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Il Team Colpack da Santini: prende forma la maglia 2023

23.02.2023
6 min
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Persico, Romele, Quaranta e Meris insieme a Rossella Di Leo e tutto il Tea Colpack-Ballan, per un giorno nella sede di Santini a Bergamo. Per le foto. Per esplorare il reparto produzione. Infine per imparare a cucire la maglia con cui correranno a partire da sabato prossimo

Alla fine quello che ha lavorato meglio è Persico. Davide ha un certo occhio nel cucire e una buona manualità, dice la signora bionda che a turno ha ospitato i corridori del Team Colpack-Ballan alla sua macchina per cucire. Romele ha presto capito che correre in bici per certi versi è meglio che lavorare. Meris ha cucito la maglia con un buco. Quaranta ci ha provato.

Per i quattro corridori bergamaschi della squadra di Rossella Di Leo, la mattinata nella produzione di Santini Cycling si trasforma in una presa di contatto accelerato col mondo del lavoro e la complessità di realizzare la maglia con cui correranno. L’hanno vista nascere in un computer. Essere stampata su grandi rotoli di carta. Diventare una sagoma da ritagliare. Essere finalmente trasferita su tessuto. E alla fine trasformarsi in una serie di pezze da cucire. Molto più semplice infilarla e sudarci dentro, hanno pensato i corridori. Persico intanto guardava ed era curioso.

La nuova sede di Santini, un altro mondo rispetto alla nostra prima visita e che non si può mostrare prima della presentazione, ha ospitato il Team Colpack al gran completo, velocisti della pista compresi. Tutti gli sponsor del team. I mezzi parcheggiati fuori. E intorno l’azienda bergamasca che da quest’anno veste la squadra, a raccontare il luogo e i prodotti che saranno forniti. Bergamo stamattina è calda, nei notiziari intanto si parla di laghi e fiumi al minino.

Per le foto ufficiali del 2023, si è scelta la nuova sede Santini, che sarà presentata a maggio (foto Rodella)
Per le foto ufficiali del 2023, si è scelta la nuova sede Santini, che sarà presentata a maggio (foto Rodella)

Donna fra le donne

Rossella Di Leo ha l’espressione soddisfatta. La team manager del Team Colpack-Ballan respira la vigilia di una buona stagione e intanto si frega le mani, donna nel mondo del ciclismo, per la neonata collaborazione con Santini, che a sua volta è amministrata da due donne: Paola e Monica. Il Cavalier Pietro Santini si aggira orgoglioso, intrattiene e osserva ogni dettaglio.

«In realtà – precisa – abbiamo iniziato la collaborazione col Maglificio Santini tanto tempo fa, parlo di trent’anni, quando con la UC Bergamasca eravamo ancora alle prime squadre dilettantistiche. Quest’anno è iniziata una nuova collaborazione che ci rende davvero orgogliosi».

Anche per il 2023, il Team Colpack-Ballan correrà su bici Cinelli
Anche per il 2023, il Team Colpack-Ballan correrà su bici Cinelli

La stagione del riscatto

Sulla stagione si potrebbe dire tanto, ma par di capire che sarà meglio aspettare il debutto di sabato alla San Geo, tirata ancora una volta a lucido da Gianni Pozzani.

«Due anni fa – prosegue Rossella – abbiamo vinto il Giro d’Italia con Ayuso e il campionato del mondo con Baroncini. Sono state due grosse soddisfazioni, arrivate dopo 32 anni di attività. Non è passato molto tempo, ma sembra che tutti si siano già dimenticati di quel periodo. Il 2022 è stato una stagione difficile per varie sfortune. Comunque venivamo da due anni di Covid, per cui siamo in cerca di riscatto. Abbiamo una squadra giovane come siamo abituati a fare. Sono tutti under 23 tranne Boscaro, che corre nelle Fiamme Azzurre. Abbiamo fiducia nei giovani».

La grafica della maglia è insolita e interessante, dato che rappresenta i sacchi neri di produzione Colpack
La grafica della maglia è insolita e interessante, dato che rappresenta i sacchi neri di produzione Colpack

I sacchi neri

La singolarità della maglia sta nella grafica che la riempie. Si potrebbe pensare a una fantasia astratta, ma basta osservare con più attenzione e farsi guidare da Stefano Devicenzi di Santini per rendersi conto del messaggio.

«La grafica della maglia – spiega- è nata in seguito a un profondo studio e alla possibilità di avere carta bianca. Così abbiamo studiato qualcosa un po’ diverso dal solito. Magari non è facile intuirlo o scoprirlo da soli, ma se indirizzati si possono cogliere dei dettagli molto interessanti. La proposta nasce dal nostro designer che sviluppa le collezioni e lavora sulla linea grafica e il visual a livello aziendale.

«L’idea è stata quella di mettere sotto una luce mai avuta prima il main sponsor della squadra. Abbiamo utilizzato una grafica che a primo impatto può sembrare un pattern astratto, quando in realtà rappresenta la produzione di Colpack. Sono dei sacchi della spazzatura, un elemento in apparenza povero che diventa l’elemento distintivo per la maglia 2023».

Fornitura al top

Su cosa significhi per il maglificio che veste la Trek-Segafredo e realizza le maglie del Tour e quelle iridate dei mondiali seguire una continental, Devicenzi è estremamente chiaro.

«Per noi è un orgoglio – dice – semplicemente per il fatto che siamo due realtà del territorio bergamasco, quindi il fatto di collaborare ci è parso naturale. Abbiamo iniziato a confrontarci, a parlare e ci siamo trovati subito in sintonia. Perché non mettere insieme due realtà bergamasche come la Colpack, che è una bellissima realtà nel ciclismo dei giovani, e noi che siamo fermamente convinti dello sviluppo del territorio in cui in cui lavoriamo?

«Come necessità tecniche, una continental non differisce tantissimo da una squadra professionistica. Cambiano i numeri, cambiano gli impegni. Per fare un parallelismo, sono in linea con le squadre femminili del WorldTour attuale, che comunque hanno una fornitura e una tecnicità dei prodotti identiche a quelle dei professionisti. Nel nostro caso, comunque, la squadra l’abbiamo equipaggiata con il meglio che possiamo offrire».

Ogni lasciata è persa: ecco Conci col coltello fra i denti

10.02.2023
7 min
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Valigia pronta? «Sì, sì, sono già in aeroporto a Bergamo. Ho già fatto tutto, aspetto di imbarcarmi. C’è un volo diretto su Porto, molto comodo». Nicola Conci (in apertura nell’immagine photonews) ha la voce squillante come all’inizio delle vacanze. L’inverno dei ritiri e del lavoro è finito e con le corse inizia anche il divertimento. Se un corridore non si diverte alle corse, forse ha un problema. E il debutto stagionale, per quanto privo di riferimenti e certezze, è sempre un momento elettrizzante.

«Devo dire che è stato un bell’inverno – racconta il trentino – in generale mi sento bene e penso di aver fatto tutto nel migliore dei modi, quindi sono pronto. Ovviamente c’è l’incognita, come sempre, del fatto che si vada alle corse senza confronto con gli altri. Ci sono diversi corridori che hanno già corso e qualcuno ha anche dimostrato di andare molto forte, tipo Rui Costa o comunque l’Intermarché. Non resta che andare, dare il massimo e vedere come va…».

Appena passato dalla Gazprom (chiusa a seguito della guerra ucraina) alla Alpecin, Conci si è subito messo in luce
Appena passato dalla Gazprom (chiusa a seguito della guerra ucraina) alla Alpecin, Conci si è subito messo in luce

Ritorno al WorldTour

Il ritorno nel WorldTour ha portato con sé nuove abitudini e nuove esigenze da parte della squadra, la Alpecin-Deceuninck, a cominciare dal calendario e dalla preparazione. 

«Abbiamo dovuto un po’ rivedere il calendario», spiega. «L’anno scorso riuscivano a fare diverse corse, tra virgolette secondarie, anche se ormai di secondario non c’è più niente. Quest’anno, essendo WorldTour e avendo l’obbligo di fare tutte le corse WorldTour, abbiamo tolto dall’inizio stagione quelle 3-4 gare come Mallorca oppure il Saudi Tour. Quindi, dopo la partenza all’Etoile de Besseges, la Figueira Champions Classic di domenica sarà il secondo debutto europeo, mentre altri inizieranno in Spagna la prossima settimana con Murcia».

