La prima Vuelta di Ayuso, piedi per terra e nessuna paura

30.08.2022
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Juan Ayuso lo chiameranno pure “El niño”, il bambino, ma in questi giorni di Vuelta è parso piuttosto un guerriero. Forte e cocciuto, si è opposto agli scatti dei campioni lasciando che a piegarsi fossero piuttosto le gambe e mai la testa. Anche domenica, sull’arrivo… assassino di Les Praeres, è stato l’ultimo ad arrendersi al ritmo indiavolato di Evenepoel. Lottando prima con Mas e Rodriguez, poi rifilando a entrambi 10 secondi pesanti come macigni. Ora in classifica è quinto a 2’36” da Remco.

Ieri il ragazzino del UAE Team Emirates, vent’anni ancora da compiere, ha approfittato del giorno di riposo per tirare finalmente il fiato, toccando con mano quanto la sua popolarità stia esplodendo sulle strade spagnole. Soprattutto adesso che la Vuelta è atterrata dalle parti di casa, al Sud della Spagna.

Ayuso ha sfruttato il giorno di riposo per tirare il fiato e riflettere sui suoi limiti
Ayuso ha sfruttato il giorno di riposo per tirare il fiato e riflettere sui suoi limiti

Alla larga dalla popolarità

Quel tipo di entusiasmo è come una tigre, che rischia di mangiarti se credi alle sue fusa. E Ayuso ha capito anche questo, affiancato da quella vecchia volpe di Matxin, che lo segue da vicino coi suoi consigli.

«Il tifo mi piace – dice – sentirmi osannato mi motiva. Ma non voglio assolutamente pormi degli obiettivi troppo alti. Preferisco viverla giorno per giorno, non voglio crearmi uno scenario troppo elevato. Perché se poi non si realizza, me ne andrei dalla Vuelta con un cattivo sapore in bocca. L’obiettivo di questa corsa è farla bene e capire cosa potrò fare in futuro. Non voglio volare troppo alto, per non avere una delusione».

Domenica, verso Le Praeres, ha duellato con Rodriguez e lo ha staccato in finale
Domenica, verso Le Praeres, ha duellato con Rodriguez e lo ha staccato in finale

L’amico Rodriguez

Il problema è Evenepoel, in lotta per la maglia rossa e anche per quella dei giovani, al momento indossata da Carlos Rodriguez, che di Ayuso è una sorta di alter ego. I due si sfidano da quando erano bambini e chi li ha visti salire ieri verso il traguardo si è accorto del particolare… trasporto che li animava.

«Con Carlos – ammette El niño – c’è una grande rivalità, come pure rispetto e amicizia. Ci siamo sfidati per anni tutte le domeniche, in ogni corsa importante. Sono contento di ritrovarmi in gara con lui. E sono contento anche quando ottiene qualche risultato, perché è bello che una persona a me vicina ottenga dei grandi risultati. Ma certo poi scatta la molla di fare meglio di lui. E se poi gli sento dire che punta al podio della Vuelta, penso che piacerebbe anche a me. E’ il sogno di qualunque spagnolo che inizi a correre in bicicletta. Ci si prova, ma se anche non si riesce, non cade il mondo…».

Juan Ayuso ha 19 anni ed è professionista dall’estate del 2021
Juan Ayuso ha 19 anni ed è professionista dall’estate del 2021

L’amico Almeida

Intanto il primo spagnolo a vincere il Giro d’Italia U23 ha messo quasi due minuti fra se e Almeida, che almeno all’inizio era partito come leader del team e che oggi nella crono potrebbe in realtà riguadagnare parte del terreno perduto. Ayuso è intelligente e sa che lanciarsi in proclami di leadership non gli sarebbe utile, per cui cambia discorso con saggezza.

«Essere in questa posizione di classifica – spiega – mi dà la sensazione di quando insegui un sogno. Ci saranno certamente dei momenti difficili, ma per ora sta andando tutto bene. Con Almeida ho passato gli ultimi due mesi e mezzo, abbiamo un ottimo rapporto. E proprio perché so che i giorni storti possono capitare, non credo che il nostro rapporto debba esserne condizionato. Io gli chiedo consigli e lui me li dà, anche se non abbiamo una grande differenza di età. Questi giorni sono utili per imparare, si capiscono più cose quando si soffre di quando si festeggia. Ho avuto la conferma che è più un fatto di forza mentale che fisica e finora mi sono regolato abbastanza bene. Proseguirò così, giorno per giorno».

All’arrivo di domenica, Ayuso ha perso 34 secondi da Evenepoel
All’arrivo di domenica, Ayuso ha perso 34 secondi da Evenepoel

Pianeta Remco

La cronometro di oggi potrebbe dare una svolta alla sua corsa e non necessariamente in bene. Ayuso lo sa, ma il ragazzino non appare per niente intimidito.

