I 60 chilometri di Vervenne: testa, gambe, coraggio e vittoria

16.06.2025
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CANTU’ – Dopo il muro finale che conduce alla linea di arrivo di questa seconda tappa del Giro Next Gen gli uomini della scorta tecnica devono prendere Jonathan Vervenne per le braccia e spingerlo. Nonostante lo strappo sia finito la strada sale ancora un po’ e il belga della Soudal Quick-Step Devo Team non ha la forza di andare avanti. Non ha nemmeno avuto la lucidità per esultare, si è limitato ad alzare le braccia sfinito e ha smesso di pedalare aspettando di recuperare le energie. Una volta all’ombra ha respirato profondamente e ha finalmente potuto festeggiare. E’ la terza vittoria nel 2025 per questo ragazzone di 187 centimetri per 72 chilogrammi nato a Genk e che ha già un contratto con la formazione WorldTour per il 2026. 

Jonathan Vervenne, classe 2003 della Soudal Quick-Step Devo Team ha vinto la seconda tappa del Giro Next Gen
Jonathan Vervenne, classe 2003 della Soudal Quick-Step Devo Team ha vinto la seconda tappa del Giro Next Gen

Cogliere l’attimo

140 chilometri in fuga con gli ultimi sessanta da solo. Dietro il gruppo ha provato a organizzare una rincorsa cominciata tardi. Lo hanno tenuto nel mirino, ma quando è stato il momento di sparare le ultime cartucce e catturare il solo fuggitivo rimasto il colpo è andato a vuoto. Alle spalle di Vervenne qualcuno si morde le mani, ma gestire una corsa così dura con cinque atleti per squadra non è cosa semplice anche per i devo team

«Il piano di stamattina – racconta seduto su una sedia in plastica all’ombra del podio – era di puntare alla tappa. Sulla carta il percorso dava l’impressione di essere molto aperto, anche se in gruppo tutti pensavano a una volata. Ora che ho la maglia rosa sono molto felice, domani la perderò ma voglio godermi quella che sarà comunque una giornata speciale. Il mio obiettivo era di prenderla ieri nella cronometro ma non sono riuscito, forse il fatto che sia arrivata oggi mi rende ancora più felice. Non me l’aspettavo proprio».

Da solo all’improvviso

La pioggia di ieri sera sembrava poter regalare una temperatura migliore in questa seconda frazione ma così non è stato. La giornata è stata ugualmente dura e quando i due fuggitivi, Vervenne e Barhoumi, si sono trovati in testa il pensiero è andato a gestire lo sforzo. SI sono parlati a lungo, poi sono andati di comune accordo.

«Gli ho chiesto se voleva puntare ai punti dei GPM o agli sprint intermedi e ci siamo divisi le classifiche – dice Vervenne – e che se il nostro vantaggio fosse sceso sotto i due minuti ci saremmo messi a spingere al massimo. Abbiamo fatto così ma all’improvviso lui è crollato e mi sono trovato da solo. Non avevo altra scelta che continuare ed è stata una giornata davvero dura. Solo negli ultimi cinque chilometri ho realizzato che avrei potuto vincere».

Rinfrescare i pensieri

Una volta rimasto solo per Vervenne si è trattato “solamente” di gestire lo sforzo contando sulla forza della mente e delle gambe che giravano ancora bene nonostante i tanti chilometri in avanscoperta. 

«La parte fondamentale è stata gestire lo sforzo – riprende a raccontare felice – essere un buon cronoman mi ha aiutato. Gli sforzi lunghi sono adatti alle mie caratteristiche e ho sfruttato questo fattore a mio favore. Dietro di me avevo l’ammiraglia e il loro supporto è stato molto utile, mi hanno detto di bere e mi hanno passato tanto ghiaccio da mettere sul collo per raffreddarmi. In Italia fa molto più caldo rispetto al Belgio!».

«Ho gestito quei sessanta chilometri – spiega – come una lunga cronometro. Di solito cerco di mantenere una frequenza cardiaca costante. Non c’era spazio per tanti pensieri durante una gara del genere, cercavo solo di tenere tutti i valori costanti, come i watt e la velocità. Mi sono concentrato tanto sulla strada e i cartelli che segnalavano i chilometri all’arrivo, sperando che passassero il più velocemente possibile».

Jonathan Vervenne veste anche la maglia rosa, la voleva conquistare ieri a Rho. E’ arrivata con un giorno di ritardo (foto La Presse)
Jonathan Vervenne veste anche la maglia rosa, la voleva conquistare ieri a Rho. E’ arrivata con un giorno di ritardo (foto La Presse)

La voce dalla macchina

Avere alle spalle l’ammiraglia è un punto di riferimento importante durante uno sforzo solitario come quello che ha fatto oggi il belga della Soudal Quick-Step Devo Team. Una voce amica che scandisce il ritmo e dà un supporto morale, mentre l’unico rumore che si sente è quello della strada che passa sotto le ruote.

«La tattica è stata esattamente come abbiamo corso oggi – racconta Kevin Hulmans, il diesse che era in ammiraglia alle spalle di Vervenne – ovvero andare in fuga e poi vedere cosa sarebbe successo. Sapevamo che controllare la corsa con cinque corridori per squadra non è facile». 

«Durante quei chilometri da solo – conclude – ho detto a Vervenne di non guardare mai indietro, oggi era da tutto o niente. Bisognava correre scavando fino all’ultima goccia di energia per scrollarsi di dosso la delusione della cronometro. E’ sempre bello quando un piano riesce in questo modo e sono contento per lui e per il team».

Lopez: ritorno nel WT rimandato, ma spunta la Vuelta

16.06.2025
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Doveva essere al Tour de Suisse partito giusto ieri e invece nel roster della XDS-Astana Harold Martin Lopez non c’era. Attendevamo non senza curiosità il ritorno dell’ecuadoriano nel WorldTour dopo molti mesi nei quali è migliorato tanto. Come mai? Lo abbiamo chiesto a Mario Manzoni, uno dei direttori sportivi del team kazako. Ovviamente il tecnico lombardo ci ha detto anche altro.

Prima però vale la pena ricordare qualcosa su Harold Martin Lopez. In questa stagione il 25enne si è confermato uno scalatore solido e potente e se due atleti dell’esperienza di Diego Ulissi e Fausto Masnada hanno espresso parole di apprezzamento per lui, qualcosa vorrà pur dire. Ha vinto due corse a tappe, Grecia e Ungheria, e ha fatto secondo al Giro di Turchia. Tuttavia non ha gareggiato quasi per nulla nel WorldTour: quattro giorni di gare in Australia al debutto (dove si è anche ritirato per una brutta caduta) e il Catalunya, chiuso al 13° posto.