Nonostante abbia corso nel team continental della Alpecin, nel 2022 Conci ha corso i mondiali di Wollongong
Nonostante abbia corso nel team continental della Alpecin, nel 2022 Conci ha corso i mondiali di Wollongong
Passando dal Development Team al WorldTour cosa è cambiato per te?

Non tantissimo, perché alla fine bene o male l’impronta che viene data al Development Team è quella della WorldTour. Certo, a livello di allenamenti ho notato una maggiore qualità, maggiore cura, attenzione. Ho inserito qualche allenamento che l’anno scorso vedevo fare agli altri, come ad esempio le famose uscite low carb e cose del genere. Però in generale non è che sia cambiato moltissimo.

Ti alleni ancora con Alberati o sei passato ai preparatori della squadra?

Sono passato con i tecnici della squadra. Il mio allenatore si chiama Elliot Lipski, che è inglese ma abita in Toscana (Lipski è anche capo della performance del team femminile Fenix-Deceuninck, ndr). Non parliamo italiano, anche se penso che ne sarebbe capace. Comunichiamo in inglese, è in gamba, è giovane e poi è molto moderno. Mi piace, mi trovo bene.

E’ difficile cambiare preparatore dopo un po’ di tempo con lo stesso?

Sì e no. Sì perché ogni giorno hai dei lavori diversi e magari devi chiedere spiegazioni su cosa siano e come vadano fatti. Quindi bisogna dedicare del tempo in più nel capire il tipo di allenamento. Però in generale può anche essere una spinta a fare qualcosa di nuovo. Bene o male tutti i preparatori hanno la loro filosofia e se per tanto tempo si segue la stessa linea, dopo un po’ i lavori si conoscono e forse si hanno meno stimoli. Invece cambiando allenatore, quell’aria di novità può dare la sveglia.

Lipski, primo da destra con il ds Cornelisse, Petra Stiasny e il medico Beeckmans, è preparatore di Conci (foto Facepeeters)
Lipski, primo da destra con il ds Cornelisse e Petra Stiasny, è il preparatore di Conci (foto Facepeeters)
Si parlava con Scaroni nel ritiro di dicembre della determinazione degli atleti ex Gazprom, degli occhi iniettati di sangue e del rischio che, avendo trovato squadra, possa affievolirsi…

Io penso di no e soprattutto è molto soggettivo. Dal mio punto di vista, quel sangue agli occhi nasceva sì dalla storia Gazprom, ma anche dal fatto che avessi… buttato i quattro anni precedenti, fra qualche errore e l’intervento all’arteria iliaca. Avevo tanta voglia di far bene e quindi quella cattiveria c’era già, anche se ovviamente la storia di Gazprom è stata un qualcosa in più. Però, in generale, ormai mi sento di dover andare alle gare e dare sempre il massimo. Dal mio punto di vista, penso che quella determinazione ci sia ancora e ce l’avrò per un bel po’.

Quindi il fatto di avere il Giro nel mirino non significa che la stagione sarà solo una lunga attesa…

Assolutamente. In realtà per la squadra, queste corse portoghesi sono un po’ di passaggio e di rodaggio. Per me personalmente, se ci sono delle occasioni da prendere, non mi tiro certo indietro, anzi. Io sono qua per provare a fare già bene. Poi è ovvio, è la prima gara, non ho ancora corso. Ma queste non possono essere scuse: devo andare a tutta e basta.

Il programma l’hai potuto scegliere tu?

Ne abbiamo parlato insieme al ritiro di dicembre. In realtà la bozza che mi avevano dato mi era piaciuta abbastanza fin da subito, quindi non è che si sia rimasto lì a discutere più di tanto. E’ un bel programma. Volevo fare il Giro e anche il Tour, ovviamente. Tutti i corridori sognano di fare il Tour, però penso che per ora sia meglio fare il Giro. In più quest’anno ci sono diverse tappe che per me hanno un valore particolare.

I quattro anni alla Trek-Segafredo non sono andati come Conci si aspettava. La sua voglia di riscatto è palpabile
I quattro anni alla Trek-Segafredo non sono andati come Conci si aspettava. La sua voglia di riscatto è palpabile
Di quali tappe parliamo?

C’è la partenza da Pergine, quindi proprio a casa mia. L’arrivo sul Bondone del giorno prima. E poi c’è l’arrivo di Bergamo, dove vivo da qualche tempo. Insomma ci sono più tappe che, per una cosa o per l’altra, hanno un valore particolare. Certo, per il discorso che facevamo prima, non ho intenzione di andare al Giro e fare 10 giorni a pensare a quei giorni, perché non sono nelle condizioni di poterlo fare. Sono determinato ad andare a tutta fin da subito e ogni occasione deve essere quella buona. Poi ovviamente se le occasioni dovessero nascere proprio in quelle tappe, benvengano.

L’avvicinamento al Giro sarà canonico o con il nuovo allenatore cambierà qualcosa?

Dopo queste prime gare, ci saranno due corse a tappe in ottica Giro: il Catalunya e i Paesi Baschi. Sono un gran bel blocco, perché sono corse di altissimo livello, ma anche dure e anche abbastanza ravvicinate. A livello fisico sarà un bell’impegno. E poi il Giro. Insomma, non si può arrivare al Giro con troppi giorni di corsa o comunque un pelino stanchi. Si è capito che bisogna correre, ma anche allenarsi bene e prepararsi per la corsa sotto tutti gli aspetti.

Ci sarà anche l’altura?

Sì, dobbiamo ancora parlarne bene, però qualcosa dovremmo fare. Ovviamente tra i Baschi e il Giro c’è qualche settimana, quindi andremo in altura, ma non so ancora dove.

Conci è approdato alla Alpecin nel 2022. Lo ha accolto Sbaragli, veterano nel team tedesco (photonews)
Conci è approdato alla Alpecin nel 2022. Lo ha accolto Sbaragli, veterano nel team tedesco (photonews)
Dopo l’intervento all’arteria iliaca e col nuovo preparatore, hai tenuto la stessa posizione in sella?

Tutto invariato. Qualche anno fa, tramite Masnada ho conosciuto Aldo Vedovati ed è una delle 2-3 persone di cui mi fido ciecamente. Per la posizione mi affido a lui e sono contento di come mi sento in bici. Poi Aldo è una bellissima persona e ogni volta che posso avere a che fare con lui, ne sono felice. Ogni consiglio e ogni piccolo movimento che mi suggerisce, lo prendo come fosse la Bibbia. Per la posizione sono con lui. Quando sei professionista, alla fine hai tante cose che possono aiutarti e tante che possono anche farti… del male. E’ facilissimo perdersi.

E quindi come si fa?

Quello che ho notato è che abbiamo a disposizione mille risorse, ma dobbiamo essere bravi a capire chi e che cosa ci serva veramente. So che se andassi a fare altri bike fitting, magari tramite la squadra e dopo aver visto la posizione con Aldo, troverei delle cose che secondo loro non vanno bene. Può essere l’altezza sella, la pressione sui pedali, la pressione sulla sella. Quindi devi essere bravo a capire di chi vuoi veramente fidarti è seguire una strada, altrimenti si diventa matti.

Nella Alpecin ci sono anche Vergallito e Mareczko: “Kuba” doveva debuttare ad Antalya, gara annullata per il terremoto
Nella Alpecin ci sono anche Vergallito e Mareczko: “Kuba” doveva debuttare ad Antalya, gara annullata per il terremoto
Ti aspettavi che Van der Poel potesse vincere il mondiale di cross?

In ritiro l’ho visto ben poco, perché abbiamo i gruppi di allenamento e poi si rimane divisi anche a pranzo e cena, quindi non è che abbia avuto tantissimo a che fare con Mathieu. Però il giorno del mondiale, mio papà mi ha scritto: «Chi vince?». E gli ho detto: «Van der Poel in volata». Lui invece ha risposto: «No, Van Aert in volata». Alla fine ho avuto ragione io.

Vedi? L’allievo ha superato il maestro…

Esatto.

