Jarno Widar parla a monosillabi, a volte quando risponde alle domande dei giornalisti sembra che ti faccia un favore. Il sorriso è lo stesso che abbiamo imparato a conoscere lo scorso anno sulle strade del Giro Next Gen quando il giovane belga ha messo tutti in fila senza troppi complimenti. Ancora prima di passare under 23 la forza di Jarno Widar era emersa al Giro della Lunigiana, quando fu il mattatore indiscusso delle prime due semitappe. Una forza e una solidità che lo ha portato spesso a vincere fin da piccolissimo.
Le stigmati del predestinato che tuttavia non è immune da giornate no. Lo scorso anno dopo aver dominati all’Alpes Isere Tour, al Giro Next Gen e quello della Valle d’Aosta sembrava essere lanciato verso la conquista del Tour de l’Avenir. Alla corsa a tappe francese invece crollò inesorabilmente e questo piccolo passo falso bastò per minare le sicurezze e la fiducia nel progetto che la Lotto gli aveva cucito addosso (in apertura foto Alexis Dancerelle/DirectVelo).
Jarno Widar ha vinto il Giro Next Gen nel 2024 al suo primo anno da U23 (foto LaPresse)Jarno Widar ha vinto il Giro Next Gen nel 2024 al suo primo anno da U23 (foto LaPresse)
Più convinto
Scongiurati addii prematuri e rinforzato il rapporto con il team, Jarno Widar ha ripreso il 2025 cambiando qualcosa ma non i risultati. Dopo un primo blocco di gare con il team professional è tornato sugli stessi passi fatti lo scorso anno per preparare il Giro Next Gen, nel quale tornerà a difendere il titolo conquistato a Forlimpopoli.
«Mi sento abbastanza bene – racconta – credo di essere pronto per iniziare questa corsa. Il Giro Next Gen è un grande obiettivo ma non il più importante dell’anno. La preparazione nel complesso è andata bene, siamo stati in altura con la squadra e poi una volta tornato a casa ho lavorato sui cambi di ritmo e l’alta intensità».
Il 2025 ha visto Widar confermare le sue qualità, qui vittorioso alla Liegi U23 (foto Alexis Dancerelle/DirectVelo)Il 2025 ha visto Widar confermare le sue qualità, qui vittorioso alla Liegi U23 (foto Alexis Dancerelle/DirectVelo)
Avete già pensato a una tattica per la corsa?
Ci piace attaccare, quindi probabilmente cercheremo di farlo. Ma forse sto dicendo troppo.
Chi pensi siano i rivali principali di questo Giro Next Gen?
Nordhagen e Lorenzo Finn. C’è anche Albert Whiten Philipsen da tenere sotto controllo. Però mi sento pronto e sicuro di me. Cos’altro devo dire? Farò del mio meglio, questa è la cosa più importante. Solo così potrò guardarmi indietro felice.
Widar ha già un contratto con il team professional per le prossime due stagioni (foto Alexis Dancerelle/DirectVelo)Widar ha già un contratto con il team professional per le prossime due stagioni (foto Alexis Dancerelle/DirectVelo)
Qual è il più grande insegnamento che ti sei portato a casa lo scorso anno?
Non ammalarmi nei momenti più importanti.
Sta iniziando un periodo dove lo scorso anno hai fatto vedere grandi cose, senti la pressione di doverti ripetere?
No, non mi stresso affatto. La pressione per me arriverà più avanti credo e sarà lì che mi preoccuperò un po’ di più. Al momento sono tranquillo. Sono sorpreso delle mie qualità e aver raccolto ottimi risultati mi motiva ulteriormente.
La Ronde de l’Isard, vinta, ha rappresentato l’ultimo passo prima di preparare il Giro Next Gen (foto Florian Frison/DirectVelo)La Ronde de l’Isard, vinta, ha rappresentato l’ultimo passo prima di preparare il Giro Next Gen (foto Florian Frison/DirectVelo)
Come ti sei preparato per questo Giro Next Gen?
Abbiamo fatto un periodo in altura a Sierra Nevada. E’ stata la prima volta per me in altura quest’anno ma mi sono sempre trovato molto bene con questo tipo di allenamenti.
Hai guardato il percorso, cosa ne pensi?
La cronometro iniziale sarà un bel test. Sicuramente questo tipo di prove non sono mai state il mio punto forte ma ci abbiamo lavorato bene in quest’ultimo periodo. Poi altre frazioni fondamentali saranno la terza, la settima e l’ultima a Pinerolo.
L’ingresso di Albert Withen Philipsen nel ciclismo che conta procede a ritmo sempre più veloce. L’ex campione del mondo juniores ha saltato direttamente la fase under 23 (anche se prende parte ad alcune prove di categoria come la Parigi-Roubaix, regolarmente vinta) e gareggia stabilmente nel team principale della Lidl-Trek, portando già segnali molto confortanti a conferma del suo enorme talento.
La sua vittoria alla Roubaix Espoirs, arrivando insieme allo svedese Soderqvist (foto Thomas Maheux)La sua vittoria alla Roubaix Espoirs, arrivando insieme allo svedese Soderqvist (foto Thomas Maheux)
Ultimo, il podio finale al Giro d’Ungheria, tappa del calendario Pro, ossia quello immediatamente inferiore al WorldTour. A guidarlo sulle strade magiare c’era Adriano Baffi, suo diesse per l’occasione: «Il danese non fa parte del gruppo che io seguo direttamente e costantemente, ma questa settimana è toccato a me guidarlo. Io lo conosco poco, soprattutto ne sento parlare durante i nostri summit settimanali da parte dei miei colleghi e le voci che mi arrivavano erano davvero entusiastiche. Averlo però sotto gli occhi è un’altra cosa».
Qual è stata la tua prima impressione?
Albert ha sicuramente un potenziale enorme, è un talento grezzo sul quale si può lavorare bene. Non dimentichiamo che ha solo 18 anni eppure sembra già uno più grande della sua età. Ha delle prospettive completamente da scoprire.
Adriano Baffi, 63 anni, diesse alla Lidl Trek dal 2012 e sull’ammiraglia in Ungheria a guidare l’ex iridato junioresAdriano Baffi, 63 anni, diesse alla Lidl Trek dal 2012 e sull’ammiraglia in Ungheria a guidare l’ex iridato juniores
Arrivare sul podio in una gara a tappe con una partecipazione molto qualificata, che cosa significa per te?
Io al piazzamento guardo in maniera molto relativa. Gare come questa, nel suo caso servono per imparare, sono tutte esperienze che si ritroverà più avanti, soprattutto per come è arrivato a quel podio. A 18 anni ti ritrovi a correre puntando alla classifica, ciò vuol dire che devi saper gestire la squadra, considerando anche però che il team era venuto in Ungheria anche con altri obiettivi, addirittura preminenti come gli sprint. Inizialmente Philipsen era stato aggregato come scalatore visto che nel team mancava, ma non era stata costruita la squadra per essere al suo servizio. Lui ha saputo guadagnarsi i galloni di capitano e chiaramente abbiamo corso per preservare il suo podio.
Che tipo di corsa era?