Manzoni, bergamasco classe 1969, è stato pro’ dal 1991 al 2004 e dal 2022 è con il gruppo Astana
Manzoni, bergamasco classe 1969, è stato pro’ dal 1991 al 2004 e dal 2022 è con il gruppo Astana
Mario, quest’anno ha fatto un bel exploit? Harold Martin Lopez non è “iper giovane” visti i tempi che corrono…

Ma c’è arrivato un po’ più piano. I suoi sono numeri importanti, è un ragazzo di qualità. Ha fatto due anni con noi, nel devo team. Abbiamo creduto in lui e adesso si sta dimostrando vincente. Ha delle caratteristiche: va forte in salita ed è anche, tra virgolette, veloce. Ha vinto due gare a tappe e in altre è andato molto bene. Sì, un bello step…

E ve lo aspettavate questo exploit così marcato?

Diciamo che eravamo fiduciosi, poi vincere è sempre difficile. Però conoscevamo i suoi valori, i suoi numeri e… doveva venir fuori.

Quando vi siete resi conto che avrebbe potuto fare questo salto di qualità?

E’ stato un cammino programmato dal team. Se avete notato, abbiamo cercato di metterlo in corse non WorldTour, quindi di un livello meno elevato, sapendo che poteva primeggiare. Anche perché noi, e lo abbiamo sempre detto, avevamo bisogno di punti per salvare la squadra. Così abbiamo analizzato tutto il calendario e i nostri corridori: di conseguenza abbiamo fatto le formazioni migliori per essere protagonisti e portare a casa più punti possibile. Quindi questo suo salto è figlio anche di questa programmazione.

Però lui sarebbe pronto per fare (bene) gare WorldTour, secondo te?

Secondo me sì, perché anche l’anno scorso aveva fatto vedere qualcosa d’importante. Certo, non sarebbe andato allo Svizzera per vincere, ma in salita si sarebbe fatto vedere. Il problema, e mi riallaccio al discorso di prima, è decidere se rischiarlo per un piazzamento o provare a vincere il Qinghai Lake, visto che noi adesso abbiamo anche interesse sul calendario cinese.

Harold Martin Lopez sul podio del Giro di Ungheria: per lui (classe 2000) quarta vittoria stagionale
Harold Martin Lopez sul podio del Giro di Ungheria: per lui (classe 2000) quarta vittoria stagionale
Con XDS, chiaro…

Dopo l’Ungheria Martin è tornato a casa sua, in Ecuador. Ha fatto tanti giorni in altura a Quito e averlo protagonista in Cina non sarebbe affatto male.

Prima hai detto che magari in Svizzera non avrebbe vinto, ma visto come va in salita lui si potrebbe permettere di attendere il testa a testa con i big o potrebbe vincere anticipando con fughe da lontano?

Beh, qui si parla di “corridoroni”, quindi secondo me lui deve fare ancora un ulteriore step. Diciamo che può permettersi di misurarsi con i big, di fare la corsa in parallelo ai grandi e vedere come va. Però al momento abbiamo preferito fare un calendario alternativo, anche per averlo al top più avanti.

Quando pensate che magari da qui a fine anno riuscirete a farlo esordire in una corsa WorldTour? Immaginiamo che anche il ragazzo ne abbia voglia…

Certo che ha voglia e vi dico che farà la Vuelta: per dire che ci crediamo. Non solo, ma come avvicinamento alla Vuelta farà San Sebastian e Burgos. Pertanto a fine settembre sapremo davvero se era pronto per questo salto.

In cosa secondo te, Mario, deve ancora migliorare?

Viste le volate a due che ha fatto, e che non ha vinto, magari deve essere un po’ più scaltro in quel senso. Però in generale, anche considerando la giovane età, mi sembra già un uomo ponderato, sicuro, che sa quello che vuole. Magari può curare meglio la gestione del finale di corsa, però noi siamo molto contenti di lui. Poi da un punto di vista tecnico e professionale c’è sempre da migliorare, anche a 30 anni passati.

L’ecuadoriano è scalatore puro: 160 centimetri di statura per 54-55 chili
L’ecuadoriano è scalatore puro: 160 centimetri di statura per 54-55 chili
Finale di gara: per questioni di freddezza?

No, no, semmai quasi il contrario: è molto tranquillo. Si tratta proprio, come ho detto prima, di essere un po’ più scaltro.

Hai detto che farà la Vuelta: potrebbe essere la sorpresa? Chiaramente non per la vittoria, ma per una top 10?

In questi casi c’è sempre da decidere a monte cosa fare: classifica o tappe? Questa valutazione va fatta anche in funzione del ragazzo. E’ il caso di tenerlo fuori dallo stress per fare classifica e puntare alle tappe o tenerlo lì? E’ ancora tutto da vedere.

Conoscendolo, secondo te lui che vorrebbe?

Secondo me a lui piacerebbe fare classifica, però dipende anche da come ci avviciniamo. Tanto ormai sappiamo i numeri, sappiamo cosa serve, quindi in base a quello si deciderà la tattica da portare a casa.

Capitolo crono: come stiamo messi?

Domanda di riserva! Diciamo che ha margine di miglioramento e quindi anche in questa specialità dovrà fare uno step, specie se vorrà puntare alla classifica. Credo che passo passo capiremo poi che strada sarà migliore per lui. Tutto sommato non abbiamo tutta questa fretta.

EDITORIALE / Più punti al De Gasperi che al Giro d’Italia

16.06.2025
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Tsarenko ha vinto il Trofeo Alcide De Gasperi che quest’anno da Cismon del Grappa è arrivato a Pergine Valsugana (in apertura sul podio con Jasch e Cretti, immagine Instagram/EliteWheels). Corsa internazionale di classe 1.2 che ha dato al vincitore 40 punti UCI. Il De Gasperi è stata per anni una classica dei dilettanti, ma da quando è stata inserita nel calendario internazionale è diventata appannaggio anche delle squadre pro’. Da quando è stata inserita nel calendario internazionale, ma soprattutto da quando la centralità del ranking ha aperto la caccia sfrenata ai punti. Prima le professional si vergognavano di andare alle corse dei dilettanti, ora sono fra le loro preferite. Nell’elenco dei partenti, oltre alle continental e i devo team, c’erano due sole professional: Vf Group-Bardiani e Solution Tech-Fantini.

Quaranta punti sono quelli che si è messo in tasca Carlos Verona, arrivando settimo a Sestriere: ben più dei 25 che nello stesso giorno ha conquistato Pellizzari. Quaranta punti li ha fatti Fiorelli ad Asiago e anche Vingegaard arrivando secondo alle spalle di Pogacar nelle tappe del Delfinato. Tsarenko (che ha poi vinto anche al Giro di Slovenia e che citiamo solo ad esempio, augurandogli una carriera luminosa) ci sarebbe riuscito?

