Franzoi, rinunciare al ciclocross dà davvero dei benefici?

15.12.2023
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Mettere da parte il ciclocross è una buona idea? Qui non parliamo di scelte di vita che tanti corridori (soprattutto italiani, purtroppo…) prendono, ma anche di opzioni tecniche: questo inverno lascio da parte l’attività sui prati per concentrarmi meglio e prima sulla strada, in modo da ottenere risultati migliori. C’è chi ha fatto una scelta radicale, come Persico, chi invece una parziale, come i tre tenori, due dei quali però hanno già detto che ai mondiali non ci saranno.

Qualche giorno fa il saggio Martino Fruet aveva detto che spesso fare questa scelta netta non porta poi gli effetti sperati (se andiamo a guardare bene, il discorso fra stradisti e biker non cambia poi di molto). Noi abbiamo voluto saperne di più parlando con quello che forse è stato l’ultimo grande interprete azzurro della specialità sui prati, almeno a livello elite: Enrico Franzoi.

Franzoi oggi ha 41 anni, ma ancora corre nel gravel. Eccolo con la maglia iridata U23 del 2003 (foto Facebook)
Franzoi oggi ha 41 anni, ma ancora corre nel gravel. Eccolo con la maglia iridata U23 del 2003 (foto Facebook)
Tu hai mai operato un taglio così drastico?

No, sia perché amavo troppo il ciclocross che per me aveva un valore almeno identico alla strada, sia perché non lo ritenevo necessario, ma è vero che con l’intensificarsi dell’attività su strada dovevo fare delle scelte. Ricordo ad esempio il 2006: avevo chiuso la Vuelta e poi corso su strada ancora fino a metà ottobre. Tirai avanti nel ciclocross fino a inizio novembre, poi presi una lunga pausa tornando in gara durante le Feste e gli effetti furono molto buoni.

Solo nel ciclocross?

No, a lungo termine. Sui prati vinsi a gennaio il titolo italiano e conquistai il bronzo mondiale, poi su strada esordii un mese dopo e raggiunsi il mio vertice durante le classiche del Nord, con una fuga di 30 chilometri nelle fasi calde del Giro delle Fiandre e conquistando l’8° posto alla Roubaix.

Il veneto in maglia Lampre alla Roubaix 2007, corsa da protagonista e chiusa all’8° posto (foto Wikipedia)
Il veneto in maglia Lampre alla Roubaix 2007, corsa da protagonista e chiusa all’8° posto (foto Wikipedia)
Ti costò quella scelta?

Beh, io ero solito fare almeno 35 gare di ciclocross tra nazionali ed estere, proprio perché per me era un’attività primaria, ma poi su strada pagavo regolarmente pegno. In quel modo invece ebbi una gestione molto più mirata.

Quindi sei d’accordo con la scelta dei tre tenori di non abbandonare del tutto il ciclocross, ma di disputare poche selezionate gare…

Per me fanno bene vista l’attività e il prestigio su strada, ma va anche detto che le modalità di calendario sono molto cambiate da un po’ di anni, come è cambiato il movimento nel suo complesso. Un tempo chi faceva ciclocross e strada ad alto livello era visto come una mosca bianca soprattutto in confronto a chi abbinava l’attività invernale alla mtb, ora le proporzioni si sono invertite. Io comunque trovai quella formula indovinata, mi consentiva di recuperare sia d’inverno che nei mesi caldi, infatti dopo le classiche del Nord riprendevo con il Delfinato.

Van Aert ha esordito quest’anno con una vittoria nel cross di Essern. Poche però le sue gare di CX (foto Jacobs/Getty Images)
Van Aert ha esordito quest’anno con una vittoria nel cross di Essern. Poche però le sue gare di CX (foto Jacobs/Getty Images)
Van Aert sabato non sarà alla “sua” gara perché bloccato in Spagna al ritiro prestagionale. Era così anche per te?

Quando correvo io, si cominciò a seguire questa direttiva: a dicembre si va in ritiro e anche i ciclocrossisti devono attenersi. Noi eravamo i primi e devo dire che fu un’esperienza utile. Ricordo che andammo due settimane a Terracina e fu un periodo di grande lavoro, con molti chilometri nelle gambe. Ma quando tornai al ciclocross, vidi subito che andavo come una scheggia perché avevo acquisito una condizione fisica davvero invidiabile.

Noi viviamo nell’era della multidisciplina, i ragazzi più giovani amano differenziare, ma molti vogliono operare proprio quella scelta di prendersi un “inverno sabbatico”. Tu in base alla tua esperienza che cosa ne pensi?

Dipende dai ragazzi, da quello che ognuno si sente. A me non pesava fare la doppia attività, anzi io preferivo correre tanto e riconosco che quelle scelte, che poi mi avrebbero favorito, all’inizio le accolsi senza molto entusiasmo… Gareggiare mi faceva bene, era un modo per tenere vivo lo spirito agonistico.

Per la Persico un inverno senza ciclocross, dettato dalla preparazione che guarda anche alle Olimpiadi
Per la Persico un inverno senza ciclocross, dettato dalla preparazione che guarda anche alle Olimpiadi
Sono le stesse parole che ci ha confidato Federica Venturelli, che quest’anno per la prima volta salterà la stagione invernale…

Anche lei ha uno spiccato senso agonistico da nutrire. Lei fa molte attività, quest’anno cambia di categoria, è anche comprensibile che debbano essere prese misure nuove e diverse. Ripeto, io al cross ho sempre puntato parecchio e non avrei potuto rinunciarci in toto, anche se è capitato di ridurre i miei impegni. Ma qualche gara va bene per tenere il motore in funzione, fare qualche uscita estemporanea secondo me non fa male, anzi, lo fa persino Pogacar

Padun riparte dall’Italia con qualche nodo da sciogliere

15.12.2023
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Mark Padun è appena rientrato da un allenamento lungo, sotto l’acqua e un bel freddo. Andorra in questi giorni mostra la sua faccia e dopo tanto girare in cerca di caldo, l’ucraino ha fatto ritorno alla base per preparare la valigia e raggiungere a breve il ritiro toscano del Team Corratec. La squadra di Frassi e Parsani, con l’astuta regia di Citracca, ha raccolto un gruppetto di corridori molto solidi, guidati da Valerio Conti che già c’era. Accanto al romano sono arrivati Sbaragli e Mareczko, Bonifazio e ora Padun, per un peso specifico che raramente questo gruppo aveva raggiunto negli ultimi anni.

L’ucraino è un pezzo di pane, un ragazzo buono di 27 anni, che per caratteristiche atletiche meriterebbe ancora un posto nel WorldTour. Negli ultimi quattro anni ha corso con la Bahrain e poi con la EF Education, uscendo progressivamente dai radar.

Il 2023 di Padun è andato via fra prestazioni senza grossi spunti
Il 2023 di Padun è andato via fra prestazioni senza grossi spunti

Un motore potentissimo

Il suo preparatore dice di aver visto raramente un motore così potente e che, proprio per questo (indicando tra i fattori da tenere in considerazione anche il peso: Padun è alto 1,83 e pesa 67 chili), chi non lo conosce bene rischia di fargli prendere strade tecniche sbagliate. Forse è proprio questo quel che è successo nelle ultime due stagioni nel team americano. Padun infatti è arrivato forte al 2022 dopo il primo inverno, poi è andato sempre in calando. Dove è finito il corridore che vinse due tappe al Delfinato del 2021 e poi, escluso dalla squadra del Tour, andò fortissimo alla Vuelta?

