EDITORIALE / L’Italia e la WorldTour della pista

15.01.2024
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L’Italia ha una squadra WorldTour: è quella della pista e funziona anche bene. Lo abbiamo appena sentito dalle parole di Salvoldi: il futuro del settore è in buone mani. Di certo lo si deve alle mamme dei ragazzi e alle loro società, ma anche al metodo di lavoro inaugurato con l’arrivo di Dino fra gli juniores e di Bragato alla guida del team performance federale. Il discorso va ovviamente allargato alle donne junior, seguite su pista direttamente da Villa. Sarà pure l’uovo di Colombo, ma avere lo stesso occhio tecnico in modo verticale, permette di fornire agli atleti un metodo di lavoro coerente, come accade appunto nei team WorldTour con i rispettivi devo team.

La presenza di Luca Giaimi (in apertura con Villa, durante l’inseguimento chiuso in 12ª posizione), Matteo Fiorin e Federica Venturelli agli europei di Apeldoorn, cui potremmo aggiungere anche Davide Boscaro con i suoi 23 anni, conferma che con il giusto metodo di lavoro, non è detto che la giovane età sia per forza un limite.

«Il coinvolgimento di questi giovani – ci ha confermato qualche giorno fa Bragato – andrà avanti fino a ridosso delle Olimpiadi, poi sarà fatta la selezione e ci saranno solo quelli che andranno a Parigi. Quando siamo a Montichiari per allenarci, i giovani da un lato servono anche come sparring partner, perché atleti che sanno girare a certi ritmi, anche se non per tutta la prova, ci aiutano in certi tipi di lavoro. Al contempo per loro è una grande esperienza, perché per ragazzi così giovani che fino a qualche giorno prima erano juniores, girare con probabili olimpici e con campioni olimpici è una grandissima scuola».

Gli sponsor inesistenti

In realtà però una WorldTour non ce l’abbiamo e neanche se ne scorgono all’orizzonte. Nei giorni scorsi abbiamo sentito svariate voci sul perché gli sponsor (italiani) più grandi stiano alla larga dalla strada. Più passa il tempo e più ci convinciamo del fatto che il fantasma del doping, che per anni ha inciso sicuramente sulle scelte, sia ormai un pretesto poco credibile. Durante la presentazione del Team Polti-Kometa tre opinioni ci hanno davvero incuriosito.

La prima è venuta da Contador, in risposta alla domanda sulla differenza fra le squadre di un tempo e le corazzate di adesso. «C’è stato un cambio grande – ha risposto lo spagnolo – negli anni 90 bastava una famiglia appassionata e nasceva la squadra. Ora per fare una WorldTour serve avere una multinazionale, con interessi globali. E’ difficile tornare a com’era prima, ora si guarda al ritorno dell’investimento, perché il ciclismo è globale ed è arrivato anche in Paesi dove prima non c’era».

A Contador si è aggiunta la voce del suo sponsor Giacomo Pedranzini, di casa Kometa. «Il ciclismo funziona – ha detto – non credo che giganti come Lidl e Jumbo abbiano investito per il gusto di partecipare, ma perché le squadre che affiancano sono per loro un veicolo importante. In Italia questi grandi sponsor ci sono. Se restiamo nell’ambito della grande distribuzione, ci sono colossi come Esselunga oppure Conad e Coop che potrebbero benissimo trarne vantaggio».

Sul tema ha detto la sua anche Francesca Polti: «Come detto – ha spiegato durante l’evento – nel fare l’analisi sul perché non rientrare, abbiamo trovato solo voci favorevoli al rientro. Non credo che il tema del doping sia più sul tavolo, visti i tanti controlli cui le squadre sono sottoposte. La nostra speranza, che è anche una certezza è di trarre grande visibilità dal ritorno in gruppo, sperando di ispirare anche altre aziende. Siamo una multinazionale tascabile, nel senso che siamo a misura d’uomo, ma siamo anche in tutto il mondo. Magari non subito, ma credo e spero che durante il Giro d’Italia qualcuno inizi a mostrare interesse».

Se Francesca Polti ha ragione, l’estate potrebbe mostrare segni di risveglio negli sponsor italiani
Se Francesca Polti ha ragione, l’estate potrebbe mostrare segni di risveglio negli sponsor italiani

Tasse e fatture

Quasi contemporaneamente, confermando quello che ci aveva detto Philippe Mauduit, in un’intervista a Velo101 Marc Madiot ha risposto all’ipotesi di Lappartient di fissare un tetto agli ingaggi.

«I politici sono fatti per fare promesse – ha detto – ma a volte hanno grandi difficoltà a mantenerle. Però abbiamo anche un altro problema. Il costo del lavoro in Francia è più alto che altrove, abbiamo il 30% in più di tasse. Anche questo va tenuto in considerazione. Siamo nell’ultimo terzo delle squadre in termini di budget e abbiamo anche il 30% di spese in più. Se pur trovandoci in queste situazioni, abbiamo chiuso il 2023 come settima squadra nel mondo, vuol dire che abbiamo fatto un buon lavoro».

Qui da noi ci si sveglia solo quando la Finanziaria tocca i privilegi delle squadre di calcio: in quel caso i principali organi di informazione, per evidenti e mai negati conflitti di interesse, scoprono che il sistema fiscale italiano penalizza le società sportive di tutti i livelli. Il Governo ha cancellato gli sgravi fiscali per diverse categorie di lavoratori provenienti dall’estero, compresi gli sportivi. I club del calcio verranno dunque tassati più che nel recente passato e dovranno forse rivedere le loro strategie di mercato.

Forse è questo il motivo per cui si fa fatica a creare una squadra in Italia? Oppure una volta, oltre alla passione delle famiglie, la possibilità di fare fatture gonfiate rendeva il ciclismo un boccone appetibile?

Il ruolo verticale di Bragato permette di dare coerenza alle carriere degli atleti
Il ruolo verticale di Bragato permette di dare coerenza alle carriere degli atleti

La WorldTour della pista

Allora è meglio tornare col pensiero alla nostra WorldTour della pista, perché ci piace nell’anno olimpico raccontare quel che c’è di buono nel ciclismo italiano, cioè è la capacità di individuare il talento e valorizzarlo. Il coinvolgimento dei ragazzi negli eventi della nazionale maggiore, approfittando dell’assenza di quelli impegnati al Tour Down Under, trasmette lo stesso gusto di Alfredo Martini, che convocava sempre nelle sue squadre di campioni uno o due giovani di sostanza, fosse anche perché facessero le riserve.

«La regola generale – spiegava ancora Bragato – potrebbe prevedere che per questi ragazzi si aspetti la maturazione fisiologica. Il fatto è che si tratta di atleti così forti, che hanno vinto i mondiali del quartetto e dell’inseguimento individuale, da risultare già maturi fisicamente. Abbiamo iniziato a inserirli nelle nuove distanze e abbiamo scoperto che si trovano meglio a fare l’inseguimento sui 4 chilometri piuttosto che sui 3. Per come lavoriamo, usciamo sempre alla distanza e quindi il chilometro in più per Giaimi e soprattutto per Venturelli è stato un vantaggio più che un limite».

