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Quando il focus diventa il peso e non la vittoria

01.12.2021
6 min
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«L’atleta in generale, è sempre in perenne insicurezza. Convive con la paura di non raggiungere il peso e la forma fisica. E anche se li raggiunge, non si accontenta e cerca ancora di fare un sacrificio o uno sforzo in più».

Erica Lombardi, dietista di molte punte del ciclismo italiano, sia uomini che donne ed ex atleta mezzofondista, non fa alcuna distinzione tra l’attitudine dei ciclisti e degli atleti in genere, e si definisce particolarmente sensibile al problema dei disturbi del comportamento alimentare.

«Ovviamente nel ciclismo – continua Erica – in quanto sport di endurance, è più facile ritrovarsi in situazioni riconducibili ai disturbi del comportamento alimentare, ma credo che sia un problema ancor più sentito in sport suddivisi in categorie di peso o nella danza per esempio. Negli anni ho imparato a cogliere anche i primi campanelli d’allarme abbastanza facilmente, ascoltando l’atleta ed osservando piccoli dettagli come il suo comportamento a tavola, la sua postura ed altri tratti antropometrici».

Brajkovic ha ammesso i suoi problemi. I comportamenti anomali erano visibili, ma nessuno è intervenuto
Brajkovic ha ammesso i suoi problemi. I comportamenti anomali erano visibili, ma nessuno è intervenuto

Oltre il limite

La settimana scorsa, Slongo ci ha spiegato che spesso gli atleti giocano sul limite, rischiando di oltrepassarlo da un momento all’altro, ma cosa significa a livello alimentare e cosa succede effettivamente?

«L’atleta è sempre sotto esame – prosegue Lombardi – e vuole avere il controllo su tutto, ma a volte si estremizza con l’iper-controllo. Il cibo potrebbe non essere più una necessità ma qualcosa da reprimere. Il problema è che siamo programmati per reagire allo stress con dei meccanismi di sopravvivenza che in principio potrebbero non comportare un calo prestativo per cui sembrano confermare la nostra convinzione. Stimolati dagli apparenti aspetti positivi, continueremmo con queste condotte restrittive errate, finché si potrebbe arrivare a dare più importanza alla fisionomia e al peso piuttosto che alla prestazione. L’importante ed unico vero focus per l’atleta con questi disturbi è spesso apparire magro, non più vincere.

«A questo punto bisogna intervenire collaborando in equipe, con psicologo, medico e nutrizionista, per ripristinare i normali livelli ormonali nell’atleta, recuperare una buona costituzione e resistenza fisica e migliorare il rapporto col cibo e con la propria immagine.  Dal punto di vista alimentare, sono fasi molto delicate perché la reintroduzione degli alimenti se effettuata in tempi e modalità sbagliate, potrebbe causare la cosiddetta sindrome della rialimentazione, davvero pericolosa anche dal punto di vista clinico».

«Se dopo cinque ore di allenamento ti danno una mela o un frutto, capisci che qualcosa non va»: così Cimolai sulle cattive abitudini
«Se dopo cinque ore di allenamento ti danno una mela, qualcosa non va»: così Cimolai sulle cattive abitudini

Cattive abitudini

Non esiste però solamente il problema dell’anoressia, si può soffrire anche di bulimia con o senza compensazione, o di binge eating disorder, che comporta delle grosse abbuffate principalmente in solitudine e in poco tempo.

«Io non ho avuto una casistica così grande di disordini alimentari – spiega Erica – soprattutto tra i professionisti, ma tendono a svilupparsi in realtà più piccole e non solamente sotto forma di anoressia. E’ fastidioso e sconsigliabile allenarsi per ore con lo stomaco vuoto così come partire troppo pieni. Gli atleti a un certo punto non riescono più a resistere. Il controllo eccessivo è difficile da sopportare, così capita che magari durante l’allenamento si fermano al bar e mangiano con foga 6-8 brioches, oppure capita spesso che si svegliano di notte, quando predomina la parte inconscia sulla ragione e si “attaccano” al vasetto di cioccolata o marmellata piuttosto che al pacchetto di biscotti.

«Esistono comunque diverse sfumature di questi disturbi per cui spesso non si può parlare di disturbi cronici, ma al più di forme acute, magari volte al raggiungimento di un obiettivo. Sono sempre da evitare e prevenire, ma sicuramente meno preoccupanti.»

Ilaria Cusinato, atleta di punta del nuoto, nel 2020 ha ammesso di essere uscita finalmente dalla bulimia
Ilara Cusinato, atleta di punta del nuoto, nel 2020 ha ammesso di essere uscita dalla bulimia

Le circostanze e l’ambiente

Abbiamo visto che spesso è l’atleta a oltrepassare il limite, ma non bisogna sottovalutare anche l’influenza dell’ambiente a lui vicino.

«Le figure che si preoccupano di qualsiasi cosa – annota Erica – tra cui la nutrizione, potrebbero non riuscire a dare indicazioni specifiche e personalizzate, inoltre nella comunicazione potrebbero usare termini non appropriati influenzando l’approccio alla dieta e al peso dell’atleta. A volte basta, infatti, cambiare l’ordine delle parole, o solamente una parola, per ottenere una reazione diversa.  Oggi, ci sono sempre più team che cercano di creare uno staff completo e molto specializzato, anche al femminile, per cui ognuno si impegna a rispettare il proprio ruolo e quello degli altri collaboratori, evitando qualsiasi commento non affine alla propria materia. È così che si possono raggiungere grandi risultati».

Educazione fra i giovani

Erica negli ultimi anni ha collaborato anche in progetti educativi in squadre giovanili e sottolinea l’importanza della famiglia.

«L’educazione nelle squadre giovanili è senz’altro utile, ma dovrebbe coinvolgere anche la famiglia, perché spesso è la mamma che cucina e permette così al figlio di seguire una corretta dieta. Alcuni atleti subiscono eccessive pressioni dai genitori o dai direttori sportivi sul peso durante lo sviluppo. Altre volte l’errore potrebbe essere anche del nutrizionista. Per assecondare le richieste del paziente o per promettere risultati rapidi, potrebbe consigliare diete non perfettamente bilanciate, efficaci, ma pericolose se prolungate nel tempo. Trascurando così l’importanza di insegnare un vero e proprio stile di vita per tutelare la salute del giovane. Dobbiamo ricordarci sempre che l’atleta è comunque un paziente, e come tale, bisogna prima di tutto tutelarne la salute».

Affinché gli atleti giungano ben formati al professionismo è utile formarli negli juniores e anche in famiglia
Affinché gli atleti giungano ben formati al professionismo è utile formarli da juniores e in famiglia

Facciamo un passo in più

L’ottimismo di Erica lancia con speranza un ulteriore invito al miglioramento nella gestione delle categorie giovanili e dei ritiri in nazionale.

«Sempre più squadre cercano il supporto di nutrizionisti – conclude – anche nel femminile, dove effettivamente tende ad esserci più necessità di intervento in quanto c’è un maggior pericolo di interferire con il delicato e complesso equilibrio ormonale. Credo che l’ideale sia impostare un programma di educazione alimentare a livello giovanile che coinvolga anche la famiglia. E avere al seguito del team nazionale un nutrizionista già dai ritiri, perché è quello il momento in cui gli atleti sono più ricettivi e in cui si può provare a variare qualcosa per ottimizzare la dieta».

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Disordini alimentari: Corsetti cosa ne pensa?