Molto semplice e nel suo caso ideale proprio in funzione della sua crescita. Quattro tappe prevalentemente pianeggianti e una nella quale praticamente ci si giocava la corsa, infatti in quella ha chiuso sul podio, poi è stato semplice difenderlo. I due che l’anno battuto, il colombiano Lopez e Alessandro Covi, sono corridori esperti, lo stesso Covi si era visto già che andava forte in questo periodo, avevano una condizione migliore della sua. Io sono pienamente soddisfatto, poi come detto il risultato finale ha un valore relativo nel suo caso.
Il podio finale in Ungheria, con il danese insieme a Lopez (al centro) e a CoviIl podio finale in Ungheria, con il danese insieme a Lopez (al centro) e a Covi
E’ un corridore da corse a tappe secondo te?
E’ ancora troppo presto per dirlo. Quel che è certo è che corse come questa, fino a 5 giornate di gara tutte di seguito sono molto utili per farlo crescere ed abituare agli sforzi. Si vede che ha ottime qualità di recupero, ma è chiaro che un conto sono corse simili, un altro gare di 10 giorni se non di più. Ci deve arrivare per gradi. Per ora quello che ho visto è un corridore che mentalmente si sa gestire molto bene e che sa bene quello che vuole, sa soprattutto quali potenzialità ha e dove può arrivare.
Secondo te è davvero quel “crack” che tutti dicono sin da quando ha vinto il titolo mondiale?
E’ impossibile dirlo. Dobbiamo affidarci a quel che è reale, sul tavolo, non ai pensieri e alle speranze. Io so che ho trovato davanti a me un ragazzo che ha l’approccio giusto, professionale e per un ragazzo di 18 anni non è cosa da poco. Proprio per questo è fondamentale vedere come si sviluppa considerando proprio che per la sua giovane età è un fisico ancora in formazione. Intanto il salto di categoria l’ha già superato ed è già un passo avanti.
Finora il danese ha corso per 19 giorni, con una vittoria e 4 top 10Finora il danese ha corso per 19 giorni, con una vittoria e 4 top 10
Tu hai corso tanti anni, hai il polso della situazione, per te conta più l’aspetto fisico o quello mentale?
Non sono più i tempi di quando correvo io. Ormai arrivano nel nostro mondo ragazzini che hanno già sviluppato una struttura mentale che noi acquisivamo solamente con il tempo, proprio perché l’attività juniores di oggi è profondamente diversa. Noi però dobbiamo essere attenti nella sua gestione, programmare poche gare ma selezionate. Certamente siamo di fronte a un diciottenne che ha già prestazioni da professionista, sia nel rendimento che nella gestione. Per me vale già tantissimo.
21 gennaio. Una data fatidica per Albert Withen Philipsen che non solo indosserà per la prima volta in gara la divisa della Lidl-Trek, ma inizierà anche ad assaggiare la realtà del WorldTour attraverso il Santos Tour Down Under, quindi partendo direttamente dalla cima.
Il danese, intercettato proprio in aeroporto prima di effettuate il lunghissimo viaggio, non è per nulla spaventato, anzi ha una gran voglia di mettersi all’opera e forse mettersi alle spalle un biennio da junior che gli ha dato tantissimo a livello di risultati, ma che cominciava a sentire un po’ stretto.
Per il danese due anni di grande crescita su strada, con titolo mondiale in linea ed europeo a cronometro nel 2023Per il danese due anni di grande crescita su strada, con titolo mondiale in linea ed europeo a cronometro nel 2023
Come sono state queste prime settimane alla Lidl-Trek?
È stato davvero bello. Il team mi ha supportato molto e mi ha dato molta spinta per avvicinarmi a questo che rispetto agli juniores è un mondo tutto nuovo. Esco da questo periodo di allenamento molto carico, con una buona condizione e mi sento davvero felice nell’affrontare questa trasferta che farà da rompighiaccio.
Sei il più giovane del team e sei passato subito alla squadra WorldTour, che cosa ti aspetti da questo primo anno?
Penso che sia un anno delicato, io non voglio avvicinarmi al nuovo mondo con l’atteggiamento sbagliato. Credo che sia importante soprattutto per imparare, acquisire un po’ più di esperienza e abituarsi a essere al livello dei grandi. Intanto mettendomi a disposizione e svolgendo i compiti che mi verranno dati. D’altronde è difficile avere grandi aspettative perché non so nulla del livello, intanto si tratta di abituarmi al nuovo livello di corsa.
21 giorni di gara nel 2024, con 9 vittorie e qualche delusione, come alla Roubaix e al mondiale21 giorni di gara nel 2024, con 9 vittorie e qualche delusione, come alla Roubaix e al mondiale
Partirai subito dall’Australia, che sentimenti provi ad affrontare subito una corsa a tappe WorldTour contro molti grandi corridori?
In realtà mi sento abbastanza carico, sono contento di iniziare subito e anche di farlo a un livello così alto. Penso che anche la squadra sia un po’ più rilassata al riguardo. Non hanno aspettative molto alte per me per fare qualcosa di folle perché è così presto nella stagione. E’ la mia prima gara, sarà un po’ un test che mi incuriosisce ma che affronto con tranquillità e il fatto di rientrare nel gruppo, di mettere da parte tutto quel che è successo in questi due anni non mi dispiace. Io comunque voglio crescere velocemente e guardo già alle gare più avanti nella stagione.
Com’è stato il tuo 2024?
La mia stagione è stata piuttosto buona. Ho raggiunto quasi tutti i miei obiettivi, tranne per i campionati del mondo, dove ho dovuto fare i conti con la sfortuna, che si è un po’ accanita… Alla fine comunque posso dirmi soddisfatto.
Philipsen e Finn nella fuga decisiva dei mondiali. Una rivalità che potrebbe svilupparsi fra i grandiPhilipsen e Finn nella fuga decisiva dei mondiali. Una rivalità che potrebbe svilupparsi fra i grandi
Torniamo al mondiale, senza la caduta pensi che vi sareste giocati il titolo tu e Finn e che cosa pensi del corridore italiano?
Devo dire che Finn stava andando davvero forte. Per questo mi è spiaciuto come sono andate le cose, sarebbe stata una bella sfida, incerta, un ultimo giro tutto da vivere, ma nel ciclismo bisogna anche pagare dazio. Io penso che anche lui avrebbe voluto giocarsi la vittoria ad armi pari e credo che anche il pubblico, a prescindere dal tifo, avrebbe gradito. Vorrà dire che ci affronteremo nella categoria superiore…
Continuerai a fare strada e mountain bike?
Per quest’anno ho intenzione di continuare sia per la strada che per la mountain bike, concentrandomi principalmente sulla corsa su strada e poi facendo solo una manciata di gare di mountain bike parallelamente. Diciamo che quest’anno la bilancia penderà molto più che in passato verso il ciclismo su strada e non potrebbe essere altrimenti, è un grande investimento che sto facendo io su me stesso e che sta facendo la squadra.
Philipsen intende continuare nella mtb, dove vanta 2 titoli mondiali e uno europeo da juniorPhilipsen intende continuare nella mtb, dove vanta 2 titoli mondiali e uno europeo da junior
Il ciclocross lo hai abbandonato del tutto?
Qualcosa dovevo per forza lasciarla da parte. Ho deciso di non fare più il ciclocross solo per potermi allenare meglio in inverno e prendermi una pausa mentale dalle gare. A questo punto era diventata una necessità.
Perché hai scelto la Lidl-Trek?