Quanto costa fare una squadra come la WorldTour della nazionale? Quanto costerebbe renderla attiva per tutta la lunghezza del calendario? Sono i numeri che davvero interessano chiunque voglia fare del ciclismo il proprio biglietto da visita. Abbiamo i corridori, i tecnici, i preparatori, i nutrizionisti, i dottori, i massaggiatori, i meccanici e i produttori di biciclette. Non ci manca niente, forse solo un po’ di coraggio.

Forze fresche per la pista: Salvoldi prende le misure

15.01.2024
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Cambia l’anno e cambia tutto. A questa rigida regola, Dino Salvoldi inizia ad abituarsi. Alla sua terza stagione alla guida del settore junior, il tecnico azzurro sa bene che il cambio di categoria porta via ogni anno molti dei migliori talenti e al contempo bisogna iniziare a lavorare su materiale nuovo, quelli che approdano alla categoria e hanno tutto da imparare. Per questo Salvoldi ha iniziato molto presto a lavorare con i suoi ragazzi.

«Il primo raduno – racconta – lo abbiamo fatto il 12 dicembre. Da allora prevedo 2 giorni a settimana a Montichiari, chiedendo ai ragazzi, pur comprendendo i loro impegni scolastici, di esserci almeno in uno. Per ora stiamo lavorando su un gruppo di 25 atleti, di cui ben 16 del primo anno. Ma oltre a loro, in base alla disponibilità di bici e di spazi lavorando pressoché in contemporanea con la nazionale maggiore di Villa, faccio venire anche altri ragazzi che mi vengono segnalati dai responsabili tecnici regionali. Conto alla fine di vederne almeno una quarantina e stiamo parlando solo ed esclusivamente della pista».

Un momento degli allenamenti a Montichiari, condivisi con la nazionale maggiore di Villa
Un momento degli allenamenti a Montichiari, condivisi con la nazionale maggiore di Villa
Quanto è cambiato il gruppo?

Tantissimo, tutto lo zoccolo duro che ha portato risultati nelle manifestazioni titolate dello scorso anno ha cambiato categoria. Giaimi ad esempio è già stato agli europei assoluti di Apeldoorn. Ciò però non mi spaventa. Due anni, fa quando iniziai, mi trovai di fronte un gruppo i cui 3/4 erano novizi.

Ti trovi però ad affrontare una stagione che arriva dopo i trionfi del 2023, tra titoli e record…

Abbiamo avuto prestazioni eccezionali che hanno alzato il livello e questo non vale solo per noi. E’ chiaro che gli avversari ora ci vedono come la squadra da battere e hanno elevato il valore della categoria. Non sarà facile farci trovare pronti, ma dovremo basarci forzatamente sui tempi di questi due anni precedenti per avere un raffronto e fare altrettanto se non meglio.

Molti dei ragazzi che hai avuto sono ora entrati in team importanti, come lo stesso Giaimi e Sierra, la maggior parte sono all’estero. Che cosa ne pensi?

Fa parte del ciclismo di oggi. I ragazzi che vogliono investire in quest’attività puntano all’ingaggio nei Team Devo che può spianare loro la porta del professionismo. Quindi devono farsi notare, ma attenzione, perché i tecnici delle squadre non guardano solo ai risultati, ma alle prestazioni nel loro complesso e le correlano a quello che i ragazzi ottengono. Giaimi, Sierra e gli altri hanno meritato il loro passaggio, partono da una base altissima.

Il quartetto iridato 2022, con Fiorin, Favero, Delle Vedove, Giaimi e Raccagni Noviero (foto Lariosport)
Il quartetto iridato 2022, con Fiorin, Favero, Delle Vedove, Giaimi e Raccagni Noviero (foto Lariosport)
Quei ragazzi secondo te potranno essere l’ossatura della squadra per Los Angeles 2028?

Non è una mia competenza, posso parlare solo da appassionato esterno. Penso che ne abbiano tutte le possibilità unendosi a chi già oggi è ai vertici. Sono atleti su cui investire, ma ce ne sono anche altri, chi più giovane e chi appena più grande. Abbiamo una buona base per la pista, questo è certo.

Ti sei già fatto un’idea di chi sono i ragazzi del primo anno?

Sarebbe ingeneroso giudicarli in base a una prima, semplice presa di contatto. Non tutti tra l’altro hanno potuto essere visionati, tra scuola, influenza e impedimenti vari. L’esperienza mi fa essere ottimista, penso che costruiremo un buon team per continuare ad essere competitivi. Ma avremo bisogno di tempo, di molte prove per capire come muoverci. Il cronometro ci dirà se siamo competitivi, ma io penso che lo saremo.

Chi è rimasto del vecchio gruppo?

Fra quelli medagliati il solo Stella è ancora con noi e sarà un’ottima guida per i compagni. C’è però anche chi ha già lavorato con noi ma non ha trovato spazio in nazionale. Teniamo conto che da una rosa di oltre 40 elementi alla fine a gareggiare saranno 6-7. Anche nel 2023 c’erano tanti secondi anni che meritavano, ma non riuscivano a emergere per la strenua concorrenza ad alto livello. Sierra stesso il primo anno non era certo il corridore che abbiamo visto emergere nel 2023.

Giaimi ha fatto il suo esordio tra i grandi agli europei, finendo 12° nell’inseguimento
Giaimi ha fatto il suo esordio tra i grandi agli europei, finendo 12° nell’inseguimento
Nei giorni scorsi è stato inaugurato l’impianto di Crema, che si aggiunge a quelli già disponibili mentre finalmente si vede luce per il velodromo di Spresiano. Secondo te questi nuovi impianti aiuteranno i ragazzi a praticare la pista anche lontano da Montichiari?

Su questo è bene essere chiari. Possono integrare il nostro lavoro, non sostituirlo. Montichiari resta il riferimento assoluto, ma certamente perché il nostro ciclismo cresca e con un ritmo maggiore, servono impianti. La carenza di infrastrutture è una limitazione enorme per il nostro movimento, quindi ogni impianto in più è una boccata d’ossigeno. Dobbiamo averne di più dobbiamo averne indoor e su distanza canonica. Ma serve anche un’attività invernale come quella che c’è nel ciclocross. Serve che i ragazzi possano sfruttare i mesi liberi dall’attività su strada per impratichirsi nelle gare di gruppo, per abituarsi alle madison che sono una scuola irrinunciabile e che non s’imparano con facilità. Se avessimo un calendario di madison d’inverno faremmo esplodere il movimento…

La nuova vita alla Movistar dopo due mesi sulle spine

15.01.2024
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Adesso che tutto è finalmente a posto e che anche l’influenza ha deciso di lasciarlo in pace, dal ritiro di Calpe Lorenzo Milesi ricostruisce gli ultimi due mesi. Il bergamasco è passato in pochi giorni dall’esaltazione di una nuova squadra al non sapere che pesci prendere, fino all’approdo insperato e per certi versi sorprendente al Movistar Team.

