Il Wolfpack e le classiche: ritorno alle origini?Sentiamo il Brama

21.10.2025
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Il futuro passa dal passato? A volte sì… ed è quello che sta succedendo alla Soudal-Quick Step. Il Wolfpack sta tornando al suo DNA originale: le classiche. Quelle gare che l’hanno resa la squadra più temuta (dagli avversari) e ammirata (dai tifosi). Quando il bus della Soudal arrivava al raduno del Fiandre, gli altri tremavano.

A incidere su questo ritorno è stata chiaramente la partenza di Remco Evenepoel, che puntando alle classifiche generali dei Grandi Giri richiedeva una struttura dedicata. Adesso, però, si apre una nuova fase. O meglio, un ritorno parziale alle origini: restano corridori come Mikel Landa, William Lecerf e Filippo Zana, Valentin Paret-Peintre, ma il focus sarà di nuovo sulle gare di un giorno. Ne parliamo con Davide Bramati, per tutti “Brama”, direttore sportivo storico della squadra, già nella sede belga del team per i primi giorni di lavoro in vista del 2026.

Davide Bramati è sull’ammiraglia della Soudal-Quick Step dal 2010
Davide Bramati è sull’ammiraglia della Soudal-Quick Step dal 2010
“Brama”, si ritorna un po’ allo spirito originale del Wolfpack: il prossimo anno avete preso corridori da classiche, come Van Baarle e Stuyven.

Sì, sicuramente. I corridori che sono andati via, come Remco e Cattaneo, erano punti di riferimento del gruppo da anni. Come avete detto anche voi, abbiamo preso atleti più portati per far bene nelle classiche, per tornare a ciò che si faceva qualche stagione fa.

Quanto lo sentite più vostro questo approccio, anche a livello mentale?

Tutti parlano di approccio mentale, ma penso che oggi tutti lavorino sempre al massimo a prescindere dal tipo di obiettivo. Magari oggi non c’è la stessa qualità di qualche anno fa, ma le vittorie sono arrivate lo stesso: quattro tappe al Tour de France e 54 successi in totale. Il Wolfpack non è mai scomparso, lo spirito di squadra è rimasto. Ma certo, vogliamo tornare a essere il Wolfpack delle gare di un giorno, dove siamo sempre stati protagonisti assoluti.

Boonen, Alaphilippe, Gilbert, ma anche Kwiatkowski, Terpstra, Stybar, Trentin, Devolder… Nelle classiche del Nord erano mostruosi
Boonen, Alaphilippe, Gilbert, ma anche Kwiatkowski, Terpstra, Stybar, Trentin, Devolder… Nelle classiche del Nord erano mostruosi
Tom Boonen, simbolo di questo gruppo, ha detto di essere pronto a dare una mano per riportare in auge la “modalità classiche”…

Ho avuto la fortuna di correre con lui e poi di essere suo direttore sportivo. Tom è stato uno dei pilastri di questa squadra, insieme a Bettini, Gilbert, Terpstra… quegli anni in cui alle classiche eravamo il punto di riferimento. Negli ultimi tempi ci è mancato un po’ quel ruolo, ma col tempo vogliamo tornarci. Non sarà facile subito, ma lavoreremo per tornare quelli che eravamo.

Cambierà qualcosa nel modo di lavorare? Nell’approccio alla stagione? Brambilla ci raccontava che nei ritiri di dicembre già si “volava”. Si tornerà a quel tipo di intensità?

Il ciclismo è cambiato tanto dopo il lockdown. Ha fatto un’evoluzione velocissima: oggi si va tutti a cento all’ora, non si lascia nulla al caso. Per essere protagonisti bisogna partire forti già a inizio stagione, perché il calendario è pieno e tutti si allenano per arrivare al 100 per cento. Quindi va oltre al discorso delle classiche.

Kasper Asgreen nel 2021 vince il Fiandre. Altri due monumenti sono arrivati con Evenepoel alla Liegi
Kasper Asgreen nel 2021 vince il Fiandre. Altri due monumenti sono arrivati con Evenepoel alla Liegi
Chiaro…

Adesso siamo in Belgio per i primi tre giorni di ritiro: tre giorni molto importanti. Conosceremo i nuovi arrivati, parleremo dei programmi, dei calendari e poi, con i preparatori e i direttori, decideremo chi dovrà partire forte e chi invece andrà in Australia. Sono giorni importanti per conoscersi e impostare il lavoro. Abbiamo iniziato il 2024 vincendo in Arabia Saudita, abbiamo chiuso vincendo in Cina: vogliamo ripartire allo stesso modo, perché iniziare bene dà fiducia a tutta la squadra.

C’è qualcuno su cui punti in particolare per il prossimo anno? Lo scorso anno ci avevi parlato di Magnier, e avevi avuto ragione. Potrà fare qualcosa anche in ottica classiche o sono troppo dure per lui?

Paul ha dimostrato il suo potenziale e sono sicuro che lo vedremo ancora protagonista. E’ giovane, può crescere molto. Venendo ai nuovi, abbiamo tanti corridori e servirà tempo per conoscerli bene: sia i più esperti che i più giovani. Parlando da italiano, sono contento di avere quattro ragazzi del nostro Paese: Zana, Dainese, Raccagni e Garofoli. Zana ha già vinto un tricolore, ma può ancora migliorare. Dainese è un velocista con grandi qualità e crediamo possa portarci vittorie. Raccagni è cresciuto tanto e Garofoli ha chiuso forte la stagione: se lavoreranno bene quest’inverno, potranno fare un salto importante.

La cinquina di Magnier al Guanxi. Potrà essere una nuova pedina anche per le classiche?
La cinquina di Magnier al Guanxi. Potrà essere una nuova pedina anche per le classiche?
Infine, Stuyven e Van Baarle: due innesti di peso per le classiche…

Parliamo di corridori che hanno vinto rispettivamente una Milano-Sanremo e una Parigi-Roubaix, oltre a tante altre gare. Porteranno motivazione, esperienza e potranno aiutare i giovani a capire meglio le dinamiche delle grandi classiche. Con loro, la squadra sarà più forte e più consapevole.

Insomma il Wolfpack del Nord è di nuovo in pista…

Ma non è mai venuto meno. Certo, siamo stati dei dominatori in passato. Poi qualcosa con Remco è cambiato. Adesso, ripeto, non abbiamo la stessa qualità di un tempo, ma sono sicuro che nel tempo, con il giusto lavoro, potremmo ricostruire un gruppo molto solido e agguerrito anche per quelle corse che ci hanno contraddistinto.

Tour: sprinter e scalatori puri a rischio estinzione? Parla Bramati

09.08.2025
6 min
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Poche tappe per velocisti e scalatori puri in difficoltà con i big. L’ultimo Tour de France è stato un bel crocevia per sprinter e grimpeur puri. Una volta c’erano dieci giorni di “piattoni” e la Grande Boucle diventava il festival dei velocisti, ma forse era anche troppo. Oggi invece nei percorsi si inseriscono difficoltà, strappi, pavé. Pensiamo alle prime tappe già con le sfide fra Pogacar e Van der Poel o le fughe di Healey. Per contro, corridori Lenny Martinez e Valentin Paret-Peintre, bravissimi in salita, hanno dovuto anticipare per non essere schiacciati dagli uomini di classifica. Ci chiediamo perciò che futuro ci sia al Tour per queste due tipologie di ciclisti.

Per questo ragionamento abbiamo coinvolto Davide Bramati, direttore sportivo della Soudal-Quick Step. Il “Brama” aveva in corsa sia il velocista puro, Tim Merlier, e lo scalatore Paret-Peintre. Proprio i quei giorni Thierry Gouvenou, responsabile per ASO dei tracciati, per esempio aveva detto che per motivi di share televisivo e di attenzione si sta pensando di eliminare o limitare al massimo le tappe piatte.