«Non ho fatto una preparazione specifica per la crono – dice – anche se la bici la uso regolarmente tutte le settimane. Quest’anno ho fatto due cronometro su una distanza simile. Al Delfinato, quando sono arrivato 10°. Poi ai campionati nazionali, con un 7° posto. Spero di avere le stesse sensazioni della prima, quando mi sono sentito bene. In ogni caso la Vuelta è lunga. Per ora Evenepoel ha dimostrato di essere superiore, è come se stesse partecipando a un’altra gara. Ha ragione Almeida quando dice che per batterlo servirebbe Pogacar. Ma la Vuelta è lunga. Mancano due settimane per me, ma anche per lui. Mancano due settimane per tutti».

Sta nascendo la Ineos dei giovani: Ellingworth il loro capo

02.06.2022
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La sera del Fedaia, in casa Ineos Grenadiers si sono resi conto probabilmente che per la prima volta dal 2012 potrebbero chiudere la stagione senza aver vinto un grande Giro.

L’incidente di Bernal ha ridotto il potenziale per il Tour, mentre sarà dura andare contro il… solito Roglic della Vuelta. Il ciclismo offre spazio a variabili imprevedibili, ma in sede di bilancio bisogna essere realisti. D’altro canto il mercato dei corridori di punta è blindato da un pezzo. Lo stesso team britannico parrebbe sul punto di rinnovare il contratto di Ganna, che pure scade alla fine del 2023. E così, non potendo prendere Pogacar, sotto contratto fino al 2027, il team di sir David Brailsford ha iniziato a costruirsi il futuro in casa. E nel frattempo ha prolungato fino al 2027 il contratto con Pidcock.

Parlando con i team manager in giro per le corse, questa è l’osservazione che più circola: vedrete fra 3-4 anni una Ineos ben più incisiva.

Rod Ellingworth, Tour de France 2020
Una vita al Team Sky, poi un anno alla Bahrain McLaren e dal 2021 Ellingworth è tornato alla Ineos
Rod Ellingworth, Tour de France 2020
Una vita al Team Sky, poi un anno alla Bahrain McLaren e dal 2021 Ellingworth è tornato alla Ineos

Sedici corridori U26

Su 31 corridori del team, ce ne sono 14 al di sotto dei 25 anni. Nomi come Bernal (25), Ganna (25), Dunbar (25), Narvaez (25), Sivakov (24), Hayter (23), Pidcock (22), Plapp (21), Rodriguez (21, foto di apertura), Tulett (20), Sheffield (20). Martinez, Rivera e De Plus ne hanno 26. Ragazzi che hanno già vinto e anche bene e che stanno seguendo un percorso di crescita progressivo che punta dritto verso il futuro. Quelli più maturi servono invece a garantire il presente.

Individuare il talento

Tra i motivi che due anni fa spinsero Brailsford a richiamare Rod Ellingworth nel suo team ci fu proprio la voglia di rifondarlo. Il “rosso di Burnley” aveva voltato la pagina e nel 2020 era approdato al Team Bahrain, portando con sé la mentalità Sky. Aveva reimpostato lavoro e rapporti interpersonali. E anche se non tutti riuscivano allora a farsene una ragione, i buoni risultati odierni del team di Miholjevic dipendono anche da quel tipo di inquadramento. Ma non fu mai del tutto amore, tanto che nel 2021 Rod è tornato alla casa madre.

Sivakov ha 24 anni e ha corso il Giro in appoggio a Carapaz. Ha un futuro da leader?
Sivakov ha 24 anni e ha corso il Giro in appoggio a Carapaz. Ha un futuro da leader?

«Tra i motivi del ritorno – ci ha raccontato il mattino di Verona, prima che iniziasse la crono finale del Giro – ci fu anche l’intenzione di iniziare un lavoro diverso sul piano dello sviluppo con i corridori più giovani. Non ci è mai interessato aprire una continental, è solo un modo di legarsi le mani. Ma è innegabile che il ciclismo stia cambiando molto e serviva un modo nuovo per scoprire e gestire il talento».

Programma interno

Il ciclismo che cambia sta anche nella necessità di anticipare la selezione. Mentre prima nessun giovane britannico si sarebbe sognato di passare professionista senza prima fare un passaggio con il team di Brailsford, aver perso l’aggancio diretto con British Cycling ha fatto sì che nel 2020 Ben Tulett abbia firmato con la Alpecin-Fenix ad appena 19 anni. Riprenderlo era una missione e così è stato.

Tulett è arrivato quest’anno alla Ineos dopo due stagioni alla Alpecin. Al Giro, è stato 5° in entrambe le crono
Tulett è arrivato quest’anno alla Ineos dopo due stagioni alla Alpecin. Al Giro, è stato 5° in entrambe le crono

«Ben è un giovane – ha sorriso Ellingworth – che seguivamo da un po’. Ha fatto progressi impressionanti nell’ultimo anno e il suo approccio e il suo atteggiamento sono esattamente ciò che cerchiamo. La sua passione per le corse unita all’ambiente del nostro team lo aiuterà a salire un altro scalino. Quel che vorrei sottolineare infatti è che abbiamo iniziato subito con un nostro programma interno. Certo ricorriamo anche ai suggerimenti dei procuratori, ma soprattutto puntiamo su un mix tra il nostro lavoro di scouting e i buoni rapporti con i club più piccoli e le federazioni. Avere buoni rapporti con loro serve a sapere che magari ci sono dei ragazzi giovanissimi in arrivo».

