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Mezz’ora con Monica Santini: tra passato, presente e futuro

14.11.2023
7 min
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BERGAMO – Lo showroom all’interno della nuova sede di Santini si nasconde dietro una porta abbastanza anonima. Una volta aperta, però, il colpo d’occhio è incredibile. All’interno di quell’immenso spazio c’è tutta la storia di Santini, dal ciclismo eroico fino alle collezioni per l’estate del 2024. Ogni metro della nuova struttura del maglificio bergamasco unisce storia e modernità, come l’edificio stesso, disegnato dall’architetto Giuseppe Gambirasio e rielaborato, come lo si vede ora, dall’architetto Marco Acerbis

Nuova vita in città

All’interno dello showroom non ci sono solamente i capi d’abbigliamento firmati Santini, ma anche delle sale riunioni, per la precisione tre, che prendono il nome delle maglie più famose disegnate dal brand. Noi prendiamo posto, insieme a Monica Santini, nella “Rainbow Room” quella centrale. 

«Fare questo passo in città, quindi a Bergamo – spiega Monica Santini, CEO dell’azienda – è stato molto importante. Noi avevamo l’obiettivo di non allontanarci troppo dalla sede precedente, quella di Lallio. Il motivo è semplice: non volevamo perdere dipendenti, sapevamo di dover rimanere nel raggio di 8 chilometri. Avevamo due opzioni: prendere un’area nuova e costruire da zero, oppure puntare su una ristrutturazione. Le politiche di oggi sono volte a ristrutturare, ma è anche vero che non c’è alcun tipo di aiuto economico per chi lo fa. Voler prendere posto in città è stata una scelta legata ad un fatto d’immagine, la nostra azienda usa l’immagine come punto di vendita».

Ampliamento e investimento

L’area della nuova sede di Santini è nascosta dalle case che la circondano a stretto giro. L’autostrada non è lontana, ma girandosi verso nord si vede il profilo di Città Alta, adagiata dolcemente sui colli bergamaschi. Appena si svolta per entrare in sede si viene colpiti dall’immensità degli spazi e delle strutture. 

«Quando abbiamo guardato quest’area – ci confida Monica – pensavamo fosse fin troppo grande, siamo nell’ordine dei 15.000 metri quadri (la vecchia sede di Lallio era di 5.800, ndr). Non abbiamo ancora occupato tutte le aree, per esempio nella parte della produzione ci sono ancora 1.000 metri quadri liberi, su un totale di 10.000. Anche nella parte degli uffici ci sono aree da ristrutturare. La nostra azienda – dice con un sorriso – rinnova le proprie aree ogni 21 anni. Il primo edificio mio padre l’ha comprato nel 1979 e il secondo, per il raddoppio, è arrivato nel 2000, il terzo cambiamento, invece, nel 2021».

«Quest’ultimo investimento – continua la CEO – è arrivato con la firma della collaborazione con il Tour de France, già cinque anni fa avevamo iniziato a cercare dei posti, con l’obiettivo di tenere tutto insieme (produzione e uffici, ndr)».

Dal giallo all’arcobaleno

Santini ha una storia legata indissolubilmente al ciclismo, complice anche quella firma sulla maglia iridata. Una grande responsabilità che ha contribuito a far crescere l’azienda e la sua fama. Notorietà che è andata di pari passo con la visione prima del Cavalier Pietro Rosino Santini e poi delle figlie Monica e Paola. 

«Tutte le sponsorship hanno contribuito allo sviluppo del brand – conferma Monica Santini – e questo ci ha permesso di far percepire quello che è Santini: un’azienda familiare che ama il bello. La sede, a nostro modo di vedere bella, è un segno di questa nostra tendenza. Collaborare con il Tour de France è stata una grandissima soddisfazione e una innegabile occasione di visibilità. Ancor di più ci ha sorpreso, in positivo, la collaborazione con ASO. Si tratta di un’azienda che ha degli obiettivi e lavora per raggiungerli. E’ uno sponsor interessante, che prospetta dei KPI (indicatori di performance, ndr) e lavora con te per raggiungerli». 

«Dopo due anni di lavoro insieme al Tour de France – prosegue Monica – possiamo ritenerci soddisfatti. Dopo tanti anni la Grande Boucle è tornata ad essere una corsa combattuta ed i vincitori delle altre maglie non sono mai stati banali. Per il 2024 c’è ancora più suspence dopo l’arrivo di Roglic alla Bora. Il prossimo anno, però non ci sarà solo questa novità, ma anche la partenza del Tour da Firenze. Una prima volta storica per la quale anche noi ci siamo battuti accanto a Davide Cassani. Vorremo aprire, a Firenze, nel mese di luglio, un temporary store, come fatto a Parigi negli ultimi due anni. Un format che ci ha sorpresi e non poco. L’obiettivo è di realizzarlo anche a Nizza, sede di arrivo del prossimo Tour».

Azienda al femminile

Il rosa non è solamente il colore della maglia che Santini per anni ha disegnato e realizzato per il Giro d’Italia, ma anche il “colore” dell’azienda. Santini è un universo che guarda molto al femminile.

«Il 70 per cento, anche il 75, del personale Santini – spiega con orgoglio Monica – è composto da donne. E non è una cosa che riguarda solamente la produzione, ma anche le più alte cariche dirigenziali. Il ciclismo femminile rappresenta anche una buona fetta del nostro mercato e le collaborazioni con il Tour de France Femmes e la Vuelta Femenina sono un bel motore anche in questo. Ogni nuova collezione che pensiamo e realizziamo deve avere la sua gamma femminile. Il nostro responsabile creativo, Fergus Niland, ci confessa che con le collezioni per le donne ha molta più libertà nel disegnare. Le donne sono più creative e cambiano anche per la volontà di farlo, non esclusivamente per necessità».

«Non dobbiamo dimenticare – conclude Monica Santini – l’importanza del mondo gravel che ci ha fornito un diverso punto di vista, così come l’urban. Si tratta di consumatori che in parte arrivano dal mondo della strada, ma non solo. Spesso sono dei modi completamente diversi del vedere il ciclismo e questo ci permette di aprire nuovi orizzonti».

Finito il nostro tempo con Monica Santini ci rimane addosso quella curiosità di scoprire cosa vedremo in futuro per questo marchio. Le idee ci sono e l’investimento nella nuova sede ha portato maggior ordine e capacità produttiva. Monica scherzando ci dice che questo è il suo ultimo ampliamento, poi toccherà alle nuove generazioni. Siamo convinti, tuttavia, che in questa struttura dove il vecchio incontra il nuovo, Santini, abbia trovato la sua casa.

Remco non va, Bagioli capitano: prove generali di futuro

08.10.2023
6 min
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BERGAMO – Ha completato il suo personalissimo podio negli ultimi cinque giorni. Terzo alla Bernocchi, primo al Gran Piemonte ed infine secondo al Lombardia. Non smette di ripeterlo Andrea Bagioli nel dopo corsa. Lo dice con una bella carica di soddisfazione. E non gli si può dare torto, considerando come alla fine si sia inserito tra i due attesissimi totem sloveni Pogacar e Roglic.

Il pubblico di Bergamo si gusta l’arrivo solitario del leader della UAE Emirates ed applaude la volata del valtellinese della Soudal-Quick Step, che anticipa il capitano della Jumbo-Visma e il resto dei migliori. Appena tagliato il traguardo Bagioli viene subito precettato per il cerimoniale delle premiazioni, ma si capisce subito che ha voglia di parlare. La prestazione del Lombardia è la normale conseguenza di una condizione ottimale arrivata (e concretizzata) in quest’ultima settimana. Una settimana movimentata per la sua formazione.