18.03.2021
4 min
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Roberto Corsetti, cardiologo che per anni ha lavorato come medico della Fassa Bortolo, della Liquigas e della Quick Step e oggi presta la sua opera al Centro Medico B&B di Imola, è uno di quelli che è sempre stato molto attento all’alimentazione dei propri corridori. E per sua stessa ammissione è uno di quelli che si metteva vicino al tavolo dei corridori durante i pasti. Per cui sentire che cosa abbia da dire sul complesso rapporto fra corridori e cibo risulterà alla fine interessante.

«Gli atleti professionisti – dice – ma più in generale tutto ciò che ruota attorno al professionismo hanno come unico metro il risultato. Se partiamo da questo presupposto, per ottenerlo bisogna arrivare al massimo livello di performance. I sacri testi di fisiologia dicono che i due fattori su cui si può migliorare sono la potenza e il peso. I corridori possono non accettarlo, possiamo discuterne, ma i soli due punti sono quelli».

Cimolai ha ammesso di aver sofferto di problemi alimentari e di non sopportare di sentirsi sorvegliato a tavola
Cimolai ha detto di non sopportare di sentirsi sorvegliato a tavola
Fin qui ci siamo, ma la magrezza assoluta intacca la potenza. Per cui non è affatto detto che scendere di peso sia la sola garanzia di prestazione.

Mi arrabbio, infatti, e divento nervoso se l’obiettivo della riduzione del peso viene raggiunto con l’oppressione o metodi non corretti. Penso invece che se un operatore del ciclismo trasmette in modo amichevole, gentile e competente il modo in cui ridurre il peso, le cose funzionano. Se si verificano degli eccessi, chi doveva trasmettere lo ha fatto male. Oppure il corridore può aver recepito male e allora va aiutato.

Corsetti in che posizione si colloca?

Vengo dalla scuola di grandi maestri e ho sempre cercato di trasmettere questi concetti nel modo più corretto possibile. Non credo di aver messo in difficoltà dei miei atleti per il loro peso. Né nella mia esperienza ho mai visto imposizioni o forzature. Ma se qualcuno dice che Corsetti ci tiene che l’atleta sappia che i suoi risultati dipendono dal peso, allora dico sì.

La pasta è sempre stata fonte di carboidrati, eppure tanti hanno problemi a mangiarla
La pasta è sempre stata fonte di carboidrati
Sei al corrente che per gli atleti il cibo è un tema delicato e alcuni hanno disordini alimentari? Secondo psicologi e medici che abbiamo sentito, un medico se ne accorge.

Non ne ho mai avuti, ma ho avuto atleti molto magri. Senza fare nomi, con Ferretti in un ritiro ci accorgemmo di un ragazzo troppo magro per quel periodo dell’anno. Lo portammo con noi in una stanza e gli spiegammo che era troppo.

Pare che i giovani siano quelli più esposti al rischio di caderci…

Il messaggio dall’alto, se non arriva chiaro e documentato o non viene presentato in tutte le sue valenze, in una persona fragile può creare scompensi. Di sicuro se ci sono disordini alimentari, la responsabilità va cercata in più parti.

A Corsetti è mai capitato di stare vicino al tavolo dei corridori a guardare come mangiano?

Io ritengo che un direttore sportivo o un medico che voglia stare vicino al tavolo dei corridori per aiutarli sia positivo. Può aiutare perché il pasto, spesso la cena, si svolga nel modo migliore. Se però l’atleta si sente in difetto per il cibo e vive male questa presenza, si crea l’ambiguità. Se sei accanto al tavolo e a me capitava spesso, devi saper leggere nello sguardo degli atleti se c’è qualcosa che non va. Servono colloquio e presenza, servono staff competenti e appassionati. Piuttosto a volte mi guardo alle spalle…

La magrezza eccessiva di Bongiorno, raccontata pochi giorni fa nella sua intervista
La magrezza eccessiva non è sintomo di salute
E cosa vedi?

Penso ad atleti che non hanno mai ricevuto un’educazione alimentare e hanno buttato via la carriera. Non parlo di obbligo o costrizione, di semplice educazione. Penso a chi aveva potenzialità incredibili, al punto di intimorire gli avversari più forti, che però ha preferito lasciarsi andare.

Da questo punto di vista credi che l’avvento del nutrizionista sia opportuno nei team?

Tutte le figure professionali più competenti sono utili in questo percorso formativo. Ma serve che tutti parlino la stessa lingua, altrimenti viste le tante figure che si incontrano oggi in una squadra, si rischia che agli atleti arrivino messaggi che creano confusione.

I messaggi chiari sono la chiave di volta, così come la trasparenza. La raccolta di voci e pareri continua. Ci hanno raccontato di un personaggio che a inizio stagione pretendeva dai suoi atleti lo stesso peso dell’ultima corsa: cosa c’è di documentato in questo?

La nostra inchiesta, in cui abbiamo coinvolto il dottor Corsetti, vuole consegnare ai corridori più giovani la consapevolezza che il peso e la potenza sono certo due fattori determinanti, ma la salute viene prima. Rileggere le parole di Bongiorno, quelle disarmanti di Brajkovic e tutte le altre che abbiamo raccontato nelle ultime settimane dovrebbe far capire che la magrezza ossessiva porta diritta alla fine della carriera.

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Disordini alimentari: Bongiorno, era quasi anoressia

Disordini alimentari: Bongiorno, era quasi anoressia

10.03.2021
7 min
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Nella testa di un corridore che ha deciso di essere magro a qualsiasi costo, fino a sfiorare l’anoressia, c’è un bel mucchio di pensieri contorti. Quando chiudiamo la telefonata con Manuel Bongiorno, in procinto di tornare in gruppo con la Global6 Cycling, il quadro diventa drammaticamente concreto. Manuel adesso ne è fuori e paradossalmente è stato salvato dall’essere rimasto senza squadra nel 2018. Finì a lavorare in un ristorante: terapia migliore non poteva esserci, quasi un contrappasso. E’ bello, ancorché drammatico, riscontrare nei corridori la voglia di parlarne. Quasi per liberarsi la coscienza. Ed è bella anche la voglia di metterci la faccia e dire che oggi il problema è avviato a soluzione, grazie all’avvento e alla sempre maggiore diffusione dei nutrizionisti.

Quando e perché il peso cominciò a diventare un’attenzione?

Fino al momento in cui passai professionista, non ci avevo fatto troppo caso. Era il 2013, avevo firmato con la Bardiani. Mi accorsi che tutti erano fissati su questo aspetto. Ci stavano attenti. Si guardavano addosso. Il medico della squadra, il dottor Benini, diceva di non scendere mai sotto un certo peso. Io sono alto 1,72 e pesavo sui 59-60 chili, ma decisi di scendere a 55 per il Giro dell’Emilia, in cui effettivamente arrivai quinto. Il dottore disse di non insistere, altrimenti avrei… sbiellato. Era frequente che i corridori dimagrissero per il singolo obiettivo. Tanti facevano la dieta dissociata, con la sottrazione di carboidrati nella prima fase e poi un carico notevole alla vigilia della corsa. Non dico che facesse bene, però funzionava.

Questa la maglia della Global6 Cycling con cui Bongiorno tornerà in corsa il 21 marzo a Sesto Fiorentino
Questa la maglia con cui tornerà in corsa il 21 marzo
Per cui dopo l’Emilia, tutto tornò normale?

Direi di sì. Nel 2014, che fu uno dei miei anni migliori, decisi che un buon peso poteva essere 58 chili, per avere margine da gestire tutto l’anno. Così anche nel 2015, almeno fino al Giro, dove però non andai un granché. Decisi che dovevo limare qualche chilo. Mi rivolsi a un nutrizionista, che eliminò il glutine e secondo me combinò qualcosa. Di colpo il mio metabolismo rallentò. E invece di dimagrire, cominciai a ingrassare. E lì successe qualcosa.