Diversi livelli di accesso

Il programma interno prevede anche la possibilità indicata giorni fa da Fabrizio Tacchino. Il giovane che voglia essere valutato e che non rientri nel programma di scouting del team può essere considerato previa valutazione di tutti i suoi allenamenti e le gare dell’ultimo anno.

Pidcock Kwiatkowski 2022
Pidcock ha il contratto fino al 2027: come Pogacar alla UAE, blindato per evitare sorprese
Pidcock Kwiatkowski 2022
Pidcock ha il contratto fino al 2027: come Pogacar alla UAE, blindato per evitare sorprese

«Conosco Tacchino – ha confermato Ellingworth – e quello che ha detto è vero. Abbiamo diversi livelli di accesso al nostro team. Chiunque può entrare in contatto con noi, ma è chiaro che se non lo conosciamo, abbiamo bisogno di valutarlo. In questo modo, possiamo renderci conto del suo livello e valutare se approfondire o meno la conoscenza».

Il nodo Rodriguez

E così il Team Ineos Grenadiers si affaccia sul futuro dovendo ancora rinnovare il contratto di Carapaz, con Richie Porte che si ritirerà a fine stagione e corridori come Thomas e Swift impegnati sino a fine 2023. Quella è anche la data di fine contratto di Carlos Rodriguez e sarà curioso capire se si procederà presto al rinnovo, dato che si tratta di uno dei ragazzi più promettenti, che però al pari di Ayuso è nell’orbita di Matxin. La corte britannica saprà trattenerlo oppure rimarrà anche lui… vittima della seduzione araba?

Rodriguez e Ayuso: Matxin disegna la Spagna di domani

23.01.2022
7 min
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«Li vedevo battagliare con personalità sin da quando erano juniores», racconta Joxean Fernandez, per tutti Matxin. Carlos Rodriguez e Juan Ayuso (in apertura, foto Real Federacion Espanola Ciclismo) i due gioielli che fanno sognare la Spagna. Ammesso che sognare sia il termine corretto. Con due così infatti tutto è già molto concreto. Anche se sono poco più che adolescenti, anche se hanno 39 anni in due.

Matxin, spagnolo, è uno dei talent scout più bravi dell’intero circus del ciclismo. Lui è anche uno dei dirigenti-tecnici del UAE Team Emirates e soprattutto Ayuso lo conosce bene. Ma meglio di chiunque può farci un paragone fra i due atleti.

La Spagna ride

Juan Ayuso è un catalano. Classe 2002, ha vinto il Giro d’Italia U23 e molte altre corse nelle categorie giovanili. Due volte campione nazionale juniores in linea e una a crono, ha già esordito nel WorldTour con il UAE Team Emirates. Una caduta nella quinta tappa del Tour de l’Avenir gli impedito di fare, chissà, la doppietta.

Carlos Rodriguez, invece, viene dall’estremo Sud della Spagna. Classe 2001, anche lui ha vinto dei titoli nazionali nelle categorie giovanili, specie a cronometro. E’ passato alla Ineos-Grenadiers. Lo scorso anno è stato protagonista fino all’ultimo metro (e anche dopo) al Tour de l’Avenir. Autore di un’azione di altri tempi sulle Alpi, ha perso per una manciata di secondi il “Tour baby” pur dominando l’ultima durissima tappa.

Joxean Fernandez “Matxin”, classe 1970, è team manager della UAE Team Emirates
Joxean Fernandez “Matxin”, classe 1970, è team manager della UAE Team Emirates
Maxtin: Carlos Rodriguez e Juan Ayuso ma che corridori avete in Spagna! Tu come li hai conosciuti?

All’inizio conosco gli atleti dai risultati, vedo cosa fanno nelle gare. Poi vado alle corse e li osservo da vicino. Sia Juan che Carlos li ho conosciuti allo stesso modo. Quando vado alle gare cerco sempre di seguire la corsa in moto. In questo modo aiuto l’organizzazione nella sicurezza della gara stessa, ma ho anche l’opportunità di valutare l’atteggiamento e il comportamento del corridore. E’ qualcosa che faccio molto volentieri, non solo per il mio lavoro di scouting, ma è una passione. E per questo ringrazio gli organizzatori che mi danno questa opportunità.

Hai conosciuto prima Carlos Rodriguez?

Sì, lui l’ho visto per la prima volta in una tappa della Coppa di Spagna juniores. In quell’occasione ho conosciuto anche la sua famiglia. Ayuso invece l’ho visto per la prima volta da allievo. Correva alla Bathco, una squadra con cui ho sempre un ottimo rapporto. Ebbi modo di vederlo poi nella gara più importante di Spagna, la Vuelta Besaya, e con lui ho stabilito subito un rapporto un po’ più profondo.

Sono due scalatori o c’è di più?

Sono molto più che scalatori. Entrambi hanno una mentalità vincente perché si adeguano ad ogni tipo di gara.

Secondo te qual è la principale differenza tra Juan e Carlos?

