Salvato, cosa dice l’Accpi di questi passaggi precoci?

05.01.2022
5 min
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Si finirà col fare spallucce e le cose andranno avanti al solito modo. Perciò, prima che smetta di essere argomento di discussione, torniamo per qualche minuto sul tema dello scorso editoriale e sui passaggi di corridori che, pur di diventare professionisti direttamente dagli juniores, ricorrono alla residenza estera.

Come già detto, il problema è tutto nostro perché nonostante l’Uci abbia spazzato il campo dai dubbi, la Federazione italiana ha stabilito una regola per la quale l’accesso al professionismo è subordinato all’aver corso per tre anni in categorie internazionali. Deroghe sono state concesse, come per Tiberi e Piccolo, affinché passassero dopo appena un anno da U23. Il presidente Di Rocco le giustificò alla luce dei limiti all’attività imposti dalla pandemia, ma forse proprio la storia di Piccolo dovrebbe far riflettere su cosa accada passando senza la necessaria solidità psicologica.

Nel 2020 Di Rocco firmò una deroga per i passaggi di Tiberi e Piccolo, nella foto. Ma quest’ultimo è presto tornato U23
Nel 2020 Di Rocco firmò una deroga per i passaggi di Tiberi e Piccolo, nella foto

Due fronti contrapposti

Ognuna delle parti in causa ha le sue ragioni e le difende. Ruggero Cazzaniga, vicepresidente Fci additato dai più come l’estensore e il difensore della norma italiana, dice che la decisione spettava alla Lega del Ciclismo Professionistico, che se ne è lavata le mani rinviando tutto al Consiglio federale. E aggiunge, a difesa della regola che regolamenta i passaggi, di aver parlato a lungo di questo con Luca Guercilena e che il grosso limite di chi passa troppo giovane è l’incapacità psicologica di reggere il gioco.

Alex Carera, procuratore dei due corridori in questione (Pinarello e Pellizzari) si scaglia contro la norma italiana. E parlando delle tutele per i ragazzi, dice che avrebbe avuto dubbi se la gestione della Bardiani fosse stata la stessa degli ultimi 4-5 anni (quando sarebbero stati fatti passare corridori non all’altezza, che per questo hanno smesso), ma che il nuovo progetto U23 gli sembra convincente. Che i ragazzi svolgeranno la stessa attività che farebbero in continental, ma avranno i contributi versati e guadagneranno tempo in termini di esperienza. 

Al netto del fatto che sulla scelta di questi ragazzi si potrà fare una valutazione basata sui fatti fra un paio di stagioni, il punto resta però la norma e i motivi per cui essa è stata prevista. Se si ritenesse di volerla/doverla abolire, servirebbe che tutte le forze in campo si sedessero a un tavolo per discuterne. Il tentativo di aggirarla risolve probabilmente il caso specifico, ma rinvia il problema alla prossima volta. Come avere l’auto con targa dell’Est per aggirare le sanzioni del Tutor.

Masnada è passato a 24 anni quando ha raggiunto la necessaria solidità. A proposito di passaggi precoci…
Masnada è passato a 24 anni quando ha raggiunto la necessaria solidità

La voce che manca

Una voce che ancora manca all’appello è quella del sindacato dei corridori. Che cosa succederebbe se in un’azienda venissero assunti dipendenti privi della necessaria formazione? Il sindacato probabilmente insorgerebbe, mentre dall’Accpi non sono venuti segni di reazione. Ragione per cui abbiamo interpellato Cristian Salvato, il suo presidente. Che cosa pensa di questi passaggi?

«E’ difficile prendere posizione – dice – ed è un fatto che l’Italia sia l’unico Paese con questo sbarramento. La mia opinione è personale, ma è pur sempre quella del presidente dell’Accpi. Da un punto di vista del diritto al lavoro, Pinarello ha ragione. Credo però anche che la Fci abbia preso una linea corretta. Si deve avere pazienza, perché sono tanti i corridori bruciati per essere passati troppo presto. Spero che Pinarello, che non conosco, diventi il nuovo Nibali, ma che motivo ha di voler anticipare così tanto?».

Evenepoel è un’eccezione: nel 2018 vinse 23 corse da junior, fra cui doppio europeo e doppio mondiale
Evenepoel è un’eccezione: nel 2018 vinse 23 corse da junior, fra cui doppio europeo e doppio mondiale
Alex Carera parla della bontà del progetto Bardiani.