Una risata. L’altoparlante che annuncia un volo, non ancora il suo. Domenica si comincia dal Portogallo e sempre in Portogallo Conci resterà per la Volta ao Algarve. Siamo davvero curiosi. Il suo patrimonio atletico è di quelli importanti, è arrivato il momento di metterlo finalmente in mostra.

Sull’asse di equilibrio con Villella, fra accuse e autocritica

15.01.2023
7 min
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Quando finisce la carriera e non sei pronto per fermarti, fatichi a farci pace. Così Davide Villella, che alla fine del 2022 si è trovato senza squadra, è li che ragiona sui motivi che hanno spinto la Cofidis a non rinnovargli il contratto e su cosa non abbia funzionato nella sua carriera da predestinato. Quando riusciamo a ripescarlo, il discorso percorre l’asse di equilibrio fra dita da puntare e il tentativo di fare autocritica.

«Ormai è andata – dice – la situazione è questa. Non spettava a me cercare squadra, dovrebbero farlo altre persone. Però, vabbè..».

Villella è nato a Magenta il 27 giungo 1991, è alto 1,82 e pesa 66 chili. E’ passato pro’ nel 2014
Villella è nato a Magenta il 27 giungo 1991, è alto 1,82 e pesa 66 chili. E’ passato pro’ nel 2014

In rampa di lancio

Il suo ultimo anno da under 23, il 2013 dei mondiali di Firenze, era stato a dir poco trionfale, con sei vittorie fra cui due tappe e la classifica finale del Val d’Aosta e poi il Piccolo Giro di Lombardia. Lo aveva preso la Cannondale, in un percorso parallelo a quello di Formolo: entrambi rappresentati da Mauro Battaglini.

In quegli anni le cose sembravano funzionare. Rapporto in salita, belle accelerazioni, qualche vittoria. Poi lentamente avvenne un cambio di pelle. Pur continuando a fare i suoi piazzamenti, il bergamasco ha provato a trasformarsi in gregario di lusso. Due anni alla Astana, poi alla Movistar si è ritrovato a lavorare per Valverde e Mas, con tanto di investitura da parte di Cataldo, che lo aveva individuato come suo successore in cabina di regia nella squadra spagnola.

Finché nel 2022 Villella è approdato alla Cofidis, indicato assieme a Cimolai da Roberto Damiani, che lo preferì allo stesso Cataldo in ragione del fatto che fosse più giovane. Ma le cose non sono andate come pensava. A vederlo da fuori, sembrava che Davide avesse perso mordente, in un periodo in cui non puoi mollare un metro. La coincidenza di alcuni problemi tecnici ha composto definitivamente il quadro.

Che cosa è successo?

Ho avuto problemi meccanici in momenti poco indicati. La sella che scendeva anche di un centimetro, ad esempio. Al Tour of Oman, è successo nel momento in cui si faceva il ventaglio che ha deciso la corsa. Potevo entrare nei 10 finali e invece niente. Oppure nella tappa del Giro d’Italia a Potenza (quinto dopo 130 chilometri di fuga, ndr). Prima si è rotto il cambio. Così ho preso la bici di scorta e mi è scesa la sella. Sono rientrato sulla fuga, ho rialzato la sella, ma non abbastanza. E sono arrivato al traguardo, con 5 millimetri di altezza in meno.

Si è capito perché?

Una cosa strana. A casa avevo lo stesso modello, ci ho messo del fissante e non è mai più successo. Alle corse capitava, a me e ad altri. Non credo sia la bici, sarà stato probabilmente qualcosa legato al lavoro dei meccanici. A volte salvi la stagione anche con un giorno alla grande e Potenza è stata un’occasione buttata via non per colpa mia (sull’importanza dell’occasione sfumata per i problemi meccanici, anche il diesse Damiani si dice d’accordo, ndr). 

Nella tappa di Potenza del Giro, una serie di problemi tecnici hanno impedito a Villella di giocarsi la vittoria
Nella tappa di Potenza del Giro, una serie di problemi tecnici hanno impedito a Villella di giocarsi la vittoria
Perché sei andato alla Cofidis e non sei rimasto alla Movistar?

Non lo so perché non sia andata avanti con Movistar. Quando mi è stata data un po’ più di libertà nel finale di stagione, ho fatto qualche piazzamento, ma ho anche aiutato Valverde a vincere una tappa al Giro di Sicilia. Alla Cofidis avevano visto quei piazzamenti e con la questione della classifica WorldTour, cercavano atleti che potessero farne ancora. Per quello mi hanno fatto un solo anno di contratto, ma mi era stato detto che avrei firmato per un altro. Si doveva solo discutere della cifra, almeno questo è quello che mi diceva il procuratore che aveva parlato con Vasseur (Alex Carera conferma che fino al Giro, la Cofidis fosse contenta di Villella. Come lui, anche Damiani, ndr).

Non può essere dipeso da te?

Forse sì. Mi sono un po’ abbattuto, nell’ultimo anno soprattutto. I problemi tecnici sono stati mazzate morali che si sono riflesse sui risultati. In più, non mi sono mai trovato con la squadra. Non ho imparato la lingua come avevo fatto con lo spagnolo e con l’inglese e quella è stata una mia pecca. Non sapere la lingua ti limita molto, ma nemmeno puoi pretendere di parlarla benissimo in così pochi mesi. Non so dire se ci siano state altre scelte che si potevano evitare, però con il senno di poi siamo tutti bravi.

Nei due anni alla Movistar (2020 e 2021), Villella si è trasformato in luogotenente di lusso
Nei due anni alla Movistar (2020 e 2021), Villella si è trasformato in luogotenente di lusso
Sei sempre stato un lupo solitario…

Sono uno cui piace allenarsi da solo. Quindi anche se c’è gente che conosco, a parte Formolo con cui ci si trovava quando ero a Monaco, rimango sempre abbastanza per i fatti miei negli allenamenti. A volte mi seguiva qualche amico amatore. Ho sempre fatto così, non so se sia giusto o sbagliato, però è quello che sono. 

Ti sei mai sentito davvero forte?

Si parla di anni fa, era il 2016. Avevo fatto quinto al Lombardia, poi avevo vinto la Japan Cup. L’anno dopo ho vinto la maglia degli scalatori alla Vuelta. Alla fine però sono più stato un gregario più che un vincente. E per questo, in aggiunta alle mie responsabilità, sono stato anche sfortunato a capitare nella Cofidis che andava a caccia di punti.

Quando hai capito che si metteva male?

Dopo il Giro. Avevo chiesto di riposare un po’, invece la squadra ha insistito perché corressi il Giro di Svizzera. Ci sono andato, ho fatto due tappe e sono tornato a casa, perché sia fisicamente sia mentalmente ero proprio arrivato. Da lì mi sembra che non l’abbiano presa bene (Damiani però esclude che ci sia un nesso fra il ritiro e la mancata conferma, ndr).

Ne hai parlato con Damiani?

Con Roberto ho un buon rapporto, è un buon direttore e mi ha aiutato tanto. Anche con il francese, quando mi ha visto spaesato. Ma alla fine il risultato è stato questo e, per quello che so, non mi ha più cercato nessuno. Mi sarebbe piaciuto andare in una squadra come la Eolo, solo che anche lì non c’era più posto. Avevano finito il budget, perché quando gliel’hanno chiesto, era fine ottobre.

La Cofidis gli ha chiesto indietro la bici per i primi di dicembre, per cui non ha più pedalato
La Cofidis gli ha chiesto indietro la bici per i primi di dicembre, per cui non ha più pedalato
Cosa farai adesso?

Qualche mese un po’ tranquillo, per dedicarmi alle cose che non ho fatto in questi anni. Al dopo ci penserò più avanti. Non sto andando in bici, perché mi è stata ritirata. Avevo chiesto se me la potevano lasciare sino a fine anno, ma ho dovuto riportarla ai primi di dicembre. L’unico che mi abbia mandato un messaggio è stato Cimolai, che ho sentito l’altro giorno. Qualche chiamata con Damiani, ma poi zero. Alla fine non avevo fatto grandi annunci sul fatto che stessi smettendo.

Ci pensi spesso?