Davide Bramati (qui al microfono di Jens Voigt) è direttore sportivo della Soudal dal 2010
Bramati (qui al microfono di Jens Voigt) è direttore sportivo della Soudal dal 2010
Davide, dunque, come vedi il futuro per queste due categorie così particolari e specifiche?

Il giorno che Gouvenou ha rilasciato quell’intervista c’era stata una tappa anomala con tanto vento contro e quindi meno bagarre. In più le tappe precedenti erano state affrontate ad alta velocità e ci stava un giorno di “relax”, però secondo me le tappe in volata e i velocisti ci saranno sempre. I velocisti sono parte del ciclismo e della sua storia. Magari si faranno delle volate con finali diversi o con qualche strappo, perché alla fine magari guarderanno anche la sicurezza al fine di arrivare con gruppi meno numerosi o più allungati. Però è giusto avere delle volate anche nei Grandi Giri, non puoi fare secondo me tre settimane impegnative.

Però è anche vero che c’è un importante incremento delle salite, tante volte ormai si arriva in volata dopo 2.000-2.500 metri di dislivello: cambierà negli anni il fisico del velocista? Sarà un po’ meno da 2.000 watt e un filo più scalatore?

Sicuramente il velocista dovrà essere sempre più pronto anche a passare certe salite. Penso per esempio alla seconda tappa che ha vinto Milan: non era un percorso facile. Eravamo sui 2.000 metri, forse le salite erano un po’ lontane dall’arrivo, però sicuramente il velocista ha faticato. E infatti si erano staccati. Di certo in futuro lo sprinter dovrà adeguarsi se i percorsi saranno sempre più duri: non dovrà solo mantenere l’esplosività, la velocità, ma dovrà anche migliorare in salita.

Chiaro…

Però torno indietro, ma non penso che cambierà tanto, almeno spero. In un Grande Giro i metri di dislivello sono già veramente tanti, metterne ancora più per avere meno volate, mi sembra portare il nostro sport su altre vie. E’ già molto duro, è sempre più duro e nonostante tutto le velocità che si stanno facendo sono pazzesche.

Prendiamo il tuo Merlier, per esempio, ci lavori da anni ormai: hai notato una sua trasformazione?

Tim in questi ultimi due anni è migliorato in salita e non ha perso la sua esplosività, la sua velocità. L’anno scorso ha vinto la tappa di Roma al Giro d’Italia, quindi l’ultima, superando le grandi montagne, quest’anno ha finito il Tour de France… In questi ultimi due anni lo vedo migliorato in salita senza aver perso il suo spunto.

Nel tempo anche i velocisti puri saranno destinati a dover tenere di più in salita. Qui Merlier contro Milan
Nel tempo anche i velocisti puri saranno destinati a dover tenere di più in salita. Qui Merlier contro Milan
C’è stata una tappa dell’ultimo Tour in cui Tim non è riuscito a tenere per giocarsi la volata?

Sì, ma non per questioni di dislivello. Penso alla prima vittoria di Milan. Quel giorno Merlier forò a 10 chilometri dall’arrivo e con le velocità di adesso paghi dazio. Ha cambiato bici, è rientrato però aveva speso troppo. C’erano questi ultimi tre chilometri in cui si girava a destra, la strada saliva, c’era una rotonda, da lì scendevi a tutta velocità e poi altre due rotonde prima dell’ultimo chilometro in leggera salita. Lì, ai 500-600 metri dall’arrivo, ha pagato lo sforzo per tornare in posizione per poter disputare lo sprint.

Passiamo agli scalatori. Voi in Soudal-Quick Step siete stati bravi nella gestione Paret-Peintre. Però viene da chiedersi se uno scalatore potrà mai tornare a fare classifica al Tour de France…

Sono convinto che in questo ciclismo se uno scalatore puro decide di non fare classifica è meglio. Voi avete nominato Martinez e Valentin, emblema di questa categoria. Noi non siamo mai partiti con l’idea di puntare alla maglia a pois, tutti eravamo venuti con un altro obiettivo che ben sapete (fare classifica con Remco Evenepoel, ndr) e di conseguenza i piani sono cambiati. Il giorno del Ventoux entrare nella fuga era importante e non facile: erano già state fatte le prime due ore a 52-53 all’ora. Per uno del suo peso era importante avere dei compagni vicino come di fatto è accaduto. Penso che per un vero scalatore l’obiettivo dipenda soprattutto da ciò che vuole la squadra.

Cioè?

Penso all’aiuto nel tenere la posizione: se è lui che deve essere aiutato o se deve aiutare. Se può riposarsi nelle tappe di pianura oppure se deve tenere. E torniamo al discorso del fare classifica o no. Per me è meglio che sia libero e punti alle tappe. Oggi se sei nei primi dieci della classifica e vai in fuga non è facile che ti lascino andare. Se sei al ventesimo posto è più facile.

Nella tappa del Ventoux. le prime due ore sono state corse a velocità supersoniche. Gli scalatori puri erano in difficoltà
Nella tappa del Ventoux. le prime due ore sono state corse a velocità supersoniche. Gli scalatori puri erano in difficoltà
Quindi anche per il futuro sarà un po’ destinato o a tirare per un vero big o a uscire di classifica?

Non è detto, non è facile rispondere: alla fine quanti scalatori puri c’erano davvero in gruppo al Tour? Restiamo sempre a quei due nomi. Nella tappa del Ventoux, come detto, hanno fatto le prime due ore in pianura ad oltre 50 di media e non è così scontato che atleti con quelle caratteristiche restino in gruppo. Al Tour tutte le tappe sono state fatte a velocità folli e sicuramente loro spendono di più di un corridore-scalatore di 60-63 chili, questa è la differenza. Però sicuramente sono corridori che quando la strada sale si vede che hanno ancora qualcosa in più. Nel caso di Martinez e Paret-Peintre sono ancora giovani, bisogna aspettare per giudicare.

Quindi secondo te in chiave futura al Tour de France chi è più a rischio: lo sprinter o lo scalatore puro?

E’ una domanda a trabocchetto e non è facile poter rispondere. Ad oggi io terrei il ciclismo esattamente com’è, perché è veramente un ciclismo spettacolare, corso ad alti livelli. Bisognerà capire cosa succederà fra qualche anno quando non ci saranno più questi tre-quattro dominatori assoluti. Magari si apriranno altri scenari. Io credo che certe frazioni piatte e certi corridori ci saranno sempre, sono parte del ciclismo.

E gli scalatori? Passeranno ancora gli scalatori da 50-55 chili, i Pozzovivo della situazione?

Dipenderà da quel che vogliono le squadre. Però dipende anche dal corridore. Valentin per esempio nonostante i suoi 52 chili a Parigi, sotto quell’acqua e sul pavé, è arrivato diciassettesimo: non è poco su quel percorso per uno come lui. Quindi in qualche modo sa essere competitivo anche su altri terreni.

Soudal senza Landa, cosa inventerà Bramati?

10.05.2025
4 min
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TIRANA (Albania) – Prima di venire alla crono, Bramati è andato all’ospedale per capire come stesse Landa, caduto ieri a 5 chilometri dall’arrivo. Purtroppo non gli è stato possibile vedere il corridore basco, perché l’accesso è stato permesso soltanto al medico, ma le sue rassicurazioni sono bastate per venire in corsa facendosi una ragione della cattiva sorte.