Se Pinarello fosse mio figlio, dato che ha la stessa età, gli avrei consigliato comunque di aspettare. Vero che c’è il progetto Bardiani, ma proprio parlando di quella squadra forse poteva far maturare gli altri corridori che non ha confermato. Non tutti arrivano in due anni e si continua a fare l’esempio di Ballan oppure di Ballerini e Masnada, passati fra i 23 e i 25 anni, per dire che conviene aspettare il giusto tempo.

Non è strano che la norma italiana sia contro quella internazionale?

Credo sia necessario uniformare le norme, però l’Italia è la culla del ciclismo e delle migliori idee di questo sport e ha un buon regolamento. E’ vero che il ciclismo è cambiato, ma guardando le foto Pinarello non mi sembra formato com’era Quinn Simmons quando vinse il mondiale juniores. Non mi sembra un Pippo Pozzato. Magari sarà anche forte, ma abbiamo delle strepitose continental e squadre di under 23 in cui sarebbe potuto maturare molto bene.

Sei a favore dell’unificazione delle norme, ma trovi giusta quella italiana?

Secondo me non è sbagliata. Chi non crede a tante cose, creda alla matematica. E la statistica dice che a fronte dei tanti che ogni anno passano, sono più quelli che smettono presto perché sono passati quando non erano pronti. La domanda è: ci troviamo davanti a un fenomeno?

Ayuso è passato nel WorldTour dopo sei mesi da U23 in cui ha vinto ogni corsa, anche il Giro, con grande facilità
Ayuso è passato nel WorldTour dopo sei mesi da U23 in cui ha vinto ogni corsa
I fenomeni hanno diritti a parte?

Se arriva uno come Ayuso o come Evenepoel, se fossero italiani, che al secondo anno da junior vince 23 corse fra cui entrambi gli europei con distacchi abissali ed entrambi i mondiali, si può valutare che passi prima, perché fra gli under 23 avrebbe poco da imparare. Ma Pinarello quante corse ha vinto nel 2021?

Sei o giù di lì…

Il ciclismo è cambiato, vero, ma io ne vinsi 5 fra cui un mondiale e non passai direttamente. Alcuni miei compagni ne vinsero 12-13 e non ci sono mai arrivati al professionismo. Ripeto, il ragazzo ha i suoi diritti, ma credo che l’Italia abbia ragione. Lo dissi subito, a suo tempo: il precedente di Evenepoel farà disastri. Detto questo, ora che Pinarello ha firmato il suo contratto, come Associazione lo accoglieremo. Ma come Presidente e padre gli dirò che avrebbe potuto aspettare.

A Natale con Contri: «I miei 3 mondiali per l’oro olimpico»

25.12.2021
5 min
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Forse ha ragione Contri, quando dice che quelli dell’Emilia Romagna si tende a cercarli poco e a non trattarli bene. Fa l’esempio di Pantani, poi però ammette di essersi tirato fuori dal gruppo subito dopo aver smesso e che nella sua città, Bologna appunto, il ciclismo sia ormai sparito. Al punto che mollando per un attimo i ricordi e quello che assieme s’è vissuto, viene il dubbio che non tutti sappiano chi sia Gianfranco Contri. Anche Wikipedia si confonde.

«Gianfranco Contri – scrive – è un ex ciclista su strada italiano. Mai passato professionista, vinse la medaglia d’argento ai Giochi olimpici di Barcellona 1992 e tre medaglie d’oro ai Campionati del mondo di ciclismo su strada a Stoccarda 1991, Oslo 1993 e Catania 1994 nella cronometro a squadre».

L’ultima non fu a Catania, ma a Palermo. Il resto tuttavia è vero e vale la pena sottolineare che tra quelli della Cento Chilometri, Contri c’è sempre stato, risultando l’azzurro plurivittorioso della specialità. Classe 1970 come Pantani e Bartoli, Casagrande e Casartelli, come quell’infornata di campioni che a pensarci adesso si viene assaliti da un treno di nostalgia.

Però poi sei sparito…

Sono uscito completamente. Da allora avrò preso la bici trenta volte, ma il ciclismo continuo a seguirlo. Il lavoro mi prende mattina e sera, non avrei potuto aspirare a un ruolo nello sport, perché ti assorbe completamente. Lavoravo già quando correvo. Per cui quando ho smesso, mi sono licenziato dalla Forestale e mi sono buttato nel lavoro.

