Restrepo: il 2023 per rilanciarsi, la Polti per confermarsi

03.03.2024
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Jhonatan Restrepo ha iniziato forte questo 2024, 16 giorni di corsa, due vittorie e ben 8 piazzamenti nei primi dieci. Prima in Colombia, a casa sua, poi in Rwanda, il corridore della Polti-Kometa ha raccolto tanto e il suo tono di voce fa trasparire tanta felicità. Ora Restrepo si trova in Italia, vicino a Torino, si allena e guarda avanti: la stagione non finisce a febbraio. Sa che c’è da lavorare e preparare i prossimi impegni, non guarda troppo in là, le cose si fanno un passo alla volta

«Rispetto al Tour du Rwanda fa freddo – scherza Restrepo – là ero abituato a 40 gradi, qui in Italia ce ne sono 10. Ho iniziato bene la stagione, prima in Colombia, dove ho vinto anche una tappa, l’ultima. Nelle frazioni precedenti ho provato anche a lanciarmi in qualche sprint, ma ne sono uscito battuto. Non è facile, sono veloce, ma non posso fare una volata di gruppo. Prendevo bene le ruote dei velocisti, ma poi quando provavo ad uscire rimanevo fermo».

Restrepo ha vinto l’ultima tappa della Tour Colombia battendo un gruppetto allo sprint
Restrepo ha vinto l’ultima tappa della Tour Colombia battendo un gruppetto allo sprint
Poi però quando la strada saliva sei riuscito a vincere, non si può fare tutto…

Nei giorni con tanta salita stavo bene, l’ho dimostrato. Il Tour Colombia è stata la prima corsa di più giorni e sono felice di come è andata. In salita ero pronto, stavo davanti, lottavo con i primi. In Rwanda, invece, è andata ancora meglio. Anche lì ho vinto una tappa, in più sono sempre stato in gioco per la classifica (Restrepo ha terminato terzo nella generale, ndr).

Come sono andati i primi mesi con la Polti-Kometa?

Qui si lavora molto bene. Grazie a loro ho cambiato molto nell’allenamento, nell’alimentazione, ho imparato a mangiare meglio. Metto attenzione su cose che prima non riuscivo a fare. La Polti è una squadra molto professionale, quando si lavora così è tutto più semplice. Ci sono le persone giuste, che lavorano sulle cose giuste, c’è fiducia reciproca perché ti confronti con gente che sa cosa deve fare. 

Il corridore della Polti ha provato anche a fare le volate di gruppo, ma i velocisti erano imbattibili
Il corridore della Polti ha provato anche a fare le volate di gruppo, ma i velocisti erano imbattibili
Un cambiamento che arriva in un punto importante della carriera.

Non sono vecchio, ma non sono nemmeno giovane. E’ il momento di prendermi delle responsabilità, per me e per la squadra. So che se continuo a lavorare e allenarmi così i risultati arriveranno. 

Uscivi da un 2023 non facile, è così?

No, l’anno scorso per me è stato un anno bello. Ero tranquillo, non penso sia stato un anno duro. Ho imparato tanto anche in quella situazione, grazie ai giovani. Ho scoperto la voglia di insegnare e trasmettere la mia esperienza, di dare tanti consigli. Nella GW Shimano ero un po’ il capo, di solito in Europa questa cosa non te la fanno fare. Per me il 2023 è stato importante, perché grazie a quella esperienza ho trovato una voglia nuova, che non sapevo di avere. 

Hai corso tanto in Colombia e in generale in Sud America, che livello hai trovato?

Alto, altissimo. Specialmente in Colombia, lì gli scalatori ci sono e vanno davvero forte. Un po’ mi sono dispiaciuto, perché appena arrivato dall’Italia, dove avevo vinto a Reggio Calabria, stavo bene. Poi però alla Vuelta a Colombia, la corsa a tappe lunga di giugno, sono caduto e mi sono rotto le costole e una scapola. Ho praticamente finito la stagione in anticipo. 

Restrepo (a sinistra) in Rwanda ha conquistato la terza posizione in classifica generale (foto Tour du Rwanda)
Restrepo (a sinistra) in Rwanda ha conquistato la terza posizione in classifica generale (foto Tour du Rwanda)
Il 2023 quindi ti ha fatto ritrovare un nuovo Restrepo?

Sì, correre in Colombia è sempre bello, soprattutto per me che arrivo da lì. E’ un modo di gareggiare più rilassato rispetto all’Europa, e questo mi ha aiutato a ricaricarmi. Da voi bisogna allenarsi sempre al massimo e non è facile restare concentrati tutto il tempo. 

L’arrivo alla Polti-Kometa com’è nato?

Il primo interesse è nato dopo la vittoria a Reggio Calabria, ma mi tenevano sotto controllo da giugno. Per questo salto devo ringraziare Ellena, a lui devo tanto, se non tutto. Mi ha dato una grande mano nel trovare squadra. La Polti-Kometa ha creduto tanto in me e questo mi dà tanta consapevolezza. Avere la fiducia di Basso e Contador vuol dire molto.

L’inizio di stagione ha visto un altro successo per il colombiano, questa volta in Rwanda (foto Tour du Rwanda)
L’inizio di stagione ha visto un altro successo per il colombiano, questa volta in Rwanda (foto Tour du Rwanda)
Ora arrivano delle corse importanti, fondamentali anche in ottica Giro d’Italia. 

Ora punto a fare bene alla Tirreno-Adriatico, alla Milano-Torino e Milano-Sanremo, il 17 marzo spero di aver raccolto cose buone. Al Giro manca ancora tanto, prima ci sono questi 20 giorni di corsa, se non si fa bene qui, non si viene presi in considerazione per la corsa rosa. 

Alla Polti-Kometa ci sono due giovani interessanti, riuscirai a passare loro la tua esperienza?

In questo mese correrò molto con “Piga” e mi piacerebbe insegnare qualcosa. Restare tranquillo, prendere le salite in testa senza fare fatica, alimentarsi in gara. Mi piace Piganzoli perché è uno che ascolta, si interessa, insomma è un corridore sveglio. Dare una mano a ragazzi come lui è un piacere. 

Villa al Tour du Rwanda, qualcosa di davvero inaspettato

03.03.2024
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Nove ore di viaggio. Non verso l’altra parte dell’Atlantico, ma scendendo sempre più il Pianeta in senso longitudinale, giù giù fino al Rwanda. Per Giacomo Villa la partecipazione al Tour locale è stata un’autentica esperienza: la prima fuori dall’Europa, ma anche la prima gara a tappe nel nuovo team, la Bingoal WB, che ne ha subito fatto uno dei suoi alfieri.

