Bennati e il ballo delle coppie fra Cipressa, Poggio e volata

21.03.2025
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Poco più di 24 ore e conosceremo il vincitore della Milano-Sanremo numero 116. Una Classicissima di campioni, di grandi squadre e, soprattutto, di super coppie. Jasper Philipsen e Mathieu Van der Poel per la Alpecin-Deceuninck, Tadej Pogacar e Jonathan Narvaez per la UAE Emirates, Jonathan Milan e Mads Pedersen per Lidl-Trek, Filippo Ganna e Ben Swift per la Ineos Grenadiers: quasi tutti possibili vincitori, con strategie che si incrociano e soluzioni tattiche che possono ribaltare l’esito della corsa. Viene quasi da pensare che la Classicissima si trasformi in un grande ballo, dove il percorso è la strada fra Cipressa, Poggio e lo sprint finale, in cui ogni coppia proverà a dettare il proprio ritmo.

Di queste super coppie parliamo con Daniele Bennati, ex corridore e, fino a pochi mesi fa, commissario tecnico della nazionale italiana. Molti di questi atleti li ha conosciuti da vicino, li ha studiati e sa bene cosa possono fare sulla strada per Sanremo. Il “Benna” di Classicissime ne ha all’attivo ben 14, la prima delle quali nel 2003, come si nota nella foto di apertura, in cui tirò per Cipollini iridato. Qualcosa di buono dunque potrà dirci!

Philipsen e Van der Poel, oltre ad essere gli ultimi due vincitori della Sanremo si conoscono alla grande. Jasper però non ci arriva bene dopo la caduta alla Nokere Koerse
Philipsen e Van der Poel, oltre ad essere gli ultimi due vincitori della Sanremo si conoscono alla grande. Jasper però non ci arriva bene dopo la caduta alla Nokere Koerse

Van der Poel e Philipsen

Daniele, si sta delineando uno scacchiere particolare, un ballo delle coppie. Partiamo dai due dell’Alpecin: come se la possono giocare? Perché possono essere favoriti?

Beh, sicuramente sono tra i favoriti. Sono gli ultimi due vincitori e hanno caratteristiche complementari. Van der Poel, se arriva in volata, può fare un lavoro eccezionale per Philipsen, come ultimo uomo di lusso, quello che tutti vorrebbero avere. Ma allo stesso tempo può giocarsi le sue carte prima, attaccando sul Poggio e affrontando la discesa da solo, come ha già dimostrato di saper fare. E aggiungerei: e se alla fine VdP tirasse la volata all’altro compagno, Kaden Groves?

Forse anche tatticamente i due dell’Alpecin sono quelli con l’interpretazione più semplice della corsa…

Vero, loro fino al Poggio non dovranno fare assolutamente nulla. VdP dovrà seguire Pogacar, mentre Philipsen dovrà difendersi fino allo sprint. La UAE avrà la responsabilità di fare la corsa più dura possibile, ma ammesso che alla Sanremo si possa veramente selezionare il gruppo. Il meteo quest’anno potrebbe essere determinante: se dovesse piovere (come sembra, ndr), Pogacar avrebbe più possibilità.

Perché?

Perché se dovesse piovere un corridore come Pogacar può fare la differenza. Un certo meteo è come avere un compagno di squadra forte. Se non c’è mal tempo è veramente difficile fare la selezione, anche se ti chiami Pogacar. Quando ha vinto Vincenzo Nibali, che non l’ha vinta a caso perché comunque ci ha sempre creduto, c’erano delle condizioni meteo favorevoli. Io c’ero quel giorno. Sul Poggio c’era un forte vento laterale e Vincenzo è riuscito a fare la differenza. Quindi il meteo può sempre essere un fattore determinante per il risultato della Milano-Sanremo. Oggi si va talmente veloci che sulla Cipressa è sempre più difficile fare selezione, mentre se la discesa dovesse essere bagnata allora sì che ci sarebbe un bello sparpaglìo.

Secondo Bennati, nonostante un corridore brillante come Narvaez (e non vanno dimenticati Del Toro e Wellens) la UAE correrà per Pogacar
Secondo Bennati, nonostante un corridore brillante come Narvaez (e non vanno dimenticati Del Toro e Wellens) la UAE correrà per Pogacar

Pogacar e Narvaez

Passiamo al grande atteso Tadej Pogacar, che ha in Narvaez una spalla vincente, uno con la botta secca come abbiamo visto lo scorso anno a Torino al Giro…

Narvaez è forte, non ha grandi risultati alla Sanremo, ma può essere un’alternativa molto interessante a Pogacar perché va forte in salita ed ha un’alta punta di velocità. La sua velocità lo rende una valida alternativa. La UAE però a mio avviso avrà una sola carta da giocare: Pogacar. La squadra lavorerà per lui, cercando di rendere la gara dura già dalla Cipressa.

Valerio Piva ci disse che per Pogacar sarebbe stato ideale avere un co-capitano con reali chance di vittoria, magari per un’azione sulla Cipressa o addirittura sul Poggio Narvaez può essere mandato in avanscoperta…

Ci sta, ma più passa il tempo, più diventa difficile fare la differenza in salita. La UAE dovrà rendere la Cipressa più veloce possibile per stancare gli avversari, poi Pogacar dovrà trovare l’attacco giusto sul Poggio.

Questo attacco Pogacar deve anticiparlo o sempre nella parte finale del Poggio?

La Sanremo è imprevedibile. Quando Van der Poel ha vinto, ha attaccato negli ultimi 200 metri del Poggio, ha preso 25 metri a Tadej ed è arrivato al traguardo con una quindicina di secondi. Non conta solo dove attacchi, ma anche come e soprattutto la continuità che riesci a dare sulla discesa, che è tecnica e richiede continui rilanci. E Van der Poel in tal senso è bravissimo tecnicamente. Nella discesa del Poggio serve tecnica, ma anche tanta potenza. Ogni rilancio è una volata.

Watt da vendere per i due giganti della Lidl-Trek, Milan e Pedersen
Watt da vendere per i due giganti della Lidl-Trek, Milan e Pedersen

Pedersen e Milan

La coppia della Lidl-Trek sembra la più simile come caratteristiche: due bestioni di potenza. Cosa ci dici di loro?

Io non li vedo così simili. Pedersen ha un grande fondo ed è stato campione del mondo, ha le caratteristiche per vincere una Milano-Sanremo. Milan è fortissimo allo sprint. Qualcosa di differente potrebbero fare. Jonathan deve cercare di perdere il meno possibile sul Poggio per potersi giocare le sue carte allo sprint.

E Pedersen?

Pedersen avrà l’obbligo di anticipare. Non ha paura di attaccare da lontano e sa stare dietro a chi vuole fare la corsa dura. È una coppia interessante, entrambi possono vincere.

Loro dovranno solo difendersi?

Non necessariamente. Pedersen come detto può fare anche altro. Alla Parigi-Nizza l’abbiamo visto bene e sa andare forte anche dopo una lunga distanza e anche col maltempo. Mads è un lottatore. Non sarei stupito se provasse a seguire i grandi attacchi.

Mentre Milan?

Jonatahn non deve fare assolutamente niente. Deve stare a ruota, cercare di prendere le salite più avanti possibile e stare tranquillo. Tenere duro. E una volta sull’Aurelia se sarà ancora lì davanti, dovrà fare lo sprint. Immagino che si sfilerà e sull’Aurelia dovrà cercare di ricompattarsi con il gruppetto. Perché per poter vincere lui ci deve essere un gruppetto. A quel punto Pedersen, che in teoria dovrebbe esserci, potrebbe aiutarlo alla grande.

Ganna e Ben Swift. Qui c’è un leader ma la forza della coppia sta nell’obiettivo: portare Pippo al meglio ai piedi del Poggio
Ganna e Ben Swift. Qui c’è un leader ma la forza della coppia sta nell’obiettivo: portare Pippo al meglio ai piedi del Poggio

Ganna e Swift

Daniele, passiamo all’ultima super coppia: Filippo Ganna e Ben Swift. Qui il vincente designato è uno solo però, ovvero Pippo…

Filippo sta benissimo e Swift è un compagno fondamentale. Ha una grandissima esperienza, soprattutto alla Sanremo, dove ha disputato dieci edizioni senza mai ritirarsi, chiudendo due volte sul podio (terzo nel 2014 e secondo nel 2016, ndr). Sarà cruciale per Pippo nel tenere le posizioni nel finale. Ben sa fare molto bene il road capitain

E Ganna come potrà giocarsi le sue carte?

Può aspettare fino all’ultimo e attaccare sull’Aurelia, può provare sul Poggio, oppure giocarsi la volata ristretta. Con Philipsen sarebbe battuto, ma ricordiamoci che alla Sanremo lo sprint arriva dopo 300 chilometri e questo cambia tutto.