Lavoravi già quando correvi?

L’azienda l’aprì nel 1987 mio fratello Alessandro, che correva anche lui e ha due anni di più. Io entrai dopo il diploma e diventò un’azienda di famiglia. La Tulipano Impianti di Bologna. Nel 1992, l’anno delle Olimpiadi di Barcellona, tenevo già i libri contabili. Ci occupiamo di gestione e manutenzione di impianti termici.

Nella Cento già in Giappone (1990) con Cortinovis, Morando e Zanini: 7° posto
Nella Cento già in Giappone (1990) con Cortinovis, Morando e Zanini: 7° posto
E così sceso di bici, addio bici…

Siamo fagocitati, ma se ci fossero tempo e voglia, andare in bici sarebbe ancora possibile. E’ un bellissimo divertimento. Ti permette uno svago mentale come nessun altro. Puoi correre a piedi, ma dopo due ore sei sempre dalle stesse parti. Con la bici in due ore, arrivi in un’altra città, sui colli, in un altro mondo. Per questo, anche se non pedalo, cerco di difendere il ciclismo dagli opinionisti da bar, che ancora ci tengono attaccate brutte etichette.

Ce le stiamo togliendo di dosso, non è più come prima…

Parlo spesso con Cristian Salvato, che faceva le Cento con noi. E mi spiega che ora è uno sport pulito. Solo che non tutti sanno come stanno le cose.

Che cosa ti resta di quegli anni?

Grandi ricordi e un’immensa esperienza. Giosuè Zenoni, oltre che un tecnico è stato un maestro di vita, per quanto riguarda il comportamento, gli impegni, il saper stare al mondo. Fare attività sportiva di vertice ti insegna a essere metodico e preciso.

Tre mondiali e un argento olimpico: rimpianti?

Se potessi tornare indietro, baratterei tutti i mondiali con un oro olimpico. Sarei entrato nella storia. Nell’immediato vissi bene l’argento. Forse perché non dovevo neppure esserci, fui riserva fino all’ultimo. Poi entrai in squadra e feci la mia parte. E ripensandoci, viene da mangiarsi le mani.

Come mai?

Eravamo i campioni del mondo in carica, i tedeschi la nostra bestia nera. Rimanemmo in testa fino ai 70 chilometri, poi saltammo e loro vennero fuori.

Cosa accadde?

Probabilmente eravamo già in fase calante. Se si fosse corso dieci giorni prima, non ce ne sarebbe stato per nessuno. Ma fare 100 chilometri con gli ultimi 25 in salita, perché si arrivava al circuito del Montmelò a Barcellona, che è in alto, fu una prova troppo dura.

Come si fa a restare concentrati in una crono di 100 chilometri?

Facendone quattro di 25 chilometri ciascuna. Le scomponevamo, aiutava tecnicamente e mentalmente. Poi c’era il giro di boa, altro riferimento importante.

Nel 1993 l’Italia vince un altro mondiale della Cento, Contri e Salvato si rapano a zero
Nel 1993 l’Italia vince un altro mondiale della Cento, Contri e Salvato si rapano a zero
Le cronosquadre per club fatte fino a qualche anno fa erano di 40 chilometri…

Erano cronosquadre abbastanza improvvisate. Qualcuno ci investiva, altri andavano e correvano, ma è più difficile farle in sei che in quattro

E’ valsa la pena dedicare una carriera alla Cento Chilometri?

All’epoca non avevo dubbi, anche se non tutti abbiamo poi avuto una grande carriera su strada. Peron era il più stradista di tutti e alla fine ha avuto le sue soddisfazioni anche di là. Per noi era l’occasione di fare mondiali e poteva starci anche un’altra Olimpiade. Invece dopo Oslo 1993 in cui vincemmo un altro mondiale, il Cio comunicò che l’avrebbero tolta dal programma olimpico assieme al “due con” di canottaggio.

Fu come staccare la spina?

Praticamente sì. Corremmo l’ultima Cento Chilometri a Palermo nel 1994 e vincemmo il mondiale, poi il gruppo si sciolse. Però ogni tanto ci penso. Ed è bello rendersi conto che siamo ancora campioni del mondo e lo saremo per sempre.

