“Remco il maturo” si è preso il Belgio. Ora è popolare come Wout

01.08.2024
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Se si leggono i titoli di giornale e i siti belgi, c’è una standing ovation unilaterale nei confronti di Remco Evenepoel. L’enfant prodige fiammingo dopo gli ultimi successi ha travolto tutti. Con la sua ondata di entusiasmo e di gioia, per i grandi risultati ottenuti, ha appianato molte differenze a quanto pare.

E’ noto che il Belgio fosse tutto o quasi per Wout Van Aert, specie per quel concerne il tifo. Tutti amano Wout, non a tutti stava simpatico Remco. Ma adesso? 

Tra Tour e Olimpiadi si è visto un Remco commosso, più umano
Tra Tour e Olimpiadi si è visto un Remco commosso, più umano

Remco il maturo

Dopo il Podio al Tour de France e l’oro olimpico di Parigi le cose sembrano essere cambiate parecchio.

«Sì – spiega Guy Van Den Langenbergh, giornalista della Gazet van Antwerpen e dell’Het Nieuwsblad – ma sono cambiate non tanto per i risultati, che Evenepoel ha sempre riportato, quanto piuttosto per il suo atteggiamento. Per il suo modo di porsi. E’ lui che è cambiato».

Certamente da quando è andato al Tour de France e si è scontrato con i più grandi, per la prima volta se ci si pensa bene, la rotta si è invertita. Probabilmente il fatto di ritrovarsi in un palcoscenico tanto importante, lo ha indotto giocoforza a rivedersi. Remco non poteva essere “spaccone” o irriverente come in altre occasioni.

«Quando dico che Remco è cambiato, non è più come in passato quando diceva: “Ora vinco”. No, stavolta parlava di una top cinque come un buon risultato. Diceva che salire su un podio sarebbe stato un successo. Ha ammesso i suoi limiti in salita. Abbiamo dunque un Remco più maturo, più intelligente nel modo di porsi. Sì, maturo: questa è la parola giusta».

E questo è vero. Pensiamo per esempio a quelle battute a fine tappa con Pogacar, quel modo indiretto di riconoscere la superiorità dello sloveno ha significato molto per i belgi. E anche l’atteggiamento in corsa ha inciso secondo noi. Pensiamo al modo di correre: il salire di passo e non mollare quando Pogacar e Vingegaard scattavano. L’anno scorso alla Vuelta alla prima occasione in cui perse due metri, poi naufragò. All’improvviso Remco è parso più rispettoso. Appunto più maturo.

Le ultime settimane hanno ridotto se non azzerato la differenza di popolarità con Van Aert, vero beniamino dei belgi
Le ultime settimane hanno ridotto se non azzerato la differenza di popolarità con Van Aert, vero beniamino dei belgi

Sul trono con Wout

Come dicevamo, Van Aert era il più amato in assoluto, ora i due sembrano essere alla pari. In qualche modo anche Evenepoel si è preso tutto il Belgio. Non ha più solo i tifosi dei vari fans club.

«Ma Wout resta Wout – prosegue Van Den Langenbergh – anche lui ha continuato ad avere i suoi sostenitori. Dopo la caduta alla Dwars door Vlaanderen e tutto il percorso di recupero che ne è conseguito ha sentito il sostegno dei tifosi. Le fratture, il lavoro per tornare in bici, la fatica del Tour, le volate in Francia e poi la crono olimpica (gettando il cuore oltre l’ostacolo con l’azzardo della doppia lenticolare, ndr)… Van Aert è sempre amato. Ma certo adesso sono alla pari in quanto a livello di popolarità».

Colleghi corridori, giornalisti, campioni, anche chi non era perfettamente allineato con Evenepoel adesso si è ricreduto. Pensiamo a Greg Van Avermaet per esempio. Ma soprattutto Remco è stato in grado di far cambiare idea persino a sua maestà: Eddy Merckx. Tra le tante punzecchiate del Cannibale, ricorderete le critiche sul ritiro dal Giro d’Italia. O l’ingiusta, sempre secondo Merckx,  convocazione per i mondiali del 2021, tanto per dirne due. A sua volta Remco punzecchiò Eddy: «Deve sempre dire qualcosa». Insomma, i due non si amavano troppo, mettiamola così.

«Senza dubbio – va avanti il giornalista belga – Remco era atipico nel suo modo di porsi. E Merckx lo ha criticato in modo diretto. Diceva che parlava troppo, anche i suoi genitori a volte avevano replicato a Merckx con toni forti. Invece proprio Eddy era a Parigi e lì ha incontrato i genitori di Remco. Adesso anche lui ha riconosciuto un cambiamento del ragazzo e l’incontro con la famiglia Evenepoel è stato disteso, sereno. Ora tra i due c’è comprensione».

Durante il Tour de France si è visto un Evenepoel sempre disponibile con la stampa
Durante il Tour de France si è visto un Evenepoel sempre disponibile con la stampa

La stampa apprezza

Tutto questo discorso su Evenepoel e la sua popolarità si riversa poi anche nei confronti della stampa. A volte i rapporti erano di carta vetrata, anche se va detto che uno come Remco è stato e resta una manna per i giornalisti. Evenepoel ha sempre fatto scrivere. E spesso lo ha fatto proprio per le sue uscite colorite. Però non sapevi mai che Remco avresti trovato dopo avergli messo il microfono sotto al naso.

«Il rapporto è cambiato anche nei confronti di noi giornalisti – ha concluso Van Den Langenbergh – Remco è più aperto. In questi ultimi mesi lui sapeva quello che volevamo. Ogni giorno ci ha dato qualcosa. Ha trovato un buon equilibrio nel parlare, nella quantità di cose da dire, e lo ha fatto in modo franco. Anche questo si è percepito bene. Remco è molto comunicativo. Mi sento ancora di utilizzare il termine maturo».

Bettini, un salto a Parigi. Ipotesi inquietanti e pronostico impossibile

31.07.2024
6 min
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Paolo Bettini da oggi è a Parigi come testimonial del made in Italy, in quanto ambassador di Manifattura Valcismon. Una toccata e fuga, poiché già domani sera sarà a casa. Pur essendo campione olimpico ed essendo stato tecnico della nazionale, non gli è toccato in sorte un accredito e così seguirà la gara di sabato in televisione. Ma che gara sarà quella olimpica, lunga 272 chilometri e con 89 corridori al via? Si può stravolgere il ciclismo per contenere il numero dei posti nel Villaggio Olimpico? C’è tutta una serie di domande che ci assillano durante questi Giochi dalle quote rimaneggiate, ma perché non sembrino le paranoie di chi scrive, abbiamo provato a sentire l’opinione di chi ne ha corse tre e una l’ha vinta. Paolo Bettini, appunto, cinquant’anni compiuti ad aprile: nono a Sydney, primo ad Atene, diciottesimo a Pechino.

Il CIO ha deciso per la riduzione del numero (anche) dei ciclisti, per ammettere altre discipline. Chi si è opposto?
Il CIO ha deciso per la riduzione del numero (anche) dei ciclisti, per ammettere altre discipline. Chi si è opposto?
Che effetto fa una gara di 272 chilometri con 90 corridori? Non è un po’ falsato il concetto di gara di ciclismo?

In effetti, mi sembra più una randonnée. Io ci sto per il chilometraggio lungo. Ad Atene 2004, il 14 di agosto con 42 gradi, mi ero quasi lamentato che fosse solo di 224 chilometri, abituato da buon cacciatore di classiche a vincere a su distanze di 250-260. Dissi che almeno avrebbero potuto farla di 240. Poi però scoprii una cosa che in realtà avevo già capito da giovane a Sydney, cioè che tenerla è un casino. Si correva in 5 per Nazione. Adesso cosa hanno fatto? La brillante idea è di ridurla addirittura a 4 come numero massimo di atleti per le Nazioni più rappresentative, per poi scendere a 3 come con l’Italia, poi 2 e poi gli isolati che correranno da soli. Se l’idea era di ridurre il numero per aprire a più Nazioni, perlomeno 130 corridori da portare alla partenza li avrei trovati. Partire in 90 per fare quel tipo di chilometraggio? Si salvi chi può…

Continua.