Che cosa?

Al di là del sentire battute sul peso, la mia testa iniziò a fare giri strani. L’85-90 per cento dei miei problemi derivò dalle credenze e dall’ignoranza, mia e di tutto l’ambiente. Se uno magrissimo mi staccava in salita, pensavo di dover dimagrire ancora. A quel tempo il preparatore della squadra era Cucinotta, ma lui non mi ha mai detto nulla del peso. Non parlava dell’alimentazione. Ora ci sono i nutrizionisti, ognuno sta nel suo ambito e ti dice cosa fare. Ma ho incontrato anche persone che volevano fare tutto loro.

Così cominciasti a dimagrire?

Dai quasi 60 chili che pesavo da neoprofessionista, scesi fino a 51,8. Col senno di poi, riguardando le analisi che raccolgo sin da quando ero junior, posso dire che mi ritrovai con valori drammatici. Con il testosterone bassissimo. E ricordo anche dove tutto cominciò.

Da U23 è tricolore e nel 2012 vince una tappa al Valli Cuneesi
Da U23 è tricolore e nel 2012 vince una tappa al Valli Cuneesi
Dove?

Ero sempre alla Bardiani, nel 2016, prima del Giro d’Austria. Andai a fare un test del VO2Max, in cui normalmente avevo un valore di 82. Dopo il Giro, ero sceso da 55,8 a 54 chili e in quel test venne fuori un 86. E’ chiaro che se sei più leggero, lo scambio di ossigeno sale. Ero già al limite, ma pensai che se fossi sceso ancora, il test sarebbe stato ancora migliore.

Le prestazioni?

Non erano esaltanti. Erano anche anni in cui dire a un corridore «quanto sei magro!», era fargli il più bello dei complimenti. Mi piaceva sentirmi dire che ero uno scheletro. Era anoressia, ma non lo capivo. A momenti pensavo che fosse troppo. Alla Sangemini, nel 2017, correvo poco. In allenamento facevo pianura e poi una salita al mio ritmo, in cui così leggero andavo anche bene. Ma in corsa, dopo due fiammate a 60 all’ora, andavo in crisi e non recuperavo.

Come si arriva a 51,8 chili?

Se dovevo mangiare 70 grammi di riso, toglievo i chicchi di troppo. Certe volte mangiavo meno insalata, perché le verdure danno ritenzione idrica. Per paura della bilancia al mattino, non bevevo dalla sera prima e potete capire che squilibri anche negli elettroliti. Ho letto i vostri articoli…

Passa professionista nel 2013 con la Bardiani, pesa 59 chili
Passa professionista nel 2013 con la Bardiani, pesa 59 chili
C’è del vero?

Mi sono riconosciuto in tutti. Anche io buttavo il sacchetto del rifornimento. Quando avevo fame, aprivo una barretta, la masticavo e poi la sputavo. Ho sentito tanti corridori, anche ora, che fanno così.

Cosa facevi se ti capitava di stare a cena fuori?

Prendevo il pollo e non bevevo birra. Ero a disagio e mettevo a disagio la mia ragazza, perché magari si organizzava e all’ultimo inventavo una scusa per non andare. E’ stato così da metà 2015 fino a metà 2017. Poi quando ho smesso ho avuto un rebound e li ho ripresi tutti. A me piace mangiare. Ora quando sono a tavola, spengo anche il telefono: è un momento importante.

Che cosa è cambiato quando ti sei ritrovato senza squadra?

Non dovevo più rendere conto alla bici. In uno degli ultimi allenamenti verso Volterra, Umberto Orsini, mi fece una foto e disse che gli facevo ribrezzo per quanto ero magro. Non mi rendevo conto di nulla. E quando ci pensavo, mi dicevo che non sarei mai voluto tornare a 56 chili, massimo 53, altrimenti in salita non andavo. Ero sotto peso.

Manuel Bongiorno, Tour de Langkawi 2020
Quando rientra alla Vini Zabù, dice di aver imparato dai suoi errori del passato
Manuel Bongiorno
Rientra alla Vino Zabù e dice di aver imparato dai suoi errori
Nel 2019 hai ripreso, che cosa è cambiato?

Anche ora voglio essere più magro possibile, ma con le energie. Non guardo la bilancia, mi concentro sui tempi di percorrenza delle salite. La mattina il vizio di guardarmi allo specchio, di toccarmi la gamba per vedere se è tonica, ce l’ho ancora. Però peso 59 chili come da dilettante. Mangio sempre pulito, ma se voglio un cornetto, ora lo prendo. Chiaro, in quest’ultimo mese, con l’inizio delle corse, ci sto più attento, ma l’altro giorno dopo un allenamento di 5 ore, ho fatto una sparata e avevo ancora forza per farla.

Vedi intorno a te ragazzi con lo stesso problema di allora?

Tanti. In bici fai fatica a capirlo, ma i comportamenti nel tempo libero sono inconfondibili. Ho letto di quelli che girano con la mela in mano. Non ci avevo mai fatto caso, ma è verissimo. Ce ne sono tanti che durante i pasti si alzano e vanno più volte in bagno. Tanti che evitano i carboidrati come fossero veleno. E’ un sintomo dell’estremizzazione. Come quando il preparatore ti dice di fare tre serie e tu ne fai quattro, perché pensi che sia meglio. Ogni abuso porta dei danni. Ma il corridore non si fida, il guaio è questo.

Aru ha raccontato che in certi casi diffidi anche del collega che prova a darti un consiglio…

Evidentemente questo per lui è un nervo scoperto. L’atleta è debole e influenzabile. Provi l’allenamento del momento. Senti la lode per la magrezza. E le pugnalate più grosse sono quelle che ti entrano nella testa.

Questa la foto fatta da Orsini che commenta: «Mi fai ribrezzo per quanto sei magro». E’ quasi anoressia
Questa la foto fatta da Orsini che commenta: «Mi fai ribrezzo per quanto sei magro»
Raccontano che dopo il secondo posto al Giro Bio del 2012, Aru tornò in ritiro e si sentì dire dal tecnico che non avrebbe mai potuto vincere, “con quel culo che aveva”. Mentre Dombrowski sì che era magro… 

Le pugnalate. Magari non l’hanno detto neppure con cattiveria, oppure sì. Ma se hai in testa che il peso sia un problema, quella frase può diventare devastante. Io con tanti, che prima hanno vinto i Giri e le tappe e poi di colpo hanno smesso, ho corso anche da dilettante. Che cambiamento fisico hanno fatto a un certo punto? Sono fatiche che non si reggono, che ti svuotano.

Prima hai detto di aver lavorato con gente che voleva ricoprire più ruoli.

Credo che i problemi alimentari siano più frequenti nelle piccole squadre, dove non c’è controllo. Non avevo chi mi spiegasse come fare. A me piace fare il soldato, eseguire le disposizioni. Se avessi avuto delle tabelle come negli squadroni, sarei stato contento. Alla Ineos pare abbiano mollato. Corrono con tattiche nuove. In realtà secondo me il loro obiettivo è sempre vincere, ma dato che tutti hanno imparato a fare come loro, adesso loro cambiano gioco. Come il Barcellona di Guardiola. Dopo aver vinto tutto e portato tutti sul tiki taka, a un certo punto per vincere ancora hanno dovuto cambiare strategia, ma non mentalità.

Come mai hai scelto di esporti?

Il problema l’ho avuto. Mi sono reso conto che stavo sbagliando. L’anno in cui ho smesso mi ha aiutato, ma non significa che tutti debbano smettere per venirne fuori. Il messaggio che vorrei far passare è che questo è il nostro lavoro, dobbiamo dare il massimo col nostro corpo ma senza esagerare. E oggi abbiamo la fortuna di poterci affidare a persone competenti. Ed è un bel passo avanti.