La corsa africana aveva alla partenza 4 team professional, 6 nazionali e diverse continental (foto Tour du Rwanda)
La corsa africana aveva alla partenza 4 team professional, 6 nazionali e diverse continental (foto Tour du Rwanda)

Una trasferta difficile, in un Paese che si sta sempre più abituando alle due ruote agonistiche e che il prossimo anno arriverà addirittura ad ospitare i campionati mondiali. Il racconto di Villa parte proprio da questa constatazione, il confronto tra quel che sarà e la realtà attuale: «Non è facile organizzarsi, non è una gara come quelle a cui siamo abituati. La trasferta intanto è lunga e non si assorbe facilmente. Poi bisogna partire dal presupposto che si gareggia in un luogo molto diverso dai soliti, dove bisogna abituarsi allo stile di vita del posto, dove i ritmi sono più compassati, dove bisogna anche sapersi adattare. Se dovessi dire a mente fredda, è una bellissima esperienza, ma anche difficile».

Che cosa ti ha colpito di più?

Il grande calore del pubblico. Me ne sono accorto sin dalla prima tappa: a un certo punto ai bordi della strada trovavamo tanta gente festante e continuava così per 2 chilometri fino al passaggio nel paese e così ancora per altri 2 chilometri. Non capita così spesso da noi, se non per le grandi tappe di Giro e Tour. Ma il bello era che la gente si arrampicava sui pali o sui muri per assistere al nostro passaggio. Poi le scuole: 200-300 bambini che urlavano entusiasti. E’ qualcosa che mi è rimasto nel cuore.

Villa con i compagni di team, i belgi Meens, Teugels e Van Poppel e il danese Salby
Villa con i compagni di team, i belgi Meens, Teugels e Van Poppel e il danese Salby
I percorsi come ti sono sembrati?

Già quando si è nella Capitale, si sta a 1.500 metri di altezza e tutti i percorsi sono contraddistinti dall’altura, si toccano anche i 2.500 metri. Nella terza tappa ad esempio non si è mai scesi sotto i 1.800 metri. Di pianura ce n’è davvero poca, sono tutti saliscendi per lo più con pendenze molto morbide, 4-5 per cento.

Di gente in bici ne avete vista?

Tantissimi, nel senso che la bici è vista come il principale mezzo di spostamento, utilizzata addirittura come taxi o anche per trasportare tante materie prime. Tanto che ci chiedevamo come facessero a portare quei carichi… Dal punto di vista sportivo ho l’impressione che il ciclismo sia ancora considerato uno sport di nicchia: c’era la nazionale e un team locale, ma non c’è ancora quello sviluppo che ci si attenderebbe. Ogni tanto però si vedeva qualche ragazzino con la bici e una maglia di qualche vecchia squadra.

Tantissima gente ai bordi delle strade, il Paese si sta sempre più sensibilizzando verso il ciclismo (foto Tour du Rwanda)
Tantissima gente ai bordi delle strade, il Paese si sta sempre più sensibilizzando verso il ciclismo (foto Tour du Rwanda)
Veniamo all’aspetto agonistico: per te era la prima esperienza con la squadra belga?

Avevo già gareggiato a La Marseillaise, ma questa era la prima corsa a tappe con loro. Mi sono trovato bene, con i compagni stiamo legando molto superando anche il problema della comunicazione, con un misto di inglese e francese ci intendiamo bene tutti quanti. E’ un team professional che quindi deve fare i conti con il ranking Uci, c’è una caccia ai punti che contraddistingue tutta la nostra attività e credo di aver dato il mio contributo con qualche buon piazzamento.

L’inizio non è stato semplice, con l’11° posto nella cronosquadre.

Lì si vede la differenza di mezzi a disposizione. Ci siamo trovati ad affrontare formazioni che avevano potuto portare con sé anche le bici da crono, noi invece avevamo solamente quelle da strada e quindi eravamo svantaggiati. Per fortuna la cronosquadre contava solamente per la classifica dei team, il Tour vero e proprio è iniziato il giorno dopo.

La volata della quarta tappa vinta da Lecerf, Villa (in giallo) è quarto (foto Tour du Rwanda)
La volata della quarta tappa vinta da Lecerf, Villa (in giallo) è quarto (foto Tour du Rwanda)
Per buona parte della corsa sei stato anche in predicato di dare l’assalto alla Top 10…

Fino alla quarta tappa sono sempre stato nei primi 10, poi è arrivata la cronometro di 13 chilometri, ma tutta fra i 1.800 e i 2.300 metri di altitudine: bella tosta proprio per questo aspetto. Era come gareggiare a Livigno, se non sei abituato paghi. Io comunque ho chiuso 27°, ma il giorno dopo ho avuto problemi di stomaco e arrivato sull’ultima salita sentivo le gambe vuote. A quel punto la classifica è andata.

Dopo questa lunga trasferta che cosa ti attende?

Domenica (oggi, ndr) sarò al GP Jean Pierre Monseré in Belgio, poi dovrei seguire la stagione italiana con Milano-Torino, la Settimana Coppi e Bartali, il neonato Giro dell’Abruzzo. La mia speranza è di ricavarmi un posto per una delle Classiche, se vado forte potrei entrare nel roster per Freccia Vallone e Liegi-Bastogne-Liegi e per me sarebbe un grande successo. Infatti sto puntando la Coppi e Bartali dove voglio fare risultato.

Il britannico della Israel Premier Tech Joseph Blackmore, vincitore della corsa africana (foto Tour du Rwanda)
Il britannico della Israel Premier Tech Joseph Blackmore, vincitore della corsa africana (foto Tour du Rwanda)
Come ti stai trovando avendo dovuto cambiare tutto?

Sì, è un cambiamento profondo e me ne sto accorgendo sempre di più. Prima alla Biesse Carrera avevo tutto a portata di mano, ad esempio il diesse Nicoletti abita proprio vicino a me ed era un costante punto di riferimento. Ora mi muovo sempre da solo, gli spostamenti sono con l’aereo. Inoltre bisogna ragionare molto come squadra, inquadrando gli obiettivi del team che sono incentrati sull’ottenimento di più punti possibile. Per la Bingoal poi il target, anche per i rapporti con gli sponsor, sono le classiche e bisogna lavorare per quelle. Per questo per me esserci significherebbe tantissimo in questo primo anno.

Persico: «Battere le grandi? Bisogna coglierle in giornata no»

03.03.2024
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SIENA – Alla vigilia della Strade Bianche Silvia Persico, era pronta alla sfida. Il morale magari non era stellare, ma di certo era in ripresa. E lo era perché in ripresa erano anche le sue gambe. Il suo inizio di stagione sin qui è stato costellato da alti e bassi: quinta nella gara d’esordio, il Trofeo Palma Femina, bene al UAE Tour Women, malino alla prima in Belgio, l’Omloop Het Nieuwsblad.

L’atleta della UAE Adq sperava in una top 10 nella classica toscana. Non ci è andata lontana. Alla fine ha chiuso 14ª e tutto sommato è stata autrice di un buon finale, visto che non era nei primi due gruppetti quando mancavano gli ultimi due sterrati. Dopo il traguardo, prima di sedersi a terra, con lo sguardo perso nel vuoto, Silvia ci ha parlato di una gara dura, di crampi e di un finale confuso. Poche parole. Il resto lo dice la foto sotto.