Molto spesso. Durante il giorno e anche la notte prima di dormire. Sapevo che prima o poi sarebbe finita, però non pensavo in questo modo. Così passo le giornate facendo qualche corsetta a piedi e cercando di tenermi occupato. Ho fatto una vacanza a New York con la ragazza e spero di farne un’altra fra uno o due mesi. Nel frattempo ho ordinato la bici, che però arriva a febbraio. Ma se anche qualcuno mi proponesse di ripartire, forse non troverei gli stimoli giusti. Mi piacerebbe entrare in un’azienda vicino casa, magari da Santini, per fare un esempio. Alla fine quella può essere una chiave per tenere un piede dentro.

La doppia uscita sarà la regola: il Belli pensiero

30.11.2022
5 min
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Due sedute di allenamento, entrambe in bicicletta. Per Wladimir Belli, preparatore atletico ormai di lungo corso, il futuro del ciclismo sarà questo. Alla doppia seduta si è arrivati da qualche anno, ma la differenza è che oggi si va al mattino in bicicletta e al pomeriggio in palestra per pesi o esercizi di corpo libero: a breve ci sarà la bici anche al pomeriggio. Ma anche il ciclismo, come il resto del mondo e degli altri sport, va verso la ricerca di una prestazione sempre più di alto livello. Che sconfina a volte nel fanatismo, nell’esagerazione, nella perdita di un romanticismo che da sempre contraddistingue questo sport e i corridori che lo animano

Belli è da qualche anno un preparatore e uno degli opinionisti più autorevoli di Eurosport
Belli è da qualche anno un preparatore e uno degli opinionisti più autorevoli di Eurosport

«Oggi – spiega Belli – già dopo il Lombardia alcune squadre radunano i propri corridori in ritiro. Si stacca sempre meno, difficilmente si va oltre i venti giorni di vacanza tra la fine della stagione e l’inizio della preparazione invernale».

Una modalità che rischia di logorare fisico e testa e che si aggiunge ad altri accorgimenti tutti diretti verso la stessa direzione: professionisti concentrati sul lavoro 12 mesi l’anno

«Anche con l’alimentazione è così – aggiunge colui che oggi è anche un’apprezzata voce di Eurosport – i corridori non ingrassano più fino a 6 chili come succedeva un tempo. Rimangono sempre vicini al peso forma, ma questo richiede sforzi e sacrifici».

Matteo Trentin
Trentin ha spesso praticato sci di fondo alla ripresa dell’attività: vivendo a Monaco, la tentazione bici è però molto forte
Matteo Trentin
Trentin ha spesso praticato sci di fondo alla ripresa dell’attività: vivendo a Monaco, la tentazione bici è però molto forte

Sport alternativi

Altro aspetto che stride con quanto si era soliti fare fino a qualche anno fa: gli sport alternativi.

«Nella pausa invernale – ricorda Belli – frequentemente ci si dedicava ad altre attività come la corsa in montagna, le camminate in quota, oppure il classico sci di fondo o il nuoto. Questo oggi non è più consentito. Quando si riprende dopo la pausa, si monta subito in sella per macinare chilometri. L’unico sport alternativo accettato è la mountain bike, ma sempre di bicicletta si tratta».

Eccezione cross

Così per quasi tutti. Fortunatamente, almeno per chi ricerca nel ciclismo ancora tracce del suo dna, c’è chi varia sul tema. E non sono nomi da poco, anzi.

«Van Aert e Van der Poel – spiega l’ex corridore bergamasco – corrono ancora a piedi durante la preparazione invernale. Questo però perché sono anche ciclocrossisti praticanti, cosa che gli consente di non perdere la brillantezza che, al contrario, gli altri sport possono togliere, imballando un po’ la gamba».

Van Aert corsa 2022
Van Aert corre a piedi a Livigno: una fase di preparazione che non manca mai dal suo programma
Van Aert corsa 2022
Van Aert corre a piedi a Livigno: una fase di preparazione che non manca mai dal suo programma

Lo stress logora

Mode che passano e che si mescolano ad evidenze scientifiche. Ma Belli è d’accordo o meno con la nuova tendenza?

«Non sono molto d’accordo – risponde sicuro – perché questo stress psicofisico rischia di accorciare le carriere dei corridori ed esasperare il mondo del ciclismo. Credo che staccare di più e dedicarsi a qualcosa di altro sia necessario per tutti».

Qualità e quantità

Di certo c’è che non è più utile ricorrere ad allenamenti eccessivamente lunghi. Le corse stanno diventando sempre più brevi – ad eccezione delle classiche Monumento – per cui la qualità prevale sulla quantità.

Ad incrementare la specificità e la qualità degli allenamenti, sono arrivate anche le nuove scuole. Quelle nordiche ad esempio (Danimarca e Norvegia su tutte) per cui, grazie alla facilità con cui si può viaggiare oggi, si riesce ad allenarsi anche d’inverno in luoghi più idonei alla bicicletta, esportando il modello. Senza dimenticare la scuola britannica, esplosa da Wiggins in poi. E l’Italia?

Le gare si accorciano e scendono i volumi di allenamento. La tappa pirenaica di Peyragudes, misurava 129,7 chilometri
Le gare si accorciano e scendono i volumi. La tappa pirenaica di Peyragudes, misurava 129,7 chilometri

«Abbiamo da sempre un’ottima scuola come preparatori atletici – sottolinea Belli – ma pecchiamo nelle categorie giovanili. Il discorso è complesso e ampio, tutto parte dalla necessità di rivedere il concetto di sport nelle scuole. Ora è trascurato, mentre negli altri Paesi hanno capito che educare i giovani allo sport incide sulla salute pubblica a lungo termine.

«Il ciclismo dovrebbe anche tornare un po’ indietro, quando ogni paese di provincia aveva la propria squadretta e portava i corridori a gareggiare senza badare a troppe strategie. Oggi invece il successo a tutti i costi è inculcato dalle famiglie e dalle stesse squadre».

Poter leggere su Strava i dati di un professionista in allenamento potrebbe far saltare i riferimenti per gli atleti giovani
Poter leggere su Strava i dati di un professionista in allenamento potrebbe far saltare i riferimenti per gli atleti giovani

Rischio social

In ultimo, la questione della condivisione dei dati di allenamento che porta i giovani a voler emulare i professionisti dal momento che possono vedere come si allenano.

«Succede sempre più spesso – chiude Belli – ma può essere un problema. Oggi tutti sanno tutto, mentre un tempo si guardava ai professionisti più esperti cercando di carpire segreti e imparare il mestiere. Rientra nel discorso delle performance a tutti i costi, che poi rischia di presentare il conto: se da giovane vinci tutto, poi da professionista incontri difficoltà e rischi di saltare subito».

Masnada, festa e spoiler: sarà l’angelo di Remco

24.11.2022
5 min
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Fausto Masnada si presenta alla classica serata di fine stagione, organizzata dal suo Fans Club a Laxolo (Val Brembilla), con l’aria di chi sa di non aver vissuto la sua miglior stagione, ma con la testa alta di un bergamasco doc che è consapevole di aver dato il massimo ogni volta che ha attaccato il numero sulla schiena: una vittoria di tappa al Tour of Oman e la vittoria della Vuelta da gregario di Remco Evenepoel a referto. Accoglie ospiti, stringe mani, abbraccia forte amici di una vita, accarezza parenti meno giovani, felici di rivedere il proprio giovanotto come in famiglia ad un pranzo di Natale.

La cena del Fans Club Fausto Masnada si è tenuta nel weekend al ristornate La Trota di Laxolo (Bergamo)
La cena del Fans Club Fausto Masnada si è tenuta nel weekend al ristornate La Trota di Laxolo (Bergamo)

Incarico speciale

Il corridore della Quick-Step Alpha Vinyl Team si gode la serata, ma non toglie lo sguardo da tigre che lo contraddistingue da corridore e pone già obiettivi per il 2023. E che obiettivi. Lo dice un po’ tra i denti, inserendolo tra una considerazione generica ed un’altra, ma alla fine lo ammette.

«La squadra – rivela – vuole che io sia al fianco di Remco (Evenepoel, ndr) il più possibile. Il calendario e i programmi sono ancora da definire, ma secondo le prime informazioni che ho ricevuto, dovremmo correre insieme almeno per tre quarti della stagione».

