Fausto Scotti

Scotti: «Cross alle Olimpiadi? Ci proviamo»

14.12.2020
5 min
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La sesta tappa del Giro d’Italia Ciclocross è stata un vero successo. A Ferentino tanti partecipanti, tanto sole e, come lo stesso GIC ha titolato, “finalmente anche tanto fango”, elemento che da sempre caratterizza questa particolare e accattivante disciplina.

Mentre sul palco scorreva la premiazione delle donne, con Francesca Baroni reginetta del podio, riuscivamo a catturare un indaffaratissimo Fausto Scotti, tecnico azzurro del ciclocross. Con lui si è parlato soprattutto di gruppo e poco dei singoli nomi. 

Fausto, un grande successo: sia oggi che in generale del GIC…

Siamo molto contenti del Giro ma anche delle gare nel Lazio, siamo riusciti a farne molte con il Lazio Cross. Cerchiamo di tenere in piedi la specialità per far gareggiare i nostri atleti. In gran parte del mondo non è possibile farlo, a parte gli elite, e credo sia importante per società ed atleti stessi. Mettere su gli eventi dà grandi possibilità, tanto più quest’anno con percorso ben diversi.

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Quest’anno al GIC non è mancata neanche la sabbia
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Quest’anno al GIC non è mancata neanche la sabbia
Cosa intendi per percorsi diversi?

In generale ci sono stati tracciati abbastanza veloci, ma c’è stata anche la sabbia da evitare correndo a piedi. E oggi c’è stato molto molto fango. La differenza la si faceva correndo e nei tratti tecnici. Vedere 160 allievi, che sono atleti polivalenti con tanti biker e stradisti, vuol dire che le società hanno capito che questa disciplina può dare loro l’opportunità di guidare meglio su strada.

Il covid ha complicato la vita degli organizzatori, ma sembra aver rinvigorito la partecipazione. Forse c’è più voglia di correre?

I numeri del GIC sono stati sempre questi, tra 600-800 partenti. Quest’anno sono cresciute le categorie amatoriali e gli allievi. Di solito, questi ultimi partivano in 150 e poi andavano a scemare. Quest’anno invece sono sempre la categoria che registra i numeri maggiori. Ed è importante perché è la base del futuro.

Parlando dei grandi, pensando ad Ostenda: cosa ti aspetti? Che nazionali t’immagini?

Intanto speriamo di parteciparvi e di fare le prove di Coppa. E’ stata nuovamente “segata” la tappa di Namur. Hanno tolto le categorie U23 e juniores e quindi non andremo lassù. Ma non perché non correranno queste categorie, ma perché gli hotel prenotati (e nei dintorni) sono chiusi, non sappiamo come fare per la ristorazione e al ritorno in Italia bisogna fare il tampone in aeroporto. Troppo alto il rischio. Se succede qualcosa tutta la squadra deve restare in quarantena. E allora stiamo pensando ad un ritiro con la nazionale. Anche perché sotto il periodo di Natale ci saranno molte gare e sarebbe un peccato saltarle. I nostri ragazzi sono avvantaggiati perché rispetto ad altre Nazioni stanno gareggiando. Francia ed altri Paesi, come ripeto, fanno attività solo con gli elite.

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Gaia Realini, seconda a Ferentino
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Gaia Realini, seconda a Ferentino
Hai un’idea di dove fare questo ritiro?

Stiamo valutando in base anche alla chiusura delle scuole. E poi dobbiamo capire come allestirlo. Perché 72 ore prima del raduno bisogna fare il tampone e poi si può entrare nelle “bolla”. L’hotel sarebbe solo per gli atleti e lo staff. Con la struttura tecnico-sanitaria della Federciclismo cerchiamo di capire se siamo in condizione di realizzare tutto ciò. Altrimenti li lasceremo correre nelle gare che ci sono in Italia e faremo la selezione tramite queste. Dopo il 17 gennaio faremo le convocazioni.

Francesca Baroni, ora sul podio, ha vinto anche oggi (ieri per chi legge, ndr): per lei c’è già una maglia azzurra?

Lei ha fatto una buona gara, ma anche Gaia Realini, secondo anno U23, ha mostrato di difendersi bene. Francesca è molto più matura, specie su questi percorsi così difficili. Gaia ha corso benissimo è stata a ruota ed ha imparato molto. C’è un bel bagaglio di atleti che sta crescendo bene anche tra le juniores. A livello internazionale siamo la prima Nazione al mondo con più praticanti donne. Poi però dobbiamo sempre fare i conti con le altre specialità. Logicamente quando iniziano ad andare forte per davvero le portano via la strada o la Mtb e il cross va un po’ in sordina.

Perché?

Perché non è una disciplina olimpica. Io spero che, con gli sforzi che stiamo facendo, riusciremo a portare il cross alle Olimpiadi di Milano-Cortina 2026, almeno a livello dimostrativo. E magari entrare ufficialmente nel programma a cinque cerchi nelle Olimpiadi invernali successive.

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La partenza degli elite a Ferentino
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La partenza degli elite a Ferentino
Hai parlato dei ragazzi che si applicano in più discipline. L’imput arrivato da Cassani qualche anno fa che insisteva sulla multidisciplinarietà ha fatto effetto. Tra voi tecnici azzurri c’è scambio d’informazioni? Collaborate?

Io lavoro molto bene con Rino De Candido (tecnico degli juniores, ndr) e Dino Salvoldi (tecnico delle donne, ndr), con loro c’è molto scambio di atleti. So quando è il momento di poterli prendere e quando no. Se poi ci sono Olimpiadi e mondiali in vista è chiaro che le attività principali vanno riviste.