E’ un casino fare la riunione tecnica di come andrà la gara. E’ veramente una gara alla si salvi chi può. Se dopo 50 chilometri rimani con 30 corridori davanti e 60 dietro, che corsa viene fuori? Considerate che di 90, un bel mucchio di corridori va in crisi dopo 140 chilometri. Se la fai un po’ “garellosa”, dopo 140 chilometri rimani con 60 corridori. Ma se per disgrazia esce un po’ di sole, di quello parigino estivo vero, e corrono a 32 gradi, sarà una gara che possono finire 18 corridori. Poi è vero che a loro basta il podio per fare le medaglie, però come avete detto prima, si snatura il concetto di grande classica. Non è più un palcoscenico internazionale con la sfida tra grandi atleti. Va bene che qualcuno non è venuto, tipo Pogacar, ma quanti professionisti europei, americani, australiani non sono stati convocati perché le nazionali sono ridotte alla metà di quelle dei mondiali?

Nonostante i 224 chilometri di Atene 2004, Bettini si rese conto che la corsa fosse incontrollabile: si correva in 5
Nonostante i 224 chilometri di Atene 2004, Bettini si rese conto che la corsa fosse incontrollabile: si correva in 5
Ce ne sono fuori almeno altri 90 se non di più.

Okay, allora anziché ridurre a 4, perché non fare un numero massimo di 6 per squadra? E qui si capisce perché sono scesi a 4 senza aumentare il numero delle Nazioni. Perché così facendo, risparmiano posti nel Villaggio Olimpico. Lo scopo è questo. Meno gente da accreditare, meno gente da far girare, meno di tutto. Apertura però ad altre discipline. Pertanto se nel complesso al Villaggio Olimpico deve gravitare in due settimane un certo numero di persone, quello deve essere. E se uno sport ne porta troppe, io lo riduco.

Uno dei motivi per cui tolsero la 100 chilometri a squadre, inserendo la crono individuale…

Quello che mi dispiace è che non vorrei che in un futuro non troppo lontano, pensassero proprio di eliminare la prova su strada. Se continuano a ridurla così, mi sembra che non gli interessi nemmeno troppo. Il ciclismo viene bistrattato, basta guardare come hanno fatto il calendario olimpico. Se mi proponi una gara da 272 chilometri con 90 corridori, non è più una grande classica. E’ una gara olimpica, tutto il rispetto per chi vince ed entra a pieno titolo nell’Olimpo, però il discorso non mi torna.

Parigi ospiterà la gara dei pro’ su strada sabato prossimo: 272,2 km con i primi 225 in linea. 89 partenti.
Parigi ospiterà la gara dei pro’ su strada sabato prossimo: 272,2 km con i primi 225 in linea. 89 partenti.
Diciamo che tolta la maratona, il ciclismo è il solo sport che costringe a chiudere le strade. In fondo nel velodromo i corridori non danno fastidio a nessuno.

Esatto, esatto. Ma speriamo di no…

Tu che correvi un po’ alla Van der Poel, come avresti gestito una corsa del genere?

Con 225 chilometri prima di arrivare nel circuito, io spacco tutto prima di entrare a Parigi. Quando arrivo in città, voglio che siamo il meno possibile e poi con gli altri me la gioco nel circuito. E io sto fermo 225 chilometri, secondo voi? Questi sono ragazzi che non hanno paura di prendere vento. Evenepoel è abituato a partire lontano all’arrivo e farsela per conto suo. Van der Poel è uno abituato al ciclocross, dove si fa un’ora fuori soglia come pochi, figuratevi se ha paura a stare fuori 100 chilometri, cercando poi di vincere in volata. Sono fatti così. Quando entri in circuito, rischi veramente. Per questo io approfitterei della campagna francese che proprio pianura non è. Se poi, niente niente, tira un filo di vento… aiuto! Dopo 100 chilometri c’è uno sparpaglìo galattico. Altrimenti devi fare una gara come quella femminile, dove le più forti sanno che gli bastano gli ultimi 30 chilometri. Così vanno via col gruppetto delle migliori sempre appallato e poi negli ultimi 60 chilometri aprono il gas e fanno la corsa. Ma i professionisti non fanno così.

E poi c’è anche chi non ha interesse a fare la corsa di certi fenomeni.

Anche perché l’Italia, che sulla carta non ha grandi chance, magari sgancia prima Bettiol. E se non faccio muovere prima lui, allora faccio attaccare Viviani. Sennò che cosa è venuto a fare Elia? Gli faccio accendere la corsa, perché non credo che abbia la la gamba per chiudere un buco di 30 secondi su Evenepoel, se la corsa la accendono loro. Viviani è meglio trovarlo davanti, in un gruppetto di 7-8. Perché se arrivano Evenepoel e Van der Poel, magari anche con Bettiol, forse Elia là davanti mi serve a qualcosa. Sennò cosa fa?

Ai mondiali di Wollongong, dopo aver vinto la Vuelta, Evenepoel dimostrò di gradire gli attacchi da lontano
Ai mondiali di Wollongong, dopo aver vinto la Vuelta, Evenepoel dimostrò di gradire gli attacchi da lontano
Stare coperti forse non serve a molto…

Stai nascosto, ma non credo che si corra per arrivare tutti insieme. Le Nazioni cui interessa arrivare in fondo sono l’Olanda, il Belgio… La Spagna come corre? E la Francia? Alaphilippe se la gioca, ma deve anticipare. Lui e Bettiol dovrebbero fare coppia fissa, perché in questo momento storico sono simili per quello che vogliono e possono fare. La Spagna invece si butta e magari porta via Olanda e Belgio. Per questo dico che dopo 80 chilometri restano in 30 corridori.

Ti sarebbe piaciuto correre una gara così?

Eh, quella sarebbe la mia corsa (sorride, ndr). Quando c’era disordine, lo sapete, quando c’era disordine c’era Bettini! Anzi, quasi sempre la creavo. Mi ricordo nel 2008, pur di far gara dura, si fece partire Nibali su un ponte dell’autostrada tra Pechino e la Grande Muraglia (in apertura la partenza di quella gara, ndr). Però eravamo in cinque. Dietro c’eravamo io, il povero “Rebella”, Pellizotti e Bruseghin. Non andò male, perciò vediamo cosa faranno sabato che corrono in tre. Me la guardo per bene in televisione, così posso anche allenarmi. Il mio viaggio in Grecia per festeggiare i 50 anni e i 20 dall’oro olimpico, zitto zitto, arriva.

Evenepoel e quella bici da crono non estrema: una carta vincente

31.07.2024
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Specialized S-Works Shiv, una taglia xs per Remco Evenepoel, medaglia d’oro alle Olimpiadi di Parigi 2024. Il modello è il medesimo di sempre, quello utilizzato anche nelle corse a tappe e per il mondiale, ma i dettagli e le variabili fanno la differenza.

Con il contributo di Giampaolo Mondini, uomo di raccordo fra Specialized e i team, cerchiamo di entrare nel dettaglio della bici del giovane campione belga, un mezzo che a tratti sembra minimale ed essenziale, ma in realtà è frutto di una ricerca durata anni.

La bici (vincente) della prima crono al Tour de France
La bici (vincente) della prima crono al Tour de France
La Specialized di Evenepoel è la medesima che ha usato al Tour?

No, o meglio, il modello è sempre S-Works Shiv, ma cambiano alcuni dettagli, su tutti le livree grafiche. Anche al Tour de France ha usato due bici differenti tra la prima e la crono di Nizza. Nella prima ha usato quella con grafica silver/iridata, nella prova contro il tempo dell’ultimo giorno ha usato un telaio più leggero di qualche grammo, verniciatura differente, ma uguale nelle forme.

