Disordini alimentari: Bongiorno, era quasi anoressia

10.03.2021
7 min
Salva

Nella testa di un corridore che ha deciso di essere magro a qualsiasi costo, fino a sfiorare l’anoressia, c’è un bel mucchio di pensieri contorti. Quando chiudiamo la telefonata con Manuel Bongiorno, in procinto di tornare in gruppo con la Global6 Cycling, il quadro diventa drammaticamente concreto. Manuel adesso ne è fuori e paradossalmente è stato salvato dall’essere rimasto senza squadra nel 2018. Finì a lavorare in un ristorante: terapia migliore non poteva esserci, quasi un contrappasso. E’ bello, ancorché drammatico, riscontrare nei corridori la voglia di parlarne. Quasi per liberarsi la coscienza. Ed è bella anche la voglia di metterci la faccia e dire che oggi il problema è avviato a soluzione, grazie all’avvento e alla sempre maggiore diffusione dei nutrizionisti.

Quando e perché il peso cominciò a diventare un’attenzione?

Fino al momento in cui passai professionista, non ci avevo fatto troppo caso. Era il 2013, avevo firmato con la Bardiani. Mi accorsi che tutti erano fissati su questo aspetto. Ci stavano attenti. Si guardavano addosso. Il medico della squadra, il dottor Benini, diceva di non scendere mai sotto un certo peso. Io sono alto 1,72 e pesavo sui 59-60 chili, ma decisi di scendere a 55 per il Giro dell’Emilia, in cui effettivamente arrivai quinto. Il dottore disse di non insistere, altrimenti avrei… sbiellato. Era frequente che i corridori dimagrissero per il singolo obiettivo. Tanti facevano la dieta dissociata, con la sottrazione di carboidrati nella prima fase e poi un carico notevole alla vigilia della corsa. Non dico che facesse bene, però funzionava.

Questa la maglia della Global6 Cycling con cui Bongiorno tornerà in corsa il 21 marzo a Sesto Fiorentino
Questa la maglia con cui tornerà in corsa il 21 marzo
Per cui dopo l’Emilia, tutto tornò normale?

Direi di sì. Nel 2014, che fu uno dei miei anni migliori, decisi che un buon peso poteva essere 58 chili, per avere margine da gestire tutto l’anno. Così anche nel 2015, almeno fino al Giro, dove però non andai un granché. Decisi che dovevo limare qualche chilo. Mi rivolsi a un nutrizionista, che eliminò il glutine e secondo me combinò qualcosa. Di colpo il mio metabolismo rallentò. E invece di dimagrire, cominciai a ingrassare. E lì successe qualcosa.

Che cosa?

Al di là del sentire battute sul peso, la mia testa iniziò a fare giri strani. L’85-90 per cento dei miei problemi derivò dalle credenze e dall’ignoranza, mia e di tutto l’ambiente. Se uno magrissimo mi staccava in salita, pensavo di dover dimagrire ancora. A quel tempo il preparatore della squadra era Cucinotta, ma lui non mi ha mai detto nulla del peso. Non parlava dell’alimentazione. Ora ci sono i nutrizionisti, ognuno sta nel suo ambito e ti dice cosa fare. Ma ho incontrato anche persone che volevano fare tutto loro.

Così cominciasti a dimagrire?

Dai quasi 60 chili che pesavo da neoprofessionista, scesi fino a 51,8. Col senno di poi, riguardando le analisi che raccolgo sin da quando ero junior, posso dire che mi ritrovai con valori drammatici. Con il testosterone bassissimo. E ricordo anche dove tutto cominciò.

Da U23 è tricolore e nel 2012 vince una tappa al Valli Cuneesi
Da U23 è tricolore e nel 2012 vince una tappa al Valli Cuneesi
Dove?

Ero sempre alla Bardiani, nel 2016, prima del Giro d’Austria. Andai a fare un test del VO2Max, in cui normalmente avevo un valore di 82. Dopo il Giro, ero sceso da 55,8 a 54 chili e in quel test venne fuori un 86. E’ chiaro che se sei più leggero, lo scambio di ossigeno sale. Ero già al limite, ma pensai che se fossi sceso ancora, il test sarebbe stato ancora migliore.

Le prestazioni?

Non erano esaltanti. Erano anche anni in cui dire a un corridore «quanto sei magro!», era fargli il più bello dei complimenti. Mi piaceva sentirmi dire che ero uno scheletro. Era anoressia, ma non lo capivo. A momenti pensavo che fosse troppo. Alla Sangemini, nel 2017, correvo poco. In allenamento facevo pianura e poi una salita al mio ritmo, in cui così leggero andavo anche bene. Ma in corsa, dopo due fiammate a 60 all’ora, andavo in crisi e non recuperavo.

Come si arriva a 51,8 chili?

Se dovevo mangiare 70 grammi di riso, toglievo i chicchi di troppo. Certe volte mangiavo meno insalata, perché le verdure danno ritenzione idrica. Per paura della bilancia al mattino, non bevevo dalla sera prima e potete capire che squilibri anche negli elettroliti. Ho letto i vostri articoli…

Passa professionista nel 2013 con la Bardiani, pesa 59 chili
Passa professionista nel 2013 con la Bardiani, pesa 59 chili
C’è del vero?

Mi sono riconosciuto in tutti. Anche io buttavo il sacchetto del rifornimento. Quando avevo fame, aprivo una barretta, la masticavo e poi la sputavo. Ho sentito tanti corridori, anche ora, che fanno così.

