilo, Doriano e Cristiano

«Sono sempre curioso – disse – di capire quali sono le bici che la gente dà indietro e dopo quanto tempo. Divento anche più curioso quando vedo che un nostro cliente ha messo in vendita una bici De Rosa. Vorrei sapere perché lo ha fatto. Tutto serve per migliorare. Sono convinto che la bicicletta abbia enormi margini di miglioramento e mi piace ancora far parte del suo futuro».

Un allievo di nome Eddy

Una sera, alla fine di quella settimana, il signor Ugo mi invitò a cena a casa sua. E prima di sederci a tavola, mi portò al piano terra dove tutto lasciava pensare a un’officina. Era stata quella infatti la prima sede dell’azienda e aveva preferito lasciare tutti gli attacchi pronti, perché chi può sapere come andranno le cose? Là sotto aveva passato giorni interi Eddy Merckx, che per le bici con il suo nome aveva chiesto supporto al vecchio amico.

La sua presenza in azienda non è mai venuta meno (foto De Rosa)
La sua presenza in azienda non è mai venuta meno (foto De Rosa)

Di quell’artigianato così curioso e prezioso forse De Rosa è rimasto l’ultimo esponente che ancora non sia stato acquistato da fondi o magnati da altre parti del mondo. Prima Bianchi. Poi Pinarello. Più di recente è toccato a Colnago. Non si tratta di fare i romantici: sappiamo bene che le iniezioni di capitali permettono di investire in tecnologia e sviluppo. Resta da capire se questo sia necessario anche per restare nella nicchia dell’artigianato di alta gamma, resistendo alla tentazione di inseguire i colossi sulla via di un livellamento pazzesco verso l’alto. I campioni hanno bisogno di mostri da competizione, gli amatori potrebbero volersi accontentare di un gioiello. Anche di questo ci sarebbe piaciuto parlare con il signor Ugo, nostro maestro di ciclismo.

La storia di Mary Cressari: quell’Ora da cui nacque tutto

12.12.2022
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«Tempo fa partecipavo a un dibattito. A un certo punto un giornalista specializzato disse che il ciclismo femminile in Italia è nato negli anni Ottanta. Non ci ho visto più: “E allora, caro il mio signore, il record dell’Ora del 1972 chi lo ha stabilito?”. E’ diventato di tutti i colori». Parole di Mary Cressari, che a 78 anni non ha perso neanche una briciola della sua verve, di quel carattere spumeggiante che la portò a emergere nel ciclismo a cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta.

La Cressari è stata per lungo tempo l’unica italiana capace di stabilire il record dell’Ora (poi ci è riuscita Vittoria Bussi), quello che ora, in campo maschile arricchisce il palmares di Filippo Ganna. La conquista di quel record fu un’autentica avventura e a cinquant’anni di distanza molti si sono ricordati di questa ricorrenza. Mary si sottopone di buon grado, ogni volta, ad aprire lo scrigno dei ricordi, ma ogni volta compare sempre qualche spunto diverso, importante.

La Cressari vanta 4 titoli italiani su strada dal 1964 al 1973, più due nell’inseguimento
La Cressari vanta 4 titoli italiani su strada dal 1964 al 1973, più due nell’inseguimento

«Chi ci mette i soldi?»

La storia di quel record nasce da prospettive ben diverse: «Il mio obiettivo era conquistare i record dei 5, 10 e 20 chilometri, ma decisero che il 30 ottobre avrebbero chiuso il Vigorelli e quindi mi trovavo senza velodromo dove allenarmi e tentare i primati. Venne da me il presidente della società Terraneo suggerendomi di provare i record in Messico dove Merckx aveva appena realizzato il primato dell’ora, a patto che provassi anche io ad allungare. “Bell’idea – feci io – ma chi ci mette i soldi?”. Da lì Terraneo mise in moto tutto il movimento e arrivarono i fondi per provarci.

«Mi allenai a Busto Garolfo, ma l’ora non l’avevo mai fatta, così iniziai ad allungare. Il 17 novembre siamo partiti, un po’ all’avventura. Solo il giorno prima avevamo pagato la tassa necessaria per il tentativo e fatto la richiesta del medico perché fosse valido. Le difficoltà però erano tante e avevamo solo una settimana a disposizione».

La Cressari in pista a Città del Messico: il caschetto è quello del tentativo di Merckx
La Cressari in pista a Città del Messico: il caschetto è quello del tentativo di Merckx

Una Pogliaghi personalizzata

I problemi principali riguardavano la bici: «Prima di partire, il mio diesse Alfredo Bonariva chiese informazioni su tutto quel che sarebbe servito e su quel che avremmo trovato a Città del Messico ad Albani, il direttore sportivo che aveva accompagnato Merckx nel suo riuscito tentativo. Avevamo impostato la preparazione su molte delle sue indicazioni, ma non avevamo una bici adatta. Mi offrirono una Pogliaghi superleggera, pesava 4,7 chili, l’avevano realizzata proprio per il record dell’ora tentato dal dilettante Brentegani tre anni prima. Le misure c’erano, ma c’era da lavorarci sopra perché al tempo sulla bici non potevano apparire pubblicità all’infuori del mio gruppo sportivo.

