Chef Romano ci spiega la vita del cuoco nei “giorni rosa”

04.05.2021
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Non solo per i corridori, questi sono giorni di grande frenesia anche per gli staff dei team che stanno per partire per il Giro d’Italia. E tra loro ci sono gli chef, figure ormai immancabili nei team più importanti. Il cuoco non è solo colui che cucina, ma è un vero e proprio “manager del cibo”: dalla ricerca del prodotto al piatto in tavola tutto passa dalle sue mani.

A colazione si preparano le omelette. Solo in quel momento si consumano oltre 30 uova
A colazione si preparano le omelette. Solo in quel momento si consumano oltre 30 uova

La passione di Romano

In casa Uae a svolgere questa funzione è Michele Romano. La sua storia è particolare e in qualche modo è il ciclismo che ha cercato lui. Michele viene da Civitella Roveto, piccolo Borgo nella provincia dell’Aquila, ama andare in bici, ma non ha mai corso. Classe 1977, ha studiato presso l’Ispra di Roccaraso, poi si è formato e specializzato girando per l’Italia e per l’Europa. 

«Mi sono letteralmente innamorato di questo lavoro e del ciclismo – racconta l’abruzzese – Mi sono ritrovato a fare un Delfinato con la Uae cinque anni fa. Da lì mi hanno portato al Tour e alla Vuelta. E da allora sono fisso con loro». 

Tra le scorte del Giro anche tante zucchine. Romano dice che ne consumeranno 15 chili
Tra le scorte del Giro anche tante zucchine. Romano dice che ne consumeranno 15 chili

Qualità prima di tutto

Massima qualità e ricerca accurata dei prodotti sono le colonne portanti del suo lavoro. E questo ambiente elitario, super curato piace, e non poco, a Michele. Ma è lo specchio di quel che poi vivono i suoi colleghi e gli altri team. I dettagli, i marginal gains passano anche per la cucina, esattamente come quando nella tecnica parliamo di una certa lubrificazione della catena o di una particolare ruota.

E lo capiamo subito quando Romano ci spiega come prepara le omelette. «Devono essere più proteiche, quindi hanno un rosso d’uovo e due bianchi e del Parmigiano grattugiato rigorosamente di alta qualità, stagionato 36 mesi».

Tra i kitchen truck più grandi c’è quello della Bora Hansgrohe, ma ci sta: Bora produce cucine!
Tra i kitchen truck più grandi c’è quello della Bora Hansgrohe, ma Bora produce cucine!

Dalla cucina al computer

Romano e molti suoi colleghi da domani saranno negli hotel di Torino che ospiteranno la grande partenza. E queste sono ore frenetiche.

«C’è da riempire le scorte del mio kitchen truck (la cucina mobile, ndr). Ho preparato alcuni ingredienti che mi serviranno al Giro. Ma sono scorte poi non così grandi perché io preferisco utilizzare prodotti super freschi, scelti da me di volta in volta e di elevata qualità. Ho già contattato l’hotel di Torino e ho fatto loro delle richieste. E lo stesso ho fatto con gli altri, inviando delle mail».

Secondo la stima di Romano, durante il Giro si consumeranno 20 chili di pomodori, 15 chili di zucchine e altrettanti di banane, 50 chili di pasta che lui sceglie solo di qualità, come la De Cecco linea Oro o quella trafilata al bronzo di Gragnano, 20 chili di carne bianca, 10 chili di pescato, 30 uova per ogni mattina (quindi ben oltre 600 in tutto il Giro) e qualche barattolo di Nutella.

«Inoltre noi abbiamo come sponsor, per il food and beverage, Crai. Ci riforniscono di cereali, marmellate, olio biologico, aranciate… e noi stocchiamo i prodotti del nostro quartier generale di Magnago a Milano. Da lì carichiamo le scorte del “secco” cioè dei prodotti a lunga scadenza. Li conserviamo in frigoriferi o comunque in ambienti idonei.

«Per quel che riguarda il fresco invece lo acquisto personalmente di volta in volta, come ho accennato. Ho una carta di credito che mi fornisce il team e secondo le indicazioni del nutrizionista sono poi io a scegliere i prodotti migliori, nel locale migliore di questa o quella città in cui capitiamo. Ma ormai anche in tal senso ho una buona rete di conoscenze per andare sul sicuro. Quando posso scelgo i piccoli produttori locali, chi fa allevamenti a terra, produce bio, ha una buona tracciabilità del prodotto».

Il regno dello chef, quasi tutti i team hanno un kitchen truck simile
Il regno dello chef, quasi tutti i team hanno un kitchen truck simile

Dettagli curati 

Cuoco e nutrizionista vanno a braccetto. In base a quel che gli atleti devono mangiare, il nutrizionista informa il cuoco e lui si adegua.

«Al Giro con noi ci sarà Gorka Prieto Bellver, uno dei nutrizionisti della Uae, e lui decide in base alla tappa, al clima e persino alle caratteristiche stesse del corridore, se è un velocista, un passista, uno scalatore, quanto e cosa deve mangiare. E io mi regolo di conseguenza. Voglio dire che tutto quello che passa per la nostra cucina è pesato. Non si tralascia nulla. Una delle poche cose che non peso sono le rice cake, quelle spettano ai massaggiatori. Sono loro che fanno le porzioni».

Non solo carne, anche uova e pesce nella “credenza” dello chef al Giro
Non solo carne, anche uova e pesce nella “credenza” dello chef al Giro

Chef stakanovista

Ma come funziona la vita del cuoco al Giro d’Italia? Non è una passeggiata. Lavora moltissime ore, perché di fatto non è solo uno chef. È anche manager della cucina, “lavapiatti”, colui che fa la spesa e persino autista. 

«Mi sveglio alle 5:30 e preparo le colazioni, una cosa che amo particolarmente. Vado a dormire alle 23. Nel mezzo funziona così. Come ho detto faccio le colazioni: cereali, caffè, thè, omelette… e tutto quello che concerne le colazioni rinforzate dei ragazzi. Poi riordino tutto. Quando stacco la macchina del caffé, che è nostra, parto alla volta dell’hotel successivo, dove inizio a preparare la cena. Ma prima mi fermo per fare la spesa. Preparo anche le rice cake. Metto il riso nell’abbattitore per eliminare la carica batterica e sono pronte per il giorno dopo. Le faccio con la frutta, a base di caffè o di cacao…».

Romano e gli altri chef cucinano nei track, ma può capitare che lo facciano negli hotel
Romano e gli altri chef cucinano nei track, ma può capitare che lo facciano negli hotel

Dolci e “sgarri”

«Soprattutto quando ci sono tappe molto dure si preparano dei dolci – dice Romano – delle crostate rivisitate e altre ricette private della parte grassa, principalmente del burro. Magari utilizzo delle farine ventilate o provenienti da frutta secca. Per farlo, la ricerca del prodotto è lunga e meticolosa ma è così sia perché lo voglio io, sia perché le indicazioni della squadra sono di prendere solo il meglio».