Caduto nella prima parte di gara, Evenepoel paga dazio quando esplode la corsa. A quel punto Bagioli diventa leader
Caduto nella prima parte di gara, Evenepoel paga dazio quando esplode la corsa. A quel punto Bagioli diventa leader

Sorpreso di se stesso

Con una gamba così talvolta sembra quasi un dispiacere dover chiudere per forza l’annata, ma Bagioli non ci vuole pensare più di tanto. Guarda a ciò che è appena diventata storia agonistica con un pizzico di sorpresa.

«Diciamo che tra Gran Piemonte e oggi (ieri per chi legge, ndr) – spiega Bagioli – il livello era molto diverso, molto più alto qui al Lombardia. Sapevo di stare bene, ma sinceramente non avrei mai pensato di tenere sul Passo di Ganda. Questa era una salita di oltre venti minuti e solitamente sono troppo lunghe per me. In quel momento mi stavo vedendo nel gruppetto con Pogacar, Roglic, Carapaz, Vlasov e i due Yates.

«E’ stato strano, era la prima volta per me essere davanti con loro, però è stata una settimana incredibile con tre piazzamenti sul podio. In ogni caso sono riuscito a passare via bene la salita e poi ho pensato alla volata quando abbiamo capito che Pogacar non si poteva più riprendere».

Nel tratto di pianura dopo il Ganda, Bagioli e gli altri si danno i cambi, ma Pogacar scappa sempre di più
Nel tratto di pianura dopo il Ganda, Bagioli e gli altri si danno i cambi, ma Pogacar scappa sempre di più

Obiettivo sprint

Pogacar contro tutti, gli ultimi 30 chilometri si sono vissuti così. Il vincitore inizia la discesa del Ganda per primo senza dare l’impressione di attaccare. Invece guadagna terreno e gli inseguitori iniziano a pensare al secondo posto.

«Forse a qualcuno – prosegue Bagioli – può sembrare che in vetta sia Pogacar che Roglic fossero in crisi ma non lo erano, Pogacar soprattutto. Proprio sullo scollinamento Tadej ha allungato di poco, aveva pochi secondi, ma noi dietro ci siamo guardati e lui ha preso vantaggio. Noi eravamo a tutta, lui invece aveva ancora qualcosa nelle gambe ed ha fatto la differenza. Complimenti a Pogacar perché tenere tutto il tratto di pianura col vento contrario significa andare veramente forte. Nel finale ho pensato solo a spingere malgrado i crampi».

Bagioli voleva arrivare allo sprint con quel gruppetto perché sapeva di essere il più veloce. «Avevo solo paura che Roglic partisse presto visto che l’arrivo era in leggera discesa e quindi poteva sorprenderci da dietro. Lo ha fatto, Vlasov l’ha seguito, io mi sono messo a ruota ed ho fatto la mia volata negli ultimi 100 metri. Comunque sono contentissimo di questo secondo posto».

Verso Bergamo Alta Andrea (col 193) tiene bene alle “menate” di Rodriguez e Vlasov
Verso Bergamo Alta Andrea (col 193) tiene bene alle “menate” di Rodriguez e Vlasov

Vice Remco

Il grande merito di Bagioli è quello di essersi fatto trovare pronto nel momento in cui la Soudal-Quick Step si è trovata in difficoltà. Se partiva con i gradi del vice capitano, allora il suo dovere lo ha fatto alla grande fino in fondo. Oltretutto è la seconda volta che un italiano del “Wolfpack” coglie la piazza d’onore al Lombardia dietro Pogacar. Dopo Masnada nel 2021, ecco Bagioli e sullo sfondo Evenepoel che alza bandiera bianca, stavolta per una caduta.

«Quando è caduto Remco ad inizio gara – racconta Andrea – io ero dietro di lui. Ho dovuto frenare e rallentare, ma non ho subito nessun problema. Tuttavia appena abbiamo cominciato il Passo Ganda Remco ci ha detto subito che non era al top, quindi mi hanno dato il via libera per fare la mia corsa. Così ho fatto e naturalmente sono contentissimo di essere rimasto davanti con i migliori».

Bagioli (secondo da destra) sfrutta la ruota di Vlasov e lo salta negli ultimi 100 metri
Bagioli (secondo da destra) sfrutta la ruota di Vlasov e lo salta negli ultimi 100 metri

Il presente

Non potevamo esimerci da una considerazione sull’affaire fusione tra Soudal e Jumbo. Si fa, non si fa, tutto è ancora incerto anche se pare che i due top team continueranno per conto proprio. Bagioli guarda a quello che sta lasciando e a ciò che verrà.

«L’atmosfera in squadra nelle ultime settimane era parecchio strana – va avanti Bagioli – nessuno sapeva realmente niente: né direttori, né corridori. E’ vero che io vado in un altro team, ma mi dispiace per loro. Abbiamo cercato di mantenere l’umore alto in hotel soprattutto in questa settimana, sia tra compagni che staff. Abbiamo solo pensato di fare il meglio possibile e penso che lo abbiamo dimostrato. Ilan (Van Wilder, ndr) ha vinto la Tre Valli, io il Gran Piemonte e poi secondo al Lombardia. Sono contento di aver contribuito in questo senso. Le ultimissime notizie dicono che la fusione non ci sarà e spero per loro che non avvenga. Per me è giusto che la squadra vada avanti da sola, anche considerando il personale che potrebbe restare a piedi».

Quanto tifo per Andrea che da queste parti ha anche corso quando era alla Colpack (foto @woutbeel)
Quanto tifo per Andrea che da queste parti ha anche corso quando era alla Colpack (foto @woutbeel)

Il futuro

Bagioli è in parte dispiaciuto di lasciare questo team, però lui stesso ha parlato di scelte. L’anno prossimo inizierà una nuova avventura con la Lidl-Trek. Lefevere, il suo team manager, lo aveva tirato in ballo dicendo che cambiando squadra avrebbe avuto la mente libera e avrebbe fatto bene.

«Può essere – dice il valtellinese – ma la mente è più libera perché si firma un contratto, non perché si cambia squadra. Con un contratto nuovo sai di essere a posto per gli anni successivi e quindi puoi correre con più forza nelle gambe. Non hai l’ossessione.

«Spero che in queste corse sia nato un nuovo me. In particolare in questi ultimi mesi sono cresciuto sia mentalmente che fisicamente. Non vedo l’ora di iniziare il prossimo anno. Vorrei fare molto bene nelle classiche delle Ardenne. Prima però farò un po’ di vacanza».

L’assolo di Bergamo: un Pogacar umano che piace anche di più

07.10.2023
6 min
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BERGAMO – Un affondo apparentemente banale, in un punto non cruciale della corsa, e Tadej Pogacar si è portato a casa il suo terzo – consecutivo – Giro di Lombardia. Lo sloveno è riuscito a trasformare in poesia quei 30 chilometri finali.

Un affondo drammatico, sul limbo dei crampi. Con il tuo connazionale, Primoz Roglic, che vuol chiudere con una vittoria il suo viaggio nella squadra che lo ha reso grande. Con quei chilometri che sembrano non passare mai e con la consapevolezza di non essere il più forte. O almeno il solito “schiacciasassi”.

Altro che classica d’autunno: il 117° Giro di Lombardia si è corso con temperature quasi estive
Altro che classica d’autunno: il 117° Giro di Lombardia si è corso con temperature quasi estive

Tattica 10

«Questa mattina Tadej non stava bene – confida il manager della UAE Emirates, Mauro Gianetti, dopo il traguardo – aveva un po’ di tosse. “Ma vedrai che che col caldo passerà”, gli dicevamo…  Non era il più brillante? E’ vero, ma ha fatto un capolavoro.

«La tattica era di fare forte quel tratto. Ha visto che Roglic era un po’ dietro e, visto che tirava da un po’, ci ha provato. Ha pensato che stando a tutta da diversi minuti avrebbe fatto fatica ad inseguirlo subito. Però quando ha avuto quel crampo abbiamo tremato».