Dopo la vittoria al mondiale U23 della crono e il primo giorno in maglia rossa alla Vuelta, conclusa con una caduta e il ritiro, sembrava che per lui si fosse aperta la porta del Team Ineos Grenadier. Alla vigilia del Giro d’Onore della Federazione era parsa cosa fatta, invece proprio in quell’occasione si capì che l’ipotesi fosse ormai tramontata. Il tentativo successivo fu fatto con la Bora-Hansgrohe, ma invano. E quando la situazione iniziava a farsi sconcertante, ecco l’avvistamento di Milesi a Calpe nell’hotel del Movistar Team. Una presenza semi clandestina, perché il Team DSM-Firmenich aveva chiesto di gestire la comunicazione. E la notizia infatti arrivò puntuale il 18 dicembre.

Facciamo un passo indietro, quel giorno a Milano sembrava tutto fatto per andare alla Ineos. E poi?

Si era trovato un accordo economico perché andassi via. L’opportunità Ineos mi avrebbe permesso di fare con loro gli altri due anni di contratto e di lasciare il Team DSM che mi aveva proposto di prolungarlo per altre due stagioni, ma non ci sarei mai restato. Invece a un certo punto è venuta fuori una differenza economica e la porta si è chiusa. Solo che per la DSM a quel punto io non esistevo più, i rapporti erano in frantumi: per loro ero un corridore ormai andato via.

Per questo si è parlato della Bora-Hansgrohe?

Dovevo trovare un’altra squadra. Alla Bora c’era la questione Uijtdebroeks: si sapeva che sarebbe andato via, ma non quando. E così a inizio dicembre ancora non sapevo dove avrei corso. A un certo punto ho pure pensato che sarebbe stato meglio non aver vinto il mondiale, così a certe cose neppure ci avrei pensato… Scherzo, ovviamente. In ogni caso però a quel punto la cosa che ho fatto è stata cambiare procuratore, perché non avevo niente in mano. Erano due anni che si tentava di andare alla Ineos, ma una volta che quella porta si è chiusa, mi sono rivolto ai Carera. Avevamo parlato proprio al Giro d’Onore. Mi avevano detto che se avessi voluto, avrebbero provato a darmi una mano. E alla fine li ho chiamati.

Al Giro d’Onore, le prime crepe. L’accordo fra Milesi e la Ineos era già in dubbio
Al Giro d’Onore, le prime crepe. L’accordo fra Milesi e la Ineos era già in dubbio
Non deve essere stato un periodo semplice, insomma…

Sono stati mesi poco piacevoli, ma sono serviti anche questi per crescere. E’ vero che non avevo più un allenatore che mi desse le tabelle per allenarmi, ma vero anche che avevo bisogno di staccare un po’ e pedalare come mi sentivo. Per cui forse ho fatto meno ore e meno intensità di quelle che avevo l’anno scorso in questo stesso periodo, ma ho comunque lavorato.

E adesso ti ritrovi in un team latino dopo due anni in Olanda e dopo aver provato ad andare alla Ineos britannica e alla tedesca Bora: che effetto fa?

Sono contento di essere arrivato qui. Si è parlato di questo aspetto nella prima riunione con Eusebio Unzue, si nota subito che è una squadra completamente diversa dalla DSM a livello umano. Si prende il lavoro molto seriamente, ma si può anche parlare e avere un’opinione.

La liberatoria da parte della DSM è arrivata in tempo per la presentazione Movistar del 21 dicembre
La liberatoria da parte della DSM è arrivata in tempo per la presentazione Movistar del 21 dicembre
Era da un po’ che alla Movistar non c’erano tanti italiani: siete ben quattro.

Ho fatto due anni alla DSM in cui prima ero solo con Ursella e poi con Dainese, qui siamo di più. Alla DSM si parlava inglese e ci riprendevano se ci sentivano parlare italiano. La situazione è cambiata quando sono arrivato nella WorldTour, perché nel team U23 ci conoscevamo tutti e si era creato un bel clima. Al passaggio ho capito che certi corridori rischiavo quasi di non vederli per tutto l’anno. Patrick Bevin l’ho visto per la prima volta al Polonia. Qui invece parli la lingua che vuoi, c’è ben altro clima.

Hai cambiato preparatore, si lavora in modo tanto diverso?

Lavoro con uno spagnolo, ma ho iniziato solo da due settimane, non ho fatto più di tanto. In proporzione, direi che in DSM all’inizio dell’anno facevo più soglia e fuori soglia, ma devo cominciare al Saudi Tour, siamo a inizio gennaio e la stagione è davvero molto lunga. Va bene così.

Al passaggio su bici Canyon, Milesi ha adottato una posizione totalmente nuova (foto Dani Sanchez)
Al passaggio su bici Canyon, Milesi ha adottato una posizione totalmente nuova (foto Dani Sanchez)
Passi dalla Scott alla Canyon, ti abbiamo visto lavorare sul posizionamento: come va l’adattamento?

Sulla bici da strada mi trovo bene, ma la posizione me l’hanno cambiata davvero tutta. La prima cosa è stata adottare i nuovi pedali, anche se quelli nuovi li ho montati solo da poco. Mi sono alzato e abbiamo spostato la sella in avanti. Avevo sempre pensato che la mia posizione non fosse tanto al top: dopo tre ore avevo male nella parte posteriore della gamba, ora no. E poi mi avevano messo uno spessore sulla gamba sinistra, che è la mia più lunga e finalmente lo abbiamo tolto.

Invece la bici da crono?

Abbiamo fatto la posizione in pista a Pamplona un paio di giorni fa e poi l’ho usata in allenamento, cominciando anche a fare qualche lavoro. La bici mi sembra molto confortevole, trovo più facile tenere la posizione ed è in arrivo il manubrio personalizzato. Insomma, quando dico che sono soddisfatto, non parlo a vanvera. Ho firmato per tre anni con Movistar, l’obiettivo è comunque crescere gradualmente, magari iniziando da questa stagione ad assaggiare le strade del Belgio…

L’assolo di Casasola, il tricolore di Cremona è tutto suo

14.01.2024
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CREMONA – Quando il timido sole compare sul rettilineo d’arrivo del campionato italiano di ciclocross, Sara Casasola sta completando il suo assolo tricolore con un margine incolmabile per le inseguitrici. Una gara condotta in testa dal primo all’ultimo metro, gestendo curva dopo curva anche gli inequivocabili favori del pronostico.

Alle spalle della friulana della Fas Airport Services Guerciotti Premac chiude ad 1’17” Letizia Borghesi (EF Education Cannondale), brava prima a recuperare piano piano su Rebecca Gariboldi, lesta poi ad approfittare di una caduta della stessa lombarda del Team Cingolani, terza al traguardo. Casasola torna a vestire la maglia “verde-bianco-rossa” dopo il titolo da U23 nel 2019, quando anche allora la gara era valevole come Trofeo Guerciotti. Per lei questo è stato il sesto successo della sua buonissima stagione, ennesimo risultato dove spiccano il bronzo europeo e tre top cinque in Coppa del Mondo. Ed ora lo sguardo si sposta un po’ più avanti di qualche settimana.