Sestriere, penultima tappa del Giro: 45 punti per Marcellusi (6°), 40 per Verona (7°). Per la VF Group alla fine 400 punti
Sestriere, penultima tappa del Giro: 45 punti per Marcellusi (6°), 40 per Verona (7°). Per la VF Group alla fine 400 punti

Le prime trenta

Dal prossimo anno per partecipare a Giro, Tour e Vuelta e poter ambire alle wild card bisognerà rientrare fra le prime 30 squadre del ranking. Al momento la VF Group-Bardiani naviga in acque abbastanza tranquille, con il 27° posto. La squadra dei Reverberi infatti prende parte al Giro Next Gen, poi sarà al Val d’Aosta, avendo individuato nel calendario degli U23 un utile bacino di approvvigionamento.

Più in basso è invece il Team Polti-VisitMalta che ha disputato il Giro, ma si trova in 30ª posizione con 24,7 punti più della Solution Tech-Fantini. Se la battaglia si giocherà sul filo di pochi piazzamenti, la differenza verrà colmata con ogni genere di competizione, anche quelle dei dilettanti di un tempo, nei cui confronti il team di Basso e Contador finora non ha mai mostrato grande interesse. Giustamente, diremmo. Tuttavia se il criterio dei punti è predominante, prepariamoci ad assistere a battaglie senza esclusione di colpi e anche a scelte anacronistiche.

Il Team Polti-Kometa ha partecipato al Giro, con 412 punti portati a casa
Il Team Polti-Kometa ha partecipato al Giro d’Italia, con 412 punti portati a casa

Si chiude un’epoca

Fino a ieri, la partecipazione delle nostre professional al Giro era legata alla loro voglia di andare in fuga e a qualche talento da lanciare. Facevano spettacolo, tenevano desta l’attenzione, spesso a discapito degli ordini di arrivo. Quando il gruppo li prendeva, raramente i loro corridori riuscivano ad avere gambe per rilanciare e le tappe finivano in tasca agli squadroni. Ma se questo modo di essere non è più previsto dall’ordinamento mondiale del ciclismo, dobbiamo prepararci a non avere più le piccole squadre italiane al Giro d’Italia, ritrovandole invece in tutte le gare minori in cui hanno maggiori possibilità di fare punti.

Il risultato finale a ben vedere sarebbe la netta delimitazione fra serie A e serie B del ciclismo: l’esclusione dei piccoli sarà assicurata dai punti e dai soldi. Come nel calcio. Se così sarà, godiamoci il ricordo di Pellizzari che si scambia la maglia con Pogacar: corridori e scene così saranno presto impedite dal ranking. Con grave danno per il ciclismo italiano, che non ha altri difensori al di fuori dei suoi appassionati.

Pogacar regala a Pellizzari la sua maglia rosa a Monte Pana: Giro 2024. Per quanti anni sarà ancora possibile una scena come questa?
Pogacar regala a Pellizzari la sua maglia rosa a Monte Pana: Giro 2024. Per quanti anni sarà ancora possibile una scena come questa?

Un messaggio dalle Marche

«Prendiamo ad esempio un ragazzo dal sicuro valore come Tarozzi – ci scrive il marchigiano Francesco Andreani – che nel 2025 ha vinto la classifica dei GPM alla Tirreno e al Giro è stato il corridore che ha percorso più chilometri in fuga. Tirando le somme, ha solamente 8 punti nella classifica UCI. Un ragazzo che si piazza sesto al De Gasperi ne conquista 10. Il rischio è che corridori come Tarozzi saranno sempre meno appetibili ed è un peccato».

Ha ragione. Sembra un percorso irreversibile ed è un peccato che non crei allarme in chi guida la Federazione e potrebbe agire a livello internazionale per regolamentare, ad esempio, la possibilità di passaggio all’estero di corridori minori e non professionisti.

Un premio per i tanti chilometri di fuga di Tarozzi, ma quanti punti? Eppure la sua presenza ha impreziosito il Giro d’Italia
Un premio per i tanti chilometri di fuga di Tarozzi, ma quanti punti? Eppure la sua presenza ha impreziosito il Giro d’Italia

L’inerzia federale

Non lo fanno perché probabilmente non ne sono capaci. Oppure perché non hanno interesse a farlo. Allo stesso modo in cui hanno rinunciato a schierare ragazze azzurre U23 nella prima edizione del mondiale di categoria: perché non ci sono i soldi per portarle.

E così si va avanti. Gli agenti pescano nel mare, con lo sbarramento dei watt che rendono i giovani corridori attendibili e redditizi. Li portano nei devo team o direttamente nelle WorldTour, perché è giusto che rincorrano i migliori guadagni possibili. E per le squadre italiane resta davvero poco, portano a correre le terze scelte, con risultati ovviamente incapaci di grosse sorprese, vista la prevedibilità del ciclismo. Fatti salvi 2-3 nomi, la loro presenza al Giro d’Italia è stata leggera. Il richiamo del De Gasperi diventerà presto molto più forte di quanto non sia già adesso. In attesa di sapere cosa ne pensano i loro sponsor.

Nizzolo e la ricerca di quell’1 per cento per tornare a vincere

16.06.2025
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Per Giacomo Nizzolo questa stagione vuole essere quella della rinascita perché un corridore abituato a vincere i grandi sprint vuole tornare a gettarsi nella mischia con la testa curva sul manubrio e le gambe che spingono rapporti lunghissimi. Da fine gennaio a oggi il velocista della Q36.5 Cycling Team ha messo insieme lo stesso numero di gare della passata stagione. Il 2024 non è stato un anno semplice, tanti problemi e poca continuità hanno allontanato Nizzolo dalla sua forma migliore. Per tornare il cammino è lungo, ma anche a trentasei anni non manca la voglia di rimboccarsi le maniche e alzare la testa verso questa montagna da scalare.

Nizzolo aveva iniziato bene al Tour of Oman con un secondo posto nella quarta tappa alle spalle di Kooij
Nizzolo aveva iniziato bene al Tour of Oman con un secondo posto nella quarta tappa alle spalle di Kooij

Rispolverare lo sprint

In montagna ci andrà davvero a luglio, a Livigno. Un ritiro con il team nel quale capirà quali saranno i suoi piani nella seconda metà di stagione. Intanto Nizzolo punta ai campionati italiani di Gorizia. 

«Prima ancora – racconta mentre è a casa – sarò al Copenhagen Sprint il 22 giugno, poi andrò all’italiano. Il ritiro con la squadra darà qualche certezza sui prossimi impegni, ma non credo di fare la Vuelta. Visto il percorso non penso sia una buona idea, non credo vedremo grandi velocisti in Spagna. 