Silvia Persico (classe 1997) stremata all’arrivo di Siena
Silvia Persico (classe 1997) stremata all’arrivo di Siena

La Strade Bianche era un antipasto per la Persico 2.0, lasciateci dire così. Nuovo allenatore, nuovi obiettivi, nuovi approcci alle gare e alla stagione stessa, visto che non ha preso parte al ciclocross come da sua abitudine.

Per Silvia ci sono in vista tutte, ma proprio tutte, le classiche del Nord: dalle Fiandre alle Ardenne, monumenti e non solo.

Quest’anno la lombarda punta decisa alle classiche. Correrà sia quelle fiamminghe che quelle delle Ardenne
Quest’anno la lombarda punta decisa alle classiche. Correrà sia quelle fiamminghe che quelle delle Ardenne
Silvia come stai?

Dopo il UAE Tour Women ho passato un periodo down. Adesso – ci aveva detto alla vigilia della Strade Bianche – mi pare di essere in fase di ripresa. L’Het Nieuwsblad non è andata come appunto immaginavo, però la stagione è ancora lunga.

Da cosa dipende questo down, come l’hai chiamato te?

Sinceramente non lo so. Dopo le gare, in UAE stavo davvero bene, avevo delle buone sensazioni. Pensate che in salita ho fatto il mio personal best sulla mezz’ora. Sono tornata a casa e ho iniziato a non stare bene, non spingevo più gli stessi watt. Quindi ho passato dieci giorni così così. Dieci giorni in cui neanche mi sono allenata tantissimo proprio perché non stavo bene. Cercavo di recuperare. Le gambe erano legnose.

Potrebbe essere stato il cambiamento di temperatura?

Forse, davvero non lo so. Anche perché negli ultimi 3-4 mesi, cioè da quando ho cambiato coach (ora è seguita da Luca Zenti, ndr) mi sono sempre sentita molto bene. Ma quel che conta è che negli ultimi giorni mi senta meglio. La gamba risponde in modo diverso rispetto ad una settimana fa.

Nell’intervista di dicembre, avevi insistito sul discorso delle corse di un giorno, di andare a caccia delle tappe nei grandi Giri. Ci stai lavorando col nuovo coach? E come?

Le nostre gare sono diventate più lunghe, quindi mi alleno di più settimanalmente. Arrivo anche a 22-23 ore, prima ero sulle 15-6, massimo 18. Sto lavorando comunque sulla quantità e ho iniziato a fare dei lavori diversi per quanto riguarda la qualità. Degli specifici che non avevo mai fatto.

Sul Jebel Hafeet la sensazione di una grande prestazione. Persico “stoppa” subito il computerino per registrare i dati. Ne usciranno numeri importanti
Sul Jebel Hafeet la sensazione di una grande prestazione. Persico “stoppa” subito il computerino per registrare i dati. Ne usciranno numeri importanti
Tipo?

Non faccio sempre le SFR o i 30”-30”, i 20”-40” o i 40”-20”… E‘ un’intensità un po’ diversa. In più ho incrementato un po’ la palestra. E dalle prime corse fatte in Spagna avevo degli ottimi valori, molto più alti dello scorso anno. Però è anche vero che il livello medio si è alzato. Eravamo su una salita: se quei valori li avessi espressi due anni fa, saremmo rimaste in dieci. Quest’anno eravamo ancora 40-50 atlete insieme. Pertanto l’asticella la devo alzare ancora se voglio vincere.

Visto che hai parlato di corse di un giorno, che richiedono esplosività, ti manca un po’ l’intensità del cross? Almeno in questo periodo post ciclocross appunto…

Forse un pochino, ma neanche più di tanto. Comunque l’intensità l’abbiamo fatta, magari non quella che ti dava il cross, ma l’abbiamo inserita nella preparazione. Poi ho notato che in questo periodo, dopo le stagioni di cross, ero sempre un po’ già in calo. Non avevo più la stessa forma di gennaio. L’anno scorso, di questo periodo, credo fossi in condizioni peggiori. Ma gli appuntamenti importanti arrivano fra un mesetto.

Come ti sei trovata sullo sterrato senese? E’ tanto diverso da quello del cross? Richiede una guida simile o non c’entra proprio niente? E certe skills tornano utili?

Sì e no, io ho una guida un po’ particolare, mi butto un po’ troppo! A volte mi esce la vena da kamikaze della crossista! E questo può essere un difetto. Avere una certa dimestichezza con lo sterrato del cross forse un pochino ti aiuta, ma soprattutto con l’aggiunta dei nuovi settori serve potenza. Potenza pura. Semmai certe capacità di guida ti consentono di essere più sciolta nei tratti gravel, ma se non hai la forza puoi aver fatto tutto il cross di questa vita che non vai da nessuna parte.

Alla Omloop che fatica: ecco Persico comunque nel gruppo delle big. Si riconoscono Vos, Balsamo… e davanti a lei l’iridata Kopecky
Alla Omloop che fatica: ecco Persico comunque nel gruppo delle big. Si riconoscono Vos, Balsamo…
Silvia, come si battono queste super atlete? Kopecky, Vollering, Vos… loro sì che ne hanno di potenza.

Andando forte! Ho visto una Demi Vollering in forma e una Lotte Kopecky potente. Lei in realtà potente lo è sempre stata, ma credo che quest’anno sia dimagrita ancora… e penso possa e voglia vincere il Tour de France. Immagino che per batterle dovrò sorprenderle nella giornata no!

Si studiano queste campionesse in corsa? Hai il tempo di metterti alla loro ruota?

Dipende anche dalla gara, però un po’ le studi. Anche se devo dire che preferisco vederle come persone normali e non come super atlete. Ho avuto modo di passare del tempo con loro oltre alla bici, dopo il mondiale di gravel, e sono semplici.

E sul bus, per esempio, o nei vostri meeting fate delle analisi tecniche per conoscerle? Per esempio: questa ragazza ha tenuto questi watt per tot tempo…

Proprio così, no. Abbiamo fatto delle stime col mio coach, in base ai dati sulla salita dell’UAE Tour Women, io quel giorno ho sviluppato 30 watt in più dell’anno scorso. In quell’occasione abbiamo cercato di capire i watt medi di Kopecky. Generalmente sul bus, invece, si parla più di tattica che di numeri.

Alle spalle di Tadej, stremati tra fatica e stupore

02.03.2024
4 min
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Se qualcuno, vedendolo attaccare, ha pensato che Pogacar stesse scherzando, può riporre la bici nel camion e cambiare lavoro. Il problema semmai è che tutti hanno preferito voltarsi dall’altra parte, come quando in salita partiva Pantani ed era meglio non provarci nemmeno. Quando Tadej s’è alzato in piedi e ha dato le dieci pedalate in più che l’hanno staccato dal gruppo di testa, nessuno ha avuto il coraggio di seguirlo. Ne serve tanto per andare all’attacco a 81 chilometri dall’arrivo.