Quel è l’ossatura degli uomini elite?

Abbiamo sempre avuto dei grandi atleti. Il problema maggiore è che tutti guardano al domani. Io dico che a volte bisognerebbe guardare anche all’oggi. Pensare alle Olimpiadi, che poi non ci sono state, ha fatto trascurare il cross a molti atleti. In tanti, e mi riferisco ai biker, hanno pensato solo alla Mtb. Tra incidenti vari e un calendario pressoché inesistente ecco che non hanno fatto né l’uno, né l’altro. Quest’anno, sembra, abbiano capito che il cross è una buona “palestra” di allenamento, tanto più per quel che non hanno fatto questa estate.

Francesca Baroni

Francesca Baroni e la tenacia da Tour

10.12.2020
3 min
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La sua foto a piedi nudi mentre è portata in spalla dopo la gara di ciclocross di Nalles ha fatto il giro del mondo. Una foto in cui c’è tutta Francesca Baroni. Tenacia, forza fisica, spirito di adattamento e voglia di arrendersi pari a zero.

L’ex campionessa italiana junior e attuale tricolore open, a Nalles non ha vinto, ha stravinto. Non è mai stata insidiata dalle avversarie. Semmai solo il freddo e la neve potevano giocarle uno scherzo, ma quando hanno visto chi avevano di fronte, anche gli agenti atmosferici si sono tirati indietro!

Al suo allenatore, Pino Toni (che in carriera ne ha seguiti e ne segue di campioni) a fine gara aveva scritto: “Ciao Pino stavo bene mi sentivo bene, ho vinto. Giornata fredda ma non mi sono ghiacciata”. 

Francesca Baroni
Francesca Baroni portata in spalla a Nalles (foto Billiani)
Francesca Baroni
Francesca Baroni portata in spalla a Nalles (foto Billiani)

Amore per il fango

«E poi vedi questa foto sui social», ha commentato il tecnico.

La Baroni è lucchese come Toni. Ha iniziato a correre sin da piccolissima, era anche una buona biker, ma il cross l’ha rapita del tutto.

«Se i corridori che seguo avessero il 10% della volontà di Francesca ne avrei 3 o 4 che potrebbero vincere il Tour de France – commenta senza mezzi termini Toni – L’ho conosciuta qualche anno fa. Mi contattò perché sapeva che ero lucchese come lei e che all’epoca ero alla Tinkoff. Voleva conoscere Peter Sagan. E così c’incontrammo nell’hotel dello slovacco durante una Tirreno-Adriatico. Da lì siamo rimasti in contatto e dopo due anni ho iniziato ad allenarla.

«Ha due genitori (papà Luca e mamma Alessandra, ndr) che sono due grandi, nel vero senso della parola. L’aiutano in quel che fa, l’assecondano nelle sue passioni. Francesca ha dei margini ampi. Potrebbe andare bene anche su strada e qualcosa abbiamo anche fatto, ma per ora si allena soprattutto nell’ottica dei 45′ di gara. Poi è chiaro che va su strada per allenarsi. Qualche corsa l’ha anche fatta, ma quando le big aprono il gas, va un po’ in difficoltà. Però, ripeto, i nostri programmi sono tarati per le sue gare, che durano 45’».

Francesca Baroni
Francesca Baroni classe 1999
Francesca Baroni
Francesca Baroni classe 1999

Francesca che grinta!

Francesca poteva anche andare in Mtb, ma la discesa tecnica non le piace più troppo, a quanto pare.

«Non se la sente più addosso – riprende Toni – nonostante guidi molto bene la bici. Lei ama il fango. Il ciclocross è la sua disciplina. In gara comunica con due persone: il padre e Vito Di Tano, che la seguono. Hanno stipulato un sistema di segni, anche perché in corsa non usa l’apparecchio: è costoso, rischia di rovinarsi».

Baroni ha sempre dichiarato che vive serenamente la sua disabilità, con il tempo ha imparato a gestire le situazioni e anche a sviluppare meglio la sensazione alle vibrazioni.

«Un aneddoto su questa ragazza che mi stupisce? Ogni volta mi stupisce. Si allena tutti i giorni, con il bello e con il brutto tempo e la sua voglia di fare è incredibile».

Campionati europei ciclocross 2020, s'Hertogenbosch, partenza

Il ciclocross? Una questione di rispetto…

09.12.2020
4 min
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Cross, sportellate e rispetto. Tutto è nato parlando con il Cittì Fausto Scotti, di ritorno dalla Coppa del mondo di Tabor.

«Nella gara degli Europei – aveva detto il cittì azzurro – Jakob Dorigoni al primo giro ha preso un sacco di… sportellate. Non lo conoscevano, a ogni curva o ostacolo i grandi volevano spazio, dicevano “Chi è questo qui?”. Arrivati a Tabor, in Coppa del mondo, gli ho detto: “Saluta, fatti conoscere, tu sei il campione d’Italia!”. E in gara le cose sono andate già un po’ meglio…».

Chi l’avrebbe mai detto che il ciclocross è uno sport di contatto? Abbiamo voluto saperne di più, capire che cosa significa affrontare una gara sui prati mettendo in conto anche scontri fisici e magari qualche sgarbo.