Su quell’esclusione si parlò molto, ma la Bahrain Victorious volava e quando si trattò di fare la squadra per la Francia, la mannaia si abbatté su Mark, che non la prese affatto bene. I corridori guidati in quell’occasione da Rolf Aldag vinsero tre tappe (due con Mohoric e una con Dylan Teuns), per cui in breve del malumore di Padun si smise di parlare. Lui invece non dimenticò. Fece una Vuelta stellare, aiutando Gino Mader a conquistare la maglia bianca. E a fine anno cambiò squadra.

Giro del Delfinato 2021, Mark Padun vince le ultime due tappe: prima a La Plagne, poi a Les Gets
Giro del Delfinato 2021, Mark Padun vince le ultime due tappe: prima a La Plagne, poi a Les Gets
A parte la vittoria al Gran Camino a inizio 2022, le cose non sono andate troppo bene. Come mai?

Ho avuto problemi e sfortuna. Non sono più riuscito a trovare il mio ritmo. Un paio di volte ho sentito di avere una super gamba, ma in quei casi ho avuto forature, cadute ed episodi sfortunati. Alla EF mi sono trovato bene, è una bella squadra, con bravi preparatori e un bel personale. Non posso dire che sia dipeso da loro, ma qualcosa non ha funzionato.

Come si fa a perdere completamente lo smalto?

E’ la domanda più grande. Per questo sto lavorando, per tornare al Mark Padun di due anni fa. Ho ripreso a lavorare con il mio vecchio preparatore. Finché ero in una WorldTour non poteva più seguirmi, perché anche lui lavora in una grande squadra. Adesso invece abbiamo ricominciato a collaborare.

L’ultima vittoria di Padun è la crono del Gran Camino 2022, vinta per 5″ su Herrada
L’ultima vittoria di Padun è la crono del Gran Camino 2022, vinta per 5″ su Herrada
Avete rimesso mano alla preparazione?

Siamo tornati al metodo di prima e le cose stanno andando meglio. Non può essere una coincidenza. Rivedendo il mio modo di lavorare, ci siamo resi conto che in questi due anni ho sempre esagerato con i carichi di lavoro. Arrivavo alle corse stanco e non era normale. Ora ho ripreso in modo diverso, con la quantità giusta e tanta qualità.

Il ritorno in una squadra italiana, anche se non WorldTour può essere l’occasione per rilanciarsi?

L’Italia ha segnato l’inizio della mia carriera. Sono stato per due anni in Colpack e ho vissuto da voi prima di trasferirmi ad Andorra. Mi piace la mentalità che avete e il fatto che le squadre sono grandi famiglie. E a me serve un ambiente sereno per fare quel che adesso mi preme. Ricostruirmi prima ancora di pensare a quali obiettivi raggiungere.

Il miglior piazzamento 2023 è stato il 3° posto a Forlì alla Coppi e Bartali, nel giorno della vittoria del compagno Healy
Il miglior piazzamento 2023 è stato il 3° posto a Forlì alla Coppi e Bartali, nel giorno della vittoria del compagno Healy
Hai avuto contatti con i nuovi compagni?

Non ancora. Ho parlato con Francesco Frassi e adesso non vedo l’ora di incontrarli al primo ritiro (la squadra si radunerà per cinque giorni la prossima settimana a Viareggio, ndr). Quello che so è che troverò due professionisti ucraini, siamo gli ultimi tre rimasti nel gruppo e questa è una bella coincidenza. Il nostro ciclismo soffre, come la nostra gente. Tutti fanno il meglio possibile, ma non ci sono soldi e gli sponsor, che già non erano ricchissimi, hanno altro cui pensare.

Un quadro pesante…

I genitori non portano i bambini alle scuole di ciclismo, per cui il nostro sport si aggrappa ai Paesi come l’Italia e alla gente che cerca di aiutarci. Ci sono ragazzi e ragazze che vivono fuori dall’Ucraina e riescono a correre. Il vero buco ci sarà per le prossime generazioni. Ma quando c’è una guerra, capisci anche che lo sport viene dopo.

La maglia della nazionale: nel 2021 agli europei non valeva quanto ora, con il Paese in guerra. L’obiettivo è Parigi
La maglia della nazionale: nel 2021 agli europei non valeva quanto ora, con il Paese in guerra. L’obiettivo è Parigi
Come hai vissuto questo periodo di fatica e zero risultati?

Quando le gambe non vanno, ti vengono anche parecchi dubbi. Per fortuna che Training Peaks continuava a mostrarmi dei bei numeri, che ho fatto parecchi KOM e che ho avuto alcuni dei miei risultati migliori su segmenti di 20 e 30 minuti. Devo trovare il modo per diventare più consistente, di fare bene quello che so fare e puntare all’unico obiettivo che ora posso dire di avere in testa.

Quale sarebbe?

Non il Giro, anche se mi piacerebbe e mi piacerebbe che fossimo invitati. Penso alle Olimpiadi. Devo conquistarmi il posto facendo belle corse, ma penso che essere a Parigi sarebbe un bel modo per riprendere il filo del discorso e fare qualcosa di bello per il mio Paese.

Ciccone senza mezze misure: «Punto al Giro»

15.12.2023
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CALPE (SPAGNA) – «Vado al Giro d’Italia come si deve. Da capitano. Per la classifica». Finalmente un corridore che parla senza mezzi termini. Senza troppi giri di parole, schietto, diretto, come la sua terra: l’Abruzzo. Giulio Ciccone ci ha accolto così nel suo ritiro dicembrino in quel di Calpe. La Lidl-Trek  è in fermento. Come più volte abbiamo già scritto c’è un sacco di personale che corre da una parte all’altra. Meeting, riunioni, visite, set up… interviste.

Prima di sedersi a parlare con noi, Giulio cerca qualcosa da sgranocchiare sul banco della sala a noi riservata. Ci sono tutti prodotti messi a disposizione da Lidl, che poco prima ci ha offerto un pranzo gourmet preparato da una graziosa e preparatissima chef.

«Dopo il finale di stagione un po’ movimentato – anticipa Ciccone – ora tutto va bene e siamo qua operativi. Pronti a ripartire». L’entusiasmo non manca. Così come non manca la passione per le grandi corse a tappe. Una passione mai sopita in “Cicco”.

Ciccone (classe 1994) si appresta ad affrontare la 9ª stagione da pro’, la quinta col gruppo di Guercilena
Ciccone (classe 1994) si appresta ad affrontare la 9ª stagione da pro’, la quinta col gruppo di Guercilena
Di colpo l’anno scorso arriva un nuovo coach e dice che hai un motore enorme. Al Tour vai forte fino alla fine. Il Giro 2024 offre un’occasione importante e tutto cambia. Quindi al Giro cosa farai?

E’ la prima volta che proverò in maniera seria a fare classifica. Cercherò di sfruttare i mezzi della squadra, dello staff e tutto ciò che vi ruota attorno. E’ una sfida, una nuova sfida per me. Mi fido delle persone che lavorano con me, mi conoscono bene e sono state anche loro non dico a convincermi, ma a dirmi che si può fare.

Non è la prima volta che sei capitano, ma come hai detto tu stavolta è diverso: pensi di essere pronto?

Credo di sì, anche perché c’è la fiducia da parte della squadra. Lo scorso anno, nonostante i problemi proprio prima del Giro, ho dimostrato una certa solidità per tutta la stagione. Siamo un gruppo ormai affiatato e il progetto è condiviso da tutti. Questo non è solo il progetto di Giulio Ciccone. Ci sono tante persone dietro che lavorano. Non ci siamo svegliati da un giorno all’altro e abbiamo detto: «Andiamo a fare classifica al Giro».

Di questi tempi poi…

Chiaro, siamo consapevoli che ci sono tante cose da migliorare. E la prima che mi viene in mente è la cronometro. In tanti dicono: «Eh, ma al Giro ci sono molti chilometri contro il tempo». Ma come ripeto, c’è un lavoro dietro di molte persone e la sfida è anche questa. Siamo una famiglia: può sembrare una frase fatta, ma non lo è.