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Disordini alimentari: anche Aru ha qualcosa da dire

05.03.2021
5 min
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I disordini alimentari fra i corridori ci sono e sono ancora molto diffusi: Aru interviene nel dibattito e lo conferma. Oggi è a casa (ieri per chi legge). Il suo programma di allenamento prevede che ogni 10 giorni, in base ai blocchi di lavoro, ce ne sia uno senza bici. E allora Fabio si dedica a Ginevra, che in sottofondo reclama il suo spazio, e trova il tempo per la chiacchierata che lui per primo aveva suscitato dopo aver letto l’intervista a Cimolai, avendo riconosciuto un personaggio di cui il friulano aveva parlato, pur senza farne il nome. Se i nomi venissero fuori, ci viene da pensare, forse le cose cambierebbero.

«Tanti atleti sono stati rovinati da certe figure che continuo a vedere in giro – dice – sono il prodotto di una vecchia mentalità italiana. Vengono a dirti che devi sempre avere fame. Che il rapporto watt/chilo è l’unica cosa che conti. E io dico: va bene tenere il peso sotto controllo, ma serve una sana alimentazione. Puoi anche pesare 55 chili, ma se non spingi, cosa te ne fai?».

Fabio Aru coglie la seconda vittoria al Giro di Val d’Aosta 2012, poi va tra i pro’
Passa pro’ nel 2012 dopo il secondo Val d’Aosta
Parli per esperienza personale?

Io ora mangio bene e nessuno mi dice che l’unica cosa da guardare sia il peso. A livello internazionale è una mentalità davvero superata. Può capitare che in gara si pesino i cibi con la bilancia, ma soprattutto per integrare nelle giuste quantità. Io mi gestivo così l’anno scorso e non è male, ma deve essere fatto con criterio e con la supervisione di un nutrizionista. Invece tanti hanno creato una vera e propria psicosi, che si aggiunge allo stress dei corridori che è notevole.

Di chi stiamo parlando?

Anche di direttori sportivi soprattutto italiani, perché nelle squadre degli altri Paesi hanno imparato che ognuno ha le sue competenze e a quelle deve attenersi. Ho letto in una vostra intervista di personaggi che fanno battute ricorrenti…

Tiratissimo al Tour del 2017. Vince una tappa, resiste sui Pirenei e paga sulle Alpi
Tiratissimo al Tour del 2017. Vince una tappa, resiste sui Pirenei e paga sulle Alpi
Se ne parlava con il dottor De Grandi, vero.

E’ un fenomeno diffuso, che mi ha sempre dato un fastidio atroce. «Guarda che culo che hai!». E ammetto di aver passato un periodo in cui mi facevo condizionare tanto da questa cosa.

Sin dagli under 23?

Tanti hanno parlato di Locatelli in relazione a questi comportamenti, ma con me non ha mai detto nulla in questo senso. Nel mio caso è legato piuttosto agli anni da pro’.

E’ anche vero che tu a Locatelli hai sempre tenuto testa. Altri ragazzi con minore personalità in quella squadra hanno avuto i loro problemi.

Questo è vero. Sono cose che esistono e tante volte sei giovane e non rispondi per paura di sembrare maleducato. E intanto quel pensiero ti condiziona. Mangi meno, vai a ricercare il limite e non ti accorgi che neanche integri quello che consumi. Diventa un pensiero fisso. Vuoi andare sempre più forte e ti fai mille paranoie, mentre questa gente continua a martellare.

Al Giro del 2018 le cose non vanno bene
Al Giro del 2018 le cose non vanno bene
Inutile pesare 55 chili se poi non spingi…

Certo, perché vedi che sei magro, ma non ti accorgi ad esempio che i valori di cortisolo e testosterone vanno a picco. E quando lo capisci, magari è tardi. E’ un tema veramente delicato. C’è tanta gente che ha smesso di correre e ne ha sofferto psicologicamente.

Ne vedi ancora intorno a te?

Mi capita spesso di inquadrarne alcuni, ma è un argomento troppo delicato per parlarci. Quando l’ho passato anche io, ho avuto bisogno di capirlo da me. Oppure serve qualcuno che ti faccia ragionare. Sai che succede se viene a parlarti un altro corridore?

Ho quasi paura di chiedertelo…

Tu sei lì che ti fai il problema per ogni cosa che mangi, convinto di aver trovato il segreto per andare più forte. Viene un collega che ti dice di non farlo e invece di ringraziarlo pensi che voglia fregarti. Che non voglia farti raggiungere il tuo obiettivo. Che voglia danneggiarti. Siamo colleghi, ma la legge è mors tua, vita mea. Il contratto devi firmarlo tu, mica lui…

Al Tour del 2020 ha ottimi valori, si ritira dopo un lutto familiare
Al Tour del 2020 ha ottimi valori, si ritira dopo un lutto familiare
E’ un quadro inquietante, lo sai?

Per questo sono contento di essere qui al Team Qhubeka-Assos e semmai di rivolgermi a un nutrizionista. E’ chiaro che se devi perdere peso, devi passare per un deficit calorico, ma devi stare attento a non perdere il muscolo. Non devi convivere con la fame. Per questo serve avere un piano alimentare e serve gente competente. E’ sbagliato se in certe cose si immischiano i direttori sportivi oppure i medici che non hanno quel tipo di specializzazione. Non è il loro lavoro.

Quello che dice Brajkovic è emblematico di certe ingerenze…

Ho corso con lui, so di cosa parla. E anche quando ho letto l’intervista di Cimolai, che parla di persone che ti guardano nel piatto, ho capito subito di chi parlava. E mi dispiace davvero tanto dover discutere di certe cose ancora nel 2021.

E’ ancora peggio se lo fa un tecnico o un medico.

Ti guardano e ti dicono: sali sulla bilancia. Guardano il peso e ti dicono che sei grasso. E io dico: fammi una plicometria, che ne sai da cosa è composto quel peso? Oppure ci sono quelli che ti chiedono quanto pesavi da under 23 e ti domandano perché adesso hai dei chili in più. Come se a 20 anni la costituzione fisica di un uomo fosse la stessa di quando ne ha 28. E’ ignoranza bella e buona. Ed è anche terrorismo psicologico. Sai cosa diceva un tale con cui ho lavorato?

Rieccoci…

Bisogna allenarsi poco, per mangiare poco ed essere magri. Senza considerare che le gare sono tiratissime e serve energia in più. Se riguardo qualche vecchia foto, ce ne sono alcune in cui sono magrissimo, ma neanche spingevo. E allora cosa te ne fai?

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22.02.2021
5 min
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Si può spostare il fuoco dai corridori all’ambiente delle squadre, parlando dei disordini alimentari? Le parole di Brajkovic sul dottore dell’Astana che avrebbe raccontato al diesse della United Heathcare della sua bulimia risuonano ancora nella testa. Così siamo andati da un altro dottore, Michele De Grandi, medico della Uae Team Emirates.

«Ci rendiamo conto che il problema esiste – inizia – fra i corridori e fra chiunque pratichi uno sport in cui il rapporto fra potenza e peso sia determinante, come appunto il ciclismo. Nei casi di atleti di altissimo livello, sono problematiche superate e gestite, altrimenti probabilmente non arriverebbero i risultati. Nei giovani invece si vede abbastanza, anche per l’influenza degli allenatori nelle prime fasi. Perché ce ne sono certi abbastanza… esagerati, che spingono in modo totalmente illogico a perdere peso, proponendo allenamenti di un certo tipo e poi arrivando alla privazione calorica. Magari è vero che l’atleta in questione dovrebbe perdere peso, ma non così».