E’ difficile dire esattamente perché ho scelto il team. Direi che sono stati loro che mi hanno dimostrato grande interesse e prospettato un programma ideale per la mia crescita, devo dire che la cosa che mi ha colpito di più è che erano davvero entusiasti. In generale ero una buona atmosfera e poi mi piace molto anche l’attrezzatura che utilizzano, sono davvero contento delle bici da corsa e anche degli altri corridori che corrono nel team. Soprattutto in squadra ho trovato un buon numero di corridori danesi che possono aiutarmi e darmi qualche consiglio importante.
Il diciottenne di Holte è molto cresciuto a cronometro, il che ne fa un elemento di punta per le corse a tappeIl diciottenne di Holte è molto cresciuto a cronometro, il che ne fa un elemento di punta per le corse a tappe
In questi due anni da junior hai vinto molto, ma al di là di questo, come stradista quanto pensi di essere cresciuto?
Molto, sono stati gli anni in cui mi sono concentrato davvero sulle corse su strada, quindi la mia curva di apprendimento è stata piuttosto ripida. Certamente non sono più il Philipsen vincitore a sorpresa del titolo mondiale nel 2023, sono migliorato molto a livello tattico e su come comportarmi in gruppo e come correre. Ma so di avere ancora molto lavoro da fare. Comunque mi sento molto più a mio agio con la bici da strada e mi sento più sicuro del mio stile di corsa e di come affronto le gare.
La notizia circolava da parecchio, ma è stata appena ufficializzata. Lorenzo Finn amdrà a correre alla Auto Eder, primo junior italiano a scegliere l'estero
ZURIGO (Svizzera) – Gli ultimi mille metri di Lorenzo Mark Finn sono un tuffo al cuore. Lui se la prende con calma, gli avversari sono andati, naufragati sotto la pioggia e i colpi di pedale del ligure silenzioso e determinato. Le mani vanno al casco, poi si gira e cerca l’ammiraglia dove c’è Dino Salvoldi, il cittì che ha guidato la nazionale juniores al titolo iridato. Dietro Finn il vuoto. Il secondo, l’inglese Sebastian Grindley, arriva con più di due minuti di ritardo, il gruppetto che si gioca l’ultimo gradino del podio è oltre i tre minuti. E’ stato il più forte Lorenzo Finn, ha gestito la corsa in maniera perfetta, dimostrando una maturità incredibile per chi non è abituato a vederlo in azione.
Nell’ultimo chilometro c’è il tempo di voltarsi, dietro il vuotoMani alla testa, qui ha realizzato il calibro dell’impresa appena compiutaNell’ultimo chilometro c’è il tempo di voltarsi, dietro il vuotoMani alla testa, qui ha realizzato il calibro dell’impresa appena compiuta
Uno a uno
La maglia azzurra, anzi la giacca primaverile visto il freddo e la pioggia presi oggi dai ragazzi, si staglia sul fondale del palco sul quale avvengono le premiazioni. L’inno di Mameli suona, appena l’ultima nota smette di vibrare nell’aria di Zurigo il boato dello staff sotto al podio arriva fino nella mixed zone. Finn ha un sorriso appena accennnato sul suo volto giovane, chi lo ha visto spesso sa che non si lascia andare a grandi emozioni. Queste, invece, le abbiamo provate noi, quando lo abbiamo visto scollarsi di ruota tutti gli avversari. L’ultimo a resistergli è stato lo spagnolo Hector Alvarez, ma un’accelerazione di Finn è bastata per lasciarselo alle spalle.
Arriva nella zona mista, passo lento, accompagnato da Christian Schrot, il suo team manager alla Grenke Auto Eder, e da tutto lo staff azzurro. Arriva davanti a noi e quella maglia splende, così come la medaglia che gli pende dal collo.
«Non so come descrivere la sensazione di indossare questa maglia – dice Finn – però tra qualche ora magari lo realizzerò. Devo dire che ho avuto delle sensazioni veramente buone tutto il giorno».
Ultimi ritocchi alla bici di Finn. Pressione portata a 4,3 bar al posteriore e 4 bar all’anterioreMovimenti lenti e concentrazione al massimoUltimi ritocchi alla bici di Finn. Pressione portata a 4,3 bar al posteriore e 4 bar all’anterioreMovimenti lenti e concentrazione al massimo
Tutto misurato
Prima della partenza, al bus Vittoria che ospita gli azzurri in questa rassegna iridata, Finn ha chiesto di cambiare la pressione degli pneumatici. 4,3 bar al posteriore e 4 all’anteriore, vista l’acqua caduta e l’asfalto viscido meglio fare qualche accorgimento. Scende le scalette per ultimo, si guarda intorno, va alla bici e con cura monta il ciclocomputer. Tante azioni mirate, precise e calme. Prima di partire parla ancora con Salvoldi, si scambiano le ultime battute. Monta in bici e si dirige alla partenza. La gara esplode subito, i danesi sono indemoniati e fanno un ritmo pauroso. Una caduta lascia il gruppo decimato, si arriva sul circuito finale con una media, nella prima ora, di 46 chilometri orari.
Scatti e controscatti, allunghi, Philipsen è inferocito e si muove in tutte le direzioni. Ad un certo punto però è Finn a partire tutto solo, ma di chilometri all’arrivo ne mancano tanti.
«Il piano iniziale – spiega – non era andare da solo a 70 dall’arrivo però è successo. Eravamo tutti in fila indiana dopo la discesa e io ero davanti, quindi era un buon momento per attaccare, però sì, nessuno mi ha seguito. Ho pensato che un attacco avrebbe potuto fare male, di sicuro avrebbero fatto una bella fatica per rientrare. Anche una volta davanti mi sono gestito, non sono andato mai fuorigiri. Poi sono rientrati Philipsen e gli altri. In quel momento ho realizzato che mi sarei potuto giocare una medaglia. Ho contato quelli rimasti, erano quelli che mi sarei aspettato di trovare a quel punto. Tutti tranne Seixas.
Gli azzurri con in testa Bessega si scaldano, dietro Finn e Salvoldi parlano fittoIl piano era seguire Seixas e Philipsen, per attaccare nell’ultimo giroGli azzurri con in testa Bessega si scaldanoDietro Finn e Salvoldi parlano fitto: il piano era seguire Seixas e Philipsen
Mezz’ora da solo
L’ultimo passaggio sul traguardo avviene ai 27 chilometri dall’arrivo, con quattro corridori al comando: Philipsen, Alvarez, Grindley e il nostro Finn. Un veloce slalom nelle curve di Zurigo e si punta alla salita di Witikon. Nel risciacquo che porta a quei 1.400 metri Philipsen scivola e davanti rimangono in due: Alvarez e Finn. Lo spagnolo resiste pochi metri e poi diventa una lunga cavalcata fino all’arrivo: 20 chilometri.
«Philipsen – spiega il neo campione del mondo juniores – è caduto nel tratto in discesa. Ero davanti io e lui in una curva è scivolato, probabilmente ha pinzato troppo con il freno anteriore. Spero stia bene. Ho guardato negli occhi Alvarez, ho parlato con lui ma avevo già visto sulle salite precedenti che non riusciva a stare al mio passo. Ho dato un’accelerazione e si è staccato subito. Quei 20 chilometri da solo sono volati e mi sono divertito, nonostante la tanta pioggia».