Mikel è caduto in una curva a sinistra (in apertura foto Getty Images), vedendo svanire i suoi sogni sul Giro. La diagnosi parla di frattura di una vertebra, per la quale lo spagnolo dovrà restare fermo per 4 settimane e poi iniziare la rieducazione. Quando raggiungiamo Bramati, sta raccontando l’incidente a Ivan Gotti, Ermanno Brignoli e Giovanni Bettineschi, tre bergamaschi venuti in Albania un po’ per vedere il Giro e un po’ per andare al mare. Il primo, vincitore di due Giri d’Italia. Il secondo, compagno di Pantani fino agli ultimi giorni. Il terzo, organizzatore di eventi nella sua provincia. Mikel è stato il primo a cadere, nessuna inquadratura lo ha raccontato. Ha spiegato di aver trovato un avvallamento che gli ha fatto saltellare la ruota anteriore, che si è sollevata e lo avrebbe sparato contro un palo, prima di cadere sul marciapiede. «Ormai quando cadono si rompono», sta dicendo Bramati agli amici. La magrezza è tanta, ma certi colpi fanno male a prescindere.

Ai microfoni di Jens Voigt per Eurosport e poi con noi: il racconto di Bramati
Ai microfoni di Jens Voigt per Eurosport e poi con noi: il racconto di Bramati

Bramati si è ritrovato nella stessa situazione al Giro d’Italia nel 2021 e poi nel 2023, entrambe le volte quando Remco Evenepoel tornò a casa, prima per una caduta e poi per il Covid. Il tecnico bergamasco dovette rimboccarsi le maniche e convincere il resto del team a tenere duro, resettare la mente e cercare fortuna senza il loro leader.

Caro Brama, come si fa?

Non è facile, però ci chiamano Wolfpack per un motivo ben preciso, quindi sicuramente dobbiamo motivare i corridori. Oggi c’è già un’altra tappa, dobbiamo guardare avanti e dispiace. Sappiamo che le cadute fan parte del ciclismo, però sappiamo anche che Mikel era pronto, stava benissimo. Ha fatto di tutto per arrivare pronto a questo Giro d’Italia e purtroppo lo abbiamo perso dopo una sola tappa.

Nel 2023 perdeste Remco e fu Van Wylder che per qualche tappa provò a fare classifica: qualcun altro può riuscirci?

Sicuramente vivremo giorno per giorno. Ieri nel primo gruppo dopo la caduta, non avevamo davanti nessuno. Siamo già un po’ in ritardo, però vedremo se si rientrerà in classifica. Sicuramente l’obiettivo adesso sarà guardare le tappe, cercare giorno dopo giorno di capire che giorni saranno. Se la fuga andrà all’arrivo. Cercheremo di inserire qualcuno per provare a vincere almeno una tappa.

Le crono sono già un bel banco di prova per Cattaneo, se non oggi quella di Pisa…

Mattia sta bene, ieri ha lavorato tanto. Adesso bisogna motivarli e poi sicuramente faremo il massimo possibile. Ne parleremo domani mattina nella riunione. Il motto per oggi era: carpe diem, prendere ogni momento come viene.

Gotti in visita al Giro non è passato inosservato: passaggio sul podio di partenza ieri a Durazzo
Gotti in visita al Giro non è passato inosservato: passaggio sul podio di partenza ieri a Durazzo
Sei andato all’ospedale, ma non hai visto Mikel…

Vero, volevo fargli sentire che gli siamo vicini. Adesso bisogna cercare di tenerlo su di morale, affinché recuperi al più presto. Ha da poco rinnovato il contratto e siamo davvero contenti che resti con noi, è il massimo. Questo gli darà la tranquillità per recuperare nel modo giusto. Ma adesso vado, devo seguire Garofoli nella crono…

Proprio lui, poi ti lasciamo, che cosa potrà fare in questo primo Giro?

E’ motivato, era qui per aiutare. Gli ho parlato stamattina, è venuto qui con me alla partenza e gli ho parlato. Ci saranno delle tappe anche per lui, penso che potrà fare qualcosa di bello in questo Giro.

Evenepoel ha mandato qualche messaggio nella chat di squadra?

L’altro giorno ha mandato il suo in bocca al lupo e sicuramente dopo la caduta di ieri scriverà qualcosa. Non è bello vedere quando un compagno cade e sicuramente nei prossimi giorni ci tirerà su di morale.

Soudal-Quick Step: un’evoluzione costante. Parla Bramati

13.01.2025
5 min
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CALPE (Spagna) – Davide Bramati non è solo uno degli uomini chiave della squadra belga, ma anche uno dei testimoni più diretti della sua evoluzione. Con 23 anni di esperienza nel gruppo, prima come corridore e poi come direttore sportivo, il “Brama” ha vissuto ogni fase della trasformazione della Soudal-Quick Step, oggi una formazione costruita attorno a quel prezioso gioiello che è Remco Evenepoel, capace col suo nome, il suo appeal e le sue vittorie di rilanciare una squadra che addirittura si pensava potesse sparire solo un anno fa quando si parlava di fusioni o di una sua stessa cessione da parte dello storico manager Patrick Lefevere (in apertura foto Instagram-Soudal Quick Step).

Niente di tutto ciò. La Soudal è forte e viva, anche se diversa. E Bramati ci racconta i cambiamenti avvenuti nel team, le sfide affrontate e le prospettive future, sottolineando come la squadra cerchi di adattarsi alle esigenze di un ciclismo sempre più competitivo e specializzato.

Il mercato è stato importante quest’anno, anche quello ai vertici. Via Lefevere dentro Jurgen Foré alla guida come team manager. E poi l’arrivo di Ethan Hayter su cui investire per le classiche, tanti giovani dal devo team, ma anche scalatori di esperienza come Maximilian Schachmann, profilo impensabile per il Dna di questa squadra fino a solo due o tre anni fa.

La Soudal-Quick Step si presenta alla stampa: obiettivo Tour con Evenepoel, ma sempre con le classiche in testa
La Soudal-Quick Step si presenta alla stampa: obiettivo Tour con Evenepoel, ma sempre con le classiche in testa
Brama, ormai sono un bel po’ di anni che sei in questa squadra?

Ne sono passati ben 23 da quando ho iniziato il mio cammino in questo gruppo: dal 2003 al 2006 come corridore e dal 2006 ad oggi come direttore.

E quanto è cambiata la Soudal? Una volta eravate “la squadra delle classiche”, adesso è evidente questa evoluzione, l’ha detto anche Lampaert durante la presentazione.

Abbiamo perso corridori importanti negli anni. Adesso ci sono altri nomi e uno di questi fa parte di quei cinque o sei atleti che, quando sono alla partenza di una gara, al 90 per cento sono i favoriti. Questo è il ciclismo e la sua evoluzione e noi ci siamo adattati. Anche se è cambiato tanto, però ricordo che la bici è sempre fatta da un telaio, due ruote, un corridore e la sua testa: certi dogmi perciò non cambiano mai.

Anche nel modo di lavorare è cambiato tanto rispetto alla Quick Step di Boonen, tanto per citare un totem del vostro gruppo?

Chiaro, come dicevo l’evoluzione è evidente: materiali più veloci, abbigliamento, nutrizionisti, cuochi, preparatori. Non che prima non fosse così, in qualche modo un certo tipo di ricerca a fare meglio c’era, ma oggi c’è più lavoro specifico su ogni persona e da parte di ogni persona. Ognuno ha il suo ruolo e deve cercare di ottenere e far ottenere il massimo.

Quest’anno avete dato un colpo definitivo: non siete più solo una squadra da classiche. Le partenze di Asgreen e Alaphilippe lo confermano.

Sì, sono partiti due corridori che hanno fatto tanto per questa squadra, ma anche altri in questi anni. Julien ha vinto tanto e anche Asgreen, il nostro ultimo vincitore del Giro delle Fiandre. Sono arrivati Paret-Peintre, Schachmann, Hayter, ottimi corridori. Ma come ho detto, avere uno di quei cinque o sei talenti che dominano oggi è fondamentale. Penso a Van der Poel, Van Aert, Pidcock, Vingegaard: corridori che le squadre vogliono tenersi stretti. Ed è giusto, è normale insistere su questi.

