Alessandro De Marchi, CTF, Cycling Team Friuli

Boscolo: «De Marchi è stato capace di incarnare lo spirito del CTF»

23.10.2025
5 min
Salva

Alla Veneto Classic si è conclusa la carriera di Alessandro De Marchi, il Rosso di Buja ha appeso la bicicletta al chiodo, ma le sue idee e quello che ha regalato al ciclismo rimarranno vive a lungo. Professionista dal 2011, quando di anni ne aveva 24, ha corso per quindici stagioni ai massimi livelli con l’istinto di chi ama attaccare. La squadra che lo ha lanciato nel professionismo è stato il CTF Friuli di Roberto Bressan e di Renzo Boscolo. Per De Marchi, friulano DOC non ci poteva essere altra maglia per arrivare tra i grandi

Durante la sua ultima gara sono tante le figure che sono venute a vederlo e salutarlo. Tra tutti c’è stato lo stesso Renzo Boscolo. 

«E’ stato un piacere e un onore essere presente all’ultima corsa di De Marchi – dice il diesse friulano – anche se i sentimenti erano contrastanti. Da un lato c’era l’amarezza di vederlo in gara per l’ultima volta, mentre dall’altra parte prevaleva l’orgoglio. Per salutare Alessandro abbiamo fatto un giro di chiamate tra staff e vecchi corridori del CTF e sulle strade della Veneto Classic ci saranno state un centinaio di persone solamente per lui. Insomma, fa capire cosa è stato capace di lasciare Alessandro De Marchi al ciclismo».

Alessandro De Marchi, Veneto Classic, ultima gara
Alla Veneto Classic Alessandro De Marchi ha corso la ultima gara in carriera
Alessandro De Marchi, Veneto Classic, ultima gara
Alla Veneto Classic Alessandro De Marchi ha corso la ultima gara in carriera
Il CTF lo ha lanciato nel professionismo, cosa ha significato per voi?

Alessandro ha concretizzato l’idea che Roberto Bressan ed io avevamo a proposito del Cycling Team Friuli. Ha dato un’anima a quella squadra e alla nostra passione per il ciclismo. De Marchi è stato l’atleta che per tenacia e combattività ha mostrato cosa fosse il CTF. Il grande ciclismo ai tempi era fuori dal Friuli e sono tante le squadre che nel corso degli anni lo hanno cercato, dal Veneto, dalla Toscana e dalla Lombardia. 

Ha sempre avuto un attaccamento forte alla propria terra?

Lui è il rappresentato del Friuli a livello ciclistico, non c’è strada che De Marchi non abbia solcato. Per noi è stato importantissimo, così come Fabbro gli anni successivi. Ecco, loro due sono i corridori friulani che sono stati capaci di aprire una strada per gli altri. 

Alessandro De Marchi, CTF, Cycling Team Friuli, Renzo Boscolo
Il Rosso di Buja è passato al Cycling Team Friuli al primo anno elite, era il 2009
Alessandro De Marchi, CTF, Cycling Team Friuli, Renzo Boscolo
Il Rosso di Buja è passato al Cycling Team Friuli al primo anno elite, era il 2009
Quali erano gli ideali che De Marchi rappresentava per voi?

L’attaccamento alla maglia, vi posso raccontare un aneddoto: è una casualità, ma riceveva davvero tante proposte da squadre molto più grandi della nostra. Lo chiamavano offrendogli soldi che noi all’epoca non avevamo. Lui rifiutava dicendo: «Sono già in una grande squadra. E se non lo è, la farò diventare». 

Com’è arrivato da voi?

Da under 23 è passato con la Bibanese ed è stato quattro anni con loro. Al CTF è arrivato al primo anno elite. La prima corsa vinta è stata al quarto anno da under 23, una tappa del Giro delle Pesche Nettarine. Quell’anno vinse ancora qualche gara e poi venne da noi e rimase per due stagioni.

Quindi passò professionista alla fine del secondo anno elite, una cosa che sembra preistoria…

Già all’epoca cominciava già a essere molto difficile passare da elite. De Marchi però era molto forte in pista, aveva vinto dei titoli nazionali 

E’ sempre stato un attaccante nato?

Già da junior era conosciuto per le fughe e i numerosi piazzamenti, anche se non aveva mai vinto una gara. Quando vinse il premio come corridore più combattivo al Tour de France 2014, qualcuno disse che era il premio che meglio rappresentava Alessandro De Marchi

Da sinistra: Roberto Bressan, Alessandro De Marchi, Renzo Boscolo
Da sinistra: Roberto Bressan, Alessandro De Marchi, Renzo Boscolo durante un incontro sulle strade spagnole in un ritiro invernale
Da sinistra: Roberto Bressan, Alessandro De Marchi, Renzo Boscolo
Da sinistra: Roberto Bressan, Alessandro De Marchi, Renzo Boscolo durante un incontro sulle strade spagnole in un ritiro invernale
Che figura era all’interno del CTF?

All’epoca avevamo anche corridori più grandi di lui, perché c’era l’accordo con la pista. Ma il soprannome che gli diedero in squadra fu: “il capitano”. Tutti si fidavano di lui, il suo carisma era incredibile e polarizzante. De Marchi aveva una determinazione, una grinta e una voglia immensa. Ricordo che andavamo a fare le gare a tappe in Romania o all’estero e partivamo in furgone da casa. Era bellissimo viaggiare con Alessandro perché si parlava di tutto, c’era una grande vitalità nei suoi discorsi. 

Quindi è sempre stato un uomo con le idee chiare, precise e con dei valori e dei principi saldi?

E’ sempre stato un uomo molto attento alla società, a quello che è il sociale, pronto ad aiutare gli altri, è una persona di principi e con un’etica estremamente forte. Questo lo si vede anche dall’evento che ha voluto organizzare sabato e domenica (25 e 26 ottobre, ndr) interamente dedicato ai giovani e ai bambini. Inoltre il ricavato di quella manifestazione andrà in beneficenza. Però Alessandro ha sempre avuto un’attenzione particolare agli altri, non c’è premiazione, evento o gara regionale alla quale rifiuti di partecipare se invitato. E’ un modo di fare che nei giovani si vede sempre meno.

Cycling Team Friuli, festa, Alessandro De Marchi, Nicola Venchiarutti, Matteo Fabbro, Jonathan Milan
De Marchi a un festa insieme ai tanti atleti passati dal Cycling Team Friuli
Cycling Team Friuli, festa, Alessandro De Marchi, Nicola Venchiarutti, Matteo Fabbro, Jonathan Milan
De Marchi a un festa insieme ai tanti atleti passati dal Cycling Team Friuli
Che effetto vi ha fatto vederlo crescere e diventare l’uomo che è ora?