In un tratto in discesa Finn spinge, il danese Philipsen cadeCon lui rimane il solo Alvarez, ma avrà vita breve alla ruota dell’azzurro In un tratto in discesa Finn spinge, il danese Philipsen cadeCon lui rimane il solo Alvarez, ma avrà vita breve alla ruota dell’azzurro
Mille metri, mille pensieri
Quando Lorenzo Finn ha visto il triangolo rosso si è rialzato, ha messo le braccia sulla parte alta del manubrio e si è goduto ogni centimetro. Cosa passa nella testa di un ragazzo di 18 anni quando realizza di essere a soli mille metri dalla maglia iridata?
«E’ stato un chilometro un po’ surreale devo dire – conclude Finn – però sì me lo sono goduto. Mi sono tornati in mente tutti i sacrifici fatti durante la stagione e i momenti difficili. Quando mi sono rotto la clavicola ad aprile, il secondo posto al Giro della Lunigiana di qualche settimana fa… Ora sono pronto per il futuro, non posso dire cosa farò. Ci sarà il tempo di farlo».
Alla vigilia delle gare olimpiche su pista, una bella chiacchierata con Claudio Santi, anima della Seigiorni di Fiorenzuola e grande cultore della pista
ZURIGO – La prova contro il tempo degli juniores ha emesso già alcuni verdetti interessanti, il primo è la vittoria del francese Paul Seixas. A questo si affianca la prestazione sottotono del campione del mondo in carica su strada Albert Philipsen. Il danese paga 25 secondi dal vincitore e, mentre tutti sfilano nella zona mista che si affaccia sull’Opera di Zurigo, lui passa via senza fermarsi. Gli addetti dell’UCI dicono non sia stato bene dopo l’arrivo, la sensazione nel vederlo passare è che sia frastornato e un po’ sorpreso, in negativo, dalla sua prestazione.
La sorpresa di giornata è stata la prova di Seixas che gli è valsa l’oroCompletano il podio della prova juniores i belgi Matisse Van Kerckhove e Jasper SchoofsLa sorpresa di giornata è stata la prova di Seixas che gli è valsa l’oroCompletano il podio della prova juniores i belgi Matisse Van Kerckhove e Jasper Schoofs
Voci azzurre
Gli azzurri pedalano lenti nel corridoio che ospita televisioni e media, passa Andrea Donati e nel raccontare la sua prova si intuisce la delusione. Sperava in qualcosa di più, i numeri sono stati buoni ma per emergere in un mondiale serve una prova fuori dal comune.
«E’ stata una cronometro durissima – dice – sono sfinito, ho dato davvero tutto quello che avevo anche se non ero nella miglior condizione. Non sono andato male a livello di dati e numeri, rispecchiano quelli di una giornata media. Sono l’italiano che ha fatto più cronometro quest’anno, ne ho corse sei. A questo livello forse l’unica è stata alla Corsa della Pace. Sia questa di Zurigo che quella in Repubblica Ceca sono stati dei buoni confronti, anche in ottica futura».
Chi, invece, è soddisfatto di quanto fatto è Lorenzo Finn. Si ferma, guarda l’arrivo dei diretti concorrenti e snocciola piano piano tutte le sue sensazioni.
«Sono soddisfatto della mia prova – spiega l’azzurro – è stata la miglior cronometro della mia vita sia per sensazioni che per valori. Non potevo dare di più e comunque vedendo che sono arrivato a un secondo dai top 5, su questo tipo di percorso, mi ritengo soddisfatto. Era difficile pensare di poter vincere, ma se penso alla gara su strada mi sento davvero bene. I complimenti vanno a Seixas, ha fatto una cronometro superba e una prestazione monstre».
Andrea Donati e Lorenzo Finn durante le fasi di riscaldamento Andrea Donati e Lorenzo Finn durante le fasi di riscaldamento
Tutto quadra
Il percorso di Lorenzo Finn e della nazionale juniores verso il mondiale di Zurigoè iniziato ad agosto con un ritiro in altura a Livigno. Poi si è passati dal Giro della Lunigiana e dal campionato europeo. Tutti step mirati per arrivare con la miglior condizione possibile alla corsa iridata.
«Sicuramente – racconta Finn – l’europeo è stato molto utile, sia nella prova a cronometro che in quella in linea. E’ stato un test importante in vista dei mondiali, il fatto che oggi sia andato più forte rispetto alla prova di Hasselt mi fa ben sperare. Il ritiro di Livigno è stato fatto in vista dell’appuntamento iridato di Zurigo, questo doveva essere il periodo in cui il lavoro in altura avrebbe dovuto dare i suoi frutti. Per come mi sento direi che la fiducia c’è. Anche settimana scorsa, durante gli allenamenti, ho fatto i miei migliori valori, quindi sono contento».
Lorenzo Finn si è detto felice della sua prova e dei valori registrati nell’ultimo periodoLorenzo Finn si è detto felice della sua prova e dei valori registrati nell’ultimo periodo
Un altro atteggiamento
Se si fa un passo indietro, tornando alla prova continentale, non si può non pensare alle parole del cittì Salvoldi. Il tecnico ha giudicato in maniera negativa la prestazione del team juniores, da loro si aspettava qualcosa in più, soprattutto dal punto di vista del coraggio.
«Su strada – dice ancora Finn – ho provato a dare un mano ai miei compagni perché non volevo prendere troppi rischi. Mi sono messo a disposizione in pianura, prima del tratto in pavé, poi mi sono sfilato. Penso Salvoldi abbia avuto ragione nel criticare il nostro atteggiamento in maniera negativa. Non abbiamo corso benissimo, ma ci rifaremo giovedì».
«Ora – continua – serve riposare e recuperare bene dallo sforzo. Mercoledì rivedremo il percorso (il tracciato rimarrà chiuso dalle 8,00 alle 10,00, ndr). Siamo venuti a giugno a visionarlo, quindi una rinfrescata farà sicuramente bene. Dall’ultima salita al traguardo ci saranno una quindicina di chilometri, sarà uno sforzo molto simile a una cronometro».
Andrea Donati conclude al 20° posto, per lui un’esperienza che tornerà utile in futuro Andrea Donati conclude al 20° posto, per lui un’esperienza che tornerà utile in futuro
Gli altri
La classifica della cronometro juniores recita un podio a forti tinte belga con il gradino più alto in mano al corridore che, ad ora, sembra essere il favorito: Paul Seixas. Il sesto posto di Albert Philipsen sorprende, ma non toglie dalla testa di tutti che il danese sarà protagonista su strada. Gli avversari lo temono e ne parlano bene, con il timore che si riserva a chi può farti del male da un momento all’altro. Anche Finn non lo toglie dalla lista dei favoriti.
«Io ho fatto 53 di media – conclude Finn – quindi non credo che Philipsen sia andato piano, visto che mi ha anticipato di un secondo sul traguardo. Sicuramente era il favorito e vederlo fuori dal podio colpisce, ma non facciamoci illudere. Dopo la cronometro di oggi penso che Seixas sia il nome per la corsa in linea, ma serve ancora qualche giorno di pazienza, giovedì vedremo».