Con Van der Poel, Pogacar, Philipsen e magari qualche altro uomo veloce isolato, come Girmay per esempio, giocarsela allo sprint è un bel rischio…

Sì, ma Ganna ha dimostrato di essere veloce anche dopo corse lunghe. Se fossi in lui, con un gruppo ristretto sull’Aurelia, tenterei di attaccare.

Ma un attacco di Ganna se lo aspettano tutti…

Anche quando vinse Cancellara, tutti sapevano che avrebbe attaccato lì. Ma se hai il motore giusto, anche se te lo aspettano, non è facile prenderti. Sicuramente questa è la carta migliore per Pippo.

Il top per Ganna sarebbe avere Swift pronto a chiudere…

Alla Sanremo, nel finale, ci sono sempre pochi compagni. Ma con queste coppie potrebbe cambiare qualcosa. Chi chiude su Ganna sa che ha perso la corsa. Per questo, per lui, l’attacco è una delle migliori strategie. Tuttavia sono convinto che potrebbe anche vincere in volata.

Bennati a casa meritava una vera spiegazione?

08.03.2025
7 min
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SIENA – «A cose normali – dice Bennati – finito il rapporto avrebbero potuto convocarmi. Hanno uffici a Roma e Milano, il presidente ha il suo ufficio, dove ho firmato il contratto. Mi convocavano e avrebbero potuto spiegarmi qualsiasi tipo di ragione. Non sono arrivati i risultati? E’ una motivazione reale, che sarebbe da contestualizzare, ma è innegabile. Potevano dirmi che si aspettavano di meglio, per cui volevano voltare pagina. Invece alla fine sono stato io a chiamare Amadio. Eravamo a metà febbraio e gli ho chiesto che cosa avrei dovuto fare. E Roberto mi ha risposto che avevano appena finito la riunione in cui il presidente aveva deciso di non confermarmi».

La presentazione delle squadre della Strade Bianche è nel pieno, con Bennati sediamo sugli scalini nella Fortezza Medicea, mentre gli chiedono interviste e di fare qualche foto. Nelle scorse settimane tanti hanno parlato del commissario tecnico non confermato. Colleghi hanno scritto articoli molto duri e noi non avevamo ancora sentito la versione del toscano.

Il Consiglio federale di febbraio ha ratificato le nomine dei nuovi commissari tecnici. Quando la mancata conferma è stata ufficiale, Bennati ha scritto un post su Instagram. Ha ribadito il suo amore per l’azzurro. E ha lamentato le modalità della chiusura dei rapporti a causa delle quali ha rinunciato a importanti incarichi professionali. Richiesto nel merito pochi giorni fa, il team manager Amadio ha riconosciuto la serietà e l’impegno di Bennati e spiegato che la fine della collaborazione sia stata dovuta alla rottura dei rapporti fra il cittì e il presidente federale, cui spetta la prerogativa di nominare i tecnici.

La Strade Bianche partirà a breve, con il numero uno per Pogacar nella gara maschile e la sua compagna Urska fra le donne
La Strade Bianche partirà a breve, con il numero uno per Pogacar nella gara maschile e la sua compagna Urska fra le donne
Partiamo dalla fine: hai davvero rinunciato a un importante incarico professionale?

Avevo già ricevuto il contratto dalla Groupama-FDJ. Prima tramite Philippe Mauduit, poi Madiot e alla fine ho parlato con il direttore generale Thierry Cornec. Perso Demare, vogliono ricostruire un gruppo vincente attorno a un velocista forte e avrebbero affidato a me il progetto. Si trattava di individuarne uno libero e poi di costruirgli attorno un treno e un metodo di lavoro. Spero si possa riprendere il discorso che sul momento ho lasciato cadere perché aspettavo il Consiglio federale. Non avrei trovato corretto accettare un’altra offerta e per giunta all’estero.

La decisione è stata davvero presa per un problema di relazione fra Bennati e il presidente federale?

Probabilmente da un certo momento in poi qualcosa si è incrinato. Non ho accettato di accompagnarlo durante la campagna elettorale, ma quale altro tecnico lo ha fatto? Io credo che questa decisione sia stata presa molto prima di febbraio. Ovviamente nell’ultimo anno i problemi ci sono stati, spesso legati a incomprensioni. Ho fatto buon viso alla scelta di far correre Viviani su strada a Parigi. Alla fine è venuta la medaglia, hanno avuto ragione, ma confesso che a un certo punto ho anche pensato di dimettermi. Con il mio carattere non ho sempre detto di sì e qualche volta ho anche detto di no a situazioni in cui non mi trovavo. Non so se questo abbia portato alla decisione.

Che esperienza è stata per te questo viaggio di tre anni?

Alla nazionale non si può dire di no. Quando mi è stato proposto, io non conoscevo il presidente e lui non conosceva me. C’è stato un avvicinamento, poi due o tre incontri e alla fine ho preso la decisione, consapevole che il periodo sarebbe stato complicato. Va detto che quando ho accettato, Colbrelli aveva da poco vinto la Roubaix, era campione europeo e stava entrando in una dimensione internazionale importante. Sarebbe stato competitivo già dal primo mondiale in Australia, poi a Glasgow e anche alle Olimpiadi di Parigi. Sicuramente avremmo potuto chiudere il cerchio, però ovviamente è andata peggio a lui e mi dispiace tanto. A quel punto ho puntato sui corridori che avevamo e con cui ho lavorato bene. Trentin e Bettiol che, ad esempio, secondo il mio punto di vista era più in forma in Australia che a Glasgow. Sono stati tre anni difficili che sicuramente mi hanno dato la possibilità di crescere. Mi sono fatto le ossa, mi sono fatto tanta esperienza che non avevo per questo ruolo.

Quando Bennati ha firmato da cittì, Colbrelli era campione europeo e aveva da poco vinto la Roubaix
Quando Bennati ha firmato da cittì, Colbrelli era campione europeo e aveva da poco vinto la Roubaix
Anche Villa ha detto che nessuno nasce commissario tecnico.

Penso che anche il grande Franco (Ballerini, ndr) non avesse l’esperienza della nazionale. Dalla sua parte sicuramente aveva un parco atleti molto più consistente. Non voglio dire che fosse più facile, però sicuramente aiuta. 

Com’è stato il tuo rapporto con i corridori da non più corridore?

All’inizio è stato strano. Ero sceso da bici da poco tempo e avere questo rapporto così distaccato l’ho trovato particolare. Per fortuna non ci ho messo tanto a trovare le misure giuste.

Ti è parso che i corridori abbiano fatto sempre quello che gli hai chiesto?

Partiamo dal primo mondiale. Quello in Australia è stato molto positivo e lo ricordo con più piacere. I ragazzi hanno interpretato la corsa nella maniera giusta, c’era un bello spirito. Abbiamo sfiorato il podio con Rota e alla fine abbiamo salvato il risultato grazie a Trentin. Quel giorno Evenepoel era nettamente più forte, però il nostro approccio è stato un ottimo biglietto da visita, un modello per il futuro. E il copione, a mio modo di vedere, si è ripetuto anche a Glasgow. Anche lì la squadra ha lavorato bene, l’approccio è stato dei migliori. Bettiol si è giocato le sue carte con quella lunghissima fuga, anche se a un certo punto lo hanno messo nel mirino e poi gli hanno dato il colpo di grazia.

Nel mezzo ci sono stati gli europei di Monaco e Col du Vam.

A Monaco non avevamo ancora il Milan di adesso. Jonathan era agli inizi e il capitano doveva essere Nizzolo. Poi Giacomo è caduto e a quel punto è subentrato Viviani. I ragazzi hanno fatto un ottimo lavoro, poi Elia ha scelto di impostare la volata da davanti poiché avevamo la squadra per quel tipo di lavoro. A Col du Vam invece si puntava a fare bene con Ganna. Dal punto di vista dell’esperienza in questi appuntamenti Pippo non aveva ancora l’immensa sicurezza che ha in pista e nelle crono. Anche lì la squadra ha lavorato bene, ma nel finale per un’indecisione nel posizionamento, siamo scivolati troppo indietro, c’è stata la caduta e si è compromessa la gara.

Gli europei di Hasselt vedevano l’Italia in pole position con Milan e sono stati la delusione più cocente di Bennati
Gli europei di Hasselt vedevano l’Italia in pole position con Milan e sono stati la delusione più cocente di Bennati
L’europeo del 2024 si poteva vincere?