«Toccò lavorare di carta vetrata sui tubi e anche sulla sella per togliere il marchio Selle Italia. Il risultato fu che andavo avanti e indietro sulla bici e non era proprio la situazione ideale… Pochi però sanno che come casco utilizzai lo stesso di Merckx, nel senso che il campione belga lo aveva dimenticato negli spogliatoi del velodromo. Lo riadattammo alla mia testa con un po’ di imbottiture…».

«Rinunciare? Non se ne parla…»

L’appuntamento era previsto per il mercoledì mattina, era il 22 novembre: «Realizzai i record dei 10 e 20 chilometri e tirai dritto, ma avevo speso tanto nella prima parte. Alla fine mancai il record per appena 70 metri e scoppiai a piangere. Non avevamo i fondi per restare e riprovarci. Venne da noi il console italiano e ci disse che era esaltato dall’impresa e che non se ne parlava di rientrare. Dovevo riprovarci, avrebbe sostenuto lui tutte le spese supplementari».

L’esperienza fu utile per riuscire nell’intento: «Il giorno dopo riposai perché ero distrutta, al venerdì feci il tentativo di record sui 5 chilometri che riuscì. Dovevamo però concentrarci sull’Ora. Prevedemmo di provarci il giorno dopo ma cambiammo i rapporti, passando dal 51×15 al 55×16. E questa volta partii più piano, d’altronde dovevo pensare solo all’Ora, così nel finale avevo più energie e chiusi con 41,471 metri e 74 centimetri. Sì, ricordo anche quelli…».

Il miglior risultato ai mondiali per la bresciana arrivò alla sua ultima presenza: decima nel 1973
Il miglior risultato ai mondiali per la bresciana arrivò alla sua ultima presenza: decima nel 1973

I rapporti con la Fci

Quel record ebbe risonanza? «Molta, ma erano tempi diversi e non era facile gestirla. Mi offrirono molti ingaggi pubblicitari ad esempio, ma non potevo accettarli perché avrei perso lo status di dilettante. Il nostro, quello femminile, era un ciclismo alla disperata. Non ci voleva nessuno e le cose non cambiarono così tanto. Soprattutto la Federazione mal ci sopportava. Pensate ad esempio che nel 1974 non ci portarono ai mondiali perché dicevano che non eravamo all’altezza. Io per tutta risposta andai al Vigorelli e feci il record mondiale sui 100 chilometri: altro che non all’altezza…».

La carriera di Mary è vissuta spesso su scontri con la Fci: «Avevano messo il limite di attività a 30 anni, ma io andavo ancora forte, protestai e lo tolsero, poi lo posero a 35 anni. Dissi: “Ma come, ai mondiali la Burton partecipa a oltre 40 anni con sua figlia? Il limite dobbiamo averlo solo noi?”. Lo tolsero, ma io avevo praticamente saltato la preparazione per colpa loro e non ottenni risultati all’altezza degli anni precedenti. Era il 1979 e decisi che ne avevo abbastanza».

La consegna della sua bici al Museo del Ghisallo: a sinistra il diesse Bonacina, a destra il presidente Terraneo
La consegna della sua bici al Museo del Ghisallo: a sinistra il diesse Bonacina, a destra il presidente Terraneo

Lo sgarbo di Los Angeles ’84

Poco dopo le offrirono l’incarico di commissario tecnico della nazionale femminile: «Naturalmente gratis… Intanto però era stata accettata la proposta di portare le donne alle Olimpiadi, io cominciai a lavorare con tre ragazzine che mi sembravano adatte al percorso di Los Angeles. La Canins non lavorava con noi, ma d’altronde era una ciclista atipica. Doveva per forza staccare tutte perché non aveva volata, io volevo lavorare con atlete più adatte. In Federazione fecero storie, io dissi che avrei pagato di tasca mia per la loro permanenza. Risultato: a Los Angeles portarono la Canins e tre altre atlete, le mie, quelle federali, non vennero neanche tenute in considerazione. Era troppo…».

La Cressari diede le dimissioni e da allora ha guardato in tv la crescita del ciclismo femminile, invitata spesso da organizzatori e appassionati: «Quando guardo le campionesse di oggi penso che siano lì anche per le battaglie che sostenni io, per i sacrifici che affrontavamo in famiglia pagando tutto di tasca nostra. Oggi? Un altro mondo…».