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Guardando l’ordine di arrivo de l’Ain Bugey Valromey Tour, prova a tappe francese del calendario juniores, si rimane impressionati: è un vero campionato del mondo per le corse di più giorni, con un podio regale (1° l’iridato Withen Philipsen, 2° il francese Seixas, 3° il nostro Finn) considerando che la partecipazione era riservata non a selezioni nazionali, ma a squadre di club. Fra questo c’erano anche due team italiani e uno di questi era la Ciclistica Trevigliese (in apertura foto Simona Bernardini).
Per la Ciclistica Trevigliese è stata la seconda esperienza in Francia. Nel 2023 vinse una tappa con Donati (foto Simona Bernardini)Per la Ciclistica Trevigliese è stata la seconda esperienza in Francia. Nel 2023 vinse una tappa con Donati (foto Simona Bernardini)
Una presenza, quella della formazione lombarda, non casuale, come spiega il suo diesse Luca Damato: «Avevamo già partecipato lo scorso anno, prendendo contatti con la società organizzatrice. Ci siamo trovati bene e loro sono rimasti soddisfatti delle nostre prestazioni così abbiamo programmato il nostro ritorno, La gara francese è per noi la punta di uno sforzo che affrontiamo per tutto l’anno. Noi non puntiamo alle gare regionali, non c’interessa raccogliere il maggior numero di vittorie in gare facili, il nostro interesse è far crescere i nostri ragazzi in un contesto adeguato, far capire sin dalla loro giovane età che cos’è il ciclismo di alto livello».
Affrontate però un livello altissimo per questo…
E’ importante che i nostri si confrontino con il massimo della categoria, quindi con squadre che dietro hanno tutto il peso e l’esperienza delle formazioni WorldTour. Gare così, con un livello simile di partecipazione e con percorsi così selettivi, in Italia non le trovi. Al di là dei risultati, diventano esperienze di vita: alcuni di questi ragazzi proseguiranno e faranno del ciclismo il loro mestiere, altri un domani potranno dire di aver pedalato con i migliori, con quelli che in futuro, ne siamo sicuri, saranno protagonisti in tv.
Tommaso Bosio è stato il migliore del team lombardo, finendo 27° a 14’50” (foto Bernardini)Tommaso Bosio è stato il migliore del team lombardo, finendo 27° a 14’50” (foto Bernardini)
Quanto costa una trasferta simile?
Considerando tutto abbiamo speso intorno ai 4.000 euro, il che in un budget come il nostro è un investimento importante, che ne assorbe una larga fetta. Ma come detto è importante per far crescere i nostri ragazzi, considerando anche che ormai si sa come procuratori, osservatori, team professionistici guardino alla categoria junior perché l’età generale si è abbassata.
Con quanti mezzi e quante persone siete partiti alla volta della Francia?
Eravamo con 6 corridori più io e un altro responsabile, un fisioterapista e un meccanico. Avevamo un furgone più l’ammiraglia. Ogni corridore disponeva di una bici per la gara più un muletto. Insomma, è stata una trasferta impegnativa, ma bisogna dire che rispetto allo scorso anno avevamo dalla nostra molta esperienza in più e sapevamo muoverci meglio.
La corsa a tappe francese è stata di livello elevatissimo, quasi un mondiale a tappeLa corsa a tappe francese è stata di livello elevatissimo, quasi un mondiale a tappe
A conti fatti che esperienza è stata?
Lo scorso anno siamo stati più fortunati a livello di risultati con una vittoria di tappa e la classifica dei traguardi volanti. L’avvicinamento però non è stato semplice, con 3 corridori, tra l’altro quelli su cui puntavamo per la classifica che hanno avuto problemi di salute proprio nell’immediata vigilia della gara. Agostinacchio poi ha avuto problemi alle tonsille che l’hanno costretto al ritiro nella prima tappa. I ragazzi si sono ben disimpegnati, Bosioad esempio ha chiuso la prima giornata al 6° posto. In generale bisogna dire che i primi andavano davvero fortissimo e che le squadre principali hanno un po’ “cannibalizzato” la corsa. Al di là dei piazzamenti, come quelli di Bosio stesso e Donati nei primi 10, quel che conta è però aver visto i ragazzi crescere e migliorare dalla prima all’ultima giornata.
Confrontandosi con gli altri che deduzioni ne hanno tratto?
Che c’è una grande differenza rispetto alle normali corse che si affrontano, per i ritmi sostenuti e per i percorsi. E’ una corsa molto dura, quasi uno shock per le andature tenute e sì che i nostri erano tutti atleti con alle spalle esperienze anche in nazionale. C’è un grosso gap, ma dobbiamo considerare che molti di quelli affrontati erano team inseriti nelle filiere WT.
Anche in terra francese Albert Whiten Philipsen si è dimostrato pressoché imbattibile (foto Bardet)Anche in terra francese Albert Whiten Philipsen si è dimostrato pressoché imbattibile (foto Bardet)
Da quest’anno però il calendario italiano presenta più appuntamenti a tappe…
E’ questa la strada per colmare quella distanza. E’ fondamentale investire sulle corse a tappe perché è lì che un corridore si forgia. Le prove regionali, le tante corse d’un giorno arricchiscono solo il numero delle vittorie, potranno far felice lo sponsor ma ai ragazzi servono poco. Dobbiamo anche prendere esempio da organizzatori come quelli dell’Ain Bugey Valromey, quasi un Tour in miniatura, con un’attenzione spasmodica per la sicurezza. Dobbiamo seguire l’esempio e investire anche in Italia sulle corse a tappe perché i percorsi per farlo ci sono. Per i team sarà un impegno economico non di poco conto, ma serve…
Vincere la Corsa della Pace è già di per sé un patentino di qualità, farlo con indosso la maglia di campione del mondo significa che siamo di fronte a un vero campione. Se poi lo si fa alla maniera di Albert Withen Philipsen, allora siamo davvero in presenza di qualcosa di molto importante.
Il danese ha dominato la breve cronometro imponendo distacchi pesanti. Una nuova freccia al suo arcoIl danese ha dominato la breve cronometro imponendo distacchi pesanti. Una nuova freccia al suo arco
Salvoldi, parlando della corsa in Repubblica Ceca era stato chiaro nel definire come la superiorità del danese fosse stata un fattore discriminante, ad esempio per come aveva condotto l’inseguimento a Bessega nella penultima tappa. Ricordando come la vittoria di Philipsen avesse sorpreso tutti ai mondiali di Glasgow, come lo stesso danese avesse sottolineato le sue persistenti difficoltà a gestirsi in una corsa su strada rispetto a una del suo primo amore, la mountain bike, un simile crescendo stupisce.
«E’ stato un inizio stagione pieno di alti e bassi – racconta Philipsen appena tornato nella sua Danimarca – sono davvero contento di aver vinto una classica corsa a tappe come quella ceca, ma anche deluso di non aver potuto ottenere di più alla Roubaix, dopo che si era messo tutto al meglio, ma allo sprint non sono stato abbastanza veloce. Erano i due obiettivi di questo inizio stagione, diciamo che averne centrato uno è positivo ma volevo di più».
Lo sprint perso da Philipsen nella prima semitappa. Un aspetto sul quale lavorare (foto organizzatori)Lo sprint perso da Philipsen nella prima semitappa. Un aspetto sul quale lavorare (foto organizzatori)
Le due maglie iridate ti hanno dato qualcosa in più in termini di tua sicurezza in corsa, di personalità?