E’ stato la delusione più grande, dopo tre anni di bocconi amari. Era la prima volta che la nostra nazionale si presentava ai nastri di partenza con l’uomo da battere, vale a dire Milan. L’amarezza è stata grande. Alla fine io non ho fatto nessuna conferenza stampa, non ho fatto dichiarazioni ufficiali, nonostante quanto mi è stato rinfacciato. Finita la corsa, abbiamo fatto la riunione sul pullman, io ho usato parole dure e questa cosa è trapelata. Non avendo le radioline e vedendo un certo atteggiamento nel finale, non ho potuto correggere il loro errore ed ero frustrato. E’ normale che dopo la corsa ci sia un chiarimento e il mio sfogo è stato confermato dalla loro reazione.

Che cosa hanno detto?

Si sono resi conto che, benché avessero fatto un lavoro straordinario, il finale non era stato gestito come si doveva. Di quella situazione avevamo parlato per una settimana, però probabilmente si sentivano talmente sicuri, che alla fine hanno sbagliato. Lo dico da corridore: le volte che ti senti più sicuro sono spesso quelle che ti va peggio. E questo poi me lo ha confermato Jonathan (Milan, ndr), quando ha ammesso che si poteva fare diversamente. Ma questo non è scaricare responsabilità sui corridori, anche perché io la responsabilità me la sono sempre presa. Come a Zurigo, che responsabilità vuoi dare ragazzi?

Che responsabilità vuoi dargli?

Non gli ho detto io di andare in corsa con quello spirito, sarei stato uno stupido. Nei tre anni abbiamo vissuto una parabola discendente, che secondo me non ci stava. Quello di Zurigo non era e non è assolutamente il nostro valore. Come ho detto anche in altre occasioni, il percorso non era adattissimo a Giulio (Ciccone, ndr), però secondo me era doveroso che vi partecipasse, anche e soprattutto in prospettiva del prossimo. Giulio ha 30 anni e non aveva mai corso un mondiale. Lo stesso valeva per Tiberi perché in prospettiva del mondiale in Rwanda, anche Antonio è un corridore da tenere in considerazione.

La partecipazione di Ciccone al mondiale di Zurigo è stata un investimento in vista del prossimo in Rwanda
La partecipazione di Ciccone al mondiale di Zurigo è stata un investimento in vista del prossimo in Rwanda
Perché dici che la decisione era stata presa prima?

Perché si capiva, poi magari mi sbaglio. Dopo il Giro d’Onore è stato fatto un incontro con i tecnici che avevano già firmato il contratto. Io non lo avevo fatto, perché mi hanno detto che non sarebbe stato corretto farmi firmare e lasciare eventualmente il mio contratto al presidente che avesse vinto le elezioni. Sono rimasto in silenzio per quasi tre mesi, perché avevano detto a me e in diverse interviste che Bennati faceva ancora parte del loro programma. Perché allora non farmi partecipare anche me a quella riunione? Forse perché ero già fuori?

Amadio e le squadre nazionali: viaggio fra le nuove scelte

05.03.2025
7 min
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Quando si è trattato di impostare la conduzione tecnica delle nazionali per il prossimo quadriennio, i vertici della Federazione ciclistica italiana hanno valutato le professionalità che avevano in casa e assegnato i nuovi incarichi. L’unico che è rimasto fuori dai giochi e non per sua scelta è stato Daniele Bennati, ma Roberto Amadio dice che la decisione è stata presa dal presidente Dagnoni dopo gli europei su pista e che fino a quel momento era ancora tutto aperto.

Parliamo con il team manager azzurro proprio per spiegare la logica dietro alle scelte e immaginare la traiettoria che porterà le nostre nazionali alle Olimpiadi di Los Angeles 2028. Fra le novità che più stimolano la curiosità ci sono la scelta di Marco Villa come tecnico dei professionisti e quella di Dino Salvoldi alla guida della pista maschile. Da questo snodo passa tutto il resto.

Dino Salvoldi guiderà le nazionali della pista elite e degli juniores (foto FCI)
Dino Salvoldi guiderà le nazionali della pista elite e degli juniores (foto FCI)
Che ragionamento c’è stato alla base?

Partiamo dalla scelta di Salvoldi, che seguirà la pista uomini e terrà gli juniores. E’ stata fatta proprio in funzione del lavoro che ha fatto in questi tre anni e in prospettiva Los Angeles. Un certo ciclo della gestione di Villa sta terminando. Soprattutto nei prossimi due anni, Ganna, Milan e Consonni daranno precedenza alla strada, mentre Salvoldi conosce un ventaglio di corridori, più o meno 8-10 elementi ormai competitivi, con cui lavorare per arrivare al 2028. Poi è chiaro che se Milan, che è il più giovane del vecchio quartetto, dice che gli piacerebbe venire a Los Angeles, benvenga. Lui può fare la differenza e dà la garanzia di lottare anche per la medaglia d’oro.

Salvoldi però terrà anche gli juniores, i ruoli sono compatibili?

Il feedback delle società sul suo lavoro è positivo, quindi credo sia giusto che prosegua. Logicamente avrà dei collaboratori che lo sostituiranno quando gli impegni con gli elite lo terranno lontano, però penso che abbia dimostrato di saper lavorare con professionalità e i risultati si sono visti.

Come nasce l’idea di mettere Villa al posto di Bennati?

Serve per dare continuità al suo lavoro con un gruppo di ragazzi che su certi percorsi sono fra i migliori al mondo. E a livello di cronometro, Villa ha l’esperienza per lavorare bene. Sulla scelta di non confermare Bennati, ne avrete sentite di tutti i colori, però la scelta è stata fatta agli europei su pista, quando il presidente Dagnoni ha preso la decisione finale. Daniele si è sentito preso in giro, ma le cose non sono andate come lui immagina.

E’ stato difficile convincere Villa? Si dice che fosse turbato.

Sicuramente è onorato, però ha il cuore sempre sulla pista, tant’è che l’abbiamo lasciato sulle donne assieme a Bragato. La scelta di Diego ha una logica, perché ha fatto con loro il percorso da Tokyo a Parigi e secondo me il gruppo donne è quello che può arrivare a Los Angeles con grandissime ambizioni. La logica, il filo conduttore del progetto ha come focus l’obiettivo delle prossime Olimpiadi. Per una federazione sono l’evento più importante, visto anche il sostegno che abbiamo dal CONI e da Sport e Salute.

Dopo i grandissimi successi su pista con le nazionali elite e delle donne, per Villa si apre il capitolo complesso e affascinante della strada pro’
Dopo i grandissimi successi su pista con le nazionali elite e delle donne, per Villa si apre il capitolo complesso e affascinante della strada pro’
Il fatto di mettere Villa sulla strada e non scegliere qualcun altro preso dall’esterno, come pure i doppi incarichi di Salvoldi e Bragato può essere conveniente anche dal punto di vista economico?

Ai conti si deve guardare, soprattutto con le novità che ci sono. Si parla di affitti che adesso le Federazioni devono iniziare a pagare a Sport e Salute, di costi che non erano preventivati. Sicuramente risparmiare ci consente di investire sull’attività e sulle squadre nazionali, però la scelta di Marco ha la sua logica e la capiremo nei prossimi anni.

Cosa può portare Villa porti nel mondo della strada?

Nella pista è riuscito ad amalgamare un gruppo di atleti e sarebbe fondamentale ripeterlo sulla strada. Negli anni di Martini, la nazionale si ritrovava con corridori come Moser, Saronni, Baronchelli, Battaglin e tutti gli altri. Alfredo era grande nel creare lo spirito di squadra, che oggi è sempre più difficile. Gli atleti hanno il preparatore, il nutrizionista e la squadra che fa i programmi, è cambiato il modo di interpretare il ciclismo. Serve uno che riesca a tenere un filo conduttore quotidiano e nel giorno della gara sia capace di deciderne l’impostazione. Prima era diverso, c’erano le premondiali e un sistema molto meno complesso.

Invece adesso?

C’è un’evoluzione, un cambiamento veramente impressionante del ciclismo. Al punto che anche la Federazione e i suoi tecnici devono adeguarsi al cambiamento. Ci rimproverano il fatto di non vedere la nazionale correre più spesso in Italia, ma a cosa servirebbe? Con chi saremmo potuti andare oggi a Laigueglia, visto che più o meno i migliori ci saranno tutti con le loro squadre? Abbiamo investito quando si è trattato di far correre i ragazzi della Gazprom rimasti senza squadra, ma la maglia azzurra è importante e non avrebbe senso fare delle squadre solo per rappresentanza

Tornando per un attimo alla pista, finora Villa ha avuto il controllo su tutto. Aver nominato Salvoldi, Bragato e Quaranta commissari tecnici dipende dal fatto che loro sono cresciuti nel ruolo oppure Villa sarà meno disponibile?