Pidcock arriva 4° al traguardo con il rimpianto di non essersi mosso prima dietro l’attacco di Tadej
Pidcock arriva 4° al traguardo con il rimpianto di non essersi mosso prima

Il rimpianto di Pidcock

Pidcock è arrivato a Siena da vincitore uscente e con una condizione accettabile. L’ottavo posto dell’Omloop Het Nieuwsblad poteva essere un buon viatico per giocarsi la Strade Bianche, ma forse neppure lui immaginava di doversi confrontare con un simile attacco. Le gambe forse c’erano, perché quando poi ha deciso di cambiare ritmo, non ha avuto grosse difficoltà a liberarsi della compagnia.

«Anche prima che Tadej si muovesse – ammette in serata – eravamo a tutto gas. Quando poi ha attaccato, sembrava che fossimo nel grupetto dei velocisti, intorno c’erano solo cadaveri e io ho aspettato troppo a lungo. Ho fatto troppo poco e troppo tardi. Se me la fossi giocata un po’ meglio, sarei potuto arrivare secondo. E’ stato come se stessimo correndo sul vecchio percorso, ma quando si aggiungono 40 chilometri tutto diventa più difficile, anche se non credo che il risultato sarebbe cambiato.

«Ho mangiato senza sosta per tutta la gara, oggi era fondamentale e stasera penso che non mangerò nulla. Quando vai a tutto gas già nei primi 80 chilometri, mangi come se fosse in finale e poi devi continuare allo stesso modo sino in fondo. Non mi aspettavo che Tadej attaccasse in quel punto e quando lo ha fatto ci siamo guardati in faccia senza sapere cosa dire. Ho pensato che non avesse senso andare con lui in quel momento, perché mancavano ancora 80 chilometri e non volevo finire in rosso, ma potevo sicuramente fare diversamente».

Sulla salita finale di Santa Caterina, Skujins riesce a distanziare di 3″ Van Gils
Sulla salita finale di Santa Caterina, Skujins riesce a distanziare di 3″ Van Gils

La soddisfazione di Skuijns

Toms Skuijns è arrivato secondo, staccando nel finale Van Gils che per primo era riuscito ad avvantaggiarsi dalla testa del gruppo. Il lettone della Lidl-Trek si era già mosso bene in Belgio, ma il secondo posto di Siena è il suo miglior risultato in una grande classica.

«Onestamente – dice – senza la squadra non sarei arrivato secondo. E’ la prima volta che sono il leader designato in gara e spero di averli ripagati per questo. Ho forato due volte prima di cadere ed entrambe le volte ho preso le ruote da Jacopo (Mosca, ndr) ed entrambe le volte Eddie e Fabio (Theuns e Felline, ndr) mi hanno aspettato per riportarmi in testa al gruppo. Hanno fatto davvero tutto il possibile.

«Peccato che contro Tadej non ci fosse molto da fare, ma penso che con tutto quello che è successo oggi possiamo essere più che soddisfatti. Quando è partito avevo il cambio che saltava, è stato un momento molto difficile. E’ stata una battaglia: non solo fisicamente, ma anche mentalmente. E’ uno dei podi più belli che potessi ottenere, è una gara molto speciale. Sai sempre che sarà un giorno pazzesco in cui dovrai lottare senza sosta. Già lo scorso fine settimana in Belgio avevo fatto passo avanti e questo è l’obiettivo di ogni anno: fare un passo avanti. Ci sono altre gare in arrivo, il team sta crescendo e sono molto felice di farne parte».

Van Gils, 24 anni, dopo l’arrivo era sfinito ma soddisfatto per il podio
Van Gils, 24 anni, dopo l’arrivo era sfinito ma soddisfatto per il podio

Van Gils, un passo avanti

Van Gils, 24 anni, è partito all’attacco sulla salita delle Tolfe, dando l’impressione di avere ancora gambe. E forse la sua idea sarebbe stata la migliore, se qualcun altro lo avesse seguito. Anche se forse a quel punto le forze erano al lumicino per tutti.

«All’inizio della gara ero nervoso – ha detto il belga della Lotto Dstny – ci siamo impegnati così tanto per prepararla. Ho provato a seguire Tadej, poi sarei potuto restare alla sua ruota. Ma c’erano altri corridori prima di me e non sono riuscito a rispondere. Così Tadej se ne è andato, perché era semplicemente troppo forte per tutti. Quando ho attaccato, speravo di portarne altri con me, ma nessuno mi ha seguito, a parte Skujins. Sapevo che la Strade Bianche è adatte a me, questo podio è la conferma che posso competere con i grandi. E’ davvero bello sapere di aver fatto un altro passo avanti. Sono completamente esausto ora, ma super felice di questa prestazione».

Vittoria moderna, dal sapore antico: a Siena è Pogacar style

02.03.2024
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SIENA – Due anni fa titolammo: “La solitudine del numero uno”. Per la Strade Bianche di quest’anno potremmo riprendere quel titolo. Tadej Pogacar è stato ancora autore di un’impresa. Di quelle dal sapore antico, ma figlia più che mai del ciclismo moderno.

Si diceva che l’allungamento del percorso, con l’inserimento del circuito delle Tolfe, potesse addormentare la corsa. Che Sante Marie non sarebbe stata decisiva come in passato. E che forse, ma forse, Pogacar non avrebbe attaccato così da lontano e invece… Invece Pogacar ha fatto Pogacar! E’ andato in fuga da solo. Se pensiamo che era al debutto stagionale, in pratica era in fuga dal Giro di Lombardia!

Sul traguardo, dopo un momento d’incredulità e, forse di compiacenza, Tadej scende di sella. Alza la bici in segno di trionfo e la mostra a tutta Piazza del Campo che lo ha accolto con un boato pazzesco. Come un attore sul palco: prima da una parte, poi si volta dall’altra.

Scenari unici, ritmi alti. La fuga ha impiegato quasi due ore per partire
Scenari unici, ritmi alti. La fuga ha impiegato quasi due ore per partire

Trionfo moderno?

La cronaca è molto breve: una fuga che fa fatica ad uscire. Quando lo fa è super controllata proprio dalla UAE Emirates e dopo un “mezzo ventaglio”, ma comunque sempre con un compagno di Tadej in testa, Wellens, ecco l’affondo dello sloveno a 81 chilometri dall’arrivo. Sì, avete capito bene: 81 chilometri da Piazza del Campo.

Matej Mohoric ce lo aveva detto chiaro e tondo questa mattina che Pogacar era il favorito. Aveva ragione. Ma come è possibile che alla prima corsa della stagione si possa fare un numero del genere? Non dovrebbe mancargli qualcosa, cioè il famoso ritmo gara?