De Marchi nella sua vita ha dato molto di più di quanto ha ricevuto. Sicuramente all’inizio di carriera questo divario era ancora più grande perché ha fatto la scelta di venire da noi al CTF quando la società era nata da poco. Non era scontato avere un atleta del genere. Lui ha creduto nel progetto e ha creduto principalmente in noi. Il merito va a Roberto Bressan, il quale lo ha fortemente voluto, perché in De Marchi ha visto il prototipo di corridore e persona che volevamo in squadra. La tendenza di Alessandro è sempre stata quella di non mollare mai, di volersi migliorare ed è sempre stato ambizioso.

Bressan: «Diventare devo team era il passo giusto da fare»

27.06.2025
4 min
Salva

PINEROLO – La mattina della tappa decisiva del Giro Next Gen, tra i mezzi della Bahrain Victorious Development Team si aggirava Roberto Bressan: lo storico Team Manager del Cycling Team Friuli ora diventato devo team della Bahrain Victorious. Se li coccola e li abbraccia come fossero figli, negli occhi dei ragazzi vedi il rispetto e la fiducia che una figura come quella di Roberto Bressan è capace di trasmettere. Anche lui è emozionato, eppure in carriera ha vinto tanto. Ma ogni successo porta nuove emozioni, soprattutto se alla base c’è stato un cambiamento importante come quello avvenuto per il CTF (in apertura foto Claudio Mollero).

«Trovare una società come la Bahrain Victorious – racconta Bressan – in un certo modo fa diventare tutto un po’ più semplice. Però alla base del progetto, anche se con colori diversi, ci sono le teste e l’animo friulano che hanno contraddistinto il Cycling Team Friuli. Gli allenatori, i coach e i diesse rimangono sempre gli stessi: Mattiussi, Boscolo e tanti altri. Sono arrivate anche delle figure nuove che hanno saputo integrarsi benissimo all’interno di un sistema capace di funzionare». 

Alessandro Borgo e Bryan Olivo insieme a Roberto Bressan i due italiani sono parte del team da quando era CTF
Alessandro Borgo e Bryan Olivo insieme a Roberto Bressan i due italiani sono parte del team da quando era CTF
Cosa vuol dire per lei tornare a vincere una corsa così importante?

Per me non è una novità ed è in un certo senso indifferente perché è da tanti, troppi anni che sono in questo mondo. Sono felicissimo per tutti. Per noi è stato fondamentale tenere questa squadra anche a livello di staff perché avevamo già iniziato a lavorare con alcuni ragazzi: Olivo, Borgo e non solo. Poi sono arrivati ragazzi grazie al progetto devo team come Omrzel e Dunwoody. 

Il cammino che avete sempre fatto con i giovani è rimasto invariato?

Quest’anno abbiamo fatto più altura, un po’ più ritiri di invernali. Prima, quando eravamo CTF, in qualche maniera dovevamo arrangiarci. Però anche in passato dal nostro vivaio sono usciti tanti nomi: Jonathan Milan, De Marchi, Aleotti, Fabbro…

Il progetto devo team ha permesso di portare anche ragazzi stranieri di grande prospettiva, come Omrzel (foto La Presse)
Il progetto devo team ha permesso di portare anche ragazzi stranieri di grande prospettiva, come Omrzel (foto La Presse)
Ora che il progetto si è allargato arrivano anche tanti ragazzi dell’estero, si è aggiunta qualche responsabilità in più?

Per certi versi sì, per altri no. Dal punto di vista economico dormo la notte, mentre la responsabilità è diventata un po’ più grande. Non è facile confrontarsi con un team e una struttura così grande come quella del WorldTour, in qualche modo subisci la pressione. Prima come CTF eravamo noi ad essere esigenti con noi stessi, ora la subisco anche io. Però le cose stanno andando bene. 

Cosa vogliono dire per lei queste responsabilità?

Che devo rispondere a qualcosa di cui si percepisce l’importanza. Ma a essere sincero: era il momento giusto per farlo.

Lo staff tecnico del CTF ha raccolto tanto negli anni e sta trasportando il suo metodo anche al Bahrain Victorious Development Team (foto La Presse)
Lo staff tecnico del CTF ha raccolto tanto negli anni e sta trasportando il suo metodo anche al Bahrain Victorious Development Team (foto La Presse)
Perché?

Sarebbe stato difficile continuare al nostro passo perché ogni stagione che passa eravamo costretti a investire qualcosa in più. Purtroppo gli investimenti e i soldi facevano fatica ad arrivare, Bahrain ci ha supportato per tre anni, questo sarebbe stato il quarto, ma se non fossimo stati assorbiti il CTF sarebbe stato destinato a chiudere. Quando costruisci una casa e arrivi al tetto come fai ad arredarla?

Eravate arrivati alla fine di un progetto?

Il passo successivo poteva essere solamente uno: diventare devo team. Io oggi sono felicissimo ma lo sono ancora di più per i miei ragazzi perché loro hanno tante stagioni davanti. Renzo Boscolo ed io abbiamo costruito la casa e ora tocca a loro proseguire, sono il futuro. Non dico di essere alla fine della mia carriera ma ho dato tanto ed è giusto che qualcun’altro porti avanti il tutto.

Team Nordest, tanta organizzazione e juniores pronti a stupire

08.03.2025
7 min
Salva

Metti un giovanissimo diesse nel collaudato motore di una formazione juniores e si è ancora più pronti per il proprio viaggio. Il Team Nordest Villadose Angelo Gomme è una realtà storica della categoria che in questa stagione vuole proseguire il cammino per tornare ad essere un riferimento a livello nazionale anche grazie a nuovi inserimenti.

Nel comparto dei tecnici quest’anno in provincia di Rovigo è arrivato Mattia Garzara, classe 2002 con un recente passato da U23 nel CTF ed una freschissima esperienza da diesse degli allievi nell’U.C. Mirano, peraltro sua ex squadra da atleta. Abbiamo chiesto a lui, proprio l’ultimo arrivato a cui non mancano loquacità, chiarezza e preparazione, di aprirci le porte del Team Nordest e farcelo conoscere meglio.

Il Team Nordest Villadose Angelo Gomme ha impostato un calendario per gare a tappe e diverse internazionali (foto ufficio stampa)
Mattia, cosa ci fa un ragazzo della tua età già in ammiraglia?

E’ presto detto. Ho smesso di correre nel 2022 perché avevo perso la voglia di fare fatica (dice sorridendo, ndr) e perché ero rimasto indietro con gli studi. Infatti ho recuperato e a luglio mi laureo in consulenza del lavoro, che è un ramo di giurisprudenza dell’Università di Padova. Non volevo però lasciare il ciclismo perché volevo dare ancora qualcosa in un altro modo. Già nel 2020 avevo dato il terzo livello da diesse e mi è tornato utile nelle ultime due annate. Al di là del mio caso, credo che servano diesse giovani per attuare un ricambio generazionale nel ciclismo.

