Anche quest’anno se li è messi tutti alle spalle

23.07.2023
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La conferenza stampa all’arrivo, un anno dopo. La maglia gialla arriva al termine del protocollo e trova il modo di scambiare qualche battuta con Tom Dumoulin, che sta seguendo il Tour come opinionista dell’olandese NOS. Dopo l’arrivo, il vincitore del Giro 2017 si è fermato anche con Sepp Kuss per chiedergli della caduta in cui ha battuto la faccia sull’asfalto. Poi cominciano le domande e Vingegaard si racconta.

Ha l’espressione sollevata, in un modo o nell’altro il viaggio volge al termine. Fuori ha fatto un po’ di show, un grande passo per il suo essere riservato. Se ricordate il mondo in cui è cresciuto e i dettami imposti nel villaggio in cui è nato, di cui abbiamo raccontato lo scorso anno, capirete anche perché per il vincitore del Tour sia così difficile esporsi. Ha lanciato i fiori a una tifosa vikinga e fuori di testa e si è perso finalmente nell’abbraccio della compagna che gli ha passato il telefono.

Dal podio della maglia gialla, Vingegaard ha tirato i fiori a questa tifosa danese e impazzita
Dal podio della maglia gialla, Vingegaard ha tirato i fiori a questa tifosa danese e impazzita
Cosa significa davvero per te questa seconda vittoria assoluta consecutiva? 

Dovrebbe essere chiaro che sono molto contento. Il Tour è stato il mio più grande obiettivo quest’anno. Quindi è fantastico finire così. Mi sarebbe piaciuto vincere la tappa. Ho provato ad attaccare di sorpresa nel finale perché sapevo di non avere possibilità in volata contro Tadej, ma la cosa più importante era mantenere la maglia gialla. Devo ringraziare la mia squadra. Sono stati fantastici. Avevamo un piano ogni giorno e lo abbiamo eseguito nel modo giusto.

Qual è la più grande differenza rispetto all’anno scorso?

Che ho avuto più fiducia in me stesso e così anche la squadra. Sappiamo quali sono i miei punti di forza e sappiamo anche come sfruttarli al meglio. Penso che non tutti abbiano capito il nostro piano ogni giorno, ma l’abbiamo fatto e ha funzionato.

Il forcing della UAE sulla salita finale ha neutralizato in un attimo la fuga di Pinot e Pidcock
Il forcing della UAE sulla salita finale ha neutralizato in un attimo la fuga di Pinot e Pidcock
In cosa consisteva questo piano?

Non so se sia il caso di svelarlo. Se raccontiamo in che modo abbiamo eliminato Pogacar, forse lui potrebbe lavorarci sopra per il futuro. Potreste chiedere a Grischa (Niermann ndr) se vuole dire qualcosa di più o no.

Hai vinto il Tour due volte. Che ambizioni hai per il futuro?

Sicuramente ho altri obiettivi. Solo che il Tour è la gara più importante del mondo e per me è davvero speciale. E’ ancora troppo presto per dire cos’altro voglio provare, ma il Tour rimane speciale. Molto probabilmente tornerò l’anno prossimo per provare a vincere una terza volta.

Pogacar ha attaccato, Vingegaard lo ha seguito, Gall è rientrato: il finale è esploso così
Pogacar ha attaccato, Vingegaard lo ha seguito, Gall è rientrato: il finale è esploso così
Sei sembrato più forte in questo Tour, è una sensazione o c’è del vero?

L’anno scorso ho avuto alcuni infortuni e in un paio di occasioni sono stato male in primavera. Quest’anno è andato tutto liscio. Questo fa una grande differenza. Inoltre continuo a migliorare. Non il 20 percento all’anno, ma piccoli pezzetti qua e là.

Dopo la sua vittoria a Poligny, Mohoric ha rilasciato un’intervista molto emozionante su tutti i sacrifici che i corridori devono fare per avere qualche possibilità di ottenere qualcosa nel Tour.

La penso esattamente come lui. Tutti dobbiamo sacrificare molto e Matej lo ha espresso molto bene. Quando mi guardo indietro, quest’anno sono stato lontano dalla mia famiglia per 150 giorni. Non è così ovvio che tutti lo accettino. D’altra parte, seguire i nostri programmi mi dà fiducia. Ci alleniamo duramente e siamo molto precisi con l’alimentazione e so che facendo così, raggiungerò il mio massimo livello.

Kuss è caduto su Rodriguez ed è arrivato staccato, mentre lo spagnolo ha perso un posto nella generale
Kuss è caduto su Rodriguez ed è arrivato staccato, mentre lo spagnolo ha perso un posto nella generale
L’anno scorso avevi queste stesse certezze?

Ho corso il mio primo Tour nel 2021, arrivando secondo. Quello è stato anche il periodo in cui ho iniziato a ottenere i primi risultati. E’ stato il primo anno in cui sono stato in grado di affrontare meglio la pressione. Ho lavorato per questo, ho dovuto impararlo. Dal momento in cui ci sono riuscito, ho iniziato a conquistare podi e vittorie.

Hai combattuto un duro duello con Pogacar fino a Courchevel e quel giorno Tadej ha dovuto arrendersi. Pensi che la vostra rivalità renda il ciclismo più popolare?

E’ bello avere rivalità nel ciclismo. Quest’anno c’è stata una grande battaglia, è stato incredibilmente difficile vincerla, è stato difficile uscirne vincitore e ne sono super felice. Tadej è stato molto duro, ma l’ho battuto. E credo che dovrò scontrarmi con lui ancora, magari anche il prossimo anno.

L’abbraccio con la compagna, che poi gli ha passato al telefono il Principe di Danimarca
L’abbraccio con la compagna, che poi gli ha passato al telefono il Principe di Danimarca
Correrai ancora quest’anno?

Ho bisogno di un po’ di tempo per pensarci. Voglio vedere come esco da questo Tour. L’anno scorso mi sentivo ancora bene, anche se mentalmente è stata molto dura. Cercherò di metabolizzare il tutto, prima di fare nuovi piani.

L’anno scorso si parlò di vita stravolta dopo il Tour, pensi che questa volta sarai in grado di affrontarlo un po’ più facilmente?

Ho detto spesso che non c’è mai stato un problema. La vissi in modo davvero facile e mi sono anche divertito. Certamente non è stato un prezzo pesante da pagare e penso che sarà così anche adesso. Nel frattempo, il principe Frederik di Danimarca ha chiamato Trine e lei me l’ha passato. Si è congratulato con me e ha detto che è stato impressionante che io abbia vinto il Tour due volte di seguito. Era molto felice per me.

Un urlo per due: Ciccone missione compiuta, Pogacar risorge

22.07.2023
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«Quando all’auricolare mi hanno detto che se avessi preso i successivi punti al Gpm avrei vinto la maglia a pois, ho davvero capito che ce l’avrei fatta. E’ stato un momento molto bello», parole di Giulio Ciccone che poco dopo su quel Gpm, il Col de la Schlucht, transita per primo ed esulta. Urla come se fosse all’arrivo di una tappa. In qualche modo per lui il vero traguardo di giornata, ma potremmo dire di questo Tour de  France, era proprio quella linea a 1.136 metri sui Vosgi.

