Selva, diario dagli USA, parte 2ª: il test del velodromo olimpico

16.07.2025
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Avevamo lasciato Francesca Selva in partenza per il Wisconsin, dopo la serie di circuiti in Texas in cui aveva rotto il ghiaccio con il ciclismo americano. Ricordate il racconto dell’atleta padovana che quest’anno ha deciso di passare l’estate a correre negli USA? Qualche giorno fa ci ha mandato una foto dal velodromo olimpico di Los Angeles ed è stato chiaro che il suo diario americano andasse aggiornato. Per questo ci siamo sentiti nuovamente, tenendo conto del suo essere indietro di 9 ore, e il racconto ancora una volta è stato ricco di dettagli e adrenalina.

Era nei programmi di andare a girare in pista in California oppure è venuto fuori in corso d’opera?

In corso d’opera (sorride, ndr). La squadra per cui corro ha il mio stesso sponsor di bici, per cui ci siamo detti che se ci fosse stata l’opportunità, avrei potuto prendere una loro bici e usarla. Ho portato sella e manubrio per questo, però non era nei programmi. Diciamo che nel mio calendario c’era tutto e niente, avrei visto strada facendo. Ed è venuta fuori l’occasione di fare tre gare in pista.

Di che gare si tratta?

C’è un bel calendario, sono gare UCI classe 2 e io ne ho fatte tre. Mercoledì scorso, sabato e poi oggi. Ho sempre detto che stavo andando in America per correre, ma se posso vedere anche qualcosa di diverso, perché no? Diciamo che venire a Los Angeles è servito anche a questo. Poi visto che si tratta di un velodromo olimpico, ho accettato a maggior ragione.

C’è una bella partecipazione?

In realtà il livello è molto più alto di quanto mi aspettassi. C’è ad esempio anche Anita Stenberg, che è leader del ranking mondiale. E poi ci sono principalmente americane, messicane, colombiane. C’è anche qualche velocista tedesco, quindi il livello è alto e stanno venendo fuori dalle gare tirate. Io con la mia preparazione riesco a stare a galla, però tornare al chiuso dopo così tanti mesi, è stato sicuramente uno shock. L’ultima gara che ho fatto in pista è stata a Capodanno, però l’ultima fatta davvero prima di avere la miocardite è di ottobre. Erano nove mesi che non correvo in pista, sono andata una volta a girare con la nazionale prima di venir via, però in un giorno a fare quartetti non prendi quel che serve per correre.

Quindi?

Il primo giorno è stato abbastanza scioccante, anche perché secondo me la pista è molto veloce. Avevo solo un rapporto troppo agile, poi ne ho messo uno più duro, ma le mie gambe ovviamente non sono pronte per quel tipo di sforzo. Già il secondo giorno sono riuscita a stare un po’ meglio nella mischia. Ho fatto entrambe le volte scratch, corsa a punti e madison.

Si muore di caldo anche lì?

In realtà, secondo me, state peggio in Italia. Difficilmente in California ci sono più di 30 gradi, oggi ce ne sono 25. 

Ti avevamo lasciata in partenza dal Texas per il Wisconsin per andare a fare un criterium del Tour of America Dairyland, come è andata?

Devo farne un altro fra 10 giorni, un altro di questi cinque eventi più importanti. Ho visto tanta gente, tanto pubblico, tanta partecipazione. Anche perché, come vi ho scritto nei messaggi, c’è anche qualche ragazza WorldTour di qui che viene a fare un po’ di show. Non è detto che vincano, perché sono gare completamente diverse rispetto al normale ciclismo su strada, però il livello è superiore rispetto ai circuiti del Texas.

Sempre circuiti cittadini?

Il più corto era un circuito di 600 metri a giro, come fare una gara su pista, all’interno di un centro commerciale. Il più lungo era un chilometro e mezzo, ma purtroppo non piatto. Ogni tanto c’è anche qualche strappetto e quelli diventano veramente letali. Nell’ultima settimana di gare, il primo e l’ultimo giorno sono stati quelli per me più duri, perché gli strappi di solito li mettono dopo una curva a U o dopo una ripartenza. Per cui ci entri piano e poi devi fare lo strappo a blocco quasi da fermo. E quando inizi a farlo 30-40-50 volte, dopo un po’ si inizia a sentirlo.

I social mostrano una grande cornice di pubblico…

Sì, confermo, tantissima gente. Poi più vai verso il finale, diciamo negli ultimi giorni, più gente c’è a guardare. Sono dei veri e propri festival, si svolgono in cittadine belle vivaci. Quindi ci sono i ristoranti nei viali dove fanno le gare, oppure passi nei giardini della gente seduta fuori che ti guarda per tutto il giorno. Le gare iniziano la mattina e finiscono la sera, ci sono tutte le categorie. Sono degli eventi classici, si ripetono ogni anno. E poi ci sono tanti soldi come premi e quindi diventa molto avvincente da guardare perché c’è gente che si fa pezzi per vincere i traguardi volanti.

Quindi il sistema è sempre quello dei traguardi a premi annunciati di volta in volta?

Il traguardo volante è annunciato con la campana e quindi chiaramente se non sei nelle prime 3-4 posizioni, è quasi impossibile partecipare. Specialmente quando il giro è di 600 metri, con 4-5-6 curve, non hai proprio lo spazio fisico per avanzare. E comunque ci sono stati dei giorni in cui c’erano anche 1.600-2.000 dollari a traguardo volante. La cosa che rende le gare molto difficili e molto veloci è che magari hai 3-4 giri senza niente, poi per i 3-4 giri successivi fanno una volata per ogni passaggio, ma ti informano mentre stai già facendo la prima volata.

Sei riuscita a vincerne qualcuno?

Non ci ho neanche provato (sorride, ndr). Correndo da sola, è difficile. Avevo una compagna, ma perdeva le ruote e avevamo contro delle squadre organizzate, in cui c’erano corridori addetti a fare i traguardi volanti, senza preoccuparsi di altro. Spesso attaccano e fanno gioco di squadra. Una attacca, le altre fanno il buco e quindi chiaramente ci sono delle dinamiche per cui loro guadagnano più soldi di chi invece deve concentrarsi sulla volata finale. E se con la condizione che ho adesso, faccio un traguardo volante, cioè una volata massimale, non riesco neanche a vedere la volata finale.

Sul canale YouTube “Ride with Franci” ci sono i video delle gare complete con dati live e i ruzzoloni…
Sul canale YouTube “Ride with Franci” ci sono i video delle gare complete con dati live e i ruzzoloni…
Come ci si scalda per gare così frenetiche?

Alcuni hanno i rulli, ma io per motivi logistici non li ho portati. Nei giorni in cui sono vicino alla zona di gara, diciamo 15 chilometri, vado in bici. Altrimenti, se devo guidare per arrivare, come ora che sono ospite di una famiglia trovata dagli organizzatori, magari esco prima per fare una pedalata e poi prima di partire faccio una ventina di minuti con un paio di accelerazioni. Serve tenere caldo il motore, per questo faccio il riscaldamento tipo pista. Quindi una progressione che va da zona 1 fino a 300 watt e un paio di volate in progressione da seduta, proprio per accendere bene il motore. Perché tante volte questi benedetti traguardi volanti te li mettono anche al primo giro.

Si parte subito forte?

Un giorno sono arrivata tardi per il traffico e non ho fatto in tempo a scaldarmi. Così ho pensato di partire un po’ sfilata, di prendermi qualche giro per scaldarmi e respirare e poi sarei andata davanti. Non l’avessi mai fatto! Il circuito era pieno di curve e c’era gente che saltava dal primo giro, perché intanto mettevano tantissimi soldi a ogni passaggio e non c’era tempo per respirare. Ho fatto un’ora di gara a chiudere buchi cercando di guadagnare posizioni, è stato un incubo. Poi sono riuscito ad andare davanti e fare la volata, ma ci ho messo veramente tutta la gara per risalire.

Com’è vivere in una famiglia americana?

Le famiglie che mi hanno ospitato in tutto questo periodo sono composte da gente di ciclismo, persone appassionate per cui è difficile considerarli solo come americani. Voglio dire che la comunità del ciclismo è abbastanza universale. Quel che posso dire è che tutti tendono a essere disponibili per aiutarti, sia con il cibo sia con darti un passaggio e altre mille cose. Ho sempre trovato disponibilità, ma come dicevo sono persone che vengono dal mio stesso ambiente. Ho provato a fare domande su temi come l’Ucrain, Gaza, il confine con il Messico, perché anche da casa mi fanno spesso domande…

E che cosa hai capito?