Infine qualche “pettegolezzo” di gola sui ragazzi della Uae che vedremo al Giro. Chi è più goloso? Chi si lascia andare? Ma Romano non cede: «Da Formolo ad Ulissi, ma anche agli altri ragazzi che non sono al Giro, sono tutti molto professionali e si attengono alle regole del nutrizionista. Posso però dire che la sera prima del  giorno di riposo un po’ si “sgarra”. E magari posso preparare una pizzetta o un hamburgher che faccia bene al loro spirito, ma attenzione sono hamburger senza grassi, preparati in un certo modo. Ogni cosa che mettiamo sulla tavola dei corridori è bilanciata e ben ponderata prima».

Tappone dolomitico, come mangiano i corridori?

03.05.2021
7 min
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Sedicesimo giorno del Giro d’Italia, lunedì 24 maggio, tappone dolomitico. 212 chilometri, 4 gran premi della montagna, 5.700 metri di dislivello. Il via da Sacile, l’arrivo a Cortina. Il giorno prima la tappa nervosa di Gorizia giusto all’indomani dello Zoncolan, il giorno dopo il secondo riposo. I corridori l’hanno cerchiata di rosso, ma non è un giorno cruciale soltanto per loro. In una giornata come questa, tutto il team è chiamato a raccolta. Se fosse possibile montare un video sovrapponendo ciò che concorre al buon esito di un giorno come questo, molti rimarrebbero senza fiato.

Apriamo ad esempio il file dell’alimentazione. Cosa si mangia in un giorno come questo? Ci siamo rivolti a Laura Martinelli, oggi al team Novo Nordisk e nostra ricorrente compagna di viaggio nelle complesse scelte alimentari dei corridori. E il punto di partenza conferma il mondo che c’è dietro.

«La preparazione alimentare – dice – va studiata da ben prima che il Giro cominci. La tappa di cui parliamo arriva a cavallo fra la seconda e la terza settimana, in una fase di compromissione del sistema gastrointestinale. I corridori sono stanchi. Sapendo questo e per farvi fronte, con alcuni miei atleti abbiamo varato il piano alimentare del Giro per un buon 80%. Il resto, legato a meteo e sensazioni, si andrà affinando con il passare dei giorni».

Lei è Laura Martinelli, nutrizionista del Team Novo Nordisk
Lei è Laura Martinelli, nutrizionista del Team Novo Nordisk
Allora partiamo, con una bella salita di quasi 15 chilometri già in avvio…

Tipica partenza che taglia le gambe e la… pancia! Bisogna cominciare da prima, sfruttando il fatto che il via alle 10,50 sia abbastanza comodo. I miei atleti sanno che la gestione alimentare di qualsiasi tappa inizia dal recupero della precedente. Per cui si comincia con il carico di carboidrati, un concetto ormai ridondante. C’è tutto il tempo per fare bene, dato che la tappa di Gorizia non è troppo dura. Invece per quanto riguarda la colazione, va alleggerita non nei grammi di carboidrati, ma in termini di fibre. Si punta sui carboidrati più facili da digerire. Non pasta, ma riso. Non porridge con avena integrale, ma raffinata.

Di solito in queste situazioni, la partenza rischia di essere rapida. Dovranno certamente scaldarsi…

Se si prevede una partenza a tutta, servirà un pre-start in forma non solida. Se di solito prima di partire si prende una barretta o una banana, quel mattino sarà meglio puntare su un gel a lento rilascio oppure una borraccia di maltodestrine.

Ogni integrazione lungo la strada sarà pianificata?

Si deve lavorare da prima per avere la miglior copertura. Già dopo la prima salita dovranno mangiare per portarsi avanti rispetto a quello che li aspetta. Dallo scollinamento ad Agordo, dove si ricomincia a salire, ci sono circa 65 chilometri, quindi il tempo per mangiare c’è. La teoria a questo punto vorrebbe che si mangiasse poco e spesso, ma in tappe come questa capita che le strategie di gara non lo permettano. Per cui va individuato un range all’interno del quale bisogna aver mangiato. Anche perché c’è da fare una considerazione importante.

Vale a dire?

Li aspettano parecchi chilometri in quota: circa 37 sopra i 1.500 metri e circa 10 chilometri sopra quota 2.000. E’ un fattore che va considerato in termini di dispendio glucidico superiore. Un ulteriore carico a livello metabolico.

Vista la prima salita alla partenza del tappone di Cortina, i corridori dovranno anche riscaldarsi
Vista la prima salita in partenza, i corridori dovranno anche riscaldarsi
Ha parlato di range entro il quale mangiare, ma a parte i corridori, qualcuno sulle ammiraglie è al corrente di questi aspetti?

Dipende dal modus operandi del nutrizionista. Io ad esempio condivido con i diesse la strategia alimentare corridore per corridore. Hanno tutto in un pdf che possono consultare nello smartphone. Quel che conta comunque è che il singolo corridore sia consapevole di quello che lo attende e come deve alimentarsi. E per evitare che presi dalla foga dimentichino di mangiare, ci sono dei computerini in cui puoi caricare la tua strategia nutrizionale e vibrano in prossimità delle… scadenze. Anche perché non si può pretendere che i direttori sportivi gestiscano anche questo, soprattutto se con l’ammiraglia e con la radio magari non sono nel raggio utile.

Come si gestiscono dal punto di vista nutrizionale il passo Fedaia, il Pordoi e il Giau che i corridori troveranno in successione?

Eliminando il superfluo, quindi concentrandosi sui carboidrati. Ovviamente le salite andranno anticipate con bevande isotoniche, gel, sciottini alla caffeina. Non devono avere paura di assumerne troppo presto. Lungo la salita si fa quel che si può, il settore per mangiare è dallo scollinamento in poi. Al corridore si suggerisce di mangiare prima e dopo la salita, non per caso i massaggiatori coni rifornimenti sono sempre al Gpm, in cui il consiglio è subito quello di prendere un gel. In salita devono pedalare, mangiare diventa faticoso.

rice cake
Soprattutto nelle prime due ore del tappone, l’alimentazione solida va preferita: ecco la rice cake
Soprattutto nelle prime 2 ore, l’alimentazione solida va preferita: ecco la rice cake
Nel vivo della corsa si passa a un’alimentazione liquida o si resta al solido?

Ci sono corridori che mangiano solido fino all’ultimo chilometro. Per dare una linea, va fatta un’analisi glicemica. Nella prima parte di gara – diciamo un’ora e mezza, due ore – l’insulina è molto attiva, per cui se prendo solo dei gel, rischio di ritrovarmi con la glicemia troppo alta. Per questo in avvio è bene mangiare solido. Superata questa finestra temporale, via libera ai gel. In alternativa, vanno molto bene le tortine di riso artigianali, rispetto alle barrette che con il caldo si sciolgono e con il freddo non si scartano bene, che si possono prendere in qualunque condizione di tempo.

Cosa mettiamo nelle borracce?