In quel momento l’abruzzese ha matematicamente conquistato la maglia a pois. Un primato ambito, prezioso, cercato, sudato… Dopo l’esultanza sul Gpm tanto spontanea quanto bella, Giulio spinge il bottoncino della radio per congratularsi con la squadra. Era stato lui stesso a Courchevel a dirci che ormai quella maglia, che già indossava, era un obiettivo per tutti.

Tadej Pogacar (classe 1998) esulta con forza a Le Markstein. E’ il secondo successo in questo Tour per lui
Tadej Pogacar (classe 1998) esulta con forza a Le Markstein. E’ il secondo successo in questo Tour per lui

Urla Pogacar

A Le Markestein però ridono (quasi) tutti. Ride e urla anche Tadej Pogacar, che ha vinto la tappa e conquista una vittoria che probabilmente non sarà tra le sue più belle, ma che dà tanta speranza allo sloveno. 

Quello del corridore della UAE Emirates è un urlo di sfogo. Una liberazione. E fa quasi strano vederlo festeggiare così. Ma dopo certe batoste e momenti difficili, per uno che non ci è abituato, è comprensibile. Oggi è sembrato correre con la voglia e la cattiveria di è solito a fare certe azioni, ma anche la consapevolezza di poterle prendere. E allora quell’urlo si capisce e assume tutt’altro aspetto.

«Oggi – ha detto Pogacar – mi sono sentito di nuovo me stesso. Sono stato bene dall’inizio alla fine della tappa ed è stato bello rivivere certe sensazioni dopo diversi giorni di sofferenza. Sono molto felice».

Gioiscono (quasi) tutti

Gioisce Jonas Vingegaard che mette in cassaforte il suo secondo Tour de France. Gioisce Felix Gall perché ha capito di poter iniziare a competere con i grandi. E fanno festa anche in casa Yates: Adam per la vittoria di Tadej e Simon per aver agguantato la quarta piazza.

E forse gioisce persino Thibaut Pinot, che ha regalato ancora una grande emozione a sé stesso e ai suoi tantissimi tifosi di tutto il mondo. Mentre era in fuga, c’è chi tifava per lui… e chi mente, ammettiamolo! Il vecchio Thibaut correva in casa. Era alla sua ultima occasione per fare bene alla Grande Boucle e si è preso la giusta passerella.

L’unico che non ride è Carlos Rodriguez che perde una posizione nella generale. Passa dal quarto al quinto posto, a vantaggio appunto di Simon Yates. Seppur giovane, il talento della Ineos-Grenadiers annovera l’ennesima caduta in carriera. Si complica la vita da solo.

Lui lotta ce la mette tutta. E’ fortissimo, basta vedere in che condizioni ha concluso una tappa da oltre 3.000 metri di dislivello, ma certo deve mettere a punto qualcosina.

Giulio ha vinto la maglia a pois: 1° Ciccone 105 punti; 2° Gall 92; 3° Vingegaard 89. Domani un Gpm di 4ª categoria che non cambierà la graduatoria
Giulio ha vinto la maglia a pois: 1° Ciccone 105 punti; 2° Gall 92; 3° Vingegaard 89. Domani un Gpm di 4ª categoria che non cambierà la graduatoria

Dopo Chiappucci

Ma in questo finale caotico, forse anche con qualche fuoco d’artificio in meno di quel che ci si attendeva, la notizia per gli italiani è la maglia a pois di Giulio Ciccone.

Il corridore della Lidl-Trek succede a Vingegaard – il danese lo scorso anno aveva vinto anche lquesta classifica – e per quanto riguarda gli italiani a Claudio Chiappucci. El Diablo siglò una doppietta tra il 1991 e il 1992.

Giulio aveva messo questa maglia tra gli obiettivi al via. A Bilbao si poteva pensare alla classifica, ad una tappa e al primato dei Gpm appunto. 

Lo scorso anno fu terzo e capì che tutto sommato si poteva fare. «E’ il gran giorno – aveva detto prima della tappa Ciccone – può essere uno dei più belli della mia vita, ma anche uno dei peggiori. Dovremmo stare davanti». E Cicco e la sua squadra sono stati dei cecchini. Attenti. Nelle prime posizioni sin dal chilometro zero.

«Penso che abbiano fatto qualcosa di incredibile oggi. Devo ringraziare tutta la squadra perché siamo partiti con un piano e hanno fatto tutto alla perfezione. Questa maglia è per loro. Hanno fatto più della metà del lavoro. Ora voglio godermela».

«L’obiettivo principale di questo Tour era vincere una tappa, ci sono andato vicino, ma non ci sono riuscito. Alla fine va benissimo così».

Carbonari, il bis in Lettonia come trampolino di… rilancio

22.07.2023
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TRAVERSETOLO – Dalla primavera ad oggi la condizione psicofisica di Anastasia Carbonari ha viaggiato su un ottovolante. Non è sempre sinonimo di buoni segnali – ed infatti qualcosa sotto c’era – ma da fine giugno tutto sembra essere tornato sotto controllo.

Alla 24enne italo-lettone della UAE Development Team ha fatto bene respirare sia l’aria di “casa” del Baltico sia quella nuova in Emilia Romagna. Carbonari si è riconfermata campionessa nazionale della Lettonia e contemporaneamente si è trasferita a vivere in provincia di Parma. Proprio da qua, dove l’abbiamo incontrata, è cominciata la sua seconda parte di stagione nella quale non mancano obiettivi stimolanti. Il suo piglio è decisamente migliore rispetto all’ultima volta che l’avevamo sentita.

Anastasia iniziamo dalla attualità. Come sono andate le ultime corse?

Recentemente ho corso il Baloise Ladies Tour in Belgio con il nostro team WorldTour. L’ho fatto in sostituzione all’altura. Sono molto contenta, sono andata al di sopra delle mie aspettative. Non pensavo di trovarmi con questa condizione. La concorrenza era piuttosto buona, c’erano sette squadre WorldTour. Il ritmo è sempre stato alto ed è stato importante ritrovarlo. Ho raccolto due top 10 e ci volevano per il morale. Maggio è stato un mese molto difficile che mi aveva buttato un po’ giù. E’ stato un sospiro di sollievo che mi dà ulteriori motivazioni per il prosieguo della stagione.

Cosa è successo a maggio?

Ho avuto qualche intoppo di salute. Me ne sono accorta tra fine maggio ed inizio giugno perché sia al Thuringen che alla Ruta del Sol mi sentivo sempre spossata e con un gran mal di gambe. Facevo fatica a recuperare. Dopo la gara in Spagna abbiamo fatto qualche accertamento e abbiamo scoperto con la dottoressa che in primavera avevo avuto il citomegalovirus. Gli strascichi sono piuttosto lunghi. Ora va meglio fortunatamente, grazie anche alla trasferta in Lettonia.

Al Baloise Carbonari ha ritrovato un buon ritmo gara ottenendo un sesto ed ottavo posto in volata
Al Baloise Carbonari ha ritrovato un buon ritmo gara ottenendo un sesto ed ottavo posto in volata
Lassù hai rivinto il campionato nazionale. Com’è andata?