«La prima gara della stagione – ha detto Pogacar – è sempre dura dal punto di vista mentale. Mi sono preparato molto bene durante l’inverno. Durante la fuga chiedevo solo dei distacchi».

In questi giorni con la ripresa delle classiche e i big che man mano tornano e vincono, si è parlato di  approcci moderni alla gare, di freschezza muscolare. Lo stesso Brambilla l’altro giorno ci aveva avvertiti che poco avrebbe inciso il fatto che Pogacar fosse alla prima corsa dell’anno.

Piani all’aria

E allora possiamo dire che paradossalmente il non aver corso prima lo ha favorito in una gara tanto dura?

«Alla prima corsa della stagione non sai mai davvero come stai – dice il direttore sportivo Andrej Hauptman – noi sapevamo che Tadej stesse bene, ma così non avremmo potuto dirlo. Attacco vecchio stile: in realtà avevamo pianificato di partire più tardi. Ma poi quando Tadej sta bene non lo ferma nessuno. Improvvisa.

«Poi non è facile prepararsi per le corse di un giorno senza gareggiare, ma posso dire che abbiamo trovato un percorso di avvicinamento, un protocollo giusto, anche per le classiche».

Il tecnico sloveno preferisce non entrare nel dettaglio. Ed è comprensibile in un mondo che sempre di più assomiglia alla Formula 1, ma ci confida che non mancano i chilometri dietro motore, che Tadej preferisce fare dietro moto e non dietro macchina.

«Ogni campione – conclude Hauptman – è diverso e ha il suo modo di allenarsi e di trovare il suo top. Sapevo che stesse bene perché ha passato un buon inverno. Quando lo sentivo era sempre molto tranquillo. Ma di fatto la corsa resta il miglior test e così è stato anche per noi oggi. Insomma non è stata così facile questa vittoria».

Pogacar style

Mentre Tadej è sul palco, al bus della UAE i sorrisi sono lampanti. Dopo aver parlato con Hauptman ecco arrivare Joxean Fernandez Matxin. Anche allora partì su Sante Marie.

«Trionfo moderno? Io direi un trionfo Pogacar style – dice Matxin – ieri, dopo la ricognizione, abbiamo fatto la riunione e gli abbiamo chiesto: “Secondo te quando è il momento giusto per partire? “. E lui ci ha risposto: “Al primo passaggio sulle Tolfe”. “Bene, lì mancano 49 chilometri. Facciamo un passo forte prima e poi vai”. Mi sembrava giusto. Poi quando ho visto che è partito nello stesso punto del 2022 ho detto… va bene lo stesso. Solo che mancavano 81 chilometri!

«Però per un numero così bisogna fare i complimenti anche alla squadra. Perché ragazzi di altissimo livello, tutti, che si votano così a Tadej, che ci credono… danno molto a Pogacar stesso. Li ho visti disposti a menare come se la gara finisse lì a 100 metri. E Tadej ogni volta si dimostra leader e non capitano. Li ringrazia, li coinvolge».

Anche Pogacar si rende conto del numero pazzesco che ha fatto. E’ la sua fuga solitaria più lunga
Anche Pogacar si rende conto del numero pazzesco che ha fatto. E’ la sua fuga solitaria più lunga

Quella cena in Spagna

Anche con Matxin si tocca il tasto della preparazione, della freschezza fisica. E tutto sommato il tecnico spagnolo condivide la nostra disamina. E tira in ballo anche il tema dei giorni di corsa ad hoc.

«Di sicuro – racconta Matxin – ho visto un ragazzo che aveva tanta voglia di correre. Quando qualche settimana fa eravamo alla Comunitat Valenciana, Tadej si stava allenando da quelle parti. Così, una sera sono andato a cena con lui e il suo coach, il quale mi ha detto proprio che fosse fresco. Che era in condizione. Anzi quasi, quasi doveva rallentare per un paio di settimane, altrimenti sarebbe stato troppo avanti.

«Però noi abbiamo fatto un plan da gennaio a ottobre, per Tadej come tutti gli altri, e con quello andiamo avanti. Pogacar farà quattro gare, per un totale di 10 giorni di corsa prima del Giro d’Italia. Questa è la strada».

Duello toscano. Vince Kopecky ma Longo Borghini la fa tremare

02.03.2024
5 min
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SIENA – Il gomito si allarga ma Lotte Kopecky non passa. Elisa Longo Borghini deve così affrontare il muro di Santa Caterina in testa. C’è solo da capire quando l’iridata scatterà…

Una freccia. Kopecky passa al doppio della velocità Elisa e tutto sommato questa netta differenza riduce il dispiacere. Probabilmente anche se le avesse dato un cambio, il risultato non sarebbe cambiato.

Uno scatto secco a 550 metri dal traguardo e Kopecky mette a segno il bis a Siena. Qui aveva vinto già nel 2022
Uno scatto secco a 550 metri dal traguardo e Kopecky mette a segno il bis a Siena

Tre verdetti

Mentre arrivano le ragazze su Siena torna a scendere la pioggia. Come se non bastasse a complicare le cose di una gara tanto bella, quanto complessa anche nella sua logistica.

Ma a parte questo, la Strade Bianche Women ci ha detto tre cose a nostro avviso inequivocabili.

La prima: Lotte Kopecky è forte, ma non è quella dominatrice mostruosa che ci si aspettava o che abbiamo visto lo scorso anno al mondiale, al Tour e in tante classiche. Perché? Molto probabilmente perché è dimagrita e in salita va più forte, ma inevitabilmente ha perso qualcosa nella sparata. Chiaramente è un’ipotesi, anzi una “vox populi” da circus WorldTour. Ma è un fatto che Lotte sia più scavata in volto.

Seconda. Il livello medio si è alzato e di tanto. Forse è la prima volta che vediamo una corsa femminile tanto dura e tanto combattuta. Erano in molte nel finale, gli ultimi 20-25 chilometri, a giocarsela.

Le classiche voci che “il ciclismo femminile sia in crescita” , oggi hanno trovato una risposta anche sul campo. Una risposta tecnica. Distacchi più piccoli e bagarre: bene così.

Terza. Alla fine c’è sempre lei a tenere alti i colori dell’Italia: Elisa Longo Borghini non manca mai all’appello. Cambiano i percorsi ma la campionessa italiana c’è sempre.

E questo è possibile grazie a grinta, serietà e tanto, tanto lavoro specie dopo una stagione tanto tribolata come quella passata. Lei stessa ha parlato di un grande lavoro di endurance per recuperare le mancanze dell’anno scorso.

La bellezza dei paesaggio toscani. La Strade Bianche è entusiasmante anche quando non è sugli sterrati
La Strade Bianche è entusiasmante anche quando non è sugli sterrati

Grinta Longo

Oggi la piemontese era un falco. Attenta sugli sterrati e sull’asfalto. Marcava Vollering e Kopecky come nessun altra. Chiudeva facile su di loro. Si vede che la gamba era brillante.