Ecco perché dicevamo che era uno scatto banale solo in apparenza. Altroché. C’era acume tattico, una freddezza glaciale. Pogacar oggi non era il più forte. Conoscendolo, se lo fosse stato, al primo scatto sul Ganda avrebbe salutato tutti. E invece non è successo.

Rifornimento galeotto: ai -11 km Pogacar ha i crampi. Marzano lo affianca e gli passa un gel. Gianetti: «Felice di pagare la multa»
Rifornimento galeotto: ai -11 km Pogacar ha i crampi. Marzano lo affianca e gli passa un gel. Gianetti: «Felice di pagare la multa»

Pogacar l’umano

Però non ha mollato e dove non sono arrivate le gambe è arrivata la testa. Ci tornano in mente le parole di Hauptman, il direttore sportivo che meglio lo conosce: «Vedrete che Tadej si farà trovare pronto per il Lombardia». Non aveva sbagliato. 

E’ sicuramente un dato di fatto che la sua stagione dopo la caduta della Liegi abbia subito una piega diversa da quella prevista. Dopo quello stop Pogacar ha vinto, ma non ha più convinto. Al Tour de France ha salvato la piazza d’onore grazie anche alla squadra e in queste gare di avvicinamento all’ultimo Monumento non ha alzato le braccia al cielo, né “giocato” come era solito fare.

Evidentemente anche i supereroi pagano dazio in questo ciclismo al limite. Ma questo non fa altro che elevare il mito di Pogacar. Un Pogacar umano. E questo piace. Piace tanto. Il boato quando è salito sul podio di Bergamo è stato più forte persino di quello di Andrea Bagioli, che giocava in casa.

Poche volte abbiamo visto lo sloveno soffrire così. Eccolo nel bagno di folla (splendido) di Bergamo Alta
Poche volte abbiamo visto lo sloveno soffrire così. Eccolo nel bagno di folla (splendido) di Bergamo Alta

Più testa che gambe

Dopo il traguardo lo abbiamo visto insolitamente commosso. Lo sloveno ha festeggiato come mai prima. Braccia al cielo. Abbracci forti. Forse un accenno di commozione dietro agli occhialoni. Tutti elementi che ci dicono che la vittoria oggi era affatto scontata.

«Ho provato ad attaccare in salita – ha detto Pogacar – ma non sono riuscito a fare la differenza. Quando passava in testa Vlasov faticavo. Credo che oggi lui sia stato uno dei più forti in salita. Io però credevo nella vittoria di questo Lombardia, mi ero allenato bene in queste settimane.

«Sull’ultima salita, che conoscevo davvero bene, ho tirato fino in cima perché speravo che io e Alexander saremmo arrivati insieme al traguardo. Poi, all’inizio della discesa, quando gli altri erano ancora lì e ho visto che c’era un piccolo buco, mi sono buttato. Ricordavo la discesa. Di certo meglio di due anni fa quando fu un disastro!».

Pogacar racconta poi quanto sia stata dispendiosa proprio la discesa. La planata dal Ganda, che poi è Selvino, richiedeva un grande impulso vista la scarsa pendenza. Era un continuo rilanciare se si voleva fare velocità.

E infatti lo stesso Tadej ha detto: «Stavolta è stata dura finire l’attacco da così lontano. In pianura poi ho avuto i crampi. Prima un crampo a destra, poi uno a sinistra. Pensavo che fosse tutto finito, così ho calato un po’ il ritmo e la potenza. Ho cercato di essere più aerodinamico possibile, di chiudermi con le spalle. Ma ormai ero in ballo e mi sono concentrato su come salvarmi per lo strappo finale. Fortunatamente dietro non hanno collaborato al meglio. E in quel momento ci speravo».

«Alla fine, anche se doloroso, mi sono goduto gli ultimi chilometri. Questa è stata la vittoria più difficile delle tre, anche perché sono arrivato da solo. E’ stata una giornata bellissima, abbiamo anche vinto la classifica WorldTour a squadre e devo ringraziare tutti i ragazzi ancora una volta. Mi dispiace solo per Bax che si è rotto il femore. Un peccato perché stava benissimo».

Roglic senza rimpianti

Dietro non hanno collaborato al meglio. Il rivale numero uno Primoz Roglic, a cui tutti guardavano,  piomba sull’arrivo di Bergamo in terza posizione. E’ stanco ma ride. E mentre gira la bici per andare al podio dice: «No rimpianti, no rimpianti».

«Semplicemente – ha detto Primoz – non avevo le gambe, ma ho dato tutto. E’ stata una lotta molto, molto lunga. Ma quando Pogacar è scappato non potevo fare nulla. Non avevo scelta.

«Se penso a come ho iniziato la mia stagione e all’infortunio da cui venivo, non posso che essere soddisfatto di questa annata. Voglio ringraziare la mia squadra. Siamo stati uniti fino alla fine».

E anche la Jumbo-Visma ha ringraziato lui. Dal team manager Plugge ai compagni, fino al personale che lo attendeva al bus con delle pizze fumanti.

«Abbiamo lavorato al massimo per lui fino alla fine, con la massima serietà. Primoz è il nostro campione. Dopo otto anni non poteva essere diversamente», ci ha detto Ard Bierens, addetto stampa del team olandese.

Pro’ e amatori, da Santini si lavora alle divise del 2024

06.10.2023
6 min
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Il mercato dei corridori è ancora nel vivo e mai come quest’anno si attendono novità roboanti. E’ la fase della stagione in cui le aziende iniziano a lavorare su tutto ciò che deve essere personalizzato, dalle bici alle scarpe, passando per l’abbigliamento. Di solito il primo fitting per il vestiario si far proprio nei giorni successivi al Lombardia, quando gli atleti sono ancora in buona forma e non portano con sé i (pochi) chili di troppo che di solito arrivano con le vacanze. Ma se questo è un momento ad alta intensità nel mondo dei professionisti, è chiaro che i fatturati si fanno con gli amatori. Ed è così che parlando con Stefano Devicenzi di Santini viene fuori che in questi stessi giorni i team di persone… comuni si fanno avanti per creare il kit della prossima stagione. Loro sono quelli che traggono i benefici maggiori dal grande lavoro dell’azienda bergamasca con i professionisti, potendo scegliere fra le soluzioni che sono state sviluppate con i campioni.

Stefano Devicenzi, a destra. Si può arrivare con una propria idea di grafica o affidarsi ai designer di Santini
Stefano Devicenzi, a destra. Si può arrivare con una propria idea di grafica o affidarsi ai designer di Santini
Insomma Stefano, par di capire che realizzate il meglio per le squadre professionistiche, ma il grosso del pubblico è quello che poi acquista i capi nei negozi oppure online?

E’ proprio così. Realizziamo maglie e kit su misura per i più grandi nomi del professionismo, sia nel triathlon sia nel ciclismo. Però la nostra produzione, sia la collezione sia quella custom, è rivolta anche ad altri utilizzatori della bicicletta. L’appassionato che partecipa a una gran fondo o semplicemente pedala per passione e magari ha piacere anche di avere una divisa specifica da usare con i propri amici. Quindi è vero: realizziamo le divise delle squadre amatoriali, che in realtà sono anche gruppi di amici orgogliosi di avere un’immagine che li identifichi quando sono insieme a pedalare.

E’ la clientela vera che gode delle soluzioni messe a punto per i professionisti?

Tutto quello che realizziamo per i team è a disposizione degli utenti finali. Di solito il professionista utilizza in anteprima materiali che non sono ancora disponibili, proprio perché è un banco di prova. Però il passo successivo è offrire il meglio a livello di tecnicità al cliente finale, che a quel punto, dopo i test delle corse, può usufruire delle stesse performance.

Qual è la prassi per un team amatoriale o un gruppo di amici? Si viene qui da Santini, oppure ci si può rivolgere a un rivenditore?