Hai toccato il discorso della crono. Il prossimo Giro ne propone quasi 70 chilometri. Ci state già lavorando? Hai fatto dei test anche per il body?

Sì, sì… ci stiamo lavorando sotto forma di test per valutare tutti i miglioramenti. L’intera struttura è già all’opera. Ho già svolto dei test in pista e ne farò altri. Poi ci sarà la galleria del vento: tutte cose nuove che non ho mai fatto prima.

L’abruzzese sa bene che dovrà lavorare molto per la crono
L’abruzzese sa bene che dovrà lavorare molto per la crono
In quale galleria del vento?

Non so se andremo in Olanda o altrove, stiamo valutando. Per ora abbiamo fatto i test con gli ingegneri su pista. E lì si lavora su tutto: sui materiali, sui body, sui manubri, sulla posizione chiaramente. Poi è chiaro, 70 chilometri sono tanti.

E poi quel giorno il tuo avversario non sarà Ganna, dai…

No, no! Però dovrò comunque dare il massimo e cercare di rimanere in linea con i miei avversari. Non devo vincere la cronometro, non devo arrivare nei primi cinque o dieci. Ma il bello di questo progetto è anche questo, perché c’è qualcosa in più che mi stimola. L’anno scorso avevo l’obiettivo di tornare a vincere e ci sono riuscito. A dimostrazione che se sto bene, le cose girano. Voglio alzare l’asticella. Non voglio mettermi pressioni da solo, però non mi pesa neanche dirlo e non mi va nemmeno di nascondermi.

Il buon Tour dell’anno scorso ha spinto un po’ in questa decisione? Ricordiamo che nella terza settimana, per difendere la maglia a pois, eri sempre davanti e hai speso molto.

Un po’ sì, diciamo che quello è stato un momento importante. Non è stato solo il Tour ad influire, ma l’intero anno. Ho sempre ottenuto buoni risultati e buone performance. Ho vinto anche al Delfinato e al Tour, ero ancora competitivo, nonostante comunque abbiamo dovuto cambiare i piani all’ultimo perché, ripeto, per me l’obiettivo l’anno scorso era il Giro.

Avevi preso il Covid dopo la Liegi…

E nonostante tutto sono riuscito a fare quello che volevo. Quindi è stata l’intera stagione che ci ha dato fiducia.

La bella prestazione all’ultimo Tour, con tanto di maglia a pois, ha incentivato l’idea di dare l’assalto al Giro
La bella prestazione all’ultimo Tour, con tanto di maglia a pois, ha incentivato l’idea di dare l’assalto al Giro
Il giudizio del tuo allenatore quanto pesa in tutto ciò?

Quello è stato un motivo che mi ha spinto ancora di più. Alla fine mi rendo conto delle persone importanti che ho intorno. E se certe cose me le dicono il preparatore e il mio manager, allora vuol dire che siamo pronti per provare a fare quello step in più. Inoltre adesso ho anche l’età giusta. Io ho sempre detto che mi rivedo nella vecchia generazione. Ormai tutti siamo abituati a vedere i ventenni spadroneggiare. E a 28 anni mi dicono: «Ma che cavolo fai»? Ma io vengo dal vecchio percorso delle categorie giovanili e in quel percorso le cose belle iniziavano a 27-28 anni.

Indurain, vecchia generazione, ha vinto il suo primo grande Giro a 27 anni…

Ognuno vede il ciclismo a modo suo. Secondo me adesso sono abbastanza maturo per poter provare quel qualcosa in più. Prima non lo ero.

Con le nuove teorie della crono, in cui si sta un po’ più alti con le mani, secondo te lo scalatore è un po’ avvantaggiato rispetto al passato,  quando invece si stava schiacciati e distesissimi?

Qui si apre un mondo infinito, è qualcosa di incredibile e non si tratta solo di posizione. Basta pensare che un copriscarpe o un guanto, una manica lunga piuttosto che una manica corta, ti possono far vincere o perdere. Non riesci a sentire questi effetti, ma alla fine della prova sono i numeri che parlano. Ormai è tutto studiato. Abbiamo non so quanti ingegneri che fanno questo lavoro: chi si occupa solo dei manubri, chi del vestiario, chi fa degli scanner in 3D… Quindi più che il potenziale e la tipologia del corridore, che ovviamente contano, se oggi riesci ad avere dei buoni parametri, un buon “contorno”, riesci a spingere.

Ciccone ha corso 11 grandi Giri, il miglior risultato è il 16° posto nel Giro 2019 (in foto), quando fu anche miglior scalatore
Ciccone ha corso 11 grandi Giri, il miglior risultato è il 16° posto nel Giro 2019, quando fu anche miglior scalatore
L’obiettivo è esprimere tutto il proprio potenziale, insomma.

Servono uno staff adeguato, il materiale giusto che ti permetta di esprimere quei numeri. Come succedeva a me in passato: i numeri in termini di potenza erano buoni durante le crono ed era inspiegabile che perdessi così tanto. Io spingevo, il problema è che la mia spinta non rendeva: mancava il contorno. 

Dopo quest’ampia parentesi sulla crono, che comunque avrà il suo bel peso, torniamo alla corsa rosa. Quale sarà il tuo avvicinamento?

Abbiamo inserito l’altura ad aprile sul Teide e in generale farò qualche gara di meno. Sarà tutto improntato sul Giro: preparazione, corse, altura, corse… Dovrei però fare la Liegi. L’ho chiesto io, perché mi piace molto. E’ anche un modo per arrivare già belli “cattivi” e rodati per per la partenza del Giro. Tanto più che sarà subito duro. C’è Oropa alla terza tappa.

Hai dato uno sguardo al percorso? Andrai a vedere delle tappe?

Sì, gli ho dato una bella occhiata. Molte salite le abbiamo già fatte, le conosco. Di certo andremo a vedere le crono. Il problema è che adesso con con le gare, i ritiri, le trasferte è difficile trovare il tempo. Ma piano, piano faremo tutto.

Vitillo, il rilancio parte dal devo team della Liv Alula Jayco

14.12.2023
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Il suo 2023 è stato al di sotto delle aspettative per una serie di circostanze, ma ora c’è un nuovo inizio alle porte. Il tempo della metabolizzazione di ciò che è stato lascia spazio a quello degli stimoli di ciò che verrà. Matilde Vitillo (in apertura foto Ossola) ha voglia di riscattarsi e lo farà con la maglia del Liv Alula Jayco Continental Team, formazione di sviluppo della WorldTour.

Le tre stagioni con la BePink-Gold sono servite alla ventiduenne astigiana di Frinco per crescere, scoprire le proprie potenzialità e trovare la vittoria l’anno scorso, anche con i colori azzurri. Il sigillo WorldTour di Aguilar de Campoo alla Vuelta a Burgos e i due ori in pista agli europei U23 sono i momenti più alti raggiunti da Vitillo, ma sono contemporaneamente anche il punto di ripartenza. Nel devo team australiano avrà la possibilità di migliorarsi ancora, cercando di ritagliarsi un po’ di spazio e magari – visto che i regolamenti lo permettono – di guadagnarsi per alcune gare la convocazione nella formazione maggiore. Inutile dire quanta soddisfazione si evinca dalle parole di Matilde per l’avventura che sta per cominciare.

Vitillo (qui con Borghesi) ha disputato tre Giri Donne, nei quali ha sempre cercato la fuga da lontano
Vitillo (qui con Borghesi) ha disputato tre Giri Donne, nei quali ha sempre cercato la fuga da lontano
Dopo un bel 2022, questa stagione non è andata come si pensava. Perché?