Masnada ha già aiutato Evenepoel al Giro del 2021, qui nella tappa di San Giacomo, con Almeida nel mezzo
Masnada ha già aiutato Evenepoel al Giro del 2021, qui nella tappa di San Giacomo, con Almeida nel mezzo

L’uomo per la salita

Un’investitura che non può che fare onore a Masnada, considerando il colosso che è la squadra, ricordando che Evenepoel è campione del mondo in carica e vincitore della Vuelta, accennando al fatto che per molti è “il nuovo Merckx”. Ogni grande campione ha un suo scudiero fidato e Masnada si candida ad esserlo, soprattutto in salita.

«Ci troviamo molto bene insieme – ha spiegato Masnada – è un campione, è una stella nascente che però si è già affermata. Essere al suo fianco è un onore, ma anche una ghiotta occasione da non sprecare: dovrò giocare le mie carte nel migliore dei modi».

Non potevano mancare Rossella DI Leo e Gianluca Valoti, che lo hanno guidato fra gli U23 alla Colpack
Non potevano mancare Rossella DI Leo e Gianluca Valoti, che lo hanno guidato fra gli U23 alla Colpack

Gloria per sé

Scudiero sì, ma sempre con ambizione. Lo dimostra quando chiarisce che «i ruoli in corsa poi si decideranno sempre all’ultimo», riferendosi ancora alla coppia fissa con Remco. Di certo c’è che il team non smetterà di investire sempre di più sui grandi Giri. Masnada sulle tre settimane c’è e allora chissà che qualche ruolo di primo piano in una delle tre corse regine non possa assumerlo lui.

La buttiamo lì: il Giro, secondo qualcuno, è stato disegnato proprio per convincere il campione del mondo a correrlo. E quest’anno Bergamo – terra di Masnada – torna ad essere arrivo di tappa con transito a due passi da casa del 24enne di Laxolo. Chissà che non possa avere un giorno di “libera uscita”…

Sotto lo striscione del Fans Club, tutte le maglie vestite da Masnada in carriera
Sotto lo striscione del Fans Club, tutte le maglie vestite da Masnada in carriera

La spinta dei tifosi

Una provocazione rilanciata da Davide Manzoni, factotum del Fans Club e migliore amico di Masnada da sempre. Hanno corso insieme e pochi lo conoscono come lui.

«Sono sicuro – dice – che Remco abbia molte più possibilità di vincere con Fausto in quel ruolo, perché se a Fausto assegni un compito, lo porta a termine al meglio. Detto questo, mi auguro che riesca a togliersi qualche soddisfazione personale, ma nel WorldTour: so che vittorie come quella in Oman non lo soddisfano molto… (sorride, ndr)».

Masnada arriva in solitaria sul traguardo di Muscat: il Tour of Oman aveva aperto alla grande il 2022
Masnada arriva in solitaria sul traguardo di Muscat: il Tour of Oman aveva aperto alla grande il 2022

L’esame del Gabbione

Tornando agli obiettivi personali, Masnada guarda al 2023 con fiducia. La stagione conclusa è stata falcidiata da intoppi: mononucleosi, Covid e infiammazione al soprasella che lo ha tormentato per tutto l’anno. Si è concesso una lunga sosta invernale e ora è tornato in sella forte di una consapevolezza: una stagione nera in una carriera di alto livello capita a tutti e lui il suo jolly se lo è giocato.

Al secondo giorno di allenamento, dopo una vacanza in Giordania con la fidanzata Federica (nella foto di apertura, assieme a lui e al giornalista Renato Fossani), ha già affrontato il Gabbione: sono i primi tre chilometri della Roncola (da Almenno San Salvatore, versante più dolce) che incrociano poi l’altro versante della medesima salita, quello che inizia a Barlino dove le pendenze sono ben oltre la doppia cifra e dove il Giro passerà proprio nel 2023.

«Non mi piacciono gli allenamenti completamente piatti – spiega – e così, trovandomi a Bergamo dopo le vacanze, ho voluto inserire questa salita al 4-5 per cento per testarmi al termine dell’uscita. E’ stata davvero dura, succede anche a noi pro’: quando si torna in sella dopo un lungo stop ci si sente davvero indietro di condizione».

Parla Galbusera, sponsor dell’ultima WorldTour italiana

18.10.2022
6 min
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La tanto sospirata squadra italiana del WorldTour ce l’abbiamo avuta fino al 2016. Si chiamava Lampre-Merida, aveva 13 corridori italiani e 14 stranieri. Il gruppo sportivo era in mano a Giuseppe Saronni, ma di lì a poco sarebbe passato a Gianetti diventando UAE Team Emirates.

25 anni di Lampre

Lampre nel ciclismo c’era entrata nel 1999 e quando ne uscì fu come perdere qualcuno di famiglia, abituati al blu e al fucsia delle maglie e all’idea che quella squadra semplicemente ci fosse, dopo il passaggio della Liquigas in mano agli americani. Mario Galbusera, titolare del gruppo assieme ai figli Sergio ed Emanuele, era spesso alle corse con baffi bianchi e carisma (i tre sono insieme nella foto di apertura). Così quando al raduno di partenza del Lombardia a Bergamo, abbiamo riconosciuto Emanuele Galbusera davanti al pullman della Trek-Segafredo, la speranza di un ritorno di fiamma l’abbiamo avuta, ma è durata poco. E in ogni caso ci siamo riproposti di contattarlo per capire quale insormontabile ostacolo ci sia fra le grandi aziende italiane e il ciclismo.

Simoni vince in maglia Lampre il Giro d’Italia 2001: Saronni è il suo capo, Moser suo compaesano
Simoni vince in maglia Lampre il Giro d’Italia 2001: Saronni è il suo capo, Moser suo compaesano
Cosa ci faceva a Bergamo vicino al pullman della Trek-Segafredo?

La passione rimane (sorride, ndr).

Quindi parlare di una Lampre-Segafredo sarebbe una bufala?

Confermo, una fake news!

Vabbè, era giusto provarci. Che cosa è stato il ciclismo per Lampre?

Un’enorme vetrina, un bel ritorno di immagine. Non produciamo un prodotto finito, siamo specialisti nel rivestimento del metallo, per cui essere nel ciclismo è stato il modo per promuovere il marchio.

Emanuele Galbusera ha 50 anni e continua a seguire il ciclismo da vicino
Emanuele Galbusera ha 50 anni e continua a seguire il ciclismo da vicino
Parliamo di un investimento stellare?

Non abbiamo mai attuato una politica di questo tipo, volevamo piuttosto rimanere costanti, per durare a lungo, come poi è stato. In quegli anni, la costanza era il requisito fondamentale, per un ambiente che poi ha cambiato il modo di promuovere i suoi sponsor, che sempre più spesso propongono prodotti e servizi.

Pensa che il ciclismo sia ancora un utile veicolo promozionale?

In ambito sportivo, lo valuteremmo ancora. Ma bisogna chiedersi se mettere il nome su una maglia sia ancora utile. Di certo lo strumento squadra ti dà visibilità ogni giorno per 365 giorni all’anno. Mi chiedo però se per un’azienda come Lampre sia ancora il veicolo giusto per far conoscere il proprio marchio, ricorrendo a uno strumento di marketing in stile anni Ottanta. Però va detto che all’estero funziona…

Nel 2005, chiusa la Saeco, la squadra di Cunego si fonde con la Lampre di Simoni: scintille sicure…
Nel 2005, chiusa la Saeco, la squadra di Cunego si fonde con la Lampre di Simoni: scintille sicure…
Quindi?

Quindi forse è un fatto di come il ciclismo viene vissuto in Italia. L’attività di base è ai minimi termini. I ragazzi di oggi cominciano mille sport, ma quasi mai vogliono prendere una bici. I miei cinque figli, nonostante io sia appassionato, non l’hanno mai valutato. Credo ci sia un tema generale che prescinde dal team WorldTour.

Manca un movimento che autorizzi o invogli l’investitore?

Questo è certamente un tema, il settore giovanile è asfittico e non è però compito dei team di punta fare promozione di base. Faccio l’esempio del Trofeo Lampre di Bernareggio. Abbiamo avuto anni in cui mandavamo indietro le squadre e alla fine lo abbiamo chiuso perché le squadre non si trovavano più.

Per un po’ si è detto che il deterrente per le aziende fosse finire in qualche storia di doping.