Sì, soprattutto su strada. Avere quella maglia indosso ti porta ad essere più tattico e un po’ più creativo nel modo in cui corri perché tutti guardano te. Quindi abbiamo 50 ragazzi che fissano la tua ruota posteriore e reagiscono ogni volta che attacchi. Quindi questo rende tutto un po’ più difficile e devi davvero usare la tua energia con saggezza, altrimenti la sprechi e basta. Quella maglia ti dà effettivamente qualcosa in più.
Alla Course de la Paix sei sembrato il vero padrone della corsa. Quanto ha influito la squadra?
Hanno fatto davvero una grande differenza. È stata davvero una prestazione di squadra e non avrei potuto farcela senza di loro. Naturalmente sono stato io a vestire la maglia, ma è stata l’intera squadra a vincerla. Sì, hanno fatto una performance straordinaria e sono davvero grato di quanto mi hanno aiutato. Facendomi stare al sicuro nel gruppo e aiutandomi a controllare tutto, hanno reso possibile che ogni gara potesse essere pianificata come volevamo.
Per l’iridato fondamentale è stato l’apporto dei compagni di squadra, tutti al suo servizioPer l’iridato fondamentale è stato l’apporto dei compagni di squadra, tutti al suo servizio
Rispetto al Philipsen di un anno fa, nelle corse su strada quanto sei migliorato?
Direi molto. Non so dire con precisione quanto sia migliorata la mia resa in gara. Ovviamente ho scoperto che ho fatto dei passi avanti, ma è più una questione di come corro, delle tattiche attuate in corsa, un progresso c’è stato. Mi sento più sicuro. Le dinamiche in una gara su strada sono migliorate molto, penso di essere cresciuto in modo molto più intelligente ora rispetto all’anno scorso e posso davvero vedere come questo sta influenzando le mie corse. Posso sprecare molte meno energie non dovendo andare sempre in fuga, utilizzandole quando conta.
Dopo Glasgow avevi detto di avere ancora qualche problema a correre in gruppo. Ora sei migliorato e quanto ciò è utile nella scelta delle strategie?
Rende tutto molto, molto più semplice quando non hai paura di essere nel gruppo. Mi sono abituato di più, quindi non mi dà più fastidio e potrebbe rendere le corse molto più facili perché l’anno scorso ero in testa per la maggior parte delle gare. Mi gestisco meglio, rimango un po’ più indietro nel gruppo e guardo come stanno guidando tutti gli altri. Questo consente di prevedere la gara e risparmiare anche molta energia. Era un passaggio fondamentale e lo sto completando.
L’iridato (casco rosso Trek) ha ormai imparato a stare in gruppo, seguendo le mosse degli altriL’iridato (casco rosso Trek) ha ormai imparato a stare in gruppo, seguendo le mosse degli altri
Dove trovi più concorrenza fra le due discipline?
È una domanda difficile. Non ho corso molto quest’anno in mtb e nelle due prove vinte di Junior Series non c’erano proprio tutti i migliori, quindi è difficile dare una risposta compiuta. Nell’ultimo fine settimana di maggio gareggerò in Coppa del mondo a Nove Mesto, penso che lì avrò un quadro chiaro del mio livello rispetto agli altri. Su strada posso dire che il livello è più alto rispetto al 2023, è una disciplina davvero competitiva e al momento sono tutti super forti. La cosa che mi colpisce di più è quanto professionale sia il livello di lavoro generalizzato degli juniores.
Il prossimo anno passerai alla Lidl-Trek. Sai già se continuerai a correre sia su strada che in mountain bike?
Continuerò a promuovere entrambi questi piani. Sono stato molto chiaro in questo nella mia scelta. Il mio obiettivo principale sarà la strada, ma ho deciso che voglio continuare a correre anche un po’ in mountain bike quando avrò tempo per farlo. Non saranno così tante gare, ma mi piace molto tornare alla mountain bike e talvolta anche all’ambiente della mountain bike, è una valvola di sfogo. Per me un modo per mantenere alto il livello di divertimento.
Per Philipsen due vittorie nelle Junior Series di mtb in Spagna, a Chelva e Banyoles (foto Ocisport)Per Philipsen due vittorie nelle Junior Series di mtb in Spagna, a Chelva e Banyoles (foto Ocisport)
Molti aspettano il tuo passaggio parlando di un nuovo campione che presto sarà all’altezza di Pogacar, Evenepoel, Van der Poel. Questo ti mette pressione addosso?
Non penso di prenderlo come una pressione, ma più come un complimento. Ma è difficile prevedere quale sarà il mio livello perché sono ancora giovane e ho ancora molto sviluppo da fare, non ho mai gareggiato contro i primi, quindi è difficile sapere come andrà a finire in futuro. E’ ovvio che spero di essere come alcune delle grandi star in futuro. Questo è l’obiettivo della mia carriera.
Dopo la Course de la Paix ti ritieni più un corridore da classiche o per corse a tappe?
Un’altra domanda difficile… Penso che in questo momento sono un po’ un tuttofare e vorrei continuare così almeno per ora. Ed è difficile capire tra i ranghi juniores che tipo di corridore sei. A questo livello penso che sia possibile fare un po’ di tutto, quando sali di categoria diventa un po’ più chiaro che caratteristiche avere. Io vorrei rimanere un corridore completo, in grado di vincere sempre. Poter partecipare con ambizione sia alle classiche, sia alle corse a tappe.
Il trionfo in maglia iridata a Banyoles. Philipsen punta al bis mondiale anche nel 2024 (foto Ocisport)Il trionfo in maglia iridata a Banyoles. Philipsen punta al bis mondiale anche nel 2024 (foto Ocisport)
Quali sono ora i tuoi obiettivi per questa stagione?
Per quanto riguarda la mountain bike, punto a confermarmi campione nazionale e naturalmente campione del mondo. Su strada sarà più difficile vincere la maglia di campione danese perché il percorso è per velocisti. Poi punterò ai mondiali, su un percorso che a me piace. Fare doppietta un’altra volta non sarebbe male, no?
Due impegni di Nations Cup ravvicinati nel tempo, due corse a tappe molto diverse fra loro. Prima una delle classiche del settore, la Course de la Paix su cinque tappe compresa una cronometro i cui esiti sono stati focali per lo stato di salute del movimento. Poi il GP F.W.R. Baron in Italia, due sole frazioni di cui una, la prima, che era una cronosquadre. Dino Salvoldi ha accolto l’esito senza nascondersi, anche perché la partecipazione a livello qualitativo è stata diversa, con la prima che metteva davvero di fronte il meglio della categoria.
La gara in Repubblica Ceca è è stata vinta dal campione del mondo della categoria e il distacco che Albert Withen Philipsen ha imposto agli avversari non deve trarre in inganno perché il danese ha davvero dominato la gara, imponendo la sua legge. Per trovare il primo italiano bisogna scendere al 15° posto con Enea Sambinello.
Il podio finale con Philipsen primo davanti all’olandese Remijn a 25″ e al ceko Sumpik a 26″ (foto organizzatori)Il podio finale con Philipsen primo davanti all’olandese Remijn a 25″ e al ceko Sumpik a 26″ (foto organizzatori)
«Ci mancava quello che consideravamo la punta per questa corsa, Lorenzo Finn – afferma Salvoldi – ma avevamo programmato l’appuntamento consapevoli di avere comunque una squadra forte e in grado di dire la sua sia per la classifica che per le singole tappe. L’andamento finale ci ha dato risposte non al pari delle aspettative e fatto uscire ridimensionati. Qualche imprevisto c’è stato, ma non è stato condizionante, il nostro livello era quello visto in gara».