Per Casasola è il secondo tricolore dopo quello del 2019 da U23. Ed è anche la sesta vittoria stagionale (foto De Negri)
Per Casasola è il secondo tricolore dopo quello del 2019 da U23. Ed è anche la sesta vittoria stagionale (foto De Negri)

Vista dal fidanzato

Sotto il podio delle premiazioni c’è anche Davide Toneatti, fidanzato di Casasola ed anche lui con un passato da crossista, nel quale vinse il campionato italiano da U23 nel 2022. L’atleta della Astana Qazaqstan Development Team sorride, ben contento dei progressi complessivi fatti da Sara.

«Penso che quest’anno abbia fatto un bel salto in avanti – racconta Toneatti mentre la attende sotto le scale del palco – e naturalmente sono felice per lei. Tutto il lavoro che ha fatto la scorsa estate, anche con una stagione su strada corposa, sembra aver ripagato. Adesso ha gli ultimi obiettivi. Spero che vadano bene anche perché la scorsa settimana non è stata bene. Teoricamente potrebbe anche migliorare di condizione.

«Ho notato che ultimamente – prosegue Toneatti – sta anche attenta alla cosiddetta dieta. Infatti si è asciugata. Su strada ha sempre corso abbastanza, ma non seriamente. La vedeva più come preparazione al ciclocross. Credo che quest’anno ci punterà un po’ di più, ora che è in una squadra con un buon progetto. Secondo me le capacità le ha. Se nel cross vai forte, significa che il motore c’è. Ovvio che poi su strada le gare sono diverse può fare bene. Se posso cerco di rendermi utile dandole consigli (ride, ndr), però anche lei ne dà a me».

Casasola ha spinto forte fin dal primo metro, restando concentrata fino alla fine
Casasola ha spinto forte fin dal primo metro, restando concentrata fino alla fine

Una vittoria da favorita

Vincere quando hai tutti gli occhi addosso e quando tutti ti pronosticano, non è mai facile. Però Casasola sembra non averci pensato tanto. Da quando al via ha spinto sui pedali, per le altre non c’è stata partita. La concentrazione era evidente ad ogni passaggio, quando ormai aveva scavato il solco e il campionato italiano stava diventando realtà.

«Sono molto contenta per come è andata – spiega Casasola – anche se all’inizio ero titubante perché sono stata poco bene. Era un’incognita per me, ma sono partita forte, cercando di allungare subito. Quando ho visto che avevo guadagnato qualche secondo, ho insistito e tirato dritto fino alla fine. Ringrazio il mio team che mi ha sostenuto tutto l’anno e questo è stato il mio modo ringraziamento a loro. La dedica la divido fra il team, la mia famiglia ed anche Davide.

«I prossimi obiettivi – continua – sono le ultime due prove di Coppa del Mondo ed il mondiale di Tabor in Repubblica Ceca. Spero che vada tutto bene. Poi dovrei iniziare anche la stagione su strada, magari sfruttando la condizione prima di un doveroso periodo di riposo. A quel punto mi focalizzerò sulle corse di aprile e maggio, però sto definendo i programmi con la squadra (la Hess Cycling Team, ndr)».

Letizia Borghesi ha conquistato l’argento tra le elite, come la sorella Giada (U23) e la mamma Lara (master 5)
Letizia Borghesi ha conquistato l’argento tra le elite, come la sorella Giada (U23) e la mamma Lara (master 5)

Tris tricolore

Ci sperava e forse ne era sicuro Alessandro Guerciotti. Quando prima di Natale lo avevamo sentito, si era augurato di poter realizzare un bel tris nelle categorie femminili. Detto fatto, anche se con qualche piccolo brivido.

Detto di Casasola nelle elite, tra le U23 la maglia tricolore è andata, o meglio è rimasta a Valentina Corvi che di fatto ha cucinato a fuoco lento Giada Borghesi, a lungo in testa alla gara, andando a bissare il titolo dell’anno scorso a Roma tra le junior. Terzo posto per Carlotta Borello. Curioso invece il weekend vissuto dalla famiglia Borghesi. Oltre agli argenti raccolti Letizia e Giada, anche la loro mamma Lara Torresani ha chiuso seconda nelle Donne Master 5.

«Nonostante l’influenza – dice Corvi nel dopo corsa – sapevo di avere una discreta condizione ed essendo questo italiano organizzato dalla mia società, ci tenevo a fare bene. Credo di essere stata brava a gestire le difficoltà di metà gara senza perdere di vista Giada. Nel finale sono rientrata sulla testa della gara e rilanciare la mia azione. Questa vittoria la dedico in particolare a mio nonno».

A completare l’en-plein della Fas Airport Services Guerciotti Premac c’è il successo di Elisa Ferri nelle junior in un’altra gara a senso unico. Dietro la pisana classe 2007, a più di un minuto sono giunte la veneta Ilaria Tambosco (S.S. Fiorese) e la valdostana Sofia Guichardaz (Beltrami Tsa Tre Colli).

Italiani ciclocross, Fontana più forte di gelo e avversari

14.01.2024
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CREMONA – Dal freezer del Parco del Po “Maffo Vialli” spuntano nella nebbia alla spicciolata i nuovi campioni italiani di ciclocross. Le temperature non mollano praticamente mai. Gli atleti devono spremere a fondo il proprio motore per non sentire il costante “sottozero” che li accompagna nel fettucciato e sull’argine del Grande Fiume del percorso.

Gli elite maschili vengono anticipati al mattino per esigenze televisive rispetto al programma originario e per qualcuno, paradossalmente, è stato meglio così. La corsa è senza storia. Filippo Fontana (CS Carabinieri Cicli Olympia) bissa il tricolore del 2023 distanziando Jakub Dorigoni (Torpado Kenda Factory) di 1’07”, bravo a sua volta ad anticipare di una manciata di metri Gioele Bertolini (CS Esercito), uno dei favoriti della vigilia.

Fontana ha preso subito il largo e alle sue spalle Dorigoni ha tagliato il traguardo a 1’07” (foto Giorgio De Negri)
Fontana ha preso subito il largo e alle sue spalle Dorigoni ha tagliato il traguardo a 1’07” (foto Giorgio De Negri)

Il giusto assetto

Nel ciclocross una componente importante la ricopre la scelta dell’assetto. Sul tracciato di Cremona bisognava fare tanti pensieri e forse qualche azzardo. Quello delle gomme ha parzialmente influito sull’esito della corsa.

«Ho totalmente sbagliato la scelta dei copertoni – dice Bertolini dopo le premiazioni – e ho pagato strada facendo. Tuttavia devo riconoscere onestamente che non è per quello se non ho vinto e ho chiuso terzo. Oggi Fontana è stato decisamente superiore a tutti».

«Stamattina – spiega qualche minuto dopo Fontana sotto la tenda adibita a spogliatoio – durante le prove avevo deciso per l’asciutto posteriore e il fango anteriore, però c’era troppo ghiaccio. Solo all’ultimo giro, praticamente dieci minuti prima della partenza si stava sciogliendo e così ho optato per fango davanti e dietro. In pratica come avevamo provato ieri durante la ricognizione quasi allo stesso orario».