Copertoncini in tutte le occasioni?

Sempre. Specialized Turbo Cotton TT con sezione da 26 e camere d’aria in lattice, non in butile, non in poliuretano. Anche il gonfiaggio è sempre lo stesso. Siamo intorno alle 6-6,2 atmosfere, range utilizzato anche a Parigi sotto la pioggia.

La Shiv TT della crono finale a Nizza
La Shiv TT della crono finale a Nizza
Rispetto a molte altre, la Shiv dà l’impressione di essere più sfinata, a tratti una bici minimale. Cosa ne pensi?

E’ la prima bici da crono ad essere stata sviluppata in modo specifico per i perni passanti e per i freni a disco, un fattore che condiziona sicuramente alcune scelte di design. Si parla di una bici da crono e quindi le forme sono strettamente funzionali alla ricerca aerodinamica e alla resa del mezzo meccanico.

Quindi nel dettaglio?

Il posteriore è alleggerito, molto di più rispetto ad un ipotetico valore medio della categoria, soluzione ricercata e utile per i percorsi tortuosi, guidabilità e agilità. Il piantone scaricato verso la sezione bassa non è solo una questione estetica. Aggiungo che Evenepoel è solito non adottare profili estremizzati per la ruota anteriore. Questo influisce sull’impatto estetico, che risulta “più magro”, ma anche sulla prontezza della bici.

La bici da crono utilizzata da Evenepoel alle Olimpiadi
La bici da crono utilizzata da Evenepoel alle Olimpiadi
Pensi che una sorta di estremizzazione meno accentuata abbia aiutato Evenepoel anche sulle strade di Parigi? Tutt’altro che un biliardo.

Quando si parla di una bici da crono non è esclusivamente il frame-kit, anche la componentistica fa la differenza. Credo che, oltre ad uno stato di forma fisica eccellente, la Specialized usata a Parigi è l’espressione di un collimare perfetto tra le varie parti in gioco. Anche delle abilità di guida.

Quanto tempo è necessario per saper sfruttare le potenzialità di una bici del genere?

Evenepoel la usa almeno due volte a settimana, anche quando piove. Non è un dettaglio e di sicuro spiega anche questa abilità, una certa naturalezza nello sfruttare a pieno la bici. E poi c’è tutta la fase di test eseguiti nel periodo invernale.

Ci puoi spiegare?

Ogni inverno Evenepoel dedica almeno due giornate piene nella galleria del vento a Morgan Hill. A queste si aggiungono i giorni in velodromo per validare le scelte o per effettuare dei cambiamenti. Nel 2024 abbiamo aggiunto dei giorni di prove al Politecnico di Milano. E’ un percorso lungo e complesso.

Fra il 2023 e il 2024, il cockpit è stato cambiato
Fra il 2023 e il 2024, il cockpit è stato cambiato
Rispetto ai primi test, avete cambiato qualcosa?

La bici è rimasta quella, ma rispetto al 2023 è cambiato il setting del corridore. Pedivelle più corte, le famose 165 e un nuovo cockpit, più leggero ed efficiente. Le nuove soluzioni vanno di pari passo, poco tangibili in termini di watt, rilevanti proprio per quello che concerne l’efficacia.

Il corridore ha un feeling migliore?

La posizione che lui riesce a tenere è funzionale all’aerodinamica e alle sue caratteristiche. E’ più basso sul manubrio e al tempo stesso non influisce in modo negativo sulla respirazione diaframmatica e sul movimento delle gambe.

Nella prova a cinque cerchi, Evenepoel è stato molto abile nella guida
Nella prova a cinque cerchi, Evenepoel è stato molto abile nella guida
Se volessimo quantificare il valore di questa bici?

Il costo di una Specialized Shiv è quello relativo al listino, perché ogni bici usata dai corridori deve essere disponibile per il mercato: è una regola UCI. Altro discorso è il valore del progetto. Le cifre diventano folli, ma sono un investimento sulle tecnologie, sull’immagine su tutto quello che Specialized mette a disposizione. Galleria del vento, componenti e accessori, biciclette ovviamente. Le risorse umane, perché sono tanti gli attori coinvolti. Le analisi Retul con tutto quello che riguarda anche il risolvere le problematiche derivate da infortuni. Dietro l’ipotetica semplicità di una bici, c’è un universo celato. Lo è per le bici “normali”, ancora di più per le crono.

Pidcock e Ferrand Prevot, due ori Ineos dalle genesi diverse

31.07.2024
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Per la Ineos Grenadiers Parigi è qualcosa che evoca grandi successi “gialli” e che ora ha anche un forte sapore olimpico. Sia Pauline Ferrand Prevot che Thomas Pidcock, i due campioni olimpici di mtb, sono in forza al team britannico, ma la loro conquista dell’oro a cinque cerchi, sfalsata di 24 ore, ha un sapore ben diverso dall’uno all’altro. Entrambi però dal 2025 saranno probabilmente destinati ad altri lidi: se per la francese cambierà tutto, lasciando la mtb, per Pidcock c’è la possibilità di trovare un nuovo team pur avendo un contratto fino al 2027. La Ineos non sarebbe contraria, in quanto libererebbe una copiosa fetta del monte ingaggi.

Il ciclomercato ha in parte influito sulle loro prove, anche perché rappresenta il futuro dopo l’aver ottenuto il proprio obiettivo stagionale. In maniera diversa come diverse erano le prospettive e le radici. Partiamo da Pauline, chiamata alla gara della vita, davanti al proprio pubblico. Chiamata soprattutto a sfatare la maledizione olimpica: per tre volte era partita per vincere, a Londra 2012 sognava addirittura la doppietta strada-mtb, a Tokyo 2020 quasi nessuno avrebbe scommesso sulla sconfitta sua e/o della Lecomte e questa era stata una delle maggiori delusioni di tutta la spedizione francese.

L’arrivo trionfale della Ferrand Prevot, un momento che attendeva da tre anni
L’arrivo trionfale della Ferrand Prevot, un momento che attendeva da tre anni

Un’Olimpiade diventata ossessione

Da allora l’oro era diventato un’ossessione e la Ferrand Prevot per esso aveva sacrificato tutto: chi le è vicino parla di una ragazza solare e allegra che si era chiusa in se stessa, sembrava quasi triste anche dopo le vittorie in Coppa del Mondo. Al punto che da quasi un anno non risponde al cellulare né ai messaggi, a nessuno se non della sua stretta cerchia.

«Quando ho vinto l’ultimo mondiale, lo scorso anno a Glasgow– raccontava la transalpina dopo l’oro olimpico – ho avuto una successiva notte insonne, piena di pensieri. Per dissiparli ho preso la bici e in piena notte mi sono fatta due ore e mezza di pedalata per schiarirmi le idee. Sentivo forte la pressione per quest’oro, era quello che tutti volevano, ma anch’io lo volevo per ragioni diverse. Dovevo chiudere una pagina della mia vita, a questa ho sacrificato tutto, ho sacrificato soprattutto me stessa, il mio carattere, la mia creatività, diventando un’altra persona».

Le lacrime sul podio tradiscono l’emozione della francese, dopo la terribile delusione di Tokyo 2020
Le lacrime sul podio tradiscono l’emozione della francese, dopo la terribile delusione di Tokyo 2020

Un’attesa vissuta da asceta

Chi la conosce parla di una Pauline quasi maniacale nell’allenamento come nell’alimentazione, priva di quel caratteristico sorriso che la contraddistingueva, chiusa in un assoluto ascetismo. Forse un po’ schiacciata dall’essere una delle vincitrici quasi annunciate, un po’ come Marchand nel nuoto o le americane nella ginnastica. Per questo l’oro ha il sapore della liberazione e subito dopo, alla premiazione, sembrava una ragazza diversa, liberata, quasi ebbra di gioia.