E’ molto soggettivo. E dove si va nello specifico, ognuno di noi ha le sue idee e ce le teniamo ben strette. Se vogliamo stare nel generale, diciamo che ci sono tre tipi di borraccia. Quella con acqua e sali, che serve per l’idratazione. Quella con le malto, energizzante, con 40 grammi di maltodestrine. E quella che chiamano “malto plus”, ancora più energizzante, in cui si disciolgono 80 grammi di maltodestrine, l’equivalente dei 2/3 dell’apporto di carboidrati in un’ora. Ha una densità incredibile, ma riscuote parecchio successo. Anche questo rientra comunque nella pianificazione, concordata con il corridore, quando si valuta la distribuzione degli alimenti lungo il percorso e quando si organizza il necessario supporto per la strategia di gara.

Borracce di 3 tipi nel tappone: acqua e sali per idratare, malto e malto plus come energizzanti
Borracce di 3 tipi: acqua e sali, malto e malto plus
Ad eccezione della tortina di riso, si tratta di un’alimentazione molto… tecnologica. C’è un po’ di spazio per il gusto nel menù del tappone?

Secondo la mia concezione, c’è spazio per qualunque cosa li faccia stare bene. Anche per questo nei sacchetti del rifornimento la Coca Cola non manca mai. Ha la caffeina, i carboidrati rapidi, il gusto della bevanda frizzante e la peptina, che agevola la digestione. Non dimentichiamo che in pieno sforzo infatti, il sangue si sposta a livello periferico e l’apparato digestivo va in sofferenza.

Cos’altro c’è nel sacchetto?

Fonti immediate di energia. In Novo Nordisk abbiamo delle ampolline con zuccheri a rapido rilascio, nelle altre squadre ci sono booster con taurina, gingseng… qualsiasi cosa possa dare un po’ di sprint.

Ovviamente abbiamo parlato di un tappone con il sole. E se piove?

Paradossalmente se piovesse, si avrebbero meno problemi e meno rischio di disidratazione. Cambia lo scenario, ma per ora farei il tifo affinché questo bellissimo tappone si corra con il sole…

Agnoli, parole dure: i corridori meritano rispetto

14.04.2021
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Valerio Agnoli, che alla fine del 2019 ha annunciato il ritiro, sta sostenendo gli esami per il terzo livello. «I corsi organizzati dal Centro Studi in questa fase sono stati spettacolari – dice – ho studiato tanto, ma ne è valsa la pena».

E proprio studiando per diventare direttore sportivo, Valerio ha aperto gli occhi su «una serie di dinamiche e abitudini che quando ci sei dentro ti sembrano normali». E se normali non ti sembrano, cerchi di fartele andar bene per mantenere quello che hai.

Un mondo a parte

«Il mondo del ciclismo è particolare – comincia Agnoli – si viaggia sempre sul filo e qualunque cosa ti dicano, ti sembra che valga mille. Sul piano dell’alimentazione, per come sei trattato e per le frasi che ti dicono. Niente ti scivola veramente addosso. Ora che sto studiando da direttore sportivo, la sensazione che certi approcci non siano troppo corretti mi è venuta. Un direttore sportivo non è uno che ti dice di sperare che un compagno si faccia male, per sperare di correre. E devi stare anche attento a lamentarti, perché i contratti durano sempre poco e non vuoi avere ritorsioni. Se vogliono che tu vada piano, vai piano davvero. Ho saputo che avrei fatto il mio ultimo Giro d’Italia dopo il Tour of the Alps, due settimane prima. Non era nel programma. Magari provi a parlare con i procuratori, ma anche loro arrivano a un certo punto e si fermano, perché devono continuare a lavorare».

La carriera di Agnoli si conclude dopo 16 anni al Tour of Guanxi
La carriera di Agnoli termina dopo 16 anni al Tour of Guanxi
E così nessuno dice niente…

Non troverai nessuno che parla, perché tutti vogliono mantenere quel che hanno raggiunto. Non puoi puntare il dito e non puoi parlare, perché non hai voce in capitolo. Ti mandano il programma e devi accettarlo.

Sono problemi di tutti oppure chi va forte sta meglio?

Se sei un leader, hai il tuo gruppo e in qualche modo il programma lo fai tu e sei al riparo. Ma se sei uno che vince e viene pagato per vincere, se non arrivano i risultati, dopo un po’ rischi che vada male anche a te. Di sicuro il ciclismo che avevo sempre sognato non è come quello che in certi momenti mi è capitato di vivere.

Il ciclismo che avevi sempre sognato l’hai mai visto?

In Liquigas ci davano il programma da gennaio a giugno e cambiava solo se stavi male. Non mi è mai capitato di essere mandato in Belgio, a una corsa che non mi si addicesse, per poi sentirmi anche dire che fossi andato male. E alla fine paga sempre il corridore, la colpa non è mai di chi ha fatto certe scelte sulla sua pelle.

Giro d’Italia 2010, Agnoli con Stefano Zanatta lavorando per la vittoria in rosa di Basso
Giro 2010, Agnoli con Zanatta lavorando per Basso
Andando per esclusione, se alla Liquigas andava bene, restano l’Astana e il Bahrain…

Con il principe del Bahrain mi sono lasciato bene. A volte ci scriviamo su Instagram e mi ha detto che sarebbe contento di incontrarmi, se tornassi giù. In Astana non ho mai avuto grossi problemi. Ci sta che in una squadra chi comanda possa non piacere a tutti. Lo stesso Lefevere, che per me è un mito, potrebbe non essere amato da tutte le persone che lavorano alla Deceuninck. Ma è brutto sentirsi non accettato, percepisci che non c’è fiducia e a quel punto anche la più piccola defaillance viene accentuata. Il corridore è come un calice di cristallo…

In che senso?

Se lo lucidi e lo tieni da conto, continua a splendere a lungo. Il periodo con Zanatta mi è mancato molto, negli anni successivi ho tenuto botta per quieto vivere. E’ così per molti, mi viene il sospetto che sia proprio così nello sport professionistico in genere. Ogni giorno un esame. Tutte le mattine ti svegli e devi salire sulla bilancia, sfido qualsiasi collega a dire che si tratti di un bel momento.

Il problema alimentare c’è, ormai è chiaro…

Sul Teide, nel giorno di riposo, io ero uno dei pochi che prendeva la macchina e scendeva sul mare a mangiare una pizza. Qualche volta è venuto anche Vince (Nibali, ndr). Ma siamo professionisti, sappiamo che con la pizza ci va al massimo una Coca Zero. C’erano altri corridori che non scendevano mai. Sono situazioni che si accavallano. E’ frustrante fare sacrifici e non ottenere risultati. Sei in giro con il 4-5 per cento di grasso, non c’è altro da limare.

Al Giro 2016, Agnoll si ritira per caduta (e frattura del capitello radiale) il giorno di Asolo. Qui con Nibali in rosa a Torino
Al Giro 2016, Agnoli si ritira per caduta nell’11ª tappa
C’è chi lo faceva.