Jakob Dorigoni, europei cross 's Hertogenbosch 2020
Jakob Dorigoni, qualche difficoltà e qualche spallata agli europei
Jakob Dorigoni, europei cross 's Hertogenbosch 2020
Per Dorigoni, qualche spallata agli europei

Dorigoni ricorda

Non si poteva che iniziare dal diretto interessato. «E’ vero – racconta Dorigoni – a s’Hertogenbosch il primo giro è stato un continuo di spallate, toccate, spintoni. Il fatto è che all’inizio tutti vogliono prendere le prime posizioni e i favoriti hanno paura che davanti si formi un buco. Se non sei conosciuto, gli altri non sanno come te la cavi. Temono di perdere terreno, poi riprendere è dura… Sui percorsi veloci, se molli anche solo 5 metri, poi non li recuperi più. E’ così dappertutto. In Italia però le parti sono invertite, sono io a chiedere strada, a evitare di tirare i freni. Ci sono delle gerarchie da rispettare.

Tabor, Coppa del mondo ciclocross 2020, gruppo
Quando belgi e olandesi prendono la posizione, scalzarli diventa difficile
Tabor, Coppa del mondo ciclocross 2020, gruppo
Belgi e olandesi sono difficili da scalzare

Questione di rispetto

Il discorso è complesso e unisce la tecnica alla tattica, la necessità di trovare spazio al rispetto per gli altri. Le parole di Dorigoni a proposito delle gerarchie fanno pensare.

«Ha ragione – sentenzia Luca Bramati – nel ciclocross non s’inventa niente. Devi guadagnarti il tuo posto piano piano, per arrivare davanti devi scalare una montagna… Le botte non ci sono solo all’inizio. Chi “comanda” non si fa scalzare facilmente, devi essere pronto sia mentalmente che fisicamente a quella che è una battaglia, ogni gara è così. E se sei “nuovo”, davanti non ci arrivi alla prima e neanche alla seconda. Con il tempo devi guadagnarti il rispetto degli altri. Prova a fare lo stesso a Van Der Poel o Van Aert: se gli dai una spallata rimbalzi indietro…».

Il video su YouTube di cui parla Bramati: guardate Bart Wellens e il tifoso sul percorso…

Occhio agli eccessi

Detta così, sembra una giungla. «E un po’ lo è, devi trovare il tuo posto. L’importante è che tutto avvenga nel rispetto del regolamento. Qualche corridore più “cattivo” degli altri c’è sempre stato, qualcuno che magari va anche sopra le righe. Su YouTube gira ancora il video di Bart Wellens che, inferocito, assale uno spettatore con un calcio… Non si devono raggiungere questi eccessi, ma è certo che se vuoi emergere devi avere quel pizzico di furbizia in più e non farti mettere i piedi in testa».

Fra le donne è diverso? «Sei matto? Anzi, sono anche più cattive, a mia figlia Lucia sto insegnando a farsi rispettare, sempre».

Sara Casasola, caduta, Tabor, Coppa del mondo 2020
La partenza è una fase concitata: qui Casasola in Coppa a Tabor
Sara Casasola, caduta, Tabor, Coppa del mondo 2020
Partenze ad alto rischio: qui Sara Casasola a Tabor

Partenza decisiva

Il rispetto, un concetto che nel ciclocross è fondamentale: «Non sono contatti cattivi o scorretti – dice la sua l’ex iridato Daniele Pontoni – è solo l’unico modo per far valere il tuo stato come nel mondo animale. La partenza è fondamentale, direi decisiva e devi imparare subito a difenderti senza tirare i freni, sennò perdi posizioni. Se serve allargare un po’ il gomito, lo fai, senza mai staccare le mani dal manubrio, altrimenti sarebbe una scorrettezza regolamentare. Non conta la stazza fisica: io ero mingherlino, ma anche con i giganti mi sapevo far rispettare…».

Potere fiammingo

Allora chi vuole scalare le gerarchie, come deve fare? «Spingi, cerchi spazio: i belgi e olandesi di seconda fascia non guardano in faccia a nessuno, cercano spazio. Ma tu devi fare altrettanto, anche farti sentire. Io spesso mi arrabbiavo. Il rispetto si guadagna con il tempo. Io e Sven Nys battagliavamo, ma senza scorrettezze, magari si tirava il freno un attimo prima per non intrupparsi. Guardate le gare femminili: chi è “cattiva” fa la differenza».

Martino Fruet

Che Nalles! Se anche Fruet si ferma allora è tosta

07.12.2020
5 min
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«In 29 anni di carriera non mi era mai successo di correre un ciclocross sotto la neve», parole del grande Martino Fruet. Il più longevo dei biker italiani, d’inverno come molti suoi colleghi si trasforma in crossista. Martino è un vero funambolo, un asso della guida. Pensate che pur facendo cross country ha sfiorato un titolo nazionale di Enduro per soli 6 decimi. 

Fruet è vero un mastino, un ragazzo vecchio stampo cresciuto nelle valli del Trentino. Uno di quelli che da bambino con 5 gradi sotto zero usciva in maglione e via… senza troppi complimenti. Eppure sabato scorso nel 1° Cx di Nalles sotto la neve (che è già entrato nella storia) si è dovuto fermare.

Martino Fruet
Martino Fruet in azione tra la neve (foto Billiani)
Martino Fruet
Martino Fruet in azione tra la neve (foto Billiani)

Solo nove all’arrivo

«Incredibile – racconta con il suo solito tono squillante – io una roba del genere non l’avevo mai vista. Nalles (Val Venosta) è più bassa rispetto a casa mia (Valsugana) e da me non aveva nevicato. Avevo visto le previsioni ma non credevo, né io né altri, che ci sarebbero state quelle condizioni. Invece… 

«Per i primi 40 minuti di gara tutto bene, poi all’improvviso si sono completamente gelate mani e piedi. Non riuscivo più a stare in bici, stava diventando rischioso e a due giri dal termine mi sono fermato. E sì che alla fine mi hanno classificato lo stesso! Ho finito 18° ma solo perché altri si sono fermati prima di me. Pensate, solo in 9 l’hanno finita. Persino Dorigoni si è fermato. Il problema grosso è che prima di noi hanno girato le donne, gli amatori e così quando siamo entrati in pista noi era una vera poltiglia. In pratica c’era anche molta acqua. Per assurdo all’inizio con sola neve era meglio. Un conto è correre con il freddo e un conto è farlo bagnati».

