Lubiana. Partenza della quarta tappa del Giro di Slovenia. Facce funeree nella zona dello start e non potrebbe essere altrimenti. La scomparsa di Gino Mader è arrivata come un tornado non solo nella carovana, ma nel cuore di tutti. Per qualcuno però, nello specifico Simon Pellaud, ha un significato maggiore, perché con Gino c’era tantissimo in comune, pezzi interi di vita, battute, risate. Quando condividi qualcosa d’importante, è come se te lo strappassero via.
Simon è un professionista, correre è il suo lavoro e anche se chi lo conosce (nel team in primis, affranto e vedremo il perché) capirebbe se non se la sentisse di partire, è lì, in sella alla sua bici. Le labbra strette in una smorfia. Il pensiero che vaga lontano, la voglia di lasciare un segno, fare qualcosa per ricordare l’amico scomparso lontano, troppo lontano per assisterlo.
Un gesto simbolico
La tappa parte e Pellaud si avvicina a Zana, leader della classifica: «Filippo, voglio andare in fuga per qualche chilometro, devo fare una cosa per Gino…». Il veneto dà naturalmente il suo benestare, Pellaud parte e nessuno lo segue. Le immagini della Tv riprendono la sua azione. Pellaud è uno che alle fughe è abituato, al Giro d’Italia dello scorso anno attaccava un giorno sì e l’altro pure, ma questa non è come le altre.
E’ in quei pochi ma importanti chilometri che Simon lascia defluire tutte le emozioni. Indica la fascetta di lutto al braccio, fa con le mani il gesto del cuore e indica il cielo pronunciando poche parole che nessuno sente. Almeno nessuno qui… Poi si lascia riassorbire dal gruppo, in tanti lo abbracciano cogliendo il suo dolore.
Le gambe c’erano, la testa no…
«Non c’era niente che avesse a che fare con lo sport – racconta il corridore elvetico della Tudor – non ho pensato neanche a come stavo, perché le gambe c’erano, ma la testa assolutamente no e non so neanche come ho fatto a finire quella tappa. Ho sentito l’ispirazione per salutare Gino a modo mio, era qualcosa fra me e lui.
«In quei minuti di fuga non potrei neanche dire se stavo pensando qualcosa di particolare, diciamo che mi sono passati davanti agli occhi tanti momenti condivisi insieme. Forse solo in quel momento mi sono un po’ riavuto, quando il giorno prima i diesse ci hanno chiamato per darci la notizia è stato un terribile schiaffo in faccia, che non dimenticherò mai».
L’amicizia nata in trasferta
Le storie ciclistiche di Simon e Gino si erano intersecate nel 2018, al team Iam Excelsior, squadra continental svizzera. Mader vi sostò poco, passando l’anno successivo all’NTT Dimension Data, ma bastò quella stagione per legarli in una profonda amicizia. «Abbiamo corso molto insieme, il che significa condividere camere d’albergo, le emozioni e le paure prima della gara, le gioie o le delusioni del dopo e in mezzo tante chiacchiere e soprattutto la storia di una bici…».
Nel raccontare quest’episodio si percepisce fortemente l’emozione legata al ricordo dell’amico che non c’è più: «Un giorno Gino mi confida che ha deciso di comprare l’ultimo modello di Specialissima della Bianchi: “Ho chiesto al team di aiutarmi, la spesa è ingente, ma è un investimento per il mondiale di Innsbruck, è una bici migliore, ma mi dà le prestazioni che voglio”. Il team acconsente e Gino la compra, ci si allena, va in Austria e al mondiale finisce ai piedi del podio.
«L’anno successivo, quando torno in Europa dalla mia Colombia (Pellaud è sempre rimasto molto legato alle sue radici familiari colombiane e affronta parte della sua preparazione invernale oltre Atlantico, ndr) Gino ha già firmato per il team WorldTour. Mi chiama e mi dice se voglio quella bici: “Gino, costa troppo, non posso permettermela”. “Voglio che ce l’abbia tu, come segno della nostra amicizia” e me la dà a un prezzo stracciato, assurdo per la qualità di quella bici. Con quella l’anno successivo ho vinto la classifica degli scalatori al Romandia, ho trionfato alla Fleche Ardennaise, sono finito secondo ai campionati nazionali».
Un legame indissolubile
«Ma non è il valore dei risultati, è il significato di quella bici, di quel gesto che mi è caro, è il segno della sua generosità, di chi era davvero Gino. Quella bici ce l’ho ancora e niente me ne potrà separare».
Nel ripensare a chi era Gino, non è facile trovare le giuste parole per descriverlo: «Viveva un po’ nella sua dimensione, sembrava quasi assente, ma era il suo modo per affrontare il mestiere. Era sempre concentratissimo su quel che faceva e soprattutto viveva la sua attività in maniera sempre tranquilla, tirando fuori il sorriso anche nei momenti difficili. Era il tipico svizzero tedesco, ferreo e determinato in quel che faceva, convinto delle sue idee».
Il viaggio in Cina
«Porto con me i ricordi della bellissima trasferta vissuta insieme al Tour of Hainan in Cina, sempre nel 2018, quando perse la vittoria finale per appena 2 secondi contro Masnada. Era comunque felice perché entrambi avevamo vinto una tappa, avevamo condiviso qualcosa di raro come sempre è una trasferta cinese, sono ricordi che resteranno sempre».
L’indomani della terribile notizia, era evidente come in casa Tudor la si vivesse con un trasporto enorme e la risposta la dà lo stesso Simon: «C’era la possibilità che a fine stagione arrivasse qui, sarebbe voluto venire per fare il leader, per puntare a quei grandi traguardi per i quali era ormai maturo. Avevamo ancora tanta strada da fare insieme, tornando a vestire la stessa maglia, ma il destino ha voluto altrimenti e non ho potuto neanche condividere la sua ultima corsa…».