Possono andare da un rivenditore, che li metterà in contatto con l’agente di riferimento. Però nella stragrande maggioranza dei casi, si rivolgono direttamente a noi, spesso scrivendoci, e dal primo contatto si inizia a sviluppare il progetto. Non ci sono altri intermediari. Ci arriva la richiesta e iniziamo a lavorare con i referenti della squadra, in modo da capire quali siano le loro esigenze, sia tecniche sia di design. Abbiamo la possibilità di realizzare internamente il disegno senza rivolgersi a esternamente. Il processo di realizzazione inizia così.

E’ questo il momento in cui tutto comincia?

La progettazione della divisa della stagione successiva, considerando l’anno solare, parte alla fine dell’anno in corso, quindi indicativamente tra fine ottobre e dicembre. Questo però non preclude il fatto di poter entrare in contatto e realizzare anche numeri ridotti di prodotti già all’interno della stagione. Potrebbe essere benissimo che tra gennaio e febbraio si abbiano i primi contatti e si possono realizzare i prodotti. Chiaramente la tempistica produttiva è più breve se si lavora durante l’inverno. Nella bella stagione la nostra produzione passa a 60-90 giorni, dipende dai volumi che abbiamo in quel momento.

L’amatore può scegliere anche i capi usati dai pro’?

C’è a disposizione tutta la gamma, cioè le maglie che utilizzano le squadre professionistiche come la Lidl-Trek e la Colpack-Ballan. Sono maglie disponibili anche per l’utente finale. Poi può esserci qualche accorgimento diverso per la squadra WorldTour, ma sono delle attenzioni riservate a loro. Spesso hanno necessità di un prodotto che copra le esigenze di una stagione agonistica, di un calendario molto impegnativo. Però di base tutti i prodotti sono a disposizione per l’acquisto.

Esiste un numero minimo di corridori da servire per poter fare la divisa sociale con voi?

Sono 15 pezzi, non è un numero grande. La nostra politica è quella di permettere anche a gruppi ristretti, non necessariamente società sportive, di avere la loro divisa. Magari sono in 8 e hanno bisogno di qualche divisa in più per esigenze o cambi taglia, ed ecco che con 15 pezzi possono avere la divisa coordinata.

Il team Colpak-Ballan veste Santini e così anche gli amatori che a gennaio erano in ritiro a Calpe con il team
Il team Colpak-Ballan veste Santini e così anche gli amatori che a gennaio erano in ritiro a Calpe con il team
Quando vi contattano, chiedono il materiale visto nel catalogo o vogliono i capi che hanno visto indossare ai pro’?

Non chiedono tanto il materiale visto ai professionisti, ma guardano il disegno delle maglie delle squadre, per provare a replicarlo. Per quanto riguarda invece il materiale, a prescindere dal disegno, lo valutano di persona. Nel momento del primo approccio, se è possibile vengono qui per vedere e toccare con mano le basi da cui partire, quali sono i prodotti su cui lavorare. Altrimenti vengono inviati dei kit perché siano consapevoli veramente della scelta. Altri ancora vengono anche con la grafica o con un’idea che noi, avendo un reparto design dedicato, adattiamo ai nostri modelli e ai nostri impianti.

Vi capita di fare lavorazioni su misura?

Abbiamo una scala taglie e per i non professionisti ci atteniamo a quella, rispettando gli aspetti tecnici dovuti al posizionamento dei loghi. Diciamo però che la customizzazione che può avere una squadra di professionisti non è possibile per tutti. Può capitare che magari si facciano piccoli interventi su maniche e gambe, ma è estremamente difficile da immaginare per una squadra amatoriale, soprattutto calcolando le tante richieste che ci arrivano ogni anno. Sarebbe impensabile farlo per tutti.

Una delle fasi più delicate è apporre i loghi sulle varie pezze di cui si compone la nuova maglia
Una delle fasi più delicate è apporre i loghi sulle varie pezze di cui si compone la nuova maglia
Il fondello è motivo di attenzione?

Il fondello è molto importante, ma non è sempre facile capirne la performance senza provarlo. Quindi spesso e volentieri, le squadre scelgono partendo dal prezzo. Poi a volte succede che cambiano idea e puntano al fondello migliore, perché nella fase in cui i prodotti vengono inviati per essere provati in bici e toccati con mano, ci si rende conto davvero se un fondello è sufficiente per le proprie necessità o serve qualcosa di diverso. I corridori sono corridori, a qualunque categoria appartengano. Giusto avere per tutti le stesse attenzioni.

Santini rafforza il legame con Bergamo e pensa all’Atalanta

22.07.2023
3 min
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Il legame con la propria terra, quella bergamasca, per Santini è sempre stato un richiamo forte di appartenenza. Un binomio che passa attraverso lo sport ed ora, grazie alla collaborazione con l’Atalanta, arriva anche al calcio. Santini ha infatti presentato la sua collezione di capi dedicata alla Dea. Entrambi gli sport sono legati profondamente al popolo bergamasco, che vede nel ciclismo e nel calcio parte del proprio DNA. 

Stesse passioni

Due sport così diversi ma allo stesso tempo vicini, per passione e attaccamento al territorio ed alla città di Bergamo. Una sottile linea che unisce Santini e l’Atalanta e che cucita crea questa particolare collezione, dedicata a chi vuole pedalare con i colori della propria squadra del cuore addosso.

Santini realizza abbigliamento ciclistico dal 1965 e nel corso degli anni è arrivata ad altissimi livelli. L’ultimo, in ordine di tempo, vestire la maglia gialla del Tour de France. La stessa capacità ed abilità tecnica del marchio bergamasco vengono trasportate su questa collezione, che diventerà un motivo di orgoglio per i tanti tifosi dell’Atalanta che vogliono mostrare la propria fede calcistica anche quando pedalano.

La collezione

Una serie di capi d’abbigliamento ricca: due maglie, un pantaloncino e tanti accessori abbinati. I colori sono quelli dell’Atalanta, ovvero nero e azzurro, con tanto di logo della squadra. La prima delle due maglie: la Sleek, è dedicata ai ciclisti più esigenti, che ricercano un fit aerodinamico. Un capo realizzato con tessuti made in Italy e 100% riciclati da PET e filati di scarto (foto di apertura). L’azzurro domina sulla maglia, mentre le maniche sono nere, il forte richiamo all’Atalanta è sulle tasche e nello stemma sul petto. 

La seconda maglia della collezione è pensata per chi ama un taglio classico ed una vestibilità morbida. Santini ha combinato tessuti in microrete: leggeri e traspiranti, con la grafica del vero tifoso atalantino sulla schiena.

Completano la collezione i pantaloncini con tessuto compressivo Thunderbike Power e fondello GITevo, i guantini, le calze ed il cappellino.

Santini

Dalle corse all’atelier, come nasce la moda di Santini?

12.07.2023
7 min
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BERGAMO – Quanto è lungo il passo dalla moda allo sport? Raffaella Marini, modellista di Lecco che da 12 anni lavora presso il Maglificio Santini, ha imparato a misurarlo. Il ciclismo non sapeva quasi cosa fosse, invece nel giro di pochi anni si è trovata proiettata fra lycra, fondelli, grafiche e tagli a metà fra campioni e ciclisti e cicliste di tutti i giorni, bisognosi di essere performanti, ma anche eleganti e comodi.

In questi giorni, “Rafi” si prepara per il viaggio al Tour de France con l’amica Rosita Zanchi e Monica Santini, per adattare il body da crono sulle spalle e le gambe dei vari leader. La cronometro si correrà martedì, all’indomani del secondo giorno riposo, da Passy a Combloux: 22,4 chilometri con l’arrivo in salita. Quale momento migliore per raccontare cosa fa una modellista nel ciclismo di oggi?