Martino Fruet
Fruet sui rulli nel furgone
Martino Fruet
Fruet sui rulli nel furgone

A mani nude

Martino ha corso in tantissime condizioni nella sua carriera: dai 45° nella polvere degli Stati Uniti agli zero gradi di alcuni Xc. Solo una volta, a Villa Lagarina, non lontano da casa sua trovò un qualcosa di simile.

«Quella volta tre giorni prima della gara c’erano 25° gradi, il giorno dopo nevicò, quello successivo gelò, ma il giorno del via c’era il sole e la neve si scioglieva. A Nalles invece durante la gara aveva ripreso a nevicare.

«Io di solito faccio sempre un sopralluogo sul percorso, ma quando c’è tanto fango lo evito.  Non voglio sporcare la bici, incappare in rotture… e lo faccio a piedi. E così ho fatto anche stavolta, ma la mattina il percorso era una cosa e al pomeriggio un’altra.

«Come sono partito? Beh chiaramente con gomme da fango vero, ho giocato molto con la pressione, bassissima. E poi ho messo un impermeabile tra l’intimo e il body. Impermeabile… non so se si può dire, ma era il sacco di plastica in cui ripongo gli indumenti sporchi quando rientro a casa. Ci ho fatto un buco per testa e braccia e via. Almeno restavo asciutto addosso. E in effetti nella parte alta del corpo il freddo non era tanto. Erano mani e piedi il problema. Poi ho messo le scarpe Gaerne in goretex, che uso solo in alcuni casi in allenamento perché non hanno la suola in carbonio (poco performante), e ho optato per i guanti da sci di fondo da -10°. Ma sono scivolato, ho messo la mano in una pozzanghera e così ho preferito toglierli. Addosso erano terribili».

Francesca Baroni
Francesca Baroni portata in spalla dopo l’arrivo: la foto simbolo di Nalles (foto Billiani)
Francesca Baroni
Francesca Baroni portata in spalla dopo l’arrivo: la foto simbolo di Nalles (foto Billiani)

Freddo e memoria

Fatto sta che prima del via più di qualcuno ha provato a “corrompere”, o meglio, ad intenerire il giudice, chiedendogli di togliere un giro o due e accorciare la gara a 45-50′ ma non c’è stato verso.

«Mi sono scaldato sui rulli, dentro al furgone! E io non faccio mai i rulli. Che scene! Ho visto la foto di Billiani di quella ragazza (Francesca Baroni, ndr) portata via in spalla con i piedi nudi perché le scarpe come i guanti bagnati addosso erano terribili. Colledani mi ha detto che appena finita l’adrenalina della competizione, è rimasto 20′ a tremare nel suo furgone. All’autogrill, sulla strada del ritorno, ho incontrato Chiara Teocchi e lei mi ha detto che degli ultimi due giri non ricorda nulla, che non sapeva cosa stesse facendo. Fatto sta che è la prima volta che io non concludo un cross, anche quando rompevo la bici: andavo ai box, la cambiavo, magari finivo ultimo… ma finivo».

Colledani e Bertolini
La volata vincente di Bertolini su Colledani (foto Billiani)
Bertolini e Colledani
La volata vincente di Bertolini su Colledani (foto Billiani)

Bertolini re del ghiaccio

E il vincitore? Beh il Bullo, Gioele Bertolini, ha tirato fuori tutta la sua scorza dura da valtellinese. Il corridore della Trinx ha battuto in volata Nadir Colledani, altro biker di prim’ordine, ma certo anche per lui non è stata una passeggiata. Nalles è famosa per il suo cross country. Si corre ad aprile e spesso fa freddo, ma non così…

«Ho avuto una partenza terribile – dice Bertolini – ma tornata dopo tornata andavo sempre meglio. Poi però ai 3 giri dal termine ho perso completamente la sensibilità di mani e piedi. Da quel momento è stata una lotta con il freddo fino all’arrivo». 

Andrea, Palmiro, Simone, Francesco Masciarelli, 2010

La dinastia degli abruzzesi che dura da 70 anni

06.12.2020
4 min
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Lorenzo Masciarelli è l’ultimo talento di un’autentica dinastia ciclistica. Molti pensano che il decano sia Palmiro, in apertura con i tre figli (da sinistra, Simone, Andrea e Francesco) storico luogotenente di Francesco Moser: 12 anni di professionismo con 8 vittorie tra cui 2 tappe al Giro, ma non è così.

«Iniziò tutto da Giulio – racconta nonno Palmiro, il cui primo nome è Lorenzo – che era mio zio. Negli anni Cinquanta non solo gareggiava, ma ci portava a vedere Coppi e Bartali nelle kermesse in pista a Lanciano. Poi venne mio fratello, arrivato fino agli allievi, poi io».

Simone Masciarelli, Lorenzo, Stefano
Simone Masciarelli, con i figli Lorenzo e Stefano
Simone Masciarelli, Lorenzo, Stefano
Simone Masciarelli, con Lorenzo, Stefano

I 3 figli di Palmiro

Non solo Palmiro è passato professionista, ma anche i suoi tre figli. Francesco ha corso per 6 anni: 5 vittorie tra cui il Giro del Lazio 2008, poi uno stop prematuro per un tumore benigno che chiuse la sua carriera. Dieci anni da pro’ per Andrea, ben 13 per Simone, il padre di Lorenzo.