Quest’anno il campionato baltico si correva ad Alytus in Lituania. Rispetto ad un anno fa il percorso era molto più tecnico e nel finale del circuito cittadino c’era uno strappo in pavé da fare quattro volte. La gara è stata resa dura proprio dalle lettoni, specialmente da Rozlapa e Laizane, perché sapevano che in un tracciato del genere ero più veloce di loro. Giustamente lasciavano a me, campionessa uscente, il grosso del lavoro per ricucire. Nell’ultima curva sono rimasta un po’ chiusa, ho perso qualche posizione e nella volata non sono riuscita a rimontare fino in fondo. Alla fine ho fatto quarta assoluta, ma è stato un risultato buono perché, appunto, non arrivavo da un periodo facile. Ci tenevo a rivincere e poter indossare ancora la maglia di campionessa nazionale. Era importante oltretutto in chiave mondiali, europei o addirittura per una possibile Olimpiade, qualora ci qualificassimo.

A proposito, che effetto ti fa sapere che correrai il mondiale?

Sono molto emozionata. La ero già l’anno scorso per gli europei, figuratevi stavolta dopo che l’anno scorso li avevamo dovuti saltare comprensibilmente per una questione logistica e di costi. Spero poi di correre anche l’europeo in Olanda a settembre. A casa forse sono più elettrizzati di me, ma ho detto loro che cercherò di stare lontana dalle possibili distrazioni o pressioni. Sono contenti comunque di come mi sto preparando.

E’ stata una primavera in salita per Carbonari a causa del citomegalovirus
E’ stata una primavera in salita per Carbonari a causa del citomegalovirus
L’avvicinamento a Glasgow come sta procedendo?

Intanto devo dire che questi grandi appuntamenti mi danno enormi motivazioni e mi mantengono maggiormente concentrata. Essere al via in Scozia sarà una bella soddisfazione, ma sto lavorando per arrivarci nelle migliori condizioni possibili. Sappiamo che il circuito del mondiale ha molti rilanci, da sforzi brevi ma ripetuti. Dopo il periodo sottotono, col preparatore abbiamo analizzato il tipo di gare che sarei andata a fare prima di Glasgow e abbiamo programmato allenamenti più mirati. Che poi è il solito lavoro che facciamo quando so che devo correre con la UAE Team ADQ. Prima dei mondiali correrò in Polonia a fine luglio (il Princess Anna Vana Tour dal 28 al 30 luglio, ndr). Punto ad arrivarci con una buona gamba.

Ad oggi come giudichi la tua esperienza tra le due vostre formazioni?

Il bilancio col Devo Team è molto buono ma è normale che correre con la WorldTour è sempre stimolante anche per il livello delle gare. Poi torni con una condizione migliore anche se c’è il rovescio della medaglia. Ovvero, facendo poche gare WT, quando le corriamo facciamo un po’ di fatica iniziale. Di certo c’è che sei a contatto sempre con atlete molto professionali. Al Thuringen ad esempio sono stata in camera con Marta (Bastianelli, ndr) e ho imparato molto da lei. Sa sempre come tirarti su di morale e darti il consiglio giusto. Ci mancherà tanto.

Anastasia Carbonari l’abbiamo sempre definita “lettone di Montegranaro”. Cosa ci fa in provincia di Parma?

E’ iniziata una nuova vita (sorride, ndr). Un paio di mesi fa il mio fidanzato è stato trasferito per lavoro, io l’ho seguito ed ora viviamo a Traversetolo. Mi trovo bene e non ho avuto problemi di ambientamento. Siamo un po’ facilitate perché, essendo sempre all’estero, siamo abituate ad andare su strade che non conosciamo. Adesso con le varie app come Strava, Wahoo o Street View riusciamo a trovare tutti i percorsi con le caratteristiche necessarie per allenarci. La zona è bella e nell’arco di pochi chilometri trovo salite lunghe, strappi, tratti vallonati o pianura. Tutto per lavorare al meglio. L’unica cosa che manca è un po’ la compagnia. Nelle Marche uscivo con gli amici dilettanti ed era utile sia per fare la sgambata di recupero che quella per alzare la media. In ogni caso anche questo cambiamento mi ha stimolato.

Dislivelli elevati, analizziamo il caso Valle d’Aosta

22.07.2023
4 min
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Il discorso dei dislivelli da sempre, e sempre di più, affascina i ciclisti. Sulle piattaforme digitali, i computerini… i numeri delle salite attirano non poco. E al Giro della Valle d’Aosta, oltre a Darren Rafferty, il dislivello è stato protagonista. Il totale dei metri verticali da affrontare era di ben 15.500 in cinque tappe. Vale a dire una media di 3.100 per frazione. Il Giro Next Gen in otto frazioni arrivava a 12.050 metri, per rendere l’idea.

Spesso quando eravamo in Valle si scherzava: «Oggi gli under 23 battono i pro’ del Tour». In qualche caso ci si è chiesti se non si fosse esagerato. Più di qualche direttore sportivo si è velatamente lamentato, auspicando almeno una frazione centrale più morbida. Una frazione che desse respiro ai ragazzi e magari motivasse un po’ di più gli uomini “veloci”, termine che al Valle d’Aosta, è da prendere con le pinze.

D’altra parte, dando una botta al cerchio e una alla botte, lo spettacolo è stato magnifico e i percorsi affrontati sono stati bellissimi.

Riccardo Moret (a sinistra) e Francois Domaine, rispettivamente presidente e vicepresidente del Giro della Valle d’Aosta
Riccardo Moret (a sinistra) e Francois Domaine, rispettivamente presidente e vicepresidente del Giro della Valle d’Aosta

Quanto dislivello?

E allora cerchiamo di capire come sono andate le cose. Riccardo Moret, presidente della Società Ciclistica Valdostana, al via da Courmayeur, in occasione della seconda tappa ci aveva detto proprio del dislivello, aggiungendo che storicamente questa corsa ne proponeva molto. Un po’ per la conformazione del territorio e un po’ perché era proprio nel Dna dell’evento.

Discorso che poi abbiamo ripreso con Francois Domaine, vicepresidente del Valle d’Aosta. Con Domaine siamo partiti dall’esempio del tappone di Calavalité, con arrivo nella splendida conca sulle montagne a Sud di Fenis.

«La nostra volontà – spiega Domaine – è quella di proporre una tappa dura che somigli a quella dei professionisti, anche per il chilometraggio. Sì, forse proprio questa frazione poteva essere addolcita un po’ togliendo una salita, ma non credo che alla fine sarebbero cambiati molto i valori.

«Noi abbiamo delle statistiche e storicamente il Giro della Valle d’Aosta era concluso da “pochi” corridori, quest’anno ne sono arrivati alla fine due su tre».

Il discorso di una tappe stile pro’ alla fine concorda con quello che è lo sviluppo del ciclismo attuale. Un ciclismo in cui di fatto già a 19-20 sono dei piccoli pro’, tanto da fare la spola con la prima squadra WT nei casi dei team development.

«Nell’ottica dei 5-6 giorni di gara ci vorrebbe nel mezzo una tappa come quella iniziale di Arvier, una frazione che dia respiro. Che non è comunque una tappa facile, visto che contava oltre 1.300 metri di dislivello in 80 chilometri, tanto è vero che ha vinto Vandenstorme, ragazzo che avrà un futuro non solo come sprinter».