Quando ero in Texas, uscivo per strada e non vedevo niente. La gente ne parla poco. Ho guardato i notiziari e sono tutti abbastanza tranquilli. E quando glielo chiedo, non si esprimono più di tanto. Forse è la distanza e vivono tutto di riflesso, non saprei.

Cosa ti pare degli americani?

In California sono tutti un po’ fricchettoni, se posso dire così. In spiaggia vedi l’immagine classica che avevo in mente anche prima di venire, di gente che cerca di sembrare giovane e va con lo skateboard a ritmo di musica. L’altro giorno ho visto una signora con il cane, poverino, tutto tinto di rosa con le macchie di leopardo. In Texas sono più normali, anche se nell’immaginario dovrebbero essere tutti pazzi. A parte che girano davvero con gli stivali e con i cappelli da cowboy e a parte che nei supermercati trovi le armi da fuoco. Per fortuna ho trovato persone cui appoggiarmi, che mi stanno permettendo di vivere l’America anche extra ciclismo. Sto girando posti diversi ed ho avuto il tempo per guardarmi un po’ attorno.

Il programma prevede oggi l’ultima gara in pista e poi?

Domani volo a Chicago e da venerdì fino alla domenica successiva corro per dieci giorni di fila nella Chicago Grit, con la “g” al posto della “c”. Poi torno a Dallas per due giorni e per fare l’ultima gara del mio capo, quella del martedì. Quindi torno in Italia per correre a Fiorenzuola, sperando che tanto girare mi dia anche un po’ di condizione e cercando di capire a quali gare partecipare. Ma a fine agosto probabilmente tornerò qui per partecipare alle ultime gare. Ma appena lo scopre mio padre, stavolta mi butta davvero fuori casa…

Vesco: sottotraccia cresce il futuro della MBH Bank-Ballan

16.07.2025
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Uno dei volti della MBH Bank-Ballan-Csb del futuro sarà quello di Leonardo Vesco, atleta brianzolo classe 2005. Anche lui arriva dal vivaio del Team Fratelli Giorgi e al suo secondo anno nella categoria under 23 sta cercando di capire quale sia la strada da seguire. La crescita, com’è giusto che sia, sta arrivando con passi giusti e determinati. Vesco ha già assaporato la vittoria, sia nella passata stagione che quest’anno. Due successi che hanno fatto capire a Gianluca Valoti e allo staff del team bergamasco di aver in mano un atleta che, se gestito bene, sarà una pedina importante nel passaggio a professional nel 2026

Leonardo Vesco, classe 2005, è al suo secondo con la MBH bank-Ballan-Csb (foto Jacopo Perani/think bold)
Leonardo Vesco, classe 2005, è al suo secondo con la MBH bank-Ballan-Csb (foto Jacopo Perani/think bold)

In cerca di conferme

Come ci aveva già anticipato Antonio Bevilacqua l’obiettivo della MBH Bank-Ballan-Csb sarà quello di valorizzare i ragazzi cresciuti in questi anni e di fare in modo che abbiano un confronto costante con i professionisti. Mentre i corridori che ancora rientrano nella categoria under 23 potranno crescere e maturare correndo con i pari età. Leonardo Vesco si colloca perfettamente tra i ragazzi con davanti ancora un ampio margine di miglioramento.

«Nel mese di giugno ho corso un bel Giro di Campania – ci racconta – e ho disputato la mia prima gara della stagione tra i professionisti, il Giro dell’Appennino. L’anno scorso avevo chiuso il calendario con la Coppa Agostoni assaggiando già il mondo dei grandi. Ora sono in un periodo di stacco prima di rimettere il numero sulla schiena ad agosto, quando correrò nelle gare internazionali under 23. Ce ne sono parecchie: Capodarco, Poggiana, Giro del Veneto, Giro del Friuli: voglio farmi trovare pronto».

Vesco in queste due stagioni sta crescendo e facendo i passi giusti verso la maturazione fisica e mentale (foto Jacopo Perani/think bold)
Vesco in queste due stagioni sta crescendo e facendo i passi giusti verso la maturazione fisica e mentale (foto Jacopo Perani/think bold)
Nessuna corsa a tappe nella prima parte dell’anno, come mai?

E’ una scelta presa fin dall’inverno con il team, il Giro Next Gen e il Giro della Valle d’Aosta sono gare impegnative che in futuro vorrei inserire nel mio calendario, ma è giusto fare certi passi in maniera graduale. 

Valoti ha speso belle parole nei tuoi confronti, la squadra crede molto in te…

Vero, è una cosa che mi fa molto piacere. A me tocca cercare di ottenere sempre il massimo in ogni gara. Sono contento di aver vinto una tappa al Giro della Campania ed è stata una bella risposta al lavoro fatto. La squadra ha un piano per farmi crescere e questo mi dà tanta fiducia. Poi vedremo, il futuro ci darà le risposte. 

Vesco ha già dimostrato di saper vincere, l’ultima volta è stato al Giro di Campania (foto Jacopo Perani/think bold)
Vesco ha già dimostrato di saper vincere, l’ultima volta è stato al Giro di Campania (foto Jacopo Perani/think bold)
Quali sono gli aspetti sui quali ancora devi scoprirti?

Le salite lunghe, non avendo ancora fatto corse a tappe come il Giro Next Gen o il Valle d’Aosta. Mi piacerebbe fare queste gare per capire se sono un corridore da Classiche o da Grandi Giri. 

Ti è dispiaciuto non fare queste gare?

Con la MBH Bank-Ballan ho sempre avuto modo di fare belle gare. L’anno scorso ho corso in Belgio prima alla Youngster e poi alla Liegi U23. Mentre quest’anno, in Francia, ho preso parte al Tour de Bretagne. Soprattutto quest’ultima è un’esperienza che mi è servita molto, infatti una volta tornato ho raccolto due vittorie. 

Gianluca Valoti e la MBH Bank contano molto sul talento del giovane brianzolo (foto Jacopo Perani/think bold)
Gianluca Valoti e la MBH Bank contano molto sul talento del giovane brianzolo (foto Jacopo Perani/think bold)
Queste esperienze internazionali, Belgio e Francia, cosa ti hanno lasciato?

E’ tutto un altro modo di correre, dove i ritmi sono più alti. Capisci davvero cosa si intende quando ti dicono che è importante rimanere sempre nelle prime posizioni. Su quelle strade la corsa può cambiare da un momento all’altro, bisogna stare sempre attenti.

Sogni di diventare un corridore da Classiche o da lunghe salite? 

Voglio prima di tutto scoprirmi, adesso non sogno. Sogno di diventare professionista, questo sì. Al momento mi sento forte negli arrivi impegnativi e in volate molto ristrette, con quattro o cinque avversari. Poi vedremo con il passare degli anni come mi svilupperò.

Milan e Merlier: il confronto tecnico con Silvio Martinello

16.07.2025
6 min
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Il Tour de France riparte oggi da Tolosa con un probabile arrivo allo sprint ed è lecito pensare che ci sarà di nuovo una sfida fra Tim Merlier e il nostro Jonathan Milan. Una sfida che è anche tecnica. E quando si parla di tecnica e volate, quale miglior interlocutore di Silvio Martinello?

L’ex sprinter (e pistard) veneto fa un’analisi dettagliata dei due: rapporti, caratteristiche fisiche, tecnica. Ma alla base c’è una differenza chiave. Milan ha più margine di crescita rispetto a Merlier e questo, in ottica futura, fa ben sperare.

Classe 1963, Silvio Martinello, è stato un pistard e professionista su strada per 15 stagioni
Classe 1963, Silvio Martinello, è stato un pistard e professionista su strada per 15 stagioni
Silvio, iniziamo questo parallelismo fra Milan e Merlier, che sembra un po’ la bestia nera di Jonathan…

La bestia nera… direi piuttosto che è un velocista con caratteristiche diverse. Tim è il classico velocista che non vorresti mai avere a ruota, perché ha quella capacità di saltarti negli ultimi metri, quel cambio di ritmo micidiale che spesso è letale. Milan è migliorato molto, soprattutto nella capacità di farsi trovare nel posto giusto al momento giusto. Ve lo ricordate al Giro d’Italia 2023 quando vinse una tappa, ma poi ne buttò via tante perché era fuori posizione?