«Il ciclismo ce l’abbiamo nel sangue– ricorda Palmiro – Lorenzo è il nono della famiglia a gareggiare, ma soprattutto abbiamo sempre voluto trasmettere la nostra passione, non solo per la strada. Ai mondiali di Mtb al Ciocco, alla fine degli anni Ottanta, partimmo in 7 da casa per esserci».

Ora Palmiro è rimasto solo a gestire il negozio di bici di San Giovanni Teatino (un riferimento per tutto il Centro Italia) e la società ciclistica.

«Andrea si occupa di biomeccanica applicata al ciclismo – dice – e ogni tanto mi aiuta. Francesco fa il preparatore atletico per squadre professionistiche. Simone è andato in Belgio, ricominciando tutto da capo per seguire Lorenzo. So però che fanno parte di un bel gruppo. Mattan e De Clercq sono venuti spesso a casa mia, li ho ospitati. De Clercq ha disegnato anche un percorso da ciclocross dietro casa».

Lorenzo e VdP

L’avventura di Lorenzo lo riempie d’orgoglio: «Ricordo che quand’era bambino incontrò Van der Poel, il padre. Lo fermò per chiedergli una foto. Tempo dopo si ritrovarono a un evento e l’olandese gli disse: “Ma tu non sei quello della foto?”».

Simone e Andrea Masciarelli
Simone e Andrea Masciarelli in uno scatto del 2012
Simone e Andrea Masciarelli
Simone e Andrea Masciarelli, è il 2012

Il paragone, per chi ricorda le imprese di Palmiro ai tempi delle sfide Moser-Saronni, viene automatico.

«No, Lorenzo in prospettiva va molto più forte – dice – al primo anno junior ha scalato il Blockhaus solo 3” più lento di Ciccone. Nel ciclocross ha forza esplosiva, dopo ogni ostacolo prende sempre 5 metri a tutti».

Qual è la sua arma segreta? «La serietà, ha capito che questo sport è sacrificio. Quando si riscaldava, per esempio, era solito usare le cuffiette, un giorno lo vidi e gli dissi di metterle da parte perché la concentrazione inizia già da lì. Dopo la gara venne a ringraziarmi, aveva notato la differenza…». 

Francesco Masciarelli, Sylvester Szmyd, Giro del Trentino 2010
Lui invece è Framcesco, con Szmyd a ruota, al Giro del Trentino 2010
Francesco Masciarelli, Sylvester Szmyd, Giro del Trentino 2010
Francesco Masciarelli al Giro del Trentino 2010

Il gesto di Simone

Il distacco dalla famiglia non è stato semplice, ma soprattutto non è stato semplice per Simone, chiamato a reinventarsi in Belgio.

«Inizialmente – racconta il papà di Lorenzo – ho dato una mano alla squadra di De Clerqc come meccanico, ma la lontananza da casa si faceva sentire. Inoltre sentivo il peso di non avere un lavoro tale da permettermi di portare qui la famiglia. Un giorno Mario mi ha detto che da un suo amico, che ha una fabbrica di bibite, si era liberato un posto. Ora lavoro lì, al contatore numerico. E al contempo continuo a collaborare con la squadra. Devo dire che ci hanno accolto davvero bene, dimostrano di tenerci molto».

Simone Masciarelli, Stefano, mamma
Michela, Simone e Stefano, il più giovane della dinastia
Simone Masciarelli, Stefano,
Simone e Stefano, il più giovane della dinastia

Vivendo da dentro la realtà belga, a Simone torna un filo di nostalgia: «Magari avessi potuto vivere un’esperienza simile… E’ bellissimo, tutto ruota intorno alla bici, non viene trascurato nulla e il talento viene curato nei minimi particolari. Per questo la pandemia qui si sente di più, perché le gare senza pubblico, senza tutto il contorno non sono le stesse. Noi poi viviamo a Oudenaarde, dove c’è l’arrivo del Giro delle Fiandre, qui il ciclismo si respira fino in fondo».

Non c’è solo Lorenzo a cui badare, ora che è arrivato anche Stefano, il più piccolo: «Corre per la squadra dei ragazzi di Nico Mattan: la dinastia dei Masciarelli prosegue…».

Lorenzo Masciarelli (foto Blieck)

Masciarelli junior, 17 anni e le idee chiare

06.12.2020
4 min
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Questa è la storia di Lorenzo Masciarelli (in apertura nella foto Blieck), che a 16 anni ha lasciato tutto per trasferirsi in Belgio. Immaginate che cosa significa a quell’età cambiare vita, ambiente, amici, lasciare la stessa famiglia per andare a vivere in un Paese straniero, seguendo i propri sogni. E’ quel che ha fatto il giovane abruzzese, parte di una dinastia di corridori. Per diventare quel che vuole essere, un campione del pedale. Oggi, che è passato neanche tanto tempo, poco meno di due anni, gli viene da ridere a ripensarci.

Lorenzo Masciarelli
Lorenzo Masciarelli, 6 anni, la bici è già un destino di famiglia
Lorenzo Masciarelli
Lorenzo Masciarelli, 6 anni, la bici nel destino

«E’ nato tutto quasi per scherzo. Avevamo conosciuto alle gare il gruppo di Nico Mattan e Mario De Clercq (tre volte campione del mondo di ciclocross, non uno qualunque, ndr). Vedendomi gareggiare mi invitarono a prendere parte a una prova in Belgio. Sembrava quasi una gita. Poi però videro che andavo bene anche lì, che è la patria del ciclocross. Così mi hanno chiesto se me la sentivo di correre per il loro team Callant Doltcini Cycling, ma questo significava che dovevo trasferirmi. Il primo anno è stata davvero duro. Mio padre Simone era con me, ma gli altri della famiglia potevo vederli solo quando tornavo a casa, poi c’era la lingua…».