«Dopo la pausa di metà aprile – prosegue – sono rientrato nella mischia al Giro di Ungheria e alla Boucles de la Mayenne. Sono tornato di nuovo nella mischia, manca il guizzo e la velocità di gambe per provare a vincere. Però mi ritengo contento, arrivo bene alle volate e le approccio nel modo corretto. Mi serve lavorare per avere quella brillantezza negli ultimi metri, alla fine è quella che fa la differenza tra la vittoria e un buon piazzamento».

Durante l’inverno il velocista della Q36.5 ha lavorato tanto sul fondo in vista delle Classiche
Durante l’inverno il velocista della Q36.5 ha lavorato tanto sul fondo in vista delle Classiche
Come si colma questo gap?

Lavorando bene in altura e andando alle gare. Non è semplice perché non esistono più appuntamenti di secondo piano, soprattutto quest’anno. Siamo alla fine del triennio e le squadra cercano punti. In Ungheria, che è una corsa di categoria 2.Pro, c’erano Molano, Bauhaus, Welsford e Groenewegen.

Che effetto ti ha fatto tornare a lottare contro questi velocisti?

Sento di essere tornato in gioco, se dovessi usare una metafora calcistica direi che anche io tocco palla e non rimango a guardare. Manca un 1 per cento. Non è facile trovarlo, ma voglio provarci. E’ un discorso di fibre veloci che vanno richiamate anche in allenamento. All’inizio dell’anno il team e io ci siamo concentrati sul recuperare il fondo in vista delle Classiche. 

Dopo lo stacco di aprile Nizzolo è tornato a concentrarsi sugli sprint e lo ha fatto prima al Giro di Ungheria (qui in foto) e poi alla Boucles de la Mayenne
Nizzolo è tornato a concentrarsi sugli sprint e lo ha fatto prima al Giro di Ungheria (qui in foto) e poi alla Boucles de la Mayenne
Gabriele Missaglia, diesse della Q36.5, aveva fatto il tuo nome tra quelli possibili per il Giro, quanto era concreta la possibilità di vederti lì?

In realtà non era in programma. Il mio desiderio era quello di tornare competitivo su qualsiasi palcoscenico. E’ stato giusto portare Moschetti al Giro, da inizio anno ha dimostrato una grande crescita ed era davanti a me nelle gerarchie. Siamo due velocisti in squadra ed è giusto dividerci e avere ognuno il suo spazio. 

Riuscite a condividere gli spazi…

Abbiamo due percorsi diversi in termini di carriera. Moschetti è nei suoi anni migliori ed è giusto che voglia ambire a correre certe gare, come il Giro. Io sto cercando di tornare competitivo e non mi interessa la gara, ma voglio andare dove si può fare bene.

Moschetti e Nizzolo si dividono il ruolo di velocisti in squadra, ogni tanto capita di vederli correre insieme come al Criquielion
Moschetti e Nizzolo si dividono il ruolo di velocisti in squadra, ogni tanto capita di vederli correre insieme come al Criquielion
Avete anche corso insieme, che idea ti sei fatto di lui?

Ci eravamo sfiorati anche alla Trek nel 2018, lui era uno stagista e non abbiamo mai corso insieme. In questi ultimi due anni alla Q36.5 ci siamo incrociati di più anche alle corse. C’è un bel dialogo, lui è uno che ascolta, ma ha le sue idee. Nell’impostare lo sprint ci muoviamo in maniera diversa, ma sono dettagli. In una delle poche occasioni in cui abbiamo corso insieme lui ha vinto e io sono arrivato terzo, vedere Moschetti vincere ed essere lì con lui è stato bello, se lo merita. 

Ora prepari il finale di stagione con quali ambizioni?

Di scalare la classifica e dare un colpo decisivo. L’obiettivo è rimanere competitivo, chiaro che una vittoria mi renderebbe molto felice e potrebbe dare ulteriori conferme e un significato diverso al mio percorso di recupero.

A tu per tu con la Reusser, tornata dall’abisso

16.06.2025
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Per certi versi, Marlen Reusser è la donna del momento. Vincitrice quasi a sorpresa della Vuelta a Burgos e poi della gara di casa, il Giro di Svizzera dando nella tappa finale una dimostrazione di forza anche a quella Demi Vollering che finora era stata la più brillante fra tutte. Una dimostrazione che assume maggior risultato se consideriamo che siamo nell’imminenza dei due Grandi Giri, ai quali l’elvetica della Movistar prenderà parte con ambizioni rinnovate.

La Reusser aveva già vinto il Giro di Svizzera nel 2023. Per lei questo successo ha però un sapore speciale
La Reusser aveva già vinto il Giro di Svizzera nel 2023. Per lei questo successo ha però un sapore speciale

Finora, la Reusser era conosciuta soprattutto come straordinaria specialista contro il tempo, tre volte campionessa europea, brillante anche in qualche classica (sua la Gand-Wevelgem 2023), prima in qualche breve corsa a tappe, ma un simile livello non l’aveva mai raggiunto. Forse però questo salto di qualità ha radici che prevaricano quelle squisitamente tecniche e che coinvolgono l’aspetto umano, la voglia di rivalsa dopo un 2024 andato quasi tutto perduto – Olimpiadi comprese – a causa dei postumi del Covid, che ha avuto su di lei effetti devastanti.

Per questo dopo le sue vittorie, Marlen ha una gran voglia di parlare e dopo la sua vittoria in terra elvetica ha accettato anche di mettersi online per una chiacchierata che andava anche al di là del puro significato della vittoria.

La svizzera, 33 anni, è alla sua prima stagione con la Movistar, scelta per cambiare tutto
La svizzera, 33 anni, è alla sua prima stagione con la Movistar, scelta per cambiare tutto
Quanto è stato importante per te, anche in funzione del trionfo casalingo, vincere la Vuelta a Burgos dopo tutto quel che è successo lo scorso anno?

E’ difficile a dirsi, perché tutto quel che ho passato mi ha insegnato a guardare le vittorie, le corse, la mia attività con un occhio diverso. Responsabile verso il mio team, ma forse più disincantato. Penso che dopo tutto quello che è successo l’anno scorso non sia così importante se vincerò e come. Per me è un dono immenso tornare e poter guadagnare i miei soldi, avere una vita, essere in salute. Avere messo alle spalle un periodo davvero buio, del quale per me è anche difficile parlare. Vincere una gara è super emozionante, questo è certo. Ma non voglio giudicarlo in base a quel che ho passato, quel che conta è avere di nuovo una vita normale. Molto più di aver vinto, forse.