Io con Brajkovic ho corso all’Astana e mi chiedevo come facesse ad andare in bici con il 2 per cento di grasso. Per questo credo che una figura come il mental coach o uno psicologo, qualcuno al di fuori del sistema, non sia così sbagliato, visto che il ciclismo è così estremo. Quando sono passato professionista nel 2004, gli stimoli ce li cercavamo sfidando i grandi campioni, adesso è dura.

Hai parlato dei diesse: non ce ne sono più oppure non li lasciano lavorare?

Ci sarebbero pure. Penso a Zanatta, a Mario Chiesa che ti cazziava, ma sapeva anche darti una pacca sulla spalla. Persino Mariuzzo, che quandi ti incitava, ti faceva venire i brividi. Guardo Bramati e fa piacere vedere un diesse che spacca la macchina per tirarti fuori il 110 per cento. Ricordo la cronosquadre del 2010, quella in cui io presi la maglia bianca. Zanatta dall’ammiraglia ci gasò così tanto, che ognuno di noi diede più del massimo. Ma oggi pare che contino altre cose. La velocità, la potenza, la forza. Ho letto un articolo sul 54…

L’hai letto giusto qui.

Ricordo che il primo a usarlo era Gasparotto, io l’avrò messo 3-4 volte in tutto. Si va fortissimo. Non ci sono più le piccole corse. L’anno scorso mentre mi scrivevo con Nibali, mi ha fatto notare che aveva fatto la crono del Giro a 400 watt medi. Che cosa poteva farci se gli altri sono andati più forte? Chissà come stava sul pullman…

Cosa succede sul pullman?

Ci sali dopo la corsa. Ti fai la doccia e cominci a pensare a come è andata. Ti rivesti. E mentre infili la tuta, cominci a guardare i distacchi. C’è un mondo sul bus, ci si potrebbe scrivere un libro. Perché proprio in quei momenti serve il diesse che con un solo sguardo sia in grado di capire se qualcosa non va. Non è facile…

Oggi Agnoli è testimonial del cicloturismo nel Lazio e tecnico regionale Fci
Oggi Agnoli è testimonial del cicloturismo nel Lazio e tecnico regionale Fci
Fare il corridore?

Il ciclismo è una cosa fantastica, ma è anche un sogno che può trasformarsi in un incubo. Se non vai, vieni emarginato. Non so se in certi casi sia giusto parlare di mobbing, non so se sia solo la mia esperienza. Mi è capitato di fare dei lavori in salita e poi di piangere in discesa, perché ero convinto di aver fatto bene e invece i dati dicevano il contrario. Certe volte Slongo nemmeno ce li faceva vedere, per paura del condizionamento. Sono sfumature che fanno parte del lavoro.

Che tu hai svolto per quanti anni?

Sedici anni e alla fine mi sono ritrovato senza squadra, ma con tanti bei ricordi. La folla nell’Arena di Verona con Basso in maglia rosa. Le Tre Cime di Lavaredo con Nibali. L’ala di gente all’ultimo chilometro dello Zoncolan. Sono cose che solo chi le ha vissute può capire. Il motivo per cui si fa quel mestiere, con tutto quello che comporta.

Crisi di fame sempre più rara, ma Van der Poel…

08.04.2021
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La crisi di fame è un qualcosa vecchio come il ciclismo stesso. Chiunque sia andato in bici, dall’amatore novellino al professionista esperto, per un motivo o per un altro è incappato in questo problema. L’ultimo della lista è Mathieu Van der Poel. Nella splendida tappa di Castelfidardo alla Tirreno-Adriatico (foto in apertura), l’olandese stava “macinando” tutti quando all’improvviso gli si sono “accese tutte le spie”. In poco tempo ha perso oltre due minuti ed è riuscito a salvare la tappa per una manciata di secondi.

In Belgio si vociferava che quel fuorigiri e l’aver pedalato senza benzina nelle gambe possa aver inciso persino sulla sua campagna del Nord, ma erano discussioni di gente non di scienza, mettiamola così.

Davide Cimolai, rifornimento, Giro d'Italia 2020
Nel sacchetto ci sono paninetti, barrette, rice cake… il corridore può scegliere

 

Davide Cimolai, rifornimento, Giro d'Italia 2020
Nel sacchetto ci sono paninetti, barrette, rice cake… il corridore può scegliere

Serbatoio vuoto

Che quella crisi possa aver influito sulle gare successive di VdP convince poco Maurizio Mazzoleni, preparatore dell’Astana: «E’ un caso molto specifico e bisognerebbe chiedere alla Alpecin-Fenix cosa davvero sia successo quel giorno, se si trattava di fame o c’era dell’altro. E’ un caso molto specifico».

Ma certo c’è crisi e crisi di fame. Alcune passano in fretta e se non si hanno troppi chilometri nelle gambe o se davvero non si è svuotato troppo il serbatoio si riescono anche a riprendere, altre invece lasciano il segno. In questo caso il fisico già provato a lungo, lavora senza il carburante necessario per un bel po’ e la “botta” oltre che essere molto forte e quindi portare un drastico calo delle prestazioni, non passa così in fretta.

«Il calo glicemico – spiega Mazzoleni – notoriamente detta crisi di fame, generalmente si recupera nell’arco di un giorno, almeno se esplicitamente legata ad una prestazione atletica. Il vero problema è se questa è stata forte e si sta disputando una corsa a tappe. Il giorno dopo, infatti, l’atleta partirà con uno stress fisiologico, magari minimo, ma comunque con un qualcosina in meno.

«Va da sé che l’alimentazione è la strategia per recuperare da questo shock».

Le maltodestrine sono ideali anche per il recupero, non solo per alimentarsi durante lo sforzo
Le maltodestrine sono ideali anche per il recupero, non solo per alimentarsi durante lo sforzo

Mangiare subito

A volte non basta un gel per riprendersi, anche se si è in gara. Il piano alimentare è decisamente più curato. E ad intervenire è il medico stesso.

«Il medico della squadra – riprende Mazzoleni – ridistribuisce subito il carboidrato per ripristinare il il trasporto glicemico nell’apparato ai suoi standard ottimali. In base all’atleta che ha di fronte, il medico, magari anche in accordo con i nutrizionisti, prepara subito una strategia di recupero. 

«Si parte dai carboidrati più semplici e poi man mano si passa a quelli più complessi. Ma soprattutto si reintegra già entro l’ora successiva al termine dello sforzo. Di solito s’inizia con le maltodestrine, quindi con dei liquidi, che sono di più rapida assimilazione e poi si passa al resto».

Gli staff ormai sanno quanto dosare il cibo e le bevande agli atleti
Gli staff ormai sanno quanto dosare il cibo e le bevande agli atleti

Fame e crampi

Ma la crisi di fame può incidere anche sul discorso dei crampi, della famosa contrazione muscolare che va in tilt. In pratica si assiste ad uno svuotamento generale del muscolo o la parte “idrica” e quella alimentare sono separate? Dipende da molti fattori, in particolare da temperatura e durata dello stato di crisi di fame.