Ayuso è un po’ più veloce. Pensate, lui ha vinto il suo secondo campionato spagnolo juniores dominando la volata di gruppo. L’altro, Carlos, va molto bene anche a cronometro. Ma a seconda del percorso anche Ayuso si difende molto bene contro il tempo.

Prima hai parlato di mentalità vincente, dicci di più…

La classe, il talento non si comprano al supermercato. E’ un po’ come chi vuole essere bello ma bello non è. Sì, può migliorare un po’ se si cura, se si veste bene, ma bello non sarà mai. Per questo io dico che loro due non sono buoni corridori. Sono campioni.

In cosa per te uno è più bravo dell’altro?

Sul piano del carattere Ayuso è più aggressivo. E’ estremamente convinto di sé. Lui non dice mai: sono forte, o vado a vincere. No, lui parla con i fatti. Carlos invece è un ragazzo molto più tranquillo, più riflessivo, più introverso. Al tempo stesso molto determinato. Entrambi parlano molto poco, ma Carlos parla pochissimo!

Qual è il primo ricordo che hai di loro due insieme?

Carlos è del Sud della Spagna, io del Nord. Sentivo continuamente parlare di questo corridore. Tutti mi dicevano: c’è un fenomeno, c’è un corridore fortissimo. A un certo punto ebbi la necessità, il desiderio, di vederlo anch’io. E più o meno è stata la stessa cosa con Ayuso. Il primo confronto diretto che ricordo fra loro due fu al campionato spagnolo juniores. Juan era di primo anno e Carlos di secondo. Per tutta la gara si sfidarono, si controllarono. Corsero da protagonisti senza nascondersi. Alla fine Ayuso lo battè allo sprint. La cosa che mi colpì è che nessuno dei due voleva accontentarsi fino alla fine.

Due ragazzi fortissimi, ma secondo te hanno ancora dei margini?

Hanno tanto margine. Entrambi sono molto intelligenti, possono imparare ancora e stanno completando la loro crescita, non dimentichiamolo. Chiaramente io conosco di più Ayuso, visto che è nella mia squadra. Su Carlos posso dire un po’ di meno. Ma certo anche lui è in uno squadrone. Ho un buon rapporto con Carlos, ci salutiamo tranquillamente, ma su certi dettagli tecnici non posso esprimermi. Non so neanche il 5 per cento di cosa faccia realmente. 

E allora dici di Ayuso…

Ha compiuto 19 anni pochi mesi fa! Vi rendete conto solo 19 anni. Ancora non conosce il suo peso reale, perché il suo corpo ogni sei mesi cambia. La cosa che mi ha colpito è che lo scorso anno prima del Giro d’Italia Under 23 aveva delle gambe da allievo, invece dopo quel Giro e tutte le gare di avvicinamento, ne è uscito un corridore. Aveva gambe quasi da uomo!

Tu avevi provato a portare Carlos Rodriguez alla UAE, vero?

Sinceramente sì. Eravamo nel finale della Vuelta, dalle sue parti, e con me c’era Gianetti. Gli dissi: Mauro facciamolo firmare due anni. C’era anche la sua famiglia. Ma poi Carlos prese altre strade ed è finito alla Ineos.

Dove li vedremo battagliare nei prossimi anni? 

Anche qui posso parlare più per Ayuso. Ho fatto un programma per la sua carriera sportiva e non solo per il 2022. Ho fatto un piano a lungo termine. Io lavoro con i giovani affinché siano campioni. C’è una situazione fortunata da noi in UAE. Abbiamo buoni corridori affiancati ai campioni. Ma io ho sempre detto a tutti quanti: trattiamo Juan come un campione, anche se è solo un ragazzo molto giovane. Sono convinto che già alla Valenciana (2-6 febbraio, ndr) lui sarà protagonista. E non lo dico per mettergli pressione, ma perché ho fiducia in lui.

Torniamo a discorsi più tecnici, come li vedi quindi a cronometro?

Non so se Carlos sia più forte di Juan a cronometro. E non lo dico perché io voglia difendere Ayuso. E’ che senza un vero confronto diretto è difficile da dire. Quindi se mi chiedete chi è più forte a cronometro rispondo: dipende. Dipende dalla condizione dell’atleta, dalla tipologia del percorso, dagli obiettivi che hanno. Ripeto, dico questo non per eludere la domanda, ma perché veramente non ho dati. Di sicuro Carlos è uno specialista, ma anche Ayuso va molto forte contro il tempo.

Con chi paragoneresti questi due ragazzi ai tanti campioni spagnoli che avete avuto?

Ecco, questa è la mia lotta con tutti i giornalisti spagnoli! In Spagna abbiamo il grosso problema che dopo Indurain tutti cercavano e aspettavano il prossimo… Indurain. Senza contare che abbiamo avuto Valverde, Purito, Contador, Landa, Freire. Ad un certo momento avevamo sette corridori spagnoli nei primi dieci della classifica UCI. Tornando alla domanda quindi, dico che Ayuso non somiglia a nessuno. E lo dico sinceramente. Parliamo di un ragazzo giovanissimo, che a 18 anni è stato in grado di vincere nella categoria under 23, al quale è stato proposto un contratto di sei anni e lo ha accettato senza problemi, che sa stare in questo mondo del ciclismo, che parla un inglese fluente, che sa gestire la pressione. Ayuso somiglia ad Ayuso.