Per Fontana, la sesta maglia tricolore è un ottimo inizio di 2024. Dietro di lui Dorigoni e Bertolini (foto Giorgio De Negri)
Per Fontana, la sesta maglia tricolore è un ottimo inizio di 2024. Dietro di lui Dorigoni e Bertolini (foto Giorgio De Negri)
Filippo che valore ha questo tricolore?

Riconfermarsi è sempre difficile. L’anno scorso avevo vinto sul filo dei secondi una gara molto tirata. Quest’anno con Gioele (Bertolini, ndr) molto in forma mi aspettavo una gara molto imprevedibile. Ho affrontato un inverno molto buono, sapevo di stare bene e la corsa è andata benissimo.

Questo inverno hai dosato molto le energie. C’è un motivo in particolare?

Noi come Centro Sportivo Carabinieri Cicli Olympia facciamo la stagione completa di Mtb. Quest’anno però le qualificazioni olimpiche sono ad aprile, quindi avevo spostato la stagione col ciclocross in modo da tirare dritto fino alla primavera.

Obiettivo quindi Parigi?

Sarà dura perché ci sono tanti atleti che si stanno giocando i posti. Tuttavia penso e spero di fare la mia piccola parte. Anche se le possibilità sono poche, bisogna giocarsele fino in fondo.

Agostinacchio ha vinto il titolo degli U23, precedendo Barazzuol e Calligaro (foto Giorgio De Negri)
Agostinacchio ha vinto il titolo degli U23, precedendo Barazzuol e Calligaro (foto Giorgio De Negri)
Correre con questo freddo quanto incide sulla prestazione?

Con certe temperature c’è poco da fare, ma vi dirò che è stato meglio aver corso al mattino. Portare avanti una intera giornata con questo freddo sarebbe stato molto più dispendioso. Alla fine mi sono alzato alle 7, ho fatto colazione e alle 9 ho iniziato a provare. A quel punto con tutta l’adrenalina non senti più il freddo. Quindi meglio così, anche perché…

Cosa?

E’ un fattore molto personale, ma bisogna stare molto attenti. Sono tanti anni che corro in bici e ho fatto un po’ di errori prendendo più freddo del dovuto. Usavo abbigliamento sbagliato. Con l’esperienza ho capito come gestirmi. Oggi infatti ero molto vestito con una maglia termica manica lunga, il body lungo e i gambali. Ho preferito stare caldo (sorride, ndr). Anche con l’alimentazione ho imparato cosa mangiare in giornate così fredde, perché cambia veramente tutto. Ovvio che bisogna essere abituati ad allenarsi al freddo.

A livello psicofisico quanto ti dà il ciclocross in funzione della Mtb?

Anche questo è un aspetto personale. Nella Mtb ci sono tanti atleti forti, italiani e non, la cui maggior parte non fa ciclocross in inverno o comunque lo fanno in una quantità minima. Quest’anno non posso dire di averlo fatto ad altissimo livello perché ho partecipato solo a gare nazionali vicino a casa. La mia preparazione è stata fatta come se non ci fossero gare. Come fosse un inverno a casa fatto per la Mtb. Poi alla domenica andavo in gara con l’obiettivo di vincere o fare il miglior risultato. E soprattutto per metterci dentro un po’ di adrenalina. Anche perché se devo stare a casa ad allenarmi col brutto tempo, tanto vale andare a correre e fare un’ora di gara che mi aiuta di più.

Nella gara juniores, prima maglia tricolore per Stefano Viezzi, leader di Coppa del mondo (foto Giorgio De Negri)
Nella gara juniores, prima maglia tricolore per Stefano Viezzi, leader di Coppa del mondo (foto Giorgio De Negri)

Conferme e… riconferme

Nel gelo cremonese, sono stati gli juniores ad aprire la giornata di gara dove il vincitore ha rispettato i pronostici. Stefano Viezzi (DP 66) vince nettamente il titolo, migliorando il secondo posto dell’anno scorso e soprattutto confermando il suo favoloso momento di forma, grazie al quale è leader di Coppa del mondo. Alle spalle di Viezzi chiudono Lorenzo De Longhi (Zanolini Q36.5 Sudtirol) e Mattia Proietti Gagliardoni (Fas Airport Services Guerciotti Premac).

Così come negli elite, anche negli U23 la maglia tricolore non cambia padrone. Filippo Agostinacchio (Beltrami Tsa Tre Colli) vince con circa mezzo minuto di vantaggio su Enrico Barazzuol (Team Bosco di Orsago) e Cristian Calligaro (KTM Alchemist Powered Brenta).


«E’ stata la peggior gara che ho fatto – confida Agostinacchio – perché non riuscivo ad alzare il cuore, anche a causa del freddo. Diciamo che oggi era importante solo il risultato ed andata bene così».

Giro sul Blockhaus, Realini perfetta padrona di casa

14.01.2024
5 min
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Racconta Gaia Realini, 23 anni il prossimo 9 giugno, che quando fu finalmente in grado di scalare il Blockhaus in bicicletta, provò una gioia incontenibile. Per un ciclista nato e cresciuto sulle strade fra Pescara e Chieti, la sfida con quel monte è solo un fatto di tempo. Il 13 luglio lassù saliranno le ragazze del Giro d’Italia Women: edizione del debutto per RCS Sport, che ha pensato di proporre la doppia scalata del gigante d’Abruzzo. 

Curiosa coincidenza, la prima volta che il Giro d’Italia salì lassù fu nel 1967 e a vincere fu Eddy Merckx, anche lui 23 anni. Ci si chiedeva già allora per quale motivo quella vetta avesse un nome tedesco e si scoprì che glielo aveva dato un ufficiale austriaco. Sulla cima di quell’angolo della Maiella per contrastare il passaggio dei briganti, aveva disposto i suoi uomini in un fortino costruito nel 1863 con la tipica architettura tedesca, detta appunto Blockhaus: con le pietre sotto e sopra il legno.

Gaia Realini è nata il 19 giugno 2001: dopo la carriera nel cross, nel 2021-22 ha corso alla Isolmant, poi è passata alla Trek
Gaia Realini è nata il 19 giugno 2001: dopo la carriera nel cross, nel 2021-22 ha corso alla Isolmant, poi è passata alla Trek

Tra Francia e Italia

Quando il percorso del Giro d’Italia Women è stato presentato e avendo già visto quello del Tour de France Femmes (i francesi giustamente hanno usato il francese), anche un direttore sportivo esperto come Davide Arzeni si è chiesto se sia davvero più duro il finale sull’Alpe d’Huez o quello d’Abruzzo. E così abbiamo chiesto a Gaia che cosa ne pensi.

«Sinceramente non do torto ad Arzeni – dice sicura – la tappa italiana è molto più dura, perché parliamo della doppia ascesa del Blockhaus. La prima volta sarà una salita di 10 chilometri al 9 per cento di media. Con la seconda arriveremo ancora più su, quindi diventerà di 15 chilometri e saranno più duri. La seconda volta secondo me le pendenze si faranno sentire molto più che nella prima. E poi, a parte questo, arriveremo da una tappa completamente priva di pianura…».