Entrambe le cose, perché secondo me Marco non si è ancora reso conto di quale sia l’impegno del tecnico della strada. Però dall’altra parte c’è stata una crescita enorme, sia di Quaranta sia di Bragato, che rimane il responsabile del team performance. In questi tre anni, quel gruppo è cresciuto in maniera considerevole ed è sempre più apprezzato dai tecnici. Hanno capito la necessità di lavorare con una programmazione e Diego ha la visione a 360 gradi delle varie necessità. Per questo avere accanto Villa è una necessità. Con loro due, le donne sono in mani sicure. Sia da un punto di vista di programmazione sia di selezione e attività che faranno.

Non sarebbe la mancanza di risultati, ma i rapporti non più buoni con Dagnoni la causa della mancata riconferma di Bennati (foto Limago)
Non sarebbe la mancanza di risultati, ma i rapporti non più buoni con Dagnoni la causa della mancata riconferma di Bennati (foto Limago)
Mentre Quaranta?

Credo che promuoverlo sia stato giusto e dovuto. Il presidente ha riconosciuto lavoro che ha fatto e che sta facendo con i velocisti. Gli ultimi mondiali e gli europei hanno dato conferma di una crescita di gara in gara. E’ chiaro che avvicinandosi ai vertici mondiali del team sprint, d’ora in poi i progressi saranno meno evidenti, però ci sono. La qualificazione a Los Angeles è un obiettivo fattibile, come ci eravamo prefissati quando siamo partiti.

Sono venute conferme invece per U23 e fuoristrada: non era necessario metterci mano, tutto sommato…

Amadori è un grande conoscitore del mondo under 23, credo sia giusto averlo confermato. Anzi sicuramente è quello che in questo momento di difficoltà nel trovare le giuste come collaborazione con le squadre, può giocare un ruolo decisivo. Quanto alle nazionali fuoristrada, Pontoni ha lavorato in modo molto positivo, lo dicono i risultati. E anche Celestino è arrivato bene alle Olimpiadi e solo a sfortuna ci ha tolto una medaglia con Braidot. Però sta costruendo qualcosa di importante con i giovani e sta portando avanti un bel lavoro.

Poco fa hai detto che se ne sono sentite tante, forse anche troppe: perché non andare più avanti con Bennati?

A Daniele non posso rimproverare niente, ha fatto tutto quello che doveva in modo professionale in rapporto al momento del ciclismo italiano, cui manca un corridore alla Colbrelli, che stava crescendo in maniera importante. Noto che in questo inizio di stagione alcuni nostri ragazzi stanno venendo fiori con il piglio giusto. Parlo di Ciccone al UAE Tour, Tiberi che all’Algarve ha fatto una cronometro veramente bella e anche Piganzoli. I buoni corridori li abbiamo e sono adatti al mondiale del Rwanda. Ma se in un mondiale come quello ti trovi Evenepoel oppure Pogacar, sia su strada sia nella crono che è durissima, c’è poco da programmare. Non parto mai battuto, però la storia ci insegna che quando ci sono di mezzo questi atleti, diventa difficile.

Hai dichiarato che Bennati a un certo punto non fosse più in sintonia con la Federazione, eppure quando si è trattato di lasciare spazio a Viviani nella gara su strada delle Olimpiadi, non ha fatto un fiato.

Io credo che il suo fosse lo spirito giusto, cioè quello di onorare sempre la maglia azzurra, anche se a Zurigo il comportamento dei corridori non è stato proprio così. Sull’aver fatto spazio a Viviani, non posso dire nulla: è stato bravo e alla fine i risultati ci hanno dato ragione. Quando parlo di sintonia con la Federazione, parlo di sintonia col presidente. Più un fatto di rapporti personali che alla fine non c’erano più.

EDITORIALE / Le grandi manovre della nazionale

17.02.2025
6 min
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Quando si è trattato di scegliere il nome del successore di Sven Vanthourenhout alla guida della nazionale belga, il presidente federale Tom Van Damme ha puntato su Serge Pauwels. Si trattava di sostituire il tecnico vincitore dell’europeo con Merlier e con Evenepoel del mondiale di Wollongong su strada, quelli a crono di Glasgow e Zurigo e il doppio oro olimpico di Parigi. Eppure, nonostante abbia parlato anche con Philippe Gilbert, il dirigente belga alla fine ha scelto Serge Pauwels, un ex professionista che da qualche anno seguiva le nazionali giovanili e collaborava per i pro’ con il tecnico uscente. Una scelta fatta per coerenza tecnica e per risparmiare qualcosa.

«La visione della Federazione – ha spiegato il presidente – è più vicina a quella di Serge. Ci sono stati diversi colloqui, ma i candidati stessi erano piuttosto vaghi. Spesso non sapevano esattamente quale percorso volessero intraprendere, mentre internamente avevamo un candidato a pieno titolo. Il legame tra giovani e professionisti è diventato così importante che è necessario progredire. Abbiamo mantenuto questa linea».

Cosa succede da noi? Si dà per scontato che Bennati non sarà confermato. Chi lo sostituirà? Il tema è caldo. Le indiscrezioni di stampa si susseguono, ma resteranno tali fino al Consiglio Federale del prossimo fine settimana, quando si saprà finalmente tutto. Eppure i nomi emersi hanno stimolato alcune considerazioni, che annotiamo come contributo per la scelta: ammesso che servano e soprattutto che siano gradite.

Bennati ha guidato la nazionale per tre mondiali: l’ultimo a Zurigo 2024
Bennati ha guidato la nazionale per tre mondiali: l’ultimo a Zurigo 2024

Villa ai professionisti?

Si è letto di Marco Villa alla guida della nazionale dei professionisti e dello stesso tecnico della pista che negli ultimi tempi sarebbe apparso preoccupato. Lo hanno detto gli atleti che hanno avuto a che fare con lui. Se questa è la prospettiva che gli è stata offerta, la preoccupazione è legittima.

Villa è su pista quello che Vanthourenhout è stato su strada per il Belgio e dopo Parigi aveva già iniziato a pensare al 2028. Ha un bagaglio di conoscenze fuori dal comune e il carisma per imporle, mentre su strada si troverebbe a partire da zero nella gestione di atleti che hanno esperienze di gran lunga superiori alla sua. E’ un azzardo e certamente il modo per risparmiare sull’ingaggio di un tecnico esterno. Nasce dalla volontà di imporre un metodo di lavoro? E’ possibile, ma che metodo si può imporre ad atleti che gestisci per due corse all’anno, senza allenarli e discutendone al massimo i programmi con le squadre di appartenenza?

Roberto Amadio, qui con Viviani a Parigi 2024, è il team manager della nazionale
Roberto Amadio, qui con Viviani a Parigi 2024, è il team manager della nazionale

Il metodo Ceruti

Quando nel 1998 si trattò di sostituire Alfredo Martini alla guida della nazionale, il presidente federale Ceruti tentò una mossa analoga. Prese Antonio Fusi e lo gettò nella mischia. Il lombardo, che aveva guidato fino a quel momento juniores e under 23 con risultati esaltanti, non poté rifiutare l’incarico o ne fu allettato, per cui accettò.

Si disse che avrebbe portato il suo metodo di lavoro e in effetti provò a farlo. Solo che a un certo punto il professionismo lo respinse e rese impossibile il suo lavoro, che era fatto di programmazione e preparazione di atleti che si affidavano a lui in vista degli appuntamenti. Sta di fatto che dopo qualche dissapore e il mondiale di Plouay del 2000, la sua carriera si concluse per lasciare il posto a Franco Ballerini. Fusi tornò agli under 23 e a fine 2005 lasciò la Federazione.

Negli ultimi tre anni, Dino Salvoldi ha rilanciato la categoria juniores, in pista e su strada (foto FCI)
Negli ultimi tre anni, Dino Salvoldi ha rilanciato la categoria juniores, in pista e su strada (foto FCI)

Salvoldi alla pista?

Salvoldi al posto di Villa nella pista degli uomini ha una logica diversa e potrebbe funzionare. Dino è il tecnico degli ultimi record del mondo dell’inseguimento a squadre. I suoi juniores hanno fatto faville nelle gare loro riservate e costituiscono l’ossatura della nazionale che di qui a quattro anni lotterà per le Olimpiadi di Los Angeles. Villa è stanco e la FCI vuole rifondare il settore? Questa può essere la strada giusta.

Salvoldi è uno che studia e avrebbe tutto il tempo per crescere e farli crescere, provandoli nelle rassegne di ogni anno di qui al 2027. Fino ad allora Ganna, Milan, Consonni, Moro e gli altri corridori WorldTour saranno impegnati più su strada che in pista. Il suo problema con loro sarebbe infatti subentrare dopo anni di lavoro con Villa, in un rapporto personale che va oltre quello fra tecnico e atleta. Ma Dino è un tecnico vincente, forse il più vincente fra quelli d’azzurro vestiti e alla fine, dopo essersi annusati, anche i senatori riconoscerebbero il suo valore. A patto che lui sia in grado di dare risposte alle loro domande.