L’intervista a Brajkovic della scorsa settimana ha fatto pensare al clima che si vive nelle squadre
Le parole di Brajkovic denunciano la poca privacy nelle squadre
Come si fa a capire, se l’atleta non viene a parlarvi?

E’ una caccia al tesoro, perché c’è la negazione e spesso la mancata presa di coscienza. L’atleta che ha questi problemi è convinto che avere un chilo in meno migliori la prestazione, senza capire che magari proprio per quello spinge 50 watt in meno. E’ un po’ come l’anoressia nelle ragazze, c’è un’immagine prestativa distorta. Il corridore non te ne parla perché non se ne rende conto o perché è convinto della sua scelta. E’ un ginepraio, perché magari parliamo di un atleta che ha avuto un calo e lo attribuisce all’eccesso di peso, anche se non c’entra.

Esiste un modo per capirlo, a parte la deduzione?

Visitandoli, vedi la struttura fisica (in apertura, foto Reverbia, ndr), l’indice di massa magra. Vedi il tipo di comportamento a tavola e nel recupero, oppure il tipo di attenzione che hanno con l’approccio calorico. Abbiamo medici e nutrizionisti, se emerge qualcosa, si riesce ad arginarlo per tempo. Magari in categorie che non hanno questi mezzi, è tutto più difficile.

Cimolai ha parlato di personaggi che nel professionismo hanno l’abitudine di fissare i corridori mentre mangiano
Cimolai ha parlato di chi sorveglia i corridori a tavola
Pensi che nelle squadre si sbagli qualcosa nel riferirsi al peso degli atleti?

Qualche battuta fuori luogo può capitare, ma di solito diventa dannosa dove c’è un substrato in cui certi argomenti possono attaccare. Mi è capitato in passato che ci fossero linee rigide che, come ogni forma di proibizionismo, non hanno portato frutti. Direttive a tappeto uguali per tutti, comportamenti rigidi che hanno ottenuto l’effetto opposto, perché i corridori sono arrivati al punto che non ne potevano più.

Di quali comportamenti parliamo?

Immaginate i corridori a tavola, magari durante una corsa a tappe. E qualcuno che si metteva dietro al tavolo a guardare cosa mangiassero con le braccia conserte e un atteggiamento ansiogeno. In un grande Giro, il momento della cena appartiene ai corridori, è un momento conviviale in cui possono sfogarsi, al limite anche parlando male dello staff. Se gli stai dietro, diventi una presenza constante che li controlla. E questa cosa dal punto di vista delle serenità è stata sicuramente deleteria.

Brajkovic ha raccontato di una sua confidenza messa in piazza: di certo nel mondo del ciclismo si parla tanto…

Secondo me in tutti gli ambiti sportivi ci sono un po’ di ignoranza di fondo e la cattiva gestione della privacy. Per questo si fa resistenza a parlare di certe cose, perché ci si sente stigmatizzati. In più il ciclismo per il suo passato ha rispetto ad altri sport la propensione per l’omertà. Si parla di questi aspetti con grande vergogna, usando perifrasi, perché vengono visti come una debolezza. C’è poca apertura.

Ma alla fine sempre di uomini si tratta e a forza di tirare la corda, poi magari si scopre che un atleta fortissimo come Dumoulin appende la bici al chiodo a 30 anni.

Fanno una vita difficile, ben più che se praticassero uno sport di squadra, in cui puoi prendere casa vicino allo stadio o al palazzo dello sport e organizzarti anche un sostegno, una routine. Questi sono ragazzi che stanno per mesi in altura, poi si spostano di continuo. Lontani dalle famiglie. E’ uno sport che richiede tanti sacrifici e c’è poco tempo per digerire problemi come questi, che vengono fuori di botto e producono cedimenti.

Gli atleti di alto livello vengono monitorati
Gli atleti di alto livello vengono monitorati
Nella sua squadra ci sono mai stati casi di disordini alimentari?

Qualcuno al limite c’è stato, ma niente di rilevante. C’è stata attenzione puntuale, nel porsi in maniera corretta nel segno della privacy. Abbiamo individuato una persona sola che parlasse con l’atleta. Se hai un problema e viene da te il dottore, allora magari lo ascolti. Se invece arrivano anche due direttori sportivi, allora magari mi sento preso un po’ in giro e mi girano le scatole. E in questi casi comunque la gestione oculata ha fatto rientrare il campanello di allarme.

Pensa che l’ambiente possa condizionare certe… cadute?

Mi è capitato con alcune squadre femminili, ragazze sotto i 20 anni, con allenatori dell’Est. Le sottoponevano ad allenamenti massacranti e la sera davano loro insalata e bistecca. Zero carboidrati. Facendo così rischi di bruciarti la stagione. Forse erano tecnici provenienti da certi tipi di retaggi passati, che consentivano di uscire dal selciato compensando in altro modo.

Così facendo rischi di bruciare ben più che la stagione…

Ci sono tecnici in Italia che guidano le squadre con delle vere vessazioni psicologiche. Evidentemente parliamo di persone che hanno il pelo sullo stomaco e si disinteressano dei ragazzi, perché se cadono nell’anoressia, sono rovinati per la vita. Magari poi trovano un talento ogni tot corridori e passano per scopritori di campioni, eticamente però la cosa lascia a desiderare. Gli eccessi sono sbagliati. L’anno scorso siamo andati a Sestriere prima del Tour, con il nostro cuoco che cucina benissimo ed era in contatto con il nutrizionista. I corridori facevano il loro lavoro e a tavola si regolavano in base all’esperienza. Lasciate stare che poi alla fine abbiamo vinto il Tour, ma di sicuro un approccio meno rigido spesso funziona più di quel proibizionismo senza eccezioni.

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Disordini alimentari: intervista a Brajkovic
Disordini alimentari: «Aprite quelle porte»

Disordini alimentari: «Aprite quelle porte»

19.02.2021
4 min
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L’intervista di ieri a Brajkovic non poteva cadere nel silenzio, soprattutto perché alcuni passaggi del discorso sui suoi disordini alimentari facevano pensare a una elaborazione passata attraverso vari stadi, con il ciclismo come sfondo. Impossibile andare forte a quel modo, senza un briciolo di serenità e senza cibo in corpo. Forse il caso dello sloveno è un estremo, ma se davvero il problema dei disordini alimentari è così diffuso soprattutto fra i giovani, quanti buttano via una promettente carriera, distratti da simili pensieri?

Per questo e per dare un seguito alle parole di Laura Martinelli, ci siamo rivolti a Manuella Crini, psicologa piemontese non nuova al ciclismo, e le abbiamo chiesto di rileggere per noi le parole di Brajkovic.

Che cosa ha pensato leggendo quelle parole?

E’ una bella confessione, ha tirato fuori un mondo sommerso. Si vede anche la mancanza di fiducia nel mondo del ciclismo in cui ha vissuto. Soprattutto il passaggio del medico e del direttore sportivo. Io ti porto un problema, oppure sei tu a scoprirlo e lo fai diventare di pubblico dominio? E’ sbagliato. E’ giusto che il problema coinvolga il team, ma con altri modi.

Wiggins rifiutò di correre altri Tour dopo il 2012 per non dover sottostare agli stessi sacrifici
Basta Tour per Wiggins dopo il 2012, basta con quei sacrifici
Che cosa vuole dire nel passaggio sul fare uscire quanta più energia da sé, per rendere controllabili le emozioni?