Come sei arrivato al Team Nordest?

E’ stato tutto un po’ per caso. Il primo contatto c’era stato ad agosto e inizialmente avevo detto di no, più che altro per un mio periodo difficile a livello personale e lavorativo. Poi ad ottobre si sono fatti avanti nuovamente ed ho accettato, anche perché gli juniores li ritengo una categoria più vicina e adatta a me per una questione di età e rapporti diretti con i corridori. Dico la verità, sapendo che potrebbe essere un mio limite da sistemare, ma faccio fatica a relazionarmi con i genitori troppo invadenti. Negli allievi capita ancora di avere a che fare con questo tipo di ingerenze.

Com’è stato l’inserimento nella nuova squadra?

E’ stato facile, mi sono sentito subito a mio agio. Siamo in tre diesse ed ognuno di noi si occupa di mansioni diverse, anche se poi le tattiche di gara le studiamo assieme qualche giorno prima di correre. Qui il direttore storico del Villadose è Carlo Chiarion. Lo conoscevo già quando correvo e me ne aveva parlato molto bene Matteo Berti, che era il mio diesse quando correvo negli juniores della Work Service. Carlo è stato uno dei motivi per cui ho accettato di venire qua. Lui si occupa delle iscrizioni alle gare e delle trasferte.

L’altro diesse chi è?

C’è poi Lucio Tasinato, altra persona di esperienza. Lui cura i mezzi e il parco bici, restando in contatto col meccanico Gianmarco Mazzucato. Invece io cerco di gestire i rapporti con i ragazzi. Sono l’output della parte tecnica. Facciamo a rotazione alle gare, pur tenendo ruoli fissi. Sia Lucio che Carlo sono persone che hanno piacere a stare con i giovani, così come il resto dello staff. Sono contento di lavorare con loro.

Avete altre figure?

Certamente. Il nostro team manager è Fabrizio Zambello, che è un dirigente della ditta Nordest (che segue un pool di aziende agricole del Veneto, ndr). Lui cura aspetti societari e si affida a noi diesse per la parte tecnico-tattica. Come preparatore atletico abbiamo Stefano Nardelli e come nutrizionista abbiamo Nicola Maria Moschetti (della Bahrain-Victorius, ndr). Poi naturalmente ci sono tante altre persone nell’organigramma. La nostra squadra è molto ben organizzata.

Invece che tipo di atleti avete?

Siamo partiti in dieci, ma siamo rimasti in otto. Ci manca il velocista perché Christian Quaglio (che l’anno scorso aveva vinto l’unica gara del Team Nordest, ndr) ha deciso di lasciare la strada per dedicarsi completamente alla pista nella velocità e giocarsi le sue possibilità in nazionale. Il nostro organico conta su ragazzi che sono tutti adatti a percorsi mossi e piuttosto duri.

Christian Quaglio a Marmirolo regala al Team Nordest l’unica vittoria del 2024. Quest’anno si dedicherà alla pista (foto italiaciclismo.net)
Christian Quaglio a Marmirolo regala al Team Nordest l’unica vittoria del 2024. Quest’anno si dedicherà alla pista (foto italiaciclismo.net)
Quindi avete anche battezzato un certo tipo di calendario?

Sì esatto. Intanto lo abbiamo impostato per fare un’unica attività nel weekend, salvo i casi in cui andremo alle internazionali dove corrono in cinque e gli altri tre li mandiamo in altre corse. Faremo le gare a tappe di Abruzzo, Friuli e Valdera. La scelta è stata quella di puntare su un calendario di qualità con gare importanti anche per fare tanta esperienza ai nostri ragazzi. Anche perché il livello degli juniores si è alzato in modo esponenziale e in pratica sta diventando la categoria anticamera dei pro’ attraverso i loro devo team. Ci tengo ad aggiungere una cosa.

Prego…

In questi mesi ci siamo sentiti con Florio Santin, un signore belga appassionato di ciclismo originario di Caneva, che ci ha messo in contatto con gli organizzatori di alcune gare internazionali del Nord. Avevamo fatto richiesta di partecipare alla Philippe Gilbert juniors di ottobre, ma siamo arrivati un po’ in ritardo e sarà molto difficile essere al via. Però vorremmo organizzarci per andare in Belgio già dall’anno prossimo. A proposito di esperienza, i nostri ragazzi ne farebbero tantissima e vedrebbero un modo di correre totalmente diverso da quello che vediamo in Italia.

Il Team Nordest dispone di 8 juniores, tutti con caratteristiche per gare mosse e dure (foto ufficio stampa)
Il Team Nordest dispone di 8 juniores, tutti con caratteristiche per gare mosse e dure (foto ufficio stampa)
C’è un nome da seguire che Mattia Garzara ci suggerisce?

Diciamo che il nostro corridore di punta potrebbe essere Daniele Forlin. E’ un passista-scalatore che tiene bene sulle salite medio-corte, ha caratteristiche dell’uomo da côte. L’anno scorso si è fatto vedere in alcune dove ha messo fuori il naso. Noi speriamo che quest’anno lui possa essere la rivelazione.

Com’è il rapporto tra un diesse di 23 anni e i suoi atleti?

Direi molto buono e l’impressione è di aver instaurato una bella connessione con loro. Ascoltano tanto e forse sto vedendo sempre di più che nelle categorie giovanili tendono ad ascoltare chi è più vicino alla loro età. Tuttavia ci vuole tantissimo equilibrio tra l’essere diesse e un amico. Bisogna essere attuali e stare sul pezzo con loro perché cambiano molto da un anno all’altro. Personalmente non do troppa confidenza ai ragazzi, però cerco di assecondarli in alcune cose quando ce lo possiamo permettere. Ho sempre pensato che col dialogo si ottenga tanto di più rispetto ad un modo autoritario.

Carlo Chiarion è il diesse storico del Team Nordest. Oltre a Garzara, c’è anche Lucio Tasinato in ammiraglia (foto ufficio stampa)
Carlo Chiarion è il diesse storico del Team Nordest. Oltre a Garzara, c’è anche Lucio Tasinato in ammiraglia (foto ufficio stampa)
Per il 2025 il Team Nordest Villadose Angelo Gomme ha fissato degli obiettivi?

La volontà è quella di crescere, magari anche in vista del futuro. Quest’anno non abbiamo grandi individualità, ma sappiamo che correndo di squadra possiamo fare bene e toglierci qualche soddisfazione. Non abbiamo grosse aspettative. Vogliamo farci notare e movimentare sempre le corse. Dato il nostro calendario e il nostro organico, abbiamo tutte le possibilità per farlo.