Bragato alla pista donne?

La pista delle donne andrebbe invece a Diego Bragato, attualmente responsabile del Team Performance della FCI. Si tratterebbe di ufficializzare un ruolo che il veneto svolge già da qualche anno, sotto la supervisione attenta di Villa. Avendo collaborato con Salvoldi quando guidava il settore femminile, Bragato ha le conoscenze e i rapporti personali per disimpegnarsi bene nel ruolo, ma dovrebbe probabilmente mettere da parte il suo ruolo di studio o quantomeno ridurre il suo impegno.

Bragato ha già grande familiarità con la pista donne: riuscirebbe a portare avanti anche il Team Performance?
Bragato ha già grande familiarità con la pista donne: riuscirebbe a portare avanti anche il Team Performance?

Velo alla strada donne?

Si è poi parlato di Marco Velo come tecnico per le donne, al posto di Paolo Sangalli che nel frattempo è approdato alla Lidl-Trek. Alle sue competenze si aggiungerebbe il controllo del settore crono, di cui il bresciano era già il referente unico per tutti i livelli della nazionale. Dopo tanto parlare dell’opportunità di avere per le donne un tecnico donna, sarebbe un chiudere la porta senza la sensazione che una donna per quel ruolo sia stata davvero cercata.

Riconoscendo a Velo la sua competenza, dovendo seguire donne elite e anche le junior, ci chiediamo se lascerebbe il ruolo in RCS Sport che lo impegna per la maggior parte della stagione.

Insomma, dalla necessità di trovare un rimpiazzo per Bennati (la cui colpa più grande è stata quella di aver detto qualche sì di troppo ed essere arrivato alla nazionale in anni di corridori incapaci di lasciare il segno) si andrebbe incontro a una rivoluzione. Restano da definire i tecnici di juniores e under 23 (ci sarà un ruolo per Mario Scirea?), come quelli per il fuoristrada. Non si sa se le ragioni della stessa discendano da esigenze tecniche ed economiche o da debiti elettorali, ma lo capiremo presto.

Sta di fatto che la struttura attuale funzionava e che, al netto di un paio di aggiustamenti nei rapporti fra i settori, potrebbe funzionare ancora. Sostituito il cittì dei pro’, il lavoro fluirebbe ancora bene. Siamo certi che un rimpasto di questo tipo sia ciò di cui il ciclismo italiano ha bisogno?

EDITORIALE / Come si sceglie il cittì della nazionale?

18.11.2024
5 min
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Mentre i commissari tecnici hanno ricevuto la raccomandazione di non rilasciare dichiarazioni fino al Giro d’Onore del 20 dicembre, un’intervista di Ciro Scognamiglio a Beppe Martinelli ha fatto emergere il desiderio del tecnico bresciano di diventare commissario tecnico della nazionale. Non si è candidato, ha semplicemente risposto alla domanda su una voce che girava da tempo.

Il posto è di assoluto prestigio, seppure vincere fra i professionisti sia al momento piuttosto complesso, come le ultime apparizioni hanno dimostrato. E’ tuttavia singolare che le candidature arrivino prima che si sia spesa una sola parola a favore o contro l’attuale cittì Bennati. E’ un silenzio che colpisce. Non il suo, che è anche comprensibile, volendo capire che cosa accadrà con le prossime elezioni. Piuttosto quello dell’ambiente, quasi per una scelta apatica o di accettazione: si è passati dalle critiche incalzanti all’ultimo Cassani durante la campagna elettorale, al silenzio per il suo successore. Quello che è emerso è che il contratto non sia stato rinnovato dal Consiglio federale. A detta di Roberto Amadio, perché si tratta del ruolo più oneroso, per il quale è giusto lasciare diritto di nomina a chiunque vincerà le prossime elezioni federali.

Giuseppe Martinelli scende dopo 15 anni dall’ammiraglia Astana. Legittimo il sogno di diventare cittì azzurro
Giuseppe Martinelli scende dopo 15 anni dall’ammiraglia Astana. Legittimo il sogno di diventare cittì azzurro

Il post di Visconti

Si potrebbe parlare a lungo di come andrebbe gestita la nazionale, ma alla fine risulta evidente che, fra le svariate scuole di pensiero mondiali, prevalga quella di chi vince, con buona pace per ragionamenti e criteri. Vanno bene tutti, in un settore in cui l’importante è avere una buona immagine e possibilmente vincere. Si pesca fra ex corridori, ex direttori sportivi, manager e raramente fra le risorse già presenti in casa. A parziale eccezione, salta agli occhi la scelta del Belgio, che al momento di sostituire Vanthourenhout, ha preferito Serge Pauwels al ben più prestigioso Philippe Gilbert, puntando sull’ex tecnico degli juniores, nel segno della continuità tecnica.

Dario Cataldo, diventato direttore sportivo della Astana Qazaqstan neanche un mese dopo aver smesso di correre, dice quanto sia difficile parlare con i corridori più giovani. Per cui occorre conoscere la loro lingua e anche sapersi muovere in un modo di correre che è tanto diverso da quello di sei o sette anni fa. Seguendo questo stesso filo, Giovanni Visconti ha detto la sua in un post su Instagram pieno di orgoglio, ragionamento e passione. Ma il punto è proprio questo: quali devono essere i requisiti di chi guiderà la nazionale dei professionisti? 

Giovanni Visconti ha smesso di correre nel 2022
Giovanni Visconti ha smesso di correre nel 2022

Le doti del cittì

Deve avere grande carisma, per cui uno sguardo vale più di mille parole. La forza di stringere a sé i corridori perché siano disposti a gettarsi nelle fiamme per lui. Il loro rispetto incondizionato. La capacità di impostare una tattica che funzioni (il divieto di usare le radio fa sì che questa sia una delle doti più importati). L’abilità di parlare al futuro senza troppi riferimenti al passato. La schiena dritta, perché mai e poi mai il suo essersi offerto diventi un punto di debolezza o il pretesto per subire imposizioni tecniche.

E’ importante che abbia corso e che lo abbia fatto negli ultimi anni? E se invece di un ex atleta si andasse a chiamare un direttore sportivo in attività, di quelli giovani che ci sono dentro e battono al ritmo del ciclismo di adesso? Bramati come Tosatto, ma anche Pellizotti e Gasparotto che in quel ruolo andrebbe a nozze. Potrebbe essere un ruolo part time, legato alle corse e alla loro vigilia: non puoi chiedere a un tecnico WorldTour di rinunciare al suo stipendio per il solo amore della maglia azzurra. E a quel punto si potrebbe affidare il ruolo a tempo pieno di ambasciatore della Federazione a un ex campione di grandi storia e prestigio, come ad esempio Bugno, che avrebbe nel testimoniare la bellezza del ciclismo un passo di vantaggio rispetto a molti altri.

Il contratto di Bennati si chiuderà a fine 2024 e non è stato rinnovato
Il contratto di Bennati si chiuderà a fine 2024 e non è stato rinnovato

Il progetto della nazionale

Ci piacerebbe in effetti sapere quale sia stato e quale sarà (per questo dovremo aspettare le elezioni) il progetto federale per la nazionale dei professionisti. Se la si vede come un comparto a sé o che invece dialoghi e lavori in continuità con l’attività giovanile. E se un progetto esiste, perché qualcuno dovrebbe candidarsi per diventare commissario tecnico e non c’è piuttosto un identikit già pronto?

Ballerini non si candidò e tantomeno fece Bettini: furono scelti. E se vieni scelto, hai il coltello dalla parte del manico. Sei lì perché i tuoi meriti e i tuoi titoli hanno parlato per te. La scelta di Cassani rispose alla volontà di inseguire il ricordo di Martini, provando a colmare il gap generazionale con la vivacità mediatica del romagnolo. Quella di Bennati (per un ruolo offerto prima a Fondriest e poi a Pozzato) forse ha esposto Daniele a pressioni di cui non avvertiva la necessità. La sensazione è che con lui i corridori, tolto forse il primo anno a Wollongong, non abbiano dato proprio tutto, gestendo alcune situazioni di gara in modo diverso da quanto pattuito. Forse non hanno creduto completamente in lui e nella sua visione. C’era tutto perché si vincessero gli europei, ad esempio, ma è mancata la voglia o la capacità di attenersi alla tattica condivisa. Ed è mancata, soprattutto agli ultimi mondiali, la sensazione che fossero pronti a gettarsi per lui nel fuoco.