Sì, vero…

Rimontava sempre, ma se sei fuori posizione quando è il momento di lanciare lo sprint, perdi. Per quanto tu possa essere forte, qualcuno ti arriva davanti. Ecco, su questo Milan è cresciuto molto. Anche la tappa che ha vinto, l’ha vinta praticamente senza squadra. E’ stato lui a muoversi bene negli ultimi metri, capendo e leggendo perfettamente la situazione.

Come dici te, ha stupito per le posizioni, ma anche per le tempistiche…

Sì, posizione e tempismo. E’ migliorato tanto ed era il suo tallone d’Achille. Le sue qualità non si discutono: il motore c’è, è potentissimo. E’ il classico velocista che avrebbe bisogno di un treno votato solo a portarlo agli ultimi 200 metri, cosa che oggi si fa meno. Jonathan si sta adattando bene, ma poi ci sono anche gli avversari.

Cioè?

Gli sprint non sono corsie fisse: vince chi è più veloce, ma anche chi ha la miglior posizione e chi sceglie il momento giusto. Da questo punto di vista Merlier, come dicevo, è uno che nessuno vuole a ruota. Con Philipsen tagliato fuori dai giochi, i tre sprinter di riferimento erano loro, e infatti sono gli unici ad aver vinto finora in questo Tour. E credo che saranno ancora loro due a giocarsi le prossime tappe, salvo sorprese che nelle volate ci stanno sempre.

Milan e Merlier: si nota la differenza delle spalle e della testa soprattutto. Jonny rivolge lo sguardo del tutto in avanti (foto Instagram)
Milan e Merlier: si nota la differenza delle spalle e della testa soprattutto. Jonny rivolge lo sguardo del tutto in avanti (foto Instagram)
Da un punto di vista stilistico, cosa ci dici?

Questa continua ad essere una pecca per Milan: ondeggia troppo, muove le spalle, e questo non lo aiuta. Se un giorno riuscisse a correggersi – cosa complicata alla sua età, l’ho già detto in passato difficile che un pro’ cambi troppo – può migliorare. Ma nel ciclismo nessuno è imbattibile. Se dovesse riuscire a correggersi, a quel punto batterlo in volata diventerebbe durissima.

Perché guadagnerebbe aerodinamica abbassandosi con le spalle?

Certo. A quelle velocità, sopra i 70 all’ora, la posizione fa la differenza. Lui è molto alto e non mette mai la testa sotto le spalle: guarda avanti, punta l’arrivo. Ha però un motore eccezionale che non si discute.

E Merlier?

Anche lui, ma di certo è più composto. E’ alto, ma sta più schiacciato. Il sedere è più basso o in linea con le spalle, e questo migliora l’aerodinamica. Forse quella è la piccola differenza decisiva.

A Chateauroux si è notata una differenza anche nei rapporti: Milan aveva il 54×10, Merlier un 56×11…

Di certo Jonathan non ha tirato il 10, altrimenti sarebbe stato più duro, mentre era più agile di Tim. Si vedeva. Merlier è stato abilissimo anche a scegliere il momento giusto: sono partiti quasi insieme, ma lui lo ha leggermente anticipato, spingendo il rapporto più pesante. Attenzione però, siamo sicuri che Milan sia più agile?

Spiegaci meglio…

Milan magari aveva un 54×11 che è più agile del 56×11 di Merlier, ma la differenza è minima: roba di pochi centimetri. Secondo me è quel modo di pedalare che lo fa apparire più agile di quel che è realmente, il che è paradossale visto il fisico. Uno come Jonathan non dovrebbe avere problemi a spingere rapportoni. Credo sia una questione di stile personale, ma anche di esperienza.

Un’esperienza?

Milan è al suo primo Tour. Io ho fatto la mia ultima Grande Boucle nel 1999, sono passati 26 anni e magari le cose sono cambiate, ma ho sempre trovato che le mischie al Tour siano più complesse di quelle del Giro. C’è più tensione, più concorrenza. Milan sta facendo molto bene, ha anche focalizzato la maglia verde che è un obiettivo importante. Tra l’altro secondo me, questo obiettivo gli sta togliendo un po’ di brillantezza.

Perché?

La differenza di punti ai traguardi intermedi è minima, ma solo Milan sprinta con quella determinazione per la maglia verde. Gli altri pensano più all’arrivo finale. Questa è una differenza anche nervosa, non solo di energia. Per questo dico che Jonathan ha bisogno di imparare. E’ giovane, ha margini e queste esperienze lo aiuteranno di sicuro. Poi è anche vero che se punti a quella classifica i traguardi volanti sono determinanti.

Silvio, si è notato che hanno modificato l’ordine del treno. Simone Consonni non è più l’ultimo uomo..

Vero, lo avevo notato subito. Simone forse non è brillantissimo in questo momento e credo che abbiano scelto di cambiare proprio per questo motivo. Al Tour devi raccogliere risultati. Meglio invertire i ruoli con Stuyven, ma ripeto: Milan si muove bene anche da solo. Merlier, invece, sta facendo molto da solo, più del solito.

L’arrivo al photofinish di Dunkerque fra Merlier e Milan al colpo di reni. I due sono davvero vicini e non solo in questa occasione (immagine fornita da Tissot)
L’arrivo al photofinish di Dunkerque fra Merlier e Milan al colpo di reni. I due sono davvero vicini e non solo in questa occasione (immagine fornita da Tissot)
Altre piccole differenze che hai notato?

Sono due velocisti diversi, ma fortissimi. A me Merlier piace molto, da sempre. Ha un atteggiamento umile, e per un velocista non è scontato, spesso hanno personalità più informali, fuori dalle righe. Non lo conosco di persona, ma da come parla e si muove mi sembra uno concreto, educato. Mentre tecnicamente non dimentichiamoci che Merlier viene dal ciclocross: certe abilità di guida se le è portate dietro.

Sono entrambi da volata lunga?

Sì, ma più Milan. Merlier se lo hai a ruota ti salta nove volte su dieci. Al tempo stesso, se serve, prende anche l’iniziativa. Anche per questo, nella mia personale classifica di gradimento degli sprinter oggi, Merlier è davanti a tutti.

Anche a Philipsen?

Sì, anche a Jasper Philipsen. Philipsen ha caratteristiche simili a Milan e Pedersen, un altro grande sprinter.

Ecco, per un treno super Pedersen potrebbe fare da apripista a Milan? E anche viceversa?

Il contrario (Milan che tira per Pedersen) lo vedo difficile. Pedersen potrebbe fare da ultimo uomo, ma mi chiedo se accadrà. Van der Poel fa l’apripista a Philipsen e Groves, ma lui non fa volate di gruppo. Pedersen invece sì e le vince Non è un caso che abbiano programmi separati.

Silvio, con la tua esperienza: a chi paragoneresti Milan e Merlier tra i velocisti del passato?

E’ facile. Per caratteristiche fisiche e tecniche, Milan lo avvicino a Cipollini o Petacchi, magari con un treno tutto per lui. Merlier invece mi ricorda Danny Nelissen: il classico velocista belga o comunque del Nord cresciuto nelle mischie, con abilità innate nel muoversi da solo. E, nel suo caso, sfruttando anche ciò che ha imparato dal cross.

Amici mai, anzi Pogacar inizia a innervosirsi. Cosa fa la Visma?

15.07.2025
5 min
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La tattica della Visma-Lease a Bike ha dell’inspiegabile o forse no? Gli attacchi di Jorgenson visti ieri sono il massimo che sono capaci di fare o c’è dell’altro? Forse per replicare quanto di buono furono capaci di fare nel Tour del 2023 e ancor meglio in quello del 2022, gli uomini della squadra olandese si sono messi in testa di tenere Pogacar sotto pressione. Anche nel 2022 sembrava che lo sloveno, vincitore dei due Tour precedenti, fosse inattaccabile. Invece nel giorno del Granon, complice la tenaglia messa in atto fra Roglic e Vingegaard, la maglia gialla perse colore e lo sloveno andò a fondo.

Il Pogacar 2025 è un altro corridore. Ha preso tutte le contromisure del caso per fronteggiare la disidratazione. Ha un’altra solidità atletica. E quando accelera, il solo che gli resta dietro è proprio Vingegaard e non proprio agevolmente. Fra i due non c’è grande simpatia, forse è il contrario, ma appaiono il prodotto di preparazioni sopraffine e irraggiungibili per il resto del gruppo.

