Vista l’ultima corsa a cui ha preso parte e visto il suo ruolo, potremmo definire Diego Ulissi come l’Apollo delfico, il Dio pieno di saggezza. L’esperto corridore della XDS-Astana ci ha raccontato il Tour of Hellas, ma anche il suo ruolo nel team e l’avvicinamento alle Ardenne. Il tutto con grande lucidità e misura, doti sempre più rare nel ciclismo moderno.
Con Ulissi si è parlato a tutto tondo. Ne è nato un bel “a tu per tu” con un uomo che ha ancora molto da dire in questo ciclismo.
Diego, sei reduce dal Tour of Hellas: che impressioni ti ha lasciato?
Una bella corsa, con un buon livello di atleti e per me una novità assoluta. Ero curioso. Di solito in Grecia ci si va in vacanza! Dopo la pioggia della Coppi e Bartali pensavo: “Ora vado in Grecia e trovo il caldo…” e invece abbiamo trovato un freddo assurdo. Un giorno siamo stati anche sotto i 10 gradi, mentre vedevamo le gare nel resto d’Europa dove c’era il sole. Però dai, alla fine è andata bene. Si è fatto ritmo, è stata intensa, utile per la condizione.
Che tipo di tracciati hai trovato?
Tappe abbastanza varie. Alcune semplici, altre miste, una addirittura con più di 3.000 metri di dislivello. L’arrivo ad Atene è stato spettacolare, abbiamo corso anche lungo il mare. Peccato solo per il meteo come dicevo: pioggia nei primi giorni, tanto che una tappa è stata cancellata. Gli ultimi due giorni, per fortuna, sono stati più asciutti.
Che strade avete trovato: tortuose o meno? Con un fondo buono o brutto?
Direi strade tipiche del sud, simili a quelle del Sud Italia. Con la pioggia diventano un po’ più scivolose, quindi serve attenzione. Il fondo stradale non era sempre perfetto, quindi la corsa diventava un po’ più nervosa, con curve e saliscendi che richiedevano concentrazione continua. Di certo, non potevi rilassarti mai.
Hai notato uno stile di corsa particolare da quelle parti?
Oggi si corre più o meno allo stesso modo ovunque, però in Grecia mi è sembrata una corsa più aperta, meno controllata. Mi ha ricordato un po’ il livello dilettantistico di una volta, nel senso buono: attacchi da lontano, più spettacolo. Per noi comporta maggiore fatica sin dall’inizio, ma è anche più stimolante.
La corsa l’ha vinta il tuo compagno Harold Martin Lopez, tu hai chiuso terzo. Puoi raccontarcela brevemente?
Siamo partiti entrambi per fare classifica, l’obiettivo era raccogliere più punti possibili. Harold è in grande forma, va forte in salita e lo ha dimostrato anche al Catalunya e alla Milano-Torino. Nella prima tappa io ho perso tempo, 27″, per una caduta. In una gara di pochi giorni e non estrema è chiaro che ci si gioca tutto sui secondi. A quel punto ho lavorato per Lopez, ma nella penultima tappa ho fatto secondo, ed essendo rimasti in pochi ho recuperato in classifica. Alla fine è andata bene.
Peccato per quella tappa, di fatto lì hai perso la corsa…
Si, ci ho provato, ma ho speso un po’ troppo prima, come detto ho aiutato Lopez e ho preso aria, anche per recuperare in classifica generale. Alla fine ero un po’ cotto per fare la volata perfetta. Chi ha vinto era più fresco. In queste corse conta molto il piazzamento generale, quindi meglio un bel quinto che una tappa vinta e classifica lontana. Noi, come ripeto, dovevamo sì vincere ma ancor prima fare punti.
Passiamo a te Diego. Hai avuto un inizio stagione un po’ travagliato. Cos’era successo?