E’ uno scenario che dice tantissimo. La necessità di non far vedere le emozioni. A se stesso soprattutto. Tante volte viene confusa l’emozione con il suo correlato fisiologico e le si attribuisce un senso diverso, come la fame. Quando c’è un vuoto emotivo molto grande. Penso abbia lavorato molto per arrivare a capire queste cose di se stesso. Ma è proprio così, il cibo, il peso… sono secondari. Sono un aspetto collaterale. E’ preponderante la gestione della parte pulsionale ed emotiva.

E’ un argomento spinoso…

Spinoso e delicato e per fortuna non ci cadono tutti. La bulimia è un mondo a sé. L’anoressico vive di restrizioni, il bulimico ha momenti in cui perde davvero il controllo. Ovviamente nello sport non hai il caso del bulimico obeso, ma ad esempio li vedi chiedere ogni giorno il massimo a se stessi, in bici come in palestra. Il meccanismo di fondo è sempre lo stesso: la necessità di controllare qualcosa nella tua vita. E lo sport di sicuro accentua una predisposizione.

Brajkovic dice che in realtà che lo sport non è mai stato un problema.

Lo sport è il modo di aggirare il problema. Sai che brucerai tante calorie e di fatto andare in bici è come vomitare, quindi non mi sentirei di dire che lo sport non è mai stato un problema. Lo sport, per le sostanze che va a produrre nel nostro organismo è come una droga. Può attivare i meccanismi che danno al soggetto con questo tipo di problemi, un senso di benessere fisico e psicologico.

Che cosa significa che lo sport accentua una predisposizione?

E’ come mettere un soggetto con problemi di alcolismo in un bar. Diventare professionista comporta sicuramente delle pressioni e la pressione quando è troppa, da qualche parte la devi sfogare.

Prima ha parlato anche di anoressia.

Su cui però farei chiarezza. Non basta un periodo breve di restrizione alimentare per provocarla, ma certo nello sport è un rischio molto presente. Anche questo è un fatto di controllo, il riuscire a perdere peso. Per l’anoressico non esiste il ragionamento “mi danneggio non mangiando”. Per questo è bello l’invito di Brajkovic: mangiate per andare forte, non per perdere peso. Se ci cadi, finisci in ospedale. Il team non basta. Soprattutto se nel team sei portato a mentire perché non ti senti accolto. Ha detto cose molto profonde, che potrebbero aprire la porta ad altre interviste di questo tipo. Mi fa pensare alla depressione post partum…

Brajkovic ha corso alla United Healthcare nel 2015
Brajkovic ha corso alla United Healthcare nel 2015
Prego?

Stai facendo il tuo sport, la cosa più bella, come avere un bambino per la donna. Dovresti essere felice, invece hai un problema e non puoi parlarne perché vieni stigmatizzato. Bisogna lavorare sulla persona per aprire le porte che normalmente si tengono chiuse.

Alcuni corridori ci hanno detto che per fronteggiare certi problemi si ricorre a sostanze o all’alcol. Le risulta?

L’anoressico comunque ricorre ad attivatori ed eccitanti, la cocaina ad esempio facilita la perdita di peso. Poi ci sono le droghe che stimolano la fame chimica. E gli alcolici a basso contenuto calorico. La Tennents è la birra di chi ha questi problemi. Ha poche calorie e comunque 9 gradi, senza essere un superalcolico. E a margine di tutto, non dimentichiamo che a livello sociale, lo sport maschera. Il muscolo nasconde l’anoressia. Da qualche parte nei giorni scorsi avete scritto, gambe da superman e braccia come grissini…

Che cosa voleva dire prima con aprire le porte che normalmente si tengono chiuse?

Se altri atleti decidessero di fare coming out su questo aspetto, le squadre farebbero più fatica a puntare il dito. Dovrebbero puntarne troppi. E se si è riusciti a regolamentare il mondo delle modelle, magari si riesce anche a venirne a capo nello sport. Complicato però il ciclismo…

Una presa di coscienza a livello generale sarebbe davvero auspicabile, perché il dito non venga puntato soltanto sugli atleti. Insomma, il viaggio deve continuare e anche il riferimento alla cocaina ha riacceso ricordi e innescato riflessioni. In fondo, tirando tutti nella stessa direzione, si potrebbe lavorare per fare del ciclismo un ambiente più sano.

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Disordini alimentari: intervista a Brajkovic

Disordini alimentari: intervista a Brajkovic

18.02.2021
6 min
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Janez Brajkovic arrivò nel ciclismo con le stimmate del campione. Iridato della crono U23 nel 2004 a Bardolino, lo sloveno si lasciò dietro Dekker e Nibali. Scalatore fortissimo, le statistiche lo davano alto 1,77 per 60 chili. Di lui si accorse Bruyneel che lo portò con sé alla Discovery Channel poi all’Astana e da lì alla Radio Shack. Quando il gruppo americano si sciolse, Jani tornò all’Astana, alla United Healthcare, al Team Bahrain e poi alla Adria Mobil.

Il 6 agosto del 2019, da poco rientrato da una squalifica per doping, pubblicò un post nel suo sito dal titolo “Scheletri nell’armadio”. Un testo durissimo, sui suoi difficili problemi con il cibo. Ma oltre alla sua fragilità, quel testo esprime l’amara consapevolezza (da parte sua) che il mondo del professionismo sia affetto da gravi disordini alimentari. Anche fra coloro che conquistano i podi dei grandi Giri.

Fino al 2020 Brajkovic è stato tesserato con la continental Adria Mobil. La sua ultima corsa è stata il Giro del Friuli, chiuso all’ottavo posto in classifica generale. Noi di bici.PRO siamo voluti andare oltre quel testo e a Brajkovic ci siamo rivolti, in questo viaggio nei disordini alimentari del gruppo iniziato da un’intervista a Laura Martinelli. Un percorso costruttivo che coinvolge tutti, ma soprattutto dovrebbe portare una diversa consapevolezza negli atleti e in chi li… maneggia con troppa disinvoltura.

Nel 2007, Brajkovic vince il Tour of Georgia
Nel 2007, Brajkovic vince il Tour of Georgia
Perché a un certo punto hai sentito il bisogno di parlare della tua situazione?

Mi sono accorto che qualcosa non andava nella mia testa quando ho fallito ai campionati nazionali nel 2019. Una settimana prima ero capace di fare 6,2 watt/kg per 35 minuti dopo 4 ore di bici e 2.500 m di dislivello, mentre il giorno della gara non ero riuscito a mantenere 5,5 watt/kg per 20 minuti. Dovevo sistemare questa cosa, dovevo dire la verità, tutta la verità.

Quando ti hanno detto per la prima volta che per andare più veloce dovevi essere magro?

Non ho mai avuto problemi di peso, la bulimia per me non era perdere peso. Si trattava di far uscire abbastanza energia da me, in modo che le mie emozioni fossero sempre più piccole… Così piccole da poterle trattenere dentro di me, senza esprimerle.

Allora perché pensi che i tuoi insuccessi siano stati in qualche modo legati all’alimentazione?

Ho sempre pensato che la bulimia stesse rovinando la mia carriera, perché comunque ho studiato e sapevo cosa significasse. Sapevo cosa provoca nel corpo, in che modo influisce sulle prestazioni e quale sarebbe stato lo scenario peggiore… Scenario che in alcuni momenti della mia vita ho davvero creduto mi avrebbe portato alla morte

Nel 2008 arriva 2° al Lombardia, ma non sa che davanti Cunego ha già vinto
Nel 2008 arriva 2° al Lombardia, davanti Cunego ha già vinto
Credi che l’ambiente delle squadre, le battute e le pressioni dei manager ti abbiano spinto verso questo problema?

Nel mio caso no, ma per alcuni corridori ne ho la certezza.