Bramati (classe 1968) con Alaphilippe: i due hanno condiviso moltissime battaglie insieme
Bramati (classe 1968) con Alaphilippe: i due hanno condiviso moltissime battaglie insieme
Con Alaphilippe ci scherzavi tanto, era un po’ un “tuo” corridore. Ci ricordiamo quando proprio qui a Calpe ti rubava le chiavi dallo scooter (mentre si era in marcia) con il quale li seguivi in allenamento…

Eh sì mi ricordo! “Giuliano” l’ho sentito di recente. Mi ha detto che sta bene. Per lui inizia una nuova avventura dopo tanti anni. È andato in una squadra con potenzialità per crescere. Gli auguro di tornare a vincere qualcosa di importante.

Capitolo Evenepoel: come procede il suo recupero? Te lo immagini competitivo per le Ardenne?

Ha avuto un incidente a dicembre, sta facendo gli ultimi controlli. Aspettiamo che i medici ci informino e vediamo. Se sarà pronto per le Ardenne? Io credo di sì, poi non è facile vincere quelle corse. Ma penso una cosa riguardo a Remco, e gliel’ho anche detta: le forze che non sta spendendo adesso se le ritroverà durante l’anno. Sono sicuro che tornerà a un altissimo livello.

Da ex corridore, come vedi Evenepoel dopo la stagione passata? Nel senso: come si trovano gli stimoli per cercare di chiudere il gap in salita con Pogacar e Vingegaard?

L’anno scorso, alla partenza del Tour, non in tanti credevano che potesse arrivare sul podio. Mentre noi abbiamo sempre corso con quell’obiettivo e lo abbiamo raggiunto. Remco ha dimostrato una crescita importante anche sulle grandi salite. Tuttavia sa che deve migliorare ancora per competere con i due che gli sono arrivati davanti, ma è giovane e rispetto a quei due ha il tempo dalla sua parte per crescere.

Remco sarà chiamato ad un grande impegno per ridurre il gap in salita nei confronti di Vingegaard e Pogacar, ma Bramati è fiducioso
Remco sarà chiamato ad un grande impegno per ridurre il gap in salita nei confronti di Vingegaard e Pogacar, ma Bramati è fiducioso
A proposito di giovani, i due ragazzi italiani, Garofoli e Raccagni, che impressioni ti hanno dato?

Andrea Raccagni era nel nostro devo team, Garofoli era già in Astana e ha fatto qualche esperienza in più, è anche un pelo più grande. Arrivano in un gruppo dove avranno gli occhi addosso in ogni gara, ma non devono avere fretta. Gliel’ho detto: «La stagione è lunga, arriverà anche il vostro momento», anche se spesso saranno chiamati ad aiutare. Ma prima o poi tra situazioni di gara, calendari, assenze di qualcuno… avranno spazi personali.

Li vedremo al Giro d’Italia?

Sicuramente Raccagni no. E’ al primo anno, deve migliorare e deve mettere chilometri di gara con i pro’ nelle gambe. Garofoli invece è nella nostra lista lunga. Decideremo dopo i primi due mesi chi saranno gli otto effettivi e le quattro riserve per il Giro d’Italia.

Raccagni lo vedi adatto per le classiche?

Fisicamente mi ricorda un po’ il “Ballero”. Ha 20 anni, è giovane e deve fare le cose con calma, ma ha potenzialità. Una stazza giusta e parecchia potenza. Lo vedremo già quest’anno.

I giovani di oggi guardano alla storia del ciclismo o no? Ti hanno mai fatto domande magari su Boonen, sui corridori dei tuoi tempi…

Troppe domande no, ma sono sicuro che guardano la storia di questo sport. Per esempio, Raccagni è in camera con Pascal Eenkhoorn, che ha esperienza. Ma bisogna lasciar loro il tempo per maturare. Il livello si è alzato tantissimo e il ciclismo di oggi non è facile.

L’occasione mancata: Giro a Rapolano, Alaphilippe beffato

28.11.2024
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Mancano 180 metri quando Julian Alaphilippe lancia la volata. Luke Plapp si siede, Pelayo Sanchez invece gli si attacca alla ruota. Sul muro a 5 chilometri dall’arrivo, il francese ha tenuto un bel ritmo, ma non ha mai dato la sensazione di voler attaccare. E’ la sesta tappa del Giro d’Italia, arrivo a Rapolano Terme, i tre sono in fuga da 105 chilometri. Il giorno prima a Lucca ha vinto Benjamin Thomas (nel giorno in cui a mangiarsi le mani è stato Zanatta), questa volta l’arrivo sembra perfetto per Loulou. Bramati ricorda, questa per lui è la giornata del 2024 in cui s’è davvero mangiato le mani, anche se ha dato la carica per i giorni successivi.

Alaphilippe scatta e lo spagnolo della Movistar gli prende la ruota e lo affianca negli ultimi 30 metri. Il francese dà la sensazione di farcela, invece a pochissimi metri dalla linea si siede. Vince Pelayo, per Alaphilippe un secondo posto che brucia: poteva essere la prima vittoria dell’anno, la prima dal Delfinato dell’anno precedente.

«Julian è un corridore che dà sempre tutto – ricorda Bramati – ma si sapeva che Sanchez era veloce. Per questo forse è partito un po’ troppo presto. Se torniamo a vedere la volata, penso che forse l’ingenuità è stata quella, ma guardando anche l’altro da dietro, si è visto che è partito bene. Penso che in quel frangente avesse più gambe, anche se lo ha passato veramente sulla riga».

La collaborazione tra Alaphilippe e Bramati è iniziata nel 2014 e in 10 anni ha portato risultati pazzeschi
La collaborazione tra Alaphilippe e Bramati è iniziata nel 2014 e in 10 anni ha portato risultati pazzeschi

Il gruppo alle spalle

La giornata è nervosa. Gli ultimi 100 chilometri sono un continuo salire e poi scendere senza pianura né soluzione di continuità. Il francese è in ripresa. A marzo avrebbe potuto giocarsi diversamente la Milano-Sanremo, ma non ha potuto fare la sua volata perché ha pedalato per l’ultimo chilometro con la ruota posteriore bucata. Ha chiuso al nono posto. Magari non avrebbe vinto, fa notare Bramati, perché contro Philipsen forse poteva poco, ma di certo sarebbe arrivato più avanti.

«A Rapolano ero sulla prima ammiraglia – ricorda Bramati – e mi ricordo che gli dicevo di stare lucido, di essere concentrato, che poteva essere la sua tappa. Non ricordo bene le parole, ma dicevo cose del genere. Non puoi fare tanto quando è così, a quel punto la tattica non conta più, è un testa a testa. C’era il gruppo veramente vicino e a 5 chilometri dall’arrivo sull’ultimo strappo si era tutto frammentato. A un certo punto abbiamo iniziato a dirgli che si stavano avvicinando, ma con la macchina eravamo un po’ indietro e non era facile saltare tutti i gruppetti e capire le cose in tempo reale. Penso che sia stata l’occasione perduta dell’anno, che però ci ha permesso di crearne altre, fino a vincere la tappa di Fano».

Il forcing di Alaphilippe sull’ultimo muro non è stato per andare via, ma per fiaccare i rivali
Il forcing di Alaphilippe sull’ultimo muro non è stato per andare via, ma per fiaccare i rivali

889 chilometri di fuga

E’ un Alaphilippe diverso, sano e motivato. Sa già che cambierà squadra e questo forse gli dà una leggerezza differente. Il suo primo Giro d’Italia si convertirà alla fine in un inno alla fuga, con 105 chilometri a Rapolano, 119 a Prati di Tivo, 56 a Bocca della Selva, 136 a Fano, 167 al Mottolino, 93 a Monte Pana, 88 chilometri al Brocon e 125 a Sappada. Un totale di 889 chilometri al comando, per ritrovare le sensazioni e ribadire il proprio valore.