La Visma-Lease a Bike ha fatto il forcing sulla salita finale di ieri con Kuss, isolando Pogacar
La Visma-Lease a Bike ha fatto il forcing sulla salita finale di ieri con Kuss, isolando Pogacar

Dubbio Visma

Ieri la squadra olandese ha preso seriamente in mano la corsa e ha isolato il campione del mondo. Ha fatto di tutto, in apparenza, perché non perdesse la maglia gialla, ma Tadej in questo è stato bravissimo e l’ha lasciata andare. E quando ha accelerato, usando la Colnago Y1Rs, vale a dire la bici aerodinamica, la sensazione è che ne avesse ancora più di tutti. Ma non abbastanza per staccare Vingegaard.

«E’ vero che non abbiamo guadagnato tempo su Pogacar – ha detto Campenaerts, tra i più attivi nel fare il forcing con Kuss e Jorgenson – ma ci abbiamo riprovato. Come facciamo ogni giorno. Questa è la cosa più importante. Se arriveremo a Parigi senza aver vinto il Tour, almeno potremo dire di averci provato in tutti i modi possibili. Non dovremo avere rimpianti. E poi non credo che non serva a niente. Tadej sta diventando incredibilmente nervoso per il nostro approccio fuori dagli schemi nel mettere pressione alla sua squadra. Dobbiamo essere onesti e dire che ad ora è il più forte, ma noi continueremo a spingerlo al limite».

Si spiegano così la tattica e quella domanda che tutti ci siamo posti: a cosa serve tanto accelerare se Vingegaard nemmeno prova ad attaccare? Se hanno ragione loro, serve a tenere Pogacar sulla corda per ogni santo giorno del Tour. Ieri lo hanno isolato. Senza Almeida, con Sivakov malconcio e Adam Yates ancora da capire, i Pirenei potrebbero essere un interessante banco di prova.

Le risposte di Pogacar a Jorgenson fanno capire che lo sloveno vede due rivali nella Visma
Le risposte di Pogacar a Jorgenson fanno capire che lo sloveno vede due rivali nella Visma

La sfrontatezza del re

Lui, il re del Tour che ha ceduto il mantello giallo al furetto Healy, fa di tutto per sviare le tensioni. Si mostra divertito e leggero come uno che ancora nemmeno ha dovuto spremersi più di tanto e la sensazione è che sia vero.

«Stamattina abbiamo fatto una bella pedalata – ha detto commentando il giorno di riposo – e bevuto un buon caffè. Poi abbiamo pranzato con un hamburger e ora è il momento di fare un pisolino e un massaggio, poi andremo cena e sarà quasi ora di ripartire. E’ stato un giorno di riposo abbastanza veloce dopo nove tappe davvero frenetiche. In qualche modo ero contento che ieri ci fosse salita, così i ritmi si sono rallentati. Sono felice che siamo sopravvissuti e che stiano arrivando finalmente le montagne.

«Ci sarà meno stress. E’ stata una settimana davvero buona – ha proseguito – tranne per il fatto che abbiamo perso Almeida e quella è l’unica grande sconfitta. Negli ultimi due giorni in cui ha corso, Joao ha dimostrato un vero spirito da guerriero, non riesco a immaginare di correre con una costola rotta. Però mi dispiace che abbia dovuto andarsene, perché avevamo un gruppo davvero bello e anche lui non vedeva l’ora che arrivassero le prossime due settimane per difendere la maglia gialla. Ci aspettano tre giornate di salita davvero belle, in una settimana che, con il riposo di martedì, sarà più breve di un giorno. Penso che questa settimana possa essere già piuttosto decisiva, vedremo alcuni grandi distacchi, anche nella crono di Peyragudes. Il livello è altissimo, ma credo che le salite metteranno ordine».

Quando Pogacar si è stancato di rispondere a tuti, al suo scatto ha reagito solo Vingegaard
Quando Pogacar si è stancato di rispondere a tuti, al suo scatto ha reagito solo Vingegaard

Un Tour allo sfinimento

Il livello è davvero alto, ma sbalordisce quello del UAE Team Emirates e della Visma-Lease a Bike, che con Jorgenson tiene in apprensione Pogacar, per il suo distacco ancora minimo. Le altre squadre dietro vengono ridicolizzate da una superiorità che non ammette replica. Lo stesso Evenepoel, che probabilmente concluderà ancora una volta al terzo posto, appare lontano dai livelli di quei due che corrono in una lega a parte.

Non si può ancora parlare di Tour concluso, perché nella tattica asfissiante della Visma si riconosce uno schema preciso e non è detto che Pogacar sarà sempre in grado di avere l’ultima parola.  «Il nostro obiettivo – ha ribadito il general manager olandese Richard Plugge – è combattere ogni singolo giorno. Continuare a usare la mazza, rendendo le tappe difficili e continuando ad andare avanti».

Di sicuro si respira la volontà di non subire la corsa, ma di farla. E in questo contesto risulterà ancora una volta decisiva la seconda settimana. Se per decidere il Giro d’Italia c’è stato bisogno dell’ultima tappa di montagna, il Tour si decide da tempo nella settimana centrale. Chi fa prima il vuoto, riesce a difenderlo fino a Parigi. Vingegaard calerà la maschera e andrà all’attacco oppure si rassegnerà a reggere nuovamente lo strascico del re?

Altura e allenamenti al caldo, come è cambiata la preparazione?

15.07.2025
4 min
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Gli allenamenti al caldo e adattare il corpo a sostenere le alte temperature hanno effetti benefici sulla performance. Si parla di heat training. Fare preparazione in altura non è più sufficiente, perché all’allenamento in quota ora si abbina un periodo di training/adattamento al caldo (inteso come caldo esterno e calore prodotto dall’individuo), dove si cerca di interpretare le reazioni del corpo quando è messo sotto stress.

Una nuova frontiera (ormai sdoganata in ambito pro’) è l’heat training e la sua valutazione tramite il sensore Core, i dati forniti durante l’allenamento e la conseguente valutazione soggettiva, atleta per atleta. Cerchiamo di approfondire l’argomento.

Dopo la batosta della salita del Granon, Tour 2023, Pogacar usa costantemente il sensore Core
Dopo la batosta della salita del Granon, Tour 2023, Pogacar usa costantemente il sensore Core

Ottimizzare la preparazione per il lungo periodo

Uno studio recente mostra che buona parte dei benefici ottenuti grazie alla preparazione in altura vanno a scemare nel corso delle 3 o 4 settimane successive. Però, gli stessi benefici dell’allenamento in quota possono essere sfruttati per un periodo dilatato nel tempo a patto che si inserisca un blocco di heat training, con relativo adattamento al caldo. Quali sono i benefici primari? Su tutti, viene mantenuto un elevato tasso di emoglobina ed in alcuni casi c’è un ulteriore aumento di quest’ultimo. Il corpo si adatta ad un lavoro a temperature elevate.

La preparazione in quota aiuta/agevola/favorisce l’aumento della massa emoglobinica, beneficio che scompare rapidamente quando si torna a livello del mare. Lo studio condotto Medicine&Science in Sports&Excercise ha dimostrato che, l’inserimento di tre sessioni settimanali di heat training (nel corso delle tre settimane e mezzo successive al ritiro in quota) ha effetti benefici sulla capacità dell’atleta di mantenere un alto tasso di emoglobina. Per entrare ancora di più nel dettaglio abbiamo chiesto al dottor Tobias Schmid, Product Manager di Core.

Il dottor Tobias Schmid di Core (foto Core)
Il dottor Tobias Schmid di Core (foto Core)
Tobias, esiste un range medio di temperatura utilizzato per l’heat training?

Se parliamo di ambiente non esiste un range ottimale di temperatura, perché il corpo si può adattare anche a temperature estreme. La preparazione eseguita al caldo è parte di un percorso di adattamento. Si stimola il corpo ad eliminare il calore eccessivo che dipende da molteplici fattori ambientali, come ad esempio l’irradiazione solare, la velocità del vento, umidità e la stessa temperatura esterna.

Il sensore rileva due valori: la temperatura interna al corpo e quella cutanea
Il sensore rileva due valori: la temperatura interna al corpo e quella cutanea
Quale è la temperatura interna che un atleta può raggiungere durante lo sforzo fisico?

