«L’atleta in generale, è sempre in perenne insicurezza. Convive con la paura di non raggiungere il peso e la forma fisica. E anche se li raggiunge, non si accontenta e cerca ancora di fare un sacrificio o uno sforzo in più».
Erica Lombardi, dietista di molte punte del ciclismo italiano, sia uomini che donne ed ex atleta mezzofondista, non fa alcuna distinzione tra l’attitudine dei ciclisti e degli atleti in genere, e si definisce particolarmente sensibile al problema dei disturbi del comportamento alimentare.
«Ovviamente nel ciclismo – continua Erica – in quanto sport di endurance, è più facile ritrovarsi in situazioni riconducibili ai disturbi del comportamento alimentare, ma credo che sia un problema ancor più sentito in sport suddivisi in categorie di peso o nella danza per esempio. Negli anni ho imparato a cogliere anche i primi campanelli d’allarme abbastanza facilmente, ascoltando l’atleta ed osservando piccoli dettagli come il suo comportamento a tavola, la sua postura ed altri tratti antropometrici».
Oltre il limite
La settimana scorsa, Slongo ci ha spiegato che spesso gli atleti giocano sul limite, rischiando di oltrepassarlo da un momento all’altro, ma cosa significa a livello alimentare e cosa succede effettivamente?
«L’atleta è sempre sotto esame – prosegue Lombardi – e vuole avere il controllo su tutto, ma a volte si estremizza con l’iper-controllo. Il cibo potrebbe non essere più una necessità ma qualcosa da reprimere. Il problema è che siamo programmati per reagire allo stress con dei meccanismi di sopravvivenza che in principio potrebbero non comportare un calo prestativo per cui sembrano confermare la nostra convinzione. Stimolati dagli apparenti aspetti positivi, continueremmo con queste condotte restrittive errate, finché si potrebbe arrivare a dare più importanza alla fisionomia e al peso piuttosto che alla prestazione. L’importante ed unico vero focus per l’atleta con questi disturbi è spesso apparire magro, non più vincere.
«A questo punto bisogna intervenire collaborando in equipe, con psicologo, medico e nutrizionista, per ripristinare i normali livelli ormonali nell’atleta, recuperare una buona costituzione e resistenza fisica e migliorare il rapporto col cibo e con la propria immagine. Dal punto di vista alimentare, sono fasi molto delicate perché la reintroduzione degli alimenti se effettuata in tempi e modalità sbagliate, potrebbe causare la cosiddetta sindrome della rialimentazione, davvero pericolosa anche dal punto di vista clinico».
Cattive abitudini
Non esiste però solamente il problema dell’anoressia, si può soffrire anche di bulimia con o senza compensazione, o di binge eating disorder, che comporta delle grosse abbuffate principalmente in solitudine e in poco tempo.
«Io non ho avuto una casistica così grande di disordini alimentari – spiega Erica – soprattutto tra i professionisti, ma tendono a svilupparsi in realtà più piccole e non solamente sotto forma di anoressia. E’ fastidioso e sconsigliabile allenarsi per ore con lo stomaco vuoto così come partire troppo pieni. Gli atleti a un certo punto non riescono più a resistere. Il controllo eccessivo è difficile da sopportare, così capita che magari durante l’allenamento si fermano al bar e mangiano con foga 6-8 brioches, oppure capita spesso che si svegliano di notte, quando predomina la parte inconscia sulla ragione e si “attaccano” al vasetto di cioccolata o marmellata piuttosto che al pacchetto di biscotti.
«Esistono comunque diverse sfumature di questi disturbi per cui spesso non si può parlare di disturbi cronici, ma al più di forme acute, magari volte al raggiungimento di un obiettivo. Sono sempre da evitare e prevenire, ma sicuramente meno preoccupanti.»
Le circostanze e l’ambiente
Abbiamo visto che spesso è l’atleta a oltrepassare il limite, ma non bisogna sottovalutare anche l’influenza dell’ambiente a lui vicino.
«Le figure che si preoccupano di qualsiasi cosa – annota Erica – tra cui la nutrizione, potrebbero non riuscire a dare indicazioni specifiche e personalizzate, inoltre nella comunicazione potrebbero usare termini non appropriati influenzando l’approccio alla dieta e al peso dell’atleta. A volte basta, infatti, cambiare l’ordine delle parole, o solamente una parola, per ottenere una reazione diversa. Oggi, ci sono sempre più team che cercano di creare uno staff completo e molto specializzato, anche al femminile, per cui ognuno si impegna a rispettare il proprio ruolo e quello degli altri collaboratori, evitando qualsiasi commento non affine alla propria materia. È così che si possono raggiungere grandi risultati».
Educazione fra i giovani
Erica negli ultimi anni ha collaborato anche in progetti educativi in squadre giovanili e sottolinea l’importanza della famiglia.
«L’educazione nelle squadre giovanili è senz’altro utile, ma dovrebbe coinvolgere anche la famiglia, perché spesso è la mamma che cucina e permette così al figlio di seguire una corretta dieta. Alcuni atleti subiscono eccessive pressioni dai genitori o dai direttori sportivi sul peso durante lo sviluppo. Altre volte l’errore potrebbe essere anche del nutrizionista. Per assecondare le richieste del paziente o per promettere risultati rapidi, potrebbe consigliare diete non perfettamente bilanciate, efficaci, ma pericolose se prolungate nel tempo. Trascurando così l’importanza di insegnare un vero e proprio stile di vita per tutelare la salute del giovane. Dobbiamo ricordarci sempre che l’atleta è comunque un paziente, e come tale, bisogna prima di tutto tutelarne la salute».
Facciamo un passo in più
L’ottimismo di Erica lancia con speranza un ulteriore invito al miglioramento nella gestione delle categorie giovanili e dei ritiri in nazionale.
«Sempre più squadre cercano il supporto di nutrizionisti – conclude – anche nel femminile, dove effettivamente tende ad esserci più necessità di intervento in quanto c’è un maggior pericolo di interferire con il delicato e complesso equilibrio ormonale. Credo che l’ideale sia impostare un programma di educazione alimentare a livello giovanile che coinvolga anche la famiglia. E avere al seguito del team nazionale un nutrizionista già dai ritiri, perché è quello il momento in cui gli atleti sono più ricettivi e in cui si può provare a variare qualcosa per ottimizzare la dieta».
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