Donegà si rilancia nell’Arvedi per dimenticare il 2024

14.02.2025
5 min
Salva

Dialogare con Matteo Donegà è sempre stato abbastanza facile. Con i suoi modi educati è un ragazzo che non ha paura a dire ciò che pensa, come non ne ha quando sale in bici. E così parlare con lui in questi giorni di europei in pista, poco prima di guardare in televisione le corse dei suoi colleghi, è lo spunto ideale per approfondire il discorso.

Dopo una vita al CTF Victorius, diventato ora ufficialmente devo team della Bahrain, il 26enne ferrarese di Bondeno ha trovato nell’Arvedi Cycling il giusto approdo nel quale riscattare un 2024 a corrente alternata e rilanciarsi. Ora Donegà è nel pieno degli allenamenti in vista dell’esordio su strada a Misano il 23 febbraio e vuole iniziare col morale giusto.

Donegà ha puntato presto sulla pista per diventare un seigiornista (qui a Brema nel 2024)
Donegà ha puntato presto sulla pista per diventare un seigiornista (qui a Brema nel 2024)
Matteo con che stato d’animo stai seguendo gli europei in pista?

Li sto guardando volentieri perché amo la pista, ma non nascondo che lo faccio con un po’ di rammarico. Sapevo che non c’era la possibilità di andarci. Anche se Marco (il cittì Villa, ndr) non me lo ha comunicato, me lo ha fatto capire perché non mi ha chiamato nei ritiri pre-europei.

Non hai provato a contattarlo tu?

Onestamente non ho insistito nel chiamare Villa perché so che stava attraversando un periodo non semplice. Le voci dell’ultimo mese lo danno in uscita da cittì della pista per diventare quello della strada. So che questa cosa lo turba e forse non aveva la necessaria attenzione per poter parlare con me. Aveva cose più importanti a cui pensare. In compenso avevo parlato con Bragato per dirgli che io sono disponibile per partecipare alla Nations Cup di marzo (dal 14 al 16 a Konya in Turchia, ndr). Lui ha apprezzato la candidatura, ma mi ha risposto che bisognerà capire come si evolverà la situazione. Magari cambia il cittì e chissà cosa succede. Aspettiamo.

Donegà vuole riconquistare la maglia azzurra a partire dalla Nations Cup di marzo in Turchia
Donegà vuole riconquistare la maglia azzurra a partire dalla Nations Cup di marzo in Turchia
Resta aperta la porta per entrare in un corpo militare?

Ho investito quattro anni per provare ad entrarci e ci sto provando ancora, ma credo proprio che sia molto dura, forse più di prima. Ero in parola con l’Esercito e le Fiamme Oro, però so che ultimamente hanno aperto pochi concorsi. Mi sarei aspettato più supporto dalla nazionale, mi sarebbe bastato sapere anche se non c’erano possibilità così potevo fare una programmazione diversa. So che non sono l’unico che ha vissuto certe situazioni, tuttavia so che i tecnici hanno tanti corridori da seguire, anche più importanti di me, e quindi non faccio troppe recriminazioni.

Pertanto è stato un 2024 molto difficile?

Esatto. Era un anno olimpico e giustamente si lavorava ovunque in funzione di quello. Ne ero consapevole, però già da prima mi sono sentito messo ai margini dalla nazionale. Questo ha influito moralmente sulla mia programmazione e sulle mie prestazioni. Poi sono dovuto restare fermo per un mese e mezzo a causa di una caduta in cui mi sono rotto delle costole. Insomma, è stata una stagione altalenante. Per fortuna che ho avuto da Bressan (team manager del CTF, ndr) un grande aiuto.

Donegà ha corso nel CTF dal 2017 al 2024. Per lui è stata una seconda famiglia
Donegà ha corso nel CTF dal 2017 al 2024. Per lui è stata una seconda famiglia
In che modo?

Se non ci fosse stato Roberto e tutto il CTF non sarei riuscito a correre. Lui mi ha sostenuto tanto, mettendoci la faccia in più di una circostanza. Ad esempio lui ha cercato tanto di farmi inserire in un corpo militare, ma non poteva fare di più.

Quanto ti è costato lasciare il CTF?

Tantissimo, per me è stata davvero una seconda famiglia. Otto stagioni nella stessa società non si possono dimenticare in un secondo, tant’è che anche adesso mi faccio seguire dal CTF Lab. Però abbiamo fatto una scelta di comune accordo. Quest’anno la squadra è il devo team della Bahrain a tutti gli effetti. Le decisioni non arrivano più da Bressan o Boscolo e in squadra non c’era la necessità di avere un pistard. E’ stata una scelta obbligata, condivisa e comprensibile.

L’Arvedi Cycling è composta da tanti pistard. Per Donegà è la formazione ideale per fare doppia attività (foto Arvedi Cycling)
Nella Arvedi Cycling hai trovato una buona squadra e soprattutto tagliata per le tue caratteristiche.

Sì, sono molto contento di essere arrivato qua, dove trovo tanti compagni di nazionale, che sono ora a Zolder a giocarsi le medaglie continentali. Sono in una squadra che vive e interpreta la pista come me. Abbiamo già stilato un buon programma di gare, specialmente quelle adatte a noi pistard. Ad esempio siamo ben coperti con Boscaro che su strada è molto veloce, ma anche Galli può fare molto bene in certe corse.

Alla luce di tutto quanto e considerando quanto ha dedicato alla pista, se Matteo Donegà tornasse indietro c’è qualcosa che non farebbe?

Ultimamente me lo sono chiesto tante volte. Nel 2024 ho pensato seriamente di smettere col ciclismo. Se potessi tornare indietro, probabilmente non avrei abbandonato la strada così presto e così nettamente. Adoro la pista e all’epoca puntavo a diventare un seigiornista puro, solo che poi è cambiato tanto anche in quel mondo. Sono un classe ’98 e non mi sento vecchio, però di Sei Giorni ora ce ne sono meno e sono diverse rispetto a prima. Adesso arrivano i giovani e tanti stradisti. Quindi bisogna stare al passo coi tempi.

Donegà vuole tornare ai livelli del 2022 quando a Cali in Nations Cup vinse l’oro nell’omnium
Donegà vuole tornare ai livelli del 2022 quando a Cali in Nations Cup vinse l’oro nell’omnium
Facendoti un grande in bocca al lupo per il 2025, ti sei dato degli obiettivi?

Su strada con l’Arvedi cercherò di togliermi qualche soddisfazione ed essere un riferimento per la squadra. In pista mi piacerebbe tornare ai livelli di Cali 2022 quando vinsi l’oro nell’omnium alla Nations Cup e per i motivi che dicevo prima, vorrei guadagnarmi nuovamente l’azzurro per la prossima Nations Cup. Punto agli italiani in pista visto che l’anno scorso non si sono disputati. Diciamo che in generale vorrei fare una stagione migliore della scorsa.