«Senza la foratura della Sanremo – riprende Bramati – sarebbe stato con i migliori e avrebbe fatto un altro risultato. Al Giro invece c’è venuto motivato, molto grintoso. Ci ha provato più di una volta e alla fine penso che noi come squadra, ma soprattutto lui e tutti i tifosi che ha in Italia, siamo stati contenti che Julian alla fine abbia vinto quella bella tappa a capo della fuga con Maestri».

Mandato giù il rospo, Alaphilippe si congratula con Sanchez: la gamba c’è!
Mandato giù il rospo, Alaphilippe si congratula con Sanchez: la gamba c’è!

L’antipasto di Fano

A Rapolano, Alaphilippe non è tutto sommato troppo abbattuto, di certo non si sente al centro di una tempesta di sfortuna. Va ad abbracciare Pelayo Sanchez e se è furibondo, si guarda bene dal farlo vedere. La prima parte dell’anno è stata pesante, con le bordate di Lefevere che a un certo punto si è messo a parlare anche della sua vita privata. Forse proprio questo ha persuaso il francese ad accettare la corte della Tudor Pro Cycling. Mentre la sconfitta toscana, venuta per un soffio, è il segnale che manca poco al vero ritorno.

«Sappiamo tutti che la corsa finisce sulla riga – ricorda Bramati – abbiamo trovato Pelayo Sanchez che in quel momento è stato più veloce, ma abbiamo guardato avanti e cercato di capire quali altre tappe facessero al caso nostro. E alla fine c’è riuscito. Quando è partito verso Fano, forse era troppo presto, ma alla fine ha avuto anche ragione lui. Ha fatto veramente un grande numero e ha dimostrato di essere tornato quello di prima. Sono curioso di vedere come si troverà alla Tudor. Mi sembra una squadra con un’impronta e che ha fatto un bel mercato. Sicuramente penso che dovranno fare ancora degli innesti, ma sono convinto che se avranno la forza di farlo, cresceranno ancora. Se poi arriva l’invito per il Tour e ci sono le classiche, fanno tutti bingo. Loro e anche il mio Julian».

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Bramati: «Alaphilippe ha lasciato il segno nel nostro team»

10.10.2024
5 min
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VIGNOLA – Tra le poche e pesanti assenze al Giro dell’Emilia, ce n’era una che si avvertiva maggiormente, quasi in un’anticipazione del 2025. La caduta patita al mondiale di Zurigo ha impedito Julian Alaphilippe di essere al via con la sua Soudal-Quick Step nelle classiche italiane di ottobre e di esserne un assoluto protagonista.

Una storia iniziata con la squadra belga nel 2014 (anticipata dalla stagione precedente nella formazione continental) in cui Alaphilippe trovò in Davide Bramati un mentore più che un diesse. Così abbiamo chiesto al tecnico lombardo che effetto gli fa sapere di non guidare più il fuoriclasse francese dall’anno prossimo.

Al suo primo Giro d’Italia, Alaphilippe centra la tappa di Fano. Per Bramati una delle vittorie più spettacolari
Al suo primo Giro d’Italia, Alaphilippe centra la tappa di Fano. Per Bramati una delle vittorie più spettacolari

Simbolo di fedeltà

Il trinomio Quick Step-Bramati-Alaphilippe è stato uno dei più vincenti e longevi di un ciclismo moderno in cui è difficile associare una squadra a un corridore e viceversa. Il passaggio del due volte campione del mondo alla Tudor è uno dei migliori colpi del ciclo-mercato, ma come si guarda al passato che sta per diventare tale fra poco?

«Difficile dire – spiega Bramati – quale sia stato il mio primo pensiero sulla sua partenza. Abbiamo lavorato assieme per undici anni e posso dire che quando stai così tanto tempo con un atleta significa che c’è un bel rapporto. Sono altri tempi adesso, ma comunque ci sono corridori che firmano già per 4/5 anni. Più in piccolo e contestualizzando il tutto, fanno scelte come ha fatto Alaphilippe con noi quando passò pro’. Mi sono sempre trovato veramente benissimo con Julian».

Bramati ha ricordato come Alaphilippe abbia saputo tornare ad alto livello dopo alcuni anni sfortunati
Bramati ha ricordato come Alaphilippe abbia saputo tornare ad alto livello dopo alcuni anni sfortunati

«Penso a ciò che ha vinto in carriera – prosegue – ma tutti si ricordano anche che qualche anno fa ha avuto tanta sfortuna, tante cadute e non è stato facile per lui tornare da momenti del genere. Julian però quest’anno ha ritrovato un grande livello e mi dispiace che non sia qui a finire queste ultime gare in Italia perché ci teneva tantissimo. Aveva un’ottima condizione, ma purtroppo al mondiale è caduto».

Anni di vittorie

Alaphilippe si fece conoscere meglio al mondo nel 2015 quando infilò la sequenza di piazzamenti nel trittico Amstel, Freccia Vallone e Liegi, queste ultime due chiuse al secondo posto sempre dietro Valverde. All’epoca qualcuno lo paragonò al nostro Bettini, quantomeno per la militanza nella stessa formazione. Poi col gruppo Quick-Step, Alaphilippe ha brindato (finora) a 44 successi, di cui 24 equamente distribuiti nel biennio 2018-2019, sapendo centrare bersagli grossi in ogni annata.

«Anche in questo caso – racconta Bramati, provando a riavvolgere il nastro della memoria – è complicato dire quale sia la vittoria più bella o speciale. Ha vinto due mondiali e sei tappe al Tour, senza dimenticare la Strade Bianche e la Sanremo e tante altre corse. Ha vinto tanto in Italia e forse proprio per questo credo che la tappa vinta al Giro sia una delle più spettacolari. Era alla sua prima partecipazione ed è andato a segno con uno suoi numeri che lo hanno contraddistinto. Quando Loulou era Loulou che partiva da lontano, che aveva i suoi scatti e le sue accelerazioni. Ce lo ricordiamo tutti.

«Proprio nel 2019 al Tour – ricorda – aveva centrato un paio di tappe. Con la prima riuscì a prendere la maglia gialla, perdendola e riprendendola nuovamente nell’arco di due giorni. Julian è sempre stato un corridore per corse di un giorno, ma quell’anno andava veramente fortissimo. Indossò la maglia gialla per due settimane e finì quinto nella generale. Quello era stato un momento in cui si pensò che poteva trasformarsi in un corridore per grandi corse a tappe, però in salita c’è sempre stato qualcuno che sulle tre settimane era più forte di lui. Credo la sua carriera sia andata e vada bene così».

Fratello maggiore. Bramati augura ad Alaphilippe di vincere ancora tanto anche nella Tudor
Fratello maggiore. Bramati augura ad Alaphilippe di vincere ancora tanto anche nella Tudor

Consigli e auguri

Nonostante il suo ritiro agonistico sia diventato maggiorenne proprio quest’anno, il “Brama” con i suoi corridori sa essere molto vicino sotto tanti punti di vista. Dal 2025 troverà Alaphilippe da avversario con la maglia Tudor, ma non mancano le ultime raccomandazioni.

«Tra lui e me – conclude Bramati – ci sono tanti anni di differenza, però mi sento ancora giovane (ride, ndr) quindi posso dire che il mio con Julian sia stato un rapporto da fratello maggiore più che da padre e figlio. Lui ha preso un’altra strada però penso che abbia lasciato il segno nel nostro team. Ha fatto tanto per noi e resterà nei nostri cuori. Io sono contento di aver lavorato con lui.