L’altimetria del tappone di Clavalité proponeva dislivelli importanti (4.579 metri)
L’altimetria del tappone di Clavalité proponeva dislivelli importanti (4.579 metri)

Strade obbligate

Non è facile per la Società Ciclistica Valdostana realizzare un tracciato semplice o molto più semplice: come diceva Moret l’orografia conta. La Valle d’Aosta è circondata da montagne ovunque e la valle principale, quella della Dora Baltea e del capoluogo, è comunque stretta. Non si hanno spazi da pianura Padana. E questa stessa valle va dai 1.300 metri di quota alla base del tunnel del Bianco ai 340 metri di Pont Saint Martin, che segna l’ingresso nel territorio aostano. Va da sé che le alternative non sono molte.

«Da noi – prosegue Domaine – allegerire i percorsi non è facile oltre che per le questioni orografiche anche per quelle logistiche e turistiche.

«In Valle – dice Domaine – abbiamo due arterie principali, la SS 26 e la SS27, che sono le vie di comunicazione più trafficate. Il Giro della Valle si corre poi nel mezzo della settimana: nei giorni feriali c’è il traffico anche di mezzi pesanti e nel week-end (siamo a luglio, ndr) c’è quello turistico. Cerchiamo pertanto di bypassare queste due strade per ovvi motivi e per farlo ci spostiamo sulle vie più laterali e queste o salgono o scendono».

Partenza da Saint Vincet, Il Giro tocca le perle della Valle d'Aosta
L’idea, anche per differenziare gli arrivi, è quella di toccare le importanti località in zone più basse. Qui la partenza da Saint Vincent
L’idea, anche per differenziare gli arrivi, è quella di toccare le importanti località in zone più basse. Qui la partenza da Saint Vincent

Influenze esterne

A questa motivazione tecnica se ne aggiunge anche una seconda altrettanto pragmatica ed importante: quella turistica, come accennavamo. Una gara ciclistica, specie in territori simili e con un’ottima diffusione internazionale grazie alla diretta streaming, fa leva anche sui distretti turistici.

I vari comprensori che ospitano la gara indicano i punti peculiari da toccare, succede al Giro d’Italia, al Tour de France, figuriamoci in gare più piccole. E questi consorzi il più delle volte vogliono portare la corsa in testa alla valle di riferimento così da farla vedere tutta.

«Anche questo è un aspetto di cui siamo consapevoli – conclude Domaine – al netto del dislivello della tappa pensiamo di proporre arrivi diversi. Arrivi in fondo alle valli e avremmo anche individuato delle località adatte, ma ci chiedono quasi sempre di arrivare in cima».

La questione è dunque ben complessa. Si può sempre modificare, aggiustare, migliorare, ma il Valle d’Aosta è questo e se da qui escono i campioni che oggi si giocano il Tour, il Giro e, in qualche caso anche le classiche più dure del mondo, un motivo ci sarà.

Test e verifiche: Carbon-Ti con la UAE nel giorno di riposo

22.07.2023
6 min
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«E’ uno dei modi con cui otteniamo i famosi marginal gain – spiega Formolo, in procinto di rientrare al Tour de Pologne – in questo caso con corone e freni di Carbon-Ti. Parlo per esperienza, ma ogni volta che capito in un negozio di bici, mi chiedono proprio dei freni. Gli è bastato vedere le foto. Vanno bene, vanno veramente bene. E sono anche belli…».

La superficie del disco è tale da favorire il raffreddamento della pista frenante
La superficie del disco è tale da favorire il raffreddamento della pista frenante

Vero debutto al Giro

Abbiamo passato parecchio tempo a osservare i freni a disco X-Rotor SteelCarbon 3 di Carbon-Ti montati sulle Colnago del UAE Team Emirates, prima al Giro d’Italia e negli ultimi giorni al Tour ed è vero quel che dice Formolo: il colpo d’occhio seduce. Si parla del disco, composto dal corpo centrale in carbonio e la pista frenante in acciaio. Sono belli, ma funzionano? E quali vantaggi danno?

«Il fattore peso è importante per i grandi Giri – spiega Marco Monticone, product manager dell’azienda bresciana – tanto che l’utilizzo diffuso fra gli atleti di punta, Almeida per primo, è iniziato al Giro d’Italia. Lì ci siamo trovati in condizioni estreme, con temporali, piogge, discese molto lunghe fatte in condizioni estremamente critiche.

«Il vantaggio di peso è di circa 27 grammi, che per loro è un numero importante. Ci arriviamo grazie alla parte centrale in fibra di carbonio che nessun altro fa e ci consente di risparmiare peso, mantenendo le stesse caratteristiche di rigidezza necessarie per competizioni WorldTour».

Almeida al Giro ha usato i freni in carbonio e acciaio di Carbon-Ti
Almeida al Giro ha usato i freni in carbonio e acciaio di Carbon-Ti

Segreto industriale

Dei materiali utilizzati e dei numeri relativi si riesce a sapere ben poco: il segreto industriale viene opposto alla domanda e c’è da capirlo. I test che hanno portato al prodotto finito sono andati avanti per anni: fra diversi tipi di carbonio con lo stesso spessore possono esserci delle grandi differenze, quindi la messa a punto del miglior composito si è rivelata un passaggio chiave. Si parla infatti di terza generazione di un prodotto nato quasi 15 anni fa.

L’osservazione di Formolo va avanti. Il veronese ha utilizzato i freni X-Rotor Steel Carbon 3 al Giro d’Italia, facendo parte della… guardia scelta di Almeida.

«Della leggerezza – dice – magari ti accorgi indirettamente. Quello che si nota è che frenano allo stesso modo anche dopo le discese più lunghe. Bagnato o asciutto. Anzi, a volte mi è capitato di arrivare in fondo e di chiedermi se con i freni tradizionali, me la sarei cavata altrettanto bene».

Pista frenante in acciaio

La confutazione da parte di Marco Monticone arriva puntuale ed entra nel dettaglio della costruzione stessa dei dischi.

«Risparmiando così tanto peso nel corpo centrale grazie al carbonio – dice – abbiamo potuto dedicare più materiale alla parte più importante per le performance del disco, quindi la pista frenante. Quella non l’abbiamo alleggerita. Ci sono dei dischi più leggeri dei nostri, ma il nostro prodotto ha una pista frenante studiata per avere delle performance elevate e un raffreddamento migliore su discese estremamente lunghe».

Covi ha riscontrato che la frenata è migliore quando si arriva al riscaldamento
Covi ha riscontrato che la frenata è migliore quando si arriva al riscaldamento

Frenata a freddo

A questo punto gli facciamo notare un’osservazione fatta da Alessandro Covi, il piemontese che proprio in questi giorni si è spostato in Spagna per correre a Villafrance de Ordiza e poi San Sebastian e che i nuovi freni li ha usati anche lui al Giro.

«Frenano sempre bene – dice – magari c’è da pompare di più all’inizio della discesa, ma poi l’efficienza è sempre identica e di alto livello».

