Vedere la rimonta di Mattia Agostinacchio, assaporare la conquista della maglia iridata rappresenta sempre qualcosa di speciale, anche per Alessandro Guerciotti che nel corso della sua vita, queste gioie le ha vissute spesso. Sono infatti ben 11 con lo stesso valdostano coloro che hanno vestito la maglia arcobaleno militando nel team. Di alcuni Alessandro ha ricordi legati alla sua infanzia, ma poi la sequenza di successi ha accompagnato tutta la sua crescita, personale e professionale (nella foto di apertura la festa dei 60 anni Guerciotti, con Djernis, Kluge e Liboton)
Parlarne significa fare un tuffo nella piscina dei ricordi e il primo è particolarmente toccante quanto recente: «Il nostro primo campione è stato proprio Vito Di Tano e averlo perso proprio poco dopo la conquista del titolo ha allargato la ferita. Vito è stato un precursore anche in questo, ci è sempre stato vicino, era davvero uno di famiglia. Io lo ricordo gigantesco quand’ero bambino, questo campione che parlava con mio padre, che vestiva quella maglia meravigliosa. Poi abbiamo avuto modo di lavorare insieme per tanto tempo e condividere tantissimo delle nostre vite».
Chi ha però caratterizzato molto anche l’evoluzione del vostro team è stato Roland Liboton…
E’ vero. Un’operazione come quella oggi è praticamente impossibile, ma il ciclocross di allora era completamente diverso. Aveva una diffusione diversa e anche il giro di denaro non era lontanamente paragonabile. Noi avevamo un florido mercato in Belgio e contrattualizzare Liboton era la maniera migliore per promuovere i nostri prodotti. Noi lo prendemmo l’anno prima della sua vittoria iridata a un prezzo ridicolo se paragonato a quelli che girano oggigiorno. Nel contratto era previsto tutto, ossia anche il meccanico, il massaggiatore, il motorhome che lo seguiva. In pratica aveva uno staff a aua completa disposizione. Dopo il suo successo però volevano venire tutti da noi…
Qual era la sua forza?
Molti dicono che sia stato uno dei più grandi ciclocrossisti di sempre, sicuramente lo era nella sua epoca, ma la sua vera forza era il suo essere personaggio fuori dagli schemi. E’ stato il primo vero cannibale del ciclocross con 5 titoli mondiali vinti. Un anno ci siamo ritrovati ad avere lui iridato fra i professionisti e Vito tra i dilettanti, eravamo al centro del mondo… Roland era però uno che “bucava” lo schermo, era di bell’aspetto, attirava sponsor anche al di fuori del mondo ciclistico tanto che persino la Coca Cola lo sponsorizzava. Era uno molto estroverso, in un mondo di gente riservata.
Poi è venuto Kluge, considerato da molti un maestro di eleganza…
Era completamente diverso da Liboton, uno che aveva fatto anche il modello e il suo portamento traspariva in tutto, anche quando era in bici. Con il tedesco avevo più affinità, più che altro perché stavo crescendo. Anche lui era un personaggio, anzi il suo modo di esserlo calamitava attenzione anche da parte di chi normalmente non seguiva il ciclocross. Potrei dire che è stato un po’ il Valentino Rossi dei prati. Era molto showman, diciamo che amava anche la bella vita. Oggi sarebbe stato una star dei social…
Che cosa ricordi del periodo dei campioni boemi, come Glajza e Simunek?
Glajza venne prima, fu un acquisto last minute proprio legato a un campionato del mondo, arrivò da noi e vinse l’iride. Simunek è stato con noi di più. Diciamo che la loro appartenenza è stata più frutto di contingenze, non avevamo particolari interessi economici nel loro Paese. Loro vennero che avevamo già Liboton, il meglio del ciclocross mondiale era da noi. La nostra squadra era il riferimento planetario. Erano diversi dagli altri, molto riservati, molto professionali, ma il rapporto si concentrava tutto sull’aspetto agonistico.
Un altro molto riservato era Henrik Djernis…
Era uno dei più forti nella mountain bike, dove aveva già vinto il titolo mondiale nel 1992, venne da noi e nel 1993 accoppiò anche quello di ciclocross. Era un professionista, ma non lo ritengo un vero e proprio specialista: ci aveva chiesto ospitalità per fare attività d’inverno, ma per lui il ciclocross era un riempitivo, serviva come preparazione per la mountain bike. Eppure nelle sue poche apparizioni in gara faceva la differenza.
Erano i tempi di Pontoni…
Daniele ha attraversato tutta la nostra esistenza. Un campione vero, che tra l’altro ha insegnato a tanti che cosa significa svolgere questa attività in maniera professionale, andando a correre nella patria del ciclocross. La sua attività era prevalentemente all’estero. E’ sempre stato estremamente pignolo dal punto di vista tecnico perché da quello nascevano i risultati, quindi avevamo con lui un legame strettissimo. Coinvolse con i suoi risultati anche sponsor grossi, come Selle Italia e Brescialat. Questo sport iniziava a cambiare faccia, giravano più soldi ma anche il suo baricentro si spostava sempre più verso il Centro Europa: Belgio e Olanda in particolare.
Era molto diverso dal Pontoni di oggi, cittì della nazionale?
Molti dicono che al tempo era una testa calda, ma io devo dire che aveva le stesse caratteristiche che oggi stanno aiutando l’evoluzione del nostro sport. Il puntiglio, l’attenzione per i particolari. Una cosa che va detta è che al tempo lui faceva davvero tutta la stagione, tra Coppa del Mondo e Superprestige. Oggi sarebbe praticamente impossibile seguire tutte le challenge. Da questo punto di vista era un vero belga e io glielo dicevo sempre…
Ora c’è Agostinacchio…
Mi dispiace che non abbia la possibilità di utilizzare la maglia, cambiando di categoria. Ma è chiaro che un titolo juniores non è la stessa cosa, anche se ha sempre un grandissimo valore. Oggi sinceramente avere un iridato nelle nostre fila, un campione elite non sarebbe semplice, troppi interessi intorno. Basti pensare che ogni corridore di vertice ha 6 bici, un camper a disposizione, uno staff composito.
Mattia com’è?
Un ragazzo che sta crescendo innanzitutto come uomo prima che come corridore. Molto riservato, meno personaggio, ma questo dipende anche molto dall’età. Ancora non si è reso conto di quel che ha fatto non solo a Lievin ma nel corso di tutta la sua stagione. E’ un ragazzo molto concentrato su quel che vuole, senza fronzoli. Viezzi che nell’albo d’oro iridato lo precede è la stessa cosa. Per questo sono due ragazzi che, da tifoso italiano, mi danno fiducia.