A Burgos ha dato le prime dimostrazioni di forza. Qui stacca la Kastelijn e va a prendersi la maglia
A Burgos ha dato le prime dimostrazioni di forza. Qui stacca la Kastelijn e va a prendersi la maglia
Hai iniziato la stagione vincendo al secondo giorno, in Spagna. Quella vittoria, pur in una gara non di primaria importanza, come l’hai vissuta?

L’esperienza a Mallorca è stata fantastica. Voglio dire, non solo sono tornata dopo un anno molto, molto difficile, ma è stata anche la prima volta con il mio nuovo team. Avere subito quel successo è stato particolare, al di là del suo valore. E’ come se mi fossi sentita nuovamente a casa mia, nel mio mondo, riaccolta. Iniziava la nuova avventura con il Team Movistar e la mia nuova vita.

Aver dovuto rinunciare alle Olimpiadi 2024 è stata per te una ferita?

E’ un discorso complicato. Certo, dover rinunciare alle Olimpiadi e anche ai campionati del mondo in Svizzera o al mio lavoro l’anno scorso è stata dura. Ma a essere onesti è servito, è stato un passo dopo l’altro, prendendo sempre più consapevolezza di quanto fossi malata. Alla fine, non importava più quale gara avrei fatto o meno. Non si trattava più di fare gare ciclistiche. Si trattava più di poter essere in salute e di tornare a vivere una vita normale. Era molto più importante, per questo non ci ho pensato molto a mettere uno stop, non era più importante se potevo partecipare a una certa gara ciclistica o no. Io sono davvero grata che mi abbiano rimesso in salute. E sì, questa ferita è guarita e non è mai stata così grave perché, tipo, era all’ombra di una ferita molto più grande.

L’elvetica viene da un 2024 difficilissimo, segnato dai postumi del Covid che l’hanno fermata a lungo
L’elvetica viene da un 2024 difficilissimo, segnato dai postumi del Covid che l’hanno fermata a lungo
Quella di Burgos è la tua quarta corsa a tappe vinta in carriera: è quella la tua dimensione ideale?

Penso di sì. Non solo ho 14 anni di carriera, ma ho anche rinunciato a un sacco di podi, anche quelli importanti, per aiutare la squadra. Non correvo per me stessa, anche se ero comunque molto forte. Quindi penso che dovrei sempre essere a quel livello, penso che sia un obiettivo a cui puntiamo molto e per cui lavoriamo molto. Penso di poter ancora fare molto bene nelle classiche e sono ancora forte a cronometro, piuttosto versatile. Non sarò mai solo una specialista di qualcosa.

Al Giro di Svizzera avevi già vinto nel 2023: pensi di essere una ciclista diversa e una donna diversa rispetto ad allora, soprattutto dopo quanto avvenuto lo scorso anno?

Sicuramente, penso che la vita ti cambi molto. In qualche modo sono anche una Marlen 2.0 ora… Il Giro di Svizzera penso che sia la corsa giusta per capire che tipo di corridore da classifica generale sono. Nel 2023 era una delle poche gare in cui potevo davvero dare il massimo. E in teoria avevo il supporto della squadra. Forse non molto, quindi ero davvero desiderosa di vincere questa gara. E’ stato davvero molto bello, diverso dalla vittoria di quest’anno, ma penso di essere più o meno la stessa ciclista, tecnicamente parlando.

Il ritorno in gruppo è stato per la Reusser una grande gioia, a prescindere dai risultati
Il ritorno in gruppo è stato per la Reusser una grande gioia, a prescindere dai risultati
Tra Giro d’Italia e Tour de France, quale corsa pensi sia più adatta alle tue possibilità di vittoria?

Guardando i percorsi dovrei dire il Giro, soprattutto per via della cronometro, che è abbastanza tosta all’inizio, introducendo una serie di tappe davvero dure sulle Alpi. Non capisco sinceramente perché prima non ci fosse una prova contro il tempo, come non capisco perché al Tour non sia contemplata. Come percorso in generale però quello francese mi sembra più variegato, con più possibilità per emergere anche per chi non è propriamente uno scalatore e per questo penso che sceglierei il Tour. E anche come team è l’obiettivo che abbiamo mirato.

Tanta Francia al Delfinato: vince Martinez, saluta Bardet

15.06.2025
5 min
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Romain Bardet arriva al 43° posto nell’ultima tappa del Delfinato e quando taglia il traguardo, le sue prime parole danno la misura del peso interiore che deve essere stato per il ragazzo di Brioude disputare la corsa sapendo che fosse l’ultima.

«Non vedevo l’ora che finisse – ha detto a caldo –  sono esausto, sinceramente. Ho resistito fino in cima all’ultima salita, per avere il piacere di farla con Chris Hamilton e godermela un’ultima volta. Non sopporto più di soffrire per il 15° posto. Ho dato tutto e ora sento che il serbatoio è vuoto. Sarò felice di essere di nuovo con la mia squadra e di non dover pensare alla prossima gara domani o dopodomani».

La fuga dei delusi

Per un grande francese che se ne va, eccone un altro piccolino di statura ma dalle grandi prospettive. Lenny Martinez ha resistito infatti sull’ultima salita e ha vinto la tappa sul Plateau del Moncenisio, a due passi dall’Italia.

Il giovane figlio d’arte della Bahrain Victorious si era infilato di mattino in una fuga di delusi, dopo aver perso più di 35 minuti nella tappa di ieri. Con lui all’attacco si sono ritrovati alcuni nomi importanti e forse questo ha permesso al tentativo di arrivare avanti quanto bastava. Van Gils, Kuss, Foss, Valentin Paret-Peintre, Armirail, Healy, Mas, Ivan Romeo, Lutsenko e persino Van der Poel. Con un gruppo di gente così forte e la tappa piuttosto corta ancorché severa (3.531 i metri di dislivello), Martinez ha giocato ottimamente le sue carte.

«Non mi aspettavo molto oggi – ha detto – e solo alla fine della tappa ho creduto davvero di poter vincere. Pensavo davvero che mi avrebbero raggiunto».

Evenepoel all’attacco

Va così quando alle tue spalle si danno battaglia Vingegaard e Pogacar, ma questa volta i duellanti non sono riusciti a riprendere l’ultimo attaccante

Il campione del mondo e il danese sono presto rimasti da soli, mentre era stato Evenepoel in precedenza il primo a sferrare un attacco deciso nel gruppo maglia gialla. Il belga, seguito solo dai primi due della classifica generale e da Johannessen, non è però riuscito a guadagnare abbastanza per superare Lipowitz in classifica generale, lasciandogli il terzo posto.