Siamo stati nel ciclismo per 25 anni, abbiamo vissuto tutte le epoche e in quella fase qualche paura di questo tipo c’era. Ricordo bene le discussioni con potenziali sponsor, ma quell’epoca ormai è consegnata alla storia, per cui bisogna trovare il modo di attrarre risorse serie.

Ivan Basso, che si è costruito come manager, dice che si è andati per anni a chiedere soldi senza proporre un ritorno ben documentato…

Ci sta che la proposta sia stata sbagliata. La battaglia storica è quella di patrimonializzare e responsabilizzare le società sportive, perché abbiano più certezze e non dipendano solo dagli sponsor. Ma è anche vero che squadre e sponsorizzazioni una volta si basavano sulla passione. Quando abbiamo mollato, chi ha proseguito lo ha fatto con altre tipologie di sponsor.

Era in maglia Lampre anche Scarponi nel 2011 quando finì 2° al Giro dietro Contador, che poi fu squalificato
Era in maglia Lampre anche Scarponi nel 2011 quando finì 2° al Giro dietro Contador, che poi fu squalificato
Come si riparte?

Dimostri e convinci se fai vedere che c’è una base.

Perché però a un certo punto, secondo lei, la Mapei lasciò il ciclismo e si buttò nel calcio? Non sarà che in Italia si vede solo quello?

Non so bene il perché delle scelte di Squinzi, ma immagino che come azienda abbia avuto questa possibilità e l’abbia colta. E poi non dimentichiamo che Giorgio era un grande appassionato di calcio. Pensate invece che la Lampre funzionò al contrario…

Petacchi ha corso in Lampre dal 2010 al 2013: qui con Mario Galbusera
Petacchi ha corso in Lampre dal 2010 al 2013: qui con Mario Galbusera
Cioè?

Da ex calciatore, papà stava acquistando la squadra del Lecco, ma non andò bene. La stessa sera, lo chiamò Colnago e per rivalsa, rimise la cravatta e andò a incontrarlo. Però è vero che al ciclismo manca il necessario supporto. La Lega Ciclismo, com’era una volta, coinvolgeva sponsor importanti, avendo il necessario supporto mediatico e anche politico.

Anche il supporto mediatico è sceso parecchio. La Gazzetta dello Sport fatica molto a sparare il ciclismo in prima pagina…

Il giovane guarda il calcio e non il Giro di Lombardia e anche io mi chiedo come mai, dopo una stagione così bella, non si trovi spazio. Eppure sulle strade i tifosi ci sono ancora. Che sia un problema di formula, cioè che una gara che dura molte ore e proposta in diretta integrale funzioni meno di una partita che finisce in 90 minuti?

Nel 2007 in maglia Lampre, Bennati conquistò il traguardo del Tour a Parigi
Nel 2007 in maglia Lampre, Bennati conquistò il traguardo del Tour a Parigi
Vi propongono spesso di rientrare?

Più volte, anche di recente. La passione è sempre presente, ma abbiamo lasciato un WorldTour diverso, in cui inserirsi non è facile. E poi non è bello il vuoto che c’è sotto. Prima al di sotto della massima categoria c’era un circuito meno legato a logiche di mondializzazione e questo è un altro tema. Si spendono fortune per viaggi nel mondo che magari allo sponsor non interessano. Di certo non interesserebbero ad alcuni sponsor italiani. C’è un grande scollamento e per un nome come il nostro, abituato a stare in alto, l’idea di partire dal basso non è troppo allettante.

L’idea è che si parta dal basso per ottenere la promozione nel WorldTour…

Un’idea teorizzata in Svizzera 15 anni fa, che però ha troppe criticità. I punti vanno fatti nello stesso campionato, con regole uguali per tutti. Non vi sembra che per come è adesso sia un po’ una confusione?

Valverde smette, Mas resta: Unzue a metà del guado

14.10.2022
5 min
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Unzue accavalla le gambe, sorride e annuisce ascoltando la domanda, poi inizia a parlare seguendo il filo di un discorso che nasce da lontano. Il manager del Movistar Team ha l’alone di saggezza che in precedenza fu di Josè Miguel Echavarri, il mentore di Indurain, che parlava con il carisma di un oracolo o un sacerdote del ciclismo.

L’argomento è il momento della squadra, che da un lato dice addio a Valverde e dall’altro ha ritrovato Enric Mas a livelli insperati.

Abbiamo incontrato Unzue al Giro di Lombardia, ultima corsa di Valverde
Abbiamo incontrato Unzue al Giro di Lombardia, ultima corsa di Valverde

Lo stupore di Unzue

Del mallorquino avevamo parlato con Piepoli che lo allena. E proprio il pugliese ci aveva parlato delle difficoltà di Mas nei giorni del Tour, terrorizzato dalle discese e da altri fattori difficili da decifrare. Invece alla Vuelta, dopo quattro settimane di lavoro certosino, la svolta netta e inattesa.

«Incredibilmente e felicemente aggiungerei – dice Unzue – dopo le tante cose che sono successe quest’anno, il fatto che sia stato capace di fare quella Vuelta e poi il finale di stagione in Italia era sinceramente impensabile. Che questo fosse il suo livello me lo aspettavo. Ma dopo tanta disgrazia, il fatto che sia stato capace di reagire… Al Tour si è ritirato a tre tappe dalla fine per il Covid. In più c’era questo problema delle discese. Non riesco a capire cosa sia cambiato per rivederlo così alla Vuelta. Mi ha stupito più per il suo recupero mentale, che del livello sulla bici. Quello era già così alla Tirreno-Adriatico, dove però sono iniziati tutti i problemi…».

La caduta di Mas nella 5ª tappa del Delfinato secondo Unzue ha bloccato del tutto il povero Mas
Secondo Unzue, la caduta di Mas al Delfinato lo ha bloccato del tutto
Che cosa è successo?

Non lo sappiamo, sono cose difficili da capire. Ha cominciato con la caduta alla Tirreno. Poi quella ai Paesi Baschi e anche al Delfinato, dove la sua fiducia si è distrutta del tutto. Aveva iniziato il Tour molto bene. Si è salvato nelle tappe più rischiose. Siamo andati verso le salite e nelle discese ha iniziato a bloccarsi. In 50 anni di ciclismo non avevo mai visto una cosa così, ve lo dico sinceramente. Ma avevamo sempre la fiducia che come era arrivato, il problema sarebbe potuto passare. Ed è stato così veramente.

Piepoli ci ha parlato del gran lavoro fatto con lui.

Leo lo conoscete bene, sapete come si impegna. E lui ha fatto un lavoro incredibile per restituirgli la fiducia. Bravo anche il tecnico che lo ha accompagnato a fare le discese. Ci hanno lavorato un po’ tutti ed è stato veramente importante, perché lui è ripartito. E’ stato incredibile come abbia perso la fiducia in un momento e incredibile come l’ha recuperata e tutto sia cambiato di nuovo.

La scoperta disarmante del Tour: Mas bloccato in discesa, poi il ritiro causa Covid
La scoperta disarmante del Tour: Mas bloccato in discesa, poi il ritiro causa Covid
Potrebbe aver pagato l’assenza di Valverde?

Potrebbe essere, ma non so se sia stato per questo. Sono convinto che avere vicino Alejandro gli regali la tranquillità per rendere meglio. Questa è una realtà. Alla fine come tutti questi giovani, c’è bisogno di un tempo per essere capaci di guidare un progetto che richiede grande responsabilità. Io credo che questa esperienza sia stata molto importante e credo che lui sia già a posto per essere uno dei grandi.

Anche perché alla fine Valverde ha detto basta…

E io sono felice perché lo vedo felice. Si gode la bici, dopo 21 stagioni da professionista in cui ha cominciato al top, ha continuato al top e dopo tutto questo tempo è ancora al top. E’ partito come uno dei favoriti per il Lombardia, vuol dire che per 21 anni abbiamo avuto il privilegio di vivere accanto a uno come lui.

Come lui?

Uno che non ha mai parlato di momento di forma, che vinceva a gennaio, febbraio, marzo, aprile, maggio al Giro, luglio al Tour, il mondiale a fine anno… Vinceva tutto l’anno. Alejandro ci ha fatto sembrare normali le cose eccezionali che ha fatto. Però intanto il suo palmares si è riempito di corse totalmente diverse. E allora capisci la qualità di questo uomo. E poi è incredibile che sino alla fine abbia continuato a divertirsi. Gli piace allenarsi, mangiare bene, fare i sopralluoghi dei percorsi. Sono cose che ai giovani a volte pesano, ma probabilmente fanno parte della sua grandezza.