Onestamente speravo di fare un’annata molto migliore, ma me la sono dovuta giocare con tanti motivi concatenati fra loro. A febbraio non sono stata troppo bene e non sapevo il perché. Pensavamo inizialmente ad un accumulo di stanchezza. Marzo e aprile li ho passati con molti giorni di febbre, che mi ha obbligata a tanti stop con gli allenamenti. In questo caso pensavamo fosse un’infezione ai bronchi, però gli esami lo hanno escluso. Nel frattempo uscivo in bici o pedalavo sui rulli senza riuscire sempre a fare grandi sforzi o lunghe distanze. A maggio ho corso la Vuelta. Giorno dopo giorno notavo che stavo bene, pur facendo fatica e staccandomi. A fine gara, mi è tornata la febbre alta e quindi di nuovo ferma. Questo tira e molla è proseguito anche col Giro Donne e fino a fine stagione.

Quando sei riuscita a scoprire qual era il motivo che ti ha così fortemente condizionato?

E’ successo lo scorso settembre un po’ per caso. Ero nuovamente raffreddata e nel parlare con un chirurgo amico di famiglia, lui ha ipotizzato a cosa potessero essere dovuti i miei malanni. Alla fine dopo una visita, mi ha diagnosticato un’infezione ai turbinati che mi aveva abbassato le difese immunitarie, scatenandomi la febbre. A quel punto, dopo la mia ultima gara, abbiamo programmato l’intervento al naso. Ora sto decisamente meglio. Peccato averlo saputo così tardi.

Quanto ti è costato a livello morale non esserti potuta esprimere al meglio?

Tantissimo, perché era la mia ultima stagione da U23. Avrei voluto giocarmi meglio le mie carte e dare seguito ai risultati del 2022. Avevo sempre detto che dopo questa stagione, avrei voluto provare a fare nuove esperienze, però quando vedevo che non andavo come volevo ero un po’ sconsolata. Anzi, mi ero messa il cuore in pace e pensavo a come ricominciare quasi tutto da zero. Per fortuna che invece la Liv Alula Jayco è stata comprensiva, ha capito i miei problemi e mi ha concesso questa opportunità.

Come è nato il contatto con loro?

Molto del merito del mio passaggio lo devo al mio procuratore Massimiliano Mori, che mi segue dall’anno scorso. Lui sapeva cosa stavo vivendo e ha cercato le squadre giuste per me, anche se era difficile propormi vista questa mia discontinuità. Lui ha trovato un accordo con la Liv Alula Jayco, che stava creando pure un Devo Team. Loro si sono anche dimostrati quelli più interessati a me, facendomi un contratto di due anni. Avevo chiesto un parere anche a Letizia (Paternoster, ndr), che mi ha convinto ad accettare. Credo che possa essere la formazione più adatta a me e sono molto felice di aver firmato con loro.

A ottobre Vitillo è stata in crociera con Brufani, Crestanello, Savi, Bertolini e Basilico, sue compagne in BePink (foto instagram)
A ottobre Vitillo è stata in crociera con Brufani, Crestanello, Savi, Bertolini e Basilico, sue compagne in BePink (foto instagram)
Hai già conosciuto qualcuno della tua nuova squadra?

Sì, con un meeting via computer mi sono sentita con una buona parte dello staff. In particolare con Eric Van den Boom, che era il team manager nella Liv Racing e lo sarà del Devo Team, e con sua moglie Trudy che sarà la nostra preparatrice atletica. Con lei abbiamo già studiato una tabella da sviluppare in questo periodo in vista del ritiro che faremo a Calpe a gennaio.

I tuoi nuovi tecnici cosa vogliono da Matilde Vitillo?

Non ho fatto promesse (sorride, ndr). Diciamo che devo comunque ripartire da zero anche se mi sono accasata con loro. Non mi hanno chiesto nulla di particolare, vogliono farmi crescere ancora. Ed io sono ben felice di affidarmi a loro e fare di tutto per accontentarli. Personalmente vorrei colmare le mie lacune e tornare ad essere competitiva in salita e nella resistenza, che sono sempre stati i miei punti di forza fino all’anno scorso.

Quindi gli obiettivi quali saranno?

Voglio rifarmi e dimenticare il prima possibile questo 2023 così travagliato. Non ho in mente particolari obiettivi, magari evitare di commettere gli errori degli anni passati, anche relativamente alla salute. Guarderemo che calendario farò, però mi piacerebbe arrivare davanti nelle gare a tappe che correrò. Poi sicuramente un obiettivo sarà quello di poter fare qualche corsa col team WorldTour.

Vitillo ha vissuto un 2023 travagliato per motivi di salute, ma nonostante tutto in gara non si è mai risparmiata (foto Ossola)
Vitillo ha vissuto un 2023 travagliato per motivi di salute, ma nonostante tutto in gara non si è mai risparmiata (foto Ossola)
Cosa ti porti dei tre anni trascorsi in BePink?

E’ stato un periodo importante della mia vita. Ringrazio tutte le persone con cui sono stata a contatto. Le compagne con cui mi sono sempre trovata benissimo. Walter (Zini, il team manager) che pretende tanto, ma è bravissimo a prevedere tatticamente la gara e darti i giusti consigli. Mi ha insegnato a leggere bene i momenti decisivi e a non aver paura di tentare un’azione. Anche con Sigrid (Corneo, la diesse, ndr) ho avuto un bel rapporto. Lei ha un approccio diverso. Non ti mette pressioni, ma ti fa dare il massimo. Alla Vuelta a Burgos c’era lei in ammiraglia. Mi ha tranquillizzata durante il finale e credo di aver vinto la tappa per merito suo. Infine ci tengo a ringraziare anche Matteo Filipponi (altro diesse, ndr). Mi ha aiutato tanto a crescere sia atleticamente che personalmente. Mi ha trasmesso tanta fiducia, grazie alla quale sono riuscita ad averne di più in me stessa.

Rottura del crociato e ciclismo: una casistica molto rara

14.12.2023
4 min
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Sentito che Lara Vieceli si è rotta il crociato, a seguito di una caduta dove aveva subito una frattura del piatto tibiale, ci siamo incuriositi. Prima di tutto la rottura dei legamenti del crociato è un infortunio raro nel ciclismo (in apertura foto Alessio Biazzo). Per rispondere alle varie domande e per fare chiarezza su questo tipo di trauma siamo andati da Carlo Guardascione: medico del team Jayco-AlUla.

«Innanzitutto bisogna dire – parte a spiegare Guardascione – che la rottura del legamento crociato anteriore è estremamente rara nei ciclisti. Si tratta di un infortunio che colpisce maggiormente altre tipologie di atleti, come calciatori e rugbisti. Probabilmente Vieceli ha subito una rotazione innaturale del ginocchio in seguito ad una caduta. Per capirci meglio: le è rimasto il piede agganciato ai pedali e questo ha portato alla rottura del legamento. Il fatto che annessa ci fosse una frattura del piatto tibiale, mi porta a pensare proprio a questo».

Il dottor Carlo Guardascione, medico del team Jayco-AlUla
Il dottor Carlo Guardascione, medico del team Jayco-AlUla
Durante la pedalata non si può subire un infortunio del genere?

Impossibile, proprio a livello dinamico. Anzi, pedalare rinforza molto i muscoli che stabilizzano il ginocchio. E’ una delle terapie consigliate a chi subisce un intervento di ricostruzione del crociato. 

Vieceli però non si è operata subito, ma dopo un periodo di stop è tornata in corsa…

La frattura del piatto tibiale porta comunque ad uno stop di 6-8 settimane, dove la frattura deve essere curata. Questo vuol dire che prima si viene ingessati e poi si usa un tutore. 