«Siamo pronte per la crono – sorride – una delle poche attività veramente artigianali rimaste nel mio mestiere, perché per il resto passa tutto per il computer. Devi prendere il tuo body, farglielo indossare e guardare tutto nei minimi dettagli. La larghezza del collo, la manica, le spalle, il torace, la vita. Lavoriamo in squadra. Io faccio la prima parte e verifico dove ritoccare o modificare il modello indossato. A quel punto interviene Rosita per la parte del cucito. Per fortuna non si tratta mai di stravolgimenti. L’anno scorso Vingegaard ha indossato per la prima volta una nostra XS e sembrava costruita per lui. Van Aert ha tutt’altra struttura, per l’altezza e le spalle abbastanza strette, per cui gli abbiamo fatto indossare una taglia superiore e poi siamo intervenuti su spalle e schiena».

Cosa c’è prima dell’atleta che indossa il body?

La parte più faticosa dello sviluppo, la cura dei dettagli, la personalizzazione, anche se dà soddisfazione vederli poi correre. Nessuno sa chi sia Raffaella Marino, ma io li guardo e sono orgogliosa se il body o le maglie dei leader vestono bene. Le maglie ad esempio devono essere adattabili un po’ a tutti, perché non puoi sapere a chi andranno e di certo non possono svolazzare. Tutt’altra storia se parliamo della Lidl-Trek, perché in quel caso il lavoro è ben più capillare e personalizzato.

Il body da crono è anche un bel concentrato di tecnologia…

La scelta dei materiali non è casuale oppure estetica. Sappiamo che per le maniche si usa un tessuto, per la schiena un altro e questa è una parte che si fa di gruppo. Partiamo dalla scheda tecnica del fornitore, guardando quali siano le caratteristiche del tessuto. Se ci dice che è traspirabile, inutile che lo mettiamo sul polso, ad esempio.

Aver già vestito Vingegaard, Pogacar e Van Aert nel 2022 aiuta quest’anno?

Quando ho visto dal vivo Vingegaard, ero perplessa: sembrava un bimbo. Invece le caratteristiche tecniche del tessuto hanno fatto sì che il body gli calzasse a pennello. Detto questo e parlando anche degli altri, se i body andranno ancora bene dipenderà dal loro fisico, da quanto sono cambiati nel frattempo, se sono dimagriti, ad esempio. Però certo abbiamo una bella base di partenza.

Quest’anno andrete anche al Tour Femmes?

Sì, ci saremo. Il body da crono deve vestire l’atleta come una seconda pelle, non sarebbe la stessa cosa provarlo su una persona standard oppure un manichino. Per questo andremo al Tour Femmes e dedicheremo alle ragazze le stesse attenzioni.

Le atlete della Lidl-Trek vestono su misura come i colleghi uomini?

Siamo a pari passo, perché ad esempio una taglia S può indossarla una ragazza alta 1,60 e una alta 1,75. Quindi la parte sotto si allunga o si accorcia, idem per la lunghezza delle maniche e la larghezza le spalle. L’immagine finale della maglia è quella, però viene adattata in base alle misure delle singole atlete.

Il passaggio da Trek-Segafredo a Lidl-Trek ha richiesto che semplicemente si ristampassero le maglie oppure è cambiato qualcosa?

Le forme degli atleti sono sempre le stesse, anche i modelli dei vari capi, ma abbiamo dovuto dedicarci al posizionamento degli sponsor, che è cambiato completamente. Anche questo fa parte del mio lavoro.

Parliamo ancora di donne: il tempo in cui le ragazze erano costrette a vestirsi come uomini sembra lontano, giusto?

Sicuramente sono aumentate le attenzioni. Si lavora a una vestibilità più a misura della donna, quindi le maglie sono più sciancrate e strette, dalle spalle al punto vita, passando per la lunghezza. Oramai hanno linee solo per loro, che non derivano da quelle maschili, ma vengono sviluppate da zero.

Niente in comune?

A parte gli stessi materiali e dettagli tecnici, cambia tutto. Parlo del disegno dei capi e del fondello, che deve essere specifico e che usiamo da anni nelle nostre collezioni e anche nelle linee custom. Di regola, vengono fatti internamente dei prototipi, che poi vengono testati da atlete professioniste, prima che si possano utilizzare per andare in gara o sul mercato.

Quello che viene dato alle professioniste finisce anche nel catalogo?

Ci sono capi che passano nella collezione e altri così particolari che non avrebbe senso metterli in vendita. In questo c’è un parallelismo con gli uomini.

Come nasce la linea da donna?

C’è uno studio per colori e materiali che viene eseguito molto prima. Alle collezioni si lavora con un anno di anticipo. Ad esempio abbiamo presentato da poco la collezione 2024, ma era stata definita a fine 2022, con tutto il lavoro interno per studiare grafiche, colori e materiali. 

Durante un Tour si può dimagrire e cambiare di taglia: nei body da crono questo è più visibile (foto Lidl-Trek)
Durante un Tour si può dimagrire e cambiare di taglia: nei body da crono questo è più visibile (foto Lidl-Trek)
E’ più facile vestire l’uomo o la donna?

Forse per la parte fashion, la donna è più attenta. Ma se parliamo di attenzione per i dettagli e voler mettere i puntini sulle “i”, allora l’uomo è più difficile da gestire. Non per un’attenzione tecnica, badate bene, più per un fatto estetico: come se fosse uno sposo (ride, ndr).

C’è tanto sviluppo nel ciclismo?

A ogni collezione si scopre qualcosa di nuovo. La ricerca dei tessuti e dei materiali è sempre più all’avanguardia rispetto all’abbigliamento classico da esterno. Semmai si fa più fatica a scardinare certi canoni estetici. Così anche nelle nostre ultime collezioni, esiste ancora la tinta unita, perché la chiedono e va mantenuta. Però sono stati introdotti colori e grafiche nuove. Insomma, facevo abbigliamento da donna per l’esterno, ma ho dovuto rivoluzionare tutti i canoni di partenza del modellismo. Il ciclismo è proprio un mondo a sé.

Rosita Zanchi, una sarta bergamasca al Tour de France

27.06.2023
6 min
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BERGAMO – Fra coloro che si apprestano a raggiungere il Tour de France, c’è anche Rosita Zanchi, di professione sarta. Bionda. Simpatica. Diretta. Dallo scorso anno, il maglificio Santini è sponsor della maglia gialla e fra i compiti più delicati c’è quello di fare gli adattamenti dell’ultima ora sui titolari delle maglie, quando devono indossare i body da crono. E’ un paradosso. Le squadre spendono un occhio in test e galleria del vento e quando poi i loro campioni si giocano la corsa più importante al mondo in una crono, devono usare un body diverso da quello su cui hanno lavorato. E’ perciò immediato capire quanto sia delicato il lavoro di Santini nel metterli nelle migliori condizioni possibili.

«La maglia gialla – racconta Rosita, da 36 anni in Santini – ha cambiato le cose, che si erano già accelerate quando abbiamo preso la Trek-Segafredo. Prima facevamo le maglie del Giro, ma erano altri tempi e non c’era tutta questa attenzione. Prima l’aerodinamica si limitava alla bici, adesso investe ogni dettaglio. Così con la squadra abbiamo iniziato a fare le lavorazioni personalizzate, che prima non si facevano tanto spesso».

Rosita Zanchi lavora in Santini da 36 anni ed è oggi la sarta con più esperienza (foto Santini)
Rosita Zanchi lavora in Santini da 36 anni ed è oggi la sarta con più esperienza (foto Santini)
Cosa puoi dirci del viaggio al Tour 2022?

E’ stato un’esperienza bellissima, anche solo nel vedere quello che c’era fuori, la gente, l’ambiente. Era la prima volta che lo vedevo dal vivo. Invece per quanto riguarda il lavoro, abbiamo fatto il meglio per riuscire ad accontentare ogni corridore. Abbiamo trovato le macchine lì sul posto, nel laboratorio di una sartina…

Come l’avete trovata?

