Markel Beloki, voglia di imparare e nessuna pressione

23.04.2024
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LAIVES – Guardando la starting list della EF Education-Easy Post al Tour of the Alps c’era un corridore classe 2005 il cui nome destava interesse e curiosità. Markel Beloki, figlio di Joseba, ha completato i suoi primi quattro mesi da neoprofessionista.

Venticinque giorni di gara spalmati su dieci corse – di cui due WorldTour e tre a tappe – sono una bella base di partenza per chi dovrebbe essere al primo anno tra gli U23. Abbiamo avvicinato il giovane Beloki prima di una tappa del TotA e a giudicare dalla nostra chiacchierata, il suo approccio nel mondo dei grandi è quasi di reverenza per ogni cosa. Come un ospite che entra in casa d’altri ed osserva tutte le migliori maniere per non disturbare. In realtà Markel sta assorbendo tutto quello che vede e gli succede attorno.

Markel Beloki in questi prima quattro mesi da neopro’ ha disputato gare di alto livello
Markel Beloki in questi prima quattro mesi da neopro’ ha disputato gare di alto livello

Chiacchiere e caffè

Il bus della EF Education-Easy Post, come tanti altri, è attrezzato di una macchinetta del caffè che esce da un vano laterale. E’ il bar dei corridori dove fanno le ultime chiacchiere fra di loro, con i meccanici, i tifosi e i giornalisti. Passa di lì anche il diesse Tejay Van Garderen che sorride all’indirizzo di Beloki, che ricambia, come a dire “oggi tocca a te con le interviste”. Ne prendiamo spunto.

«Il rapporto con Tejay è ottimo – ci dice Markel – e sono molto felice di questo. Ricordo che guardavo le sue gare e le sue prestazioni con attenzione. Potrei dire che ho caratteristiche simili a lui, ma non so se sono più scalatore. Sicuramente lui è stato un grande corridore che andava forte in salita e a cronometro. Anche a me piacciono le crono. Infatti lui mi insegna tanto su entrambi i terreni. Mi piacerebbe molto arrivare al suo livello, ma so che è molto difficile da raggiungere».

Coffee-break. Prima di ogni tappa, Markel si confronta con compagni e staff guardando dettagli sulla bici
Coffee-break. Prima di ogni tappa, Markel si confronta con compagni e staff guardando dettagli sulla bici

Parola d’ordine: imparare

Beloki è cordiale con tutti. Ma per correre nel ciclismo attuale bisogna saper sfoderare una bella grinta appena sali in bici. Come è stato quindi questo inizio di stagione?

«Sento che mi sto migliorando – risponde sicuro – indubbiamente ho fatto un bel salto, da juniores ad un team WorldTour. Adesso penso che devo prendermi il tempo necessario per imparare molte cose su questa nuova categoria. Voglio continuare così passo dopo passo senza troppa fretta.

«Ho tanti insegnanti per la verità – prosegue – a cominciare naturalmente dai direttori sportivi. Ogni giorno sto imparando molto dai miei compagni di squadra, che mi aiutano sempre tanto. Loro sono tutti speciali, sanno tante cose e hanno molta esperienza. Non ho un vero punto di riferimento perché in squadra lo sono tutti. Certo avere grandi campioni come Rui Costa, Chaves o Carthy da cui apprendere è bello. Per me questa è la base di partenza migliore».

Beloki ha vissuto la condivisione della vittoria di un compagno grazie a Carr, prima a Maiorca poi al TotA
Beloki ha vissuto la condivisione della vittoria di un compagno grazie a Carr, prima a Maiorca poi al TotA

«Finora ho imparato anche in tutte le gare che ho disputato – ci dice Beloki con un pizzico di soddisfazione – per esempio il Giro dei Paesi Baschi è stato davvero bellissimo. Per me è la corsa di casa. Una corsa molto dura però. Ogni tappa era impegnativa, stressante, dall’inizio alla fine. Sono uno scalatore, ma sia in Spagna che al Tour of the Alps c’erano tante salite e tanti scalatori molto più forti di me. In queste corse il mio compito era di aiutare la squadra, lavorando a fondo per i compagni. Sono molto contento di come sono andate le cose».

Poche pressioni, tanti dettagli

Dicevamo che Markel ha un cognome importante che crea, come tanti altri come lui, un inevitabile confronto. Lui però resta fedele al suo basso profilo e non ci pensa.

«Mio padre Joseba – spiega Beloki junior – ha avuto una bella carriera, però siamo in due periodi così differenti che non si possono fare paragoni. E’ per questo che il mio cognome non mi pesa. Al momento non sento nessuna pressione. Penso solo a fare al meglio il mio percorso da professionista ogni giorno che passa».

Markel Beloki malgrado il cognome importante, ammette di non sentirne la pressione
Markel Beloki malgrado il cognome importante, ammette di non sentirne la pressione

«Il mio obiettivo è imparare – conclude Markel – come avrete capito. Ne ho tantissime di cose da imparare, soprattutto quelle piccole. Ad esempio andare all’ammiraglia per prendere bene le borracce sia per me che per i compagni. Per tutti sembra una cosa facile, invece è molto difficile, oltre che importante. Ecco, anche da questo ho già capito che per provare ad essere un buon corridore in futuro bisogna curare questi dettagli. Non si può fare altrimenti».

Colleoni e la schiena: tutto risolto con l’oculista?

23.04.2024
7 min
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RIEMST (Belgio) – Dall’incontro per parlare del suo casco al ricordarsi l’ultimo pezzo dello scorso anno, quando Kevin Colleoni annunciò che sarebbe passato dalla Jayco-AlUla alla Intermarché-Wanty. La stagione non era andata un granché e alla base di tutto c’era un misterioso problema alla schiena venuto fuori dopo la caduta alla Coppa Agostoni. Di solito, in questi casi, fai le terapie necessarie, ti raddrizzano e torni come nuovo. Invece per il bergamasco si è messo in moto un mezzo inferno, fatto di dolore, esami, disagi e la frustrazione del non venirne a capo.

Perciò abbiamo prolungato la permanenza nel suo hotel per fare il punto sulla salute e sulla carriera, la stagione in corso e quello che verrà. Vedendolo arrivare in cima alla Redoute il giovedì assieme a Francesco Busatto non era sembrato particolarmente dolorante, ma è meglio farsi raccontare da lui (in apertura, nella foto Instagram/cyclingmedia_agency).

Il UAE Tour è stato la prima corsa di Colleoni con la maglia della Intermarché-Wanty
Il UAE Tour è stato la prima corsa di Colleoni con la maglia della Intermarché-Wanty
Come è correre in Belgio in una squadra belga?

A correre qui, si sente la differenza, altrimenti è un team internazionale. Molto familiare, questo sì: mi trovo bene. Ho trovato un ambiente tranquillo, professionale, non avevo dubbi. Sono a mio agio anche con i compagni e lo staff. La cosa che mi piace tanto è il programma. Ci sono stati dei piccoli cambiamenti, però già da dicembre sapevo dove avrei corso. Più o meno ho il calendario per tutto l’anno, al netto di quello che può capitare. E questo è ottimo, perché si può programmare bene il lavoro.

E’ utile programmare a così lunga scadenza?

Arrivo da un anno difficile, ho avuto i miei problemi e sono arrivato qua senza averli ancora sistemati del tutto. Per questo vivo molto alla giornata. Ho trovato uno staff medico, osteopati e fisioterapisti molto preparati e sono migliorato tanto. Non voglio dire che sia passato al 100 per cento, ma sto parecchio meglio.