La temperatura interna del corpo può variare notevolmente, in base all’intensità dello sforzo e alle condizioni ambientali. Le temperature “normali” che possiamo vedere durante una prestazione atletica, durante una preparazione o allenamento, sono comprese tra i 38 e 39,5°C. Un atleta professionista può arrivare anche a 41,5°C, cifra che abbiamo documentato durante i Mondiali di Doha nel 2016.

Esiste una soglia individuale/soggettiva, diversa da atleta ad atleta?

Esiste ed è quel punto in cui la performance inizia a calare. Può cambiare da un atleta all’altro, è fortemente influenzata dai fattori ambientali e dalla temperatura cutanea misurata con il sensore Core. Questa soglia può essere modificata con la preparazione al caldo ed allenamenti mirati. Il miglioramento è quantificabile anche solo dopo 10 giorni.

Pidcock ed il Team Q36.5 sono supportati ufficialmente da Core
Pidcock ed il Team Q36.5 sono supportati ufficialmente da Core
Quindi l’adattamento al caldo è differente tra un corridore ed un altro?

Sì, allenarsi al caldo e sfruttarne i benefici è un processo individuale, perché le risposte fisiologiche sono diverse. Le risposte del fisico sono differenti, così come gli adattamenti, di conseguenza tutto quello che riguarda la preparazione heat training deve essere cucita addosso alle caratteristiche di ogni singolo atleta.

Il velocista manca e Cimolai diventa regista

15.07.2025
5 min
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A Livigno è tornato il sole. Qualche giorno fa la temperatura è crollata di colpo e ha persino nevicato, un abbassamento di temperatura che Cimolai non ricorda di aver mai visto a luglio. Poi per un paio di giorni è tornato il sole, ma l’aria è rimasta fredda. Soltanto da giovedì, giorno in cui sua figlia Nina compiva due anni, l’estate è tornata e gli allenamenti sono ripresi nel modo giusto.

“Cimo” è nel mezzo della seconda stagione con il Movistar Team: un anno che lo ha visto cambiare radicalmente attitudine e ruolo. Dopo i due alla Cofidis, aveva deciso di smettere e soltanto l’offerta spagnola lo aveva rimesso in sella con il sorriso e la voglia. Sarebbe stato l’ultimo uomo di Gaviria, ma il colombiano ha faticato e ancora fatica a ritrovare la via del successo. L’ultima volta fu quasi per scherzo nella prima tappa del Tour Colombia 2024 e questo, assieme a vari contrattempi di salute, ha costretto Davide a rivedere il suo ruolo.

Il tanto lavoro con Fernando non c’è stato, come mai?

Un po’ perché fatica a fidarsi. Io ho fatto la mia parte e al Giro dello scorso anno l’ho fatta anche bene. Quelli che mi erano ruota hanno sempre vinto, peccato che non ci fosse lui. Quest’anno abbiamo fatto insieme il UAE Tour e la prima parte di stagione, poi ci siamo ammalati entrambi a maggio e non siamo riusciti ad avere continuità. E siccome nessuno dei due è mai stato al 100 per cento, ci siamo messi a tirare le volate ai compagni più in forma. Finché lui è caduto, si è rotto la clavicola e non ha recuperato in tempo per il Giro. E alla fine ho dovuto saltarlo anche io per un problema al braccio.

Gaviria sarebbe dovuto tornare per il Tour…

Si aspettavano delle conferme nelle gare prima, che evidentemente non sono arrivate. Almeno penso sia stato per questo che alla fine non lo abbiano convocato. Non ho seguito tanto, perché non avendo lui da aiutare, ho cambiato ruolo

In che senso?

Sto correndo un po’ da regista, tenendo davanti gli scalatori nei momenti giusti. Sono contento di quanto abbiamo fatto al Romandia, con la top 10 di Javier Romo. Al UAE Tour con i ventagli e tutto il resto, ne abbiamo messi due nei primi 10, con Romeo quarto e Castrillo settimo. L’ultima gara che ho fatto è stata la Quattro Giorni di Dunkerque e Carlos Canal ha conquistato il terzo posto finale. Perciò sono soddisfatto. Dopo, sapete, non essendo più un vincente, so bene che per il rinnovo del contratto devo aspettare.

La partecipazione al tricolore ha preceduto la salita a Livigno per completare in altura la preparazione
La partecipazione al tricolore ha preceduto la salita a Livigno per completare in altura la preparazione
Quindi l’idea è di continuare?

Il mio sogno sarebbe di fare l’ultimo anno ad alto livello e poi smettere. Ma vediamo se si trova l’accordo con la squadra.

Però il fatto di non essere vincente va interpretato, perché quando hai avuto spazio, i tuoi piazzamenti in volata li hai sempre fatti e nelle squadre si va sempre più in cerca di punti…

Infatti. L’anno scorso comunque i miei 300 punti li ho portati a casa. Quest’anno mi hanno chiesto un ruolo diverso e l’ho accettato perché so riconoscere i miei limiti. Per cui ora aspetto e cerco di meritarmi la conferma.

Se l’idea è andare avanti, l’umore è senz’altro migliore rispetto a quello di fine 2023?

Sono un’altra persona, ci mancherebbe. Venire in questa squadra è stato importante anche dal punto di vista del morale. Lo staff mi ha accolto in maniera totalmente differente, c’è un altro spirito.

Proprio a Livigno, il 10 luglio, Davide, Alessia e Mia hanno festeggiato il secondo compleanno di Nina (immagine Instagram)
Proprio a Livigno, il 10 luglio, Davide, Alessia e Mia hanno festeggiato il secondo compleanno di Nina (immagine Instagram)
C’è da rimboccarsi le maniche, questo è chiaro. Cosa ti aspetti?

Sono qua mentalizzato per farmi trovare pronto in qualsiasi corsa. Non avendo più l’obiettivo della Vuelta o grandissimi obiettivi sino a fine anno, il principale obiettivo è essere in condizione e mettersi a disposizione della squadra.

Avevamo capito che la Vuelta fosse ancora sul tavolo…

Difficile, è una squadra spagnola. Per andarci bisogna andare fortissimo nelle corse prima. L’obiettivo è quello, però il gruppo della Vuelta c’è già. Sono in altura e seguirà il suo programma. Però c’è sempre quel paio di posti liberi che lasciano a chi in quel periodo andasse fortissimo. Per cui, mai dire mai, però credo sia molto difficile. Ho il mio programma. Farò Vallonia, Polonia e Giro di Germania. Da qui a fine stagione, correrò tanto. Vedremo che cosa saremo in grado di tirare fuori.

Inizio Tour “old style”? Podenzana racconta e spiega

15.07.2025
7 min
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Tutto al Nord, con tappe tendenzialmente veloci. E se in certe occasioni non ci fossero stati fenomeni come Van der Poel e Pogacar, avremmo visto anche più di sprint di gruppo. Parliamo dell’inizio del Tour de France, un inizio “old style”, come quelli che si vedevano negli anni ’90, quando uno dei protagonisti in gruppo era Massimo Podenzana.

Quante volte lo abbiamo visto, assieme al resto della Mercatone Uno, tirare in quei piattoni immensi per riportare dentro Marco Pantani. Il Panta magari era rimasto attardato per una caduta, una foratura o perché non aveva preso un ventaglio. Erano percorsi diversi, ma certe situazioni restano molto simili. In questa edizione del Tour ancora di più. Ormai è vietato stare oltre la quindicesima posizione. Lo abbiamo visto due giorni fa quando sono caduti Almeida e Buitrago e in gruppo erano rimasti in trenta o poco più.

Massimo Podenzana (classe 1961) è direttore sportivo della Novo Nordisk dal 2013
Podenzana (classe 1961) è direttore sportivo della Novo Nordisk dal 2013
Massimo, prime dieci tappe al Nord, qualche strappo ma tutte veloci…

Sì, anche se sono frazioni un po’ diverse rispetto a prima quando erano molto più piatte. Quando si faceva noi il Tour, nei primi dieci giorni si arrivava sempre in volata o al massimo arrivava una fuga. La cosa che invece era ed è simile è che era difficile rimanere in piedi in quelle tappe. O comunque senza incidenti. Se ci riuscivi, avevi già vinto. Almeno per noi era così, visto che con il Panta si cercava di fare classifica. Aggiungo però che a livello televisivo ora è più bello.

Perché?

Perché ci sono frazioni movimentate, intense… anche se molto nervose.