Dopo il duro lavoro di Evenepoel, Vingegaard ha cercato di staccare Pogacar, ma lo sloveno ha tenuto facilmente il passo fino al traguardo, dove il danese ha accelerato per conquistare il secondo posto di tappa.

Una scena dal Delfinato cui dovremo prepararci per il Tour: Vingegaard attacca, Pogacar non lo molla
Una scena dal Delfinato cui dovremo prepararci per il Tour: Vingegaard attacca, Pogacar non lo molla

Le lacrime di Martinez

La brutta notizia per i francesi è la caduta di Seixas, coinvolto in un incidente di gruppo a 10 chilometri dall’arrivo. Nonostante il forte colpo al braccio e la rottura del manubrio, il ragazzino ha concluso 13° di tappa e 8° nella generale. La sua caduta non ha però guastato la festa ai francesi, in festa con Martinez, che sul traguardo non ha trattenuto le lacrime.

«Ieri non mi sentivo proprio bene – ha raccontato – e anche i giorni precedenti non erano andati benissimo. Però alla partenza ho avuto sensazioni migliori, quindi mi sono detto che avrei provato a unirmi alla fuga. Quando è partito Van der Poel a 50 chilometri dall’arrivo, ho pensato che potesse vincere lui e che il gruppo avrebbe ripreso tutti noi. Ero venuto al Delfinato per lottare per la classifica generale, ma non ha funzionato: con questa vittoria ho salvato la settimana. La prossima corsa sarà il Tour de France, ma non punto alla classifica generale. Vorrei però vincere una tappa».

Una vittoria che dà grande morale a Martinez, al primo anno con la Bahrain Victorious
Una vittoria che dà grande morale a Martinez, al primo anno con la Bahrain Victorious

Pogacar e la crono

C’è il Tour che bussa forte alla porta. E mentre dal Giro di Svizzera arriva la notizia di un altro francese sugli scudi, con Romain Gregoire arrivato da solo davanti a Vauquelin, Pogacar si guarda intorno e fa la sintesi della settimana trionfale appena conclusa. E ancora una volta si conferma che il passo a vuoto nella crono lo ha infastidito non poco.

«Mi ricordavo questa corsa dal 2020 – ha detto – e tornare dopo così tanti anni in questa forma poco prima del Tour de France mi rende davvero felice. E’ importante soprattutto per il morale, dato che il Tour è l’obiettivo più grande della stagione. E’ una spinta mentale per me e per la squadra, per convincerci che possiamo fare altri progressi. Non andrò ai campionati nazionali, perché mi costringerebbero a scendere troppo presto dall’altura. Per cui ora faremo un buon riposo e poi forse dovremmo puntare un po’ sulla cronometro, perché il distacco dell’altro giorno mi è parso troppo grande. E’ vero che poi c’erano le salite per recuperare, ma comunque non bisogna mai dare certe cose per scontate».

Rho “scalda” il Giro Next Gen: Schwarzbacher in rosa, Finn c’è

15.06.2025
6 min
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RHO – Il Giro Next Gen inizia nella morsa del caldo della provincia di Milano dove l’asfalto amplifica le temperature percepite. Una fornace rovente che chiude i polmoni e rallenta le gambe dei corridori. La mattina nel parcheggio del cimitero di Rho, l’unico spazio abbastanza grande da accogliere tutti i mezzi delle trentatré squadre al via, si percepiva la sensazione di essere alla partenza della corsa più importante dell’anno. Facce sorridenti si mischiavano a volti scuri e già concentrati sullo sforzo breve ma intenso degli 8,4 chilometri previsti

I bus dei devo team sono gli stessi utilizzati dalle squadre WorldTour di riferimento, questo dà il senso di quanto gli squadroni dei futuri campioni curino ogni dettaglio. Il resto lo fanno i corridori con le loro divise e i body aerodinamici disegnati su misura. Durante la prova percorso il rumore delle ruote lenticolari si infrange sui muri delle case in vie strette e tortuose. Si gira e si provano le curve, uno dei fattori che ha fatto la differenza è stato proprio la percorrenza e i rilanci dopo ogni svolta. A resistere e a conquistare la prima maglia rosa in palio è Matthias Schwarzbacher del UAE Team Emirates Gen Z che ha impiegato 9 minuti e 17 secondi per completare la prova a una media di 54,291 chilometri orari (in apertura foto La Presse).

Caldo torrido

Lo aveva detto anche Marino Amadori quando abbiamo presentato la corsa dei nostri azzurri: le squadre, anche i team continental, sono andati in altura a preparare questo appuntamento cruciale per i destini di ognuno degli atleti qui presenti. Alcune squadre sono scese dall’altura tre settimane fa, altre sono tornate da pochissimi giorni, senza nemmeno il tempo di adattarsi al clima torrido. 

L’argomento principale girando tra i vari tendoni e cordoni dietro ai quali si nascondono i team è proprio il caldo. Come reagiranno i ragazzi al cambio di temperatura se fino a pochi giorni fa erano ad allenarsi in altura a 20 gradi centigradi? Il dubbio c’è ma l’unica soluzione percorribile è avere pazienza e scoprirlo nelle ore successive. Il primo a prendere il via alle 12,20 è Lorenzo Nespoli della MBH Bank-Ballan-Csb e dopo i 9 minuti e 44 secondi della sua prova si sdraia a terra cercando di rinfrescarsi con litri d’acqua e del ghiaccio appoggiato sul collo. La scena si ripeterà fino all’ultimo atleta passato sotto al traguardo. 

I crampi di Giaimi 

Ogni passaggio sotto all’arrivo coincide con bocche spalancate alla ricerca di aria e schiena piegate dalla fatica. Luca Giaimi del UAE Team Emirates Gen Z è uno di quelli che ha sofferto maggiormente il caldo di oggi e dopo l’arrivo fatica a trovare le energie per tenersi in piedi. 

«È stata dura – racconta reggendosi alla bici in preda ai crampi – purtroppo siamo scesi dall’altura solamente tre giorni fa e oggi ho sofferto tanto il caldo. Nella seconda parte della prova ho fatto fatica a rilanciare in uscita dalle tante curve presenti. Direi che è stata una buona performance anche se non è stata sufficiente per raccogliere il risultato che avrei voluto, mi sarebbe piaciuto conquistare almeno un podio». 

Il sorriso di Finn

Dopo la prima tappa la maglia tricolore dedicata al migliore degli atleti italiani in classifica generale è sulle spalle di Lorenzo Finn. Una prima prova e un passo che soddisfa il giovane talento del team Red Bull-BORA-hansgrohe Rookies. Non una tappa decisiva ma la risposta avuta da gambe e fisico lascia buone sensazioni al ligure. 