La caduta ha provocato la rottura del piatto tibiale e la conseguente lesione del legamento (foto FisioScience)
La caduta ha provocato la rottura del piatto tibiale e la conseguente lesione del legamento (foto FisioScience)
Ma questo è possibile? Non si rischiano complicazioni?

In realtà no. L’attività ciclistica, come detto prima, viene usata per le riabilitazioni post operatorie. Continuare a pedalare con un crociato rotto è possibile e anche utile. Serve per mantenere il tono muscolare, in modo che si abbia un mantenimento. Maggior tono muscolare si ha prima dell’operazione più diventa facile il recupero post intervento. 

La pedalata risulta compromessa?

La forza si mantiene uguale e l’efficienza non cambia. L’unica cosa da controllare è che non ci siano versamenti di liquidi nel ginocchio. Se il ginocchio è asciutto, come si dice in gergo, pedalare non è un problema. Le uniche complicazioni possibili possono derivare da una caduta. 

Vieceli è tornata in sella tre mesi dopo la rottura del crociato e ha terminato la stagione
Vieceli è tornata in sella tre mesi dopo la rottura del crociato e ha terminato la stagione
Poi comunque ci si deve operare, però è possibile finire una stagione con un crociato rotto…

Sì, senza problemi. Considerate che un utente medio può vivere una vita normale anche senza il legamento anteriore del crociato. Per atleti professionisti l’operazione è sempre consigliata. 

La riabilitazione come procede?

Una volta ricostruito il legamento il paziente si muove con l’aiuto delle stampelle a causa del dolore e del gonfiore. Poi si passa a degli esercizi isometrici per il rinforzo della muscolatura di supporto. Per questo è importante fare attività anche con il crociato lesionato, chiaramente attività come nuoto o bici. Una volta tolto il tutore e le stampelle, si aumentano i gradi di flessione del ginocchio.

Pedalare da fermo, con cyclette o rulli, è una parte importante della riabilitazione post operatoria
Pedalare da fermo, con cyclette o rulli, è una parte importante della riabilitazione post operatoria
Quando si può tornare in bici?

Dalle 4-5 settimane post operazione si può tornare a fare il gesto della pedalata ed è consigliata la cyclette. Un atleta professionista torna ad una performance accettabile dopo quasi 6 mesi. Il ciclismo non è uno sport impattante, si possono accorciare i tempi di recupero, ma non di molto. 

E’ comunque un tempo lungo di stop.

Infatti finire la stagione e operarsi nel periodo di pausa aiuta a non perdere troppo tempo. Il crociato, una volta operato, ci mette un po’ a tornare al 100 per cento.

Alla scoperta di Sgherri, col permesso del professore

14.12.2023
5 min
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Quando si parla degli allievi si crea sempre molto rumore. E’ normale, è l’anticamera del ciclismo che conta, già da juniores c’è tanto in ballo e nel ciclismo odierno anche la dimensione ciclistica dei più piccoli sta cambiando, anticipando la loro crescita. L’esempio di Giacomo Sgherri è ideale in tal senso: basta parlarci qualche minuto e ci si accorge che è già molto più maturo dei suoi 16 anni. Verrebbe da dire che a livello di testa è già un corridore fatto e finito, anche se di chilometri ne deve fare ancora tanti, tanti…

Giacomo, corridore dell’Alma Juventus Fano, è uno dei tanti ragazzi che abbinano la scuola allo sport. «Ho chiesto un permesso al professore per l’intervista – esordisce il marchigiano che è al terzo anno dell’Istituto Agrario – devo dire che ho trovato molto supporto nella scuola, ma soprattutto in famiglia. So che a quest’età seguire un ragazzo con la passione del ciclismo significa anche avere notevoli esborsi economici. I miei genitori e i miei nonni mi seguono spesso. Mi accompagnano nel mio sogno e io sarò sempre loro grato per questo».

Il giovanissimo marchigiano ha già mostrato una grande propensione al sacrificio. E’ pronto a emergere (foto Facebook)
Il giovanissimo marchigiano ha già mostrato una grande propensione al sacrificio. E’ pronto a emergere (foto Facebook)
Tu hai avuto una stagione molto buona, con 6 vittorie (nella foto di apertura nonsoloflaminia.it quella al Trofeo Giuliano Renzi) e un totale di 14 top 10 girando un po’ tutta l’Italia. Sei soddisfatto?

Nel complesso sì, anche se non è stata semplice, ci sono stati molti alti e bassi. Inoltre a inizio giugno mi sono anche rotto il radio, ma il fatto di essere tornato a emergere a fine stagione con la vittoria alla Mare e Monti e il terzo posto nel Memorial Forconi di ottobre mi ha dato molta soddisfazione.

Parlando di allievi viene sempre difficile occuparsi di vittorie e risultati perché dovrebbero essere altri i valori che emergono alla tua età, per non precorrere i tempi. Sei d’accordo con questa concezione?

Essendo direttamente chiamato in causa devo dire di sì. So bene che l’attività da allievo dal punto di vista strettamente statistico non è molto rilevante, è da junior che si comincia ad affrontare l’attività vera, quella che può sfociare nel ciclismo che conta. E’ vero anche però che i risultati fanno sempre piacere, fanno morale e danno una mano ad andare meglio e metterci sempre più passione. E’ a quest’età che si costruisce anche una mentalità forte e vincente.

Il team Alma Juventus Fano, realtà di riferimento regionale e non solo, inserita in una polisportiva (foto Facebook)
Il team Alma Juventus Fano, realtà di riferimento regionale e non solo, inserita in una polisportiva (foto Facebook)
In una categoria così giovane secondo te incidono di più i cambiamenti fisici o le esperienze, l’evoluzione mentale come la definisci tu?

Io penso che sia un mix di cose. Il fisico cambia molto, me ne accorgo quasi ogni giorno, ma mentalmente noto ad ogni occasione che si impara qualcosa di diverso, che si cresce. E questo, anche se le cose diventano sempre più difficili, è ciò che permette di acquisire lo status di corridore. E’ fondamentale per me, si cresce così.

Quando hai iniziato?

A 6 anni. I miei genitori dicono che non sapevano più come fare per tenermi a bada, tanto ero vivace… Con la bici avevo la possibilità di sfogarmi, d’altronde ho imparato a 2 anni già senza le rotelle. Mio padre è sempre stato appassionato, ha corso anche lui fino agli juniores ed è sempre rimasto legato all’ambiente. Dice sempre che il mondo del ciclismo è difficile lasciarlo quando ti entra dentro. Mi è molto d’aiuto.

Uno scatto preso da Facebook di Giacomo in una delle sue prime gare. Ha esordito fra i G1
Uno scatto preso da Facebook di Giacomo in una delle sue prime gare. Ha esordito fra i G1
Tu vieni dalle Marche che non è propriamente una regione in prima linea nelle due ruote…

E’ vero, non ci sono tanti team, ma l’attività è intensa, varia e ci sono molte prove prestigiose. Io poi sono convinto che è il corridore a fare la gara, a elevarne il livello. Capisco che altre regioni, soprattutto quelle del Nord, hanno un bacino maggiore di squadre e di corridori. I numeri parlano chiaro in tal senso, ma anche da realtà come quella nostra escono corridori di spicco e io voglio essere fra questi.

Ora si prospetta il cambio di categoria…

Sì, correrò per Il Pirata-Vangi-Sama Ricambi, società laziale dove si aspettano molto da me e io altrettanto. So che sono conosciuti e hanno una buona fama e un calendario adeguato. Aspetto la mia nuova stagione con molta curiosità perché so che cambierà tantissimo, non solo come distanze da affrontare, ma proprio come concezione dell’attività.