Si è scoperto che cosa sia successo in quella caduta?

In realtà non ho rotto niente, almeno da quello che si è visto. Solo che è cominciato questo mal di schiena che mi sono portato avanti per il resto della stagione. Ho iniziato a migliorare da questo inverno dopo che sono finite le corse, facendo di tutto e di più. Osteopati, fisioterapisti… Non li conto neanche più! Poi ho trovato un osteopata a Bergamo che ha iniziato a seguirmi facendo gli stessi trattamenti di quelli della squadra. E facendo questo, più tanti esercizi, la cosa ha iniziato a dare meno problemi. La causa non si è trovata ancora, non sappiamo cosa sia. Però facendo determinati trattamenti, funziona.

Nel 2023 Colleoni correva alla Jayco-AlUla, qui al Giro di Sicilia parla con Petilli
Nel 2023 Colleoni correva alla Jayco-AlUla, qui al Giro di Sicilia parla con Petilli
Niente più dolore?

Negli ultimi mesi sembra essere sparito. Ho qualche fastidio fuori dalla bici che prima non avevo, però in sella tutto sommato non è male. Prima non riuscivo a starci, l’anno scorso ad agosto non riuscivo a fare neanche un’ora. Il dolore prendeva la parte bassa e a destra, gamba e gluteo. All’inizio hanno ipotizzato che si trattasse di una sciatalgia, ma in realtà non è stato quello. E’ più  un’infiammazione generale, causata da uno squilibrio.

Dagli esami non è emerso nulla?

Ho fatto risonanze, il test per la composizione delle ossa, la tac. Eppure non c’è un problema visibile, bensì tanti piccoli problemi che però non possono portare a quel dolore. Prima della caduta non ho mai avuto nulla, quindi deve essere cominciato per forza da lì. Una cosa di cui mi sono accorto e che hanno notato anche gli osteopati è che da allora non ero più bilanciato, sia in bici che fuori. Una cosa che mi ha fatto migliorare è stato andare da un oculista.

Per fare cosa?

Abbiamo riscontrato che dall’occhio destro mi manca uno 0,4, mentre il sinistro è a posto. Perciò abbiamo fatto delle prove e mettendo una lente correttiva, in bici praticamente mi raddrizzo. La mia schiena non carica solo da una parte, ma è bilanciata e così anche l’appoggio sui piedi quando cammino. Adesso è 50-50, mentre prima pendevo da una parte. Perciò vado in bici con le lenti a contatto. E’ una cosa cui non credevo neanche io. Ci sono andato perché me l’ha detto l’osteopata. Eravamo andati anche dal dentista, ma il palato è dritto e non incide sulla posizione, invece gli occhi fanno tantissimo. Porto le lenti da questo inverno, da dicembre: 24 ore su 24, le tolgo solo per dormire. E non vanno bene quelle usa e getta, perché mi manca troppo poco e non ne fanno, per cui devo prenderle su misura.

Alla Strade Bianche, chiusa con un ritiro. Qui con Michele Gazzoli
Alla Strade Bianche, chiusa con un ritiro. Qui con Michele Gazzoli
Perciò adesso pedali come ai vecchi tempi?

Ho cominciato a non avere più fastidio e a ripedalare in maniera più soddisfacente. Diciamo che all’inizio dell’inverno ho avuto un po’ di acciacchi, per cui ho iniziato tardi. Ho cominciato ad allenarmi al ritiro di dicembre, prima niente. Da gennaio ho iniziato a fare i lavori e mese dopo mese è andata sempre meglio. In gara ho avuto qualche fastidio all’inizio delle prime gare, però ad esempio il Giro dei Paesi Baschi è stata la prima gara dopo un anno in cui non ho avuto dolori. So che possono tornare, sono molto obiettivo sulla cosa perché un problema così non può sparire da un giorno all’altro. Lo so e ci lavoro.

In che modo?

Faccio trattamenti e faccio tanto stretching. Quando sono alle corse, ho il massaggiatore e l’osteopata che controlla che sia dritto col bacino e tutto il resto. Quando sono a casa, non posso andarci tutti i giorni, ma cerco di vederli il più spesso possibile. Magari una volta a settimana, dieci giorni. Intanto ho i miei esercizi e una volta a settimana vado in palestra, che mi ha aiutato tanto a rinforzare tutta la schiena. Pesi e corpo libero. E’ stata l’unica cosa che, quando avevo male, non mi dava fastidio. Il solo modo che avevo per potenziare e comunque mantenere il tono.

Cambiando squadra, hai cambiato anche posizione in bici?

Abbiamo fatto un gran lavoro su questo, ma alla fine non è cambiata tanto, se non per dei dettagli. L’ho fatto tramite il mio osteopata a Bergamo e un biomeccanico che veniva nel suo studio. A ogni modifica che si faceva, si testava la risposta del corpo. Se mi storcevo o restavo dritto, se mi si bloccava una gamba oppure no. E’ una cosa che ti porta via tanto tempo, i primi giorni non noti la differenza, però a lungo andare te ne accorgi. Basti pensare che da quando correvo alla Biesse-Carrera, ho sempre mantenuto la stessa posizione.

Nella seconda tappa del Catalunya con arrivo a Vallter 2000, la fuga con Colleoni è andata avanti per 146 chilometri
Nella seconda tappa del Catalunya con arrivo a Vallter 2000, la fuga con Colleoni è andata avanti per 146 chilometri
Invece adesso?

Da quando ho avuto questo problema, sapendo che ogni modifica poteva migliorare o peggiorare, sono tanto minuzioso. Porto con me sempre la sella da allenamento per controllare che quella da gara sia uguale. Non perché non mi fidi, ma ho imparato che il corpo risente anche di un solo millimetro e può perdere efficienza.

Quindi adesso si riparte con motivazioni intatte?

Il primo obiettivo per quest’anno era rimettermi a posto. Non ho ancora fatto risultati, ma gara dopo gara sto migliorando e mi torna la fiducia. Dovrei fare il Giro d’Italia, il mio primo Grande Giro: la preparazione è incentrata su questo. Ho fatto solo gare WorldTour, è il solo modo per migliorare. L’unica un po’ minore, tra virgolette, è stata la Milano-Torino. Ovvio che sia più difficile fare risultati, ma ora l’interesse è crescere. Non avrò un obiettivo principale, se non aiutare la squadra e cercare di togliermi qualche soddisfazione.

Hai parlato di fiducia. 

Quella fa tanto. L’anno scorso andavo alle gare sapendo già di non avere possibilità. Non per colpa mia, ma per un problema fisico. Parti già sconfitto, non è facile. Quest’anno non ho ancora la fiducia di prima, però vedo che man mano miglioro. Manca di fare il prossimo salto, magari un risultato o qualcosa che possa farmi ritrovare la fiducia. Se anche mentalmente mi tolgo questo peso, so che posso tornare a fare delle buone prestazioni.

La Liegi di Colleoni chiusa al 96° posto a 19’13” da Pogacar (foto Instagram/cyclingmedia_agency)
Liegi chiusa al 96° posto a 19’13” da Pogacar (foto Instagram/cyclingmedia_agency)
A che punto pensi di essere della tua carriera?

Ognuno ha la sua maturazione fisica. Ho ancora 24 anni e vedo che nel ciclismo di adesso, tutti si aspettano troppo dai più giovani. Da una parte è normale, perché tanti passano e vincono. Ma io arrivo da un ciclismo in cui fino agli juniores mi allenavo con mia mamma (Imelda Chiappa, argento su strada ad Atlanta 1996, ndr). Uscivo tre volte a settimana, da under il massimo che facevo erano 5 ore. Adesso vedo juniores che si allenano 5-6 ore come i professionisti, è normale che passano e vanno forti. Però vedo anche altri che iniziano ad emergere a 26-27, quindi secondo me ognuno ha i suoi tempi. E di una cosa sono certo: in questo momento quello che conta è andare forte. Se vai forte, fai il capitano. Altrimenti impiegano davvero poco a rimpiazzarti.