Cosa facevi se ti capitava di stare a cena fuori?

Prendevo il pollo e non bevevo birra. Ero a disagio e mettevo a disagio la mia ragazza, perché magari si organizzava e all’ultimo inventavo una scusa per non andare. E’ stato così da metà 2015 fino a metà 2017. Poi quando ho smesso ho avuto un rebound e li ho ripresi tutti. A me piace mangiare. Ora quando sono a tavola, spengo anche il telefono: è un momento importante.

Che cosa è cambiato quando ti sei ritrovato senza squadra?

Non dovevo più rendere conto alla bici. In uno degli ultimi allenamenti verso Volterra, Umberto Orsini, mi fece una foto e disse che gli facevo ribrezzo per quanto ero magro. Non mi rendevo conto di nulla. E quando ci pensavo, mi dicevo che non sarei mai voluto tornare a 56 chili, massimo 53, altrimenti in salita non andavo. Ero sotto peso.

Manuel Bongiorno, Tour de Langkawi 2020
Quando rientra alla Vini Zabù, dice di aver imparato dai suoi errori del passato
Manuel Bongiorno
Rientra alla Vino Zabù e dice di aver imparato dai suoi errori
Nel 2019 hai ripreso, che cosa è cambiato?

Anche ora voglio essere più magro possibile, ma con le energie. Non guardo la bilancia, mi concentro sui tempi di percorrenza delle salite. La mattina il vizio di guardarmi allo specchio, di toccarmi la gamba per vedere se è tonica, ce l’ho ancora. Però peso 59 chili come da dilettante. Mangio sempre pulito, ma se voglio un cornetto, ora lo prendo. Chiaro, in quest’ultimo mese, con l’inizio delle corse, ci sto più attento, ma l’altro giorno dopo un allenamento di 5 ore, ho fatto una sparata e avevo ancora forza per farla.

Vedi intorno a te ragazzi con lo stesso problema di allora?

Tanti. In bici fai fatica a capirlo, ma i comportamenti nel tempo libero sono inconfondibili. Ho letto di quelli che girano con la mela in mano. Non ci avevo mai fatto caso, ma è verissimo. Ce ne sono tanti che durante i pasti si alzano e vanno più volte in bagno. Tanti che evitano i carboidrati come fossero veleno. E’ un sintomo dell’estremizzazione. Come quando il preparatore ti dice di fare tre serie e tu ne fai quattro, perché pensi che sia meglio. Ogni abuso porta dei danni. Ma il corridore non si fida, il guaio è questo.

Aru ha raccontato che in certi casi diffidi anche del collega che prova a darti un consiglio…

Evidentemente questo per lui è un nervo scoperto. L’atleta è debole e influenzabile. Provi l’allenamento del momento. Senti la lode per la magrezza. E le pugnalate più grosse sono quelle che ti entrano nella testa.

Questa la foto fatta da Orsini che commenta: «Mi fai ribrezzo per quanto sei magro». E’ quasi anoressia
Questa la foto fatta da Orsini che commenta: «Mi fai ribrezzo per quanto sei magro»
Raccontano che dopo il secondo posto al Giro Bio del 2012, Aru tornò in ritiro e si sentì dire dal tecnico che non avrebbe mai potuto vincere, “con quel culo che aveva”. Mentre Dombrowski sì che era magro… 

Le pugnalate. Magari non l’hanno detto neppure con cattiveria, oppure sì. Ma se hai in testa che il peso sia un problema, quella frase può diventare devastante. Io con tanti, che prima hanno vinto i Giri e le tappe e poi di colpo hanno smesso, ho corso anche da dilettante. Che cambiamento fisico hanno fatto a un certo punto? Sono fatiche che non si reggono, che ti svuotano.

Prima hai detto di aver lavorato con gente che voleva ricoprire più ruoli.

Credo che i problemi alimentari siano più frequenti nelle piccole squadre, dove non c’è controllo. Non avevo chi mi spiegasse come fare. A me piace fare il soldato, eseguire le disposizioni. Se avessi avuto delle tabelle come negli squadroni, sarei stato contento. Alla Ineos pare abbiano mollato. Corrono con tattiche nuove. In realtà secondo me il loro obiettivo è sempre vincere, ma dato che tutti hanno imparato a fare come loro, adesso loro cambiano gioco. Come il Barcellona di Guardiola. Dopo aver vinto tutto e portato tutti sul tiki taka, a un certo punto per vincere ancora hanno dovuto cambiare strategia, ma non mentalità.

Come mai hai scelto di esporti?

Il problema l’ho avuto. Mi sono reso conto che stavo sbagliando. L’anno in cui ho smesso mi ha aiutato, ma non significa che tutti debbano smettere per venirne fuori. Il messaggio che vorrei far passare è che questo è il nostro lavoro, dobbiamo dare il massimo col nostro corpo ma senza esagerare. E oggi abbiamo la fortuna di poterci affidare a persone competenti. Ed è un bel passo avanti.

NEGLI ARTICOLI PRECEDENTI

Disordini alimentari: un male oscuro di cui nessuno parla
Disordini alimentari: interviene Cimolai
Disordini alimentari: «E’ una roba brutta»

Disordini alimentari: intervista a Brajkovic
Disordini alimentari: «Aprite quelle porte»
Disordini alimentari: a volte l’ambiente incide
Disordini alimentari: Anche Aru ha qualcosa da dire