Ritorno alla Cento: possibile o suggestione?

20.08.2021
5 min
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Piace pensare che ci fosse una logica quando decisero di farle così. Pertanto, nella Roma che diede l’oro al quartetto azzurro su pista, altri quattro italiani conquistarono l’oro nella Cento Chilometri su strada con Trapè, Bailetti, Cogliati e Fornoni. Una cronometro a squadre che si trasformò in uno straordinario banco di ricerca (che aveva la versione light negli juniores con la 70 Chilometri) e andò avanti alle Olimpiadi fino al 1992 e ai mondiali fino al 1994.

Sul tetto del mondo

Ve ne abbiamo già parlato, ricordate? L’Italia conquistò l’oro a Los Angeles 1984 con Giovannetti, Bartalini, Poli e Vandelli, mentre prese l’argento a Barcellona 1992 con Anastasia, Contri, Peron e Colombo battuti dai tedeschi (l’anno prima ai mondiali di Stoccarda, prima Italia e seconda Germania).

Gli eroi di Palermo 94: da sinistra, Contri, Colombo, Salvato, Andriotto e Dolci. E bici Colnago
Gli eroi di Palermo 94: da sinistra, Contri, Colombo, Salvato, Andriotto e Dolci. E bici Colnago

Eravamo tra i più forti al mondo, poco da dire. Italia e Germania si dividevano costantemente i primi due gradini del podio. Quelli dotati di memoria migliore ricordano le settimane di lavoro dei cittì azzurri, da Edoardo Gregori a Giosuè Zenoni, fino ad Antonio Fusi che portò il nostro quartetto – composto da Salvato, Andriotto, Contri e Colombo, con Andrea Dolci per riserva – alla vittoria nell’ultimo mondiale di specialità a Palermo 1994, prima che la Cento venisse definitivamente accantonata. Secondi i francesi, zitti i tedeschi.

Ritorno alla Cento

Perciò oggi, con l’entusiasmo del quartetto di Tokyo e delle splendide gare di Lamon, Consonni, Milan e Ganna, ci siamo chiesti quando sarebbe spettacolare avere nuovamente la Cento e che fantastico banco sarebbe se a correrla fossero i professionisti. Già, perché la Cento Chilometri venne tolta dal programma olimpico quando ai Giochi vennero ammessi i professionisti, con il pretesto che il gap tecnologico fra le grandi Nazioni e le piccole fosse troppo marcato. Via la cronosquadre e dentro quella individuale.

L’Uci negli anni ha provato a inserire nel programma mondiale la cronometro a squadre per club, con sei atleti per squadra, ma la Cento era un’altra cosa rispetto ai 62,8 chilometri che nel 2018 premiarono a Innsbruck la Quick Step. Loro corsero in sei, la Cento Chilometri si correva in quattro. E si correva per nazioni.

Solo suggestione?

Così per giocare, ma con i piedi per terra, abbiamo rivolto qualche domanda a Cristian Salvato, uno degli ultimi quattro iridati di Palermo 1994 (l’anno prima vincitore anche a Oslo) e oggi presidente dell’Accpi, l’Associazione italiana dei corridori, per capire se ci sarebbe il margine per reintrodurre la Cento e come eventualmente secondo lui la accoglierebbero i corridori.

«Quella per club – dice – forse si correva in troppi, avrebbero potuto fare il quartetto anche loro. Correndo in sei si privilegiavano troppo gli squadroni. Ma di sicuro per il team e di conseguenza per la Nazione sarebbe ancora una vetrina straordinaria. Quasi due ore di diretta…».

Parlando di professionisti, viene da pensare che il primo scoglio sarebbero le bici. Voi avevate le Colnago uguali per tutti…

Anche in pista sono professionisti e hanno le Pinarello uguali per tutti, non credo sarebbe quello il problema. Semmai vedo complicata la distanza, per le abitudini delle crono di oggi, 100 chilometri sono una cosa enorme. Erano quasi due ore di sforzo massimo (a Palermo l’Italia vinse in 1h 57’54”, ndr), ma sarebbe curioso vedere a quali medie la farebbero adesso.

Già, mettere assieme Ganna, Milan, Affini e un altro tra Cattaneo e Sobrero. Ci sarebbe il problema della preparazione: la vostra aveva tempi lunghi.