Già in Oman mi sono fermato per un virus: prima intestinale, poi febbre alta. Ho perso dieci giorni di allenamento in tutto. Visto che era febbraio e non c’era super fretta, ho preferito prendere qualche giorno in più per recuperare al meglio. Alla fine ho saltato alcune corse, ma ho ripreso con ordine. A Laigueglia non stavo bene. Alla Strade Bianche sono caduto, nulla di che… E alla Coppi e Bartali, prima corsa a tappe che facevo, ho fatto tanta, tanta fatica. Ma lo sapevo. Me lo aspettavo. Poi però in Grecia ho sentito subito di aver fatto dei passi avanti. Ed era quello che cercavamo con la squadra.
Sei uno dei veterani più rispettati in gruppo. Valoti ci diceva che i suoi ragazzi alla Coppi e Bartali la sera parlavano di te. Appena arrivato in XDS-Astana ti hanno consegnato “le chiavi” della squadra. Come vivi questo ruolo? E soprattutto: non è che ti fa sentire vecchio!
E’ senza dubbio così: sono vecchio, i numeri parlano! Scherzi a parte, sono contento che in squadra, e non solo, tanti ragazzi mi stimino. Quando hai una carriera lunga alle spalle e al tempo stesso hai ancora voglia di esserci, ti viene naturale voler chiudere al meglio. Di conseguenza immagino si diventi un esempio. In Astana cerco di dare il mio contributo, sia in termini di risultati che di supporto ai giovani.
Ti ascoltano anche in riunione?
Nelle riunioni parlano i direttori, io cerco di intervenire fuori, nei momenti di vita quotidiana. Sono più uno che prende da parte in corsa, a tavola, in camera. I più giovani mi cercano spesso, chiedono consigli e questo mi fa piacere. Quando sono passato io, avevo vicino corridori di 30-40 anni ed io ero davvero un bambino. Ho imparato tanto da loro e oggi provo a fare lo stesso.
Chi erano i tuoi punti di riferimento all’epoca?
Manuele Mori, Daniele Righi, Alessandro Spezialetti, Alessandro Petacchi. Io ero uno che parlava poco, cercavo di sbagliare il meno possibile. Ma gli errori ci stanno. Ho avuto anche grandi direttori sportivi, come Orlando Maini. Gente che ti formava. Ora mi trovo dall’altra parte, ma cerco di essere presente senza invadere. Quando i ragazzi ti cercano vuol dire che hai seminato bene.
Stai arrivando alle Ardenne con un percorso un po’ insolito: come ti senti?
Credo di arrivarci discretamente bene. L’idea iniziale era di crescere gradualmente, ma il virus ha un po’ modificato il piano. Però con Grecia e Coppi e Bartali ho messo nelle gambe buoni ritmi. Oggi non esistono più corse lente, anche le “puntoPro” sono piene di giovani forti, alcuni fanno la spola tra devo team e WorldTour, altri solo WorldTour, quindi il livello è alto ovunque. E questo ti fa arrivare pronto.
Avresti preferito un altro tipo di avvicinamento? Magari passare dai Paesi Baschi?
Era stato scelto questo calendario, anche per esigenze di punteggio. Avevo in programma Oman, poi alcune gare in Francia, ma ho dovuto saltare tutto. Come dicevo, sono rientrato a Laigueglia, dove non ero ancora al top, però alla Milano-Torino è andata bene e da lì abbiamo costruito questo percorso. Adesso l’obiettivo è arrivare bene alle Ardenne e soprattutto al Giro d’Italia: per la corsa rosa siamo davvero fiduciosi. Abbiamo un bel gruppo.
Qual è un obiettivo concreto per le Ardenne, Diego?
Intanto recuperare bene in questi giorni per metabolizzare il buon lavoro fatto e poi puntare forte sulla Freccia Vallone, che è una gara che mi piace. Il Muro d’Huy è speciale: lo sali piano, senti il tifo, senti quasi il profumo della gente. Sono sempre riuscito a fare bene, voglio provarci ancora. Alla Liegi sarà più difficile, ma l’obiettivo resta sempre lo stesso: essere davanti e fare più punti possibili.