Il trionfo di Sgherri al GP Liberazione, regolando ben 4 corridori del GB Junior Pool Cantù (foto Rodella)
Il trionfo di Sgherri al GP Liberazione, regolando ben 4 corridori del GB Junior Pool Cantù (foto Rodella)
Hai un po’ paura?

No, paura non direi, a me piace avere sfide sempre più grandi da affrontare, mettermi alla prova, ma sono anche abituato a stare con i piedi per terra e affrontare tutto con grande attenzione. So che sono nell’ambiente giusto per crescere.

Considerando che ancora sei un corridore tutto da scoprire, che cosa sai per ora?

E’ giusto, alla mia età ci si scopre piano piano, i confini fra uno scalatore e un velocista sono labili. Io per ora sono abbastanza veloce e vado bene in pianura, la salita è un po’ il mio punto debole e ci devo lavorare.

Anche tu sei un fautore della multidisciplina?

Certamente, ormai tutti i ragazzi lo sono. Fare diverse attività migliora le proprie caratteristiche. Io già da esordiente facevo ciclocross d’inverno abbinato alla palestra. Ora lo utilizzo esclusivamente come allenamento, ma senza stimoli agonistici per non arrivare troppo stanco all’inizio della stagione su strada. Vado anche in mountain bike, ma quello è più un passatempo, dalle nostre parti ci sono tanti percorsi bellissimi che mi piace affrontare senza vincoli.

Bressan, il bilancio del CTF e un dubbio sulla categoria U23

14.12.2023
5 min
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Se inizialmente qualcuno fu contrario al fatto che il Cycling Team Friuli diventasse team di sviluppo per la Bahrain Victorious, quello fu sicuramente Roberto Bressan. Poi, vista la convinzione dei suoi collaboratori, anche il grande capo fece un passo indietro, accettò la novità e si mise a studiare la situazione.

La sua squadra non è un vero e proprio “devo team”, perché per esserlo dovrebbe avere la stessa amministrazione e gli stessi finanziatori. Nonostante ciò, il rapporto che si è creato è strettissimo e simbiotico. Gli stessi materiali e un kit con grafiche comuni. Andrea Fusaz è passato dall’essere preparatore dei ragazzi della continental a lavorare in pianta stabile per la WorldTour. Per sostituirlo, ex corridori del CTF si sono laureati in Scienze Motorie e ora sono entrati nell’organico come tecnici. La filiera funziona. Così siamo tornati dal manager di Udine, per farci raccontare se nel frattempo abbia cambiato opinione.

Jonathan Milan, Roberto Bressan, Rod Ellingworth, Giro d'Italia 2020, Udinea
Giro 2020, quello del Covid a ottobre: Milan e Bressan incontrano Ellingworth, al tempo manager alla Bahrain
Jonathan Milan, Roberto Bressan, Rod Ellingworth, Giro d'Italia 2020, Udinea
Giro 2020, quello di ottobre: Milan e Bressan incontrano Ellingworth, al tempo manager alla Bahrain

«Proverei ad ampliare il discorso – dice – parlando prima di tutto del senso delle devo team. Oggi ne hanno uno ben preciso, perché il ciclismo cambia continuamente. E se adesso vuoi fare ciclismo ad alto livello, devi diventare una devo team. La Colpack è l’eccezione che riesce ancora a fare le cose da sé, ma probabilmente hanno una forza economica che altri non hanno. Io non riuscirei a fare quello che faccio senza la Bahrain».

Fino a due anni fa ci riuscivi, cosa è cambiato?

Non girano abbastanza soldi. D’altronde lo vedete quali sono le squadre più forti. La Jumbo, la Quick Step, la Lotto. Hanno tutto il meglio, anche quello delle devo team è diventato un piccolo WorldTour. Sono di un altro mondo e i corridori più forti fanno la fila per essere con loro.

Quindi alla fine hai cambiato idea?

Una volta che entri nell’ordine delle idee, non puoi farne a meno. Noi non siamo una devo, lo siamo per metà. Io sono titolare della mia società, loro mi sponsorizzano e abbiamo le stesse bici. Non ci vedono più come una squadra dilettantistica, c’è un rapporto strettissimo. Se abbiamo bisogno di parlare con un loro preparatore, ci mettiamo in contatto. Mi danno i corridori che vogliono, però alla fine la società resta mia.

Andrea Fusaz è cresciuto come preparatore al CTF Lab, ora è una delle colonne della Bahrain Victorious
Andrea Fusaz è cresciuto come preparatore al CTF Lab, ora è una delle colonne della Bahrain Victorious
Qual è il vantaggio?

Siamo cresciuti. Stiamo allargando la base dei preparatori, dei massaggiatori, dei corridori che acquisiscono una mentalità diversa. Sanno che hanno delle possibilità, quindi sono anche più stimolati. Siamo CTF, ma alla fine siamo come una WorldTour, quindi il progetto funziona. Io avevo le mie perplessità all’inizio, ma se non l’avessi provato, non ci sarei mai arrivato.

Che cosa servirebbe per migliorare ancora?

Se avessi più soldi, farei un’attività ancora più importante e terrei più corridori. Ho una schiera di friulani che vorrei prendere, ma non posso per budget e per politica. Il ragionamento del Bahrain è condivisibile: vogliono una base più ampia e internazionale. La mia è più una mentalità italiana, ma quando ti ritrovi dei corridori così forti in Friuli, non puoi non prenderli. 

Daniel Skerl ha vinto quattro corse nel 2023. Qui il Trofeo Alessandro Bolis a marzo
Daniel Skerl ha vinto quattro corse nel 2023. Qui il Trofeo Alessandro Bolis a marzo
E chi li prende? Può essere il ruolo delle piccole squadre U23 che non sono continental?

Per come la vedo io, le squadre dilettantistiche italiane non agganciate a nessuno sono spacciate. Per come è strutturato il ciclismo internazionale, in questo momento non ha nemmeno più senso che esista la categoria under 23. Sarebbe meglio allungare di un anno la categoria juniores e poi passare direttamente alla continental. Ormai chi può fare bene nelle gare internazionali? Solo una squadra strutturata, per cui le squadre più piccole come quelle toscane che attività possono fare?

E allora chi li prende questi corridori friulani?

Due sono andati alla Fior, mentre i 3-4 più importanti hanno già i procuratori. Se ne chiamo uno e gli chiedo di darmi un suo corridore friulano, lui in cambio mi chiede due anni nella continental e poi il contratto WorldTour. Ma come è possibile far firmare un contratto WorldTour, se ancora non si è visto di che corridore parliamo? Secondo me è esagerato quello che attualmente chiedono i procuratori. Bruttomesso è migliorato tanto, finisce le corse a tappe, ma probabilmente neanche lui è pronto per la WorldTour.

Bruttomesso passa alla Bahrain Victorious dal 2024, per Bressan deve crescere ancora molto (photors.it)
Bruttomesso passa alla Bahrain Victorious dal 2024, per Bressan deve crescere ancora molto (photors.it)
Come è andato il 2023?

Abbiamo avuto parecchi problemi, ma è vero che fare il confronto con la squadra di tre anni fa sarebbe difficile. Jonathan Milan faceva la differenza, anche Aleotti. Abbiamo vinto un sacco di gare, però nel 2023 mi sarei aspettato qualcosa di più. Per contro abbiamo trovato Skerl che diventerà un corridore di peso. Il prossimo anno si ricomincia un ciclo. A parte Brian Olivo, Andreaus e Skerl, avremo tutti primi anni.

L’obiettivo è ancora vincere oppure, avendo dietro la WorldTour, si può correre con meno pressione?