Lorenzo Masciarelli, Mario De Clercq
In Belgio, alla corte di Mario De Clercq, 3 ore, 3 argenti e un bronzo ai mondiali di cross
Con Mario De Clercq, 3 volte iridato nel cross
Come hai superato le difficoltà?

Mi hanno aiutato tanto. Mario, Nico e gli altri. Pian piano inizio a prendere confidenza con il fiammingo, mi sono fatto nuovi amici. Poi c’è la bici, tutta la giornata ruota attorno ad essa. Anche la scuola è dedicata al ciclismo. Si studia al mattino e ci si allena al pomeriggio. L’ultimo anno potrò decidere l’indirizzo da prendere, se meccanica, managering o altro, ma tutto gira intorno al ciclismo. In Belgio c’è veramente un modo diverso di vivere questo sport. E’ uno sport nazionale, il ciclocross in particolare. Quando ho iniziato a gareggiare qui, la cosa che mi ha fatto impressione è stata vedere tutto il contorno. I maxischermi per seguire le gare, i baracchini che vendevano di tutto, ma soprattutto la gente, quanta gente… Però devo dire che oggi anche in Italia le cose stanno migliorando.

Lorenzo Masciarelli
Con mamma Michela. La famiglia Masciarelli si è trasferita in Belgio per assecondare i figli
Lorenzo Masciarelli
Con mamma Mchela, tutta la famiglia vive in Belgio
Ciclocross o strada?

Non lo so, sinceramente non ho deciso e non so dove mi porterà questo cammino. Le gare su strada mi piacciono, sia le salite che le cronometro, penso di avere le caratteristiche del passista-scalatore. Il fisico mi aiuta (è alto 1,76 per 62 chili, ndr), ma il ciclocross mi piace davvero tanto. Vorrei diventare come Van der Poel, che vince dappertutto, mi ispiro un po’ a lui.

Qual è il più bel ricordo legato alla bici?

Sono due. Il primo è legato alla mia prima vittoria in Belgio, a Zonhoven. Gara del Superprestige, un evento enorme, pubblico da tutte le parti. Gareggio fra gli allievi di 2° anno e vinco, su un percorso pieno di fango, con la neve tutto intorno. Mi emoziono ancora a pensarci. Il secondo è la mia prima bici, una Masciarelli rossa con scritta bianca e i segni dell’iride sul telaio. E’ rimasta in Italia, credo che ora la utilizzi qualche ragazzino del vivaio…

Lorenzo Masciarelli, Coppa del mondo, Tabor 2020
Lorenzo terzo a Tabor fra gli junior nella prima prova di Coppa del mondo
Lorenzo Masciarelli, Coppa del mondo, Tabor 2020
Terzo a Tabor nella prima prova di Coppa
Ti manca il tuo Abruzzo?

Certamente… Mi manca il clima, mi manca il mare, mi mancano gli amici. Ci sono i social, stiamo in contatto e quando torno giù ci vediamo, ma non è lo stesso. A ciò vanno aggiunte le difficoltà del periodo, gareggiare senza pubblico, senza tutto quel che circonda le gare in Belgio non è lo stesso. E’ quello che si chiama “sacrificio”. In famiglia mi hanno sempre detto che il ciclismo è legato a stretto filo con passione e sacrificio e se voglio che i sogni si avverino non si può farne a meno. Quindi andiamo avanti così…

Guerciotti con Dorigoni

Ciclocross, una storia di bici a marchio Guerciotti

05.12.2020
4 min
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Continua il nostro viaggio nel mondo delle biciclette da ciclocross e dopo aver sentito l’esperienza di Enrico Franzoi, abbiamo sentito Alessandro Guerciotti. Il marchio lombardo vanta una grande tradizione nella specialità e non a caso è presente ai massimi livelli di questa disciplina con il Team Selle Italia Guerciotti, che annovera fra le sue file anche il campione italiano Jakob Dorigoni.

Carbonio e dischi

«Nel ciclocross ci sono state delle evoluzioni grandissime – esordisce così Alessandro Guerciotti – a iniziare dall’uso del carbonio. Come è avvenuto per le bici da strada anche quelle da ciclocross ormai sono tutte in carbonio. A conferma della supremazia del carbonio c’è il fatto che anche nelle categorie giovanili ormai i ragazzi corrono tutti con telai in carbonio».

Ma non è solo in fatto di materiali che il ciclocross è simile alla strada: «Un’altra grande innovazione, circa 6 anni fa, è stata l’introduzione del freno a disco. Anche in questo caso ormai tutti usano solo il disco, anche i più giovani». Sul freno a disco Guerciotti ci tiene in modo particolare a spiegare perché è stata una grande innovazione per il ciclocross: «Il disco impatta meno sulla ruota rispetto ai caliper. Nel ciclocross è facile che durante una gara una ruota si storga. Mentre con i caliper una ruota storta ti faceva rallentare in quanto toccavano i patti con il cerchio, con il freno a disco questo non succede».

E continua raccontandoci un aneddoto: «Ci fu un campionato italiano in cui Bertolini, che correva con noi, stava duellando spalla a spalla con Fontana. A un certo punto a Bertolini si è storta una ruota, ma grazie al disco è riuscito a finire il giro senza problemi e senza perdere secondi rispetto a Fontana. Ha cambiato la bici al volo al box e poi ha vinto. Se avessimo avuto i caliper probabilmente Bertolini avrebbe perso quel campionato italiano».