Facevamo l’avvicinamento in ritiro, per circa un mese. Prima 15 giorni in altura, con tre blocchi distinti di velocizzazione, resistenza e forza in salita con interval training. Poi tornavamo a casa per tre giorni, si faceva una corsa su strada e poi iniziavano i cicli di lavoro specifico. Un professionista che ad esempio esca dalla Vuelta, potrebbe fare una settimana di lavori specifici e sarebbe prontissimo.

Sarebbe possibile fare la Cento e quattro giorni dopo la crono individuale, immaginando un programma mondiale oppure olimpico?

La gara era la parte più facile del discorso, il duro era prepararla e arrivarci bene. Per cui se sei portato e la domenica fai la Cento Chilometri, il mercoledì puoi fare la crono individuale. Sarebbe più dura da recuperare una prova su strada. Adesso ai mondiali e agli europei c’è il Team Relay, pare che a Trento potrebbe esserci anche Ganna.

EDITORIALE / Se il tema è la sicurezza, noi stiamo col Giro

24.05.2021
3 min
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Era nell’aria e sembrava strano che si continuasse a sostenere che la 16ª tappa non sarebbe cambiata. Quando in mattinata si è capito che le condizioni meteo non consentivano lo svolgimento della corsa in sicurezza, gli organizzatori hanno tirato fuori dal cassetto il nuovo percorso cui evidentemente avevano lavorato nella notte. Partenza da Sacile, eliminati Pordoi e Fedaia, scalata del Giau e arrivo a Cortina. Rispetto all’osceno giorno di Morbegno dello scorso anno, un importante passo in avanti.

Questa la muova altimetria della tappa, ridotta a 153 chilometri
Questa la muova altimetria della tappa, ridotta a 153 chilometri

Per la sicurezza

L’associazione dei corridori ha posto il problema per tempo. Già ieri mattina al via da Grado si era notato un intenso andirivieni, anche se la risposta di Rcs Sport era stata la stessa difesa fino a sera: si parte e non si cambia. Gli organizzatori hanno aspettato sino all’ultimo prima di intervenire sul tracciato, ma il tema della sicurezza messo sul tappeto si è rivelato convincente. Se non si fosse agito in modo poco chiaro alle sue spalle, probabilmente Vegni avrebbe mostrato la stessa ragionevolezza lo scorso anno: quel brutto giorno se non altro è servito di lezione. A Morbegno infatti prevalse la voglia di non prendere acqua, in una tappa di pianura neanche troppo fredda. Oggi il tema era la poca sicurezza del correre in alta quota con la pioggia e temperature prossime allo zero, affrontando in queste condizioni tre lunghe discese. Valeva la pena correre il rischio?

Al via da Sacile, in ricordo di Silvia Piccini, uccisa sulla strada a 17 anni
Al via da Sacile, in ricordo di Silvia Piccini, uccisa sulla strada a 17 anni

Il Gavia 88? Una sola salita

«Ci sono tre possibilità – questo il senso delle parole di Cristian Salvato, delegato del Cpa – possiamo correre sul percorso per com’è e sperare che vada bene. Partire e ritrovarsi come alla Sanremo del 2013, ma dove li fermi in mezzo a quelle montagne? Oppure si può scegliere di ridurre i chilometri e avere comunque una tappa vera, perché il Giau resta comunque una grande salita. Io sceglierei la terza, ma la decisione è vostra. I corridori faranno qualsiasi cosa venga decisa».

Alla riunione era presente anche Stefano Allocchio e anche lui ha dovuto ammettere di non aver mai corso una tappa del genere. E che quella del Gavia, spesso indicata ad esempio, prevedeva una sola salita e una sola discesa, non tre come oggi. E finì in un vero macello. Così alla fine il dado è stato tratto.

Pioggia dal primo chilometro: voi li chiamate rammolliti?
Pioggia dal primo chilometro: voi li chiamate rammolliti?

Giro ancora lungo

I social non perdonano. Parecchi tifosi si sono scagliati contro i corridori, che non sarebbero più come quelli di una volta. Qualcuno ha parlato di Giro rovinato, ma forse il Giro sarebbe stato rovinato davvero se, correndo sul tracciato originale, le prevedibili cadute e il rischio di assideramento avessero tolto di mezzo attori importanti alla vigilia dell’ultima settimana che presenta ancora tre tappe di montagna e una crono. Tanto fummo duri l’anno scorso per quanto ci sentiamo di non criticare questa scelta. I corridori sarebbero partiti e sono tutti pronti a testimoniarlo. Gli organizzatori hanno agito nel segno della sicurezza. Saremo anche noi indegni dei cronisti di una volta, ma non riusciamo a vederci la vergogna.