E Rodriguez?

Se pensiamo a Indurain, credo che Carlos sia più scalatore. L’altro ammazzava tutti a cronometro. Ma anche in questo caso non farei il paragone. Una cosa però che posso dire di Rodriguez è che lui ha classe. Carlos ha sempre classe: quando pedala in salita ha classe, quando pedala a crono ha classe… Semmai potrei dire che entrambi abbiano un qualcosa di Indurain e di Contador e degli altri campioni. Ma ripeto, sono due corridori che non sono paragonabili a tutti gli altri.

Domanda provocatoria, quanti Tour vinceranno?

Anche se ne avessi un’idea non lo direi! Ci sono tantissime situazioni intorno ad un corridore, che vanno di pari passo con la vita dell’atleta. Situazioni che determinano il risultato sportivo: un momento familiare particolare, i rapporti con gli sponsor, la condizione fisica… oggi c’è molta pressione attorno ragazzi. E tutto ciò incide.

Scalatore, ingegnere e cronoman: ma chi è Carlos Rodriguez?

28.08.2021
5 min
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La coda lunga dell’Avvenir si fa sentire ancora. Domenica scorsa l’impresa di Carlos Rodriguez non è passata inosservata. Abbiamo notato questo ragazzo da vicino per alcuni giorni e nella tappa finale che ha dominato. 

Il giovane talento della Ineos-Grenadiers è molto pacato, anche un po’ taciturno, ma noi volevamo conoscere meglio, questo ragazzo dell’estremo sud della Spagna, Almunecar, considerato il “tropico d’Europa” viste le sue temperature estremamente miti (e forse è da qui che viene il suo carattere così pacato). E così abbiamo chiesto lumi a Dario David Cioni, preparatore e diesse, ormai di casa nello squadrone di “Sua Maestà”.

All’Avenir, Rodriguez ha vinto la maglia a pois, quella bianca, una tappa ed è stato secondo nella generale
All’Avenir, Rodriguez ha vinto la maglia a pois, quella bianca, una tappa ed è stato secondo nella generale
Dario, ma che numero ha fatto Rodriguez domenica scorsa?

Eh, è andato forte!

Che tipo è?

E’ un corridore che passa un po’ in sordina perché ha ancora corso poco nel WorldTour, ma ha fatto vedere dei bei numeri anche all’inizio dell’anno. In allenamento era il più costante. In più è stato colui che ha fatto la selezione sul Ventoux alla Challenge vinta da Sosa. Ha tirato per oltre metà salita, siglando un’ottima prestazione. E’ un atleta adatto alle corse a tappe e alle salite lunghe, come quelle dell’altro giorno al Tour de l’Avenir. E poi adesso che ci ripenso, lo scorso anno, passò in testa al Gpm al Giro dell’Appennino. E veniva dagli juniores…

Come lo avete adocchiato? Lui se la giocava sempre con Ayuso, che ha un anno di meno, già da allievo…

Ci è stato segnalato dal suo procuratore, Giuseppe Acquadro. Da junior andava molto forte e da parte nostra c’era la volontà di fare un esperimento con un giovanissimo. Così gli è stato fatto un contratto di cinque anni. Un contratto lungo per farlo crescere con calma, senza pressione. Lui studia ingegneria, meccanica mi sembra, e quando è passato ha avuto qualche difficoltà in quanto aveva l’obbligo di frequenza. Poi con il Covid è cambiato tutto. Per lui sono migliorate le cose in quanto non aveva più la frequenza obbligatoria, ma poteva seguire le lezioni a distanza.

Caspita: è anche un aspirante ingegnere! Ma lo abbiamo notato nei giorni francesi: molto pacato, calmo e gentile nei modi e persino impostato nella postura. Insomma uno spagnolo molto inglese!

Sicuramente! Però non è un musone. E’ un ragazzo contento, solo che non esulta come uno spagnolo.

Il classe 2001 ha vinto entrambi i titoli nazionali a crono nei due anni tra gli juniores
Il classe 2001 ha vinto entrambi i titoli nazionali a crono nei due anni tra gli juniores
A proposito di postura e posizioni. Durante la sua azione in solitaria o nelle fiammate dei finali di tappa, lo abbiamo visto sempre composto. Spesso seduto, spalle ferme… Insomma era già un corridore “molto Ineos”. Ci avete lavorato?

No, lui è così. E’ il suo stile. Sull’impostazione della pedalata non ci lavori più di tanto.

E non andava neanche molto agile, come fanno solitamente i vostri corridori…

Stesso discorso. Non sempre lavori su questi aspetti. E’ il suo modo di pedalare.

Qual è stata la tua prima impressione su di lui?

Il primo contatto che ho avuto con Carlos è avvenuto nel ritiro invernale dello scorso anno. Se pensiamo che era un ragazzo che arrivava dagli juniores era già molto impostato e diligente. Preparammo per lui una tabella di lavoro ridotta rispetto agli altri, ma fu una fatica fargliela rispettare. Carlos infatti diceva che non era stanco e voleva seguire gli altri. Fu una lotta limitare quel suo carico di lavoro. Poi bisogna ammettere che conoscendolo meglio sotto il punto di vista fisico, ha effettivamente mostrato ottime doti di recupero. E anche per questo ha fatto quelle bella prestazione nella tappa fine, la più dura, dell’Avenir.