«Per i prossimi anni gli auguro di vincere ancora tanto e di continuare a fare quello che ha sempre fatto, soprattutto nell’ultimo anno. In questa stagione ha ritrovato un grandissimo livello e sono certo che farà altrettanto bene nelle sua nuova avventura».

Il gregario dell’anno? Sentiamo tre direttori sportivi

14.09.2024
6 min
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«Oggi il vero gregario cioè il Panizza per De Vlaeminck, il Bernaudeau per Hinault o il Vanotti per Nibali, non c’è più. O se c’è, si vede solo in certi frangenti in corsa». Anche se quello che stiamo per proporvi è un articolo che riguarda la figura del gregario non potevamo esimerci da questa premessa fatta da Giuseppe Martinelli, uno direttori sportivi interpellati per questo “Oscar del gregario” appunto.

La premessa di “Martino” è importante perché ci dice molto anche sul perché dei giudizi su questo o quel gregario. Il fattore del tirare, di prendere aria in faccia, resta oggi centrale. Mentre si affievolisce, almeno vista da fuori, la parte oltre la gara. Vale a dire il gregario confidente, il gregario compagno di camera. Il discorso oggi è molto più tecnico.

Con i tre grandi Giri alle spalle e altre corse importanti nel sacco, cerchiamo di capire chi è, o chi sono, i gregari che si sono distinti maggiormente durante la stagione. E perché si sono distinti.

Oltre a tirare forte, Domen Novak è anche un buon confidente tanto più che è sloveno come Pogacar
Oltre a tirare forte, Domen Novak è anche un buon confidente tanto più che è sloveno come Pogacar

Parola a Gasparotto

«E’ un argomento ampio e di non facile scelta – dice Enrico Gasparotto, direttore sportivo in forza alla Red Bull-Bora – è difficile giudicare e stabilire chi sia stato il miglior gregario dell’anno. Si fa anche fatica a ricordare alcuni eventi di marzo, per esempio. Oppure non si conoscono le dinamiche interne dei vari team, i ruoli e i compiti assegnati ai corridori. E poi parliamo di gregari: ma ci sono team che hanno preso Adam Yates per fare il gregario. Noi stessi in Red Bull, abbiamo Vlasov e Hindley che sarebbero capitani altrove. Ormai si va nella direzione dei super team, in cui corridori molto importanti vengono messi a disposizione di quei 4-5 atleti più forti del mondo. 

«E questo vale non solo per la salita. Penso anche ad alcuni passisti che sono forti nelle classiche del Nord e delle pietre: Van Aert, Van Hooydonck fino all’anno scorso, o Politt: gente molto forte che dà tanto anche nei grandi Giri».

E con Politt Gasparotto apre ad un primo lotto di nomi. Il tedescone della UAE Emirates è piuttosto gettonato.

«Nils – va avanti Gasparotto – l’ho avuto fino allo scorso anno e conosco il suo potenziale è uno di quegli atleti molto importanti al servizio di profili altissimi. Oltre a lui, credo che in stagione si sia ben distinto Domen Novak. Conosco bene questo ragazzo, in quanto corremmo insieme alla Bahrain. Già all’epoca aveva un potenziale enorme e ha fatto uno step ulteriore. Alla Liegi ha svolto un lavoro eccezionale per Pogacar e ha fatto benissimo anche al Giro d’Italia. Un altro che ha fatto bene è Cattaneo».

Aleotti tira i suoi. Giovanni per prestazioni e costanza di rendimento sta diventando un vero uomo squadra
Aleotti tira i suoi. Giovanni per prestazioni e costanza di rendimento sta diventando un vero uomo squadra

Stando in Red Bull-Bora e vista la sua ottima stagione, avremmo pensato che Gasparotto facesse il nome di Giovanni Aleotti, ormai stabile nelle formazioni che contano.

«Certamente c’è anche lui – conclude Gasparotto – non l’ho citato prima perché prendo come punto di partenza il Tour per lo stress della corsa e l’importanza fondamentale che gioca il gregario in quella gara e Giovanni al Tour non c’era. Ma senza dubbio Giovanni è da chiamare in causa. Alla Vuelta ha lavorato quando alla tv ancora non si vedeva. Al Giro lavorava e poi era stabilmente nei primi 15, 20 al massimo: questo significa che ormai ha raggiunto una base solida. Lo vedo molto bene anche in ottica futura come gregario di un capitano importante. E’ un lavoro che svolge con naturalezza e poi c’è un aspetto molto importante: si è guadagnato la fiducia dei leader. Perché tu puoi andare forte quanto vuoi, ma se il capitano non si fida di te serve a poco.

«Se un corridore così, visto il mondiale duro che si profila e i nomi che se lo giocheranno Roglic, Pogacar, Remco… non fosse convocato, sarei alquanto stupito».

Alla Vuelta visto un Cattaneo splendido. Solo dei problemi di salute gli hanno impedito di essere al Tour con Evenepoel
Alla Vuelta visto un Cattaneo splendido. Solo dei problemi di salute gli hanno impedito di essere al Tour con Evenepoel

Tocca a Bramati

Dopo Gasparotto ascoltiamo il parere di Davide Bramati, diesse della  Soudal-Quick Step. Anche il tecnico lombardo sottolinea il fatto che l’argomento è ampio, che la scelta da fare non è facile e, aggiunge: «La stagione non è ancora finita!».

«Chi è il miglior gregario dell’anno? Se guardo in casa mia, ma non solo, dico Mattia Cattaneo. Specie dopo la medaglia alla crono degli europei mi viene in mente lui. Alla Vuelta ha fatto grandi cose. Abbiamo visto quando si è fermato ad attendere Landa. Quella è stata una decisione non facile, anche per l’ammiraglia. Da parte sua, significa devozione per la squadra e per il lavoro che sta facendo, pur avendo una grande condizione».

Bramati, tra gli altri, ha elogiato Ghebreigzabhier, attivo su molti fronti
Bramati, tra gli altri, ha elogiato Ghebreigzabhier, attivo su molti fronti

Cattaneo era stato già nominato da Gasparotto e non poteva essere diversamente. Oggettivamente Mattia è stato un grande interprete di questo ruolo. E non solo in questa stagione.

«Anche Novak della UAE Emirates mi è sembrato molto bravo in questo ruolo, almeno nelle corse che ho seguito io e anche ascoltando il parere dei ragazzi. I miei atleti mi dicono che fa numeri incredibili, che tira fortissimo e per molti chilometri. Novak svolge un grande lavoro anche quando si è lontani dal traguardo. 

«Poi sempre per quel che ho visto io in corsa, devo dire che mi ha colpito Amanuel Ghebreigzabhier della Lid-Trek. Al Giro l’ho visto tirare in salita, in pianura per Milan, andare in fuga. Davvero un bell’atleta».

Giro 2016: immagine simbolo di Scarponi in veste da gregario. Michele fu fermato da Martinelli e Slongo per attendere Nibali (immagine tv)
Giro 2016: immagine simbolo di Scarponi in veste da gregario. Michele fu fermato da Martinelli e Slongo per attendere Nibali (immagine tv)

Infine Martinelli

Chiudiamo con il più esperto dei direttori chiamati in causa, Giuseppe Martinelli, tecnico dell’Astana-Qazaqstan. Anche lui ribadisce la difficoltà di individuare un singolo nome. Scavando nel passato recente dei suoi atleti, Martino, nomina Kangert e Scarponi. Ma poi si chiede anche se un atleta come Van Aert, spesso al servizio del team, possa essere considerato un gregario o meno.