Il quarto anno da U23? Per Boscolo (e il CTF) è superfluo

23.04.2024
5 min
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In un ciclismo che corre sempre più veloce fin da quando i ragazzi si trovano nella categoria juniores ha senso, per una squadra continental, puntare su corridori di quarto anno? La domanda è nata dopo un colloquio con Renzo Boscolo, diesse del team CTF Victorious e ci è riecheggiata in testa per un po’. Il fatto di essere stati all’Eroica Juniores, poi, ci ha fatto crescere ancora di più la curiosità riguardo questo tema. Allora ieri ci siamo messi a parlare con Boscolo e ne sono nati spunti interessanti. 

Oliver Stockwell (qui all’AIR 2022) è l’unico corridore di quarto anno al CTF in questa stagione
Oliver Stockwell (qui all’AIR 2022) è l’unico corridore di quarto anno al CTF in questa stagione

Eccezioni, non regole

Negli ultimi anni, tra i corridori degni di nota all’interno del CTF, ci sono stati solamente due ragazzi giunti al quarto anno della categoria U23. Il primo è stato De Biasi, il secondo, invece, è Stockwell. 

«Al CTF – ci dice – come ragazzo di quarto anno abbiamo solo Oliver Stockwell. La scelta è dovuta al fatto che ha perso un anno a causa di una frattura al femore, così la decisione di tenerlo con noi ci è sembrata naturale. Come lo era stata per De Biasi, che era arrivato da noi nell’anno del Covid, avendo perso un anno ci è sembrato giusto fargli proseguire il cammino. Al di là di casi del genere, noi come CTF riteniamo che un ragazzo di quarto anno non lo teniamo».

Il mercato chiede corridori giovani e preparati, il CTF si è mosso di conseguenza (foto Instagram)
Il mercato chiede corridori giovani e preparati, il CTF si è mosso di conseguenza (foto Instagram)
Come mai?

Ci siamo resi conto, numeri alla mano, che non ha senso. Il percorso di crescita previsto per i ragazzi dura tre anni, il quarto anno di categoria aggiunge ben poco. Guardando i dati, si vede che la curva di miglioramento si sviluppa, nella sua massima espressione, tra il secondo e il terzo anno da U23. 

Al quarto anno i margini sono minori?

Oltre ad essere minori si rischia l’effetto opposto. Un ragazzo al quarto anno si ritrova con l’acqua alla gola, perché in questa categoria viene visto come all’ultima spiaggia. Il discorso poi cambia radicalmente quando si passa elite. 

Anche Max Van Der Meulen è uno dei corridori con un contratto già firmato nel WT (foto Instagram)
Anche Max Van Der Meulen è uno dei corridori con un contratto già firmato nel WT (foto Instagram)
Ci sono ragazzi che da elite si sono guadagnati lo spazio tra i pro’.

Sono eccezioni italiane o internazionali? Per come la vediamo noi al CTF, gli elite non hanno grande senso. Noi siamo una squadra di sviluppo della Bahrain, quindi il nostro ragionamento è diverso da chi ha una continental. In altri Paesi una squadra continental può svolgere il ruolo che da noi hanno le professional. Ad esempio: la Polonia ha un bel movimento ma non ha team professional, quindi le loro continental hanno una logica diversa dalle nostre. 

In Italia le professional ci sono…

E ci sono anche le continental che ragionano sulle vittorie e sul voler sembrare dei team di professionisti. Allora portano ragazzi grandi a fare corse con i pro’ così si fanno vedere. Il discorso per loro funziona, per noi no. 

Voi da quanto avete “accantonato” il discorso quarti anni ed elite?

Da quando abbiamo iniziato a girare molto di più l’Europa. Negli ultimi 7-8 anni il mercato è cambiato, prima passavano anche corridori elite, ora si cercano i ragazzi prima.

Se si pensa che Kristoff, vincitore di due tappe all’Eroica Juniores, ha già un contratto firmato con una squadra WorldTour…

Capite? Non sto dicendo che sia giusto o sbagliato, ma il mercato va in questa direzione. Anche noi abbiamo ragazzi che hanno già un contratto con la Baharain per i prossimi anni (Ermakov ed Erzen, ndr). Il sistema messo in piedi è questo e bisogna ragionare così.

Il calendario del CTF prevede un aumentare costante delle gare e degli impegni ed è tarato sui ragazzi giovani (foto Instagram)
Il calendario del CTF prevede un aumentare costante delle gare e degli impegni ed è tarato sui ragazzi giovani (foto Instagram)
Lo fareste anche senza un legame con un team WT?

Sì. Io credo che un team continental debba far crescere i ragazzi. Siamo appena stati alla Gent U23 dove Borgo è arrivato quinto (in apertura foto Ieper.Fietst, ndr). Lui è un primo anno, in squadra ne abbiamo ben cinque, la nostra scelta è di puntare sui giovani.

E’ una questione di scelte, o si punta sui giovani o su corridori più maturi, ma entrambi non possono coesistere.

E’ così. Per come interpretiamo noi l’attività, è corretto avere ragazzi di primo anno. In generale preferiamo partire piano e aumentare la caratura delle corse mese dopo mese. Inserire un ragazzo di quarto anno in una struttura del genere rischia di farla esplodere.

Borgo, al primo anno da U23, ha già raccolto risultati importanti anche all’estero (foto Koksijde – Oostduinkerke)
Borgo, al primo anno da U23, ha già raccolto risultati importanti anche all’estero (foto Koksijde – Oostduinkerke)
Perché?

Un corridore di quarto anno deve partire forte, per trovare risultati e farsi vedere, perché le squadre professionistiche a giugno hanno già la rosa chiusa. Inserire un ragazzo così vorrebbe dire cambiare il nostro calendario e portare la squadra a fare corse impegnative fin da subito, come il Laigueglia. Ma che senso ha far correre ad un ragazzo di primo anno una gara del genere a inizio stagione? Nessuna. Ripeto la nostra scelta è di puntare sui giovani e farli crescere, non di metterli in vetrina. 

Ragazzi al primo anno come Borgo, Capra e Mottes hanno già esperienze importanti…

Borgo ha fatto sesto alla Youngster e quinto alla Gent U23. Capra non ha vinto, ma è stato fondamentale per la squadra e Mottes ha potuto fare gare importanti e imparare. Questi potrei portarli al circuito di paese e vincerebbero, ma che senso avrebbe?

Tema sicurezza al TotA, attenzione e sopralluoghi

23.04.2024
6 min
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SCHWAZ (Austria) – Maurizio Evangelista, general manager del Tour of the Alps ci accoglie nel head quarter dell’organizzazione. Per lui abbiamo domande che in questo periodo fioriscono in ogni dibattito e tornano alla ribalta dopo ogni caduta. Il tema della sicurezza qui al TotA è molto serio e gode di standard attuativi molto alti. Non a caso questa corsa ha dimostrato di essere ben voluta anche per questo aspetto da parte dei corridori. 

