Viaggio nel tempo con Moser, fra invenzioni, bici e trofei

29.04.2022
6 min
Salva

Maso Villa Warth, è questa la fantastica cornice in cui vive Francesco Moser, dove ci sono il cuore del suggestivo podere e la cantina di famiglia. Nel piccolo paese trentino di Gardolo, “Lo Sceriffo” produce vini insieme ai suoi figli e nipoti. Oltre alle pregiate vigne, tuttavia, è presente un museo che ripercorre tutta la carriera del campione, fra trofei, maglie e bici.

Moser è considerato da molti un “innovatore” che ha segnato un prima e un dopo nell’evoluzione del ciclismo. Dalle vittorie sulle proprie bici, alle trovate tecniche originali per le cronometro e i Record dell’Ora. Un uomo che ha scritto pagine di storia di questo sport e che ancora oggi è un riferimento per i suoi tentativi di innovare sotto il punto di vista atletico e tecnico. Per l’occasione gli abbiamo rivolto domande e provocazioni tra il ciclismo di oggi e quello passato. Riprendendo il filo di un discorso che la settimana scorsa ha acceso gli animi, in tema di Roubaix, gambe e materiali.

Il museo si trova all’interno del Maso Villa Warth a Gardolo (TN)
Il museo si trova all’interno del Maso Villa Warth a Gardolo (TN)

L’innovazione su strada

Seppure le sue scoperte tecniche abbiano rivoluzionato un modo di interpretare questo sport, per quanto riguarda il ciclismo su strada nelle corse in linea lo sviluppo era in linea con i tempi.

«Quando correvo io – racconta Moser – non c’erano studi mirati per le corse da un giorno o le classiche. Sì certo, si facevano modifiche specifiche per alcune gare. Per esempio per la Parigi-Roubaix, montavamo delle forcelle specifiche rinforzate e uno strato di gomma piuma sul manubrio, aumentandone la sezione. Le pressioni delle gomme venivano adeguate. Oggi vengono fatti studi anche per singole corse». 

Passato e presente

L’albo d’oro della Roubaix vede il nome di Francesco Moser per tre volte di fila, dal 1978 al 1980. Oltre ad alcuni accorgimenti tecnici c’era una talento naturale che andava oltre ogni innovazione possibile. 

Il modo di correre di oggi è così distante da modo di correre di una volta in una corsa come la Parigi-Roubaix?

No. La Roubaix è una corsa senza tempo, ci vogliono gambe e talento sempre. I cambi di ritmo dovuti agli allenamenti che ci sono oggi sono sicuramente differenti, ma nel complesso no. 

Oggi vediamo corridori fare tutti i tratti del pavè a bordo strada…

E’ normale. Si è sempre fatto, anche quando correvo io con l’asciutto si cercava la lingua di terra sul lato per guadagnare scorrevolezza. La vera Roubaix è bagnata. Come quella che ha vinto Sonny Colbrelli. In quel caso devi stare a centro strada per ottimizzare il più possibile la scorrevolezza delle pietre. Nel suo caso poi avevano corso prima le donne quindi si era creata anche un’ulteriore patina che di certo peggiorò le condizioni del manto stradale. 

Moser ha vinto tre Parigi-Roubaix consecutive dal 1978 al 1980
Moser ha vinto tre Parigi-Roubaix consecutive dal 1978 al 1980
Che bici utilizzavi quando hai vinto le tre Roubaix consecutive?

Dopo la prima Roubaix vinta con la Benotto, iniziai ad usare le mie bici. Il telaio era realizzato da De Rosa con tubi Columbus appositamente più robusti per affrontare il pavè. Il cambio era il Campagnolo Super Record, mentre le ruote erano Mavic. Il peso oscillava tra i 9 e i 10 chili.

Se i corridori di oggi corressero con le bici di una volta cambierebbe qualcosa?

I tempi cambiano, ma l’atto fisico rimane lo stesso. In certi ambiti come la cronometro e i Record dell’Ora i materiali facevano la differenza, ma nelle corse di un giorno ancora adesso le differenze sono minime. 

Anche la preparazione è molto differente da quella di una volta. Pensi si stia arrivando ad un limite?

Oggi si corre e ci si allena tutto l’anno. Ci sono corridori belgi che non smettono mai di correre. Fanno anche il ciclocross. Vincono e quindi hanno anche un ritorno. Ho dei dubbi per quanto tempo possano andare avanti a farlo. Noi l’inverno nemmeno ci allenavamo. 

Hai visto la vittoria di Evenepoel alla Liegi?

Sì, mi ha stupito il modo in cui è scattato. Sembrava dovesse vincere il gran premio della montagna. Gli è slittata la ruota due volte. Mi è piaciuto e mi ha impressionato. 

La bici utilizzata per il doppio Record dell’Ora di Messico 1984
La bici utilizzata per il doppio Record dell’Ora di Messico 1984

Contro il tempo

Passeggiando nel fantastico museo dedicato alla sua carriera, spiccano tra le bici marchiate Moser, i prototipi utilizzati per le prove contro il tempo. E’ già, perché oggi a volte si polemizza e si fanno dibattiti su trovate tecniche come reggisella telescopici, tubeless e per anni sui freni a disco. Ma negli anni ’70 e ’80 “Lo Sceriffo” ha vinto corse e conquistato record anche grazie alle sue intuizioni tecniche (i racconti di Francesco sulle soluzioni tecnologiche di quegli anni sono raccolti in “Francesco Moser. Un uomo, una bicicletta”, libro a cura di Beppe Conti).

Oggi i regolamenti sono sicuramente più stringenti e vedere test di quel tipo è impensabile. Ma guardandosi indietro e vedendole a pochi centimetri, si assapora un ciclismo che non si poneva limiti e che non aveva paura di spingersi oltre ogni barriera fisica

Le due bici innovative usate per Stoccarda ’87 (con la ruotona) e Messico ’94 (in primo piano)
Le due bici innovative usate per Stoccarda ’87 (con la ruotona) e Messico ’94 (in primo piano)

La bici per il Record dell’Ora 51,151, che dà il nome anche al suo spumante più pregiato, è quella che spicca in mezzo alle altre. Forse per la sua vernice lucida e le curve futuristiche. Fatto sta che anche Francesco, quando ne parla, prova un trasporto che fa capire l’importanza di quell’opera d’arte a due ruote

Infine le altre due famosissime bici utilizzate per gli altri due record. Quella di Stoccarda 87’, caratterizzata dalla “ruotona”. Per chiudere con la bici utilizzata per Messico 94’, nella posizione lanciata dallo scozzese Graeme Obree e poi replicata con telaio Moser, caratterizzata dalla “Superman Position”.