Jakob Dorigoni
Jakob Dorigoni in azione con la sua Eureka CX
Jakob Dorigoni
Jakob Dorigoni in azione con la sua Guerciotti Eureka agli ultimi campionati italiani

Il peso è sempre più importante

Un ruolo importante nell’evoluzione delle biciclette lo giocano anche le richieste dei corridori e del mercato.
«Noi costruttori dobbiamo sempre capire quali esigenze emergono nel mercato e anche quali sono le esigenze dei corridori – continua Guerciotti – avere la squadra è importante perché facciamo testare le novità ai corridori di alto livello che poi ci danno i loro feedback. Ad esempio, in questo momento c’è sempre più attenzione alla leggerezza. Nel ciclocross la prima qualità richiesta ad una bicicletta è sempre stata la reattività per via dei numerosi rilanci. Oggi c’è sempre più attenzione anche al peso perché il livello è talmente alto che anche pochi secondi su uno strappo fanno la differenza».

Eureka CX Guerciotti
L’Eureka CX tricolore per Dorigoni e Francesca Baroni
Eureka CX Guerciotti
L’Eureka CX nella livrea dedicata ai campioni italiani Jakob Dorigoni e Francesca Baroni

Meno problemi con il monocorona

E poi c’è l’evoluzione dei gruppi: «L’introduzione del monocorona è stata un’altra bella novità. E’ una soluzione che ti dà meno problemi con il fango e si rischia di meno con i salti di catena, che nel ciclocross sono frequenti». Ma ci possono essere problemi con la scelta dei rapporti?

«Fino a qualche tempo fa forse sì, ma oggi c’è una scelta di corone anteriori molto ampia, si va dal 38 fino al 44 e poi i pacchi pignoni di oggi danno una grande ampiezza di rapporti, c’è anche chi usa una scala 11-42, quasi da mountain bike».
Anche per il monocorona così come per il carbonio e il disco, i giovani sembrano apprezzarlo in massa, secondo Alessandro Guerciotti l’80% dei ragazzi corre con il monocorona.

Guerciotti Paolo e Alessandro
A sinistra Paolo Guerciotti con il figlio Alessandro
Guerciotti Paolo e Alessandro
A sinistra Paolo Guerciotti con il figlio Alessandro

Novità in vista per Guerciotti

E per quanto riguarda Guerciotti ci sono novità pronte per l’anno nuovo? «Lanceremo l’evoluzione dell’Eureka CX, che grazie all’esperienza che abbiamo acquisito con la Bardiani, avrà dei concetti presi dalla strada e trasferiti e rielaborati per il ciclocross. E’ importante aggiornarsi perché stiamo vedendo anche dalle vendite, che il ciclocross sta avendo un vero boom, tante persone si stanno avvicinando a questa disciplina». Merito di campioni come Van der Poel e Van Aert che hanno riacceso l’interesse per questa disciplina.

Gran momento anche per il gravel

«Anche per il gravel stiamo vedendo un interesse sempre maggiore – sottolinea Guerciotti – le bici gravel sono delle ciclocross con geometrie più rilassate, manubrio più largo e possibilità di montare pneumatici più larghi. Ho notato che alcuni stradisti che avevano anche la mountain bike scelgono di venderla per comprare una gravel. Ci puoi fare più cose con una gravel, la puoi usare durante la settimana per andare a lavorare e nel week end è un’alternativa alla strada. Diciamo che le gravel in questo momento sono più fashion, il che non guasta mai. Anche qui con l’anno nuovo amplieremo la gamma per soddisfare le varie esigenze».

Ethic Sport 2020

Bertolini e Lechner testimonial di Ethic Sport

01.12.2020
2 min
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Gioele Bertolini e Eva Lechner sono loro i top testimonial EthicSport per quanto riguarda il mondo del ciclismo e del cross in modo particolare.

La stagione di Coppa del mondo è appena partita e i due azzurri hanno vissuto il debutto di Tabor, fronteggiando qualche imprevisto e lanciandosi però nella lunga rincorsa che li porterà ai mondiali di Oostende, in Belgio, in programma per il 30 e 31 gennaio 2021.

Gioele Bertolini 2020
Gioele Bertolini dopo Tabor punta dritto su Namur
Gioele Bertolini 2020
Bertolini dopo Tabor punta su Namur

Da sempre EthicSport è molto vicina alle esigenze degli atleti, con l’obiettivo di creare maggiore consapevolezza sulle problematiche alimentari nella pratica sportiva. L’esperienza EthicSport nasce sul campo e cresce giorno dopo giorno grazie al continuo contatto con squadre professionistiche, federazioni sportive, staff medici e Università.

Eva Lechner
Anche Eva Lechner, purtroppo caduta a Tabor, testimonial di Ethic Sport
Eva Lechner
Lechner, debutto sfortunato a Tabor

Gli integratori professionali EthicSport – questa va considerata una vera e propria “mission” aziendale – sono stati sviluppati per ottimizzare il rendimento in tutte le fasi delle discipline sportive, con un’attenzione particolare agli sport di endurance. Ogni nuovo prodotto nasce difatti da un attento studio delle letterature scientifiche, sempre nel rispetto dell’organismo dell’atleta. E la stessa produzione viene proposta utilizzando esclusivamente le migliori materie prime e seguendo i più alti standard realizzativi. 