«Ci mettiamo tanto impegno – afferma Evangelista – questo è un evento che è cresciuto in maniera importante e che, a mio modo di vedere, ha raggiunto una dimensione che in questo momento nel panorama del ciclismo italiano è un po’ un’anomalia. La filosofia organizzativa è quella di un gruppo assolutamente professionale, anche se non composto solo da persone che fanno questo per mestiere, ma anche tanti volontari. Quello che però accomuna tutte queste persone è che lo fanno per passione. Non lavoriamo con i paraocchi tra i vari comparti, ma c’è una coesione vera e propria e questo ci dà un’anima riconoscibile anche da fuori. Il prodotto cresce, il consenso cresce, l’attenzione cresce, la visibilità anche e quindi evidentemente significa che stiamo lavorando bene».

Una giornata difficile in questo Tour of the Alps con tanto freddo e pioggia
Una giornata difficile in questo Tour of the Alps con tanto freddo e pioggia
Questo aspetto infatti si ripercuote anche sulla sicurezza, come gestite questo aspetto dell’evento?

Abbiamo cominciato per primi, invece di chiacchierare e basta, a fare qualcosa di concreto. Lo abbiamo fatto con un’idea nostra che può essere più o meno condivisibile, ma che è l’elemento cardine di tutto il lavoro che facciamo. E’ inutile, a mio modo, fare quello che si vede in alcune grandi manifestazioni dove ci sono gli avvisi luminosi, sirene, che servono a ben poco. I corridori oggi performano in una maniera che li espone molto di più al pericolo. Primo, perché loro vanno molto più forte. Secondo, perché non ci sono più le strade di una volta. Il terzo elemento è che il corridore ha tante sollecitazioni che provengono dalle strumentazioni, dalla bicicletta, da quello che gli dicono alla radiolina. Lui non è in grado di percepire il pericolo a meno che tu non gli dia gli strumenti base per farlo, su tutti la conoscenza. E questo non lo fa nessuno (Maurizio ci mostra il manuale della sicurezza del TotA 2024, ndr).

Come segnalate i pericoli ai corridori?

Noi predisponiamo il percorso di tutta una serie di strumenti di preavviso. Per fare un esempio i banner che ultimamente abbiamo fatto per segnalare le curve servono per richiamare visivamente l’attenzione. Non risolvono tutti i problemi, però se l’atleta alza la testa e li vede, sono un input in più. Un’altra cosa fondamentale è la protezione dell’ostacolo. Noi partiamo dal presupposto che non possiamo pretendere che questi atleti andando così forte, tra l’altro spesso distratti, pedalino a rischio zero. Facciamo in modo che se avviene l’impatto sia meno dannoso possibile. E’ questa la differenza nel concetto di sicurezza, la cura dei dettagli. Quindi quello che mettiamo sui guardrail, le coperture che mettiamo su determinati tombini, sui dislivelli, sulle ringhiere, su delle sporgenze, sono tutte attenzioni importanti. I corridori se ne accorgono di tutto questo e sanno che quando vengono qua, c’è un certo tipo di attenzione.

Evangelista, qui con Antonio Tiberi, coordina ogni movimento al TotA
Evangelista, qui con Antonio Tiberi, coordina ogni movimento al TotA
In questo modo abbassate notevolmente i rischi…

Non c’è la matematica certezza che tutto andrà bene. Noi stessi possiamo fare degli errori, però c’è un tipo di impegno, di applicazione, di investimento di risorse umane piuttosto importante e tutto questo cerchiamo di farlo anche in condizioni di salvaguardia del codice della strada. L’installazione avviene a traffico chiuso. E questa è una cosa che tu puoi fare in quella mezz’ora che intercorre da quando chiude il traffico a quando passano i corridori. Si può immaginare che l’impegno non sia da poco. C’è una squadra che anticipa il gruppo fa questo lavoro e poi c’è una dietro che toglie.

Veniamo dalla polemica che è esplosa dopo il giro dei Paesi Baschi. Sul tema sicurezza si sta dibattendo molto. Qual’è il tuo pensiero in merito? E’ giusto mettere sul patibolo gli organizzatori ogni volta che c’è una caduta?

Ogni organizzatore vorrebbe che non succedesse, può succedere e l’onestà intellettuale è quella di saper valutare quanto di quell’accadimento c’è di tuo. Per esempio Pickering l’altro giorno è andato giù dal dirupo. Il corridore lì ha perso completamente la traiettoria. Per me lui si è deconcentrato, perché non c’era logica che quella curva lo potesse portare così fuori… Dicendo così io non mi lavo le mani. Ma siamo consci che quel tratto è stato messo in sicurezza e valutato al meglio. Certo però che il caso dei Paesi Baschi al di là dell’importanza di quelli che ci sono finiti per terra, che ovviamente ha amplificato notevolmente la questione, sta nel fatto che quel sasso stava là. Sono particolari di cui accorgersi, come anche che ci fosse quello scolo dell’acqua. Dirò di più da quanto ho capito, il vero problema era che sotto l’asfalto c’erano delle radici per cui l’asfalto era irregolare. La vera domanda è con che accuratezza vengono valutati questi dettagli?

Voi quanti sopralluoghi fate per evitare questo tipo di insidie?

Ne facciamo cinque, dilazionati nel tempo perché ovviamente ci sono fattori che possono mutare. Ci può essere stata una frana o lavori che sono stati aperti. Spesso, dopo che abbiamo fatto le richieste di autorizzazione, ci segnalano che su una strada c’è un cantiere. Oppure succede qualche volta che non ce lo segnalino e siamo noi che ce ne dobbiamo accorgere. Infatti, non è un caso che il nostro ultimo sopralluogo avvenga 7-8 giorni prima della manifestazione. Non dico che il nostro staff tecnico sia immune da errori o che noi abbiamo la sicurezza al 100 per cento, però quello che posso garantire è che il nostro staff tecnico conosce i percorsi che facciamo palmo a palmo. 

Può influire il fatto che il Trentino, il Tirolo, ha comunque uno standard di infrastrutture molto buono, cioè le strade sono asfaltate in modo spesso impeccabile…

Beh questo è un punto di vantaggio. Noi non disconosciamo mai il fatto che viviamo in una situazione privilegiata. Abbiamo dei luoghi bellissimi, questo ti aiuta già anche come prodotto televisivo. Le strade ci agevolano perché c’è un livello anche di manutenzione che è molto alto.

Si parla molto di iniziative per aumentare questa sicurezza: safety car, neutralizzazione di certi segmenti… Secondo te sono modalità che stridono con il ciclismo che conosciamo?

Tutti devono far vedere che si spendono, che trovano la soluzione a tutto. Tanti discorsi franano davanti a certi banali ostacoli che non sono né protetti né presidiati. Mi viene il dubbio che certi propositi rimangano solo propositi. Ogni idea è sicuramente da rispettare e da considerare. Io personalmente vedo con perplessità gli sport che non si sanno rimettere in discussione. Se c’è questo pericolo e questo pericolo c’è, se oggi i corridori vanno a velocità e con prestazioni totalmente diverse del passato è qualcosa su cui bisogna lavorare, però non si può snaturare uno sport. Non possiamo correre la Parigi-Roubaix sulla moquette, la discesa del Poggio rimane la discesa del Poggio con le sue insidie. Ogni iniziativa è meritevole d’attenzione, ma bisogna evitare di esagerare. Ci sono dei problemi più banali che però possono fare molto più male e questo è l’aspetto che a me lascia un pochino perplesso.

Cosa sappiamo del 55 usato da Pogacar alla Liegi?

23.04.2024
4 min
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LIEGI (Belgio) – Vedendo la corona da 55 sulla Colnago di Pogacar dopo l’allenamento del venerdì, era venuto spontaneo chiedersi se fosse davvero necessaria in una corsa come la Liegi. Quando poi abbiamo assistito all’assolo dello sloveno, è stato chiaro che quel plateau così originale e insieme grande avesse ragione di esserci anche nella Doyenne.