C’è più caos adesso negli sprint di gruppo? Una volta c’erano squadre di sprinter e squadre di uomini di classifica. Oggi si vedono quasi più i treni degli uomini di classifica che quelli dei velocisti, che al massimo hanno un paio di uomini…

Una volta magari c’era un po’ più spazio per le fughe. Adesso, quando ci sono tappe per velocisti, controllano le squadre dei velocisti; nelle tappe miste controllano quelli di classifica, quindi è più difficile fare differenze. La corsa è chiusa (un po’ come diceva De Marchi, ndr). Non solo, ma quando si arriva in volata tutti cercano lo sprint, sono in tanti, e viene fuori un vero caos. Si verificano un sacco di cadute, come abbiamo già visto.

Come se la cavava la Mercatone Uno in questi sprint?

A noi non ci riguardava. Eravamo compatti e concentrati sul nostro obiettivo: arrivare all’ultimo chilometro e poi sfilarci. Adesso il limite è ai tre chilometri. Si cercava di tenere il leader nelle posizioni di testa. Però secondo me le velocità sono alte anche ora. Con la mia squadra abbiamo fatto recentemente il Baloise Belgium Tour e, quando si arrivava in volata, sul tachimetro della macchina vedevi velocità da far paura.

Voi, Massimo, facevate una gran fatica perché ogni volta, come hai detto prima, c’era una caduta, un buco, un ventaglio… e stai tranquillo che c’era dentro Marco. E voi giù dentro a menare..

Vero – sorride Podenzana – il nostro obiettivo era arrivare a metà Tour, quindi a ridosso delle salite, senza cadute. Poi ci pensava lui.

Oggi è tutto diverso e capita spesso che uno sprinter forte come Merlier si metta a disposizione del leader per la generale
Oggi è tutto diverso e capita spesso che uno sprinter forte come Merlier si metta a disposizione del leader per la generale
Quando dovevate tirare e mettervi “pancia a terra” in mezzo a quelle tappe caotiche, c’era un regista? Un road capitain?

Sì, ma dipendeva dalla tappa. Ogni giorno era diverso: chi stava meglio tirava di più, l’altro di meno.

Soudal‑Quick Step: c’è una piccola analogia tra loro e la vostra Mercatone Uno? Hanno l’uomo di classifica e lo sprinter. Merlier e Remco come Manzoni e Pantani.

Loro per Merlier sfruttano molto il lavoro degli altri. Noi eravamo tutti per Marco. Manzoni se la cavava da solo. Merlier oggi è più forte che in passato: al Baloise è arrivato in volata e non c’era storia. Milan è forte, però non mi sembra al top come prima. Inoltre tende a posizionarsi un po’ alto nello sprint: si alza con spalle e testa e prende aria. Però le sue qualità non si mettono in dubbio.

Rispetto al tuo ciclismo cosa è cambiato pensando sempre alle prime tappe di questo Tour, ma dei grandi Giri in generale?

Molte cose sono uguali, ma qui c’è un corridore di un altro pianeta che va a prendersi tappe che un tempo gli uomini di classifica avrebbero lasciato. Pogacar l’ha già dimostrato anche in questo Tour. E a cronometro ha perso pochissimo da uno specialista. Vingegaard, invece, dopo l’incidente, non è tornato quello di prima. Ha lavorato molto, però secondo me non è più il vincitore sicuro di Tour.

Se paragoni Pogacar a un capitano dei tuoi tempi chi ti viene in mente?

Secondo me il Panta in salita aveva qualcosa in più, però Pogacar a cronometro è più forte e in generale è più completo. Marco al massimo nelle cronometro si difendeva, come per esempio, le seconde crono di un grande Giro, che erano più per chi aveva ancora energie piuttosto che di prestazione assoluta.

Sempre secondo Podenzana, un tempo la corsa era più lineare e c’era una squadra (o poche altre) che controllavano
Sempre secondo Podenzana, un tempo la corsa era più lineare e c’era una squadra (o poche altre) che controllavano
Massimo tu sei stato un corridore e sei un direttore sportivo. Come si lavora in queste situazioni quando devi tenere l’uomo davanti?

Secondo me il lavoro è uguale, con l’aggravante che ora c’è più stress. Prima non c’erano tutte queste squadre attrezzate come oggi. Prendiamo la tappa di Rouen: per prendere l’ultima salita, tutti erano davanti. Anche squadre come la Groupama-FDJ. Sì, Gregoire è forte, ma una volta squadre così non avrebbero tirato così costantemente e probabilmente uno come lui non sarebbe stato lì. Adesso, con le rotonde, gli spartitraffico… altro che stress.

Ti piaceva avere indicazioni o preferivi non averne?

No, era diverso senza radio. Si viveva più la giornata. Adesso quando partecipi a una corsa sai già tutto: finale, rotonde, curve… Ma oggi le radioline servono. Al campionato italiano ci dicevano di avvertire i corridori per un problema: ma senza radio come facevi?

Come studiavate la tappa?

Si studiava il libro gara, cercando di capire gli ultimi due–tre chilometri. Non veniva segnalato tutto come adesso.

C’era un road captain?

Sì, ma variava a seconda della tappa, di chi stava meglio. C’ero io, c’erano Conti, Fontanelli, Zaina, Velo… dipendeva dai momenti della gara.

Quali squadre vedi lavorare bene oggi?

La UAE Emirates, anche se al Giro d’Italia non mi è piaciuta tanto, ma qui stanno facendo tutto al meglio. Anche la Visma-Lease a Bike mi piace: porta sempre Vingegaard davanti nei momenti top e lo protegge costantemente. Sono le due squadre migliori e lo sono anche perché hanno i corridori più forti, quelli con più gamba e che di conseguenza sanno ben muoversi in gruppo.

Podenzana apprezza molto il laoro di Visma e UAE
Podenzana apprezza molto il laoro di Visma e UAE
Tappe più ondulate, ma anche più nervose, come quelle di questo inizio Tour sarebbero piaciute di più alla Mercatone Uno rispetto ai piattoni di allora?

Sarebbe stato comunque difficile per noi. Eravamo più a nostro agio con le grosse salite. Magari su questi ondulati Pantani si sarebbe difeso meglio perché aveva classe e non aveva paura di lottare.

Lo avreste portato nelle montagne con meno svantaggio dopo dieci tappe?

Forse sì, perché quei percorsi sarebbero stati più adatti a lui rispetto ai totali piattoni e poi c’erano cronometro più lunghe. Ma la posizione in gruppo è troppo determinante oggi. Lui stava spesso dietro e risalire costa troppe energie. Ai miei tempi anche se era sbagliato qualche volta si poteva, ma oggi, se vuoi fare classifica, devi stare tra i primi venti. Sempre.

Massimo, chiudiamo con un aneddoto. Pensando alle tante sgroppate d’inizio Tour che vi faceva Pantani ce n’è una che ricordi più delle altre?

Ce ne sono tante. Mi viene in mente la tappa di Pau: dovevamo stare davanti, avevo una gran condizione. Ho lavorato tutto il giorno e sono riuscito a tenerlo là. Marco mi ringraziò. Ma ogni giorno dovevi dare il meglio per non fargli perdere terreno o energie. Anche se il ricordo più vivo non è legato al Tour ma al Giro.

Raccontaci!

Tappa dell’Alpe di Pampeago, quando Tonkov staccò Marco nel finale. Lì dovevo essere il penultimo uomo. Tiriamo, prepariamo l’attacco. Io sto per dare il cambio pensando ci sia un altro compagno dietro di me. Invece mi volto e c’è lui, Marco. E mi fa: «Pode, lungo». Insomma, tira ancora. Ho dato l’anima finché non è scattato. Quando lo ha fatto per me è stata una liberazione. Quel “Pode Lungo” me lo ricorderò per sempre.

Una Persico da monumento nel giorno di Monte Nerone

15.07.2025
6 min
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IMOLA – Quando Silvia Persico a pochi chilometri dalla fine si sposta sfinita lanciando Longo Borghini verso la leggenda dopo un lavoro mastodontico, più di una persona in cima a Monte Nerone anticipa ciò che esclama poi al traguardo Brodie Chapman: «Fatele una statua»!

Qualcun altro dice che metà della maglia rosa conquistata da Elisa sia della 27enne bergamasca, ma la verità è che forse tutte e sette le ragazze del UAE Team ADQ – anche Greta Marturano che ha dovuto abbandonare a causa di una rovinosa caduta nella seconda tappa e giustamente ricordata ad Imola da Longo Borghini mentre era vicino a lei – ne possono indossare una tutta loro.