Non si dura tanto senza i giusti sacrifici…

Ma lui li ha sempre affrontati con un livello di professionalità incredibile. Sempre disposto a fare bene nella corsa dove lo mandavi. Abbiamo avuto tanti grandi corridori nella squadra. Ma senza dubbio uno che come lui ci abbia permesso di vincere dovunque vai… Lo abbiamo visto vincere a cronometro, battere Petacchi, lo abbiamo visto in corse di una settimana, nei grandi Giri, podi al mondiale, le classiche… Ha fatto di tutto e le ha vinte tutte!

Il Giro di Lombardia è stato anche l’ultima corsa di Valverde a 42 anni, 21 dei quali alla corte di Unzue
Il Giro di Lombardia è stato anche l’ultima corsa di Valverde a 42 anni, 21 dei quali alla corte di Unzue
E adesso, secondo Unzue come cambia la storia del team?

Abbiamo visto smettere Indurain. Credo che la storia degli uomini che ci hanno preceduto ci insegni molto. Confido che quelli che arrivano dietro siano capaci di sostenere la storia di questa squadra. Ho tanta fiducia in questi giovani. Per loro la partenza di Alejandro significherà avere più opportunità. Se c’era Alejandro, si correva perché vincesse. D’altro canto, vedendo il livello di Enric, credo si stia consolidando come un grande leader.

Cosa farà da grande?

Abbiamo un contrato per i prossimi due anni. L’ho fatto con l’idea che lui semplicemente non dovesse pensare al suo futuro mentre correva. Ha un accordo per consentirgli di scoprire il ciclismo da quest’altro punto di vista, perché trovi il suo posto e possa trasmettere la sua esperienza. E dove può sentirsi felice una volta di più nell’ambiente della bicicletta.

Torna il Trofeo Baracchi, la grande storia riparte

18.05.2022
4 min
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C’era un tempo in cui esistevano eventi che erano qualcosa più di semplici corse, competizioni, gare. C’era un tempo in cui la gara era sì accesa, ambita, combattuta, sognata, ma era quasi una scusa per ritrovarsi, salutarsi, abbracciarsi, dirsi arrivederci, condividere passioni, gioie, dolori, professionali e personali. Tra queste c’era il Trofeo Baracchi, una cronometro a coppie che si disputava su una distanza di 100 chilometri e di fatto concludeva la stagione ciclistica (in apertura, Moser e Hinault nell’edizione del 1984). Un ultimo giorno di scuola prima dell’inverno, della lunga sosta, prima che la stessa combriccola si rivedesse in Riviera, per il Laigueglia e la Sanremo.

Fu Giacomo Baracchi, detto “Mino” a inventare e tracciare il percorso della cronocoppie
Fu Giacomo Baracchi, detto “Mino” a inventare e tracciare il percorso della cronocoppie

Le Capitali della Cultura

L’ultima edizione di questa corsa, inventata dal commerciante bergamasco Mino Baracchi nel 1949, si disputò nel 1991, ma nel 2023 finalmente tornerà. La competizione si disputerà con la stessa formula della crono a coppie, sarà riservata ai professionisti e alle donne su un percorso che unirà Bergamo a Brescia. Le due città, cugine e rivali, saranno unite dal fatto che l’anno prossimo saranno Capitali della Cultura.

Ecco, la gara diventa motivo per condividere, scambiare, fondere, unire, appassionare. I nostalgici, i vecchi amanti della bicicletta cresciuti con Coppi e Bartali torneranno ad assaporare il gusto dolce del ciclismo di un tempo. I giovani, quelli nati sotto la stella di Pantani, di Nibali o di Ganna potranno innamorarsi ancora un po’ di più del ciclismo e comprenderne le radici più profonde, poi fiorite fino ai giorni nostri.

Nel 1953 Fausto Coppi e iridato e vince il Baracchi assieme a Riccardo Filippi (foto Miroir du Cyclisme)
Nel 1953 Fausto Coppi e iridato e vince il Baracchi assieme a Riccardo Filippi (foto Miroir du Cyclisme)

Lo zampino di Stanga

A volere il ritorno del mitico “Baracchi” sono stati Gianluigi Stanga, presidente dell’Unione Ciclistica Bergamasca; Beppe Manenti, organizzatore della Granfondo Felice Gimondi e Mario Morotti che di Mino Baracchi fu una sorta di braccio destro.

Tanti i campioni che vinsero il trofeo come Coppi, Motta, Anquetil, Merckx, Gimondi Baldini. La corsa si disputava il 1° novembre o il 4 perché erano due giorni simbolici: Ognissanti o quella che un tempo era la festa dell’Unità Nazionale. Una “trovata” da vero commerciante quella di Baracchi che voleva i fari puntati sulla corsa e sulla sua Bergamo. E così era, ogni anno, sempre un po’ di più, nonostante qualche aggiustamento sull’organizzazione, il percorso, i partecipanti.

Bergamo era il cuore della corsa con l’arrivo al velodromo di Dalmine che fungeva da grande palcoscenico, ma al tramonto della sua epopea si svolse anche in Trentino e in Toscana.

Nel 1979 Moser vince il Baracchi con Saronni: Francesco vanta 5 successi
Nel 1979 Moser vince il Baracchi con Saronni: Francesco vanta 5 successi (foto Miroir du Cyclisme)

Moser e Saronni

Non si disputò nemmeno sempre a coppie, ad esempio l’ultima edizione fu individuale e vinse Tony Rominger. Migliaia di persone, complice proprio il giorno di festa, si riversavano sulle strade per applaudire i propri campioni, soprattutto nell’epoca in cui le televisioni non esistevano e le radio narravano le gesta al Giro o al Tour, con i tifosi che dovevano immaginare, sognare, disegnare, fantasticare il volto di Coppi, le gambe di Bartali, le smorfie di Magni. Una corsa matta, folle, folkloristica, dove non sempre vinceva il più forte nelle gambe, ma il più forte nella testa.

Nei giorni scorsi Bergamo ha omaggiato Mino Baracchi in occasione dei 100 anni della sua nascita (l’ideatore è morto nel 2012, all’alba dei 90 anni) con Francesco Moser e Giuseppe Saronni ospiti d’onore. I due acerrimi rivali corsero insieme il trofeo nel 1979 e lo vinsero, anche in quel caso con qualche frecciatina in corsa. Baracchi che unì persino loro nonostante le iniziali perplessità, unirà anche Bergamo e Brescia per una nuova era, ci auspichiamo, ricca di altri aneddoti ed emozioni.

Italiani e corse a tappe: la spiegazione (dura) di Locatelli

16.05.2022
7 min
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Olivano Locatelli è tornato sull’ammiraglia. La squadra si chiama Onec Cycling e ha base a Parma. Con lui sale a volte Salvatore Commesso, suo allievo da dilettante. Locatelli ha vissuto vicende che quanto a qualità e quantità basterebbero per tre vite. In un titolo di tanti anni fa, lo definimmo “Lo stregone dei dilettanti”. Non sono stati sempre rose e fiori. I suoi metodi sono stati spesso discussi e hanno portato a inchieste e archiviazioni. Diversi corridori hanno puntato il dito, come altri continuano a ringraziarlo, ma nessuno può negare che la sua esperienza sia qualcosa di raro. Per questo e conoscendo bene le sue convinzioni tecniche, abbiamo fatto con lui una fotografia del dilettantismo di oggi (nell’immagine photors.it in apertura, il bergamasco è con Aru al Val d’Aosta del 2012).

Alcune delle sue affermazioni renderanno la sedia scomoda. Però forse questa volta vale la pena accettare la posizione disagevole, ragionare sui singoli punti senza bocciarli a priori e chiedersi se valga la pena accettare tutto come viene o non varrebbe la pena chiedere qualche cambiamento.