Ora può riaprirsi al mondo e anche per questo ha bisogno di cambiare. Già prima della gara olimpica aveva detto che voleva lasciare il mondo che le ha dato tanto per tornare alla strada, con obiettivi precisi: il Tour de France Femmes in primis perché sente di poter dire la sua per la maglia gialla, poi la Roubaix che per una biker è corsa che più di altre si attaglia. Ma in generale tutte le classiche possono essere terreno di caccia per chi, pur in una carriera da stradista a mezzo servizio, ha dalla sua sempre un titolo mondiale e una Freccia Vallone.

La volata vincente della Ferrand Prevot a Ponferrada nel 2014, che le valse il titolo mondiale
La volata vincente della Ferrand Prevot a Ponferrada nel 2014, che le valse il titolo mondiale

Pidcock cambierà aria?

Per Pidcock la situazione è diversa, anzi quasi opposta se aveva dichiarato a fine stagione che con l’oro olimpico avrebbe messo la parola fine alla mtb. Il suo amore per le ruote grasse è troppo forte e chi gli è intorno dice che già pensa al tris, mai raggiunto da nessuno. Per questo però ha bisogno di un supporto che gli garantisca di continuare nella multidisciplina e i suoi legami personali di sponsorizzazione con la Red Bull fanno pendere la bilancia verso il team tedesco, che non ha problemi di budget.

Intanto però la sua vittoria non è stata scevra da polemiche. Quando ha forato, lasciando via libera al padrone di casa Koretzky, il pubblico è esploso sognando il trionfo, ma piano piano Pidcock ha eroso il vantaggio fino a riagganciarsi a due giri dalla fine. Poi è stato lui a provare a staccare il rivale, che però sembrava incollato. Fino a quel passaggio finale…

Sul percorso parigino il britannico ha messo in fila Koretzky (FRA), Hatherly (RSA) e Braidot (ITA)
Sul percorso parigino il britannico ha messo in fila Koretzky (FRA), Hatherly (RSA) e Braidot (ITA)

La giusta traiettoria

Un pezzo tecnico ma neanche troppo, casella di un percorso vario e neanche troppo disprezzabile per essere cittadino. Sul sentiero c’erano due alberi, si poteva passare in mezzo oppure esterni. Pidcock aveva sempre scelto la traiettoria esterna, all’ultimo giro, vedendo il francese fare lo stesso ha scelto l’altro passaggio per superarlo. Nella ricongiunzione inevitabile il contatto: «Mi ha toccato allentandomi la scarpa – lamentava Koretzky, tornato quest’anno alla Mtb dopo aver chiuso la sua esperienza alla B&B Hotels prima e alla Bora dopo senza aver lasciato il segno – ha spinto anche molto, è stata una mossa mediocre per non dire altro…».

La Francia però non ha sporto reclamo, dando di fatto ragione alle parole di Pidcock: «Non ho fatto niente di male, lui era davanti e ha fatto la sua scelta, ho visto un’opportunità e l’ho colta, in un punto che non si attendeva. Ma queste sono le Olimpiadi, baby…».

Pidcock durante il riscaldamento: anche a Parigi ha dimostrato di avere una marcia in più
Pidcock durante il riscaldamento: anche a Parigi ha dimostrato di avere una marcia in più

Ora la sfida della strada

La sua reazione alla vittoria è stata più contenuta, quasi si aspettasse anche lui che le cose andassero così. Attenzione però perché ora lo attende la prova in linea e chi lo conosce dice che nella mente gli frulla qualcosa. In una gara pazza come può essere quella olimpica, priva di squadre in grado di controllarla, chissà che il suo modo di correre garibaldino, da biker non possa regalargli qualche soddisfazione. In fin dei conti, gente come Van der Poel o Van Aert nessuno la conosce meglio di lui…

Ecco l’Avenir che strizza l’occhio a scalatori (e scalatrici)

31.07.2024
7 min
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Sei tappe più un prologo iniziale: è il Tour de l’Avenir che si appresta ad andare in scena dal 18 al 24 agosto prossimi. Tutta la planimetria si svolge nell’Ovest della Francia, quindi vicino all’Italia. E anche per questo motivo sarà un Tour de l’Avenir all’insegna della montagna.

Di ricordi questo Avenir così “italiano” ne porta tanti con sé. Per esempio sono 60 anni dalla vittoria di Felice Gimondi. Mentre non è la prima volta che la corsa U23 transita dall’Italia. Era già successo negli anni ’80 e in una tappa che lambiva Torino si mise in mostra un certo Miguel Indurain.

La planimetria del Tour de l’Avenir e del Tour de l’Avenir Femmes
La planimetria del Tour de l’Avenir e del Tour de l’Avenir Femmes

Avenir in Italia

La grossa novità è proprio l’arrivo finale in Italia sul Colle delle Finestre. Il Piemonte e la Provincia di Torino si confermano così super attive in fatto di grande ciclismo. Nello stesso anno hanno ospitato: Giro d’Italia, Tour de France e appunto Tour de l’Avenir. E l’anno prossimo vedranno persino la grande partenza della Vuelta.

Andiamo quindi a scoprire il percorso della corsa a tappe francese riservata alle nazionali under 23 e per la quale i nostri ragazzi stanno lavorando sodo al Sestriere. Il cittì Marino Amadori porterà i suoi atleti in avanscoperta delle ultime quattro frazioni nei prossimi giorni. Per ora, stando proprio al Sestriere, hanno pedalato sul vicino Colle delle Finestre, che sarà sede di arrivo dell’intero Avenir dopo 830 chilometri e circa 12.000 metri di dislivello.

Prologo e sei tappe

Si parte con un prologo a Sarrebourg, cittadina nel Dipartimento della Mosella: un prologo che al netto di un paio di salitelle si annuncia molto veloce. Poche curve e tanti rettilinei dove spingere a fondo. La distanza? E’ un po’ lunga per essere un prologo: 7,1 chilometri. In pratica è un breve crono da fare a tutta e che potrà segnare piccoli distacchi. Ma visto quel che aspetta i ragazzi nei giorni successivi non dovrebbe affatto essere decisivo.

La seconda tappa è la tipica pianura francese quindi abbastanza nervosa e ancora più nervoso è il finale: due cotes che potrebbe scongiurare l’arrivo in volata, probabilmente l’unico di questo Avenir. Tra l’altro la distanza è di quelle importanti: 184 chilometri. 

La terza frazione scorre lungo le valli dei Vosgi all’inizio e del Giura alla fine: all’inizio non è difficile, ma il finale è davvero insidioso: ancora due cotes e arrivo su uno strappo. Di nuovo siamo oltre i 170 chilometri. 

Dalla quarta frazione (terza tappa) cambia tutto. E’ alta, anzi altissima montagna. Siamo in Savoia e si va da Peisey Vallandry a La Rosiere, un classico del Tour de France. Tappa breve, appena 70 chilometri, nella quale si scalano Cote de la Chapelle, Les Arcs e appunto l’arrivo in quota a La Rosiere, che di fatto è il Piccolo San Bernardo dal lato francese.

Sempre bella la cornice di pubblico in Francia
Sempre bella la cornice di pubblico in Francia

Iseran e Finestre…

Tremenda e affascinante è la quinta frazione: dalla Rosiere si va a Les Kairellis, altro arrivo in salita e nel mezzo si scala il mitico Col de l’Iseran a quota 2.770 metri, tetto dell’Avenir. Nel 2021 quassù si mise in mostra Carlos Rodriguez che per un soffio non tolse il Tour al norvegese Tobias Johannessen.

Mentre sembra essere un po’ più abbordabile la penultima tappa, quella che porta la carovana in Italia a Condove, in Val di Susa. Abbiamo detto sembra: l’inizio infatti è molto complicato e a metà tappa si va di nuovo oltre quota 2.000 grazie alle rampe del Moncenisio. Il finale però è facile. Arrivo in volata? Forse, ma attenzione non volata di gruppo. Primo perché i team difficilmente porteranno gli sprinter puri e secondo perché resta una frazione impegnativa, specie se si considerano le due tappe precedenti, che avranno accumulato tanta fatica nelle gambe dei ragazzi.