Lo sguardo di Bennati su 4 giovani azzurri: ricambio in vista?

18.10.2024
5 min
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Il 2024 ci ha regalato un gruppetto di ragazzi giovani e dal fare ambizioso, che sanno pedalare bene e forte. Lo hanno dimostrato quando erano under 23 e una volta passati professionisti hanno mantenuto questo trend. Stiamo parlando di Giulio Pellizzari, Davide Piganzoli, Francesco Busatto e Davide De Pretto. Quattro atleti che hanno rappresentato lo zoccolo duro della nazionale under 23 di Marino Amadori fino al mondiale di Zurigo. Una volta terminato questo cammino, vista anche la nuova regola UCI che impedisce loro di correre a mondiali ed europei nella categoria U23, è arrivato il momento di trattarli da grandi

Busatto, De Pretto e Pellizari hanno corso a Zurigo con la nazionale U23 di Amadori
Busatto, De Pretto e Pellizari hanno corso a Zurigo con la nazionale U23 di Amadori

Il futuro

Lo facciamo insieme al cittì della nazionale elite Daniele Bennati. Il tecnico aretino raccoglie il testimone passatogli dal collega Amadori e guarda al futuro insieme ai giovani che avanzano.

«Secondo me questi quattro – racconta Bennati – sono nomi che per il futuro della nostra nazionale saranno importanti. Sui quali io stesso dovrò fare affidamento. C’è bisogno di un ricambio generazionale e lo possiamo cominciare nel migliore dei modi. Non solo dal punto di vista fisico, ma anche come approccio alle gare e ai vari impegni sono ragazzi che hanno mostrato sfrontatezza. Una qualità della quale abbiamo davvero bisogno».

Tra i giovani azzurri Pellizzari è quello che si è messo in mostra di più nello scorso Giro d’Italia
Tra i giovani azzurri Pellizzari è quello che si è messo in mostra di più nello scorso Giro d’Italia

1) Pellizzari e il passo giusto

Vediamo questi profili uno per uno insieme a Bennati. Una sorta di presentazione o, per meglio dire, una specie di identikit che il cittì ha fatto nei confronti di questi neo professionisti. Partiamo con il parlare di Giulio Pellizzari, se non altro perché in ottica mondiale il suo nome era sul taccuino di entrambi i tecnici azzurri. 

«Lui e Piganzoli – analizza Bennati – sarebbero potuti rientrare nei piani della nazionale maggiore in vista di Zurigo. Poi nei giorni precedenti alle convocazioni, Amadori e io ci siamo confrontati, decidendo di non fare un passo troppo lungo. Pellizzari nel 2024 ha mostrato di poter essere il corridore da corse a tappe per l’Italia. L’ultima settimana del Giro ha fatto vedere grandi cose, ciò testimonia un ottimo recupero, qualità importante in quel genere di corse. Ha un profilo che rispecchia molto le caratteristiche dello scalatore e lo ha fatto notare anche al Lombardia, dal quale è uscito con una prova maiuscola.

«L’anno prossimo passerà nel WorldTour con la Red Bull-Bora hansgrohe e credo sia uno step importante per la sua carriera, fatto nella squadra giusta. La concorrenza interna non mi preoccupa affatto, perché Pellizzari è forte e sarà la strada a dimostrare cosa potrà fare. Alla Red Bull-Bora troverà tanti italiani nello staff e nel team, in più sarà guidato da Gasparotto. Ripeto: non credo ci fosse scelta migliore».

Davide Piganzoli ha disputato una corsa rosa più solida, con un tredicesimo posto finale
Davide Piganzoli ha disputato una corsa rosa più solida, con un tredicesimo posto finale

2) Piganzoli: carico di responsabilità

L’altro azzurro con la mentalità e il fisico ideale per le grandi corse a tappe è Davide Piganzoli. Al suo primo Giro d’Italia ha portato a casa un tredicesimo posto finale. Un risultato non indifferente, che ha mostrato quanto possa essere solido il valtellinese nell’arco di tre settimane. 

«Ha caratteristiche diverse rispetto a Pellizzari – spiega il cittì – ha una struttura fisica che gli permette di essere più esplosivo. Lui stesso dovrà capire che tipo di corridore potrà essere in futuro, se da grandi Giri, da brevi corse a tappe o da gare di un giorno. Penso però che nel 2025 possa ancora curare la classifica in una grande corsa a tappe, se lo meriterebbe e da lui mi aspetto questa conferma. Rimanere un altro anno alla Polti Kometa può dargli qualcosa in più in termini di responsabilità. Correrà in un team dove sarà il faro per gare come il Giro e questo lo farà maturare ancora di più dal punto di vista mentale».

Francesco Busatto, al primo anno nel WorldTour ha fatto un calendario di grande qualità
Francesco Busatto, al primo anno nel WorldTour ha fatto un calendario di grande qualità

3) Busatto: un cammino costante

Si passa poi ai corridori da corse di un giorno: ragazzi leggeri, ma con gambe pronte a spingere forte sui pedali. Francesco Busatto e Davide De Pretto. Rispetto ai primi due loro hanno già vissuto un anno nel WorldTour, con Busatto che è passato dal devo team alla formazione dei grandi

«Busatto – continua Bennati – è in una squadra che gli permette di crescere e mettersi alla prova. Ha delle caratteristiche atletiche importanti visto che è dotato di un ottimo spunto veloce, cosa che nel ciclismo moderno può dargli un qualcosa in più. Da under 23 ha vinto la Liegi di categoria e quest’anno ha visto com’è correre in quella dei professionisti. Sono esperienze che fanno bene a un ragazzo giovane, molti corridori hanno vinto monumento o corse importanti dopo anni di presenze e piazzamenti. Un anno nel WorldTour alza sicuramente l’asticella, facendoti fare un salto importante a livello fisico e psicologico».

Tra i quattro giovani azzurri De Pretto è stata la sorpresa del 2024
Tra i quattro giovani azzurri De Pretto è stata la sorpresa del 2024

4) De Pretto: “la” sorpresa

Infine c’è Davide De Pretto, il quale ha messo alle spalle il suo primo anno nel WorldTour con la Jayco AlUla. Il suo è stato un salto importante, il vicentino arrivato dalla Zalf Euromobil ha raccolto risultati importanti. Nel complesso termina la sua stagione con sedici top 10 nelle quali rientra anche la prima vittoria da professionista al Giro di Austria.

«Lui e Busatto – conclude Bennati – hanno caratteristiche simili: sanno tenere in salita e hanno buone doti in sprint ristretti. De Pretto mi è piaciuto parecchio, il suo era uno scalino non facile da fare, passare da una formazione continental a una WorldTour non è scontato. Eppure ha risposto bene, non dico che mi ha sorpreso, ma mi ha fatto parecchio piacere. E’ un ragazzo molto propositivo e che durante tutto il 2024 ha dimostrato di poter stare a certi livelli. Il suo profilo è quello di un corridore in grado di poter vincere nel ciclismo moderno e lo accompagna anche il giusto atteggiamento».

EDITORIALE / Blackout totale, ma l’Italia vale più di così

30.09.2024
6 min
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ZURIGO (Svizzera) – Francesco De Gregori ha disegnato dell’Italia un ritratto più efficace di tanti editoriali, articoli e approfondimenti. Parla di Italia derubata e colpita al cuore. Assassinata dai giornali e dal cemento. L’Italia dimenticata e l’Italia da dimenticare. L’Italia metà dovere e metà fortuna. E anche L’Italia con le bandiere e nuda come sempre. L’Italia con gli occhi aperti nella notte triste, ma che resiste. Camminando verso il primo espresso del giorno prima di lasciare la Svizzera, che stamattina si è svegliata nuovamente con le strade bagnate, pensiamo che gli stessi versi potrebbero descrivere anche l’Italia del pedale, quella vista ieri e più in genere nei mondiali di Zurigo.

L’Italia derubata dei suoi talenti nel nome dei soldi. Che paga gli errori del passato e le campagne di informazione che ne fanno tuttora un punto debole. L’Italia che si affida all’estro di pochi, coprendo spesso l’incapacità di progettare il futuro. L’Italia con le bandiere quando conviene e con i social quando la vittoria sfugge. E comunque l’Italia che resiste, perché ogni volta che vediamo una maglia azzurra – popolo di tifosi e forse non di sportivi – siamo incapaci di non tifare.