Quest’anno Locatelli guida la squadra emiliana della Onec Cycling (foto Facebook)
Quest’anno Locatelli guida la squadra emiliana della Onec Cycling (foto Facebook)
Ce ne hai messo per rispondere…

Avevo lasciato il telefono a casa, ero a potare gli alberi. Me lo ha insegnato mio padre. Ho gli ulivi, ma questa volta ho potato quattro betulle. A inizio settimana scorsa invece ero in Norvegia da mia figlia, a Stavanger.

La città di Kristoff…

Davvero ? Non lo sapevo.

Che cosa ti pare di questo ciclismo dilettantistico?

Non voglio fare critiche, Vicennati, ma il bel ciclismo lo abbiamo visto noi. Il blocco olimpico non era un danno, al contrario (il divieto per i dilettanti di passare professionisti dall’anno pre-olimpico, rimasto in voga fino al 1992, ndr). Riempiva il serbatoio e il livello si alzava, perché i migliori si confrontavano fra loro. In più c’erano gli stranieri che ci aiutavano. I corridori restavano di più fra i dilettanti, non come adesso. Parlo di Belli, Casartelli, Bartoli e Pantani. Guardo Pozzovivo, che fece tre anni con me e il quarto alla Zalf, ed è ancora là.

L’ultimo blocco olimpico nel 1992: Casartelli (corridore di Locatelli) vinse a Barcellona, poi arrivarono tra i pro’ i ragazzi del 1990: da Bartoli a Pantani
L’ultimo blocco olimpico nel 1992: Casartelli (corridore di Locatelli) vinse a Barcellona, poi arrivarono tra i pro’ i ragazzi del 1990: da Bartoli a Pantani
Oggi chi può passa subito.

Non mi sento di condannarli. L’anno scorso ho letto una tesi di laurea, in cui si sosteneva che il maschio di oggi ha 1/5 degli spermatozoi rispetto a quello di 40 anni fa. Il maschio ha bisogno di lavorare per produrre testosterone. Prima da bambino ti davano il secchiello e la paletta, adesso ti danno il cellulare. Faccio un altro esempio. Fino a 10 anni fa, parlavo con i padri dei corridori, adesso vengono le mamme. E ogni tanto mollo loro una battuta. «Voi siete creatrici di maschi che non sposereste mai», gli dico. Dopo un po’ sapete che mi danno ragione? Ma la colpa non è dei ragazzi, vorrei che fosse chiaro.

E di chi è?

Una decina di giorni fa a Castiglion Fiorentino, un direttore sportivo ha detto che ormai non ci sono più corridori. Io gli ho risposto ad alta voce che invece non ci sono più direttori con gli attributi (la parola usata non è esattamente questa, ndr) e tutti i ragazzi intorno si sono messi a ridere.

Che cosa dovrebbero fare i direttori sportivi?

Smetterla di affidarsi soltanto ai test sui watt, che non sono fedeli per tutti. Se ci fossimo basati su quelli, Pozzovivo, Gotti e Aru avrebbero smesso subito. Ne avevano sui 260, ma avevano anche fibra rossa che matura più lentamente. Se fai questi test sugli allievi in cerca dei numeri più alti, di sicuro troverai passisti e velocisti, quelli con le fibre bianche. Gli altri, che hanno bisogno di più tempo per maturare, neanche li guardi. E li perdi. Ricordo bene quando il presidente della mia società disse che non capivo molto di ciclismo e di far smettere Aru al primo anno, perché non valeva nulla. I corridori li abbiamo, ma li abbiamo fatti accelerare troppo nel cervello.

Pozzovivo ha corso con Locatelli per tre anni, poi è andato alla Zalf, quindi è passato pro’
Pozzovivo ha corso con Locatelli per tre anni, poi è andato alla Zalf, quindi è passato pro’
In che senso?

Li senti parlare che se non hanno il procuratore non passeranno. Si è innescata una dinamica da cui non si torna più indietro. Tutto e subito.

E’ irreversibile?

La Federazione avrà il coraggio di bloccare tutto? Dieci anni fa, una sera a cena con Di Rocco (presidente uscente della FCI, ndr), mi disse che stava tenendo duro, ma che l’UCI vuole ridurre il numero di corse e di squadre in Italia. Favorendo semmai la nascita di una squadra WorldTour e un massimo di 250 corridori. Va così da 7-8 anni, senza che i ragazzi ne abbiano colpa.

Hai parlato dei direttori sportivi.

Una volta mi scontrai con Fabrizio Tacchino (responsabile della formazione FCI, ndr) in uno dei suoi corsi di aggiornamento. Dicevo che i watt non sono reali a 18 anni e che non si poteva ridurre tutto a questo. Venne fuori una discussione dopo la quale rimanemmo a lungo senza parlare. Finché due anni dopo, mi vide e disse che voleva dirmi qualcosa. Pensai che volesse tornare su quel discorso, invece mi chiese se nel corso che stava per cominciare, avrebbe potuto usare le mie parole. Gli chiesi quali…

Ivan Gotti corse nei dilettanti con Locatelli nel triennio 1988-1990
Ivan Gotti corse nei dilettanti con Locatelli nel triennio 1988-1990
E lui?

Mi disse che era rimasto colpito dal mio consiglio di non valutare i corridori al chiuso di quattro mura, che la posizione in sella di gennaio è diversa da quella di luglio e di settembre e insomma… i miei argomenti. Gli era piaciuta soprattutto la mia espressione sul fatto che per fare il tecnico serve… l’occhiometro.

Non tutti sanno valutare i corridori guardandoli.

Infatti i corridori se ne rendono conto e finiscono tra le braccia di chi fa i test. Attenti bene, io sono stato fra i primi a farli all’Università di Torino, ma non c’erano solo quelli. Aggiungete poi che i direttori sportivi di oggi sono stati corridori pochi anni fa, sono abituati a quel sistema, senza vedere la necessità di cambiarlo. Bisognerebbe ripartire dai corridori, consapevoli che da anni abbiamo svuotato il serbatoio.

Cosa dovrebbe fare la FCI?

Prendere determinate persone, mandarle in giro a individuare i talenti e poi trovare il modo di trattenerli, affinché maturino nel tempo che serve. Ho un elenco di oltre 20 corridori fatti smettere a 24 anni dopo che erano passati a 20

Cicone ha corso alla Maiet di Locatelli nel 2013, poi è stato per due anni al Team Colpack
Cicone ha corso alla Maiet di Locatelli nel 2013, poi è stato per due anni al Team Colpack
Torni per un attimo al discorso delle fibre rosse e le bianche?

Prendete Ciccone, che era con me poi è andato via. Non hanno capito che lui non era uno da buttare nelle classiche, ma da far crescere gradualmente nelle gare a tappe. Prendete Aru. Gli dissi che aveva fibre rosse, che doveva avere pazienza e sarebbe arrivato. Lui ha ascoltato e al terzo anno ha cominciato a fare i suoi risultati. Mi piacerebbe dare una mano per trovare corridori da corse a tappe, quelli che ci mancano. Ce ne sono tanti che dovrebbero aspettare, ma se glielo proponi, ti guardano come fossi matto, con tutti questi discorsi che ci sono. Allora bisognerebbe trovare una squadra che investa e li convinca a rispettare i loro tempi, liberandoli da tanti condizionamenti.

Di cosa parli?

Pagando di tasca mia, ho mandato quattro ragazzi da sei biomeccanici diversi. Ebbene, sono tornati con 24 posizioni differenti. La geometria non dovrebbe essere una scienza esatta? Anche questo li condiziona. A volte mi trovo con i miei ex e parliamo. Negli anni capisci. E così parlando con Gotti, gli ho detto che su certi allenamenti avevamo sbagliato tutto. Lui mi ha risposto che ci credeva e quindi andava bene. Ma se togli di mezzo un po’ di queste figure, a chi li dai in mano?

Olivano Locatelli è nato a Bergamo nel 1956, ha corso nei dilettanti (foto Facebook)
Olivano Locatelli è nato a Bergamo nel 1956, ha corso nei dilettanti (foto Facebook)
Cosa pensi del ruolo dei procuratori?

Hanno le loro responsabilità, al pari dei genitori dei ragazzi. Purtroppo quello dei giovani corridori è un commercio, con squadre che negli anni ne hanno fatti passare e smettere decine. Non condanno nessuno, è il sistema che è così. Ma datemi retta, il ciclismo migliore lo abbiamo visto tanti anni fa.