Tramite il nostro referente in Francia. Grazie a lui abbiamo trovato queste macchine simili alle nostre. Lavoravamo di notte, perché andavamo da lei finita la corsa, fra le 20 e le 21, e lei è stata gentilissima. Però a un certo punto è successa una cosa…

Che cosa?

E’ successo che il giorno dopo i corridori avevano l’hotel lontano e non facevamo in tempo a fare il fitting e poi tornare per cucire. Così le abbiamo lasciato un biglietto con le scuse, e alle 3 del mattino siamo usciti dal laboratorio con le macchine in mano. Qualcuno avrà pensato che le stessimo rubando, ma il giorno dopo gliele abbiamo restituite.

Vingegaard, spiega Rosita, ha il polso di 3 centimetri: esile come quello di un bambino (foto Santini)
Vingegaard, spiega Rosita, ha il polso di 3 centimetri: esile come quello di un bambino (foto Santini)
Non avevate portato le vostre?

Era il primo anno, dovevamo prendere le misure: ora ci siamo attrezzati. E così, per evitare critiche, magari sul fatto che possa esserci una piegolina sul body, quest’anno portiamo le nostre macchine.

Servono macchine speciali per i tessuti sottilissimi su cui lavorate?

Serve una tagliacuci. E’ difficile trovare una macchina industriale che sia anche portatile, così ho chiesto al mio fornitore e ci ha procurato una macchina professionale simile alle nostre, che sta in un trolley ben protetto e alla fine è abbastanza simile a quelle della sartina.

Cosa fate quando arrivate nell’hotel in cui alloggia il leader della classifica?

Siamo in tre. Monica Santini, il nostro capo. Raffaella, la modellista. E io, la sarta. Portiamo i body di tutte le taglie. I corridori sono magrissimi perché vestono XS, tranne Van Aert che è un adone. Glielo facciamo provare, chiediamo come lo preferiscono. Il polsino di Vingegaard sarà di 3 centimetri: penso che mia nipote di tre anni ce l’abbia uguale. Infatti cucivo e mi chiedevo come facciano a starci dentro. Ci vogliono due persone per riuscire a metterlo su, perché sono proprio pennellati. Il body è una seconda pelle.

Si va al Tour con la macchina per cucire, ma anche col vecchio metro: il lavoro è artigianale al 100 per cento (foto Santini)
Si va al Tour con la macchina per cucire, ma anche col vecchio metro: il lavoro è artigianale al 100 per cento (foto Santini)
Provano il body sui rulli?

Di solito nella stanza in cui facciamo le misure, troviamo già la bici montata. Ci spostiamo di albergo in albergo. Da Pogacar siamo arrivati che erano giù a fare colazione. Erano le 8. Abbiamo messo le macchine sui tavoli del ristorante, poco distante da dove mangiavano i corridori. Hanno portato i rulli e le bici. Pogacar è andato in bagno, si è messo il body, è venuto lì, abbiamo preso le misure che servivano, poi lui è tornato a colazione. E mentre finiva di mangiare, noi abbiamo fatto le sistemazioni. Credo che la scena la possiate vedere anche nella serie Netflix sul Tour

C’è da intervenire tanto?

Non troppo. Forse su Van Aert, perché ha una taglia in più rispetto agli altri. E’ alto, ha polsi e gambe più grossi. Se non ricordo male veste una L, ma considerate che le nostre taglie sono molto slim, per cui anche la L è molto stretta. Non devono esserci pieghe, il body deve essere davvero una seconda pelle.

Quanta manualità serve per fare certi interventi?

Ormai a me viene naturale perché lo faccio da trent’anni. Ma se mi avessero mandato al primo anno, se mandassimo ora una ragazza giovane, avrebbe problemi anche a regolare la macchina. Tutte le macchine cuciono, devi saper regolarle. E servono anche i fili adatti, infatti porto i miei. La lycra ha un’elasticità e il filo deve andargli dietro. Poi servono anche aghi sottilissimi e la capacità di fare punti ravvicinati, quasi continui.

Van Aert indossa un body taglia L, che è comunque strettissimo: servono tre persone per infilarlo. Davanti c’è Rosita (foto Santini)
Van Aert indossa un body taglia L, che è comunque strettissimo: servono tre persone per infilarlo. Davanti c’è Rosita (foto Santini)
Sono lavori veloci?

Per Pogacar sono bastati cinque minuti. E siccome nell’hotel c’era anche la Trek-Segafredo, abbiamo accontentato Mollema che voleva un aggiustamento sulla vita e sulle gambe. Non sembra, ma sono body così aderenti che ci si accorge della differenza quando i corridori perdono peso durante la corsa.

In 36 anni, avrai incontrato parecchi campioni che vestivano Santini: chi ti è rimasto impresso?

Uno che ho conosciuto anche personalmente, è stato Pantani. Venne in azienda a ritirare il kit per un evento che aveva a Milano. E’ stato lì, ha fatto il giro in azienda, ha dato la mano a tutti, proprio una persona alla mano, umile. Lo vedevi che era una persona buona. C’era il signor Santini che gli spiegava e noi che intanto gli preparavamo quel che doveva prendere. Qui funziona così. A volte si lavora davvero in tempi strettissimi.

Monica Santini e Rosita Zanchi al lavoro per eliminare ogni possibile piegolina: le leggi dell’aerodinamica non guardano in faccia nessuno (foto Santini)
Monica Santini e Rosita Zanchi al lavoro per eliminare ogni possibile piegolina: le leggi dell’aerodinamica non guardano in faccia nessuno (foto Santini)
Perché fai la sarta?

Era sarta anche mia madre, ma farlo a livello industriale è un’altra cosa. Ho cominciato cucendo le etichette e poi ho girato tutti i reparti. Adesso sono un po’ il riferimento per le più giovani. Il ciclismo non sapevo cosa fosse, ma ormai ci vivo dentro da tutta la vita.

La sartina francese ha detto niente quando le avete riconsegnato le macchine?

No, nulla. Le ho rimesso i suoi fili e non l’abbiamo più sentita. Evidentemente è andato tutto bene anche con lei.

Le quindici fatiche di Marcellusi al suo primo Giro

24.05.2023
6 min
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Martin Marcellusi affronta il suo primo Giro d’Italia con sensazioni differenti: ha tolto dalla valigia le emozioni ed ha messo la fatica. Sulle teste dei corridori è caduta spesso tanta acqua, si è salvata quasi esclusivamente la tappa di Bergamo. Marcellusi si è ritrovato ad affrontare delle condizioni atmosferiche che hanno reso ancora più tosto questo debutto alla corsa rosa.

Il maltempo ha accompagnato i corridori per gran parte del Giro, spegnendo un po’ l’anima della corsa rosa: Marcellusi è con Fiorelli
Il maltempo ha accompagnato i corridori per gran parte del Giro: qui Marcellusi con Fiorelli

Giorno di riposo

Il corridore romano risponde durante i massaggi, nel secondo giorno di riposo del Giro d’Italia. La Green Project Bardiani CSF Faizanè ha scelto la provincia di Mantova per abbassare i ritmi e respirare

«Il giorno di riposo – attacca Marcellusi – va sempre bene, ci vuole. Oggi abbiamo fatto una sgambata di un’oretta, pranzo, massaggi e nient’altro. Durante queste ore ammazzo il tempo rimanendo a letto e guardando un po’ TikTok. Non dormo perché ho paura di non avere tanto sonno la sera».

Una delle tappe più belle è stata quella di Napoli con il sole che ha illuminato la costiera amalfitana
Una delle tappe più belle è stata quella di Napoli con il sole che ha illuminato la costiera amalfitana
Riannodiamo il filo rosa, che atmosfera hai trovato al Giro?