Alla partenza della corsa, uno dei meccanici del team ci ha fatto notare che ad usarlo siano soltanto Tadej e Novak e che lo usino ormai in tutte le corse. Pare che il capitano lo avrebbe montato per la prima volta soltanto alla Sanremo. Siccome però la scelta è curiosa, così come l’abbinamento fra il 55 e il 40, siamo andati diretti alla fonte e abbiamo chiamato Marco Monticone, Product Manager presso Carbon-Ti.

Pogacar l’avrebbe usata per la prima volta alla Milano-Sanremo
Pogacar l’avrebbe usata per la prima volta alla Milano-Sanremo

All’indomani della grande impresa, il tono è comprensibilmente allegro. Dice di aver appena chiuso il telefono con Alberto Chiesa, responsabile dei meccanici del UAE Team Emirates, che gli ha chiesto la stessa guarnitura per tutta la squadra. Se il capo la usa ed è contento, come fai a dire di no a tutti gli altri? Anche perché nella squadra di Gianetti, a ben vedere sono tutti capitani.

Allora Marco, come viene fuori l’idea di avere quel dente più del 54 di serie?

E’ stata una richiesta di Tadej, un atleta estremamente esigente. Ha le idee chiare e quando chiede qualcosa, tutti si attivano per accontentarlo, anche perché le sue richieste non sono capricci. Che poi chieda cose non facili da fare, questa è un’altra storia (ride, ndr)…

Quando vi è arrivata la sua richiesta?

Al Tour de France del 2023, quando abbiamo incontrato il team nel giorno di riposo a Megeve. Non abbiamo parlato direttamente con gli atleti, perché preferivano tenerli nella bolla, ma i dirigenti ci hanno espresso la richiesta di Pogacar. Voleva una corona più grande per avere un rapporto più lungo soprattutto in discesa. Credo sia stato il modo per contrastare alcuni rivali che hanno il pignone da 10 sulle loro bici. Una scelta che meccanicamente non è delle più convenienti, ma che di certo allunga il rapporto.

Bici pronta per la partenza: la Liegi sta per scattare
Bici pronta per la partenza: la Liegi sta per scattare
Da come ne parli, non deve essere stata la richiesta più semplice da esaudire…

La sfida era farla funzionare con la corona interna da 40. Ogni nostra corona viene progettata considerando la sua corrispondente all’interno. Facciamo progetti e simulazioni in 3D, in pratica si parte da una corona per realizzarne un’altra. E se la 54 è compatibile con la 40, per forza di cose doveva esserlo anche la 55.

Sembra che alla fine ci siate riusciti.

Abbiamo progettato e consegnato in qualche settimana. Ci risulta che Tadej l’abbia usata alla Sanremo, ma altri potrebbero averla provata prima e a breve sarà in vendita. La cosa ha destato interesse, tanto che altri team hanno chiesto di poterla comprare.

Quali team?

Posso parlare della Bahrain Victorious, come pure di Decathlon e Jayco. Con loro non abbiamo gli stessi rapporti stretti della UAE Emirates e al momento il 55 è una loro esclusiva. Ma quando andrà in vendita, non potrà più esserlo. Decathlon ne sta prendendo un quantitativo importante, presto sarà evidente. Anche se per averne, c’è un tempo di attesa di 4-5 mesi. Siamo una piccola azienda, abbiamo tante richieste.

Stessa lavorazione, progetto diverso?

Esatto. La lavorazione non cambia e per la progettazione si parte dal know-how delle altre corone, ma è un prodotto completamente diverso. Le macchine CNC vanno riprogrammate, è proprio una storia nuova.

E’ vero che le vogliono per tutta la squadra?

Se va bene per Tadej… E poi non è un team con pochi capitani e tanti gregari. Anche quelli che lavorano sarebbero leader nelle altre squadre, per cui davvero non si può dirgli di no.

Sorpreso che Tadej abbia deciso di usarla già dalla Sanremo e poi domenica nella Liegi?

Con lui abbiamo spesso certe sorprese, veniamo informati appena prima. Come quando gli demmo i prototipi delle corone in carbonio. Le provò, gli piacquero e le usò subito in corsa al Fiandre che vinse e poi anche nell’Amstel. Lui è fatto così. Se fa una richiesta, ne ha davvero bisogno. E se ne ha bisogno, perché non dovrebbe usarla?

Dunbar al Giro, parla Piva «Una top 5 è possibile»

22.04.2024
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Scatta domani il Tour de Romandie e tra i partecipanti ci sarà anche Eddie Dunbar. L’irlandese della Jayco-AlUla è atteso protagonista all’ormai imminente Giro d’Italia. Lo scorso anno infatti è arrivato settimo nella classifica generale. Va da sé che le attese non sono banali.

Tolto Tadej Pogacar, fuori portata per il mondo intero, a meno che non ci si chiami Jonas Vingegaard, alle sue spalle la lotta è alquanto aperta. Eddie è un ragazzo in crescita, ha mordente, l’aspirazione e la maturità per fare bene. E ha anche un’ottima squadra che lo supporta, a partire dal direttore sportivo che lo guiderà nella corsa rosa, Valerio Piva.

Valerio Piva (classe 1958) è stato un corridore fino al 1991 poi diesse. Da quest’anno è alla Jayco-AlUla
Valerio Piva (classe 1958) è stato un corridore fino al 1991 poi diesse. Da quest’anno è alla Jayco-AlUla
Valerio, dunque, cosa possiamo aspettarci da Dunbar al Giro?

Io sono arrivato quest’anno in squadra e non lo conoscevo molto prima, però so che lo scorso anno è andato come è andato senza aver preparato in modo specifico il Giro. Quest’anno l’idea era di farglielo preparare come primo obiettivo, di farcelo arrivare come leader. C’è dunque tutta l’impostazione della preparazione invernale.

Però sin qui lo abbiamo visto poco, come mai?

In effetti ha avuto qualche problemino di salute. Prima l’influenza e la tosse, che gli hanno fatto saltare l’Oman, dove era previsto. In teoria poteva anche andarci, ma dopo una riunione tutti insieme abbiamo deciso che sarebbe stato meglio rimandare. Poi ha subito una caduta alla Valenciana, riportando un piccolo trauma cranico, e abbiamo cambiato ancora i programmi. 

Ecco spiegato il perché dei suoi pochi giorni di corsa sin qui…

Così ha saltato la Tirreno è andato ai Baschi e da domani sarà al Romandia. Però adesso è in tabella. Eddie, come detto, sarà uno dei nostri leader al Giro, e con lui anche Luke Plapp. Chiaramente Eddie non è il favorito, ma intanto sia lui che Plapp iniziano ad imparare come si affronta una corsa simile da leader.

Dunbar (classe 1996) a crono non è un drago, ma non è fermo per essere uno scalatore
Dunbar (classe 1996) a crono non è un drago, ma non è fermo per essere uno scalatore
Non siete i favoriti, ma si può fare bene. Aspirare ad un podio sarebbe troppo?

Il podio sarebbe un risultato eccezionale. Diciamo che una top dieci è realistica e una top cinque un grande obiettivo. Per un podio firmerei in partenza, come chiunque del resto. Però non posso dire andiamo al Giro per questo o quel piazzamento. Parliamo di un ragazzo che deve conoscere realmente le sue possibilità. Anche perché un conto è andare forte una volta e un conto è confermarsi. In più bisogna considerare una cosa.