E poi c’è il gran finale: Bobbio Pellice-Colle delle Finestre. Di nuovo un arrivo in quota a 2.296 metri di un colle che i francesi apprezzano moltissimo e che, si dice, con questo Avenir stiano facendo le prove generali per portarci il Tour de France.

E’ qui che si deciderà tutto, perché anche se al via ci dovesse essere un leader consolidato sulle tremende rampe del Finestre tutto potrebbe cambiare. Non scordiamo che gli ultimi 7,8 chilometri sono sterrati e non scordiamo che qui già si sono viste azioni che hanno scombussolato i grandi Giri. Una su tutte, l’attacco di Chris Froome al Giro del 2018. Chris partì quassù e andò a prendersi tappa, maglia rosa e quindi il Giro stesso.

I ragazzi di Amadori alla scoperta del Colle delle Finestre
I ragazzi di Amadori alla scoperta del Colle delle Finestre

Scalatori, a voi

Senza dubbio è un Avenir che strizza, e non poco, l’occhio agli scalatori. Noi abbiamo negli occhi ancora le imprese di Jarno Widar al Valle d’Aosta. Se il fenomeno belga dovesse andare in quel modo, la maglia gialla avrebbe già un serio pretendente. 

Ma non vanno dimenticati Brieuc Rolland, che corre in casa, e che magari vorrà riscattarsi da un’annata difficile. E i due della UAE Emirates, uno è Torres che correrà con la Spagna, ed è ancora nel devo team (UAE Gen Z), e l’altro è Antonio Morgado, che invece fa già parte del team WorldTour e vestirà per l’occasione i colori del Portogallo.

Noi non siamo messi male: Ludovico Crescioli, Simone Gualdi e Alessandro Pinarello faranno di tutto per ben figurare. Negli ultimi anni abbiamo agguantato tre podi: Filippo Zana terzo nel 2021, Giulio Pellizzari e Davide Piganzoli, rispettivamente secondo e terzo l’anno scorso.

Tour Femmes

Non bisogna poi dimenticare che negli stessi giorni, per meglio dire dal 21 al 24 agosto, parallelamente al Tour de l’Avenir ci sarà il Tour de l’Avenir Femmes, che si articola su quattro frazioni: un prologo e tre tappe. Di base le donne, chiaramente sempre under 23 e sempre in team nazionali, partiranno circa 3 ore prima degli uomini.

Un bel modo per dare visibilità ad un evento giovanissimo (è solo la seconda edizione) e contestualmente ridurre i costi.

Le ultime due tappe sono identiche a quelle dei colleghi maschi. Mentre le prime due sono diverse. Si apre con un prologo in salita di 2,1 chilometri proprio a La Rosiere. Il giorno dopo si arriva lo stesso a Les Kairellis, ma si parte da circa metà tappa, a Bessans. Anche per le ragazze è senza dubbio un Avenir duro. Un Avenir fatto esclusivamente per le scalatrici: 315 chilometri e oltre 5.000 metri di dislivello.

Una bella scossa alla Jayco-AlUla che non morde come prima

31.07.2024
8 min
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Quando arrivò alla Jayco-AlUla alla fine dello scorso anno, Valerio Piva disse una frase che da allora adottammo come specchio della giusta mentalità per fare il direttore sportivo. «Mi sono sempre trovato bene con questa mentalità, con il fatto che ti lascino lavorare tranquillamente. A volte però il “good job” non mi piace tanto. Secondo me va detto se davvero hai fatto un buon lavoro o quando si vince, non quando arrivi staccato a minuti. Va bene motivare la gente e aiutarla, ma quando si sbaglia o non si lavora per come si è detto, bisogna ugualmente dirlo: con educazione, ma in modo chiaro».

La squadra australiana ha vinto venti corse e fra queste la tappa di Dijon al Tour con Groenewegen, però scorrendo l’elenco si ha la sensazione che – tolta la sfortuna – ci sia stato finora poco pepe. Quasi che la positività di fronte alle cose della vita abbia portato a una forma di strano appagamento. Magari è un’impressione sbagliata e proprio per questo ne abbiamo parlato nuovamente con il tecnico mantovano, che a breve partirà per la Spagna, sulla rotta della Vuelta. 

Valerio Piva, sulla destra, assieme a Geoffrey Pizzorni dell’ufficio stampa del Team Jayco-AlUla
Valerio Piva, sulla destra, assieme a Geoffrey Pizzorni dell’ufficio stampa del Team Jayco-AlUla
Che tipo di bilancio fai, dal tuo punto di vista? 

Non è un fatto legato al numero di vittorie, però la qualità non è quella che ci aspettavamo. Siamo andati vicini alla Sanremo, con il secondo posto di Matthews, che poi hanno squalificato e ha perso il terzo al Fiandre. In una squadra come la nostra ti aspetteresti vittorie più pesanti. L’anno scorso Simon Yates ha fatto quarto al Tour, quest’anno è stato dodicesimo. Abbiamo vinto una tappa e ci sono squadre più importanti di noi che non ci sono riuscite, però secondo me finora non è una stagione da incorniciare. Abbiamo avuto tanti problemi. Salute, incidenti e altri guai che però non devono suonare come scuse. Ci aspettiamo di vincere qualche bella corsa di qualità e chissà che non venga alla Vuelta o nelle corse di un giorno che stanno per arrivare.

Aver vinto una tappa al Tour salva in parte la situazione?

Sapete meglio di me quanto conti l’esposizione mediatica di una vittoria al Tour. Anche perché tolti Groenewegen e Cavendish, tutte le volate se le sono divise Girmay e Philipsen. Perciò la vittoria di Groenewegen è un bel risultato per tutto quello che ci abbiamo investito in preparazione e quello che si è fatto per portarlo al Tour. Avevamo pensato che Matthews potesse essere competitivo nelle prime tappe, ma non è andata così. Poi chiaramente Simon Yates ha preso il Covid, è rimasto al Tour e ha ricominciato ad andare bene solo alla fine. E infatti ha portato a casa un secondo posto (in apertura, a Superdevoluy, ndr) e un terzo, quindi non è andato tanto male. Però chiaramente con squadre di questo livello secondo me in ogni grande corsa a tappe devi portare a casa una tappa ed essere competitivo nella classifica. Al Giro invece non abbiamo portato a casa niente, né tappe né classifica.

La vittoria di Groenewegen nella tappa di Dijon al Tour è il successo 2024 più importante della Jayco-AlUla
La vittoria di Groenewegen nella tappa di Dijon al Tour è il successo 2024 più importante della Jayco-AlUla
Come mai?

Purtroppo Zana è uscito dai 10, avendo cominciato a fare classifica quando dopo due giorni si è ritirato Dunbar. Da lì abbiamo dovuto ridimensionare tutta la strategia, mettendo Filippo come leader. Questo gli è costata tanta energia. Non lo aveva mai fatto ed è saltato proprio l’ultimo giorno a Bassano. Sono fasi di crescita pensando al futuro. All’inizio dell’anno mi aspettavo che questa squadra, con questo livello di corridori e questo budget, fosse più in alto nelle varie classifiche. Chiaramente i corridori, i nomi che abbiamo cominciano anche ad avere il loro tempo…

Servirebbero forze nuove?

La squadra deve ringiovanirsi, andare in questa direzione ed è compito del manager e dei direttori cercare di individuare i corridori per il futuro. In questo momento non è semplice, con quelle corazzate che hanno dei budget stellari: competere contro di loro a livello finanziario è difficile. 

Zana ha fatto classifica al Giro dopo il ritiro di Dunbar: è uscito dai primi 10 nella tappa di Bassano
Zana ha fatto classifica al Giro dopo il ritiro di Dunbar: è uscito dai primi 10 nella tappa di Bassano
Può essere che alcuni dei nomi più importanti abbiano perso un po’ di cattiveria?