Alcuni corridori hanno detto di parlare spesso di questi argomenti, ma di non avere il coraggio di affrontarli con i capi dei team: cosa ne pensi?

Ne parlano fino a un certo punto. Non parlerebbero quasi mai di bulimia o anoressia. In quelle condizioni, una persona prova così tanta vergogna, che fa di tutto per nasconderlo.

E’ possibile che nelle squadre in cui hai corso nessuno abbia notato nulla?

Certo che l’hanno capito. E una volta che te ne rendi conto, non puoi più essere onesto. Smetti di parlare con loro in modo rilassato. Alla fine, sapevo che stavo mentendo. All’Astana, un medico si avvicinò e cercò di parlare della mia bulimia. Ovviamente dissi che stavo bene e non c’era niente che non andasse. Non ero pronto per affrontarlo. Perché? Perché sapevo che se avessi detto di avere un problema, un minuto dopo l’intera squadra avrebbe saputo cosa stava succedendo… e non potevo gestirlo. Ma è successo comunque, il dottore lo disse a tutti.

Come fai a saperlo?

Alla fine della stagione firmai con il team United Healthcare. Al primo ritiro, un tecnico italiano mi chiese se avessi la bulimia, come gli aveva detto quel medico dell’Astana. Non c’è fiducia o riservatezza nel ciclismo. Finché questo andrà avanti, i disturbi alimentari e i problemi di salute mentale rimarranno argomenti tabù

Perché c’è vergogna nel parlarne?

Perché sai che stai facendo qualcosa di brutto, qualcosa di innaturale, in un certo senso stai barando… Pensi di avere il controllo, ma in effetti è il cibo che controlla te. La soluzione è molto semplice: semplicemente non mangiare, ma non puoi fermarti. E in questo modo continui a tradire te stesso ogni giorno, più volte al giorno…

Nel 2017 corre con il Team Bahrain, qui ad Abu Dhabi
Nel 2017 corre con il Team Bahrain
Ti sei mai sentito debole in corsa per questo problema? Pensi che i tuoi risultati ne siano stati condizionati?

Sì, in ogni corsa che abbia fatto dal 2005 al 2020, con l’eccezione del Castilla Leon 2006, del Tour de France 2012 e il Delfinato del 2010 (ad eccezione del prologo).

Hai mai pensato che la sola soluzione per uscirne fosse smettere di correre?

Mai, correre e andare in bici non erano un problema. Il problema era molto più profondo… il mio passato, la mia infanzia.

Hai scritto di molti corridori con lo stesso problema: hai parlato con loro oppure li riconosci dai comportamenti?

Molti, uomini e donne. Corridori che non avevo incontrato mai prima. Per loro è un sollievo incredibile poter parlare con qualcuno che capisce, non giudica, si limita ad ascoltare. Questo è il motivo per cui non mi fermo, ne parlerò finché non diventerà accettabile, finché se ne potrà discutere. Finché le cose non saranno fatte bene e i corridori saranno in grado di ottenere aiuto all’interno delle squadre

Credi che il tuo carattere e i tuoi comportamenti siano stati condizionati?

La bulimia era solo un sintomo, non il problema principale. Ma sì, il mio comportamento era molto diverso da quello che è adesso.

Pensi che la tua carriera ne sia stata condizionata?

Sì.

Brajkovic cade davvero molto spesso, qui al Polonia 2014
Cade davvero molto spesso, qui al Polonia 2014
Credi che la gente dall’esterno si renda conto di cosa significhi oggi vivere come un ciclista professionista?

Più o meno, ma non del tutto.

Pensi di averla superata?

Credo di stare meglio, non penso mai al cibo, non penso più che devo vomitare. Mangio in modo sano, ma ora il cibo non è più il centro della mia vita.

C’è un consiglio che vorresti dare ai giovani corridori sul tema dell’alimentazione?

Mangiate per andare forte, non per perdere peso. Non ascoltate ogni idiota che pensa di sapere tutto sulla nutrizione. Io sono sempre qui per parlarvi e anche se non avrò sempre una risposta, vi ascolterò. Essere ascoltati, significa già molto.

C’è un consiglio che vorresti dare ai direttori sportivi sull’alimentazione dei loro atleti?

Non sapete quasi niente. Sapete molto poco di psicologia e di come parlare ai corridori. Restate nella vostra corsia, siate gentili e non feriteli. Ascoltateli.

Jani, cosa fai oggi?

Da alcuni anni mi occupo di preparazione, ho sempre avuto parecchie conoscenze, ma non ero abbastanza sicuro di condividerle con gli altri. Ora lo sono. E i risultati sono visibili con i miei atleti. Stanno migliorando velocemente, sono più felici. Sto anche lavorando a un progetto a Dubai, con giovani corridori degli Emirati Arabi Uniti. Avevo un grande desiderio e ce l’ho ancora: correre un’altra stagione. Perché sarebbe la prima stagione in cui sarei completamente in salute e sono sicuro che potrei ottenere molto. Non grandi vittorie, sono realista, ma di sicuro qualche piazzamento tra i primi dieci. Purtroppo le squadre non sono rimaste colpite da quello che ho proposto…

Per vedere un sorriso di Brajkovic occorre tornare al 2006, quando vestì la maglia di leader alla Vuelta
Per vedere un sorriso occorre tornare al 2006, quando vestì la maglia di leader alla Vuelta
Cosa hai proposto?

Aiutare i corridori con problemi mentali e disturbi alimentari. Ho visto i risultati in prima persona, lavorando l’anno scorso con un corridore del WorldTour che voleva tornare a casa da un grande Giro nella prima settimana e poi nella terza andava in salita con i migliori 8 della classifica. I nostri limiti sono prevalentemente mentali, non fisiologici.

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16.02.2021
4 min
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«Oggi ho parlato con Laura – dice Marino Rosti – quello dei disordini alimentari è un argomento che rientra nelle mie competenze. Ma questa è una roba… brutta. La prima cosa che dicono: “Io non ho problemi”».

Laura Martinelli lo ha detto chiaramente: ad accorgersi che il corridore potrebbe avere disordini alimentari sono coloro che hanno il maggior contatto fisico: il preparatore e il direttore sportivo. Marino Rosti non è l’uno né l’altro, però nei suoi anni alla Liquigas e poi al team Bahrain-McLaren, era colui che, in sintonia con il preparatore Slongo, curava le sedute di ginnastica a corpo libero e di allungamento. Avendo anche un master in Psicologia dello Sport, gli è capitato spesso di notare comportamenti insoliti da parte di alcuni suoi atleti. Ma non ci sta a focalizzare tutto su di loro, come invece fa comodo in questi casi.

«Discende tutto dall’esasperazione – dice – dalla ricerca del massimo e dalla necessità di dare l’immagine dell’atleta sempre tirato. Accade in tutti gli sport e come in tutti gli sport, l’alimentazione è fondamentale. Se non mangi il giusto, non vai avanti. Bisognerebbe trovare le persone giuste, il nutrizionista capace di guidarti. E non lasciare che, soprattutto i giovani, vadano su internet e facciano le cose in modo sbagliato. Soprattutto perché, non ottenendo risultati all’altezza dei sacrifici, cosa fanno? Continuano con la privazione. E allora ti accorgi che anche un semplice gelato diventa il frutto proibito. Ecco fate caso ai corridori che davanti al gelato fanno un passo indietro…».

Qual è il confine fra magrezza sana e ossessione?
Qual è il confine fra magrezza sana e ossessione?
La letteratura del ciclismo è ricca di direttori sportivi che chiedono ai gelatai di segnalargli l’arrivo dei corridori.

Certo, perché a un certo punto lo fanno di nascosto e subito dopo li coglie il senso di colpa. Ma vi assicuro che è un regime insostenibile, dopo un po’ sbotti.