Cosa?

Le due crono. Dunbar non va fortissimo contro il tempo, non è uno specialista e per questo dico che una top cinque sarebbe già un ottimo risultato.

Valerio, tu sei arrivato quest’anno in Jayco-AlUla e chiaramente non lo conosci a fondo, ma per quel che hai visto cosa ti è sembrato di questo ragazzo?

L’ho diretto ai Baschi e l’ho trovato un ragazzo molto tranquillo, che non si atteggia a leader. Anche perché forse deve ancora dimostrare di essere un certo tipo di leader. E anche per questo non mi sbilancio su quel che potrà fare al Giro. Di certo Eddie ha delle qualità, ma andiamoci piano. Vuol fare bene in classifica e non viene al Giro alla leggera. Abbiamo visionato, anche con altri tecnici molte tappe, alcune dopo la Tirreno, altre in occasione del Tour of the Alps. E qualcosa vedrò io prima del Giro. Andremo ad Oropa due giorni prima di Torino.

E a te che sei un direttore sportivo italiano cosa chiede Dunbar del Giro?

Sostanzialmente delle tappe e delle salite in particolare. Ma ha già corso un Giro e sa cosa aspettarsi.

Lo scorso anno Dunbar è arrivato 7°. Spesso in salita ha avuto il supporto di Zana, anche stavolta dovrebbe essere così

Lo scorso anno Dunbar (classe 1996) è arrivato 7°. Spesso in salita ha avuto il supporto di Zana, anche stavolta dovrebbe essere così
Oltre a Dunbar ci hai parlato anche di Plapp. Lui però prima della Sanremo ci ha detto che non pensa alla classifica. Quindi dov’è la verità?

E ha ragione lui. E’ un po’ lo stesso discorso di Dunbar. E’ giovane e non sa come andranno le cose. Dove potrà arrivare. Con due cronometro lunghe può fare bene. Per esempio se tiene bene nelle prime due frazioni, Torino e Oropa, magari uno come Luke può pensare alla maglia rosa con la prima crono. Ecco Plapp rispetto a Dunbar è più aggressivo. Uno devi quasi fermalo, l’altro devi spronarlo. Entrambi hanno qualche problemino di posizionamento in gruppo e nei grandi Giri non è una bella cosa per chi pensa alla classifica. Il rischio è quello di essere attaccati nel momento sbagliato. E poi ci sarà anche Caleb Ewan per le volate.

Caspita, portate una gran bella squadra…

Ma sì, lasciamoli crescere. Gli diamo questa responsabilità e se alla fine non saranno andati bene non saremo arrabbiati. Qui al Giro non portiamo il nostro numero uno, Simon Yates, e così possono fare esperienza.

Insomma Valerio, Dunbar, Plapp, Ewan… e anche Zana. Che ruolo avrà Pippo?

Non farà classifica. Filippo sarà un cacciatore di tappe. Le crono sono il suo limite, mentre ha già dimostrato di saper vincere una tappa e di andare forte in salita.

Magari uno come lui potrebbe puntare alla maglia dei Gpm?

Sì, ma non sono cose che puoi decidere prima. Anche con Caleb Ewan, che parte per arrivare a Roma, potremmo puntare alla maglia ciclamino, ma per questo tipo di obiettivi si deve valutare strada facendo. Intanto partiamo per il Giro e partiamo bene… poi vediamo. 

Venturelli, dove eri sparita? «Debutto sfortunato, ma arrivo»

22.04.2024
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Lara Gillespie, irlandese del UAE Development Team ha vinto ieri a Barletta la terza tappa del Giro del Mediterraneo in Rosa, la seconda per lei. La corsa va avanti e si concluderà domani sul traguardo in salita di Motta Montecorvino, ma intanto ha già fatto segnare il ritorno di Federica Venturelli (foto Ossola in apertura). La ragazza di San Bassano, lo stesso paese in provincia di Cremona da cui viene Marta Cavalli, era sparita dai radar.

Corsa del debutto stagionale il primo aprile alla Ronde de Mouscron, chiusa con un ritiro. La seconda, due settimane dopo a Chambery, con un venticinquesimo posto. E poi finalmente in questi giorni il ritorno convincente in gruppo, con il terzo posto nella prima tappa a Terzigno, il secondo del giorno successivo a Torre del Greco e il quarto ieri, appunto a Barletta, su un percorso impegnativo per le sue caratteristiche.

Il debutto stagionale di Venturelli è avvenuto alla Ronde de Mouscron il primo aprile
Il debutto stagionale di Venturelli è avvenuto alla Ronde de Mouscron il primo aprile

Problemi alla schiena

Che fine aveva fatto Federica, che ricordiamo brilla per i titoli conquistati su strada, su pista e nel cross e che da quest’anno è passata fra le under 23 nel team degli Emirati?

«Ho avuto dei problemi alla schiena – spiega con la consueta gentilezza – e quindi ho dovuto ritardare parecchio l’inizio della mia stagione. Ho ripreso l’uno aprile a Mouscron, dove sono caduta a 50 metri dall’arrivo. In realtà è caduta una ragazza davanti a me e non ho potuto evitarla. Quindi prima gara abbastanza traumatica. Poi ho corso ancora a Chambery il 14 e anche lì ho avuto problemi meccanici. Ho dovuto cambiare due volte bici. Quindi le prime due gare della stagione sono state abbastanza sfortunate. Adesso invece, terza gara, direi che sta andando bene. Meglio delle prime due…».

E la schiena è a posto adesso?

Va meglio. Riesco ad allenarmi e a correre, quindi sicuramente meglio di prima. Sto continuando a lavorarci, a fare gli esercizi e per adesso va bene. Non è mai stato molto chiaro da cosa sia dipeso il problema, però l’importante è che si stia risolvendo.

Ovviamente questo ha rallentato la preparazione, adesso come va?

Ho dovuto ritardare all’inizio, diciamo, perché a febbraio ho potuto fare solamente allenamenti corti e comunque sempre tranquilli, senza fare lavori. Quindi ho ricominciato a tutti gli effetti a marzo e sono ancora nel pieno della preparazione e della crescita. Rispetto a tutte le altre, ho iniziato parecchio dopo. Era anche previsto che andassi alla Nations’ Cup su pista a Hong Kong, però sempre per il problema della schiena è saltato anche quello.

Come hai riorganizzata quindi la stagione?

Dopo il Giro del Mediterraneo in Rosa, sicuramente correrò il GP Liberazione a Roma. Invece per i prossimi mesi è tutto ancora in definizione. Può capitare a tutti di avere dei problemi fisici, l’importante è risolverli e ritornare competitivi nel minor tempo possibile. Ed è quello che sto cercando di fare.

Nella seconda tappa, in posa con Gillespie: prima e seconda (foto Ossola)
Nella seconda tappa, in posa con Gillespie: prima e seconda (foto Ossola)
Tanto male non va, visti i piazzamenti…

Le sensazioni sono buone. Le prime due tappe erano abbastanza adatte alle mie caratteristiche, perché erano mosse, però senza salite troppo lunghe o troppo pendenti, su cui le scalatrici potessero fare davvero la differenza . Sicuramente il mio non è un fisico da scalatrice e i prossimi giorni, in particolare gli ultimi due (oggi a Castelnuovo della Daunia e domani a Motta Montecorvino, ndr), mi metteranno molto alla prova. Vedremo come andrà su percorsi ancora più tosti, con più dislivello.

Che cosa ti sembra finora della corsa, che è appena nata?