Per essere il primo speravo meglio, non ho sentito molto l’atmosfera del Giro d’Italia, complice anche il meteo. Sulle strade spesso abbiamo trovato meno tifosi di quanti ce ne sarebbero stati solitamente.

E la corsa come la vivi?

Va a momenti, un giorno sto male, un altro invece sono davanti a lottare per entrare in fuga. Non tutti i giorni sono uguali, ogni tappa ti lascia qualcosa di diverso, complice anche il fatto che recuperare è difficile. La pioggia ed il freddo aumentano lo stress e la fatica.

Raccontaci la tua routine

Mi trovo spesso a scherzare con i miei compagni a proposito di questo. Siamo sempre lì a fare le stesse cose: finita la tappa scendi dalla bici e fai la doccia, poi arrivano i massaggi che bisogna farli di corsa perché altrimenti rischi di arrivare a cena ad orari improponibili. Si ha il tempo di un caffè tutti insieme e poi si sale in stanza a dormire.

E la mattina suona la sveglia, qual è stata quella più difficile?

Direi la mattina della tappa di Crans Montana. La sveglia è suonata alle 6,30, la tappa doveva partire alle 11. Io non sono uno che riesce ad andare a letto alle 22, di solito vado a dormire verso le 23-23,30. 

I massaggi, anche se di fretta, aiutano?

Sono tanta roba! Farli tutti i giorni non fa miracoli, ma di certo aiuta molto. Ho la fortuna che il mio massaggiatore è anche l’osteopata della squadra, quindi faccio tutto con lui. Gli racconto le mie sensazioni e lui cerca di risolverle. 

Il pubblico ha risposto presente nella tappa di Bergamo, qui Marcellusi nel passaggio che porta a Città Alta
Il pubblico ha risposto presente nella tappa di Bergamo, qui Marcellusi nel passaggio che porta a Città Alta
Che sensazioni hai?

Si tratta del mio primo Giro d’Italia, quindi non ho un grande recupero. Di certo faccio più fatica rispetto a chi ha già fatto questa gara tre o quattro volte. 

Poi piove da due settimane…

La pioggia non piace a nessuno e se per quindici giorni corri con l’acqua che ti cade sul casco, e tutto il corpo, il morale ne risente. Prendere acqua è un lavoro in più: devi stare sempre attento in gruppo e poi una volta in hotel devi asciugare casco, occhiali e scarpe. Poi anche a livello fisico ti gonfi. Insomma, è dura.

Con chi condividi la stanza?

Tonelli. E’ un mese che viviamo in simbiosi, sono stato fortunato ad averlo accanto, è uno dei più esperti, se non il più esperto, della squadra. Mi riesce a dare consigli praticamente 24 ore su 24. Più che qui al Giro mi ha dato una grande mano in altura, con l’alimentazione e anche con la gestione mentale degli allenamenti. Allo stesso modo in gara è fantastico, mi dice quando attaccare o riposare. Anche nella tappa di Bergamo…

Raccontaci.

Non ero uno dei designati ad andare in fuga, non era una frazione adatta alle mie caratteristiche. Però in partenza parlavo con Tonelli e gli dicevo che la mia idea era comunque di infilarmi nel gruppo dei fuggitivi. Sapevo di non poter restare fuori tutto il giorno, ma l’obiettivo era farsi riprendere sull’ultima salita così da avere il tempo di andare all’arrivo. 

Anche nella tappa del Bondone Marcellusi è andato in fuga, il giorno di riposo ha fatto meno danni rispetto a settimana scorsa
Anche nella tappa del Bondone Marcellusi è andato in fuga, il giorno di riposo ha fatto meno danni rispetto a settimana scorsa
Invece hai inseguito…

Eh sì, non vorrei dire che ho fatto un errore (aspetta qualche secondo, ndr), ma ho fatto un errore. L’idea era giusta, ma sono partito con la mantellina della pioggia, quando sono andato a posarla in ammiraglia la fuga era già uscita. Io e Rubio abbiamo inseguito per un po’ e siamo rientrati, ma con tanta fatica.

Ad un certo punto dell’inseguimento Rubio ti ha lasciato indietro. 

Ha una gamba esagerata e su uno strappetto è andato via. Non posso rimproverargli nulla perché quando sei in mezzo come noi, cerchi di rientrare il prima possibile. Con il senno di poi avrebbe potuto comunque aspettarmi perché alla fine sono andato sui fuggitivi anche io, dopo 40 chilometri però. Sono andato così forte che ho fatto il record di giornata sulla salita di Passo Valcava. Lo stesso Rubio si è scusato con me, alla fine siamo amici e ripeto: quando sei in mezzo vuoi rientrare il prima possibile. 

I giorni di riposo come sono andati?

Sono stati a due facce. Direi bene perché ne avevo bisogno, soprattutto del primo, che è arrivato dopo nove tappe. Sto soffrendo tanto le lunghe distanze ravvicinate, non sono abituato. Questa mattina (lunedì, ndr) ero cotto e riposare fa bene, una volta in bici per la sgambata mi sentivo un pochino meglio.

Tonelli (a sinistra) è uno dei suoi punti di riferimento, i due vivono in simbiosi da un mese a questa parte
Tonelli (a sinistra) è uno dei suoi punti di riferimento, i due vivono in simbiosi da un mese a questa parte
Il lato negativo del giorno di riposo?

Non sapevo se mi facesse bene o male, non avevo mai fatto questa cosa prima. Ho scoperto che mi fa male, la tappa di Viareggio è stata un calvario. Mi sono staccato sulla prima salita dopo il via, eravamo Vlasov, Benedetti ed io. Il primo ha abbandonato la gara, noi due invece siamo rientrati. Fatto sta che mi sono fatto 80 chilometri da solo ad inseguire il gruppo. 

L’incentivo a finire il Giro però c’è, si arriva nella tua Roma. 

Sì! Non vedo l’ora, un sacco di gente mi ha scritto che verrà a salutarmi, non ho idea di quello che potrà succedere. Come si dice dalle mie parti, mi aspetto una bella caciara (dice sorridendo, ndr) una grande festa dopo la tappa. Però prima bisogna arrivare alla fine.

Frigo, il diario del mio primo Giro. La folla di Bergamo

22.05.2023
7 min
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BERGAMO – E’ il secondo giorno di riposo e riprendiamo il filo del discorso con Marco Frigo per il diario del suo primo Giro d’Italia. Tra l’altro Marco è uno dei freschi protagonisti della tappa di ieri, che lo ha visto terzo e mai domo, se non sulla linea del traguardo.

Una settimana fa eravamo a Bologna e il corridore della Israel-Premier Tech era fresco come una rosa. «Oggi – ci disse – avrei fatto un’altra tappa». Ebbene, le cose cominciano a cambiare. Segno che il Giro d’Italia inizia a farsi sentire, nonostante entusiasmo alto e gambe buone.

Frigo tra le ali di folla verso Bergamo Alta. Era la prima volta che correva con così tanto pubblico. «Anche sulle altre scalate c’e n’era»
Frigo tra le ali di folla verso Bergamo Alta. Era la prima volta che correva con così tanto pubblico. «Anche sulle altre scalate c’e n’era»

Quelle ali di folla

Con il veneto partiamo proprio dalla tappa di eri. Al primo Giro arrivare là davanti, in una frazione tanto dura non è cosa poco. Le emozioni sono ancora calde, caldissime…

«E’ stata una frazione per me emozionante – attacca Marco – un percorso spettacolare. E anche il meteo ci ha aiutato. Il pubblico è stato fantastico. Queste due ali di folla così rumorose, che ti urlavano nelle orecchie… Era la prima volta che ne vedevo così intense. Fa piacere. Ringrazio i tifosi. Mi hanno dato energia».

Marco doveva andare in fuga. Questo era il primo obiettivo di giornata. Poi cogliere quanto di meglio possibile.