«Non credo che le due cose siano così strettamente correlate, probabilmente si azzerano le scorte idrosaline e l’actina e la miosina non consentono più la giusta contrazione muscolare, ma davvero serve un azzeramento del sistema energetico».

Il riso, uno dei pasti a base di carboidrati più usato dagli atleti
Il riso, uno dei pasti a base di carboidrati più usato dagli atleti

Tutto calcolato

Ma può accadere che un corridore vada in crisi di fame anche in allenamento? Qualcuno che cerca di tirare un po’ di più la cinghia, magari nell’intento di dimagrire?

«La crisi di fame è sempre più rara. Con i nostri staff si calibra bene e in allenamento non capita. Arrivare così a corto di energia non succede perché calcoliamo già prima dell’allenamento o della gara quale sarà il dispendio energetico di ogni atleta. E’ davvero un qualcosa di amatoriale ormai».

Oggi il medico del team fa i suoi calcoli in base al corridore, a quel che deve fare stabilisce cosa e quanto mangiare, addirittura già dal giorno prima. E proprio perché oggi tutto è studiato e la scienza dei numeri dà supporto agli atleti le crisi di fame si vedono sempre meno spesso. Un po’ come in Formula1: si sa tutto in tempo reale o quasi, e ormai una monoposto non resta più senza benzina, come succedeva invece una volta.

Disordini alimentari: «E’ una roba brutta…»

16.02.2021
4 min
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«Oggi ho parlato con Laura – dice Marino Rosti – quello dei disordini alimentari è un argomento che rientra nelle mie competenze. Ma questa è una roba… brutta. La prima cosa che dicono: “Io non ho problemi”».

Laura Martinelli lo ha detto chiaramente: ad accorgersi che il corridore potrebbe avere disordini alimentari sono coloro che hanno il maggior contatto fisico: il preparatore e il direttore sportivo. Marino Rosti non è l’uno né l’altro, però nei suoi anni alla Liquigas e poi al team Bahrain-McLaren, era colui che, in sintonia con il preparatore Slongo, curava le sedute di ginnastica a corpo libero e di allungamento. Avendo anche un master in Psicologia dello Sport, gli è capitato spesso di notare comportamenti insoliti da parte di alcuni suoi atleti. Ma non ci sta a focalizzare tutto su di loro, come invece fa comodo in questi casi.

«Discende tutto dall’esasperazione – dice – dalla ricerca del massimo e dalla necessità di dare l’immagine dell’atleta sempre tirato. Accade in tutti gli sport e come in tutti gli sport, l’alimentazione è fondamentale. Se non mangi il giusto, non vai avanti. Bisognerebbe trovare le persone giuste, il nutrizionista capace di guidarti. E non lasciare che, soprattutto i giovani, vadano su internet e facciano le cose in modo sbagliato. Soprattutto perché, non ottenendo risultati all’altezza dei sacrifici, cosa fanno? Continuano con la privazione. E allora ti accorgi che anche un semplice gelato diventa il frutto proibito. Ecco fate caso ai corridori che davanti al gelato fanno un passo indietro…».

Qual è il confine fra magrezza sana e ossessione?
Qual è il confine fra magrezza sana e ossessione?
La letteratura del ciclismo è ricca di direttori sportivi che chiedono ai gelatai di segnalargli l’arrivo dei corridori.

Certo, perché a un certo punto lo fanno di nascosto e subito dopo li coglie il senso di colpa. Ma vi assicuro che è un regime insostenibile, dopo un po’ sbotti.

Quanto è diffuso nei team questo problema?

Ne ho conosciuti tanti che mangiavano e poi si mettevano il dito in gola. Solo che i campioni vengono seguiti, il problema colpisce soprattutto i giovani e quelli che sono in cerca di una dimensione. Conta l’immagine, come per le modelle. Alcune sono magre naturalmente, le altre non mangiano. Il corridore deve essere magrissimo. Braccia come grissini e gambe da superman.

Secondo Davide Cimolai il tema è molto discusso fra corridori, come ne parla lo staff del team?

Se ne parla tanto, come tanto si parla della necessità di avere il peso a posto, ma in modo sbagliato. Le parole dette a mezza bocca, le battute, il dire continuamente che sono grossi. A un soggetto debole questo martellamento fa effetto. Così arriva alla privazione e in men che non si dica diventa una malattia. I disordini alimentari non nascono a caso. Ne ho conosciuti. Quelli che si sentono a disagio per questi temi sono già una bella fetta. Alcuni lo superano. Ho conosciuto corridori robusti che se ne fregavano.

L’ossessione della magrezza attacca i giovani e gli scalatori
L’ossessione della magrezza attacca giovani e scalatori
Le parole dette a mezza bocca, le battute…

Il dire a qualcuno che deve essere magro è deleterio, semmai digli che deve essere forte. E’ come quando inizi la salita e dicono al corridore: «Non ti staccare». Che cosa metti nella sua testa? Che è destinato a staccarsi, che non ci credi. Allora digli: «Stai davanti e controlla», andrà certamente meglio. E se pensi che debba dimagrire, visto che parliamo di professionisti al massimo livello, mettigli accanto un esperto, non chiedergli di fare da sé. Il martellamento non funziona, soprattutto perché una volta lo sportivo era più forte dal punto di vista caratteriale, oggi i giovani sono mediamente più fragili e di conseguenza a rischio in situazioni che possono diventare patologiche e diventano di competenza di un medico, spesso lo psichiatra.

Il Team Ineos ne ha uno in organico.

Non uno qualunque, è Steve Peters, l’autore del “Paradosso dello Scimpanzè”. La sua tesi è che in ognuno di noi convivano l’umano e lo scimpanzè e lo sforzo quotidiano deve essere quello di tenere a bada l’istinto, mantenendo sempre l’autrocontrollo. L’appetito è fra gli istinti da controllare? Quando andavamo sul Teide, già dai primi tempi, erano sempre per i fatti loro, non salutavano, lo sguardo basso, a tavola non li sentivi. Tanto che noi facevamo quasi apposta a salutarli, abbracciarli, per capire a che punto arrivassero. Ora pare che un po’ anche loro stiano cambiando.

Indurre l’eccesso in soggetti già magri è una pratica a rischio
Rischioso indurre l’eccesso in soggetti già magri
Da cosa ti accorgi che un atleta ha disordini alimentari?

Hanno mille fissazioni, diventano quasi maniacali. Suscettibili sui dettagli. Sono i primi segnali del disagio, se hai l’occhio attento, lo sai cogliere. A tavola, prima mangiano e poi vanno in bagno. Hanno sempre una mela in mano, si guardano intorno. Carezzano spesso la gamba controllando che si veda la vena. In corsa non prendono il rifornimento, perché si fanno bastare la barretta. Il corpo manifesta quello che hai dentro.

Come si aiutano?

Con una persona all’interno che gli dia una mano, oppure cercando fuori un punto di riferimento. Anche loro si rendono conto di non andar bene, ma non sempre riescono a reagire in modo razionale.