E’ cambiato il modo di pensare, perché la Bahrain non ti dà la pressione immensa che prima dovevi mettere ai corridori. Vedono che se fanno qualcosa di buono, hanno lo spiraglio. Nessuno parla di De Cassan, ma correndo con noi, si è ricavato la possibilità di passare professionista, anche se non al Bahrain. Non gli abbiamo mai dato pressione, è arrivato bene nelle gare giuste e ha trovato il suo posto. L’importante è lavorare come Dio comanda, solo facendo così si tirano fuori dei corridori.

Matej Mohoric: «Il ciclismo secondo me»

14.12.2023
5 min
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ALTEA (Spagna) – Vince su strada. Classiche e tappe. Da solo e al colpo di reni. Nel memorabile attacco in discesa dal Poggio e persino nel gravel. Per conquistare il Giro di Polonia ha dovuto difendersi in un traguardo volante e nella crono aveva lavorato sui centesimi di secondo per mantenere il primato. Fa ogni cosa con cognizione di causa, ogni cosa con la massima intelligenza: è Matej Mohoric.

Lo sloveno della Bahrain-Victorious è in Spagna con i compagni. Si sta avvicinando alla sua undicesima stagione da professionista. Sempre con la stessa voglia, la stessa serietà e la stessa grinta. Anche se magari non lo lascia vedere, quella in lui non manca mai.

Matej Mohoric (classe 1994) con l’addetta stampa del suo team, Simona Mazzoleni
Mohoric (classe 1994) con l’addetta stampa del suo team, Simona Mazzoleni
Matej cos’è per te il ciclismo?

E’ la mia passione, soprattutto… E lo è da quando ero piccolo. Adesso è anche il mio lavoro e ogni giorno sono grato di poter dire che la mia passione è anche il mio lavoro.

Sei sempre molto meticoloso, su ogni cosa, preciso in ogni aspetto: ma c’è una parte che curi di più?

Presto molta attenzione ai dettagli, perché magari fisicamente ci sono atleti un pelino più forti di me. Però il nostro sport sta diventando sempre più tecnico, uno sport in cui i dettagli assumono maggior peso e non mi riferisco solo ai materiali, ma anche alle strategie, al modo di correre, all’efficienza durante una gara. Io sono forse più bravo degli altri a curare questi aspetti che influiscono sulla performance.

Ed è proprio qui che volevamo arrivare. Perché, come detto, Mohoric vince al colpo di reni al Tour, gesto che non tutti sanno fare così bene? Perché Mohoric vince un Polonia con un traguardo volante, curando alla perfezione quella volata?

Come detto, curo gli aspetti tecnici e tattici, ma anche quelli della bici e quelli psicologici. Sapete, non tutti sono sicuri di se stessi al 100 per cento. Nel corso di questi anni, ho capito che non riesco a fare di più del mio massimo, quindi ogni giorno provo a dare il meglio di me stesso e cerco di sfruttare al meglio tutto il resto. Sono stato battuto tante volte e mi va anche bene… Ma mi va bene finché sono convinto che ho fatto tutto il possibile. Pertanto cerco di restare concentrato su me stesso. Di essere sicuro. Magari altri hanno delle “fisse”, sono meno sicuri e commettono degli errori.

A “fionda” giù dal Poggio con il reggisella telescopico. Un tipico colpo alla Mohoric: gambe, coraggio, intelligenza, furbizia. La Sanremo 2022 è sua
A “fionda” giù dal Poggio con il reggisella telescopico. Un tipico colpo alla Mohoric: la Sanremo 2022 è sua
Hai parlato anche di aspetti psicologici, cosa pensi quando sei in bici? Sia quando ti alleni che quando invece sei in corsa…

Sento la felicità di poter fare questo lavoro. Ma cerco sempre di migliorare ogni aspetto della mia performance. Non guardo tanto gli altri, anche perché so che alcuni sono molto più forti, quindi non è quella la mia motivazione. La mia motivazione è migliorare me stesso. E credo che prendere le decisioni giuste aiuti molto più di quel che si possa pensare. E questo vale anche come squadra. Spesso non siamo i favoriti, ma siamo pronti a sfruttare gli errori dei numeri uno e in qualche occasione siamo riusciti a batterli.

C’è un posto del gruppo che preferisci? Che senti il “tuo”?

Sì c’è ed è correre sempre davanti, nel posto che credo essere meno pericoloso. Voglio sempre vedere la strada, anche se spreco qualcosa in più. Ma preferisco così, preferisco avere il controllo che non averlo e risparmiare qualcosa. E poi è sempre meglio che essere dietro e dover inseguire.

Hai parlato di dettagli e materiali: hai cambiato qualcosa sulla bici? Stai lavorando su qualcosa in particolare?

Lo sta facendo la squadra. Abbiamo grande supporto dai partner. Oggi quando si parla di migliorare c’è sempre un lavoro di squadra, non è mai personale, ed è così in ogni cosa. Sì, io do parecchi feedback delle cose nuove che stiamo provando, ma poi il lavoro concreto spetta a loro. 

A Pieve di Soligo, lo sloveno ha conquistato il mondiale gravel. Anche quel giorno se l’era studiata bene
A Pieve di Soligo, lo sloveno ha conquistato il mondiale gravel. Anche quel giorno se l’era studiata bene
Quest’anno al Polonia, ci dicevi delle ore che passavi sulla bici da crono. Pensi di incrementare ancora il monte delle ore?

No, perché vorrei essere più efficiente possibile sulla bici da strada. Ho dei grandi obiettivi nella primavera. Prima e dopo il Tour… e non sono obiettivi a crono. Quello che dissi al Polonia fu una constatazione relativa a quel momento. Se io passassi più ore sulla bici da crono, chiaramente migliorerei contro il tempo, ma non su sulla bici da strada. Ed è lì invece che voglio essere efficiente. Quindi: 110 per cento sulla bici da strada.

Quali sono questi grandi obiettivi di Matej Mohoric?

Simili a quelli dell’anno scorso (quindi classiche del Nord, Tour e finale di stagione, ndr) con la differenza che è l’anno olimpico. Penso di andare a Parigi. In più al calendario su strada aggiungerò anche qualche corsa di gravel. Questa è una disciplina che, oltre a piacermi, secondo me ha tanto, tanto potenziale. E anche i nostri partner spingono per farla diventare ancora più importante.

Al netto del risultato, mi sa che ti sei divertito parecchio al mondiale gravel… Hai guidato come un leone!

Sì, mi sono divertito, anche perché eravamo lì in quelle zone d’Italia. Da bambino sono cresciuto su quelle strade. Io da piccolo volevo iniziare a correre in mtb, però da noi in Slovenia non era sviluppata e così sono rimasto sulla strada, ma l’offroad è una passione che ho ancora. Mi piace andare fuoristrada anche negli allenamenti. Spero proprio che in futuro il gravel possa diventare più importante.

Cross: quando servono i motori potenti, Lucinda Brand c’è

13.12.2023
6 min
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CALPE (Spagna) – Tra i tanti corridori della Lidl-Trek che vanno e vengono nell’immenso Hotel Diamante Beach c’è anche Lucinda Brand. Quando arriviamo si sta godendo il sole incredibilmente caldo della Costa Blanca. Parla al telefono. E’ il suo momento di relax.

La campionessa olandese arriva da noi sgranocchiando una mela. Aveva impostato la sveglia per l’ora dell’intervista. Ma si presenta con un paio di minuti di anticipo e quando iniziamo a parlare l’allarme scatta poco dopo. 

Lucinda è da anni una super big della strada, ma ormai anche del ciclocross. E’ soprattutto da quando è arrivata alla Lidl-Trek, o poco prima, che ha potuto riprendere il rapporto col fango. A 34 anni, in questa stagione ha vinto due gare in appena sei apparizioni. 