Baronti: dal CTF a coach Jayco: «Inizia un nuovo percorso»

13.12.2024
5 min
Salva

I giorni del primo ritiro stagionale in casa Jayco-AlUla scorrono velocemente sotto al sole caldo della Spagna. Lo staff e i corridori lavorano guardando al futuro e intanto gettano le basi per far sì che tutto scorra liscio. Tra le novità del team australiano c’è sicuramente l’arrivo di Fabio Baronti, che ricoprirà il ruolo di coach insieme a Pinotti e altri colleghi. Il veneto, trapiantato in Friuli e arrivato nel ciclismo grazie al CTF di Roberto Bressan, vive queste ore con gioia e una voglia matta di fare. Caratteristica tipica di chi arriva in un contesto nuovo e non vede l’ora di dimostrare che tanta fiducia è meritata. 

«Mi sono ambientato – ci racconta Fabio Baronti in un giovedì di “pausa” – siamo arrivati cinque giorni fa, l’8 dicembre. Abbiamo fatto un meeting per conoscerci e impostare il lavoro, poi il 10 dicembre sono arrivati i ragazzi. Lunedì prossimo, il 16, torneremo a casa per ritornare in Spagna a gennaio. Tra noi membri dello staff si è optato per fare un meeting conoscitivo a Bergamo qualche settimana fa. C’erano tutti i coach compresi i due nuovi, ovvero io e un altro ragazzo».

Fabio Baronti, qui al centro, è stato con il CTF dal 2018 alla fine del 2024
Fabio Baronti, qui al centro, è stato con il CTF dal 2018 alla fine del 2024

Un’altra vita

Quella che sta per iniziare Fabio Baronti è un’altra vita, sicuramente dal punto di vista sportivo tante cose cambieranno. Entrare a far parte dello staff di un team WorldTour in giovane età non è un caso, in certi ambiti i meriti sono addirittura doppi. La Jayco-AlUla ha cambiato qualche corridore durante l’inverno, forse una delle realtà che ha cambiato di più. 

«Sono arrivati dieci nuovi atleti rispetto all’anno scorso. Ma per me è come se fossero 30 – dice con voce simpatica Baronti – anzi 29 visto che conoscevo già Ale (Alessandro De Marchi, ndr). Alcuni li conosco già perché li ho trovati da avversari con il CTF tra gli under 23. In queste prime uscite li abbiamo seguiti da vicino, per noi coach è importante vederli pedalare e prendere informazioni».

Alla Jayco-AlUla ha ritrovato Alessandro De Marchi
Alla Jayco-AlUla ha ritrovato Alessandro De Marchi
Che effetto fa entrare nel WorldTour?

Bello, è parte del percorso di crescita personale e lavorativa. Al CTF ho trovato una famiglia vera, nella quale sono entrato e ho avuto modo di apprezzare le persone e il clima. Qui alla Jayco-AlUla tutto è più professionale e ognuno ha il suo ruolo. Si vive in maniera più precisa e analitica. Il gruppo dello staff è enorme, tra squadra maschile e femminile siamo in 156. 

I colleghi, come sono?

Lo zoccolo duro è sempre lo stesso, nel quale la figura di riferimento un po’ generale è Pinotti. Sono arrivato in un ambiente dove tutti sono pronti, preparati ma anche aperti al confronto. Già da subito ho percepito di poter dare qualcosa.

Baronti è stato preso da Boscolo quando ancora era uno studente di Scienze Motorie: prima come massaggiatore e poi come coach
Baronti è stato preso da Boscolo quando ancora era uno studente di Scienze Motorie: prima come massaggiatore e poi come coach
Che cosa?

Non sono qui per adattarmi a un metodo di lavoro, ma per metterci del mio. Lavorerò sia con il team maschile che femminile, curando il training camp per il Giro d’Italia insieme a Pinotti. Essere accanto a una figura come la sua è uno stimolo importante, credo sia anche un bella dimostrazione di fiducia. Più avanti io e lui faremo dei test sull’aerodinamica. 

Come sei arrivato da loro?

Ho parlato con Pinotti a maggio, durante il Giro d’Italia. Durante tutta la stagione siamo rimasti in contatto, mi ha detto che la squadra aveva intenzione di cambiare e rinnovarsi nel reparto performance. Il fatto che venissi da un team giovanile secondo me ha giocato un ruolo chiave. 

Nei sette anni al CTF è stato spesso in ammiraglia, ruolo che per ora non ricoprirà più
Nei sette anni al CTF è stato spesso in ammiraglia, ruolo che per ora non ricoprirà più
Lavorerai anche con i ragazzi del devo team, la Hagens Berman?

Non direttamente, se qualche ragazzo avrà modo di venire con noi o di essere sottoposto a dei test saremo noi a farlo. Ma loro avranno un coach. 

In che modo lavorerai?

Avrò un piccolo gruppo di tre o quattro atleti con i quali lavorerò direttamente. Ma poi ognuno di noi coach sarà a disposizione degli altri e curerà delle parti della stagione. Avere a che fare con corridori esperti, alcuni anche più grandi di me (Fabio Baronti ha 29 anni, ndr) mi permette di avere un rapporto diverso, di confronto. Al CTF dovevo insegnare ai ragazzi come essere ciclisti a 360 gradi, qui mi occupo solo della parte performance. 

Baronti con i ragazzi del CTF ha costruito un rapporto a 360 gradi, qui con Van Der Meulen dopo la vittoria di tappa alla Ronde de l’Isard (foto Direct Velo/Florian Frison)
Baronti con i ragazzi del CTF ha costruito un rapporto a 360 gradi (foto Direct Velo/Florian Frison)
Un rapporto più diretto?

Sicuramente avere corridori esperti mi permette di ricevere feedback più profondi e capire come muovermi. Insomma, si ottimizza il lavoro. Non sarò più in ammiraglia, magari in futuro prenderò il patentino UCI. Anche se credo che arrivati a un certo livello sia meglio dividere i compiti.

Non resta che farti un grande in bocca al lupo per questa nuova avventura.

Grazie! Ci vediamo in giro.

Capra e i primi passi al CTF, con le dritte di Andreaus

17.04.2024
4 min
Salva

COL SAN MARTINO – La voce di Thomas Capra sembra scavargli i polmoni tanto è profonda, quasi come se li scuotesse da dentro. I suoi occhi scuri piantati per terra, e qualche volta nei nostri, cercano parole e risposte. Il corridore del CTF è passato under 23 dopo due anni da junior sotto i riflettori. Con Renzo Boscolo e il suo team, Capra ha fatto un salto importante nella categoria. 