La mentalità anglosassone a volte non aiuta, mentre io sono di quelli che devono tenermi tranquillo. A volte me lo dico da solo: «Valerio, tranquillo: è solo una corsa in bicicletta». Chiaramente guardando le gare a volte non capisco questa capacità di farsi andare bene tutto. Io la vedo diversamente. Forse perché ero così anche da corridore, ma a me sono sempre piaciuti quelli che vanno in gara con cattiveria, aggressivi, motivati. Che hanno un piano già in testa, mentre qui a volte devi spingerli e sembra che vadano in corsa perché sono corridori e devono farlo. Essere in corsa a volte è diverso che avere il numero sulla schiena, insomma devi avere degli obiettivi già dentro di te. Anche se ti danno un ruolo, devi avere un angolino in cui vuoi dimostrare quanto vali.

Si può cambiare qualcosa?

Quest’anno ho fatto poche gare come primo direttore, ero in appoggio anche per la mia esperienza per spingere i tecnici più giovani. Alla Vuelta però sarò il primo direttore e voglio un po’ smuovere questo andazzo, che fa sembrare la squadra un po’ apatica. Con quel dire: «E’ andata male oggi, andrà meglio la prossima volta!». Tutte le volte si cerca sempre di trovare una spiegazione, invece bisognerebbe dire le cose con maggiore schiettezza. E‘ una squadra eccezionale da un punto di vista organizzativo, non manca niente. E forse quello a volte diventa il pretesto per adagiarsi.

Matthews e Durbridge, classe 1990 e 1991, hanno perso il fuoco di un tempo?
Matthews e Durbridge, classe 1990 e 1991, hanno perso il fuoco di un tempo?
In che modo alla Vuelta puoi smuovere le acque?

I corridori ci sono, bisogna che siano entusiasti e aggressivi come gli spagnoli e gli italiani, non posati come gli anglosassoni. Quando ero alla BMC o alla High Road e dovevamo a volte competere contro questa squadra, che allora aveva un altro nome, erano aggressivi e saltavano fuori da tutte le parti. Forse perché erano giovani, ma di fatto tanti sono ancora qua. Durbridge, Hepburn, Matthews, Simon Yates… Sono tutti corridori cui forse con l’andare del tempo è venuta meno la voglia di dimostrare chi siano.  E allora forse sarebbe utile un ricambio generazionale, cercando di inserire ragazzi che quella voglia ce l’abbiano e vogliano arrivare al top. 

Ci sarebbero anche: De Pretto, Plapp, Schmid…

Davide è partito molto bene e come ci aspettavamo ha fatto un bell’inizio stagione fino alle Ardenne. Poi ha preso un periodo di recupero, è andato a preparare in altura dove si è ammalato. Al rientro è riuscito a vincere in Austria, quindi è una bella soddisfazione. E’ un corridore che secondo me vedremo ancora in futuro. Adesso andrà alla Arctic Race e chiaramente non fa la Vuelta. Ma l’anno prossimo cercheremo di inserirlo in un Grande Giro. Plapp invece è caduto nella crono delle Olimpiadi. Ha investito tanto tempo per prepararsi. Non avrebbe vinto l’oro, però avrebbe continuato facendo il Polonia, invece adesso è stato operato. Dunbar è caduto al secondo giorno di Giro. Durbridge è stato investito in allenamento… Diciamo che anche la sfortuna fa bene il suo!

Davide De Pretto ha 22 anni. Al pari di Luke Plapp è uno dei giovani più promettenti della Jayco-AlUla
Davide De Pretto ha 22 anni. Al pari di Luke Plapp è uno dei giovani più promettenti della Jayco-AlUla
Cambiando per un attimo discorso, ti aspettavi la vittoria di Cavendish al Tour, tu che l’hai avuto da neoprofessionista?

Tanto di cappello, se lo merita per la sua carriera. Poteva andarci vicino l’anno scorso, invece andò a casa con la caduta. L’avevo visto al Giro di Svizzera, era magro e andava forte già lì. In salita non l’avevo mai visto andare così forte, non era mai il primo a staccarsi. Per cui gliel’ho detto: «Guarda che al Tour sicuramente quest’anno ci sarai e lascerai il segno». Ero convinto che potesse vincerne una e mi ha fatto piacere. Un altro che mi ha stupito è stato Girmay, ho avuto anche lui. Ha fatto una cosa straordinaria, fuori dal normale. L’anno scorso ha avuto una stagione davvero sfortunata. So che vale, ma quello che ha fatto è stato enorme.

E sempre a proposito di uomini esperti, che cosa diresti a De Marchi se ti chiedesse un consiglio su continuare o fermarsi?

Dipende da lui, in questo momento è un corridore importante nella squadra, che ha vinto e potrebbe rifarlo ancora. Quello che fa all’interno del gruppo e in corsa è importante, ci vogliono questi corridori. Dipende da lui se riesce a fare i sacrifici, stare via di casa per i training camp. Quello dipende da lui, però intanto sono contento di averlo con me alla Vuelta. Poi potrà diventare un buon direttore, gli ho detto che non vado avanti ancora tanti anni, quindi poi potrei passargli il testimone. Credo che un altro anno lo farebbe volentieri, ma lui non ha certo problemi di motivazioni che mancano. Mi viene in mente un aneddoto…

Il ruolo di De Marchi in squadra è prezioso: per Piva sarebbe anche un ottimo tecnico
Il ruolo di De Marchi in squadra è prezioso: per Piva sarebbe anche un ottimo tecnico
Dicci pure.

Ai tempi dell’Ariostea, quando alla fine delle riunioni prendevo la parola io, Ferretti diceva sempre che a noi vecchi si allungava la lingua e si accorciavano le gambe. Forse è così. Quando un corridore comincia a trovarsi in un gruppo da tanto tempo pensa di sapere tutto e di gestire le situazioni con l’esperienza. Certo l’esperienza è importante, ma contro le generazioni nuove e questi ragazzi che scattano, sulle salite ci vogliono le gambe. Ma voglio essere ottimista, la stagione è ancora lunga. Penso che possiamo fare molto di più e lo faremo.

Sogno tripletta: il fantaciclismo, Tadej e la scienza

30.07.2024
5 min
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Alla fine a tenere banco è sempre lui: Tadej Pogacar. Vince, rivince, stravince. Attacca, in qualche caso anche senza troppo senso, rinuncia ai Giochi Olimpici e con ogni probabilità anche alla Vuelta.

E da quest’ultimo appunto riprendiamo quel filo del “fantadiscorso” che iniziammo qualche tempo fa con Pino Toni. Appena archiviata la maglia rosa, facemmo delle supposizione tecniche con il preparatore toscano. E ora che anche la Grande Boucle è nel sacco quelle supposizioni assumono ancora più valore.

Tadej Pogacar ha vinto il Giro d’Italia e il Tour de France: unico a riuscirci dal 1998 (foto Fizza)
Tadej Pogacar ha vinto il Giro d’Italia e il Tour de France: unico a riuscirci dal 1998 (foto Fizza)

Vuelta sfida possibile

Premettiamo, e che sia ben chiaro, che non siamo qui a dire che Pogacar dovrebbe fare la Vuelta. E’ un discorso di nuovo quasi da fantaciclismo, che chiaramente si fonda su conoscenze approfondite e tecniche.

Lo sloveno potrebbe riuscirci? Secondo Toni sì. E avrebbe anche l’opportunità di non rinunciare o arrivare col fiato corto al mondiale, il grande obiettivo dichiarato dallo sloveno.