Il disegno della pista frenante, con spigoli arrotondati, è stato realizzato per consentire potenza e modularità
Il disegno della pista frenante, con spigoli arrotondati, è stato realizzato per consentire potenza e modularità

Sensazioni e abitudini

Monticone annota, fa una breve pausa e riferisce quanto ricevuto anche da parte di altri corridori della squadra emiratina.

«Quella è stata la segnalazione di qualche atleta – dice – secondo cui più i freni vengono sollecitati e più funzionano bene, che per loro è estremamente importante. Sull’efficienza inferiore a freddo, ho sempre avuto qualche dubbio. Però prendiamo sul serio tutte le loro indicazioni, ma non c’è alcun motivo per cui questo debba succedere, perché il disco si scalda in meno di un secondo. Forse è un fatto di sensazioni. Mi rendo conto che quando dai del materiale nuovo a un atleta che fa 30-40.000 chilometri all’anno, sicuramente troverà qualcosa di differente da quello che era abituato a utilizzare».

Al Tour il freno anteriore Carbon-Ti è stato usato anche all’anteriore della bici da crono
Al Tour il freno anteriore Carbon-Ti è stato usato anche all’anteriore della bici da crono

Disco semi-flottante

Rispetto a qualche disco che ha la costruzione a strati, quella che viene definita a wafer, i freni Carbon-Ti hanno la pista frenante ricavata da un pezzo unico, vincolato al corpo in carbonio da speciali rivetti in titanio. E questo crea un vantaggio.

«Questa costruzione – dice Monticone – fa sì che possiamo definire i freni semi-flottanti. Non si discostano di un millimetro come succede per quelli flottanti delle moto. In questo caso, la pista frenante è solidale col carbonio e non si avvertono movimenti. Però nel momento in cui subisce un surriscaldamento in frenata, il disco è libero di dilatarsi, con i rivetti che sono in grado di assorbire la dilatazione. Ecco perché è decisivo raggiungere il perfetto abbinamento fra rivetti, carbonio e acciaio».

Il team di Carbon-Ti ha raggiunto il Tour nel secondo riposo di Megeve per avere riscontri (foto Facebook)
Il team di Carbon-Ti ha raggiunto il Tour nel secondo riposo di Megeve per avere riscontri (foto Facebook)

La verifica al Tour

Il Tour de France è stato un momento di verifica. Lo staff di Carbon-Ti ha raggiunto il UAE Team Emirates nel secondo giorno di riposo a Megeve, dedicandosi all’approfondimento tecnico richiesto dalla squadra e per loro necessario e scoprendo che per la prima volta i propri dischi sono stati utilizzati anche all’anteriore sulla bici da cronometro.

«Lunedì scorso – racconta Monticone – siamo stati tutto il giorno con la squadra e abbiamo raccolto informazioni dagli atleti, dai meccanici e dal performance manager. Abbiamo indicato futuri nuovi prodotti che potrebbero interessare e concordato alcune cose. Abbiamo ricevuto i prodotti utilizzati al Giro, ad esempio i dischi di Almeida, in modo da fare le nostre verifiche».

A margine dell’attività del team di Pogacar, c’è un servizio che Carbon-Ti riserva ai clienti europei: la sostituzione della pista frenante usurata. Si parla di un vero e proprio “rebuild” del disco, che torna nuovo alla metà di quanto costerebbe comprarlo nuovo. Nulla di particolarmente interessante per corridori che sono abituati alle sostituzioni di parti usurate, un bel valore aggiunto per chi la bici è costretto a pagarla.

Niente di normale. Al Tour è tutto grande: la gioia e il dolore

22.07.2023
5 min
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Quelle lacrime Mohoric se le porterà dentro finché campa. Lui al Giro di Svizzera non c’era, ma quando ha vinto la tappa di Novo Mesto al Giro di Slovenia e l’ha dedicata a Gino Mader, le sue dita puntate al cielo hanno forse tenuto a bada l’emozione. Ma il Tour è un’altra cosa. In un Tour così veloce, tutto viene spinto all’estremo. La fatica. La fiducia e la sfiducia. Tutto può essere esaltazione e sofferenza. Le sue parole dopo il traguardo in parte le avevamo riportate ieri, ma oggi vogliamo leggerle più in profondità. In qualche misura ci hanno convinto a farlo le parole di Bennati, sul fatto che Mohoric abbia vinto prima con la testa e poi con le gambe. Che cosa voleva dire?

«Essere in grado di seguire l’attacco decisivo – ha raccontato lo sloveno – è stato come sbloccarsi. Quando Asgreen se n’è andato, non lo so, mi è parso così incredibilmente forte. Il giorno prima era andato all’attacco e aveva vinto la tappa, eppure era di nuovo in testa con la determinazione per rifare tutto da capo. E io davvero nei giorni scorsi ho sentito di non essere all’altezza. Invece questa volta l’ho seguito».

Il Col de la Loze è stato una sofferenza, Mohoric lo ricorda con dolore e smarrimento
Il Col de la Loze è stato una sofferenza, Mohoric lo ricorda con dolore e smarrimento
Quanto è duro questo mestiere?

E’ difficile e crudele. Soffri molto per allenarti, sacrifichi la tua vita, la tua famiglia e fai di tutto per arrivare qui pronto. E poi dopo un paio di giorni ti rendi conto che al Tour tutti sono così incredibilmente forti. A volte è difficile seguire le ruote. L’altro giorno sul Col de la Loze ero davvero completamente stanco e vuoto. Eppure sai che devi arrivare in cima, tagliare il traguardo e farlo di nuovo il giorno successivo.

Cosa ti spinge?

Guardo i ragazzi del personale che si svegliano alle 6. Vanno a correre per un’ora e finiscono il lavoro a mezzanotte. Stanno ogni volta a cambiarci le gomme o i rapporti, lo stesso i massaggiatori. Eppure certi giorni ti senti fuori posto, perché tutti sono così incredibilmente forti che fai fatica a tenere le ruote. Sapete a cosa ho pensato oggi per tutto il giorno? Speriamo che quel ragazzo là davanti che sta tirando soffra almeno quanto me…

Quando Asgreen è scattato, sei riuscito a prenderlo…

Sapevo di dover fare tutto alla perfezione e ho fatto del mio meglio. Non solo per me stesso, ma anche per Gino e per la squadra. A volte mi sono sentito quasi di averli traditi, perché non sono riuscito a vincere. E’ solo lo sport professionistico, tutti vogliono vincere. E ovviamente se volevo vincere anche io, dovevo prendere la ruota di Casper e poi provare a batterlo nella volata più corta, dentro gli ultimi 50 metri.

Dove hai trovato la determinazione?

Non lo so. Ho sempre detto che non voglio avere rimpianti quando torno al pullman della squadra. Lo so che non vinco spesso, perché non sono forte come gli altri. Però riesco a mantenere la calma e la concentrazione nei momenti cruciali (Bennati aveva ragione, ndr). E quando Asgreen ha fatto quell’attacco in salita, ho sofferto molto. Però sapevo che era una mossa decisiva e in qualche modo ho trovato la forza mentale per seguirli fino in cima e stare a ruota. Sono stato anche altruista. Ho cercato di dare il mio contributo per tenere lontano il gruppo, perché se non lo avessi fatto, non saremmo arrivati.