Il primo strappo del circuito preso d’assalto dai tifosi: il percorso di Zurigo era duro e veloce, obbligatorio stare davanti
Il primo strappo del circuito preso d’assalto dai tifosi: il percorso di Zurigo era duro e veloce, obbligatorio stare davanti

Blackout ai meno 65

Il mondiale di ieri ha fotografato un modo di essere e una serie di spiegazioni che non bastano per raccontare come mai i nostri siano spariti dalla corsa negli ultimi 65 chilometri. Forse sono mancate le gambe, come ha detto Bennati. Forse è mancata lucidità, come appare sempre di più ragionandoci sopra. Ma forse è mancata anche la rabbia.

L’obiettivo era correre davanti, restare concentrati per evitare di inseguire. Quando Pogacar ha attaccato, il solo ad accorgersene è stato Bagioli, che è partito seguendo l’istinto, senza rendersi conto di andare incontro a fine sicura. Gliene facciamo una colpa? Andrea arriva da un periodo non facile e avere l’istinto di rispondere a quell’attacco era il segnale di cui forse aveva bisogno. Anche se probabilmente, come tanti gli hanno detto, si è trattato oggettivamente di una mossa suicida.

Non si può puntare più di tanto il dito su Tiberi, portato perché facesse esperienza e non miracoli. Chiaro che le attese fossero elevate almeno quanto il suo distacco al traguardo, ma il primo mondiale e la seconda corsa in linea di stagione sono bocconi da masticare con attenzione. Bennati lo ha portato anche in vista del prossimo mondiale in Rwanda che chiamerà allo scoperto gli uomini dei Giri. Lo stesso Antonio ha ammesso che la Bahrain Victorious vuole fare di lui un uomo da corse a tappe, ma perché escluderlo a priori dalle classiche?

La testa e le gambe

Mathieu Van der Poel ha usato la testa. E al di là dell’aver pensato che Pogacar si stesse suicidando, ha ritenuto più opportuno non seguirlo. Per non finire come lui fuori dai giochi o più in generale per non bruciare le sue chance di centrare una medaglia su un percorso che sembrava escluderlo da ogni gioco. L’olandese è venuto al mondiale con un obiettivo chiaro: conquistare una medaglia. Sapeva che non avrebbe vinto, ma che una medaglia sarebbe stata lo stimolo per prepararsi e stringere i denti. Con quale obiettivo sono venuti gli azzurri a Zurigo?

Bennati ha parlato della volontà di fare una corsa dignitosa per rispetto dei tifosi e dell’Italia. E allora viene da chiedersi se non sarebbe stato più saggio lasciar andare il re del mondo, concedendo ad altri l’onore di inseguirlo e cercando di rimanere nel gruppetto che si è giocato le medaglie alle sue spalle. Ma questo lo fai se davvero stai davanti, concentrato e pronto a entrare nelle azioni. Se sei capace di prendere decisioni, senza che qualcuno te le suggerisca. Perché in una corsa senza radio, non si può aspettare un giro per arrivare al box e avere indicazioni. Per certi versi è davvero sembrato di vedere la corsa degli juniores agli europei di Hasselt, al termine della quale il cittì Salvoldi esplose condannando il loro modo di correre attendista tutto italiano.

Il gruppo alle spalle di Pogacar: il nostro obiettivo poteva essere farne parte?
Il gruppo alle spalle di Pogacar: il nostro obiettivo poteva essere farne parte?

La lezione di Aleotti

Verrebbe da dire, cercando un facile alibi, che i nostri sono talmente poco abituati a correre da leader, che nella prima occasione in cui possono, non sanno come fare. Potrebbe essere una tesi sostenibile, seppure la storia racconti di corridori che nelle rare occasioni di libertà hanno lasciato il segno. Che non significa per forza vincere, ma correre in modo aggressivo, rimarcando la propria presenza.

Ci viene da fare l’esempio dell’unico corridore rimasto fuori dalla selezione azzurra. Non significa necessariamente che avrebbe fatto meglio, il finale non sarebbe cambiato, ma forse ci avrebbe provato. Stiamo parlando di Giovanni Aleotti. La Red Bull-Bora lo ha preso per farne un leader, ma in attesa che diventi grande, lo ha messo accanto ai capitani. Il suo Giro accanto a Martinez e la Vuelta accanto a Roglic sono stati da incorniciare. Eppure in una delle poche corse in cui ha avuto libertà, il Giro di Slovenia, l’emiliano ha vinto. Se vuoi spazio, devi prenderlo quando te lo danno. Altrimenti se lo prende un altro.

Cornegliani, Vitelaru, Mazzone: una foto che sintetizza bene le 14 medaglie di paraciclismo ed handbike a Zurigo
Cornegliani, Vitelaru, Mazzone: una foto che sintetizza bene le 14 medaglie di paraciclismo ed handbike a Zurigo

Un travaso di grinta

Ieri questo non è successo. Sono stati apprezzabili (sia pure tardivi) i tentativi di Ciccone, che forse avrebbe avuto le gambe per restare in quel famoso gruppo alle spalle dell’imprendibile sloveno. Sul percorso così veloce e duro, in cui nessuno è mai riuscito a guadagnare più di pochi spiccioli, i 45 secondi del suo vantaggio erano pesanti come minuti a palate.

Ce ne andiamo da Zurigo con gli occhi pieni di Pogacar e con l’angoscia per la morte di Muriel Furrer. Con le medaglie della crono. L’oro strepitoso di Lorenzo Finn e il bronzo indomito di Elisa Longo Borghini. Con i passaggi a vuoto degli U23 che ricordano quelli dei pro’. E con le belle vittorie e le medaglie del paraciclismo. E forse verrebbe da suggerire alla Federazione di organizzare un ritiro che metta insieme ciclisti, paraciclisti ed handbiker. Forse confrontarsi, ascoltare e capire potrebbe favorire il travaso della grinta che ieri in alcuni potrebbe essere mancata. Perché ne siamo certi: la nostra Italia vale più di così.

Uno scatto a ruota di Pogacar: le fatiche (atroci) di Bagioli

30.09.2024
4 min
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ZURIGO (Svizzera) – La maglia verde della Slovenia e il ciuffo di capelli che esce dal casco che celebra la doppietta Giro-Tour. Pogacar accende le danze quando i chilometri al traguardo avevano ancora tre cifre: 100. Sulla salita di Witikon arriva l’affondo del fuoriclasse di casa UAE Team Emirates. Gli prende la ruota Quinn Simmons, l’americano con il barbone folto e due gambe massicce. La terza figura nella foto di apertura, che si intravede appena, è quella di Andrea Bagioli, che a differenza dello yankee ha il volto pulito e qualche chilo in meno: dodici per l’esattezza. Il buco tra la coppia formata da Pogacar e Simmons è di 30 metri, così il nostro portacolori ci si fionda. Per un momento sembra l’azione giusta, in cui la corsa prende una direzione chiara, con l’Italia che ha colto il momento perfetto. 

Bagioli prima del via da Winterthur con alle spalle il suo fan club
Bagioli prima del via da Winterthur con alle spalle il suo fan club

Tempismo giusto

La tempistica di Bagioli è corretta, le gambe sembrano reggere, anche se la bocca è spalancata a cercare ossigeno. Ma più di così i polmoni del valtellinese non ne riescono a immagazzinare, i muscoli allora cedono e un metro diventano presto due, poi tre e infine una voragine. Dopo questo sforzo brutale il numero 34 dell’Italia finisce al pullman anzitempo. Noi lo aspettiamo sotto, ma le forze spese sono tante, Bagioli ha bisogno di riposo. Esce solamente dopo la riunione con Bennati, più di un’ora dopo il nostro arrivo. 

«In teoria – spiega il corridore della Lidl-Trekero uno di quelli che doveva muoversi un po’ più verso la fine, però quando scatta uno come Pogacar si segue sempre. Sentivo di stare veramente bene, mi sono detto “ci provo” però il ritmo che stava facendo era veramente troppo alto. Non tanto per la salita ma quando la strada spianava, non mi faceva recuperare. E alla fine sono saltato completamente».

Pogacar attacca, alle sue spalle si muove Quinn Simmons, a breve chiuderà Bagioli
Pogacar attacca, alle sue spalle si muove Quinn Simmons, a breve chiuderà Bagioli
Hai speso troppo nel chiudere quel buco di 30 metri?

E’ stato faticoso. Però siccome ho un buono spunto veloce non ho sofferto tantissimo. Infatti mi sento di dire che l’ho chiuso abbastanza velocemente. 

Poi Simmons, che era in seconda posizione nel terzetto, ha mollato praticamente subito. 

Ha lasciato altri metri da chiudere e non mi ha dato una mano, ecco. Poi, come ho detto, quando spianava io speravo che Pogacar mollasse un attimo, così da riuscire a respirare. Invece spingeva sempre a gran ritmo. 

Si vedeva fossi “a tutta” con la bocca spalancata nel cercare aria. 