Con chi ha legato di più, Rodriguez?

Credo con Castrovejo. Lui è un punto di riferimento per i ragazzi più giovani e poi parla spagnolo. Però Carlos è già molto autonomo e non ha bisogno di legarsi molto a qualcuno.

Che calendario prevedete per lui?

Farà il Tour of Britain (5-12 settembre, ndr) e probabilmente gli europei e il mondiale, ma su questo bisognerebbe chiedere alla sua nazionale. Con noi invece credo che farà qualcuna delle gare che ci saranno poi in Italia a fine stagione.

E invece in ottica più lunga? Quali saranno i suoi step di crescita? Lo vedremo al Giro il prossimo anno?

Magari l’anno prossimo potrebbe essere preso in considerazione nella rosa che prende parte ad un grande Giro, ma non è detto che sarà schierato. Poi dipenderà anche dagli obiettivi che avrà la squadra. Ma di sicuro entro due anni esordirà al Giro o alla Vuelta e magari già il prossimo anno potrebbe fare un passaggio intermedio magari ad una Parigi-Nizza o a una Tirreno-Adriatico. Anche se quest’anno ha già corso il Delfinato.

Eccolo dietro a Porte (e davanti a Thomas) al Delfinato 2021
Eccolo dietro a Porte al Delfinato 2021
Voi date molta attenzione anche alla crono, come è messo in questa specialità? 

Discretamente direi. Anche perché lui ha vinto tutti e due i titoli nazionali di specialità da juniores. E poi si è visto anche domenica scorsa con tutti quei chilometri fatti da solo. No, no… la crono è un punto a suo vantaggio.

Un’ultima domanda, Dario. Prima hai detto che avete fatto un esperimento con Rodriguez. In effetti la Ineos rispetto ad altri top team non ingaggia dei giovanissimi. Cosa intendi dunque per esperimento?

Beh, è vero in parte. Negli anni abbiamo sempre fatto dei nuovi inserimenti di giovani. Moscon è passato con noi. Lo stesso Geoghegan Hart e anche Bernal aveva fatto un solo anno all’Androni. Ma è chiaro che sviluppare un giovane è un qualcosa di impegnativo e che va ben ponderato. Noi non ne prendiamo venti per farne arrivare uno o due, quindi quando lo scegli, lo scegli con cura. Oggi il mercato dei giovani talenti è sempre meno libero. Fai difficoltà a trovare gente davvero forte di 20-21 anni e quindi cambi strategia. Se poi hai un corridore come Pogacar lo blindi e non puoi acquistarlo.

Beh è chiaro…

E quindi hai l’esigenza d’individuare i corridori un po’ prima. Ma poi per farlo crescere e renderlo vincente ci serve tempo e impegno perché chi è campione tra gli junior non è detto che lo sia tra i professionisti. E c’è anche il discorso contrario: c’è chi è meno vincente tra gli juniores o gli under 23, ma è costante e da pro’ diventa è un campione. Per questo dico che un qualcosa che va ben ponderato.

Solo 7″. All’Avenir Johannessen batte Rodriguez (e Lemond)

22.08.2021
7 min
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Neanche il migliore degli sceneggiatori avrebbe potuto scrivere un finale così. Un finale thriller. Nella sua tappa regina, l’ultima, il Tour de l’Avenir ha regalato emozioni da mordersi le unghie. Vi diciamo che solo che Tobias Johannessen e Carlos Rodriguez hanno battuto persino Lemond e Fignon.

Eh sì, perché questo Avenir è finito con un distacco inferiore ai famosi 8” che separarono l’americano dal francese in quel Tour del 1989. Tra il norvegese e lo spagnolo i secondi sono stati 7”. Ma stavolta tutto è stato più incerto e non solo per quel secondo in meno. Quel giorno a Parigi c’era il cronometro in diretta a parlare, qui non è stato così.

La quiete prima della tempesta 

Si parte presto a La Toussuire. Gli azzurri escono dall’hotel poco dopo le 8. L’obiettivo, poi centrato, è di mandarne in fuga almeno un paio, così che Filippo Zana possa avere dei compagni sull’Iseran o magari anche dopo.

La maglia gialla è tranquilla. Carlos Rodriguez è concentrato. Con una lentezza estenuante mette il numero sulla sua maglia a pois. I colombiani scalpitano: i 2.770 metri dell’Iseran li fanno sentire a casa. E’ la quiete prima della tempesta. Quando si abbassa la bandierina la classifica recita: Tobias Johannessen primo, Carlos Rodriguez a 2’18” e Filippo Zana a 2’24”.