Nel gruppo c’era anche il tuo compagno Ben Wright.

A un certo punto mi è dispiaciuto per lui, perché sapevo che non avrebbe avuto possibilità allo sprint, ma ha comunque insistito per portare avanti la fuga, perché anche lui voleva vincere. Quando negli ultimi metri ha attaccato, perché sapeva che era la sua sola possibilità, ero sicuro che Kasper avrebbe reagito perché era di gran lunga il più veloce. E io ho semplicemente seguito la sua ruota e praticamente mi ha lasciato passare. Non ho uno sprint forte, ma dopo una giornata difficile come questa, non si sa mai. E adesso sono felice per me stesso, per la squadra e per tutto quello che è successo nell’ultimo mese.

Il giorno di Mohoric è un assaggio di mondiale

21.07.2023
5 min
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Mohoric non la finisce di piangere, in questo giorno francese che ha visto in prima fila gli uomini del mondiale. L’hanno detto tutti e in tutte le salse. Davanti alla corsa c’erano i migliori cacciatori del mondo. E forse non è un caso che si siano trovati davanti dopo tre settimane di Tour e a due dal mondiale. Vuol dire che la condizione top è in arrivo.

«Essere un ciclista professionista – dice Mohoric – è difficile e crudele. Soffri molto nei preparativi, sacrifichi la tua vita, la tua famiglia e fai di tutto per arrivare qui pronto. E poi dopo un paio di giorni ti rendi conto che tutti sono così incredibilmente forti. A volte è difficile seguire le ruote. L’altro giorno sul Col de la Loze ero completamente stanco e vuoto. Però vedi il personale che si sveglia alle 6 e finisce il lavoro a mezzanotte. E certi giorni ti senti di non appartenere a questo posto, perché tutti sono così incredibilmente forti che fai fatica a tenere le ruote. Sapete a cosa ho pensato oggi per tutto il giorno? Speriamo che quel ragazzo là davanti che sta tirando soffra almeno quanto me...».

Una tappa vinta e un mondiale vinto: Pedersen esce dal Tour in grandissima condizione
Una tappa vinta e un mondiale vinto: Pedersen esce dal Tour in grandissima condizione

Dal Tour a Glasgow

Bennati l’ha seguita da casa. Il tecnico della nazionale sa che il tempo stringe. La squadra sarà fatta dopo il Tour de Wallonie, ma sarà resa nota il primo agosto nella conferenza stampa nell’Autodromo del Mugello. Ai corridori lo dirà prima, ma solo perché i prescelti per la sfida di Glasgow a quel punto saranno già in ritiro. Sarà un mondiale strano. Serve gente che attacca, come oggi Trentin e Bettiol, Pedersen e Van der Poel, oppure Alaphilippe, Asgreen e Mohoric. Ma serve anche un velocista da tenere nel taschino casomai si arrivasse in volata. E noi il velocista ancora non l’abbiamo. Nizzolo correrà il Wallonie, ma sinora ha fatto vedere poco. Viviani si è praticamente chiamato fuori. Gli altri sono spariti.

Bettiol ha superato qualche problema di allergia e nella tappa di Poligny è parso brillante
Bettiol ha superato qualche problema di allergia e nella tappa di Poligny è parso brillante
Da osservatore interessato, come hai visto la tappa di oggi?

Ho visto molto bene Matteo e poi anche Alberto. Trentin era già nella fuga di 7-8 quando a Politt si è rotta la catena. Alberto è stato il primo a rompere gli indugi e cercare di rientrare. Insomma, da lì si è rotto definitivamente il gruppo. Inizialmente c’era anche Oss, che però in finale è saltato. Vuol dire che stanno finendo il Tour in crescendo. Bettiol ha avuto problemi di allergia e sta recuperando. Trentin è caduto la seconda tappa e aveva problemi al ginocchio, che però sembrano alle spalle…

Oggi si sono visti uomini da mondiale?

E’ stato comunque un bel test, dopo quasi tre settimane di un Tour corso a livelli stratosferici. Hanno fatto anche oggi quasi 50 di media e c’era davanti gran parte di quelli che si giocano le classiche più importanti. E’ una giornata che deve dare morale a loro. Il Tour è la vetrina più importante. Finisce solamente a due settimane dal mondiale, quindi sappiamo benissimo che i protagonisti probabilmente usciranno da qui.

Tappa vinta ieri a Bourg en Bresse, secondo oggi: Asgreen sta tornando ai suoi livelli
Tappa vinta ieri a Bourg en Bresse, secondo oggi: Asgreen sta tornando ai suoi livelli
E il tuo morale invece?

Il mondiale dello scorso anno mi ha dato la consapevolezza che se anche ci sono tre o quattro elementi sulla carta molto più forti di noi, nella corsa di un giorno ce la dobbiamo giocare ad armi pari. Correndo in una certa maniera, da intelligenti, senza farci mai sorprendere. Bisogna cercare di essere sempre in vantaggio, di non rincorrere.

Quando darai i nomi?

Ai ragazzi la darò prima, perché dal 30 luglio saremo già in ritiro. Nel frattempo aspetterò il Wallonie, perché ci sono diversi corridori che non hanno fatto il Tour. Ci sono Rota e Baroncini, ci sono Ballerini, Bagioli, Nizzolo, Oldani, Sbaragli. Il Wallonie sarà l’ultimo test importante. 

Trentin è stato il capitano dell’Italia lo scorso anno a Wollongong. A Glasgow ha vinto gli europei nel 2018
Trentin è stato il capitano dell’Italia lo scorso anno a Wollongong. A Glasgow ha vinto gli europei nel 2018
Oggi ha vinto Mohoric.

Uno di quei corridori che comunque vanno forte dappertutto. Sa guidare bene la bici, è molto intelligente, perché oltre che con le gambe, ha vinto anche soprattutto con la testa. In caso di brutto tempo, sa districarsi bene. Anche Van der Poel sta crescendo, ma lui è un caso a parte. Secondo me le tre settimane gli danno un po’ fastidio o comunque non rende come dovrebbe. Infatti anche oggi era lì, ma non brillantissimo. Però dopo il Tour, mi aspetto che voli. Lo stesso per Van Aert, che però quest’anno ha corso più pensando alla squadra.

Ce l’abbiamo il velocista da tenere lì in caso di arrivo allo sprint?

Il miglior Nizzolo e il miglior Viviani sarebbero andati da Dio, però non si vedono da un po’ a quel livello. Per giustificare la convocazione servono anche i risultati e il coraggio di prendersi la responsabilità di un certo ruolo. E comunque se non hai il velocista, puoi sempre fare affidamento su Trentin, che dopo 270 chilometri un risultato lo può fare. E poi c’è da dire un’altra cosa…

Magari nella Soudal-Quick Step il clima per lui non è dei migliori, ma Alaphilippe sta crescendo
Magari nella Soudal-Quick Step il clima per lui non è dei migliori, ma Alaphilippe sta crescendo
Quale?