«Tadej – dice Toni – ce la potrebbe fare. Anche perché chi lo potrebbe davvero contrastare alla Vuelta? Sta vivendo un momento unico e potrebbe partire senza neanche troppo stress. Se dovesse far fatica potrebbe fermarsi dopo 10 giorni e tornarsene a casa. Avrebbe comunque svolto un buon lavoro e poi pensare al mondiale. O se invece andasse fino in fondo avrebbe comunque tre settimane dalla fine della corsa spagnola alla prova iridata. Ma certo per queste sfide servono stimoli, soprattutto stimoli esterni».

Un ambiente positivo e unito: la UAE Emirates sembra esserlo
Un ambiente positivo e unito: la UAE Emirates sembra esserlo

Ambiente stimolante

E con quegli stimoli esterni, Pino Toni apre un capitolo tanto vasto quanto interessante. Il coach toscano ha una lunga esperienza. Ne ha visti di campioni e di staff importanti e spiega come per gli obiettivi più grandi servano anche stimoli esterni. Gli stimoli di un ambiente positivo e propositivo.

Pensiamo a Filippo Ganna e al suo Record dell’Ora. Chiaro che alla base ci deve essere un campione, ma serve anche tutto un contorno. L’idea di poter abbattere quel record. Lo studio della bici, i test, la preparazione specifica e la programmazione all’interno del calendario stagionale, il body, la scelta della pista e della temperatura, l’alimentazione e addirittura, nel caso di Pippo, un compagno che faccia “da cavia”, perdonateci il termine un po’ forte, quale Dan Bigham che in qualche modo ha fatto le prove generali.

«Per certe sfide sportive servono grandi ambizioni. Ambizioni che l’atleta da solo non può avere – spiega Toni – gli serve intorno un team, uno staff, degli uomini che vadano oltre. Che cerchino di far diventare realtà un sogno, di rendere possibile l’impossibile. Riis per primo pensò alla tripletta con Contador e iniziò a costruirgli una squadra forte, fatta di campioni come gregari (e tra questi anche Majka che oggi guarda caso è compagno di Pogacar, ndr). E in UAE Emirates Pogacar ce l’ha uno staff così». 

La ricerca e lo sviluppo in tutti i settori sono importanti per i grandi successi, più che fondamentali per i sogni quasi impossibili
La ricerca e lo sviluppo in tutti i settori sono importanti per i grandi successi, più che fondamentali per i sogni quasi impossibili

Tra sogno e ricerca

Dell’importanza degli staff, Toni ci aveva detto qualche giorno fa quando si parlava di Vingegaard.

Ed avrebbe anche l’uomo per queste visioni, Matxin. E’ risaputo che molte tattiche nascano da lui. Del suo modo di correre sempre all’attacco. E dalla sua ambizione, benzina vitale nello sport agonistico.

Il toscano riprende: «Per una sfida così il meccanico anche dovrebbe cercare sempre qualcosa di più. Andare oltre il suo seminato. Provare, sperimentare. Idem il preparatore, il nutrizionista e il massaggiatore. Ognuno nel suo campo deve sperimentare, fare ricerca… ma questo si può fare se al vertice c’è questa volontà. E’ come la Formula 1. Ci deve essere sempre uno stimolo ulteriore al miglioramento. Un ambiente che sprona».

Matxin (al centro) potrebbe essere una figura chiave nel sogno tripletta
Matxin potrebbe essere una figura chiave nel sogno tripletta

Occasione ghiotta

Insomma l’atleta c’è, lo staff anche e persino Giro d’Italia e Tour de France sono nel sacco. «Semmai ci dovesse essere un’occasione – va avanti Toni – è questa. Piuttosto bisogna vedere gli equilibri interni. Bisogna vedere come la prenderebbero i compagni, e Ayuso in particolare, una sua eventuale partecipazione alla corsa spagnola».

Magari non a tutti farebbe piacere avere un corridore che si prende tutta la fetta della torta. Però è anche vero che sarebbero parte attiva di un qualcosa di storico. Tra l’altro sembra che lo stesso Pogacar abbia confidato questo suo dubbio a dei colleghi.

Pogacar e la squadra lo hanno detto e ridetto: niente Vuelta. E anche pochi giorni fa, in un’intervento in diretta su una pagina social, Andrea Agostini, della dirigenza UAE Emirates, lo ha ribadito. «Niente Vuelta. Sarebbe troppo faticoso e poi il rischio magari è quello di perdere Tadej per un anno. Lo vogliamo tutelare»: questi in sintesi i concetti di Agostini. Come dargli torto?

Anche perché noi facciamo un’analisi tecnico sportiva e forse anche da tifosi di ciclismo, che vorrebbero assistere a qualcosa di storico. Ma poi c’è anche il lato economico. Pogacar che per un anno non c’è o non rende come al solito che impatti potrebbe avere?

«Ci sta – ci aveva già detto Toni forte della sua esperienza – che Pogacar poi possa essere stanco e che possa avere meno stimoli nell’anno successivo. Ma a quel punto imposterei per lui un calendario tutto diverso. Un calendario senza grandi Giri, puntando forte sulle classiche, così che possa recuperare e al tempo stesso avere nuovi obiettivi».

Insomma, le basi per una tripletta ci sarebbero anche. Ma questo era fantaciclismo e la realtà è altra cosa.

Galli, un altro oro europeo U23 per entrare nel quartetto dei grandi

30.07.2024
5 min
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Giusto il tempo di godersi un bis continentale e poi subito sotto col lavoro per preparare il prossimo obiettivo internazionale. Niccolò Galli è uno dei vagoni del trenino azzurro che ad inizio luglio ha conquistato l’oro nell’inseguimento a squadre agli europei in pista U23 di Cottbus e la prossima fermata sarà nel velodromo di Ballerup in Danimarca.

Dopo l’argento dell’anno scorso, il ragazzone della Arvedi Cycling ed il quartetto si sono ripresi il titolo europeo di categoria battendo nuovamente in finale il Belgio – come due estati fa ad Anadia – andandolo a riprendere tra il secondo ed il terzo chilometro. Questa medaglia per Galli è la conferma di un percorso e di scelte mirate per puntare più in alto. Ormai è pronto per il ricambio generazionale o per essere una valida alternativa per il cittì Marco Villa. Tra un allenamento e l’altro, abbiamo sentito il ventiduenne di Pieve di Cento per capire come sta procedendo questa fase della sua carriera.

Giaimi, Favero, Quaranta, Galli e Moro hanno conquistato l’oro nell’inseguimento a squadre battendo il Belgio come nel 2022
Giaimi, Favero, Quaranta, Galli e Moro hanno conquistato l’oro nell’inseguimento a squadre battendo il Belgio come nel 2022
Niccolò dove ti troviamo in questo periodo?

Sono a Livigno con Boscaro e Quaranta. Siamo arrivati il 22 luglio e staremo su fino al 6 agosto. Ci stiamo allenando tra sedute in palestra all’Aquagranda e uscite in bici. Nei primi giorni abbiamo fatto un po’ di scarico dopo la Seigiorni di Pordenone (dal 15 al 20 luglio, ndr), mentre stiamo iniziando a fare un po’ di ore di volume su strada. Adesso tutto il team performance della nazionale è concentrato sulle Olimpiadi e fra poco andrà a Parigi, ma siamo sempre in stretto contatto con loro per seguire i programmi di lavoro. Devo dire che in questi giorni mi sento bene.

Palestra e bici. Galli in questi giorni è a Livigno per preparare i mondiali in pista di ottobre a Copenaghen
Palestra e bici. Galli in questi giorni è a Livigno per preparare i mondiali in pista di ottobre a Copenaghen
Una buona condizione mostrata all’europeo. Che differenze hai notato rispetto all’oro del 2022?

Due anni fa è stata una vittoria speciale perché forse non pensavamo di poter arrivare al titolo. Stavolta invece eravamo più consapevoli della nostra forza. Di quel quartetto c’eravamo Manlio Moro ed io e ci sentivamo responsabilizzati per trascinare gli altri ragazzi. Abbiamo vinto con Giaimi e Favero, che sono dei primi anni che vanno forte. Entrambi si sono inseriti alla grande e in fretta. Anche lo stesso Samuel (Quaranta, ndr) ha dimostrato di essere in forma e di poter fare bene nel quartetto. Questo oro è decisamente un buonissimo risultato per noi e per tutto il movimento, ma non dobbiamo e non possiamo fermarci qua.