Quello che ha dato da pensare è stato soprattutto l’esito della cronometro, di 8,8 chilometri con il miglior azzurro, Andrea Donati, solo 23° a 42” da Philipsen…
Dobbiamo guardare dentro i risultati, prendere atto dei numeri. Io l’ho fatto e ho voluto parlarne con i direttori sportivi dei ragazzi chiamati in nazionale per capire, perché su un percorso breve e non velocissimo la differenza è stata enorme. Un comportamento generale che impone domande, perché la cronometro è proprio legata a numeri, non a situazioni tattiche che impongono letture diverse.
Per gli azzurri una trasferta senza grandi squilli, un segnale d’allarme per SalvoldiPer gli azzurri una trasferta senza grandi squilli, un segnale d’allarme per Salvoldi
Che impressione ne avete tratto?
Non posso negare che in seno alla squadra c’è stato un forte contraccolpo. Erano tutti molto demoralizzati, io però vedo anche che solo due settimane prima, all’Eroica Juniores, anche questa di Nations Cup, i responsi erano ben diversi, due azzurri nella Top 10 e la squadra per buona parte era la stessa, non è possibile che siano diventati brocchi d’un colpo. E’ anche vero però che i risultati vanno analizzati perché ormai la categoria è l’anticamera del professionismo e se questi ragazzi hanno ambizioni di passare professionisti, devono anche dare gli input necessari perché dall’alto possano notarli e prenderli. Noi dobbiamo capire che cosa non è andato e prendere le adeguate contromisure.
La debacle a cronometro è frutto solo della prestazione fisica o c’è anche una differenza di materiali?
Su questo non ho dubbi: quando sei in nazionale le bici sono di primissimo livello, tutte specifiche. Dobbiamo guardare ad altro. Non è un caso ad esempio se nei primi 11 della prova contro il tempo ci fossero 3 danesi e 3 norvegesi. Paesi dove non ci sono grandi montagne ma c’è grande attenzione verso il ciclismo e la preparazione dei più giovani, che quindi acquisiscono caratteristiche specifiche per le prove in piano. Io sono convinto che bisogna guardare l’insieme, anche gli aspetti socioculturali, ambientali, economici. Per fare un esempio, se l’Austria è una potenza nello sci e non negli sport acquatici ci sono ragioni che vanno al di là del singolo caso. Così è nel ciclismo.
Andrea Donati è stato il migliore, 23° a 42″ da PhilipsenEnea Sambinello ha chiuso 28° a 45″Per Andrea Bessega 54° posto a 1’02”Giacomo Rosato ha pagato 1’06”, finendo 66°Fabio Segatta alla partenza: chiuderà 86° a 1’21”Andrea Donati è stato il migliore, 23° a 42″ da PhilipsenEnea Sambinello ha chiuso 28° a 45″Per Andrea Bessega 54° posto a 1’02”Giacomo Rosato ha pagato 1’06”, finendo 66°Fabio Segatta alla partenza: chiuderà 86° a 1’21”
Ciò come influisce nello specifico?
In quei Paesi scandinavi, come detto, non ci sono salite e il bel tempo latita – risponde Salvoldi – questo si traduce in una predisposizione per quella disciplina, con allenamenti spesso sotto l’acqua e una programmazione legata a quello sforzo. C’è un sistema di allenamento diverso: noi facciamo ripetute in salita a buone potenze, ma in pianura l’allenamento comporta un impegno ben differente. Bisogna raggiungere potenze diverse. Siamo sempre in grado di farlo? E’ su questo che dobbiamo ragionare, noi nello specifico abbiamo fra i pro’ un fuoriclasse, qualche buon specialista, ma poco altro rispetto alla forza generale e alla tradizione del nostro movimento.
Secondo te in Italia sottovalutiamo il problema?
Diciamo che è tempo di prenderlo di petto, il che significa lavorare sulla preparazione dei ragazzi. Al di là delle caratteristiche individuali, dobbiamo renderci conto che questo esercizio è fondamentale per un professionista, le prestazioni contro il tempo sono uno degli elementi che i dirigenti considerano nel mettere sotto contratto questo o quell’atleta, quindi questo esercizio lo devi saper fare. Se a cronometro perdi tanto, perdi la gara, se gareggi in una corsa a tappe e quindi devi mettere da parte molte delle tue ambizioni di carriera. Il modello di riferimento è utile, ma il suo traino non basta.
L’iridato Philipsen ha mostrato enormi progressi nella sua condotta in gruppo, ma resta atipicoL’iridato Philipsen ha mostrato enormi progressi nella sua condotta in gruppo, ma resta atipico
La prestazione di Philipsen ti ha sorpreso, relativamente alle sue difficoltà, espresse da lui stesso, nel correre su strada, soprattutto in gruppo?
No, perché so che siamo di fronte a un fenomeno. Io guardo la crono dello scorso anno alla Corsa della Pace e vedo che il danese ha migliorato di mezzo minuto il tempo del vincitore del 2023 che non era un signor nessuno, ma Nordhagen. Per me è già cresciuto a dismisura anche come condotta di gara, quando si mette a tirare fa la differenza.
C’è stato qualcosa che salvi della trasferta?
Nella penultima tappa almeno Bessega ha messo il naso davanti – ricorda Salvoldi – andando in fuga ed era una frazione difficile, 133 chilometri con 2.700 metri di dislivello. Solo che a un certo punto Philipsen ha deciso che bisognava andarlo a prendere, si sono trovati davanti in 10 e poi in discesa il gruppo si è ricomposto. Alla fine sono arrivati in 46 tutti insieme, su una tappa simile…
La volata della terza tappa, vinta dal danese Louw Larsen. Bessega aveva provato il colpoLa volata della terza tappa, vinta dal danese Louw Larsen. Bessega aveva provato il colpo
E ora, Salvoldi?
Ora dobbiamo reagire come si deve sempre fare quando i risultati non vengono. Già i responsi della due giorni italiana sono stati più positivi. Noi continueremo a lavorare, saremo alla prova francese di Morbihan, salteremo quella svizzera e chiuderemo la nostra Nations Cup in Germania. Io lavorerò sempre con un gruppo di uomini sul quale abbiamo iniziato a puntare da inizio stagione continuando però a ruotarli, d’altronde noi dobbiamo presentare i nostri elenchi di convocati con molto anticipo, può quindi capitare che chi si mette in evidenza nel calendario italiano non trovi spazio ora. Ma per le gare titolate farò un ragionamento più collettivo.
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E’ stato l’arrivo di Lidl accanto a Trek a cambiare le possibilità, consentendo al team di Luca Guercilena di aprire il Devo Team. Da quel giorno, racconta Markel Irizar che ne è il responsabile, anche la squadra americana è diventata appetibile per i giovani in rampa di lancio. E forse proprio l’arrivo di Albert Withen Philipsen, il talento più limpido e polivalente del momento, ha segnato la svolta rispetto allo strapotere di altri gruppi.