L’organizzazione è molto buona. Anche la qualità delle strade, l’organizzazione del traffico, è tutto fatto con diligenza. Non abbiamo mai avuto problemi. E’ una bellissima gara, sia come percorsi che come organizzazione.

Il UAE Development Team sta dando la sua impronta al Giro del Mediterraneo in Rosa (foto Ossola)
Il UAE Development Team sta dando la sua impronta al Giro del Mediterraneo in Rosa (foto Ossola)
Quindi diciamo che sei su una buona strada del ritorno?

E’ la corsa giusta per tornare, bisogna cominciare dal giusto livello e poi crescere. Ho la fortuna di avere una squadra ottima. Le mie compagne sono sempre fantastiche, ci aiutiamo a vicenda, per chiunque ci sia da lavorare. Rientrare alle corse e trovare una squadra così è sempre una bella cosa. Per cui andiamo avanti. E semmai ci vediamo al Liberazione…

EDITORIALE / Si poteva evitare lo scempio della Freccia Vallone?

22.04.2024
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LIEGI (Belgio) – La settimana scorsa eravamo sparsi in ogni angolo d’Europa, la qual cosa ci riempie di orgoglio. Alberto Fossati, appena tornato da un viaggio in Spagna con Ridley, è quello che come meteo se l’è passata meglio. Simone Carpanini e Gabriele Bonetti erano al Tour of the Alps e si sono presi la loro dose di neve e pioggia. Stefano Masi all’Eroica Juniores ha visto l’annullamento di una tappa per la grandine. Infine il sottoscritto, tra Freccia Vallone e Liegi-Bastogne-Liegi, ha vissuto una settimana d’inverno in Belgio. In attesa di fare ritorno in Italia, è venuto perciò spontaneo fare una riflessione sul diverso trattamento che le condizioni meteo avverse hanno avuto nelle tre corse in questione.

Eroica Juniores, tappa annullata

In Toscana, vuoi un mezzo sciopero (tutto da capire) dei corridori e vuoi qualche indicazione imprecisa, la Giuria ha ritenuto di annullare la terza tappa, data la presenza di grandine sulla strada, che rendeva impraticabile la discesa finale su Montevarchi. Si poteva passare? Decisione presa e palla al centro: ha vinto l’interesse dei corridori. Se non lo avete ancora fatto, potete leggere tutto nell’articolo di Stefano Masi.

«Probabilmente – ha detto il direttore di corsa Paolo Maraffon – si sarebbe potuto fare l’arrivo in cima a Monte Luco. Solo che a Levane, dove c’è stata l’effettiva neutralizzazione, i corridori sono andati dritti alle macchine. Quindi alla fine la decisione è stata quella di non ripartire, i ragazzi hanno praticamente fatto sciopero. Per carità, tutto legittimo, anche perché avevo quattro ragazzi in macchina e tutti tremavano dal freddo. Uno di loro lo abbiamo dovuto accompagnare in due tenendolo per le braccia».

Eroica Juniores, terza tappa annullata. Un corridore intirizzito cerca di riscaldarsi
Eroica Juniores, terza tappa annullata. Un corridore intirizzito cerca di riscaldarsi

Tour of the Alps, freddo sopportabile

Al Tour of the Alps, i corridori hanno preso freddo, ma evidentemente non c’erano le condizioni per applicare il protocollo sulle avverse condizioni meteo.

«Abbiamo trovato neve guidando sul Brennero per rientrare in Italia – spiega Simone Carpanini – mai sulla corsa. L’unica tappa un po’ al limite è stata la terza, quella di Schwaz, in cui è andato in fuga Ganna e che alla fine ha vinto Lopez su Pellizzari. Era una tappa di 124 chilometri, il freddo c’era, ma soprattutto perché i corridori non se lo aspettavano ad aprile. Alcuni sono andati in fuga per scaldarsi, ma niente di troppo estremo. Ricordo che nei giorni successivi ne ho parlato con Pellizzari, mi sembra, e mi diceva che erano stati fortunati a non avere avuto le stesse condizioni della Freccia Vallone. Le immagini di Skjelmose semi assiderato li hanno colpiti parecchio».

Terza tappa del Tour of the Alps: Pellizzari si congratula con Lopez, dopo la sfida sotto la pioggia gelida
Terza tappa del Tour of the Alps: Pellizzari si congratula con Lopez, dopo la sfida sotto la pioggia gelida

Il caso Freccia Vallone

Già, che cosa è successo alla Freccia Vallone? Le previsioni meteo, che ormai non sbagliano un colpo, dicevano che intorno all’ora di pranzo su Huy si sarebbe abbattuta una sorta di tormenta di ghiaccio. Per questo motivo, Roberto Damiani che rappresentava i gruppi sportivi, ha proposto alla Giuria di valutare la riduzione di un giro: arrivo sul terzo Muro d’Huy, anziché sul quarto. La risposta è stata: «Vediamo» e non lasciava presagire niente di buono. Come spesso accade, nulla ha detto invece Staf Scheirlinckx, rappresentante del CPA per il Belgio.

Quando all’ora di pranzo sulla corsa si è abbattuta la nevicata mista a grandine, con temperatura di due gradi, dalle auto della Giuria non è arrivato alcun cenno. Risultato finale: chi si era coperto alla partenza, sudando come in sauna per le prime due ore di corsa, è riuscito a fare la corsa. Gli altri hanno patito una gelata che non dimenticheranno e che ha condizionato il resto della loro settimana. In ogni caso, la Freccia si è conclusa con 44 corridori all’arrivo, 129 ritirati e 2 che non sono partiti.

Dopo l’arrivo, la rivalsa di alcuni team manager e direttori sportivi si è abbattuta sul loro rappresentante: Roberto Damiani. Il quale ha fatto presente di aver segnalato la cosa per tempo e di aver offerto anche una via d’uscita. Annullare un giro a Huy non avrebbe falsato la corsa: «Ma andava fatto subito – dice Damiani – prima che Kragh Andersen andasse in fuga».

Interlocutori diversi

Qualcuno ha scritto sui social che se i corridori si lamentano per queste condizioni, forse hanno sbagliato mestiere. Altri hanno fatto notare che quando Hinault vinse la Liegi nel 1980, finirono la corsa solo 21 dei 174 corridori partiti.

Tutto si può fare e dire. «Non c’è buono o cattivo tempo – diceva da buon militare Baden Powell, fondatore degli scout – ma solo buono o cattivo equipaggiamento». Alla Freccia alcuni hanno sbagliato materiali e altri no, ma c’erano tutte le condizioni per ridurre la prova. Al Giro del 2020 ridussero una tappa solo perché pioveva forte e non era neanche freddo. Si possono fare tutte le congetture che si vogliono e applicare le proprie convinzioni e spesso le frustrazioni alle vite degli altri.

Quello che tuttavia traspare da questi tre casi (forse due, ritenendo che al Tour of the Alps non si sono raggiunte condizioni estreme) è che la vera differenza la fa il potere dell’organizzatore. Perché una Giuria si sente in diritto di fermare una gara juniores organizzata da Giancarlo Brocci, mentre un’altra si volta dall’altra parte quando davanti ha il Tour de France?

Il prossimo anno, andando al via della Freccia Vallone, avremmo tutti ricordato la saggezza dei giudici e celebrato un vincitore comunque degno dell’evento. In cima al Muro d’Huy, che fossero 197 o 168 chilometri (la distanza con un giro in meno), avrebbe comunque vinto un grande corridore.