«E’ vero, stavo bene – dice Longo Borghini – la gamba era attiva e reattiva. Tutto è andato bene. Ho avuto due intoppi, due piccole cadute, ma nulla di che. Anche il setup era buono. Ho fatto le mie prove e la scelta della copertura da 28 andava bene. Devo poi dire che il circuito finale che ha coinvolto tutto questo pubblico è stato proprio… figo!».

Elisa Longo Borghini (classe 1991) si dirige verso il podio. Piazza del Campo la chiama e lei risponde così…
Elisa Longo Borghini (classe 1991) si dirige verso il podio. Piazza del Campo la chiama e lei risponde così…

Senza rimpianti

Elisa è irrimediabilmente gentile ed educata. Siena l’ha accolta con passione e un grande abbraccio. Al netto dei belgi, giunti in massa in toscana, per Kopecky e per la granfondo di domani, il pubblico ha capito lo sforzo dell’atleta della Lidl-Trek. Quando ha girato la bici per andare al podio, si è alzato un grande applauso e lei ha ricambiato.

La questione dei cambi, anzi dei “non cambi”. «Il ciclismo è anche questo – dice Logo Borghini – con sportività – Ognuno fa la sua tattica. Sapevo che sarebbe stato difficile contro Lotte, ma avuto l’okay dall’ammiraglia per andare e… è andata così. Mi spiace perché oggi la squadra aveva lavorato tanto e benissimo. Eravamo nella fuga di giornata e abbiamo cercato di fare la gara.  Essere seconda dietro la campionessa del mondo comunque è un onore. E’ mancata la vittoria, dispiace… Il secondo posto era il massimo che avrei potuto ottenere. E bisogna essere contenti di questo».

Demi Vollering, compagna di squadra di Kopecky, completa il podio
Demi Vollering, compagna di squadra di Kopecky, completa il podio

Le paure di Lotte…

Anche Kopecky non si è nascosta. Alla fine la campionessa belga partiva da super favorita. Una delle domande più ricorrenti che le venivano poste in partenza era: «Senti la pressione sulle tue spalle?». Lei replicava di no, che voleva solo dare il massimo, che l’importante era la vittoria di squadra.

Poi però, anche nella ricognizione – come abbiamo avuto modo di vedere giovedì scorso – era serissima. silenziosa. Sulle Tolfe aveva fatto lo stesso identico scatto che poi ha replicato oggi in gara.

Ha dichiarato che l’atleta che più temeva nel finale era proprio Elisa Longo Borghini. Non era così felice di trovarsi con lei nel finale. E infatti chiudeva subito su di lei.

«Vedevo – dice Lotte – che in corsa rispondeva in modo brillante. Ha fatto una grande gara».

E forse anche per questo, pur essendo sicura della sua “sparata”, in quel chilometro che portava allo strappo di Santa Caterina non ha dato il cambio e anzi ha fatto girare la gamba in agilità.

Grande apprezzamento per il circuito finale. Tanta gente a bordo strada anche per la corsa femminile
Grande apprezzamento per il circuito finale. Tanta gente a bordo strada anche per la corsa femminile

I margini di Elisa

Elisa si conferma in ottima condizione. Ma non era scontato e dice: «L’inizio di questa mia stagione è decisamente meglio di quello che mi sarei aspettata. Anche perché dopo tanti mesi avevo lavorato molto sulla base, visto che all’UAE Tour Woman erano sette mesi che non attaccavo il numero sulla schiena. E per questo non ho fatto molta intensità».

E questa è una grande notizia. Significa che c’è molto margine in vista delle classiche del Nord. Ora  Elisa tornerà in altura e poi darà assalto alle Ardenne.

Il 2024 della Zalf nel ciclismo che corre: la visione di Faresin

02.03.2024
4 min
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PONTE SAN MARCO – La stagione elite e under 23 ha preso il via lo scorso fine settimana. Sabato con la Coppa San Geo e la Firenze-Empoli, poi con il Gp Misano e il Gp La Torre domenica. Le maglie cambiano, ma le squadre che lottano per vincere sono state pressoché le stesse. Tra le formazioni continental che si sono messe in evidenza in questo primo scorcio di gare c’è stata la Zalf-Euromobil-Desirée-Fior. I ragazzi guidati da Gianni Faresin hanno raccolto un buon risultato in Toscana, con il podio di Giovanni Zordan a La Torre.

Il primo podio stagionale per la Zalf è arrivato al Gp La Torre grazie a Zordan (photors.it)
Il primo podio stagionale per la Zalf è arrivato al Gp La Torre grazie a Zordan (photors.it)

Tra under 23 e pro’

Faresin, che si appresta ad un’altra stagione alla guida della Zalf, ci racconta quali sono le ambizioni e i progetti del team. Ci sono tanti fattori da prendere in considerazione, non ultimo un ciclismo che cambia molto rapidamente. 

«E’ importante partire subito bene – ci ha spiegato alla partenza della Coppa San Geo – le prime gare servono per dare fiducia. Se si inizia nel modo giusto poi anche in squadra si respira un’aria diversa. Partiamo con il calendario italiano elite e under 23, poi il primo appuntamento con i pro’ sarà al Giro di Romagna. Staccheremo a metà stagione, per presentarci al meglio agli appuntamenti di fine anno, sempre con i professionisti. Abbiamo voluto inserire più gare con i pro’ perché abbiamo una rosa più matura. Queste corse saranno utili soprattutto per i ragazzi più grandi, per farsi vedere e avere una possibilità in più».

Alla Coppa San Geo la Zalf ha schierato una formazione con un mix di esperti e giovani
Alla Coppa San Geo la Zalf ha schierato una formazione con un mix di esperti e giovani

Equilibrio tra giovani e elite

La rosa della Zalf, composta da 15 ragazzi, ha un equilibrio perfetto tra ragazzi di primo anno e elite. Un team calibrato sulle esigenze di questi corridori, anche il calendario dovrà essere studiato bene. 

«Diciamo che abbiamo quattro elite in squadra e tre giovani di primo anno. E’ un team molto equilibrato tra giovani e anziani – ride – se così vogliamo definirli. Il calendario sarà diviso tra giovani che devono fare esperienza e gli altri ragazzi che sono alle ultime possibilità per mettersi in mostra. Ora il mondo del ciclismo corre, secondo noi non sono vecchi, un ragazzo a 23 o 24 anni ha ancora tutto da dare. La mentalità delle squadre WorldTour è questa. Molti di questi corridori devono dimostrare di esserci, correndo con noi, per poi passare in una professional e infine giocarsi le proprie carte. Come una volta, fare un po’ di gavetta, e se vai bene trovi la tua dimensione. La carriera di un corridore non dovrebbe finire a 29 o 30 anni come succede sempre più spesso. 