Il colpo inatteso

Sul Iseran è proprio la Colombia a menare. Però scattano Arrieta e Garofoli. Poco dopo ecco Rodriguez. Vorrà suggellare la maglia a pois, tutti pensano. Invece, al Gpm lo spagnolo tira dritto e si butta come un falco sulla Val d’Isere. Dietro è lo scompiglio. La maglia gialla è sola. Il fratello Anders è dietro. Zana non c’è. «Dopo i 2.500 metri di quota ho un po’ pagato», ammetterà a fine corsa. Garofoli si ferma in cima ad attenderlo e lo riporta dentro. E la stessa cosa fa più tardi Anders per aiutare il fratello in giallo. 

Nervi saldi per Tobias che vedeva a forte rischio la sua maglia verso il Piccolo
Nervi saldi per Tobias che vedeva a forte rischio la sua maglia verso il Piccolo

Johannessen freddezza da campione

Inizia la scalata finale del Piccolo San Bernardo: Rodriguez in testa e 12 uomini a seguire. Anders tira a più non posso ma quando inizia il tratto duro si sposta. Passa tutto nelle mani, nelle gambe e nella testa di Tobias. Che infatti appena resta solo tocca qualcosa sul computerino. Dovrà gestirsi e intanto il vantaggio dello spagnolo inizia a farsi pericoloso. E manca tanto, troppo.

«Ho cercato di restare tranquillo – ha detto Johannessen – Ma la scalata finale è stata folle. Il ragazzo spagnolo è stato super forte. Speravo si stancasse un po’ dopo la discesa da solo, ma ha fatto un qualcosa di grande. Ho cercato di prendere il mio passo, di andare per la mia strada. Fino ai 10 chilometri sono rimasto nella mia “comfort zone”, ma poi ho spinto e lui continuava a guadagnare sempre un po’. Ho pensato che potevo perdere tutto. Negli ultimi cinque chilometri avevo perso la mia “extra power”per seguire Zana e ho solo spinto più che potevo. Dopo l’arrivo non sapevo ancora come fosse andata».

Rodriguez ha gestito in modo magistrale la scalata finale. La sua pedalata? Potente e non troppo agile
Rodriguez ha gestito in modo magistrale la scalata finale. La sua pedalata? Potente e non troppo agile

Che duello…

Lo avevamo scritto in questi giorni: la tappa finale è diversa dalle precedenti. Le certezze dei giorni prima potevano essere vanificate in un lampo. Ed è su questo che hanno puntato gli spagnoli. 

«L’azione di Rodgriguez è stata programmata questa mattina – ci dicono i massaggiatori iberici mentre si mangiano le unghie sull’arrivo – il nostro cuore ora batte forte».

A un chilometro dall’arrivo Johannessen e Rodriguez erano alla pari. Ma un conto sono i distacchi del Gps e un conto quelli reali. Lo spagnolo taglia il traguardo. I massaggiatori lo accolgono, lo coccolano, ma restano in trepidante attesa. Sfilano Zana e Steinhauser che nel frattempo hanno staccato il vichingo. Passano i secondi. Nel rettilineo finale Tobias richiama ogni singola goccia di energia e quando taglia il traguardo anche lui non sa come è andata.

La grande attesa

Ed è qui che va in scena il momento più bello di tutto il Tour de l’Avenir. La gara è finita, ma ancora non si sa chi è il vincitore.

Sulle transenne a sinistra, lo spagnolo. Su quelle a destra il norvegese. I due corridori e rispettivi staff sono in religioso silenzio. Si sente solo il fiatone dei due corridori e qualche bisbiglìo di conforto. Gli sguardi cercano risposte nell’infinito. Passano i minuti. Tutto tace. Anche noi facciamo di qua e di là. Poi all’improvviso la risposta arriva. La porta un ragazzo dell’organizzazione che si dirige verso Tobias. E’ il momento della verità. «Sette secondi, hai vinto tu». E scoppia la gioia. Adesso finalmente può lanciare un urlo al cielo. Un urlo potente, da vero vichingo

«E’ la mia vittoria più importante – dice il norvegese – sono super contento. Voglio ringraziare la squadra, mio fratello… tutti loro mi hanno aiutato sin dalla prima tappa. E adesso? Adesso vediamo cosa fare al campionato europeo. Poi c’è il mondiale che si corre in Belgio, dove ci sono corse che mi piacciono, e magari troverò un team WorldTour per il prossimo anno, insieme a mio fratello».

Onore a Rodriguez

Se da una parte regna la gioia, dall’altra non è così. Rodriguez ha già le caratteristiche British della Ineos: serio, composto (anche nella pedalata), pacato. Solo la sua espressione lo tradisce (e ci mancherebbe). La maglia a pois e la vittoria di tappa non bastano. Voleva l’impresa totale e per poco non ci è riuscito.

«Sono contento, ho fatto un ottimo Avenir, ma è chiaro che torno a casa con un po’ di rabbia». E tanto per non fargliene mancare dell’altra, gli chiediamo se forse non era meglio risparmiare le energie e scattare solo sull’ultima salita visto che è stato nettamente il più forte.