«Sono contento della mia prova e di quella della squadra – dice Finn – siamo andati bene e questo fa ben sperare. Il distacco da Schwarzbacher è quello che mi sarei aspettato, non è una prova decisiva ma iniziare bene fa sempre piacere. Le gambe hanno girato bene, domani a Cantù non mi aspetto grandi distacchi ma bisognerà stare attenti. Sul Passo del Maniva arriverà la prima selezione naturale e dovremo farci trovare pronti, fino ad allora sarà importante conservare le energie».

Schwarzbacher in rosa

Mattias Schwarzbacher scende dal palco delle premiazioni con la maglia rosa appena stampata con il logo del team. Nonostante le maniche lunghe la indossa con orgoglio sotto al tendone delle interviste. Lo slovacco venuto in Italia quando era juniores secondo anno per crescere e migliorare. Ritrova il nostro Paese e raccoglie un successo che lo pone sotto ai riflettori dei favoriti. 

«Devo ancora prendere coscienza di quello che ho fatto (racconta mentre sorride, ndr). Dopo il training camp non mi sono allenato molto quindi non sapevo cosa aspettarmi da questa prova. Prima della partenza ero abbastanza nervoso perché sapevo di poter entrare nei primi dieci, ma non credevo di poter vincere. Mi piace sempre tornare in Italia e indossare la maglia rosa è una sensazione fantastica. Vorrei tenerla anche domani, mentre nella tappa di martedì, con il primo arrivo in salita, la vedo dura mantenerla. In squadra abbiamo altri ragazzi pronti per la classifica generale». 

Nel periodo in cui Schwarzbacher ha corso in Italia, da junior, lo ha fatto al CPS Professional Team, e ha condiviso una stagione con Lorenzo Finn. Oggi i due si sono ritrovati dietro al palco delle premiazioni e lo slovacco ha speso qualche parola per il suo ex compagno di avventure.

«Sono felice per lui – conclude – un ragazzo simpatico e con il quale ho corso e mi sono divertito. Non sono sorpreso dalle sue qualità, ha grandi numeri e una mentalità vincente. Sarà un piacere condividere questi otto giorni insieme a lui e lottare sulle strade del Giro Next Gen».

Delfinato o Svizzera per il Tour? Parlano i numeri…

15.06.2025
5 min
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Qual è l’approccio migliore al Tour? L’opinione comune è che il Giro del Delfinato dica con poco meno di un mese di anticipo quel che poi vedremo alla Grande Boucle, ma è davvero più propedeutico del Giro di Svizzera, che prende il via proprio oggi quando la corsa francese si conclude? A giudicare dalle rispettive liste di partenza verrebbe proprio da dire di sì. Come si fa a non pensare che Pogacar, Vingegaard e Evenepoel non saranno i protagonisti assoluti anche a luglio? Tra l’altro lo sloveno vincitutto aveva preso parte una sola volta alla prova transalpina, guardate che sconquassi ha creato.

Jonas Vingegaard primo al Delfinato 2023 per poi andare a sbancare il Tour. La sfida a Pogacar è già lanciata
Jonas Vingegaard primo al Delfinato 2023 per poi andare a sbancare il Tour. La sfida a Pogacar è già lanciata

In 14 hanno fatto doppietta

Mettiamo però a confronto le due corse: il Delfinato ha iniziato la sua storia nel 1947, saltando da allora solamente le edizioni del 1967-68 (neanche il Covid lo ha fermato). Ci sono state ben 14 occasioni in cui il vincitore si è portato a casa anche la maglia gialla a Parigi. A dir la verità sarebbero 16, contemplando i due successi di Lance Armstrong poi cancellati come tutta la sua carriera. Il primato in fatto di “doppiette” spetta a Chris Froome, che era solito abbinare le due prove e che ha contraddistinto le annate 2013-15-16. Facendo meglio di Bernard Hinault che centrò l’abbinata nel 1979 e ’81.

E Merckx? Il Cannibale ottenne la doppietta solamente nel 1971, unico anno d’altronde nel quale vinse la prova chiamata allora Criterium du Dauphiné Libéré, dal nome del giornale patrocinatore. Ma tornando a tempi più vicini ai nostri, chi è riuscito nell’impresa negli ultimi vent’anni? La cosa curiosa è che il Delfinato è stato spesso favorevole ai britannici: detto della tripletta di Froome, anche Wiggins prese spinta da qui per vincere la sua unica maglia gialla, nel 2012, lo stesso fece Geraint Thomas nel 2018. Ultimo in ordine di tempo a fare l’abbinamento è stato Jonas Vingegaard, vincitore  nel 2023 e poi capace di dare scacco matto a Pogacar nel 2023. Riuscirà lo sloveno ad aggiungersi alla lista?

Chris Froome ha il primato in fatto di doppiette Delfinato-Tour, 3 dal 2013 al 2016
Chris Froome ha il primato in fatto di doppiette Delfinato-Tour, 3 dal 2013 al 2016

L’impresa di Bernal datata 2019

Spostiamo ora il nostro obiettivo sul Giro della Svizzera, dalla storia più antica essendo iniziato nel 1933. Da allora solamente due corridori sono riusciti a fare doppietta, a parte Armstrong nel 2001 cancellato come detto prima. Uno naturalmente è Merckx nel 1974, il suo anno d’oro nel quale si concentrò praticamente sulle corse a tappe inserendo la vittoria elvetica fra i trionfi a Giro e Tour. L’altro è stato Egan Bernal, che proprio dal Giro della Svizzera prese l’abbrivio per andare a conquistare il Tour: in quell’anno il Delfinato era andato a Fuglsang, che poi al Tour si ritirò confermando la sua idiosincrasia per la Grande Boucle.

Bernal è uno dei due soli corridori che ha vinto il Tour dopo aver trionfato in Svizzera
Bernal è uno dei due soli corridori che ha vinto il Tour dopo aver trionfato in Svizzera

Giro di Svizzera, appuntamento che dà segnali

I numeri però raccontano anche altro, piccole grandi storie come quella del 1975, cinquant’anni fa quando Merckx chiuse lo Svizzera al secondo posto, beffato da Roger De Vlaeminck. Poi il belga andò al Tour sicuro di suonare la sesta sinfonia, trovandosi però di fronte all’enfant du pays Bernard Thevenet, uno di quelli che realizzò la doppietta Delfinato-Tour. Oppure quella della famiglia Schleck, i fratelli lussemburghesi con Frank che nel 2010 vinse il Giro di Svizzera battendo anche Armstrong ma al Tour, dov’era uno dei favoriti, cadde nella terza tappa rompendosi una clavicola in tre punti.