Irizar ha 43 anni, è stato professionista dal 2004 al 2019 e gli ultimi sei anni li ha fatti proprio nel gruppo Trek. Quando ha smesso è diventato subito uno degli osservatori del settore giovanile. Ci sono le sue foto in ogni grande evento, accanto a tutti i talenti migliori poi approdati nel team americano. Così, al momento di lanciare il Devo Team, la scelta è stata naturale.
Markel Irizar ha 43 anni: si è ritirato nel 2019 ed è nel team come diesse, scout e responsabile del Devo Team (foto LidlTrek)L’ultima corsa del diesse basco è stata la Clasica San Sebastian 2019: ecco il saluto sul podioMarkel Irizar ha 43 anni: si è ritirato nel 2019 ed è nel team come diesse, scout e responsabile del Devo Team (foto LidlTrek)L’ultima corsa del diesse basco è stata la Clasica San Sebastian 2019: ecco il saluto sul podio
E’ davvero così necessario avere un team di sviluppo?
E’ il solo modo per prendere gli juniores migliori, che altrimenti preferivano altre realtà. Prima avevamo delle squadre in vari Paesi europei in cui potevamo farli correre, ma non era la stessa cosa. Il mondo è cambiato. Gli juniores vanno dritti nel WorldTour, per questo abbiamo iniziato il nuovo corso.
In che modo avete strutturato l’attività?
Abbiamo 85 giorni di corsa: 40 li faranno con noi, gli altri con le rispettive nazionali e con la squadra WorldTour. Essendo una Devo, il Tour de l’Avenir, il mondiale e gli europei sono passaggi molto importanti, per cui i programmi dei singoli sono stati stilati in accordo con le federazioni. Ma anche quando sono in trasferta con loro, il nostro appoggio non manca.
In che forma?
Seguirò il Tour de l’Avenir, portando anche un meccanico e il materiale che serve. L’idea è di dare supporto ai nostri atleti. Non tutte le nazionali hanno alle spalle strutture top e non è giusto che il rendimento del singolo sia penalizzato da differenze tecniche.
Jacob Soderqvist, danese di 20 anni, nel 2023 ha vinto il Flanders Tomorrow Tour (@steelcitymedia)Jacob Soderqvist, danese di 20 anni, nel 2023 ha vinto il Flanders Tomorrow Tour (@steelcitymedia)
Avete già cominciato, giusto?
Sì, con Valencia Castellon e Mallorca. Poi faremo Haut Var, il Giro d’Austria e quello della Repubblica Ceka. Non siamo una squadra di dilettanti, ma una via di mezzo rispetto a una WorldTour. Per ora siamo focalizzati sul gruppo dei velocisti, puntando a classiche e gare pianeggianti. Il programma di primavera ha il piatto forte nella Roubaix. In ogni caso, l’80 per cento del calendario è composto da corse a tappe. Facciamo un controllo attento delle ore di allenamento, soprattutto con i più giovani. E il lavoro nelle corse a tappe fa crescere il motore più di tutto il resto. E soprattutto sono un vantaggio anche a livello logistico.
In che senso?
Abbiamo il magazzino a Gand e per fare una corsa di un giorno in Italia, ad esempio, si tratta di fare 1.000 chilometri e per lo staff diventa molto impegnativo. Se invece ci muoviamo per più giorni, le cose hanno più senso e si ottimizzano anche i costi.
Philipsen, prossimo arrivo, lo scorso anno ha vinto mondiale ed europeo juniores di MTB, mondiale su strada ed europeo della cronoPhilipsen, prossimo arrivo, lo scorso anno ha vinto mondiale ed europeo juniores di MTB, mondiale su strada ed europeo della crono
E’ cambiata la disposizione di manager e corridori verso di voi da quando c’è il Devo Team?
E’ cambiata per due aspetti. Il primo è che adesso possiamo garantire un programma specifico. Il secondo è che di colpo sono loro a cercarci. Lo stile e il modo di lavorare di Luca Guercilena apre tante porte. Il contatto con i manager è diventato più facile grazie all’ottima reputazione di questa squadra.
L’arrivo di Philipsen si può leggere alla luce di questo cambiamento?
Philipsen anche per il prossimo anno avrà la licenza da specialista. Il punto di snodo è stato il suo buon rapporto con Mads Pedersen (anche lui danese e alla Lidl-Trek, ndr). In più mettiamoci che Philipsen fa cross e mountain bike e avere uno sponsor tecnico che fa bici per entrambe le specialità ha inciso parecchio. Sarà ai mondiali di Tabor e sa che ci saremo anche noi. Questo diventa attrattivo per chi fa più discipline.
Come cambia il tuo ruolo: continuerai a fare lo scout o rallenterai un po’?
Continuo a seguire tutto. Farò qualche gara in ammiraglia con la WorldTour, coordino il Devo Team, ma per la maggior parte del tempo farò lo scout, soprattutto nelle gare juniores, perché il processo di sviluppo si è accelerato tantissimo.
Mondiali crono U23 2021 di Bruges, Baroncini con Irizar e De Kort prima di passare nell’allora Trek-SegafredoMondiali crono U23 2021 di Bruges, Baroncini con Irizar e De Kort prima di passare nell’allora Trek-Segafredo
Avete fatto gli stessi ritiri della WorldTour?
Ci siamo visti a novembre per bike fit e per l’abbigliamento. A dicembre e gennaio, tutti insieme fra Calpe e Denia: tutte le squadre Lidl-Trek hanno lo stesso setup al 100 per cento. Per febbraio ci troveremo in un appartamento a Girona e faremo due piccoli ritiri. Stessa cosa prima dell’Avenir, quando li porteremo ad Andorra con i pro’ che preparano la Vuelta.
Nei giorni scorsi si parlava della crescita come conseguenza degli allenamenti con la WorldTour: accade anche da voi?
Crescono tantissimo nel confronto. Soprattutto quando ci alleniamo tipo gara e ne escono con tanta fiducia in più. Un giorno in ritiro, Mads Pedersen ha voluto radunarli e parlarci. Non so cosa abbia detto, ma alla fine del ritiro li abbiamo trovati cresciuti nelle performance e nella consapevolezza.
Lo scopo è crescere o andare forte subito?
E’ più importante che crescano per approdare nel WorldTour, ma per arrivarci devi andare forte. Abbiamo un approccio semplice, vogliamo aiutarli perché crescano globalmente. Lidl, Trek e Santini sono tre aziende familiari. E siccome siamo anche noi ambassador delle aziende che ci sostengono, vogliamo portare la loro filosofia anche nel Devo Team. In più avere un manager speciale come Luca Guercilena rende tutto più facile.
Matteo Milan, fratello di Jonathan, è arrivato alla Lidl-Trek quest’anno dopo aver corso al CTFriuli (foto LidlTrek)Matteo Milan, fratello di Jonathan, è arrivato alla Lidl-Trek quest’anno dopo aver corso al CTFriuli (foto LidlTrek)
Ultima domanda: cosa ti pare finora di Matteo Milan?
E’ più forte di quello che la gente pensi. Dai test che abbiamo fatto, ha un motore impressionante, ma può e deve crescere ancora. Il passaggio a una squadra internazionale lo ha aiutato in questa direzione. Ovvio che la presenza di suo fratello lo abbia aiutato ad arrivare, però Matteo ha valori molto buoni. Nel 2023 non ha avuto un anno facile, ma si sta ritrovando. Ripeto: farà più di quello che la gente pensa di lui.