«Io volevo vincere la generale – risponde lo spagnolo – ho pensato di attaccare a poco più di un chilometro dalla vetta dell’Iseran, per far faticare anche gli altri e magari isolare la magia gialla. Ho sfruttato il lavoro fatto dalla Colombia. E così ho raggiunto Arrieta (e Garofoli, ndr). In discesa Arrieta era vicino, ma non chiudeva, e così ho deciso di fare una cronometro fino alla fine. Se avessi attaccato nel finale avrei potuto vincere la tappa, ma non credo la generale. Serviva molto spazio per riuscire a fare un grande distacco». Una risposta da vero campione, da uno che non si accontenta di fare secondo, neanche se è al secondo anno tra gli U23. 

A Johannessen il primo round in salita. Ma Zana non molla

20.08.2021
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L’aria sarà anche cambiata, ma il vento soffia sempre da Nord al Tour de l’Avenir. Prima gli olandesi e da ieri, e oggi ancora di più, tanti norvegesi. Sul primo vero grande arrivo in quota, ai 1.501 metri du Grand Colombiere trionfa, anzi domina Tabias Johannessen. 

Senza Ayuso e Umba, il secondo classificato del Giro d’Italia U23 sta mettendo in campo e in mostra tutto il suo valore. Ma lui non è sbruffone affatto, sia chiaro. Disponibile, sorridente… ma con due gambe e due polmoni che per ora sono d’acciaio

Ancora uno Johannessen

Il vichingo ieri aveva fatto secondo in volata dietro al gemello Anders, oggi eccolo vincere in solitaria nel più classico dei “tappa e maglia”. Giusto il tempo di asciugarsi il sudore e raggiungere la tensostruttura dove c’è il controllo antidoping, che Tobias inizia a mangiare il riso (condito con pomodoro e parmigiano). Un piattone gigante, mentre risponde già ai messaggi che gli stanno arrivando. 

Un signore dell’organizzatore gli porta la maglia gialla. Con le normative anticovid deve indossarla da solo e non sul podio.

«Sono super contento – afferma Johannessen con un sorriso grosso così – Ieri mio fratello e oggi io. Io che aiuto lui e lui che aiuta me, come del resto ha fatto tutta la squadra. Una grande squadra. Come è andata? Ha attaccato Rodriguez e io l’ho seguito, poi poco prima che finisse il tratto duro ho aperto il gas a tutta e sono andato via. Non ho guardato neanche il potenziometro. Tutto a sensazione, pensavo solo al traguardo».

Da come parlava sembrava che il norvegese conoscesse la salita. Invece lui ci ha risposto che non l’aveva mai fatta, ma che l’aveva studiata e ristudiata sull’altimetria. E credeteci non era facile da interpretare. Era molto dura nei primi 8-9 chilometri, c’erano poi un tratto intermedio ondulato, un falsopiano e due strappate che portavano al traguardo dopo 15,3 chilometri di scalata. Segno che il ragazzo sa il fatto suo.

Ma Zana c’è…

Adesso è lecito pensare che Tobias potrà difendere questa maglia fino alla fine. Ha una squadra molto forte. E dire che hanno perso anche un elemento, Soren Waerenskjold, vincitore del prologo. Eh già, dopo questa dimostrazione di potenza chi potrà togliergliela? Beh, tra i più accreditati ci sono i nostri azzurri. A cominciare da Filippo Zana, oggi secondo, anche se a più di un minuto.

«Mamma mia – commenta ancora con i battiti a mille dopo l’arrivo il corridore della Bardiani Csf Faizanè – come è andato forte. Chapeau. Ne aveva di più. Io ci ho provato, ma era nettamente superiore, a quel punto mi sono messo di passo e sono andato su».

Zana sembra un po’ giù di morale. O forse è solo stremato. Ma l’Avenir non è finito. Anzi, è “iniziato” oggi. Ci sono due tappe molto dure, specie l’ultima, e certi sforzi si potrebbero pagare cari. E così gli facciamo notare che chi ha l’attivo due Giri d’Italia nelle gambe è lui. «Ma sì, sì – ribatte Filippo – non molliamo. Continueremo a lottare».

Gli azzurri oggi ci hanno provato. Sono stati tra i pochi a mettere in difficoltà i norvegesi. Baroncini è scattato nelle prime fasi iniziali in pianura e ha consentito agli altri di risparmiarsi un po’. Lungo la scalata ha poi dato una mano a Verre.

A proposito il corridore lucano appena ci ha visto ha commentato: «Il Tour non è il Giro. Vanno fortissimo».

Rodriguez deluso

E che il livello sia alto ce lo conferma anche la faccia dello spagnolo Rodriguez. Lui, che corre nella Ineos-Grenadiers su queste strade qualche mese fa stava tirando per il capitano Richie Porte al Delfinato. Oggi ha attaccato ma è stato respinto. Il suo volto è a dir poco scuro.

«Forse pensava di venire a prendere le caramelle – dice Amadori – ma qui le caramelle sono alto. Sia che corri tra gli U23 che nel WorldTour. Oggi comunque non era facile: tappa breve (98 chilometri, ndr) con la sola scalata finale. Tutto molto esplosivo».

Quest’ultima frase ci deve lasciare tanta speranza. Un percorso del genere strizza l’occhio ai più giovani, con più forza e meno fondo. E se Zana che è più “esperto” arriva secondo in una frazione così…