«I primi mesi – dice al via del Trofeo Piva – sono andati molto bene. Mi sono adattato alla categoria o comunque non ho trovato grossi problemi. Un aiuto me lo ha dato anche Marco (Andreaus, ndr), è già al terzo anno e lo conosco molto bene. E’ anche lui della Valsugana, come me. Il suo contributo per inserirmi tra gli under 23 e nel CTF è stato importante».

Il miglior risultato al momento è un terzo posto al GP Brda-Collio
Il miglior risultato al momento è un terzo posto al GP Brda-Collio

Passi decisi

Questi mesi sono andati bene anche nei risultati, con qualche piazzamento e il segnale che sulle qualità si può lavorare. Ora tocca a chi di dovere sgrezzare il diamante per farlo brillare. 

«Non da meno – prosegue Capra – è stato lo staff della squadra. Mi hanno messo a mio agio e abbiamo subito iniziato a lavorare. Sono stati tutti molto disponibili e mi hanno aiutato parecchio. Ci siamo concentrati molto sulla palestra durante questo inverno, al fine di aumentare la forza e l’esplosività. Mi sento un corridore che gioca molto sulla sua forza, anche nelle volate, quindi curare questi aspetti è importante».

Il salto di categoria non si è fatto sentire, complici le qualità atletiche del ragazzo
Il salto di categoria non si è fatto sentire, complici le qualità atletiche del ragazzo
Quindi al CTF tutto bene?

Assolutamente. Rispetto agli anni scorsi è tutta un’altra cosa, mi sto trovando molto meglio. Tra compagni c’è un bel feeling, si vede che in corsa siamo uniti e riusciamo a fare il massimo. Non per caso siamo il team che ha vinto di più fino ad ora. 

Avere un riferimento tra i compagni come Andreaus ti ha aiutato?

Ci siamo confrontati tanto, anche prima della mia decisione di venire a correre al CTF. Abbiamo parlato spesso della squadra e lui ha sempre usato parole di elogio per ogni ambito. Sia per l’organizzazione che per le qualità, diciamo che Andreaus mi ha facilitato nella decisione finale. 

L’inserimento al CTF è stato facilitato dal grande rapporto instaurato con i compagni
L’inserimento al CTF è stato facilitato dal grande rapporto instaurato con i compagni
Quali sono gli argomenti che avete toccato spesso nei vostri discorsi?

Tanto la logistica e l’organizzazione. Entrambi veniamo dal Trentino, mentre la squadra è in Friuli. Questo aspetto risulta comunque importante. Abbiamo parlato di come la squadra organizza gli spostamenti. Un dettaglio da non trascurare anche con la scuola di mezzo. 

In gara che cosa hai notato?

Poche differenze, mi ha aiutato sicuramente il fatto di essere un corridore con un buon fondo. Avere più chilometri di corsa non ha rappresentato un limite. Di solito più aumentano i chilometri più solitamente sto meglio. 

Capra ha già mosso i primi passi al Nord da junior, qui alla Parigi-Roubaix di categoria del 2023
Capra ha già mosso i primi passi al Nord da junior, qui alla Parigi-Roubaix di categoria del 2023
Tu hai corso all’estero da junior e lo hai fatto anche ora da U23, che differenza hai visto?

Il salto di categoria in questo caso direi che si sente. Alla Youngster quest’anno è stata tutta un’altra cosa rispetto a correre in Belgio con la nazionale juniores. Ci si muove più come fanno i professionisti. Con la nazionale lo scorso anno non si riuscivano ad aprire ventagli nonostante ci fosse vento. Una cosa che secondo me è dovuta al fatto che tra compagni di nazionale non c’è tutto questo feeling

Alla Youngster invece ci avevate già raccontato che se ne aprivano parecchi.

Si usano tanto, il vento diventa un fattore determinante e quando corri con compagni con cui ti alleni tutti i giorni queste situazioni riesci a sfruttarle meglio. Infatti dopo pochi chilometri c’era un vero disastro. Sono sicuro che gare del genere daranno una grande mano nel crescere, sia a me che ai miei compagni. 

Olivo si sblocca alla San Geo e Boscolo se lo coccola

24.02.2024
5 min
Salva

SAN FELICE DEL BENACO – Per capire quanto Bryan Olivo avesse bisogno di questa vittoria vi basta guardare l’immagine di apertura (immagine photors.it). Stampatevi quell’esultanza in testa e leggete le parole del corridore del CTF cercando di cogliere le sue emozioni. 

La volata ristretta mancava al repertorio di Olivo, che tra i suoi numerosi pregi aggiunge ora anche lo sprint, nel quale anticipa Donati e Bortoluzzi. Dopo la linea del traguardo fatica anche a frenare tanto è il freddo accumulato in queste 4 ore di gara. Sui monti intorno al lago di Garda la neve fa da cornice ad un primavera ancora lontana. Anzi, a complicare l’ultima ora di corsa si alternano pioggia e grandine, per la felicità di corridore e pubblico. 

Cattiveria

Olivo vince di cattiveria, per la gioia e il freddo finisce la sua corsa più di 200 metri dopo il traguardo. Quando lo raggiungiamo sta spiegando ai suoi compagni come ha fatto a vincere e non smette di sorridere. Siamo sicuri che la felicità sia alle stelle, ma anche il freddo non lo aiuta a cambiare espressione e mentre ride batte i denti. 

«Ho vinto di cattiveria – ci dice al parcheggio delle ammiraglie – anche perché il successo mi mancava da quando ero allievo secondo anno. I due anni da junior e le ultime due stagioni da under 23 sono state complicate. Come ho già detto voglio che il 2024 sia il mio anno e ho trovato il modo giusto di cominciare la stagione. E’ stato il miglior primo passo che potessi fare e ora devo continuare così.

«Mi ero staccato sullo strappo finale – continua a raccontare Olivo con gli occhi scavati dalla fatica – non ne avevo più, ma sono rientrato. Nell’ultimo giro avevano attaccato in tre ma non sono andati via, probabilmente anche loro erano al limite. Una volta capito che saremmo arrivati in volata mi sono posizionato per farla nel migliore dei modi. E’ andata bene, anche se non sono un velocista (dice ridendo, ndr). Mi sono trovato in un gruppetto dove tutte le gambe erano stanche, comprese le mie e sono riuscito a farmi valere». 

Gara al rallentatore

La centesima edizione della Coppa San Geo è stata caratterizzata, nelle sue prime tre ore, dalla fuga solitaria di Albert Walker della Rime Drali. Quasi tutta la gara fuori, con tanto coraggio e voglia di mettersi in mostra. Ma, quando un corridore solo rimane allo scoperto per così tanto vuol dire che dietro il gruppo ha deciso di lasciar fare.