Resta e resteranno negli occhi tuttavia l’azione che ha deciso il Giro Women e la prestazione condotta da Persico alle pendici della montagna marchigiana. Abbiamo raccolto tutte le sue impressioni di questi ultimi giorni sapendo perfettamente che ancora non ha realizzato ciò che ha fatto per la sua capitana e la sua squadra.

Persico si disseta sul traguardo di Monte Nerone. Chapman (dietro di lei) ha chiesto di farle una statua per il suo grande lavoro
Persico si disseta sul traguardo di Monte Nerone. Chapman (dietro di lei) ha chiesto di farle una statua per il suo grande lavoro
Silvia accontentiamo Chapman. Come vuoi la statua?

Macché dai, Brodie ha sempre la battuta pronta (sorride, ndr). Se proprio dobbiamo, allora bisogna farla ad ognuna di noi, anche Greta che però è sempre stata con noi appena uscita dall’ospedale. Abbiamo recitato tutte la nostra parte, ciò che abbiamo costruito negli scorsi mesi. Sabato sono stato il cosiddetto “final support” e si è visto di più, ma prima tutte le mie compagne hanno fatto la mia stessa fatica senza le telecamere addosso.

Avendo fatto quella strada per salire e scendere da Monte Nerone abbiamo visto meglio il punto in cui siete partite. Elisa ha detto di aver seguito l’istinto, ma tu ti sei fatta trovare pronta e con una grande gamba.

Sapete già che non era un attacco programmato, però non sapete un retroscena. Verso fine discesa ho chiamato in radio Erica (Magnaldi, ndr) dicendole di venire vicino ad Elisa a tirare perché io ero “un po’ cucinata” (sorride, ndr). Quando hai Elisa accanto, ti spingi a dare tutto e per questo sono davvero felice che sia la nostra leader.

La vittoria al Giro è la finalizzazione del grande feeling tra Longo Borghini, Persico e tutte le altre atlete della UAE
La vittoria al Giro è la finalizzazione del grande feeling tra Longo Borghini, Persico e tutte le altre atlete della UAE
Elisa in conferenza stampa ha detto anche che non hai voluto i cambi. Ci spieghi quei momenti?

Quando abbiamo allungato, lei mi ha incitato a tirare dritto senza preoccuparci se dietro si erano messe ad inseguirci. Elisa continuava a dirmi che dovevamo accumulare un po’ di secondi per prendere la salita con un buon margine, poi ad un certo punto mi dice di darmi il cambio, anche se dall’ammiraglia dicevano che doveva stare a ruota. Le ho risposto che avrei continuato a tirare, perché la radio per un attimo non ci ha più aggiornato sul vantaggio. Lì ho spinto alla morte, poi mi sono tolta quando non ne avevo veramente più ed i secondi continuavano a salire.

Cos’hai pensato?

Ho cercato di recuperare il prima possibile capendo veramente il distacco. Magari dietro stavano recuperando ed io avrei potuto fare da stopper. Invece quando le moto mi hanno passato, mi hanno informata del buon margine di Elisa e a quel punto ho pensato veramente ad arrivare al traguardo pianissimo.

Ti è dispiaciuto rinunciare alle tappe che erano più adatte a te, come ad esempio l’ultima?

No assolutamente, anche perché era già stato deciso in squadra prima di prendere il via da Bergamo. Alla partenza dell’ultima tappa il divario tra Elisa e Reusser era ancora molto corto, quindi bisognava restare unite e concentrate per la maglia rosa. Vi dico che sinceramente che io avrei sacrificato ogni singola tappa per vincere il Giro.

Meritati festeggiamenti a fine Giro per le atlete della UAE, qui col meccanico Guihard-Thébault (foto instagram)
Meritati festeggiamenti a fine Giro per le atlete della UAE, qui col meccanico Guihard-Thébault (foto instagram)
Questo Giro Women ha fatto scoprire qualcosa di inaspettato a Silvia Persico?

Direi di no dal punto di vista tecnico, invece sicuramente da quello mentale. Non avverto più quella pressione degli anni scorsi, dove ero capitana per tante gare anche meno adatte a me. Già dal UAE Tour ho vissuto tutto in maniera più serena, proprio perché Elisa è una ragazza che infonde tranquillità. La pressione l’abbiamo gestita bene…

In che modo?

Alla fine di tutto il lavoro fatto in ritiro, ci siamo dette che non potevamo farci ulteriori pressioni noi stesse. Ci siamo dette che era una gara di ciclismo, che dovevamo considerarla come tale. Il mio mantra infatti in questa settimana, che comunque è stata davvero impegnativa, è stato: «Enjoy».

Nel 2022 avevi fatto una grande stagione andando forte sia nelle classiche sia nei tre Grandi Giri, poi avevi deciso di puntare su successi parziali. Hai qualche consapevolezza in più per tornare a puntare su gare a tappe?

Il ciclismo femminile rispetto a tre anni fa è cambiato tantissimo. Il livello si è alzato in modo incredibile. All’epoca io andavo molto meno di adesso, però arrivavano i risultati facilmente, forse perché pesavo appena meno. Ora come ora, so che nelle gare lunghe preferisco puntare alle tappe o lavorare per la capitana come al Giro. Sicuramente preferisco le gare a tappe da 4-5 giorni per curare eventualmente le generale. Diciamo che quando sarò un po’ più matura come corridore, potrei pensare di ritornare a fare classifica.

Conoscendo Elisa siamo certi che ricambierà il favore alla prima occasione utile mettendosi al tuo servizio. Per caso vi è capitato di parlarne?

In realtà al campionato italiano di Darfo Boario Terme eravamo d’accordo su questo. Lei voleva fare la corsa per me, però io quel giorno non sono stata bene e gliel’ho detto subito. Non so quando correremo nuovamente assieme, bisogna vedere i rispettivi calendari, ma anch’io so già che vorrà lavorare per me. Non c’è fretta e onestamente al momento non è una necessità per me.

L’ultima vittoria di Persico è datata maggio 2024 a Morbihan. Vorrebbe ritrovare il successo entro fine stagione
L’ultima vittoria di Persico è datata maggio 2024 a Morbihan. Vorrebbe ritrovare il successo entro fine stagione
Secondo te il blocco italiano della UAE può essere decisivo in nazionale come è successo al Giro? D’altronde il percorso del mondiale è adatto a Longo Borghini e quello dell’europeo sorride a te.

Certamente tra noi italiane si è creato un grande feeling durante le classiche e questa vittoria lo ha rafforzato. Sappiamo che Elisa ama correre davanti, quindi anche in nazionale cercheresti di fare altrettanto. Non sappiamo però quali siano i piani del cittì Marco Velo e quanti posti ci saranno per il Rwanda ad esempio. Noi come gruppo siamo avvantaggiate, ma ci sono altre italiane che sono andate forte. Penso a Malcotti che ha fatto un grande Giro oppure Ciabocco, anche se lei è una U23, o anche la stessa Trinca Colonel.

Quali sono i programmi e gli obiettivo dal Giro in avanti?

Il primo obiettivo è quello di recuperare le energie psico-fisiche. Abbiamo festeggiato con la squadra ed aiuta già tanto per impostare la settimana di riposo. Non so se correrò il Tour Femmes, così come il Romandia, lo saprò nei prossimi giorni. Di sicuro dovrei fare il calendario delle classiche della seconda parte di stagione. Vorrei cercare di farmi trovare pronta per una eventuale convocazione azzurra, ma non vi nascondo che vorrei ritornare alla vittoria il prima possibile. Spero di riuscirci.

Tappa a Yates, Healy in giallo. E i big? Ce lo spiega Ellena

14.07.2025
7 min
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Sul Massiccio Centrale tanto tuonò che non piovve? Sembra proprio di sì… La decima tappa del Tour de France nel giorno più importante per i “cugini”, quello della presa della Bastiglia, ha visto i big stuzzicarsi appena e la fuga andare via. Una di quelle 4-5 fughe che aveva pronosticato Aurelien Paret-Peintre, che infatti era nel gruppo giusto. Tappa a Simon Yates e maglia gialla a Ben Healy.

Come ha detto Stefano Rizzato in diretta Rai, una tappa che ha visto mischiare il rosa e il giallo: a vincere sul Massiccio Centrale è stato il re dell’ultima maglia rosa (appunto Yates) e un altro corridore in rosa si è preso la maglia gialla.