Disordini alimentari, interviene Cimolai

15.02.2021
3 min
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Fra chi ha letto interessato e chi ha commentato che si tratta solo di banalità, in calce all’intervista con Laura Martinelli sui disordini alimentari è spuntato il “mi piace” di Cimolai, professionista dal 2010 e attualmente alla Israel Start-Up Nation. La cosa non è passata inosservata, per cui il primo passo è stato mandargli un messaggio chiedendogli il perché di quel giudizio, cui Davide ha risposto quasi immediatamente.

« Perché a mio avviso – ha scritto – tanti ragazzi soprattutto giovani vivono male il problema alimentazione. Purtroppo la “vecchia generazione” insegna ancora metodologie a mio avviso sbagliate».

Frank e Andy Schleck, entrambi magrissimi. Anche Andy ha smesso di colpo come Dumoulin
Frank Schleck esempio di magrezza estrema

Il mito leggerezza

Il passo successivo è stato chiedergli di parlarne e anche questa volta “Cimo” ha acconsentito.

«Il problema non è nato ieri – dice – l’ho vissuto io 12 anni fa quando sono passato. Basta guardarsi intorno, come vanno ancora le cose. Se chi ti guida ha la mentalità vecchia, se dopo cinque ore di allenamento ti danno una mela o un frutto, capisci che qualcosa non va? Così passi professionista e pensi che essere leggero sia l’unica cosa che conta, mentre magari quel chilo in più è la differenza tra andare forte e smettere di correre. Io l’ho imparato a mie spese».

Perché succede?

Ci sono due aspetti da scindere. Avrei preferito trovare sulla mia strada qualcuno che mi insegnasse a mangiare bene. Se non avessi capito da me, avrei davvero smesso di correre. Nelle squadre servirebbe qualcuno in grado di spiegarlo ai neopro’. All’estero ormai certe figure le trovi anche nelle categorie giovanili, in Italia c’è ancora troppa incompetenza. E poi c’è l’altro lato.

Che sarebbe?

Adesso come adesso, avere uno in squadra che si mette dietro di te a tavola a controllare quello che mangi, uno che non fa il nutrizionista, mi starebbe sulle scatole. Chi sei per dirmi certe cose? Ma questo succede prevalentemente in ambito italiano.

Capisci bene che se parli di un neopro’, è dura che possa gestirla da sé…

Devi avere carattere e la fortuna di ascoltare tanto i compagni più esperti. Se un giovane mi chiedesse di queste cose, io sarei ben contento di aiutarlo. Sapete che cosa davvero mi scoccia di questi ragazzi che arrivano e nemmeno ti guardano? Più ancora del poco rispetto in corsa, proprio il fatto che pensino di sapere tutto.

Fra corridori si parla dei disordini alimentari?

Sono l’argomento più importante. C’è stato chi per questo ha smesso di correre e per fortuna ce ne sono altri che hanno buttato via gli anni migliori, ma almeno si sono ripresi e sono ancora in gruppo. Uno era con me, un bel talento, e ci ha messo sei anni per tornare in sé. Un altro è passato con risultati eccezionali sulle spalle e a 19 anni già era al punto che non si concedeva nemmeno una pizza, ma dopo 4-5 anni si è messo a posto. Il discorso è: chi te lo dà tanto tempo?

Eneco Tour 2010, Cimolai è al primo anno da professionista
Eneco Tour 2010, Cimolai neoprofessionista
Hai detto che anche tu hai avuto disordini di questo tipo?

Ho buttato via 2-3 anni di carriera, i primi da professionista, poi ho cominciato ad emergere.

Ci sono squadre che hanno messo la magrezza estrema alla base di tutto.

E magari i risultati gli danno ragione. Spremono così tanto i corridori, che quando cambiano squadra, poi non vanno avanti.

Quando ricominci a correre?

Dovevo partire dalla Spagna, ma hanno cancellato. Per cui debutto nel weekend del 27-27 febbraio, con la  Royal Bernard Drome Classic e poi  Faun-Ardèche Classic, entrambe in Francia. E poi speriamo che a marzo si possa andare avanti normalmente.

Disordini alimentari, male oscuro di cui nessuno parla

11.02.2021
5 min
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I disordini alimentari. I corridori non ne parlano, soprattutto per paura di mostrarsi deboli agli occhi dei team manager e di non essere confermati. In questo quadro di ciclismo estremizzato, la pressione sugli atleti è spasmodica. Allenamenti monitorati. Spostamenti da dichiarare. Social cui rendere conto. Interviste. Il peso forma che non ti concede scampo. Quel numerino infernale che esprime il rapporto fra potenza e peso è l’asticella di una gara che si rinnova ogni giorno. Se più di tanto non si possono aumentare i watt, la convinzione che diminuendo i chili tutto andrà meglio rischia di diventare patologica e in parecchi casi lo è già. Per questo si smette di correre e tanti lo hanno fatto. Forse quando un pezzo da 90 come Dumoulin parcheggia la bici, dovremmo chiederci se non sia stato piuttosto il contesto a spingerlo.

I corridori a tavola hanno spesso dei bei problemi, soprattutto i più fragili: la pasta è un monte da scavalcare. In questo viaggio nell’argomento, ci siamo affidati a Laura Martinelli, nutrizionista del team Novo Nordisk, che per l’ennesima volta ha avuto la pazienza di ascoltarci e ci ha fornito argomenti estremamente interessanti.

Clement Chevrier ha smesso di correre, ha raccontato di aver sofferto di anoressia
Chevrier ha raccontato di aver sofferto di anoressia
Ci conferma che il problema dei disordini alimentari c’è davvero?

Purtroppo sì. In letteratura è sempre più legato alla sfera femminile, ma è presente anche in ambito maschile. Fra gli sport più soggetti, c’è sicuramente il ciclismo per il discorso già fatto sul rapporto fra potenza e peso. Poi gli sport con suddivisione in base a categorie di peso e gli sport estetici.

Perché non se ne parla?

Perché spesso una delle soluzioni è smettere di correre.

Esiste un regime alimentare minimo per un ciclista professionista?

Certo che esiste, ma non credo sia quello il focus. Se parliamo di apporto calorico minimo, quello c’è. Ciò che fa la differenza è la durata di certi regimi alimentari. Le scorte di grasso sono preziose risorse di energia. Se calo l’apporto calorico per un periodo breve, gestendo la situazione, non accade nulla di compromettente. Se invece la cosa si prolunga, avvengono cambiamenti nel metabolismo basale che si riduce. Mangio sempre uguale, ma l’organismo consuma meno e allora mangio meno, cadendo nell’anoressia. Altrimenti un’altra forma di compensazione è il vomito. E allora si parla di bulimia.

I corridori più fragili hanno un rapporto conflittuale con l’alimentazione, soprattutto con la pasta
Tanti corridori hanno un rapporto conflittuale con l’alimentazione
A chi capita di incorrere nei disordini alimentari?