Quando facevo il velocista, sapevo che venivo giudicato per le volate. Ogni tanto bisogna anche farle al vento. Magari parti e poi ti rimontano e va bene, però se le fai sempre a ruota, non migliori mai. Io non ero nessuno, ma le volate a volte le vincevo, a volte le perdevo, a volte mi passava solo uno, a volte mi passavano due o tre. Un velocista ogni tanto deve provare a fare la volata. Noi purtroppo abbiamo velocisti che sono fermi o non fanno le volate e così è difficile considerarli.

Milan ci sarebbe stato bene?

Sarebbe stato l’uomo su cui puntare in caso di volata. E’ giovane e ha dimostrato che se si arriva in gruppo è forte. Lo tieni lì e, se non succede niente e arrivano 50 corridori, lui c’è e avrebbe anche gli uomini per aiutarlo. Ma il mondiale è fatto così, pista e strada sono praticamente insieme, per cui dovremo fare senza di lui.

BePink Gold, la nuova maglia di ReArtù raccontata da Vitillo

21.07.2023
5 min
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I capi creati da ReArtù sono il frutto della lavorazione artigianale di tessuti speciali e di macchinari moderni. Etica, reciprocità, responsabilità, sono alla base del modo di interpretare l’attività agonistica del team BePink Gold nel rispetto delle regole, nell’accettazione dell’altro, nella condivisione dell’impegno e dei risultati.

L’unione di questi intenti e del concetto di performance ha dato alla luce alla maglia da gara della BePink Gold, firmata ReArtù. Per la realizzazione di questo approfondimento ci siamo affidati per il lato tecnico di Paolo Castellucci titolare del maglificio romagnolo e a Matilde Vitillo (foto di apertura) portacolori della formazione femminile italiana.

La nuova maglia ha fatto il suo esordio al Giro Donne, qui Prisca Savi
La nuova maglia ha fatto il suo esordio al Giro Donne, qui Prisca Savi

Parola a Matilde Vitillo

Dal laboratorio al campo si sa è sempre un passaggio non scontato. La rendita sulla carta deve avere sempre un riscontro da parte degli atleti. Matilde Vitillo ha iniziato ad utilizzare la nuova maglia in occasione del Giro d’Italia Donne di quest’anno. Per la classe 2001, la stagione 2023 non è partita nel migliore dei modi con una mononucleosi e la toxoplasmosi che hanno compromesso la prima metà dell’anno. Quando ci risponde Matilde è a Livigno in ritiro con la nazionale in vista dei prossimi appuntamenti internazionali. 

«Ho iniziato – racconta la Vitillo – ad usare la nuova maglia al Giro Donne e devo dire che mi sono trovata bene fin da subito. Le temperature erano spesso sopra i 30 gradi. Sicuramente la traspirazione è un aspetto che mi ha colpito molto. E’ una maglia che si adatta benissimo agli sbalzi termici. E’ leggera e confortevole e si adatta benissimo al corpo. I tessuti combinati sono come una seconda pelle. L’aerodinamica è un altro aspetto che apprezzo molto, non ci sono svolazzamenti o pieghe fastidiose».

Nuova colorazione subentrata con lo sponsor Gold nel 2023. Vitillo è la prima da sinistra, poi Zanardi
Nuova colorazione subentrata con lo sponsor Gold nel 2023. Vitillo è la prima da sinistra, poi Zanardi

Su misura

Ogni taglio di tessuto deve essere pensato per essere come una seconda pelle sul corpo delle atlete. Per la realizzazione di questa maglia ReArtù ha assecondato ogni richiesta del team. Tra queste la doppia configurazione del colletto. Così come il fitting dedicato alle misure delle cicliste del team BePink Gold. La Vitillo ci porta ancora più a fondo alla scoperta di questa maglia. 

«Ci è stata fornita – spiega – con due differenti colletti. Uno è il classico, il nostro è in particolare rosa. L’altro invece è radente al collo, quindi lascia molta più libertà e freschezza. Io preferisco quest’ultimo perché mi da sensazioni di libertà. La maglia è ovviamente pensata per il corpo femminile. Si vede che c’è un taglio realizzato ad hoc da ReArtù per noi. Questo permette alla maglia di rimanere sempre ferma e aderente. Anche se devo dire che in gara non ci si fa troppo caso. Se ci penso però non ricordo momenti in cui abbia mai sistemato la maglia. Con ReArtù collaboriamo da anni. I kit che utilizziamo sono ogni anno più tecnici e performanti».

Quattro tessuti

Quando si parla di prestazioni, i dettagli sono i marginal gains a cui ogni atleta aspira. Quando si parla di tessuti tecnici al giorno d’oggi ci sono requisiti imprescindibili. L’aerodinamica è tra questi uno degli elementi determinanti della rendita di un capo. Segue un altro aspetto fondamentale, il comfort d’utilizzo. Ora parola a Paolo Castellucci, titolare di Reartù. 

«Questa maglia – spiega Castellucci – è l’insieme di quattro tessuti, combinati strategicamente in base alla zona e alla rendita che devono avere. Davanti abbiamo un tessuto che si chiama leader. Un filato molto famoso. Le sue caratteristiche predominanti sono la leggerezza e la traspirazione. Si asciuga molto in fretta ed è ideale per le gare lunghe e allenamenti con temperature alte. Per aumentare la traspirazione è stata installata una rete traforata sui fianchi e nei sottomanica. Questo permette di avere un body mapping studiato nel dettaglio. Queste parti sono quelle che devono rimanere più areate possibili. 

«Dietro abbiamo un filato in carbonio – prosegue – che è un po’ più sostenuto. Si traduce in una trama un po più “pesante“ che filtra i raggi del sole e crea una protezione maggiore. Tutto conservando un’ottima espulsione del sudore. Un esempio di aerodinamica invece è il tessuto delle maniche. E’ leggero ed elastico e con del silicone nella parte interna per evitare fastidiosi movimenti. La trama rende la manica estremamente filante e liscia alle alte velocità».

La maglia in gara viene alternata con l’utilizzo del body. A sinistra Silvia Zanardi
La maglia in gara viene alternata con l’utilizzo del body. Al centro, Silvia Zanardi

Vestibilità e comfort

Come riportato da Matilde Vitillo, il fitting di questa maglia è un vero e proprio pregio. Così come il comfort. Le cuciture della maglia ufficiale BePink Gold hanno una costruzione pensata per un utilizzo prolungato e ad alta intensità. 

«Come cuciture – conclude – abbiamo le quattro aghi colorate, con struttura piatta. Sono comode e non creano nessun tipo di fastidio a contatto con la pelle e con altri tessuti. Sono inoltre, resistenti e si mantengono nel tempo. Per migliorare il comfort oltre alla scelta accurata dei tessuti abbiamo fatto un taglio apposta per le ragazze, che è molto più aderente e sfiancato in vita e in modo che sia tutto più su misura. Non è il taglio classico che si può trovare nelle maglie “normali”. Questo permette alle atlete di avere una seconda pelle addosso, fresca e asciutta sempre».

La maglia Be Pink Gold è già disponibile presso il negozio di ReArtù di Forlì e prossimamente sarà disponibile sul sito online. 

Cozzi, un diesse dei pro’ tra gli U23. Come va la sua Tudor?