«Un gregario formidabile è Marc Soler, ma quando riesce a farlo veramente? Ha una testa quello lì… Cattaneo è molto bravo. Ma se devo scegliere il gregario di quest’anno dico Rafal Majka. Penso anche al Tour dell’anno scorso e ovviamente all’ultimo Giro. E’ stato fondamentale. Era uno dei pochi se non l’unico che doveva e poteva restare vicino a Pogacar e lo ha fatto al meglio. Anche Adam Yates o Almeida si sono messi a disposizione di Pogacar, ma Majka è votato per quel ruolo lì. E’ il gregario vero: tira in salita e si stacca. Probabilmente quei gregari così non ci sono più».

Per Martinelli è Majka il gregario dell’anno. Votato alla causa del leader e basta
Per Martinelli è Majka il gregario dell’anno. Votato alla causa del leader e basta

E su questa figura, Martinelli apre una parentesi: «Quando mio figlio Davide era in Quick Step mi diceva di De Clerq, ora alla Lidl-Trek. Un corridore che faceva paura, in grado di tirare dal terzo chilometro di gara fino ai meno 40, meno 30… anche nelle corse del Nord. E nel frattempo magari andava anche dietro a prendere l’acqua. Una forza della natura. Ma per i più, De Clerq è poco noto e magari porta anche pochi punti. E questo pochi team se lo possono permettere. Però è fondamentale per la squadra. Oggi con tutti gli extra feed che abbiamo i ragazzi neanche sono così capaci a prendere l’acqua all’ammiraglia».

Dal Tour a Parigi senza la radio: il nervosismo di Remco

10.08.2024
5 min
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Ultime battute della corsa in linea maschile alle Olimpiadi di Parigi 2024. Sulla salita di Montmartre Remco Evenepoel ha piazzato la sua stoccata decisiva. E’ in fuga solitaria, il vantaggio è subito lievitato nei confronti di Madouas. Ma lui non lo sa: la moto con la lavagna è dietro, le radio non si possono usare. Il belga parla concitatamente con la moto del cameraman televisivo indicando nervosamente il polso: «Quanto ho di vantaggio?» chiede senza risposta. Prima c’era stata la foratura. La grande paura. Che non avrebbe provato, sapendo il baratro che aveva scavato…

Evenepoel chiede notizie alla moto, indicando il polso. Ma Madouas era lontano (immagine tv)
Evenepoel chiede notizie alla moto, indicando il polso. Ma Madouas era lontano (immagine tv)

Radio, sì o no?

La gara olimpica ha riproposto la vecchia questione del correre con o senza le radio di collegamento con l’ammiraglia. Diciamoci la verità: la polemica legata a questo aspetto, venata di nostalgia per il bel tempo che fu, risulta un po’ stantia. E’ vero però che una gara vissuta senza questo ausilio tecnologico è molto diversa da quelle a cui siamo abituati.

Davide Bramati, che di Remco è il diesse e condivide con lui gran parte della stagione, ha vissuto con grande interesse, anche se da spettatore, la gara a cinque cerchi e anche lui è rimasto colpito da questo aspetto passato da molte parti in second’ordine.

Lo stop di Remco per la foratura, attimi concitati non conoscendo il vantaggio (immagine tv)
Lo stop di Remco per la foratura, attimi concitati non conoscendo il vantaggio (immagine tv)

«Si vedeva – dice – che i corridori erano un po’ spaesati. Noi siamo abituati a correre in una certa maniera, quando poi ti trovi nelle gare titolate con una situazione diversa, è tutto più difficile. Sicuramente, avesse saputo il vantaggio, Remco avrebbe vissuto la foratura con meno stress, ma bisogna comprenderlo, rischiava di vedere vanificato il sogno di una vita».

Quel che è avvenuto ha riaperto il dibattito e tu che hai esperienza anche del “ciclismo precedente”, che cosa ne pensi?

Ogni corridore disputa 70-80 corse l’anno, quasi nella totalità con le radio, trovo un controsenso che poi ci siano questi eventi che si effettuino senza. O sempre, o mai. Il ciclismo è uno, le regole devono essere sempre le stesse. Non averle cambia molto soprattutto a livello tattico. Un aspetto che pochi hanno considerato: a Parigi le squadre che avevano il contingente di 3 o 4 corridori, avevano bisogno di riferimenti, uno dei corridori si rivolgeva all’ammiraglia chiamata davanti. Moltiplicate ciò per più squadre e più casi. Io dico che a livello di sicurezza è stato un pericolo non di poco conto…

Bramati con Evenepoel in una foto di inizio 2023, con la maglia iridata di Wollongong 2022
Bramati con Evenepoel in una foto di inizio 2023, con la maglia iridata di Wollongong 2022
Molti rimpiangono il passato…

E’ pleonastico, è come dire che si stava meglio quando non c’erano i telefonini. Ma ci sono, fanno parte della nostra vita di adesso. E’ chiaro che tutto cambia, fa parte del gioco. Le radio hanno una grande utilità in termini di sicurezza, hai subito la percezione di quel che avviene con una caduta, una foratura. La loro funzione primaria è questa. Mettiamola così: un diesse senza radio è come avere un allenatore di calcio a bordo campo che non può dare alcuna indicazione ai suoi. Ha senso?

Tu però conosci e hai vissuto il “prima”…

Se parliamo dal punto di vista tattico, non è che poi abbiano avuto questa grande innovazione. Semplicemente studiavi il percorso con grande attenzione e davi prima le indicazioni, poi si comunicava in corsa tramite i compagni che venivano all’ammiraglia o ai rifornimenti. E’ indubbiamente meglio adesso, c’è meno confusione in corsa e i corridori sono messi in condizione di dare il 100 per cento. Ma io porrei l’accento sull’aspetto sicurezza, anche perché rispetto a prima le strade sono cambiate. Pensate solo che nel Bergamasco quando correvo io le rotonde si contavano sulle dita di una mano, ora ce ne saranno 300… E poi dossi, spartitraffico… I corridori vanno messi in condizione di pedalare in sicurezza. All’ultimo Tour è vero che c’è stata la caduta costata la corsa a Roglic, ma il numero di incidenti si è molto ridotto rispetto al passato.

La volata valsa il bronzo a Laporte. Ma il francese non conosceva la situazione di classifica
La volata valsa il bronzo a Laporte. Ma il francese non conosceva la situazione di classifica
C’è anche un’altra differenza rispetto al passato: oggi le tv trasmettono le corse nella loro integralità e chi è in ammiraglia ha un occhio in più a disposizione…

E’ vero fino a un certo punto. Sicuramente in passato, quando si era fortunati si aveva la diretta dell’ultima ora/ora e mezza, oggi le corse vengono proposte nella loro integralità. Ma se per chi è a casa è un vantaggio, per noi in ammiraglia cambia poco anche perché pochi si accorgono che non c’è una percezione immediata, ogni accadimento lo cogli sempre con un po’ di secondi di ritardo. Avere la voce diretta dal gruppo, per ogni singolo evento, è per noi responsabili del team molto importante. Anche il web aiuta sì, ma non dà l’istantaneità di quanto avviene e a noi serve sapere tutto subito, per il bene dei ragazzi.

Domani la crono di Parigi, ma prima rileggiamo il Tour di Remco

26.07.2024
6 min
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Nella sua giovane carriera da professionista, che a 24 anni lo vede vincitore di 56 corse fra cui due Liegi e due mondiali (uno in linea e uno a crono, foto di apertura), Remco Evenepoel ha concluso tre Grandi Giri. Uno lo ha vinto (Vuelta 2022), nel secondo è arrivato 13° (Vuelta 2023), il terzo – il primo Tour de France della sua carriera – lo ha chiuso al terzo posto. Gli è andata male solo al Giro d’Italia. Ne ha corsi due e in entrambi si è ritirato: nel primo per caduta (2021) e per la scelta assurda di schierarlo come prima corsa al rientro dall’infortunio al Lombardia, nel secondo per il Covid (2023). Il motivo per cui si sente spesso dire che il ragazzino (ha due anni meno di Pogacar e quattro di Vingegaard) non sia adatto per queste corse rientra fra le etichette social affibbiate col gusto di colpire e non di capire.