Con Salvato continuiamo a parlare di transenne

17.04.2021
3 min
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Cristian Salvato ha letto il pezzo di ieri sulle transenne del Belgio e si è ricordato di quando un’idea simile venne anche all’Accpi, che la passò al Cpa . A sua volta l’Associazione mondiale dei corridori se ne fece interprete nelle tante riunioni con l’Uci, inserendo l’argomento transenne nella dettagliata serie di richieste, purtroppo rimaste in parte disattese.

«I belgi sono stati più bravi a farle – dice il presidente del sindacato italiano dei corridori – come quelle di Boplan non le avevo mai viste. Però ricordo che ho fatto vari studi, per capire come siano fatte le transenne negli altri sport di velocità. Francamente trovo assurdo che nel 2021 ancora non ci sia un regolamento tecnico omogeneo per queste protezioni».

Cristian Salvato è presidente dell’Associazione italiana corridori professionisti
Cristian Salvato è il presidente dell’Accpi

Matteo Trentin lo ha scritto su Twitter, parlando dell’iniziativa di Harelbeke e Flanders Classics e rilanciando il nostro servizio: «I primi e finora unici organizzatori a pensare ad un miglioramento per la nostra sicurezza senza che a loro venisse chiesto. Dovrebbe essere sempre così, ma purtroppo la realtà è diversa!».

Ogni corsa ha i suoi standard. Gli organizzatori piuttosto che accogliere la novità, vanno in cerca del difetto. Qualcuno ha tenuto a dire che ad Harelbeke quelle transenne non iniziavano 300 metri prima…

Il Giro ha transenne verticali su cui si appoggiano pannelli inclinati
Il Giro ha transenne verticalil su cui si appoggiano pannelli inclinati
Salvato, cosa fanno negli altri sport?

Il pattinaggio di velocità ha un documento di tre pagine che spiega come vadano fatte transenne e protezioni. Idem lo sci alpino. Da noi si dice solo, appunto, che devono essere inclinate e iniziare 300 metri prima dell’arrivo e finire 100 metri dopo, senza interruzioni.

Le transenne di Boplan assorbono l’urto.

Questa dovrebbe essere la prima caratteristica. Nel pattinaggio usano una sorta di gomma piuma, che però non è immaginabile per il ciclismo, non fosse altro per il numero di camion necessari per il trasporto. E allora mi ero messo a lavorare con Jonny Mole, socio di Pozzato, immaginando una soluzione pneumatica. Ma qualunque sia la ricetta finale, sarebbe necessario un protocollo Uci che costringa gli organizzatori ad adottare lo stesso standard. Quelle del Tour sono le peggiori. Sono fatte a blocchi che ogni tot si interrompono, motivo per cui prima mettevano il poliziotto in piedi sull’arrivo. Poliziotti che facevano foto o provocavano cadute. Non ci può essere uno in piedi sul rettilineo. Così adesso ci mettono un cuscino (foto di apertura, sulla destra di Bennett, ndr), ma le transenne restano quelle di quando correvo io.

E queste invece sono le transenne utilizzate ad aprile in Belgio
E queste invece sono le transenne utilizzate ad aprile in Belgio
In Italia come siamo messi?

In Italia la maggior parte delle situazioni le gestisce Italtelo. Ha transenne verticali alte 1,50 su cui si applicano i pannelli inclinati. L’altezza è giusta, per impedire a qualsiasi tifoso, anche alto, di sporgersi per fare foto e toccare il corridore.

L’Uci cosa risponde?

Per ora nulla. Feci notare che le transenne dei mondiali di Harrogate erano pericolosissime. Basse, alte da terra che sotto poteva passarci chiunque. Per fortuna l’arrivo era in salita e non ci sarebbe mai stata una volatona, ma ugualmente andrebbe previsto un protocollo. Sono tanto precisi per le cose che riguardano i corridori, le borracce e la posizione in sella, ma sul resto sembra quasi che non vogliano vedere.