21.07.2023
5 min
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VERRAYES – Un direttore sportivo dei professionisti tra i dilettanti, o meglio tra gli under 23. E’ Claudio Cozzi, tecnico della Tudor Pro Cycling, incontrato sulle strade del Giro della Valle d’Aosta. La sua ci è sembrata una presenza insolita. E forse lo è stata anche per lui. Di certo Cozzi è interessato e divertito da questa “nuova” esperienza con la continental del suo gruppo.

Claudio Cozzi (classe 1966) direttore sportivo della Tudor, per l’occasione in ammiraglia con gli U23
Claudio Cozzi (classe 1966) direttore sportivo della Tudor, per l’occasione in ammiraglia con gli U23
Claudio ma cosa ci fai qui?

Eh – ride Cozzi – è una nuova avventura. E’ la prima volta che li guido in corsa. Non conoscevo bene i ragazzi. Li avevo visti solo qualche volta in allenamento questo inverno in ritiro. Sono molto soddisfatto perché hanno una buona mentalità e soprattutto noto che cercano di correre bene.

Come sta andando questa stagione per voi Tudor in generale? Siete nuovi come team professional, più esperti tra gli under 23.

Penso che abbiamo iniziato bene. Abbiamo anche ottenuto qualche risultato importante già prima di quello che ci aspettavamo. Sapevamo che non sarebbe stato un anno facile partendo con solo qualche ragazzo di esperienza e tanti giovani. Sapevamo che c’era da lavorare e che li avremmo dovuti aspettare e portarli nella giusta direzione.

De Kleijn, Pellaud che è tornato alla vittoria, Voisard… un bel colpo per essere al primo anno tra le professional.

Sì, sì, ma infatti va bene così. De Kleijn è stata una grandissima sorpresa per me, perché lo conoscevo poco, ma è davvero un buon velocista che può migliorare ancora un po’.

Primo anno tra le professional per la Tudor e già 8 vittorie, 3 delle quali firmate dal potente sprinter olandese De Kleijn
Primo anno tra le professional per la Tudor e già 8 vittorie, 3 delle quali firmate dal potente sprinter olandese De Kleijn
Le grandi squadre hanno tutte il team development e anche voi siete qua con la squadra under 23: ma è davvero così importante crearsi un bacino interno?

La maggior parte dei ragazzi che abbiamo noi in prima squadra vengono dalla development. E’ una bella realtà che li porta a crescere nel modo giusto e ad arrivare al momento opportuno al  professionismo. Per quanto riguarda i nostri, soprattutto quelli impegnati al Valle d’Aosta, dobbiamo aspettare un po’ perché sono di primo o di secondo anno. Quindi hanno 19 o 20 anni. Sono ragazzini, ma hanno voglia di imparare.

Hai detto che hanno una buona mentalità e voglia d’imparare. Spiegaci meglio.

Sono interessati, curiosi, fanno domande. Per esempio il Valle d’Aosta è un’università per i giovani che devono fare esperienza. E’ una gara dura, esigente anche nelle discese. Una gara che richiede sacrifici… però quando escono da qua lo fanno con un buon bagaglio. Ci mettono della memoria e delle buone informazioni per crescere. Al Valle, per esempio, era importante la gestione: sulle strade aostane se non sai amministrarti e vai oltre il tuo limite ci metti un attimo a perdere tanti minuti. E con loro ho spinto molto su questo aspetto.

Cosa può dare un diesse abituato al grande professionisti ai ragazzi?

Per prima cosa ho cercato di conoscerli, ascoltando anche i consigli che mi ha dato il responsabile della squadra development. Poi parlando con loro, soprattutto prima di arrivare qua, ho cercato di capire il loro carattere, il loro modo di stare in corsa, le loro qualità, le loro caratteristiche. E per ognuno di loro abbiamo stabilito un programma per la corsa, con una strategia che hanno seguito perfettamente. E questo mi piace perché corrono come squadra, si aiutano. A turno vengono a prendere le borracce… e lo fanno nei momenti gusti, senza sprecare energie.

I Tudor al centro della foto (di A. Courthoud) si sono ben comportati al Valle d’Aosta. Donzé ha chiuso 15° nella generale
I Tudor al centro della foto (di A. Courthoud) si sono ben comportati al Valle d’Aosta. Donzé ha chiuso 15° nella generale
La vecchia scuola…

Ogni sera parliamo e dopo aver fatto il briefing del mattino prima della corsa li vedo molto attivi: chiedono, si informano, vogliono sapere cosa è meglio fare in quel punto, dove è meglio prendere le borracce, cosa fare in quest’altro punto…

Quindi vale anche il contrario: sono loro che danno a te?

Credo proprio di sì. Sono tutti ragazzi molto intelligenti, non è come quando ho iniziato io, che c’erano pochi i laureati. Ma non perché all’epoca erano stupidi, ma perché c’erano meno possibilità e si cresceva prima per certi aspetti. Loro invece hanno più di possibilità di studiare, pertanto si ha a che fare con persone che hanno una certa cultura e bisogna saperli approcciare. Ho 57 anni, ma devo tornare a quando ne avevo 25 per cercare di relazionarmi con loro veramente. Devo aggiornarmi, essere al passo coi tempi. Una volta ci dicevano: “Tu fai così”. E noi zitti e muti. Oggi invece gli devi spiegare perché devono fare così.

Claudio, hai detto che per ognuno di loro avete studiato un programma. Cosa significa? Ci fai un esempio?

Per esempio Robin Donzé è un buon climber. Gli ho detto: “Questa settimana, proviamo a vedere dove puoi arrivare. Ci poniamo una top 20 per tutte le tappe di salita. Impara a gestire la corsa. Quando sei in salita e sei al limite, cala qualche watt e prendi il tuo passo. Se ne hai, negli ultimi 2 chilometri vai full gas”. Ebbene, questo ragazzo tutti i giorni ha fatto questo e spesso negli ultimi due chilometri ha recuperato posizioni. Sto cercando di insegnarli a conoscersi sostanzialmente.

Elia Blum a inizio luglio è diventato campione svizzero U23, prima vittoria di peso per la Tudor U23
Elia Blum a inizio luglio è diventato campione svizzero U23, prima vittoria di peso per la Tudor U23
Un lavoro di pazienza e mirato al lungo termine?

Esatto, vederlo nei primi 15 finali è stato un buon obiettivo, tanto più che è la prima volta che questi ragazzi affrontano un percorso simile con altimetrie che superano abbondantemente i 3.000 metri di dislivello. 

In effetti quest’anno sono andati molto forte: ti aspettavi un livello simile in questa categoria?

Premessa, io sono un appassionato di ciclismo, quindi quando sono a casa vado a vedere gli allievi, gli juniores, gli under 23, poi leggo, mi informo… Vedo gli ordini d’arrivo, i dati e mi aspettavo un livello alto. Anche nei pro’, se togli quella manciata di fenomeni…

Quindi i soliti Roglic, Pogacar, Van Aert, Vingegaard e Van der Poel?

Esatto, tolti loro poi ci sono 50-60 corridori che sono quasi alla pari e possono giocarsi la corsa. Segno che il livello medio si è alzato per i discorsi che facciamo sempre: materiali, vestiario, alimentazione… Penso all’allenamento: una volta era generalizzato, adesso è specifico per ogni corridore. E questo discorso vale anche qui in parte.