Abbiamo parlato del suo Tour con Tom Steels e Koen Pelgrim, questa volta lo facciamo con Davide Bramati, che con lui ha preparato ben più di una vittoria e anche i due sbarchi sfortunati al Giro.

«Come abbiamo sempre detto – racconta il tecnico bergamasco – e come ha detto più volte anche Remco, avevamo un obiettivo definito. Puntare a un posto fra i primi cinque e vincere una tappa. Ha vinto la crono, una grande crono. Mentre io, dopo la tappa nello sterrato, mi sono sempre più convinto che avrebbe fatto un grande Tour».

Bramati, classe 1968, è stato pro’ dal 1991 al 2006 e da allora è ds alla Soudal-Quick Step
Bramati, classe 1968, è stato pro’ dal 1991 al 2006 e da allora è ds alla Soudal-Quick Step
Quello che ha colpito da fuori è stata la tranquillità nel gestire ogni momento, duro e meno duro, sebbene fossimo al Tour.

L’ho già detto: passano gli anni, sta maturando e sta imparando tanto. Non dimentichiamoci che Remco ha saltato gli under 23 e penso che non sia stato facile. Sappiamo tutti che la pressione di tutti i giornalisti in Belgio è altissima, soprattutto avendo un corridore così e dopo tantissimi anni che uno di loro non saliva sul podio del Tour. Penso che sia stato bravo, si è gestito veramente alla grande. Anche nei giorni in cui si è staccato da Pogacar e Vinegaard, ha sempre gestito veramente bene tutte le situazioni.

E’ una maturazione che sta arrivando con i mesi oppure qualcosa su cui state lavorando?

Già l’anno scorso eravamo venuti al Giro d’Italia con il grande obiettivo di provare a fare i primi cinque e vincere una tappa. L’idea non confessata, se proprio si voleva puntare in alto, era di arrivare al podio, ma quello si poteva capire strada facendo. Penso che fino alla crono di Cesena si sia gestito tutto bene. Remco aveva vinto alla grande la crono iniziale. Avevamo lasciato andare la maglia per non sprecare energie tutti i giorni, andando al podio e alle conferenze stampa. Stava andando tutto bene e poi purtroppo è successo quello che è successo. Penso che la stessa situazione si sia vista quest’anno al Tour de France. Il Covid c’è e negli sport di resistenza come il ciclismo, non è facile andare avanti se un corridore lo prende.

Finalmente il Tour e il podio al primo colpo: non è un risultato banale.

Il Tour è il Tour e giustamente prima di arrivarci, ha fatto la Vuelta. Mi correggo, Remco ha vinto la Vuelta alla prima partecipazione. Forse si dimentica troppo spesso che Remco ha già vinto un Giro di tre settimane a 22 anni. Adesso ne ha 24 e abbiamo pensato che avesse la base per chiudere il cerchio con una grande esperienza. Mancava il Tour e penso che correndolo abbia imparato tanto. Si è gestito veramente bene in tutte le tappe. Anche se magari veniva staccato, non è mai andato veramente in difficoltà. Ha sempre fatto il suo, sapendo che Pogacar quest’anno era di un altro livello. Per adesso Tadej è di un altro pianeta. Sicuramente questo terzo posto fa ben sperare anche per il futuro.

Nella penultima tappa a Col de la Couillole, Remco ha attaccato Vingegaard, ma la risposta è stata inesorabile
Nella penultima tappa a Col de la Couillole, Remco ha attaccato Vingegaard, ma la risposta è stata inesorabile
Ha vinto tanto, ma resta sempre un giovane, no?

Infatti penso che questo podio gli dia tanta convinzione anche per i prossimi anni. Ha già un palmares notevole, ma sono convinto che non sia finito lì. Già domani e poi la settimana prossima ci saranno le Olimpiadi, la crono e la strada, e penso che lo vedremo lottare per una delle tre medaglie.

A proposito di crono, l’ultima vi ha un po’ deluso oppure si capiva che era sarebbe stata una prova di gambe e quindi il terzo posto va bene?

Si è fatto tutto quello che si doveva per provare a vincerla. Sapevamo che non era una cronometro facile, anche perché arrivava dopo due tappe molto impegnative e abbiamo trovato nuovamente Pogacar su un altro livello. Vingegaard era già più vicino, però siamo contenti così. Penso che tutti abbiano visto l’emozione che aveva dopo l’arrivo. Tanti continuavano a dire che non avremmo mai potuto portare qualcuno sul podio del Tour. Per noi è il frutto di un lavoro di squadra iniziato da anni e che ci ripaga tutti. Ci abbiamo sempre creduto, siamo sempre stati coi piedi per terra, abbiamo lavorato giorno dopo giorno. Nessuno mai è uscito dicendo che fossimo in Francia per vincere il Tour, nemmeno lui. Tutto quello che veniva sarebbe stato un’esperienza molto importante. Penso che questo sia un passaggio importante da far capire.

Nella tappa di sabato, sembrava che voleste attaccare a fondo.

Abbiamo provato ad andare per il secondo posto. Il giorno prima ci era sembrato che Vingegaard fosse arrivato al limite e ci siamo detti: «Perché non provare?». Non si sa mai e poi il giorno dopo c’era la cronometro. I corridori erano tutti molto motivati, si è fatto quello che si è potuto, ma abbiamo trovato Pogacar e Vingeegaard che sicuramente erano ancora in giornata di grazia. E’ stato giusto provarci e comunque abbiamo imparato qualcosa.

Si temeva che la squadra non fosse all’altezza, invece nonostante le defezioni, se la sono cavata bene. Cosa possiamo dire?

Niente di negativo. Moscon ha fatto il suo. Landa ha lavorato ed è arrivato quinto al Tour a 34 anni. Magari alcune tappe per velocisti sembra che si siano vissute tranquillamente, ma in gruppo c’è sempre stress, paura di cadute, paura del regolamento dei tre chilometri, con certi giorni in cui lo hanno spostato ai 4 e ai 5 chilometri. Tutto sommato è stato un Tour di livello altissimo, ma con poche cadute. I corridori sono sempre rimasti concentrati e la nostra squadra ha fatto la sua parte. Hirt è stato chiamato in extremis e nell’ultima settimana si è fatto trovare pronto. Purtroppo abbiamo avuto le due defezioni di Cattaneo e Masnada che da italiano mi sono dispiaciute. Abbiamo dovuto fare delle scelte e per vari motivi non erano pronti. Credo sia stato per tutti un Tour utile per il futuro, che ci ha dato tante certezze in più.

Il futuro è un’incognita. Già lo scorso anno si era parlato prima della fusione con la Ineos Grenadiers e poi in modo più concreto con la Jumbo Visma. Evenepoel ha il contratto con la squadra belga fino al 2026, ma non è un mistero che nei giorni del Tour sia stato legato già per il prossimo anno alla Red Bull, con cui la Soudal-Quick Step condivide il marchio delle bici. Abbiamo visto passaggi di maglia pagati con sacchi di euro, al punto che per blindare Pogacar, il UAE Team Emirates ha innalzato la sua clausola rescissoria a 150 milioni di euro. Quel che si può osservare è che nel gruppo Quick Step, Remco stia seguendo una crescita coerente e progressiva, con le tutele che i suoi 24 anni rendono necessarie. Siamo sicuri che finire in uno squadrone che da lui si aspetterà certamente il risultato sia la scelta più giusta?