Pochi giorni prima del debutto stagionale è stata presentata la formazione 2024
Pochi giorni prima del debutto stagionale è stata presentata la formazione 2024

La lotta con i devo team

Sopravvivere nel ciclismo moderno è difficile per i ragazzi, ma anche per le squadre. Le formazioni continental sono costrette a cambiare, l’ultima è stata la MBH Bank Colpack-Ballan che dal 2025 diventerà professional. Come si colloca la Zalf in questo mondo in continua evoluzione?

«Una volta si tendeva a preservare di più i giovani – risponde Faresin – soprattutto i primi anni. Ora, invece, anche loro devono allenarsi con maggiore intensità e capita di doverli schierare in gare importanti. Molti ragazzi, juniores e non, vanno all’estero, quindi in Italia c’è un po’ di carenza di atleti. Tutto questo ci porta a far correre ragazzi di primo anno nelle gare internazionali o addirittura con i professionisti. Li si mette subito a confronto in palcoscenici importanti, cercando di farli crescere senza bruciarli. L’anno scorso tre nostri ragazzi sono passati professionisti, questo vuol dire che se si ha pazienza anche noi possiamo offrire certe opportunità. Rispetto a devo team abbiamo un budget limitato, non possiamo correre in tutta Europa».

Ursella (a sinistra) è tornato a correre in Italia dopo due anni al Development Team DSM
Ursella (a sinistra) è tornato a correre in Italia dopo due anni al Development Team DSM

L’esempio di Ursella

La Zalf, tra le sue fila in questo 2024, ha accolto Lorenzo Ursella. Il friulano è passato under 23 con il Development Team DSM e dopo due stagioni sfortunate è tornato in Italia, proprio da Faresin, per rilanciarsi. 

«Lui è stato uno dei ragazzi che ha scelto di andare all’estero – spiega il diesse – purtroppo si è fatto male subito al primo anno. La squadra non lo ha aspettato e ora deve rilanciarsi. E’ un ragazzo giovane, del 2003, ha la qualità giusta per rilanciarsi e dovrà essere bravo nel ritrovarsi. Noi gli daremo le giuste occasioni e in un ambiente come il nostro sono sicuro potrà trovare la tranquillità per fare bene».

Movistar: dopo Van Vleuten, largo a Lippert, Norsgaard e Baril

02.03.2024
4 min
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Mentre Annemiek Van Vleuten, loro ex leader, spadroneggiava nella Transcordilleras, rally gravel in Colombia, le ragazze del Movistar Team si sono guardate in faccia per darsi una forma e una direzione, che consenta loro di non far rimpiangere l’olandese d’acciaio. Un po’ come già successo agli uomini nella stagione precedente, quando ad appendere la bici fu Valverde.

La squadra è un affare di famiglia. E se il Movistar Team degli uomini è ancora feudo di Eusebio Unzue, con le donne cresce suo figlio Sebastian detto “Sebas”. I due hanno sperimentato vari attriti, per cui la separazione delle gestioni è parsa la via migliore per portare avanti l’azienda.

La WorldTour femminile non ha nomi stellari e ha visto andar via Sarah Gigante. In compenso ha già vinto con Olivia Baril ad Almeria (foto di apertura) e nei campionati nazionali colombiani con Paula Patino, altro nuovo acquisto. Fra le novità di maggior interesse, c’è lo stage già programmato dal primo agosto per Cat Ferguson, lei sì fenomeno fra le juniores, che lo scorso anno ha vinto il Piccolo Trofeo Binda, come pure il Fiandre, varie tappe qua e là e svariati appuntamenti nel cross.

Liegi 2022, una delle perle di Van Vleuten (per lei 30 vittorie in 3 anni) sul podio con Unzue e Gravalos (CEO di Movistar)
Liegi 2022, una delle perle di Van Vleuten (per lei 30 vittorie in 3 anni) sul podio con Unzue e Gravalos (CEO di Movistar)

Ricostruire dalla base

Come si conviene, tuttavia, abbiamo tirato in ballo il padrone di casa, perché ci guidi nella sua squadra che oggi è al via della Strade Bianche con Jorge Sanz sull’ammiraglia.

«Penso che la rosa sia migliorata – dice Unzue – e il primo aspetto in cui abbiamo fatto un passo avanti è stato l’arrivo di atlete che hanno innalzato il valore della squadra. Altro aspetto significativo è che l’età media si è abbassata e questo parla di ragazze che hanno la possibilità di continuare a progredire e crescere. E se tutto ciò accadrà, sono convinto che i risultati verranno. Saremo super competitivi e ci toglieremo parecchie soddisfazioni. Non dobbiamo avere paura, quanto apprezzare l’opportunità per le ragazze che da anni chiedevano spazio e responsabilità. Annemiek ci ha lasciato dopo tre stagioni incredibili, ma proprio nell’andamento del Tour de France, dove lei è arrivata quarta, abbiamo intravisto un pezzo di futuro».

Lippert batte Kopecky con una volata di forza a Mauriac, 2ª tappa del Tour Femmes
Lippert batte Kopecky con una volata di forza a Mauriac, 2ª tappa del Tour Femmes

Binari paralleli

Il riferimento è al comportamento delle altre atlete del team, che sono riuscite a conquistare due tappe nella grande corsa francese. Liane Lippert ha vinto la seconda, Emma Norsgaard si è portata a casa la sesta. Van Vleuten intanto, marciando sul suo binario parallelo, lottava contro gli anni e lo strapotere della Sd Worx dopo essersi portata comunque a casa la Vuelta, il Giro d’Italia e il Tour of Scandinavia. Una così mancherà per forza.

«Penso che il futuro della squadra – ha dichiarato Unzue allo spagnolo Marca – ruoterà attorno a Liane ed Emma (Lippert e Norsgaard, ndr) e sono convinto che saremo competitivi. So che Annemiek ci mancherà, ma non credo che in gara ci sentiremo inferiori, come non lo siamo stati neppure negli anni scorsi. Dovremo essere bravi a cogliere le opportunità più inaspettate. La sensazione dopo i ritiri e le prime gare è che il blocco a nostra disposizione sia molto interessante e forte».

Tour Femmes, altra vittoria per il Movistar Team: ecco Emma Norsgaard a Blagnac: 6ª tappa
Tour Femmes, altra vittoria per il Movistar Team: ecco Emma Norsgaard a Blagnac: 6ª tappa

Sorpresa Baril

Il parallelo con la squadra maschile torna calzante. La presenza di Valverde teneva a freno le ambizioni di ragazzi che nel frattempo sono cresciuti e che ora, protetti da Mas e dal ritorno di Quintana, potranno dire la loro. Unzue fa l’esempio di Milesi, ma anche di Lazkano che lo scorso anno arrivò secondo alla Dwars door Vlaanderen senza essere conosciuto e quest’anno ha vinto la Clasica Jaen ed è arrivato terzo a Kuurne.