«E’ stata una gara strana – conferma Olivo – con una fuga di quattro, diventata poi di un solo corridore, gli abbiamo lasciato tanto vantaggio, quasi sette minuti. Le prime tre ore siamo andati davvero piano, poi il gruppo ha accelerato sulla salita delle Zette, quella più lunga. Ci siamo spezzati e si è formato il drappello dei 10 che è arrivato praticamente fino alla fine. La pioggia e il freddo hanno inciso su un percorso molto tecnico. Noi del CTF avremmo dovuto controllare bene la corsa e aspettare evoluzioni. Io avevo il compito di buttarmi nelle fughe, ho trovato quella giusta ed è andata nel migliore dei modi».

Boscolo sorride

Il più felice di tutti, però, sembra Renzo Boscolo, che si coccola Olivo e il suo talento, sul quale ha investito e creduto. Non ha mai perso la fiducia verso questo ragazzo e oggi i suoi sforzi sono stati ampiamente ripagati. 

«E’ tornato il Bryan che ci aspettavamo – dice sotto al podio – non ha gestito bene il finale, ma ha vinto comunque, quindi stava davvero bene. Per Olivo il 2023 è stato un anno davvero difficile, ha saltato gli ultimi quattro mesi a causa di un problema fisico. Questa stagione può essere la sua, quella giusta. Il nostro progetto su di lui matura e può giungere al termine, regalandoci tante soddisfazioni. Non dimentichiamo che Bryan è un profilo interessante, oltre per strada e cronometro, anche per la pista. E’ un ragazzo che potrebbe interessare anche Villa. Ha il futuro davanti, vedremo di dargli le giuste opportunità e sono sicuro saprà coglierle.

«Poi va detto che Olivo è un ragazzo d’oro – conclude – si dà sempre da fare per la squadra, questo quando sali al piano superiore lo notano. Il suo anno parte oggi e deve continuare in questo modo. Ha vinto la prima, in maniera combattiva, è un bene per lui ma il percorso non è finito».

Pedalare in pianura? Non è facile come sembra, parola di Fusaz

16.02.2024
5 min
Salva

Nella nostra recente intervista a Davide De Cassan, sul suo ambientamento nel mondo dei professionisti, è emersa la difficoltà di reggere i loro ritmi in pianura. «Ho avuto modo di vedere quanto vanno forte – ci aveva detto – e questo mi ha impressionato. La differenza tra le due categorie è davvero tanta (under 23 e pro’, ndr). In inverno ci ho lavorato tanto, anche con allenamenti specifici come ripetute lunghe all’inizio e alla fine degli allenamenti. Oppure sprint e partenze da fermo». 

Siamo andati a verificare con Andrea Fusaz, allenatore del team Bahrain Victorious e del CTF Friuli. Lui, che lavora a cavallo tra queste due categorie, ci può fornire una visione d’insieme e aiutarci a comprendere le difficoltà nel riuscire a pedalare a certi ritmi

«In prima cosa – ci dice Fusaz – bisogna dire che il passaggio è più difficile per i corridori leggeri, come De Cassan. Nel mondo dei professionisti, e in particolare nel WorldTour, ci sono dei motori impressionanti. Di categoria in categoria le velocità medie aumentano, ma il vero gradino è tra U23 e pro’».

Un corridore leggero, come De Cassan (61 chili), fatica molto in pianura rispetto a atleti più strutturati
Un corridore leggero, come De Cassan (61 chili), fatica molto in pianura rispetto a atleti più strutturati

Questione di muscoli

Nonostante ci si ostini a far arrivare nel mondo WorldTour, e non solo, corridori sempre più giovani, ci si deve ricordare che spesso si parla di ragazzi di 19/20 anni. La maturazione fisica per alcuni di loro è già arrivata, mentre per altri no. 

«Un atleta professionista navigato – prosegue Fusaz – è molto più strutturato: ha una maggiore potenza e, di conseguenza, maggiore velocità in pianura. In salita i giovani faticano meno a tenere il passo, sono leggeri e meno strutturati. Questo li aiuta. E’ anche una questione di abitudine a certe velocità. Da under 23 in gara fai sforzi più brevi e intermittenti. Quando passi professionista lo sforzo aumenta e diventa una costante».

Nel WT ci sono motori dalle cilindrate elevatissime, come Van Aert, che in pianura fanno la differenza
Nel WT ci sono motori dalle cilindrate elevatissime, come Van Aert, che in pianura fanno la differenza
Perché la differenza maggiore si ha in pianura e non in salita?

Il tipo di pedalata che si fa in salita è tanto diverso rispetto a quello che si fa in pianura. La prima potremmo definirla un carico passivo: ovvero che la pendenza mi obbliga a fare uno sforzo, per questo in salita si fanno più watt. Al contrario, in pianura, lo sforzo è attivo, è l’atleta che deve decidere di aumentare l’andatura. 

Facci un esempio…

Il fondo: Z2 e Z3. Per migliorare in pianura bisogna allenare tanto queste zone e “alzarle”. La grande differenza tra un allenamento di un U23 e di un pro’ è la velocità media. Lo stesso percorso il primo lo fa ai 32 chilometri orari di media, il secondo a 35. Capite che quei 3 chilometri orari di differenza, nell’arco di 4-5 ore di allenamento, sono tanti. 

La salita attiva dei meccanismi diversi di pedalata, la falcata si allunga
La salita attiva dei meccanismi diversi di pedalata, la falcata si allunga
Che tipo di allenamenti si fanno per alzare il ritmo?

Per prima cosa direi che si devono aumentare le ripetute in pianura. Se chiedete agli atleti quando fanno le ripetute, il 90 per cento vi dirà che le fa in salita. Questo è utile se si hanno davanti gare con tanto dislivello, ma se ci si appresta a fare gare “piatte” serve a poco. La dinamica della pedalata tra pianura e salita è tanto diversa. La cosa migliore che un ragazzo può fare è allenarsi con ripetute lunghe in Z2 e Z3.

In che senso?

In salita si fanno pedalate più “lunghe” perché si devono sfruttare anche i momenti morti. In pianura nei punti morti non spingi, quindi la pedalata è più breve. L’atleta si trova a scaricare sulle pedivelle tutta la potenza in un breve periodo. Un’attività che insegna molto da questo punto di vista è la pista, dove una pedalata dura 100 millisecondi. 

La strada per diminuire la differenza di potenza passa dagli esercizi in palestra
La strada per diminuire la differenza di potenza passa dagli esercizi in palestra
Quindi sarebbe utile portare i ragazzi in pista, per fare lavori specifici?

Lo sarebbe, se ci fossero le strutture per farlo, ma in Italia questo non è possibile. Se avessimo qualche velodromo in più, specialmente coperto, vedremmo molti più ragazzi in pista ad allenarsi. E saremmo noi allenatori i primi a portarli. 

Fuori dalla bici, invece?