Ero al limite, avevo male ovunque: alle braccia, alle gambe. Insomma, mi bruciava tutto il corpo dallo sforzo. Ero al limite.

Dopo lo sforzo il valtellinese ha mollato il colpo, uno sforzo incredibile
Dopo lo sforzo il valtellinese ha mollato il colpo, uno sforzo incredibile
Sei riuscito a guardare i dati?

No, al momento niente (sorride, ndr) guarderò il file a casa per vedere che numeri ho fatto.  

L’impressione?

Sicuramente avrò fatto un record su 5 minuti, probabilmente intorno ai 500 watt.

Quando siete scollinati, nella zona del rifornimento fisso, abbiamo avuto l’impressione che il peggio fosse passato.  

Ero a tutta anche lì, nell’agguantare la borraccia dal massaggiatore e ho perso un metro, sono rimasto al vento e niente. E’ andato. 

Ti è mancato proprio quel metro di scollinamento, perché poi lì iniziava una parte favorevole, giusto?

La strada iniziava a scendere, però c’è da dire che dopo ci sarebbe stata un’altra salita, quindi sicuramente avrebbe ancora spinto a tutta e mi sarei staccato lì.

Bagioli recuperate le energie scende dal bus e ci racconta com’è andata
Bagioli recuperate le energie scende dal bus e ci racconta com’è andata
Com’è provare a stare dietro a Pogacar e vederlo sereno?

In un certo senso è brutto, però penso che ci siamo abituati tutti da un po’. Non è la prima volta che fa questi numeri quindi non possiamo farci niente, è un gradino sopra tutti e chapeau a lui.

Cosa ti faceva più male? Le gambe? La testa nel pensare che quel momento non finisse più?

Riuscivo a pensare solamente al mal di gambe, l’acido lattico che circola e a nient’altro. Punti a stare con lui il più possibile, sperando che molli un pochino il colpo. Invece quasi aumenta. E’ stato un tentativo buono, ne ho parlato anche con Bennati, quando parte Pogacar è sempre un’ottima cosa seguirlo. Se ci ho provato e sono rimasto lì vuol dire che le gambe sono buone, è un segnale che fa sperare per le prossime gare in Italia, questo è sicuro.

Amarezza Bennati: «Non abbiamo fatto una corsa dignitosa»

29.09.2024
5 min
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ZURIGO (Svizzera) – Difficile trovare qualcosa da dire su un mondiale in cui le maglie azzurre sono rimaste puntini inquadrati da lontano e sempre nelle retrovie. Tre volte qualcuno si è affacciato alla finestra. Cattaneo, entrando in una bella fuga. Bagioli, rispondendo a Pogacar e sacrificando in quel gesto ogni chance residua. Ciccone, con due tentativi di allungo. Poi, quando mancavano corca 65 chilometri all’arrivo, dei nostri si sono perse le notizie. Bennati parla ai piedi del pullman Vittoria che accoglie gli azzurri al traguardo. E’ appena salito e ne è sceso dopo pochi minuti, non è riuscito certo ad approfondire con tutti il perché di questa prestazione. Per cui parla con il freno tirato, anche se c’è persino poco da dire.

«In macchina non abbiamo quasi visto niente – dice Bennati – faccio fatica a dare una valutazione su alcune situazioni di gara. Però credo che in certi momenti sia solamente una questione di gambe. Se nel gruppo alle spalle di Pogacar poteva esserci uno dei nostri? Magari qualcuno sì, ma c’è poco da girarci intorno, nel senso che quando non hai le gambe puoi fare solo quello che siamo riusciti a fare oggi».

Cattaneo si è infilato in una bella fuga, anche se i primi a muoversi dovevano essere Zana e Rota
Cattaneo si è infilato in una bella fuga, anche se i primi a muoversi dovevano essere Zana e Rota
Tu ti aspettavi qualcosa di più?

Ovviamente sì. Non si partiva con l’intenzione di spaccare il mondo, questo penso che sia sacrosanto. Però mi aspettavo di fare una gara sicuramente più dignitosa. Non per me, ma per i tifosi, per l’Italia. Noi qui siamo l’Italia! Poi ovviamente qualcuno ha fatto bene. Cattaneo. Lo stesso Bagioli ha fatto un’azione un po’ scellerata. Ha fatto un grande fuorigiri. A quel punto poteva sperare di arrivare il più lontano possibile, ma io non ho parlato con nessuno. Parlo prima con voi che con i corridori, non sarebbe giusto esprimere altre valutazioni.

C’era una consegna di seguire Pogacar a uomo? Toccava a Bagioli seguirlo?

Anche qui le parole le porta via il vento. Nel senso che quando si muove Pogacar, al mondo non c’è nessuno che riesce a stargli dietro. Lo hanno dimostrato quelli che ci hanno provato per pochi chilometri o per pochi metri. Non c’è nessuno al mondo che può stare con Pogacar, quindi ai miei corridori non ho consigliato di andargli dietro. L’obiettivo era quello di fare una gara dignitosa e se c’erano le possibilità di anticipare. Cattaneo si è infilato in una buona azione. Sulla carta, i primi due che dovevano muoversi erano Zana e Rota. Zana purtroppo ha avuto un problema meccanico. Abbiamo cambiato la ruota e ha dovuto inseguire per mezzo giro e ovviamente non poteva essere in quell’azione. Sto parlando per quel poco che sono riuscito a vedere, però ovviamente in termini di prestazione c’è poco da dire.

Bennati con Frigo, ragionando con la riserva azzurra dopo la corsa
Bennati con Frigo, ragionando con la riserva azzurra dopo la corsa
Infatti quello che ha colpito è stato non vedere più l’Italia negli ultimi 65 chilometri del mondiale.

Ovviamente sapevamo che Pogacar, Evenepoel e Van Der Poel sono di un altro livello. Evidentemente però dobbiamo anche ragionare sul fatto che ci sono anche altri corridori a un livello superiore al nostro. Sto dicendo delle cose a caldo, l’obiettivo era sicuramente di fare una gara molto più dignitosa di quella che è stata fatta. Le giornate no possono capitare. Ovviamente sarò il primo a farmi l’esame di coscienza.

Parli delle tue convocazioni?

In realtà ancora oggi continuo a non vedere una squadra B rispetto a quella che ho selezionato. Non vedo qualcuno lasciato a casa che potesse essere là davanti a giocarsi questo mondiale. Ad oggi questa è la mia opinione. Nei mondiali precedenti, siamo stati di più in corsa. Siamo stati protagonisti, infatti uno degli obiettivi che ci siamo prefissati era che lo fossimo nuovamente, indipendentemente dal risultato.

Quelle di Ciccone sono state le ultime fiammate azzurre nel mondiale di Zurigo
Quelle di Ciccone sono state le ultime fiammate azzurre nel mondiale di Zurigo
L’anno prossimo si vota. Altri tecnici hanno fatto capire con i loro discorsi che la chiusura del triennio è comunque un passaggio importante, come immagini il tuo futuro?

Ho voluto arrivare a questo mondiale facendo il mio lavoro al 110 per cento, con la massima dedizione, come ho fatto dal primo giorno. Da domani si tirerà una linea e poi avrò tempo sicuramente per parlare anche con la Federazione. Non ho ancora parlato del futuro e ragionerò anche su quello che saranno i miei pensieri. Se ci saranno le condizioni, che non sono le condizioni economiche ma le condizioni di progetto, allora si potrebbe anche ragionare di andare avanti.

Non è stato un anno facile per Bennati, a prescindere dalle responsabilità dei singoli. Poco prima di iniziare ad allestire la mini-squadra dei tre che avrebbero corso alle Olimpiadi di Parigi, ha scoperto che non avrebbe potuto convocare Milan né Ganna. Poi gli è stato detto che uno dei tre posti sarebbe stato assegnato a Viviani. Ha fatto buon viso e la sua lealtà alla causa della pista ha fatto sì che Elia potesse vincere la sua medaglia. Avrebbe voluto Ganna agli europei per tirare una grande volata a Milan, forse lo avrebbe voluto anche Jonathan. Ma Pippo ha saltato l’impegno dovendo recuperare per il mondiale e c’è riuscito mirabilmente con due settimane di lavoro. Mentre ad Hasselt, nello sprint che in teoria era solo da vincere, la squadra ha gestito il finale in modo diverso rispetto a quanto si era concordato. Cosa avessero deciso per Zurigo resta nel chiuso del pullman, forse però qualcosa non è andata come avrebbe dovuto. Il resto sarà un raccontare la vittoria di Pogacar, che coprirà tutto e arriverà davvero a breve. Passerà alla storia come il mondiale dei suoi 100 chilometri di fuga e non come quello di Ciccone, primo azzurro al traguardo in 25ª posizione a 6’36” dal vincitore.