Il risultato? Ogni differente prodotto offre all’atleta la miglior resa, sia in allenamento che in gara.

www.ethicsport.it

Sara Casasola, caduta, Tabor, Coppa del mondo 2020

Da Tabor a Roma in furgone rivedendo la gara

30.11.2020
4 min
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La trasferta è stata lunga, in furgone, da Tabor fino a Roma. Neanche il tempo di rifiatare e subito al tavolo per preparare tutte le richieste di tamponi per i ragazzi, da effettuare domani come prestabilito. Altro che h24, Fausto Scotti non ha davvero riposo. Ma non è difficile se sei pieno di passione e hai ancora negli occhi le emozioni della prima di Coppa del mondo. Soprattutto le soddisfazioni che gli hanno regalato i più giovani.

«Il terzo posto di Lucia Bramati – dice – è stato un grande regalo, ha saputo interpretare in gara quello che le dicevo. Luca ha tutto il mio rispetto, ma quando sei in gara è chiaro che viene fuori il genitore più che il tecnico. Io devo guardarla con occhi più distaccati, per questo ad esempio a un certo punto le ho detto di mollare le prime due. Doveva pensare alla francesina dietro che stava rientrando. Alla fine mi ha ringraziato, d’altronde non sono poche quelle che a metà gara erano ancora in lotta per il podio e sono saltate».

Gaia Realini, Coppa del mondo Tabor, 2020
Realini (nella foto) e Baroni sono state a lungo con le prime. In apertura Casasola a terra
Gaia Realini, Coppa del mondo Tabor, 2020
Realini a lungo in scia alle prime. In apertura Casasola caduta
Il risultato di Masciarelli, secondo fra gli junior, ti ha sorpreso?

Mi ha sorpreso di più Siffredi: se avesse avuto una gara più regolare, una partenza meno complicata, vinceva lui… Basta guardare i tempi al giro, viaggiava più forte del vincitore, pur dovendo effettuare sorpassi. Anche Agostinacchio è andato bene, quella di Tabor è la conferma che abbiamo una generazione junior davvero fortissima, come si era visto al Giro d’Italia e in altri tempi non nascondo che ne avrei portati di più. A Tabor ho visto gare giovanili di altissimo livello a dispetto delle assenze di belgi e olandesi. Sono sicuro che con loro ci sarebbe stata maggior competizione, ma non è per nulla detto che i podi sarebbero cambiati.

Ma l’abruzzese avrebbe potuto vincere? In fin dei conti 7 secondi sono pochi…

Masciarelli all’inizio ha dovuto inseguire e spendere molte energie. Il suo secondo posto nasce da un episodio. Dopo un giro e mezzo, quando è rientrato su Stransky, questo ha accelerato appena chiusa la scalinata e ha guadagnato una decina di metri che il nostro non è più riuscito a colmare. Anche perché nell’ultimo giro eravamo un po’ in riserva. Comunque sono davvero contento di come sono andati.

Wout Van Aert, Coppa del mondo Tabor 2020
Ma Scotti si aspettava che Wout Van Aert fosse subito vincente
Wout Van Aert, Coppa del mondo Tabor 2020
Scotti si aspettava Van Aert subito vincente
Fra gli under 23 le cose non sono andate così bene…

Mi aspettavo di più da Ceolin, una giornata storta ci può stare. Leone ha fatto bene, è un secondo anno, sta crescendo bene grazie al suo team, gente che ci mette l’anima per questi sport. E’ stata una gara complicata, prima si era gareggiato sul ghiaccio, ma quando sono entrati in gara loro, le condizioni erano un po’ cambiate. Iniziava a esserci fango. Tanto è vero che abbiamo cambiato le coperture in corsa. Comunque Mein, il vincitore, ha davvero una marcia in più. E’ sempre stato in totale controllo della situazione. 

Ti hanno soddisfatto le under 23, in gara in mezzo alle più grandi?

Sono andate davvero forte, in una gara che va letta bene. La Vas (Hun), prima under 23, è finita ai piedi del podio. La Pieterse (Ned) è giunta sesta, la Kay (GBR) nona, ma per lungo tempo Baroni e Realini sono state insieme a lei. E dietro di loro sono giunte campionesse assolute. Il livello era spaventoso, ma le ragazze hanno mostrato coraggio e confermato tutto il buono che si dice di loro. Le grandi erano in gara con i loro team. La Arzuffi l’ho vista in crescita, ma sconta sempre i problemi in partenza. E’ un peccato perché i tempi dicono che è all’altezza delle migliori. La Lechner è caduta, con escoriazioni a entrambe le ginocchia, ma ha voluto finire egualmente la gara pur essendo ripartita ultima e staccata.

Alvarado Ceylin del Carmen (Ned), Coppa del mondo Tabor, 2020
Troppo divario fra le azzurre e Alvarado Ceylin del Carmen, iridata in carica
Alvarado Ceylin del Carmen (Ned), Coppa del mondo Tabor, 2020
Le azzurre devono crescere per arrivare a questo livello
Sei rimasto sorpreso dagli esiti della gara Elite?

Sinceramente sì, non pensavo che Van Aert perdesse. Gli è bastato poco per arrivare al livello degli altri, quando tornerà anche Van Der Poel saranno scintille fra quei due e per gli altri resterà poco. Intanto però rispetto agli Europei gli equilibri stanno cambiando. Lo spagnolo che ad esempio aveva sorpreso tutti, a Tabor quasi non si è visto. Dorigoni non è andato male: era partito con gomme non adatte al percorso, le abbiamo cambiate e ha ripreso bene. Gli servono ancora 2-3 gare per raggiungere il top. Bertolini? Fosse stato per me non l’avrei portato, è ancora indietro, ma sono convinto che per la tappa di Namur del 20 dicembre sarà ben altra cosa. Per me vale tranquillamente una top 5, potete scriverlo…