La palestra è un grande aiuto, sia con i macchinari che a corpo libero. Qui entra anche in gioco il discorso di prima dello sviluppo fisico. Se un ragazzo non ha finito la crescita muscolare certi lavori li assorbirà meno. In determinati esercizi buona parte la gioca il peso dell’atleta, inteso come massa muscolare. Se a livello ormonale un ragazzo non è pronto gli effetti si vedranno di meno. 

La pista tornerebbe molto utile per imparare a ottimizzare la pedalata in pianura
La pista tornerebbe molto utile per imparare a ottimizzare la pedalata in pianura
Che macchinari si usano?

Squat, a corpo libero e con sovraccarichi oppure stacchi da terra. Questi esercizi aiutano ad aumentare la forza e hanno una ricaduta sul fisico. 

Andreaus e il sogno svanito sull’ultima salita

20.08.2023
5 min
Salva

«Alla fine della corsa ero davvero furioso, ma poi ho ripensato a tutto quel che ho passato prima di tagliare quel traguardo e alla fine ho capito che certe volte non è l’approdo quel che conta, ma come ci arrivi». In poche parole, Marco Andreaus ha sintetizzato come meglio non avrebbe potuto la sua avventura in Romania al Tour of Szeklerland, dove ha sognato a lungo il successo nella generale, chiudendo alla fine sesto. Un piazzamento amaro che alla fine ha avuto anche una punta di dolce.

Per capire come ci sia arrivato (non solo al traguardo, anche alla conclusione morale della storia…), bisogna ripartire dall’inizio e Andreaus si presta ben volentieri al racconto, presentando innanzitutto la corsa a tappe rumena, che presentava al via molte squadre del Centro-Nord Europa, ma anche tre formazioni italiane, tra cui la sua, il CTF.

«Non è una gara troppo difficile, l’avevo affrontata anche lo scorso anno. Rispetto ad allora è stata tolta una tappa, quindi era ancora più accessibile per me che non amo le grandi salite. E lì di ascese pesanti non ce n’erano, vista la conformazione del territorio».

Il team CTF al via, con Andreaus, Bruttomesso, Milan, Skerl, Stockwell (GBR) e Shtin (RUS)
Il team CTF al via, con Andreaus, Bruttomesso, Milan, Skerl, Stockwell (GBR) e Shtin (RUS)
Come era disegnata la gara?

Si cominciava con una cronometro di 4,5 chilometri, distanza ideale per me e infatti ho vinto la frazione anche con distacchi importanti rifilati agli avversari. La seconda tappa era per velocisti, la terza era considerata la più dura, ma alla fine quella decisiva è stata l’ultima. Purtroppo per me…

Che clima avete trovato?

Molto sole, ma le temperature erano più gradevoli rispetto a quelle che avevamo lasciato in Italia, mai oltre i 23 gradi. Anche le strade erano molto belle e curate, quasi sempre asfaltate e qui ho trovato un deciso progresso rispetto allo scorso anno. Allora c’erano altri percorsi e le buche erano quasi all’ordine del giorno…

Per il trentino la prima vittoria dell’anno nel cronoprologo, con 6″ sul polacco Tracs (foto Harmagyi Zsolt)
Per il trentino la prima vittoria dell’anno nel cronoprologo, con 6″ sul polacco Tracs (foto Harmagyi Zsolt)
Ti aspettavi la vittoria il primo giorno?

Decisamente no, perché venivo da quasi due mesi di inattività. Dopo il Giro Next Gen ho contratto il Covid e sono rimasto fermo a lungo. Quel percorso però mi piaceva molto, oltretutto ho avuto la fortuna di partire per ultimo e quindi ho potuto regolarmi sugli avversari.

Dopo la vittoria come avete impostato la corsa?

La squadra ha deciso di puntare su di me e quindi si correva per contrastare gli altri. Il secondo giorno però era una tappa da volatona finale e io mi sono messo a tirare per Skerl, che ha vinto battendo Bruttomesso. Dopo due giorni di gara avevamo già due vittorie in carniere. Il terzo giorno l’austriaco Martin Messner ha fatto il diavolo a quattro, ma gli sono rimasto attaccato, finendo alle sue spalle sul traguardo con ancora 9” da gestire.

Il team ha lavorato per tutta la gara per Andreaus, dominando per la prima volata (foto Harmagyi Zsolt)
Il team ha lavorato per tutta la gara per Andreaus, dominando per la prima volata (foto Harmagyi Zsolt)
Che cosa è successo nella tappa finale?

Messner era in forma e ha provato a andar via, con lui si è formato un quintetto, io ho provato ad agganciarmi, ma domenica è emersa tutta l’inattività delle settimane precedenti e sull’ultima salita ho pagato dazio. Oltretutto con il gruppo all’inseguimento stavamo guadagnando terreno, ma le moto ci hanno fatto sbagliare strada a una rotonda: abbiamo perso una marea di tempo e lì ho capito che la corsa era andata. Ho perso anche la maglia di miglior giovane, mi è rimasta quella a punti.

Te la sei presa tanto?

All’inizio sì, ma poi riflettendo ho pensato che per come ero arrivato in Romania avevo già fatto tanto, quindi non potevo tanto lamentarmi in fin dei conti.

Il talentuoso Messner continua a crescere: prima vittoria nella stagione nelle corse a tappe (foto Zsolt)
Il talentuoso Messner continua a crescere: prima vittoria nella stagione nelle corse a tappe (foto Zsolt)
E ora?

Ora si gareggia cercando di affinare la forma per il Giro del Friuli. Non è certamente la stessa cosa, il percorso in generale non fa per me, ma ci sono tappe interessanti dove posso dire la mia se ho la condizione giusta.

Nel complesso come giudichi questa tua stagione?

Sinceramente mi aspettavo di più, volevo arrivare alla vittoria molto prima, invece la cronometro è stata il primo centro dell’anno. In primavera non ero neanche andato male, con il 5° posto al Liberazione e prima una bella gara al Belvedere, ma poi sono arrivato al Giro senza la condizione che volevo e in gara si è visto.

Marco con suo fratello Elia (in maglia bianca), ma guardate chi c’è a scattare il selfie…
Marco con suo fratello Elia (in maglia bianca), junior 1° anno che si sta mettendo in evidenza
Tra l’altro fra gli juniores sta emergendo un altro Andreaus, tuo fratello Elia…

Per essere un primo anno se la sta cavando più che bene. Come conformazione e caratteristiche siamo molto simili, lui però è un po’ più veloce di me…

Ora che cosa ti aspetti?

Vorrei affrontare una seconda parte di anno con qualche soddisfazione in più, qualche vittoria anche per meritarmi la riconferma nel team, dove mi trovo benissimo. La gamba sta tornando quella giusta, vediamo di farla fruttare.