Gioia a Roubaix, caduta all’Eroica. Lo strano aprile di Valjavec

22.04.2024
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Due settimane fa festeggiava il podio alla Roubaix juniores. Oggi è in attesa di essere operato per ridurre la frattura alla clavicola rimediata all’Eroica. Erazem Valjavec (in apertura nella foto di Martine Verfaillie) era al settimo cielo, dopo la piazza d’onore in Francia e la nuova selezione per la nazionale slovena all’Eroica che voleva vivere da protagonista, ma il suo sogno è durato meno di una tappa. Coinvolto nella mega caduta che ha eliminato dalla corsa oltre 40 corridori, Valjavec è tornato a casa con programmi tutti da riscrivere.

Valjavec all’Eroica, iniziata con tante speranze e chiusa dopo il primo giorno
Valjavec all’Eroica, iniziata con tante speranze e chiusa dopo il primo giorno

Una mazzata per lo sloveno che si era messo in mostra come uno dei migliori talenti in circolazione nella categoria, approdato anche in Italia all’Autozai Contri. Sempre disponibile, Valjavec ha comunque accettato di raccontarsi, come esponente di punta di quel movimento che sta crescendo alle spalle dei trionfi di Pogacar e Roglic.

Come hai iniziato a fare ciclismo?

Devo dire grazie a mio padre (l’ex professionista Tadej, passato fra molte squadre come Fassa Bortolo, Phonak, Lampre, AG2R La Mondiale e vincitore della Settimana Lombarda e del Giro Dilettanti 1999, ndr). E’ rimasto un grande appassionato e quando avevo 6 anni mi ha messo sulla bici e portato con lui. E’ stata una cosa molto naturale. Poi a 10 o 11 anni sono entrato in una società, il Kk Kranj e ho iniziato a gareggiare. Per un anno ho corso in un team austriaco e poi sono approdato all’Autozai.

Valjavec con il padre Tadej, professionista dal 2000 al 2013, due volte campione nazionale su strada
Valjavec con il padre Tadej, professionista dal 2000 al 2013, due volte campione nazionale su strada
Già lo scorso anno avevi ottenuto buoni risultati nelle prove belghe e francesi. Come ti trovi in quel tipo di corse?

E’ solo un tipo diverso di gare. C’è sempre benzina da spendere dall’inizio alla fine ed è quello che a me piace. Adoro le gare dure con quelle salite più secche e non così lunghe d’inizio stagione, mi sono piaciute subito e penso che siano corse adatte a me, nel 2022 ero anche molto veloce nel finale. L’anno scorso ho perso un po’ di spunto, ma ora sto recuperando. Inoltre inizio ad allenarmi di più anche sulle salite, avrei voluto testarmi di più all’Eroica, ma non sempre le cose vanno come vogliamo.

Che caratteristiche tecniche hai?

Più che caratteristiche parlerei di approccio alla corsa. Mi piace l’adrenalina che scorre fin dall’inizio. E’ davvero importante che sia già difficile fin dall’inizio perché non abbiamo spesso gare così lunghe. E quindi mi piace quando è difficile dall’inizio alla fine. Come tipologia di corridore sono principalmente uno scalatore, amo ogni tipo di salita, ma più che quelle lunghe preferisco quelle brevi e ripetute, sono più divertenti.

Valjavec si trova sempre a suo agio in Belgio. Qui alla Kuurne-Bruxelles-Kuurne dov’è finito 3°
Valjavec si trova sempre a suo agio in Belgio. Qui alla Kuurne-Bruxelles-Kuurne dov’è finito 3°
Ho visto che fai anche ciclocross e hai gareggiato anche in gare internazionali. Per te è solo un allenamento per la strada o potresti fare la doppia attività come il campione del mondo Viezzi?

No, per me questo è solo un modo per allenarmi perché ne trai una bella tecnica. Puoi vedere come andare in bicicletta quando è scivoloso o in altre condizioni estreme. E’ solo un allenamento per me perché non ero un ragazzo molto bravo tecnicamente all’inizio della mia attività, lo faccio ora per acquisire più tecnica. Lo farò ancora, ma sicuramente non lo farò sul serio.

Come siete riusciti come nazionale a dominare la Parigi-Roubaix e com’è nata la vostra vittoria?

Non avevamo pianificato nulla. E’ una corsa che è sempre una lotteria, serve fortuna nel non cadere e noi l’abbiamo avuta. Ora sappiamo che per corse del genere siamo bravi. Siamo stati davanti tutto il giorno e io mi sono unito da dietro quando abbiamo dato il massimo. Sono stato uno dei pochi che ha seguito l’iridato Philipsen quando ha attaccato, siamo andati a tutto gas e poi abbiamo fatto primo e secondo sul traguardo.

L’accoppiata vincente della Roubaix con Ormzel finito davanti. 4° l’iridato Philipsen
L’accoppiata vincente della Roubaix con Ormzel finito davanti. 4° l’iridato Philipsen
Fra te ed Ormzel c’era un accordo su chi doveva vincere?

Non ne abbiamo parlato, devo dire che ha fatto lui gran parte del lavoro. All’ultima curva ho perso un po’ la ruota per un paio di metri. Quindi abbiamo entrambi dato tutto senza neanche guardarci indietro. Conoscendo Ormzen e quant’è veloce, penso che anche se lo volessi, non vincerei. Quindi mi godo il 2° posto, penso che sia comunque un risultato davvero importante.

Ora ci sono tanti giovani sloveni forti, quanto conta per la tua generazione avere un esempio come Roglic e Pogacar?

Molto. È bello avere qualcuno del tuo Paese che fa la differenza. Penso che ci abbiano davvero ispirato. So che ora in Slovenia si pratica sempre più ciclismo, mentre prima, quando ho iniziato, erano molti meno i ragazzi che lo facevano. Eravamo come 3 categorie che gareggiavano insieme e c’erano 30 ragazzi sulla linea di partenza. Ora ne trovi altrettanti solo in un club… E sì, ora sta davvero arrivando una generazione d’oro perché abbiamo davvero molti corridori forti.

in Italia lo sloveno ha iniziato con un podio nel GP Baronti vinto da Sambinello
in Italia lo sloveno ha iniziato con un podio nel GP Baronti vinto da Sambinello
Una piccola curiosità. Fai parte dell’Autozai Contri o della squadra belga Acrog Tormans? Perché in alcuni siti vieni accreditato per quest’ultima…

Ho una doppia licenza, posso correre con loro in Belgio. Ma la mia prima squadra è quella italiana. Così è molto più facile per me andare a gareggiare in Belgio perché adoro correre lì. Ecco perché scelgo di fare così. In Italia non ho gareggiato molto quest’anno. Abbiamo fatto solo due gare, ma quando correvamo insieme correvamo come una squadra. Ad Alessio (Magagnotti, ndr) gli insegno un po’ perché so già un po’ di più come si corre nelle gare junior.

Hai già contatti per il prossimo anno con qualche devo team?

Ho già firmato con la Soudal Quick Step per due anni e ora siamo in contatto anche per prolungare, ma è ancora tutto in corso.

Lo scorso anno Erazem ha vinto due titoli nazionali su pista: inseguimento e madison
Lo scorso anno Erazem ha vinto due titoli nazionali su pista: inseguimento e madison
Che obiettivo ti sei posto da qui alla fine dell’anno?

Avevo tanti progetti, ma la caduta all’Eroica ha cambiato un po’ tutto. E’ una gara che non mi porta bene, anche lo scorso anno ero caduto quand’ero fra i primi. Ora vuol dire che anticiperò il periodo di riposo per essere brillante nella seconda parte di stagione con la gara a tappe del Valromey e i mondiali che sono il mio obiettivo di quest’anno.