Quanto è diffuso nei team questo problema?

Ne ho conosciuti tanti che mangiavano e poi si mettevano il dito in gola. Solo che i campioni vengono seguiti, il problema colpisce soprattutto i giovani e quelli che sono in cerca di una dimensione. Conta l’immagine, come per le modelle. Alcune sono magre naturalmente, le altre non mangiano. Il corridore deve essere magrissimo. Braccia come grissini e gambe da superman.

Secondo Davide Cimolai il tema è molto discusso fra corridori, come ne parla lo staff del team?

Se ne parla tanto, come tanto si parla della necessità di avere il peso a posto, ma in modo sbagliato. Le parole dette a mezza bocca, le battute, il dire continuamente che sono grossi. A un soggetto debole questo martellamento fa effetto. Così arriva alla privazione e in men che non si dica diventa una malattia. I disordini alimentari non nascono a caso. Ne ho conosciuti. Quelli che si sentono a disagio per questi temi sono già una bella fetta. Alcuni lo superano. Ho conosciuto corridori robusti che se ne fregavano.

L’ossessione della magrezza attacca i giovani e gli scalatori
L’ossessione della magrezza attacca giovani e scalatori
Le parole dette a mezza bocca, le battute…

Il dire a qualcuno che deve essere magro è deleterio, semmai digli che deve essere forte. E’ come quando inizi la salita e dicono al corridore: «Non ti staccare». Che cosa metti nella sua testa? Che è destinato a staccarsi, che non ci credi. Allora digli: «Stai davanti e controlla», andrà certamente meglio. E se pensi che debba dimagrire, visto che parliamo di professionisti al massimo livello, mettigli accanto un esperto, non chiedergli di fare da sé. Il martellamento non funziona, soprattutto perché una volta lo sportivo era più forte dal punto di vista caratteriale, oggi i giovani sono mediamente più fragili e di conseguenza a rischio in situazioni che possono diventare patologiche e diventano di competenza di un medico, spesso lo psichiatra.

Il Team Ineos ne ha uno in organico.

Non uno qualunque, è Steve Peters, l’autore del “Paradosso dello Scimpanzè”. La sua tesi è che in ognuno di noi convivano l’umano e lo scimpanzè e lo sforzo quotidiano deve essere quello di tenere a bada l’istinto, mantenendo sempre l’autrocontrollo. L’appetito è fra gli istinti da controllare? Quando andavamo sul Teide, già dai primi tempi, erano sempre per i fatti loro, non salutavano, lo sguardo basso, a tavola non li sentivi. Tanto che noi facevamo quasi apposta a salutarli, abbracciarli, per capire a che punto arrivassero. Ora pare che un po’ anche loro stiano cambiando.

Indurre l’eccesso in soggetti già magri è una pratica a rischio
Rischioso indurre l’eccesso in soggetti già magri
Da cosa ti accorgi che un atleta ha disordini alimentari?

Hanno mille fissazioni, diventano quasi maniacali. Suscettibili sui dettagli. Sono i primi segnali del disagio, se hai l’occhio attento, lo sai cogliere. A tavola, prima mangiano e poi vanno in bagno. Hanno sempre una mela in mano, si guardano intorno. Carezzano spesso la gamba controllando che si veda la vena. In corsa non prendono il rifornimento, perché si fanno bastare la barretta. Il corpo manifesta quello che hai dentro.

Come si aiutano?

Con una persona all’interno che gli dia una mano, oppure cercando fuori un punto di riferimento. Anche loro si rendono conto di non andar bene, ma non sempre riescono a reagire in modo razionale.

Disordini alimentari, interviene Cimolai

15.02.2021
3 min
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Fra chi ha letto interessato e chi ha commentato che si tratta solo di banalità, in calce all’intervista con Laura Martinelli sui disordini alimentari è spuntato il “mi piace” di Cimolai, professionista dal 2010 e attualmente alla Israel Start-Up Nation. La cosa non è passata inosservata, per cui il primo passo è stato mandargli un messaggio chiedendogli il perché di quel giudizio, cui Davide ha risposto quasi immediatamente.

« Perché a mio avviso – ha scritto – tanti ragazzi soprattutto giovani vivono male il problema alimentazione. Purtroppo la “vecchia generazione” insegna ancora metodologie a mio avviso sbagliate».

Frank e Andy Schleck, entrambi magrissimi. Anche Andy ha smesso di colpo come Dumoulin
Frank Schleck esempio di magrezza estrema

Il mito leggerezza

Il passo successivo è stato chiedergli di parlarne e anche questa volta “Cimo” ha acconsentito.

«Il problema non è nato ieri – dice – l’ho vissuto io 12 anni fa quando sono passato. Basta guardarsi intorno, come vanno ancora le cose. Se chi ti guida ha la mentalità vecchia, se dopo cinque ore di allenamento ti danno una mela o un frutto, capisci che qualcosa non va? Così passi professionista e pensi che essere leggero sia l’unica cosa che conta, mentre magari quel chilo in più è la differenza tra andare forte e smettere di correre. Io l’ho imparato a mie spese».

Perché succede?

Ci sono due aspetti da scindere. Avrei preferito trovare sulla mia strada qualcuno che mi insegnasse a mangiare bene. Se non avessi capito da me, avrei davvero smesso di correre. Nelle squadre servirebbe qualcuno in grado di spiegarlo ai neopro’. All’estero ormai certe figure le trovi anche nelle categorie giovanili, in Italia c’è ancora troppa incompetenza. E poi c’è l’altro lato.

Che sarebbe?

Adesso come adesso, avere uno in squadra che si mette dietro di te a tavola a controllare quello che mangi, uno che non fa il nutrizionista, mi starebbe sulle scatole. Chi sei per dirmi certe cose? Ma questo succede prevalentemente in ambito italiano.

Capisci bene che se parli di un neopro’, è dura che possa gestirla da sé…

Devi avere carattere e la fortuna di ascoltare tanto i compagni più esperti. Se un giovane mi chiedesse di queste cose, io sarei ben contento di aiutarlo. Sapete che cosa davvero mi scoccia di questi ragazzi che arrivano e nemmeno ti guardano? Più ancora del poco rispetto in corsa, proprio il fatto che pensino di sapere tutto.

Fra corridori si parla dei disordini alimentari?

Sono l’argomento più importante. C’è stato chi per questo ha smesso di correre e per fortuna ce ne sono altri che hanno buttato via gli anni migliori, ma almeno si sono ripresi e sono ancora in gruppo. Uno era con me, un bel talento, e ci ha messo sei anni per tornare in sé. Un altro è passato con risultati eccezionali sulle spalle e a 19 anni già era al punto che non si concedeva nemmeno una pizza, ma dopo 4-5 anni si è messo a posto. Il discorso è: chi te lo dà tanto tempo?

Eneco Tour 2010, Cimolai è al primo anno da professionista
Eneco Tour 2010, Cimolai neoprofessionista
Hai detto che anche tu hai avuto disordini di questo tipo?

Ho buttato via 2-3 anni di carriera, i primi da professionista, poi ho cominciato ad emergere.

Ci sono squadre che hanno messo la magrezza estrema alla base di tutto.

E magari i risultati gli danno ragione. Spremono così tanto i corridori, che quando cambiano squadra, poi non vanno avanti.

Quando ricominci a correre?

Dovevo partire dalla Spagna, ma hanno cancellato. Per cui debutto nel weekend del 27-27 febbraio, con la  Royal Bernard Drome Classic e poi  Faun-Ardèche Classic, entrambe in Francia. E poi speriamo che a marzo si possa andare avanti normalmente.