Ma al netto dei colori, che cosa ci ha detto questa frazione? Lo abbiamo chiesto a Giovanni Ellena, uno dei direttori sportivi della Polti-Kometa, in questi giorni in ritiro a Bormio con la sua squadra per preparare i tanti appuntamenti di agosto, tra Spagna e Nord Europa.

Giovanni Ellena, direttore sportivo della Polti-VisitMalta (foto Borserini)
Giovanni Ellena, direttore sportivo della Polti-VisitMalta (foto Borserini)
Forse, Giovanni, ci si poteva attendere qualcosa di più da questa tappa?

Il dislivello era tanto, perché comunque 4.500 metri non sono pochi, però alla fine erano tutte salite abbastanza pedalabili. Se mandi due uomini in fuga nella tappa del Sestriere, dove poi c’è da fare tutta la valle e li tieni a 4-5 minuti è un conto. Ma in una tappa del genere lasciarli a quella distanza… a cosa serviva? E soprattutto, dove attacchi? Serve anche il terreno adatto e questa non era la tappa giusta.

Chiaro…

Va bene il 14 luglio, se vogliamo parlare della festa nazionale, ma non era una tappa in cui potevi fare grandi differenze attaccando da lontano. Se attacchi su una salita con pendenze elevate, può funzionare, ma qui era davvero difficile. E poi non è che stai attaccando “Giovanni”, stai attaccando un certo Pogacar.

La sensazione è che l’azione della Visma-Lease a Bike a un certo punto sia passata da “prepariamo l’attacco per Vingegaard” a “vinciamo la tappa”. In fin dei conti alla UAE Emirates che interesse aveva a tenere la maglia?

E infatti si è visto nel finale. Pogacar non ha nemmeno fatto la volata.

Aver perso la maglia gialla a questo punto del Tour lo aiuta ancora?

Un po’ sì. Intanto domani si riposa con qualche riflettore in meno. Non dico che sia stata una scelta voluta, è difficile fare certe valutazioni con i meccanismi attuali, ma sicuramente gli fa bene. Stressa meno la squadra. Anche mercoledì la responsabilità di tenere il gruppo, anche solo nei tratti in pianura, passerà sicuramente a un altro team, la EF Education-EasyPost, per quella legge non scritta che vuole davanti la squadra del leader. Magari si alterneranno con quella di qualche velocista. Tutto questo ti aiuta a salvare qualcosa in termini di energie. In più non scordiamo che ha già perso Almeida.

Nel finale la planimetria ruotava attorno alla meta, il Puy de Sancy, vetta del Massiccio Centrale. In fuga anche Velasco, in primo piano
Nel finale la planimetria ruotava attorno alla meta, il Puy de Sancy, vetta del Massiccio Centrale. In fuga anche Velasco, in primo piano
E Sivakov oggi non era affatto messo bene sin dall’inizio…

Quindi comincia a risparmiare e fa bene. Anche se potrebbe vincere il Tour “da solo”, sa bene che la squadra è importante e che lavorare un filo in meno è utile. E poi ci sono i dettagli: le interviste, il tornare prima in hotel, tutti gli altri protocolli… Sono aspetti che oggi fanno la differenza.

E invece, Giovanni, come ti spieghi quegli attacchi ai 20-25 chilometri della Visma-Lease a Bike?

Probabilmente per cercare di far lavorare la squadra di Pogacar, risparmiando al massimo Vingegaard. Magari hanno deciso di puntare tutto sulle salite vere con Vingegaard, che non si è mai mosso davvero, a parte qualche scattino. Azioni volte a innervosire Pogacar, anche se mi sembra l’ultimo che si innervosisce! E’ difficile combattere con un personaggio del genere. C’è una cosa che mi ha colpito qualche giorno fa.

Quale?

Per radio voleva sapere come fosse andata la gara della sua compagna, Urska Zigart, al Giro Women. Non solo: ha chiesto anche della classifica. Vuol dire che sei disconnesso nel senso buono, che scarichi la tensione. E’ importantissimo nelle corse a tappe. Ti stacchi mentalmente. Sì, stai pedalando, ma non hai lo stress addosso. Ti alleggerisce psicologicamente. Oltre alla condizione fisica – che è incredibile – ha anche questa capacità. Penso alla borraccia al bambino l’anno scorso sul Grappa. Riesce a non essere sempre focalizzato al cento per cento.

Si diceva che con quegli attacchi volessero isolarlo, per evitare che con i suoi uomini potesse imboccare forte la salita. Pertanto gli attacchi dei Visma erano quasi più per difendersi: come la vedi?

Non lo so. Per me ha più senso il discorso del provare a innervosirlo, isolarlo, far stancare la sua squadra che non è al top. La Visma ha vinto la tappa, gli è andata bene, però poi quando in ammiraglia vedi che ti muovi, fai, prendi iniziativa e il tuo rivale a due chilometri ti piazza uno scatto del genere, come a dire “Il più forte sono io”, non è facile. Stasera Vingegaard in camera penserà: «Questo mi scatta in faccia e poi mi aspetta anche».

Forse anche perché voleva perdere la maglia gialla…

Sì, si per quello. Si è messo a ruota di Lenny Martinez che era reduce della fuga. E anche qui non è stata un’azione banale. Perché è vero che si chiama Pogacar ed è il più forte in assoluto in questo momento, ma è anche vero che più amici hai nel gruppo, meglio è. E da oggi avrà qualche amico in più nella EF e anche nella Alpecin-Deceuninck. Ieri a un certo punto era lui a rompere i cambi per favorire Van der Poel. Pogacar si sa gestire su tutto. E torno alla sua capacità di disconnettersi: lo rende più lucido.

Ma secondo te, Giovanni, è davvero il più forte o Vingegaard sta covando il colpaccio come due anni fa, quando alla prima vera salita cambiò tutto?

Potrebbe anche essere. Sin qui, anche per caratteristiche fisiche diverse, non è stato brillante come Tadej, ma non lo vedo affatto male. Se la sua condizione è davvero buona, sulle salite lunghe potrebbe anche fare la differenza. E non sarebbe la prima volta…

Remco, lo vedremo correre solo di rimessa, al netto del piccolo allungo di oggi?

Sì, deve correre di rimessa e sperare di non essere troppo sotto agli altri due. Poi magari mi sbaglierò, ma in questo momento la vedo così.

Ben Healy in giallo. L’irlandese è arrivato 3° a 31″ da Simon Yates. Ora guida con 29″ su Pogacar
Ben Healy in giallo. L’irlandese è arrivato 3° a 31″ da Simon Yates. Ora guida con 29″ su Pogacar

Parola ai protagonisti

Quanto detto da Ellena trova riscontro nelle parole di Simon Yates: «E’ stata una vittoria di esperienza. E’ stato difficile entrare in fuga. C’erano molti corridori forti. Ho volutamente preso il comando nelle ultime curve, alla fine della discesa, prima dell’inizio della salita, perché volevo partire bene e prendere slancio. Lì ho dato il massimo.
«Siamo tutti concentrati su Jonas – ha aggiunto Yates – e sulla classifica generale. E anche oggi era così. Il piano era di essere in fuga nel caso fosse successo qualcosa dietro, ma a un certo punto il distacco era troppo grande, quindi mi sono potuto giocare la tappa».

Un plauso va poi a Ben Healy. Tante volte ha corso peggio di un allievo al debutto, ma in questo Tour de France sta mostrando davvero la sua classe e anche il suo coraggio. A un certo punto ha corso esclusivamente per la maglia e ha centrato di nuovo l’obiettivo, non curandosi di Yates.

«Sono ancora un po’ apatico perché sono così stanco – ha detto Healy – Non ci posso credere. Se qualcuno mi avesse detto che dopo dieci giorni avrei indossato la maglia gialla, non ci avrei creduto. A un certo punto, quando il vantaggio è aumentato, ho semplicemente abbassato la testa e sono partito pensando solo alla maglia gialla. Ho iniziato a spingere e basta. Non ho potuto rispondere a Yates nel finale. Devo ringraziare i miei compagni (in fuga ne aveva tre: Neilson Powless, Alex Baudin e Harry Sweeny, ndr). Se non ci fossero stati loro, ora non avrei la maglia gialla. Harry è andato come un camion e Alex ha concluso alla perfezione».