Brand vince a Flamanville, secondo successo stagionale che la rilancia anche in Coppa (foto UCI/Sporti Pic Agency)
Brand vince a Flamanville, secondo successo stagionale che la rilancia anche in Coppa (foto UCI/Sporti Pic Agency)
Sei gare di cross sin qui e peggior risultato un terzo posto. Lucinda, una partenza sprint…

Sì, è stato davvero bello riprendere così. Sono contenta di essere tornata subito ad alti livelli. Devo dire che mi sono allenata bene. Ho pedalato molto nella foresta e in offroad. Ho fatto parecchie sessioni per il ciclocross.

Dal 2016, il tuo numero di gare di cross è notevolmente aumentato: sei passata dalle 5-6 apparizioni al farne anche 33 nella stagione 2021-22. Come mai?

Quando ero più giovane, una junior o anche prima, facevo il cross e lo trovavo divertente per pedalare in inverno, anche perché non mi piaceva molto allenarmi, specie con il brutto tempo. Poi sono diventata un’elite, sono andata in squadre che non erano così entusiaste che facessi il ciclocross, in quanto credevano fosse troppo dispendioso e difficile da combinare con la strada. Così avevo smesso. Se puoi fare solo 2-3 gare, che senso ha? Ma mi dispiaceva.

Però hai ripreso fino ad arrivare al titolo iridato!

Sì, anche nella tecnica non ero affatto brava, dovevo ricostruire tutto o quasi. Dopo tanti anni solo su strada, iniziavo ad annoiarmi. Sempre le stesse cose, le stesse gare, persino gli stessi hotel. Perciò avevo bisogno di fare qualcosa di nuovo, di diverso e ho deciso di riprendere il ciclocross e allenarmi davvero per questa disciplina. Curando molto anche la tecnica.

Brand (classe 1989), nonostante un palmares enorme, continua a lavorare molto sulla tecnica. Un lavoro che si ritrova anche su strada
Brand (classe 1989), nonostante un palmares enorme, continua a lavorare molto sulla tecnica. Un lavoro che si ritrova anche su strada
Alvarado, Bakker fanno tutta la stagione inanellando successi, poi però arrivano le grandi e loro finiscono in secondo piano. E’ solo questione di “motore” o c’è dell’altro?

Credo sia soprattutto una questione di forza. Le corse su strada stanno aiutando molto la mia potenza e la mia resistenza nel cross. E questo è utile soprattutto quando il terreno è molto fangoso ed è necessaria tanta forza. Poi certo, conta anche avere un buon “flow”, un buon feeling… ma questo c’è solo quando anche la tua tecnica funziona. Altrimenti devi spendere troppo e non è facile perché il livello nel cross è notevolmente aumentato. Una volta potevi commettere più errori ed eri comunque sempre lì, adesso no.

Eppure ti abbiamo vista dal vivo in azione a Dendermonde, prima tua gara dell’anno tra l’altro, e con tutto quel fango ci sei sembrata piuttosto a tuo agio…

Sì, era la prima gara, ma dopo la prima parte ero un po’ stanca. C’è stato un inizio super veloce, ma ero fresca, ovviamente, venivo solo dagli allenamenti ed ero anche super eccitata e ho spinto. Ma è stato uno shock! Un colpo per il corpo. Okay, mi ero allenata in tutto, anche a correre, ma finché non metti tutto insieme, non sai mai come può andare. Quel giorno ero davanti, poi sono finita dietro. A quel punto ho cercato di trovare il mio ritmo. Ho cercato di “recuperare”. In quel caso è servita parecchia esperienza. Dopo il primo giro non ero sicura di poter arrivare al secondo posto.

Hai parlato spesso di tecnica, ebbene cosa ti dà il cross anche per la strada: solo la tecnica?

Ti aiuta nel gestire la tua bici in corsa, nella guida, e ti aiuta anche dal punto di vista atletico come negli sforzi brevi e intensi. Ogni volta nel cross è un piccolo sprint. E anche su strada le gare, specie nei finali, non sono molto costanti.

Nel 2021 per l’atleta di Dordrecht è arrivato il titolo mondiale nel cross, preceduto da quello europeo (foto Instagram)
Nel 2021 per l’atleta di Dordrecht è arrivato il titolo mondiale nel cross, preceduto da quello europeo (foto Instagram)
E avverti realmente questi benefici su strada dopo aver terminato una stagione di ciclocross?

Sì, ma anche perché mi piace molto e già questo è importante per la testa. Poi quando sei al limite su strada ti ritrovi quell’esplosività. Dopo diversi anni, credo che se non avessi fatto il cross, avrei perso la mia esplosività del tutto. Mentre adesso è tornata quella di un tempo.

Van Empel, Brand, Bakker, Pieterse, Alvarado… perché il ciclocross femminile è il regno delle olandesi?

Prima di tutto credo sia legato alla cultura che c’è nei Paesi Bassi, dove andare in bici è normale e farlo come sport è molto bello. Abbiamo molte squadre ciclistiche ed ognuna ha il suo circuito, dove si può pedalare in sicurezza, senza traffico cosa ideale per i bambini. C’è un allenatore fisso che ti segue, spesso anche su strada. Tutto questo va unito al fatto che siamo vicini al Belgio, dove il cross è importantissimo, e abbiamo l’opportunità di andare a correre da loro.

Interessante. Vai avanti…

Un altro vantaggio è che in questo momento forse i belgi non hanno così tante ragazze. Però hanno le squadre… che vogliono atlete. A quel punto prendono le olandesi. Le squadre belghe vorrebbero puntare su atleti belgi chiaramente, ma alla fine essendo il ciclismo femminile in crescita, vanno bene anche le olandesi. Credo dunque ci sia un mix di opportunità favorevoli a noi. Senza contare che spesso ci alleniamo insieme e questo ti spinge sempre un po’ più in alto.

Brand è stata terza alla Roubaix 2022, grazie anche alle sue doti di crossista. La classica delle pietre è forse il suo primo obiettivo 2024
Brand è stata terza alla Roubaix 2022, grazie anche alle sue doti di crossista. La classica delle pietre è forse il suo primo obiettivo 2024
Hai cambiato qualcosa sulla tua bici?

No, tutto come lo scorso anno. L’anno scorso avevo cambiato un po’ la posizione, volevo essere un po’ più bassa con il manubrio, ma quest’anno nulla. Va bene così. Mi trovo molto bene anche con le gomme Dugast.

Sei una top rider sia per la strada che per il cross, cosa prevedono i tuoi programmi in entrambe le discipline?

Il periodo di Natale è piuttosto impegnato, cercherò di bilanciarlo tra strada e cross. Ho una gara a breve, poi tornerò in Spagna. Qui, a gennaio, ci sarà una prova di Coppa del mondo (a Benidorm 21 gennaio, ndr) e potrò combinarla più facilmente con il camp di gennaio appunto. Successivamente lavorerò per i campionati del mondo, dove finirò la mia stagione di cross. Due settimane di riposo, una piccola vacanza, poi si riprenderà con la strada. Adesso non conosco nel dettaglio il mio calendario, lo stiamo decidendo in questi giorni, ma probabilmente farò le classiche delle Fiandre e spero la Roubaix… Quella mi piacerebbe davvero vincerla. Sono già salita sul podio ed è stato davvero bello. Ma ovviamente non sono l’unica che la vuol vincere!

E le corse a tappe?

Saranno principalmente le piccole gare a tappe. Da maggio in poi ne abbiamo molte in calendario noi donne. Probabilmente farò anche un grande Giro, ma come ripeto, va deciso adesso. Sarà un calendario un po’ diverso con le Olimpiadi di mezzo.