La fascia più a rischio è quella dei giovani, che sono più suscettibili alle informazioni fuorvianti. E gli scalatori, per cui la leggerezza è un imperativo.

Parlando con alcuni corridori che non hanno voluto essere citati, la sensazione è che il problema sia più urgente nelle squadre piccole.

Forse perché c’è una certa ignoranza di base. Più scendi di categoria, più ti ritrovi con figure professionali che ricoprono più ruoli. Il manager, il direttore sportivo, il nutrizionista…

Lo stesso per uomini e donne?

Anche qui, le giovani sono sempre le più esposte. Spesso queste mancanze derivano dall’insicurezza e da un deficit di autostima. Gli atleti più esperti riescono a gestirsi meglio. E poi il passare degli anni rallenta il metabolismo e rende certi passaggi meno delicati.

Nei team si riesce ad affrontare il problema?

Soltanto se c’è buona collaborazione. Il professionista che in un team può accorgersi di queste cose è colui che è a più stretto contatto con l’atleta, quindi il preparatore o il direttore sportivo, che fisicamente rileva il problema. Una volta che lo si è individuato, va affrontato con il medico e lo psicologo o lo psichiatra esterno al team.

Brajkovic è sempre stato magrissimo e ha parlato della sua bulimia
Brajkovic, sempre magrissimo, ha raccontato della sua bulimia
Perché esterno?

Perché i team non hanno simili figure. Si trova uno specialista che viva vicino casa dell’atleta e si avvia un cammino di recupero.

Pisicologo o psichiatra?

Entrambi, ma dipende dalla storia della malattia. Perché di malattia si tratta.

Qual è la percentuale di riuscita?

Sembra brutto dirlo perché in ambito scientifico andrebbe valutata la possibilità di recupero, ma di solito l’insorgenza di simili problemi comporta la fine dell’attività.

Visto che il problema è così grave, nei team si fa attività di formazione sul tema?

Sì, ma dal nostro punto di vista, quindi con un approccio legato all’attività nutrizionale. Diciamo che si adotta una metodica preventiva. Se non si procede con la giusta periodizzazione, si crea un processo ossessivo che poi non si recupera. E’ qualcosa che si fa soprattutto nei ritiri e soprattutto con i giovani. Per fortuna sul tema c’è una sensibilità crescente. Dieci anni fa nel gruppo eravamo in due, oggi ogni squadra ha un nutrizionista di riferimento.

Gambe scavate pubblicate su Instagram, così come la foto di apertura
Gambe pubblicate su Instagram, come la foto di apertura
In una recente intervista, Moscon che corre alla Ineos ci ha detto: «E’ cambiato molto sul piano dell’alimentazione, dove si era arrivati a livelli un po’ ossessivi. Tra corridori ci si spinge spesso al limite e si arriva al punto quasi di patire la fame ». 

Meno male! Sono in contatto con il collega di Ineos e la sensazione che si fossero spinti un po’ all’estremo si aveva. Sembra brutto dirlo, ma al di là dell’aspetto etico, in certi ambienti la facilità di ricambio dei corridori rende la questione meno urgente. Se invece hai un solo leader e pochi altri atleti di vertice, sei anche spinto a tutelarli di più.

Perché non se ne parla?

Forse perché è una situazione sottostimata e tuttora non compresa. E’ un rischio per il ciclismo, perché fa perdere talenti buoni. Nella fase di passaggio al professionismo, ci sono delle fragilità che non andrebbero sottovalutate. Poi da grande, una volta che sei entrato nel sistema, capisci come gestirti e ti salvi. Ma se ci cadi…

Se ci cadi?

Se ci cadi e continui a correre, non ne esci più

La giornata alimentare di Rebellin ai raggi X

08.02.2021
4 min
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L’articolo sulla giornata alimentare di Davide Rebellin non è passato affatto inosservato al pubblico. Ha sollevato anche un certo dibattito. C’è chi lo ha ammirato e chi lo ha criticato, di certo l’alimentazione del corridore veneto non è per tutti.

Noi l’abbiamo sottoposta al giudizio dell’ormai nota nutrizionista del Team Novo Nordisk, Laura Martinelli, la quale lo anticipiamo non “boccia” Rebellin.

Rebellin ad agosto farà 50 anni ed è pro dal 1992. Qui alla Freccia Vallone del 2009
Rebellin ad agosto farà 50 anni ed è pro dal 1992. Qui eccolo nel 2009

Rebellin e la sua età insolita

«Ne sento di tutti i colori – spiega la Martinelli – e sono abituata ad approcci non convenzionali. L’importante è che ognuno trovi il proprio equilibrio e credo che in qualche modo Rebellin ci sia riuscito. Partiamo col dire che con l’età si compensa meno in modo naturale, devi essere sempre più attento. E dove non arriva il fisico devi aiutarti dall’esterno. E infatti il suo modo di alimentarsi non è convenzionale, come non è convenzionale la sua età per fare professionismo».

«La sua colazione è ricca e sempre a base di cereali: quinoa, grano saraceno… che sono inusuali per un italiano. Un altro aspetto che mi ha incuriosito è che lui cena presto, il che di base non è sbagliato. Così facendo, Rebellin fa del digiuno intermittente continuato. Lui cena alle 17 e poi fa colazione verso le 6 del mattino, sono 13 ore di digiuno. Di questa pratica avevamo parlato, lui lo fa in modo blando, ma costante. Rebellin va continuamente a stimolare il metabolismo e la produzione di energia».

Laura Martinelli con i ragazzi della Novo Nordisk (foto Alice Podenzana)
Laura Martinelli con i ragazzi della Novo Nordisk (foto A. Podenzana)

D’accordo sulla carne

Con la dottoressa si passa poi ad analizzare quello che è un po’ il fulcro del mangiare di Rebellin, vale a dire l’assenza di carne.

«Io  – spiega la Martinelli – non sono una nutrizionista per gli estremi. Sono per la riduzione del consumo di carne, ma non per toglierla. Nella scelta della carne andrebbe valutata la provenienza: dove pascolava l’animale, come ha vissuto, cosa mangiava… In breve: andrebbe fatta una scelta qualitativa della carne dal “macellaio di fiducia”. Una scelta che a mio avviso dovremmo fare tutti, non solo i corridori. E’ una scelta sostenibile. Ma ripeto non va tolta a prescindere. Anche perché ci sono produttori e famiglie che allevano in modo corretto. Un po’ quel che avete scritto con la pasta Hammurabi. Senza contare che serve al fisico.

«In generale Rebellin non segue una dieta vegana totale. Lui ogni tanto mangia pesce ed uova e nel complesso tutto è ben gestito ed equilibrato. Il vegano deve integrare per forza con prodotti di sintesi, come la B12. Senza contare che le fonti proteiche naturali contengono carboidrati, tutte. Ed è difficile togliergli o ridurgli i carboidrati.

«Lui per esempio non scola l’acqua del riso. In quell’acqua c’è disciolto dell’amido vuol dire che vuol prendere tutti i nutrienti. Se avesse voluto perdere peso non sarebbe stato facile per lui».