«Con le ragazze – dice – succederà la stessa cosa. Abbiamo vissuto tre anni in cui tutto era definito e per certi versi limitato, a causa del fatto di avere un leader chiaro come Annemiek. Quello che abbiamo fatto nel frattempo è stato progettare, pensando a come sarebbe stato quando lei non ci fosse più stata. Per questo l’anno scorso è arrivata Liane Lippert, che ora non sarà la leader unica, ma certo una delle più importanti della squadra. Non mi piace scaricare tutte le responsabilità sulle spalle di una sola atleta, perché penso che non sia giusto: né per lei né per il resto delle compagne. Penso che ci siano ragazze con sufficiente qualità per assumersela in più di un’occasione.

«Fra loro metto Olivia Baril, il cui arrivo mi esalta. Corre da pochissimo tempo, ma nonostante questo, abbiamo visto dai dettagli che si tratta di un’atleta di alta qualità. Il primo contatto e la conoscenza reciproca sono stati super positivi. E’ molto motivata e ci sorprenderà più di una volta. Ad Almeria ha già cominciato a farlo».

Le domande sulle scelte di Van Aert verso Fiandre e Roubaix

02.03.2024
5 min
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Van Aert e le classiche del Nord: il Fiandre e la Roubaix. L’una e l’altra, l’una o l’altra. E’ questa la grande missione del belga per la prima parte di stagione, tanto da aver sacrificato per esse i lavori specifici della crono, la Strade Bianche di oggi e la Sanremo. E’ incredibile come nel giro di un anno e mezzo il supereroe instancabile – Van der Poel – si sia convertito in cecchino capace di programmare col contagocce e anche Van Aert abbia dovuto adeguarsi. Già lo scorso anno i loro programmi avevano preso a cambiare direzione: sarà vero che sul podio Wout ha sempre il sorriso, ma perdere sempre non è certo piacevole.

La vittoria in Algarve ha messo il primo tassello, quella di Kuurne ha fatto capire che il progetto è una cosa seria. Eppure c’è chi, come il francese L’Equipe, ha visto nella prestazione poco sicura della Omloop Het Nieuwsblad un livello insufficiente rispetto alla caratura del campione. Se infatti domenica ha fatto esplodere il gruppo a quasi 90 chilometri dall’arrivo, il giorno prima ne mancavano 30 quando non è riuscito a rispondere a Skujins sul Berendries. La vittoria di Tratnik a Ninove basta per dire che tutto va bene?

Di nuovo il Teide

La vera novità di stagione per quanto riguarda Van Aert sta nel cambio di guida tecnica. Di lui ora si occupa Mathieu Heijboer, il gran capo degli allenatori della Visma-Lease a Bike, che ha dichiarato chiaramente gli obiettivi.

«La cosa che m’interessa – ha detto nell’inverno – è che Van Aert migliori in modo costante per essere al meglio in aprile. Senza picchi di forma precedenti, mostrando però un continuo progresso di condizione».

Stando così le cose, il piano si va svolgendo alla perfezione, sia pure con alcune perplessità legate alla periodizzazione dell’altura e scelte inedite. L’anno scorso Van Aert è stato sul Teide da metà febbraio a inizio marzo, mentre nel 2022 ne scese a fine febbraio per l’Omloop Het Nieuwsblad. Quest’anno, insieme ai compagni Tratnik, Benoot e Hagenes, Wout ha optato per un periodo di tre settimane subito dopo il weekend dell’apertura al Nord. Tornerà alla vigilia della E3 Saxo Classic (22 marzo), per dedicarsi alle classiche del pavé, con il Fiandre e la Roubaix come obiettivo principale. Dopo la Omloop Het Nieuwsblad, il diesse Arthur Van Dongen ha dichiarato che Van Aert non fosse ancora al top proprio perché non è ancora stato in altura, come invece i compagni Laporte e Jorgenson.

I dubbi e le domande

Il tema sulla durata dello stage e il rientro al livello del mare tiene banco sui media del Belgio. Het Nieuwsblad ha infatti interpellato Ruud Van Thienen, medico sportivo e ricercatore presso l’Università di Gand.

«Come ogni cosa legata all’essere umano, ci sono variazioni – spiega – ma in media si ottiene un vantaggio dallo stage in altitudine nelle quattro-sei settimane successive. Dopo due settimane, la quantità di globuli rossi extra prodotti è quasi completamente scomparsa e anche gli altri benefici si attenuano nel tempo. In media, dopo circa sei-otto settimane, nessuno degli altri effetti è più evidente».

Per cui la curiosità è sull’anticipo con cui andare, puntando alle classiche tra il Fiandre e la Roubaix e il carico di lavoro possibile per non esagerare con la stimolazione.

«Nei primi giorni – prosegue Van Thienen – l’energia passa dal tuo sistema all’adattamento all’altitudine e questa è energia che non è disponibile per l’allenamento. Devi ridurre il volume di lavoro durante l’intero periodo di permanenza in quota. Tutto quindi dipende da ciò che per il singolo atleta offre il massimo miglioramento delle prestazioni. Beneficia maggiormente del volume in più (dal 5 al 10%) con cui può allenarsi quando non è in quota, oppure beneficia maggiormente dell’effetto positivo dell’altitudine? Tutti migliorano andando in quota, ma la portata dell’effetto varia enormemente».

«Normalmente mi sento molto forte quando torno dall’altitudine – ha detto Van Aert dopo la vittoria di Kuurne – spero di trovare lassù quell’uno per cento in più».

Van Aert va da anni sul Teide: qui una foto del 2021 con Roglic, preparando proprio le classiche
Van Aert va da anni sul Teide: qui una foto del 2021 con Roglic, preparando proprio le classiche

Sanremo addio

Domenica Van Aert ha fatto esplodere la Kuurne-Bruxelles-Kuurne. Ha portato con sé Wellens, Lazkano e Pithie e non ha avuto difficoltà nel metterli in fila all’arrivo. Ugualmente, è rimasto molto cauto sul suo stato di forma, che ha trovato migliore del giorno prima, ma ancora lontano dal top.

Sappiamo che il belga è spinto dalle ambizioni più elevate in relazione a Fiandre e Roubaix e il suo cammino per raggiungerle è iniziato lunedì con il volo verso Tenerife.

«Sto cercando di trovare l’ultima percentuale – ha spiegato – che mi è mancata per vincere finora il Fiandre o la Roubaix. Het Nieuwsblad e Kuurne sono state difficili per come le abbiamo gestite, ma i monumenti verranno tra cinque settimane: sarà un altro periodo, un altro livello. Non so quanto mi manchi per essere al top, ma ho bisogno di questo stage in altura».

Questo ha significato eliminare gare come le Strade Bianche o la Milano-San Remo: «Mi rende triste – dice – ma le ho già vinte. In questa stagione cambio tutto, non solo per le classiche visto che farò subito il Giro, che è anche una novità. Non so dire se ho ragione o no, ma dovevo cambiare».