Se proviamo ad allargare il discorso ai podi, scopriamo che comunque il Giro della Svizzera sta guadagnando rispetto come prova propedeutica del Tour. Lo sanno bene ad esempio Richard Carapaz, secondo nel 2021 prima di chiudere terzo in Francia (e poi andare a prendersi l’oro olimpico, ma questa è un’altra storia), oppure Geraint Thomas, vincitore sulle strade elvetiche nel 2022 per poi finire anche lui terzo al Tour. E’ un po’ quello che sperano anche i favoriti dell’edizione che parte oggi, come Almeida (che punta a confermarsi grande specialista delle corse a tappe di una settimana prima di mettersi al servizio del sovrano sloveno) oppure Geoghegan Hart o anche Vlasov.

Thevenet e Merckx, protagonisti di un’epica sfida al Tour de France 1975
Thevenet e Merckx, protagonisti di un’epica sfida al Tour de France 1975

Anderson e il colpaccio di 40 anni fa

Ma c’è stato mai qualcuno che è riuscito nella doppietta Delfinato-Svizzera? Oggi sarebbe impossibile data la loro contemporaneità, ma in passato c’era più differenza temporale e l’impresa riuscì all’australiano Phil Anderson nel 1985. Anche lui era uno specialista delle corse a tappe medio-brevi, aveva già vinto il Giro del Mediterraneo che al tempo (quando il calendario era molto più ristretto rispetto a oggi) inaugurava la stagione e che realizzò una doppietta che lo proiettò tra i papabili per la maglia gialla. Ma il Tour è un’altra cosa. In Francia chiuse 5°, il suo miglior piazzamento di sempre. E obiettivamente poteva anche stargli bene così…

Almeida: «Al Tour de Suisse per vincere e testare la condizione»

15.06.2025
4 min
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Se ieri abbiamo iniziato a parlare del Tour de Suisse con uno dei corridori più attesi, Tao Geoghegan Hart, stavolta lo facciamo con quello che a detta di tutti è il favorito numero uno: João Almeida.

Lo scorso anno il portoghese fu secondo, alle spalle di Adam Yates, per quella doppietta UAE Emirates che a posteriori altro non era che un anticipo del dominio che poi Tadej Pogacar e appunto la squadra avrebbero avuto al Tour.
E così ecco che Joao, con grande disponibilità, ha risposto alle nostre domande… aggiungendo anche un pensiero sul Giro d’Italia.

Quest’anno Almeida ha disputato sin qui 5 corse a tappe: due vittorie, due secondi posti e un sesto (alla Parigi-Nizza dove non era al top fisicamente)
Quest’anno Almeida ha disputato sin qui 5 corse a tappe: due vittorie, due secondi posti e un sesto (alla Parigi-Nizza dove non era al top fisicamente)
Joao, come stai? Com’è la forma?

Tutto bene, siamo qui in Svizzera per vedere se la gamba è buona.

Qual è il tuo obiettivo in questa corsa? Vuoi confermare il podio o è uno step di passaggio verso il Tour?

No, io credo che voglio confermare che la forma sia buona e che siamo qui per vincere la gara. E anche provare la gamba, com’è… soprattutto venendo da un lungo ritiro a Sierra Nevada.

A proposito, in generale com’è stata la tua preparazione quest’anno? Hai avuto intoppi?

Devo dire che è andato tutto bene. Sono stato un po’ malato alla fine della Parigi-Nizza e anche la settimana dopo, ma niente di speciale. Sono stato costante, ho fatto le gare che dovevo fare e anche per questo sono fiducioso.

La crono dello Svizzera 2024 era praticamente identica a quella di quest’anno. Almeida la vinse usando bici da strada e casco aero
La crono dello Svizzera 2024 era praticamente identica a quella di quest’anno. Almeida la vinse usando bici da strada e casco aero
Joao, tu sei un ottimo cronoman e una tua prestazione in questa specialità conta moltissimo. L’altro giorno al Delfinato Tadej ha pagato qualcosa: ebbene, quanto è importante la crono che ci sarà a questo Tour de Suisse per acquisire dati, fare degli interventi?

In teoria è importante, ma qui in questo Giro di Svizzera la crono che c’è è facile dal punto di vista dei materiali, perché è in salita. E’ tutta una questione di spinta. E stare lì sulla posizione della crono non è facile.

Però è importante per il Tour, per quella di Peyragudes che è sempre in salita…

Esatto, alla fine è uno sforzo simile, una crono da fare a tutta. Ma per me è più un giorno indicativo per valutare la gamba. Perché è uno sforzo che non ti consente di respirare. Devi impostare un pacing giusto e spingere forte. E devo dire che anche per questo sono eccitato, non vedo l’ora di farla.

Quanto ti senti più leader adesso, Joao? Hai acquisito questo senso di leadership sia dentro di te che nei confronti della squadra?

Io credo di sì. E’ una cosa che tutti gli anni cresce in me. In questi ultimi anni ho cominciato a vedere quello che funziona e quello che funziona meno per me. Allenamento, alimentazione… tutte queste cose. Capire come funziona il mio corpo, come devo fare l’allenamento. In questo momento sono in una posizione di consapevolezza. E questo ti dà fiducia per arrivare alle gare e dire: “Sto bene, la gamba c’è”.

La vittoria ai Paesi Baschi di quest’anno è stata una grande iniezione di fiducia per il portoghese
La vittoria ai Paesi Baschi di quest’anno è stata una grande iniezione di fiducia per il portoghese
Chi saranno i rivali principali per questo Tour de Suisse?

Ben O’Connor: io credo che lui andrà forte. Anche Ben ha fatto un ritiro a Sierra Nevada e quindi si è allenato bene. Poi penso a Aleksandr Vlasov. Doveva esserci anche Mattias Skjelmose, ma non ci sarà perché è malato. Questi per me erano i più forti. Poi vediamo giorno per giorno, perché sicuramente c’è tanta gente che sta bene. In tanti si sono allenati forte prima di questa gara e potrebbero anche esserci sorprese.

Chiudiamo con una curiosità. Nei giorni del Giro d’Italia, sulle tue pagine fan dei social – soprattutto i portoghesi – dicevano che era l’occasione di Joao al Giro. Ci hai mai pensato un pochino?

Sì – ride Almeida – alla fine puoi pensare a tante cose. Il Giro d’Italia mi piace tanto.
E non vedo l’ora di tornarci un giorno. Vedendo il Giro, pensavo che fosse in effetti un bel percorso per me. Due crono, salite giuste e anche l’ultima tappa sul Colle delle Finestre mi è piaciuta molto. La squadra è stata brava, hanno fatto una bella gara, alla fine siamo stati un po’ sfortunati. E qualche nostro corridore è caduto, ma nonostante tutto siamo stati lì per vincere. Dai, vediamo se un giorno tornerò: io lo spero tanto!