Nel 2023 per l’abruzzese sono venute 3 vittorie, fra cui la tappa di Laredo alla Vuelta Feminina
Nel 2023 per l’abruzzese sono venute 3 vittorie, fra cui la tappa di Laredo alla Vuelta Feminina
Si ragionava nei giorni scorsi che il ciclismo delle donne sta affrontando salite mitiche molto più di un tempo. Un vantaggio per le scalatrici più forti?

Stiamo crescendo tanto a livello di visibilità, di spettacolo e di battaglia in ogni corsa. Gli organizzatori se ne sono resi conto e hanno fatto un grande passo avanti sui percorsi. Anche sono stupita di questo, perché vedere nei nostri percorsi queste doppie ascese e le grandi salite non è cosa di tutti i giorni. Sicuramente tutte queste novità fanno sì che ci siano cambiamenti anche a livello di preparazione e questo può fare solo bene, anche se non tutte saranno d’accordo.

In che senso?

Prendiamo questa grande salita da fare per due volte, okay? Sicuramente qualcuna si lamenterà, se fossi una velocista magari mi lamenterei anche io. Qualcuno potrebbe dire che facendola una sola volta, perderebbe meno terreno. Io invece parlo dalla mia parte, dal punto di vista dello scalatore ed è più che fantastico. Se perdo un po’ di tempo in pianura perché magari non prendo un ventaglio o qualche secondo di troppo nella crono, so che a fine Giro ci sarà due volte il Blockhaus in cui potrò recuperare tutto e magari fare la differenza.

All’Avenir 2023 Realini faceva il vuoto in salita e veniva ripresa e staccata in discesa: su questo sta lavorando
All’Avenir 2023 Realini faceva il vuoto in salita e veniva ripresa e staccata in discesa: su questo sta lavorando
Scusa la nota dolente, fra una salita e l’altra c’è la discesa che al Tour de l’Avenir è parsa il tuo punto debole…

Vero, è una nota dolente, però ci stiamo lavorando. E sicuramente spero che, se quel giorno mi dovranno staccare, lo faranno in salita perché non avrò gambe, ma non in discesa. Ce la metterò tutta, anche perché come conosco la salita, conosco bene anche la discesa. Sicuramente faranno di tutto per mettermi in difficoltà, però ci sto lavorando con la mia squadra e le mie compagne.

Ti ricordi la prima volta che hai scalato il Blockhaus?

Sinceramente non ero proprio piccola, perché il preparatore di prima (Francesco Masciarelli, ndr) con me è sempre andato con molta calma. E dato che non è una salita di poco conto e ha grandi pendenze, l’abbiamo sempre presa con le molle. La prima volta fu nel 2021 e fu indimenticabile. Gli chiedevo di andare già da prima, era una continuazione e lui ogni volta diceva di no, che era presto. Quindi la prima volta è impossibile da dimenticare, come per il bambino che aspetta il regalo di Natale. E in fondo ho lo stesso stupore ogni volta che vado su ad allenarmi.

Quanto spesso?

Diciamo che in questo periodo evito, perché la discesa è lunga ed è troppo freddo. Però quando la stagione è buona e me lo permette, vado su almeno 3-4 volte alla settimana. Praticamente un giorno sì e un giorno no.

Il programma 2024 prevede solo il Giro oppure anche il Tour?

Al momento prevede Vuelta, Giro e Tour, quindi farò anche l’Alpe d’Huez, così poi potremo dire quale sia la più dura. Lassù non ci sono mai andata, l’ho vista soltanto virtualmente durante la quarantena, ma non so se la realtà virtuale sia tanto fedele a quella vera, non sono così esperta. Per cui c’è da aspettare l’estate e poi potremo fare un confronto attendibile.

Landa alla corte di Remco, con licenza di vincere

14.01.2024
5 min
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CALPE (Spagna) – Uno spagnolo in Belgio. Mikel Landa è approdato alla Soudal-Quick Step per essere l’alfiere pregiato di Remco Evenepoel. Ormai non è più cosa rara che dei grandi campioni vadano a lavorare per i fenomeni. Basta pensare ad Adam Yates per Tadej Pogacar. O ai leader della Jumbo che spesso s’interscambiano.

Ma il basco ha le idee chiare e aver lasciato la Bahrain-Victorious non significa precludersi gli orizzonti del tutto. Anzi, per certi aspetti, come vedremo, questi potranno essere anche ampi. Molto ampi.

Mikel Landa (classe 1989) è arrivato alla corte di Lefevere con lo scopo principale di aiutare Evenepoel (foto Wout Beel)
Mikel Landa (classe 1989) è arrivato alla corte di Lefevere con lo scopo principale di aiutare Evenepoel (foto Wout Beel)
Mikel, sei ancora un leader o sei un gregario?

Tutte e due! Sono arrivato in questa squadra per mettere a disposizione un po’ della mia esperienza per Remco e poi per avere anche qualche spazio per me. In questo team c’è sempre stato un modo diverso d’intendere le corse (il riferimento è alle classiche, ndr), ma ora la cultura è un po’ cambiata e un corridore come me ci può stare bene.

Sei qui per aiutare Evenepoel, ma visto che lui va al Tour hai pensato al Giro d’Italia? Poteva essere una buona occasione per te?

No, quest’anno non ho valutato il Giro d’Italia. Ci aspetta una bella sfida al Tour de France con Remco e credo sia molto importante pianificare bene il tutto. E ancora più importante era correre tanto insieme a lui. Se avessi fatto il Giro avremmo avuto dei programmi differenti. E così ho deciso di fare Tour e Vuelta.

In cosa puoi aiutare Remco? Puoi aiutarlo anche a correggere i suoi errori, quelli magari che notavi in lui da avversario?

Mi aspetto di essere vicino a Remco in salita, prima di tutto, anche se dovesse restare solo o se invece dovesse attaccare. Ho corso con e contro molti campioni che hanno vinto dei grandi Giri e magari riesco a capire prima quali sono i momenti in cui si può vincere una gara e quando invece si può perdere. Spero dunque di riuscire a vedere queste situazioni un po’ prima di lui e di dargli qualche consiglio prezioso in quei momenti. Questo è uno sport difficile, in cui è più facile perdere che vincere. Quindi è molto importante riuscire a salvarsi nelle giornate in cui non stai bene, che guadagnare quando invece sei super. Ecco, io mi aspetto di poterlo aiutare soprattutto in quei giorni difficili. Tanto più oggi in cui i percorsi sono diversi e sono duri già dalla prima settimana.

Remco vive in Spagna e Landa ha detto che sta imparando la sua lingua. Aspetto importante ai fini di un buon feeling (foto Instagram)
Remco vive in Spagna e Landa ha detto che sta imparando la sua lingua. Aspetto importante ai fini di un buon feeling (foto Instagram)
Pogacar, Vingegaard, Roglic… non sono avversari normali, non credi?