«Come squadra – dice Frigo – stiamo veramente facendo un bel Giro. Stiamo centrando quasi tutte le fughe buone e riusciamo ad alternarci con i compagni. Sì, dovevo andare in fuga, poi con l’ammiraglia avremmo deciso il da farsi.

«Le mie sensazioni erano buone e volevo anticipare gente come Mollema o Rubio, senza aver paura di lanciare l’offensiva. E infatti sono stato io ad aprire la guerra. Alla fine sono un corridore che predilige gare di fondo, di fatica: meglio renderle dure».

Il veneto (classe 2000) imita con le mani le fasi della volata di ieri a Bergamo
Il veneto (classe 2000) imita con le mani le fasi della volata di ieri a Bergamo

Finale (quasi) perfetto

Nel finale Frigo esegue mosse da manuale. Tiene duro, non naufraga, rientra in fondo alla discesa e tira dritto.

«Ho deciso di attaccare presto – spiega Marco – perché comunque mi sentivo bene. Poi McNulty e Healy hanno dimostrato di avere delle buonissime gambe, ma tenendo duro e rientrando ho creduto di giocarmela per davvero. Poi – ripeto – quel pubblico ti aiutava a dare tutto. Ero quasi in trans agonistica, anche per questo ho tirato dritto».

Marco gesticola e ci fa rivivere quel finale. Sostiene che se fosse partito 50 metri più tardi e sull’altro lato della strada, forse sarebbe andata diversamente. Non è un rammarico, solo un racconto. E col senno del poi… è facile ragionare. 

«Ed è anche vero che comunque gli avevo preso una bella scia. Per partire 50 metri dopo avrei dovuto rallentare».

Marco ha ritrovato un buon feeling con la discesa. Qui eccolo su quella della Croix de Coeur, da lui definita pericolosa (foto Instagram)
Marco ha ritrovato un buon feeling con la discesa. Qui eccolo su quella della Croix de Coeur, da lui definita pericolosa (foto Instagram)

Discesa, feeling ritrovato

Ma questo finale ci ha dato un’altra bella notizia. Per Frigo il fattaccio di Rodi è alle spalle. Per chi non lo sapesse, due stagioni fa Marco ebbe una rovinosa caduta in discesa in una corsa a tappe in Grecia. Era caduto, per colpa di un sasso, ad oltre 70 chilometri orari e da lì si era bloccato. 

«Pian piano – spiega Frigo – sto riacquisendo un buon feeling e non nascondo che quest’inverno, con la squadra ci abbiamo lavorato. Ho fatto dei corsi per per migliorare in discesa e devo dire che in questo il team mi ha sempre supportato. E’ stato un lavoro che ha pagato, visto che ieri non sono naufragato in discesa e mi sono potuto giocare la tappa».

Frigo a ruota di Pozzovivo. I due era spesso vicini anche in corsa. D’altra parte non capita sempre un maestro come il lucano
Frigo a ruota di Pozzovivo. I due era spesso vicini anche in corsa. D’altra parte non capita sempre un maestro come il lucano

Da Pozzo a Riccitello

In questo diario, stavolta un po’ a ritroso, la settimana di Marco Frigo non era iniziata per il meglio. Proprio alla ripresa del Giro, dopo il riposo di Bologna, ecco una doccia gelata ulteriore, oltre a quella del meteo che intanto flagellava la Romagna.

«Il martedì – racconta Frigo – mi sono svegliato con Domenico Pozzovivo che mi lasciava (i due condividevano la camera, ndr) a causa del Covid. E’ stato un momento veramente triste per me.

«Ero contento di condividere questo mio primo viaggio con Domenico. Ero consapevole che perderlo mi avrebbe tolto la possibilità di imparare molto, specie nella terza settimana e specie da uno esperto come lui. Però in qualche modo lui c’è ancora. Ci siamo sentiti per qualche consiglio su un paio di situazioni, per i complimenti…».

Però la camera non è vuota: «Eh no. Sono passato dal più vecchio del Giro al più giovane, Riccitello. Un bravo ragazzo. Ora tra i due il vecchio sono io!».

Senza Pozzovivo è anche un po’ cambiata la corsa della Israel-PremierTech. Non che il lucano blindasse le fughe, ma un occhio di riguardo giustamente lo richiedeva. 

Ora Frigo e compagni possono attaccare di più. Gli Israel non hanno pressioni, possono sbagliare e magari anche divertirsi… nonostante la pioggia.

E a proposito di pioggia e freddo, Marco racconta che proprio all’inizio della scorsa settimana in gruppo c’era paura e che qualcosa era cambiato nell’atmosfera. In 72 ore la cosa rosa aveva perso quasi 40 elementi. Qualcosa è dunque scattato nella testa degli atleti e dei team. Da lì le mascherine e una maggiore attenzione verso il Covid.

A Borgofranco d’Ivrea partenza fittizia, poi tutti sui bus per il trasferimento a Le Chable. Una querelle poco chiara anche per Frigo
A Borgofranco d’Ivrea partenza fittizia, poi tutti sui bus per il trasferimento a Le Chable. Una querelle poco chiara anche per Frigo

Il fattaccio di Crans

E magari la boutade di Crans Montana è figlia di quel sentimento diffuso. Marco per la prima volta si è trovato a vivere anche momenti particolari e insoliti che in un palcoscenico come quello del Giro d’Italia vengono amplificati a dismisura.

«Un bel caos – spiega Frigo – noi corridori ci siamo mossi in anticipo come ci aveva chiesto Rcs Sport in caso situazioni simili. Così anche loro le avrebbero potuto gestire meglio e non ritrovarsi con certe richieste mezz’ora prima della tappa. 

«Abbiamo fatto questa votazione la sera prima ed stata una mossa giusta. Quello che secondo me poi è stato sbagliato, è stato quanto accaduto la mattina dopo. C’erano altre condizioni meteo rispetto a quelle previste. Tuttavia non mi sento di dare la colpa al sindacato dei corridori. Piuttosto sono per un concorso di colpa con l’organizzazione. Dal mio punto di vista ci sono ancora tante cose da fare per migliorare queste situazioni in futuro». 

Si potrebbero e dovrebbero avere info dal percorso in tempo più reale. Il senso è questo. Ed è anche la tesi di Frigo. «Affinché si abbiano protocolli meteo più adeguati».

Ieri Frigo era sfinito dopo l’arrivo. Tre giorni prima era stato quinto a Rivoli, sempre al termine di una lunga fuga
Ieri Frigo era sfinito dopo l’arrivo. Tre giorni prima era stato quinto a Rivoli, sempre al termine di una lunga fuga

Stanchezza, gambe e Inter

«Le sensazioni – racconta Marco – sono buone… almeno fino a ieri! Questo giorno di riposo arriva dopo una giornata intensa come quella di ieri e rispetto alla settimana scorsa è un po’ più desiderato».

«Ma nel complesso va bene. Approccio quest’ultima settimana con ottimismo e tanta voglia di continuare a provarci per fare bene e per una vittoria di tappa. Sia da singolo che come squadra».

Il diario di Frigo passa anche per gli aneddoti della strada. L’altra volta c’era stato il sassolino nella scarpa durante la tappa di Napoli. «Stavolta invece un tifoso mi ha fatto un regalo particolare. All’arrivo di Bergamo un signore alle transenne, dopo l’arrivo, mi ha messo al collo una sciarpa dell’Atalanta. Me l’ha data come fosse qualcosa di scaramantico… Ora la porto con me».

Ed è ancora un richiamo calcistico a chiudere il diario della seconda settimana. Dopo la prima puntata eravamo in sospeso con la partita di ritorno in Champions dell’Inter. 

«Beh, è andata bene! Siamo passati in finale – dice Marco – e adesso ce la giocheremo ad Istanbul. L’unica differenza è che stavolta purtroppo non mi sono potuto complimentare con Cimolai perché nel frattempo lui è andato a casa».