Uova e pesce danno equilibrio all’alimentazione di Rebellin
Uova e pesce danno equilibrio all’alimentazione di Rebellin

Pesce e uova salvano tutto

Durante gli allenamenti abbiamo visto che Rebellin non fa uso di barrette e gel, ma preferisce utilizzare prodotti fatti in casa.

«Per me questo è un fattore collegato all’età. Per decine di anni il suo fegato è stato sottoposto ad un sovraccarico epatico, assumendo prodotti di sintesi. Quindi adesso cerca prodotti naturali. Io lo dico sempre ai miei atleti: sarebbe meglio preferire rice cake, paninetti… cose fatte in casa. E in tal senso i più reticenti sono i giovani. Essendo meno esperti preferiscono far riferimento alle classiche barrette confezionate i cui valori nutrizionali sono ben stampati sull’etichetta. E’ giusto provare in allenamento quella che sarà l’alimentazione in gara e pertanto i prodotti confezionati, ma una volta accertato che sono tollerati sarebbe meglio, almeno per me, mangiare al naturale, anche per il recupero. Preferisco dare il Parmigiano agli aminoacidi BCAA, lo yogurt greco al posto delle caseine…

«In generale – conclude la Martinelli – l’alimentazione di Rebellin è equilibrata. Se non avesse mangiato di tanto in tanto pesce e uova sarebbe cambiato tutto. Poi sì, è molto impegnativa da un punto di vista delle preparazione dei cibi e delle tempistiche, ma questo è un altro discorso. E se sta bene a lui e alla moglie che gliele prepara…sta bene a tutti!».

La pasta del pro’ moderno arriva dal passato

03.02.2021
4 min
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Pasta, la benzina principale del ciclista. Eppure negli ultimi anni è stata spesso demonizzata, modificata, edulcorata. Diete, eccesso di glutine, picchi glicemici… l’hanno portata ad essere quasi bandita. I corridori non hanno fatto come Alberto Sordi: «Maccherone, tu me provochi e io me magno». No, tu mi provochi e io ti lascio lì.

Qualcosa però sta cambiando merito di ricerca e tradizione che si fondono. Si è riscoperta la pasta integrale e quella dei grani antichi. Cereali le cui proprietà sono molte e di elevata qualità. E non è un caso che alcuni team abbiano i loro fornitori speciali. La Pasta di Camerino per esempio riempie le scorte dell’Astana e della Colpack. I nutrizionisti che abbiamo imparato a conoscere cercano continuamente prodotti di qualità, con caratteristiche particolari e più naturali possibili, discostandosi dalle produzioni industriali.

I tre formati della Pasta Hammurabi
I tre formati della Pasta Hammurabi

Un’antico d’avanguardia

Fabio Lo Savio, responsabile della comunicazione di questa “piccola” realtà tutta italiana, appunto La Pasta di Camerino, ci spiega alcune cose che possono darci un’idea di come sia la “nuova vecchia” pasta.

«Tra i nostri prodotti abbiamo la pasta Hammurabi le cui farine provengono da un grano antico, di origine mesopotamica, da qui anche il nome. La particolarità della Hammurabi è che ha un elevato indice proteico, il 22%, e uno scarso indice di glutine, inferiore al 10%. Un elevato contenuto di sali minerali, a partire dal potassio e ha molto ferro. Questo la rende ideale per gli sportivi, sia per il recupero che per fare il pieno in vista degli allenamenti che verranno».

Ma come si è arrivati a riscoprire questo grano? Alla base c’è una grande ricerca.

«Hammurabi è un grano monococco, la sua resa in campo è abbastanza bassa e per questo si era perso, come tanti altri, nel corso degli anni quando c’erano altre necessità. Si preferiva coltivare grani che avessero una resa maggiore. Ha caratteristiche uniche, come abbiamo visto, a partire dal suo contenuto proteico. Sono proteine “buone”, naturali, assolutamente non trattate».

Manuele Boaro (33 anni) in azione all’ultimo Giro
Manuele Boaro (33 anni) in azione all’ultimo Giro

Digeribilità e glutine

La Pasta di Camerino, azienda la cui storia è legata alla famiglia Maccari, è un esempio dell’Italia che funziona (pensate che dopo il terremoto del 2016 ha assunto nuovi operai e in era di covid li ha supportati con un plus sullo stipendio). E in questo progetto la ricerca, legata alla tradizione, ha giocato un ruolo importantissimo. Non è facile infatti realizzare una pasta senza glutine o quasi. Il glutine infatti, come diceva qualche giorno fa la nutrizionista Laura Martinelli, dà consistenza alla pasta e quando lo si toglie si finisce per inserire dei grassi al fine di creare il prodotto.

«Vero – conferma Lo Savio – il glutine serve a dare consistenza alla pasta, che altrimenti non terrebbe la cottura. In passato, chi ha provato a fare paste con grani diversi ha spesso fallito. A quel punto subentra anche l’abilità del pastaio. Noi stessi abbiamo impiegato anni per riuscire nel nostro intento tra ricerca sul grano e appunto la realizzazione della pasta (la Camerino si trova in tre formati: tortiglioni, spaghetti e penne)».

Però il risultato è arrivato. La pasta tiene bene anche con pochissimo glutine, ha un processo di lavorazione naturale, un buon sapore ed è anche parecchio digeribile, altra qualità molto apprezzata dai corridori. A parlarci, già diversi mesi fa, di una pasta altamente digeribile e dei grani antichi fu Manuele Boaro, consigliato dalla sua nutrizionista Erica Lombardi.

Hammurabi ha fornito il pasta party dell’ultima Nove Colli
Hammurabi ha fornito il pasta party dell’ultima Nove Colli

Vicini al ciclismo

I grani vengono coltivati nella zona di Camerino, nelle Marche, e in Romagna. Un prodotto tutto italiano dicevamo il quale per essere di qualità ha bisogno anche di una certa lavorazione. Si diceva che uno dei segreti di una buona pasta fosse un’acqua “buona”.

«E’ così, ma serve anche una aria buona – conclude Lo Savio – noi sfruttiamo l’acqua dei Monti Sibillini, ma anche l’essiccazione avviene con l’aria delle nostre colline a 600 metri di quota. Un’essiccazione che richiede un processo molto più lungo rispetto a quelli industriali.

«Hammurabi è nata nel 2018 e abbiamo capito subito quanto le sue qualità potessero essere apprezzate dagli atleti. Non a caso abbiamo un testimonial che risponde al nome di Juri Chechi, siamo sponsor della Lube Civitanova di pallavolo (team che ha recentemente vinto al Coppa Italia e anche il mondiale, ndr) e siamo vicini al ciclismo. Abbiamo seguito il pasta party della Nove Colli. Supportiamo da vicino la Colpack perché è un team che persegue i nostri stessi valori, è al fianco dei giovani…. Inoltre sappiamo che la pasta Hammurabi è apprezzata anche dai pro’ dell’Astana».