Sì, sono più forti. Sono forti nelle cronometro. Sono esplosivi e possono anche guadagnare sugli arrivi “corti” in cui ci sono in palio degli abbuoni. Ma credo che Remco sia uno di loro.

In allenamento avete provato a fare un po’ di “guerra” tra di voi?

Ancora no a dire il vero, ma credo che entro la fine di questo ritiro qualcosa faremo. Per ora abbiamo iniziato tranquillamente. Poi magari, visto che lui vive in Spagna (nella zona del Sud, ndr) qualche volta mi sposterò io da lui se da me, nei Paesi Baschi, dovesse essere brutto tempo. Ma sicuramente faremo molte ore fianco a fianco, nel camp che precederà il Tour.

Sei stato chiamato a stare vicino a Remco, ma c’è qualche opportunità per te? Dove ti piacerebbe vincere?

Il Catalunya potrà essere un’opportunità. E anche ai Paesi Baschi potrei fare bene. Lì ci sarà anche Remco, ma correrò in casa e magari ci potrebbe essere spazio anche per me. E poi ci sarà la Vuelta, dove sarò leader. Ma l’idea di poter aiutare un compagno, un amico che vince grandi corse mi motiva. E’ uno stimolo per me. E poi come per il “landismo”, è bello veder correre un atleta come Remco. Ti fa saltare dal divano. Attacca. Dà spettacolo.

Alla Vuelta per vincere dunque?

Sono realista: si va per fare bene, ma vincere credo sia dura. Magari è più concreto puntare ad un podio o a una vittoria di tappa.

Non dovremmo più vedere scene così: Remco che forza e Landa (in terza ruota) che insegue. Semmai sarà il contrario
Non dovremmo più vedere scene così: Remco che forza e Landa (in terza ruota) che insegue. Semmai sarà il contrario
Tu e Remco parlavate mai in gruppo, prima del tuo passaggio in questa squadra?

Alla Vuelta, quando era ormai chiaro che sarei venuto qui, abbiamo iniziato a parlare un po’. E quindi abbiamo scherzato.

Mikel, com’è dopo tanti anni correre senza il tuo “fratello” Pello Bilbao?

Abbiamo corso tanto insieme da quando eravamo juniores, a volte come compagni e spesso come rivali. Quest’anno torniamo rivali e penso sia buono per il ciclismo basco avere corridori così importanti che combattono nelle migliori gare del mondo.

Hai detto del ciclismo basco e del ciclismo spagnolo invece cosa ci dici? Avete due ragazzi fortissimi: Juan Ayuso e Carlos Rodriguez. Chi è il più forte?

Io li vedo bene. Sono entrambi giovani, ambiziosi soprattutto e stanno già andando forte da un bel po’. Questo è un bene per il ciclismo spagnolo. Gli auguro una buona carriera, ma spero di trovarli ancora un po’ in difficoltà! Chi è più forte non lo so. Sono due ragazzi molto diversi. Carlos è più regolarista, meno esplosivo, più riflessivo e credo abbia bisogno di più tempo per vincere. Juan è più esplosivo, è cattivo ed è più pronto.

Coll de Rates, uno di noi sulla palestra invernale dei campioni

13.01.2024
7 min
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I 25 chilometri che vanno da Callosa d’en Sarrià a Parcent e viceversa, sono senza ombra di dubbio i chilometri più battuti dai ciclisti professionisti di tutto il mondo. Di certo lo sono nei mesi invernali. Lungo questa strada, che è la CV-715 infatti, sorge il Coll de Rates: nome che siamo sicuri non vi sia nuovo.

Questa salita è la palestra dei corridori. E’ qui che dilettanti, professionisti, leggende e anche appassionati del pedale vengono a costruire la gamba, a fare i test di valutazione, a mettere chilometri nelle gambe durante la preparazione invernale.

Ogni anno, durante i training camp che si svolgono proprio in questi giorni, arrivano news di qualcuno che demolisce i record di scalata, i famigerati KOM, dell’anno precedente. Giusto qualche giorno fa Evenepoel ha segnato il miglior tempo sul versante di Tarbena: 14’36” (secondo Strava), poco oltre i 7 watt/chilo.

Nei nostri raid sulla Costa Blanca, tra Oliva e Benidorm dove tutte o quasi le squadre stabiliscono le loro basi, abbiamo trovato anche noi finalmente il tempo di scoprire questa salita. Quanti atleti e quante atlete abbiamo incontrato… Sembrava una granfondo… di professionisti! Chi andava in un verso, chi nell’altro. Chi faceva le inversioni per le ripetute…

Strada per ciclisti

Si pedala nell’entroterra. Il mare in linea d’aria non dista che una quindicina di chilometri, ma sembra lontanissimo. Lasciata la costa, soprattutto se si sale dal versante di Callosa d’en Sarrià, ci sono subito colline abbastanza serrate. Ed è un continuo saliscendi (più sali che scendi), per raggiungere questo paesino. 

La cosa che più ci ha colpito è stata la cartellonistica di questa specifica lingua d’asfalto. Nei 25 chilometri che separano i due pueblos (i paesi) c’è scritto appositamente di prestare la massima attenzione per quella che è considerata una strada ciclistica. Questo la dice lunga sul perché i grandi team scelgono queste zone. Il buon clima iberico la fa padrone, ma non è l’unico motivo. La Comunitat Valeciana sovvenziona gli hotel che possono proporre prezzi super vantaggiosi. Ma questo è un altro argomento. E non mancano i cartelli che indicano le pendenze del chilometro successivo. O guard-rail specifici per chi viaggia su due ruote. Un paradiso per i ciclisti: dai pro’ ai neofiti.

Versante di Tarbena

Ma torniamo al Coll de Rates. Iniziamo ad analizzare la salita dal versante Sud, quello di Callosa d’en Sarria, che tutti chiamano di Tarbena, località che in realtà segna la cima. La salita comincia poco dopo l’uscita da Callosa, prima di entrare a Bolulla, dopo una breve discesa.

Presto il paesaggio, brullo e fatto di arbusti, lascia spazio ad una folta macchia mediterranea, alternata, più in alto, a terrazzamenti coltivati ad ulivo.

La scalata da questo versante misura 8 chilometri (ma i crono di solito vengono presi all’ingresso di Bolulla: da lì sono 7,1 km). E’ molto irregolare. Alterna tratti al 4-6 per cento, per poi impennarsi nella parte centrale con qualche strappata che supera di poco il 10 cento, specie in una ampia “S”. I due chilometri finali, invece fanno fatica ad arrivare al 5 per cento.

E’ una salita da rapporto. Un pro’ che spinge forte nei tratti più pedalabili può superare anche i 30 all’ora.

Versante di Parcent

Quello di Parcent senza dubbio è il lato più regolare del Rates. Non è affatto duro. Sembra una tipica salita da Tour de France: sede stradale abbastanza larga, pendenze fra il 4 e il 6 per cento e anche quando ci sono i tornanti questi sono ampi.

Rispetto all’altro versante la visuale è più aperta. Si guarda verso Nord, verso Valencia. E’ la sua regolarità che lo rende alquanto adatto a svolgere dei test. E guarda caso vi abbiamo incontrato Zana e i suoi compagni eseguirne uno.

La scalata inizia da un bar, affollatissimo di ciclisti. C’è un incrocio: da una parte (Est) si va verso la costa, dall’altra (Ovest) nell’entroterra e procedendo dritti (Sud) si sale, sempre lungo la CV-715. S’inizia con un lungo rettilineo la cui pendenza parte da zero e arriva al 5 per cento. Se dall’altro versante dominavano la macchia mediterranea e gli uliveti, da questa ci sono gli agrumeti in basso e di nuovo i pini marittimi più in alto.

Oltre il Rates

Un aspetto interessante, curioso e anche suggestivo del Coll de Rates è la sua parte alta. Questo valico infatti ha due scollinamenti: il Rates, appunto, e Tarbena. I due vertici sono separati da un segmento di 7 chilometri, abbastanza tortuoso, che resta in quota. In entrambi i sensi di marcia, all’inizio la strada scende un po’ e poi nel chilometro finale risale. E’ come se tra i due valichi ci fosse una “U”.

Ogni scollinamento ha una sua appendice. Dal Rates vero e proprio si può salire ancora. E’ l’appendice della Caseta de Vigilancia e questa sì che è davvero tosta. Strada stretta, asfalto che lascia spazio man mano ad un fondo in cemento e pendenze che toccano il 19 per cento. Al Coll de Rates l’altimetro segna 627 metri di quota, sulla Caseta de Vigilancia 907 metri. E lì la strada termina.

L’appendice di Tarbena è invece un valico vero vero e proprio: il Puerto Sa Creueta. Una volta in cima si svolta a sinistra (a destra se si viene da Parcent) e si continua a salire. Si lascia la CV-715 e s’imbocca la CV-752, che si segue per 6 chilometri. La pendenza non è affatto dura: 200 metri di dislivello in 6 chilometri appunto. Il chilometro iniziale, con una punta del 7 per cento, è forse il più duro.

Contador, i campioni generosi e il ciclismo dei folli

13.01.2024
4 min
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MILANO – Attorno ad Alberto Contador c’è come al solito il capannello dei giornalisti. Lo spagnolo è venuto a Milano per la presentazione del Team Polti-Kometa (in apertura il team in allenamento a Oliva, foto Maurizio Borserini) di cui è titolare assieme a Ivan Basso, ma le domande vertono su tutto il resto. Si parla di Pogacar e di Vingegaard. Dello sloveno che tenterà la doppietta e la battuta di Alberto apre la porta su uno scenario che nessuno finora ha ipotizzato.

«Se Pogacar vince il Giro e poi il Tour – dice Contador – poi va alla Vuelta e vince pure quella».

Lo intercettiamo qualche minuto più tardi davanti al buffet. La curiosità non riguarda gli altri, ma la Fundacion Alberto Contador che è alla base della professional appena svelata. La Spagna brilla per la sensibilità dei suoi campioni. Samuel Sanchez, Alejandro Valverde, Alberto Contador e persino Stefano Garzelli hanno creato delle scuole di ciclismo. Sono strutture serie, su cui i campioni investono, attirano risorse grazie al loro nome e così restituiscono allo sport ciò che ne hanno ricevuto. E’ una forma di generosità matura, che in Italia purtroppo non conosciamo: i nostri ex queste cose non le fanno, non tutti almeno. Di fronte al tema che lo riguarda così da vicino, Contador mette giù il piatto e fa cenno di spostarci.

Contador ha partecipato alla presentazione del Team Polti-Kometa, di cui è uno dei titolari
Contador ha partecipato alla presentazione del Team Polti-Kometa, di cui è uno dei titolari
Quanto è importante la Fundacion Contador per il Team Polti-Kometa?

E’ molto importante. No, di più. Credo che sia un punto di differenziazione rispetto alle altre squadre. Abbiamo iniziato con gli juniores, poi con la categoria under 23 e ora quella professionistica. Perché ci crediamo. Abbiamo visto corridori come Enric Mas, Carlos Rodríguez, come Juan Pedro López, come Oldani, come tanti altri che hanno lasciato la Fondazione. Penso che questo sia un chiaro segno che si tratta di un buon vivaio, una buona “cantera” per reclutare giovani corridori.

E’ un peccato che tutti quei corridori siano andati in altre squadre?

Sì, è certamente un peccato. E’ un po’ una legge della vita, ma è anche vero che quando se ne sono andati non avevamo ancora una squadra di professionisti. Ora abbiamo giovani di talento come Piganzoli e Fernando Tercero. Corridori nei quali abbiamo fiducia e vedremo se riusciranno a soddisfare le aspettative.

In Spagna la tua Fondazione non è un caso isolato, vedendo quel che fanno Sanchez, Valverde e Garzelli.

Sì, è vero, penso che sia un piacere vedere uomini che sono stati ai vertici del loro sport concedere una possibilità ai più giovani. Ci facciamo sempre la stessa domanda, in Italia forse più che in Spagna. Ci chiediamo perché non ci siano corridori e così via, ma io credo che dobbiamo cercare di fornire risorse e risposte. E penso sia importante per noi ex atleti il fatto di aiutare il più possibile. E’ un’ottima cosa.

La Fundacion Contador cresce giovani atleti e raccoglie fondi per la ricerca sull’aneurisma cerebrale
La Fundacion Contador cresce giovani atleti e raccoglie fondi per la ricerca sull’aneurisma cerebrale
Qual è il tuo ruolo rispetto ai corridori della squadra?

Mi piace stare a contatto con loro. E’ vero che a volte magari li metto in crisi, perché valuto tutto ricordando il mio punto di vista su tutti gli aspetti. E io avevo un livello di pretese così alto, che a volte per loro può sembrare negativo. Cerco di restare calmo, l’ho imparato negli anni, però mi piace dare consigli e non passare il mio tempo solo con gli allenatori e gli sponsor.

Avevi pretese altissime, come ti saresti trovato in questo ciclismo in cui si rincorre la perfezione?

Mi piacerebbe correre in questo periodo, mi piacerebbe correre in generale. Il ciclismo è uno sport che mi appassiona e mi piace, come in questi ultimi anni, che sia anche un po’ folle. Forse quando facevo le mie pazze azioni in passato, non avevo compagni di avventura. Invece penso che adesso avrei con me qualche attaccante in più, a cui piace fare cose diverse. Sarebbe davvero divertente.

La vittoria di Bais a Campo Imperatore è per Contador la prova che si può fare bene anche senza budget stellari
La vittoria di Bais a Campo Imperatore è per Contador la prova che si può fare bene anche senza budget stellari
E’ possibile fare le cose per bene con un budget inferiore a quello degli squadroni?

Penso che stiamo andando nel verso giusto. La svolta che abbiamo fatto ci ha permesso di salire di livello. La vittoria di tappa al Giro dello scorso anno è un segnale molto interessante. Il successo di Bais a Campo Imperatore è stato il solo di una squadra non WorldTour ed è la dimostrazione che preparando molto bene un obiettivo, lavorando con precisione millimetrica, si possono ancora fare grandi cose.