In Germania eri impegnato anche in altre specialità. Come sono andate?

Ho disputato l’omnium, dove ho chiuso al decimo posto dopo aver chiuso secondo nello scratch. C’è del rammarico invece per la madison. Ero in coppia con Sierra, ma purtroppo è caduto a metà corsa e non è potuto rientrare in pista. Peccato perché fino a quel momento eravamo secondi e stavamo andando molto bene.

In questa stagione Galli su strada ha deciso di concentrarsi sulle cronometro. Qualche buon piazzamento è arrivato (foto Sara’s photo)
In questa stagione Galli su strada ha deciso di concentrarsi sulle cronometro. Qualche buon piazzamento è arrivato (foto Sara’s photo)
L’esperienza al Giro NextGen invece non è andata come ti aspettavi?

Purtroppo no. Il NextGen faceva parte del mio programma di avvicinamento all’europeo, ma sfortunatamente alla terza tappa sono stato male e ho dovuto abbandonare la corsa. Tuttavia la settimana successiva mi sono ripreso abbastanza bene e questo ritiro non ha inciso sulla condizione e sulla preparazione per Cottbus.

Come sta andando l’alternanza pista e strada?

Per ora va bene, anche se sto prediligendo la pista dove sto ottenendo i risultati migliori. Oltre al solito calendario U23, su strada quest’anno mi sono concentrato sulle cronometro. Qualche buon piazzamento l’ho portato a casa, però sto continuando a lavorarci.

Anche nel 2025 Niccolò Galli resterà nella Arvedi Cycling, che gli permette di conciliare bene la doppia attività pista-strada
Anche nel 2025 Niccolò Galli resterà nella Arvedi Cycling, che gli permette di conciliare bene la doppia attività pista-strada
Sei all’ultimo anno da U23. Sai già cosa farai la prossima stagione?

Certo, nel 2025 sarò ancora con la Arvedi. Per me è la formazione ideale perché mi dà la possibilità di fare la doppia attività senza alcun problema, visto che c’è una buona collaborazione con la nazionale. L’idea al momento è quella di fare come Lamon, che per me è un ottimo esempio da seguire.

Niccolò Galli ha già fissato i prossimi obiettivi?

Direi proprio di sì. Ce n’è più di uno, sia a breve che a lungo termine. Ci sono i mondiali di Copenaghen ad ottobre (dal 16 al 20, ndr) per i quali sto già lavorando adesso con i compagni. Poi è chiaro che mi piacerebbe partecipare alle Olimpiadi di Los Angeles 2028. Prima di allora c’è tanta strada da fare e dimostrare di poter restare nel gruppo per guadagnarmi il posto. Ecco, alla base di tutto il primo vero obiettivo è quello di poter diventare uno dei vagoni del quartetto dei grandi, senza tralasciare la madison o la stessa corsa a punti, che è una specialità che mi piace molto. Insomma, sto lavorando per tutto questo.

Galli (il primo in foto) tra i tanti obiettivi ha quello di entrare nel quartetto dei “grandi”
Galli (il primo in foto) tra i tanti obiettivi ha quello di entrare nel quartetto dei “grandi”
Tu che conosci bene il gruppo azzurro, ti senti di fare un pronostico per il quartetto a Parigi?

Tutti i ragazzi che sono in Francia sono amici ed io come gli altri saremo i primissimi loro tifosi attaccati alla televisione per sospingerli da casa. Non sono scaramantico, ma non mi sento di fare previsioni perché ormai si gioca tutto sul filo dei millesimi di secondo e differenze veramente minime. So che la preparazione del nostro quartetto è stata molto buona e la vera forza è proprio l’unione del gruppo. I rivali più diretti saranno Gran Bretagna e Danimarca, senza sottovalutare Nuova Zelanda e Australia. Naturalmente spero che possano riconfermarsi campioni olimpici. Di sicuro so che i ragazzi scenderanno dalla bici senza rimpianti avendo dato il massimo.

Il nostro gioiello classe 2005: Simone Gualdi verso l’Avenir

30.07.2024
4 min
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Quando parli faccia a faccia con Simone Gualdi fai davvero fatica a pensare che sia un ragazzo del 2005. Ha una chiarezza di idee, un tono e uno sguardo da veterano. Il giovanissimo corridore della Wanty- ReUz, il devo team della Intermarché-Wanty, è uscito da un ottimo Giro della Valle d’Aosta e il commissario tecnico, Marino Amadori, che ci ha parlato di lui, lo ha giustamente inserito nella lista pronta a partire per la Francia, alla volta del Tour de l’Avenir.

La stagione di Simone Gualdi, la prima tra gli under 23, è stata piuttosto piena, nonostante la scuola. Sin qui ha inanellato 35 giorni di gara, tra cui quattro corse a  tappe. Una stagione che non lo ha visto vincere, ma in cui ha mostrato una grande costanza di rendimento e di apprendimento. Il nono posto finale al Giro della Valle d’Aosta, il cui livello era notevole, ne è la prova.

Controllo e capacità di muoversi in gruppo: un corridore si vede anche da queste situazioni
Controllo e capacità di muoversi in gruppo: un corridore si vede anche da queste situazioni

Simone tra i grandi 

«Una buona stagione direi – spiega Gualdi – Sono contento per il Giro della Valle d’Aosta perché era uno degli obiettivi di quest’anno. Sapevo che da questo periodo in poi sarei potuto andare sempre meglio perché ho finito la scuola e mi posso finalmente allenare bene. Ho fatto un periodo di altura dopo il Giro Next Gen. Sono andato a Livigno direttamente dopo la maturità. Da lì sono sceso e sono andato al Valle d’Aosta. E infatti i risultati si sono visti».

Prima del via della frazione finale di Cervinia, Gualdi era tranquillo. Non solo sperava di mantenere la sua posizione, ma anche di fare meglio. Poi visto anche il via caotico ha perso un po’ di terreno, ma ha difeso bene la top 10, giungendo terzo tra i ragazzi del primo anno nella generale.

Ad un certo punto era persino secondo nella classifica dei giovani, tanto da indossare la maglia bianca appartenente a quel fenomeno che risponde al nome di Jarno Widar. Insomma Torres, Widar, Gualdi: classe 2005 sugli scudi.  

«Se penso che il leader della classifica dei giovani è Widar – continua Gualdi – per me è stato un po’ come averla personalmente quella maglia bianca. Jarno, si è visto, è uno step superiore a tutti. Anche al Giro Next ha fatto davvero grandi numeri. Rivederlo in azione è stato incredibile».

Gualdi in salita con i migliori, tante volte ha preferito non rispondere agli scatti
Gualdi in salita con i migliori, tante volte ha preferito non rispondere agli scatti

Più consapevolezza

Non che mancasse a Gualdi, ma questo Valle d’Aosta certamente gli dà qualcosa in più.

«Sicuramente mi dà molta consapevolezza che posso fare bene anche in classifica generale. Sono migliorato parecchio anche sulle salite lunghe, cosa che mi mancava e cui ho supplito lavorando in quota. In questo Valle d’Aosta ho capito che posso dire la mia. Abbiamo incontrato davvero salite lunghe e dure e vedremo poi nel tempo come si evolverà questa caratteristica».

Ciò nonostante Gualdi non si sente uno scalatore puro: si sente più completo. «Soprattutto quando tirava Widar il ritmo in salita era davvero troppo elevato, anche per questo preferisco salire al mio passo e in questo caso limitare i danni piuttosto che cercare di tenere e poi esplodere. Comunque sono anche abbastanza veloce e me la cavo anche sul passo.

«Tra l’altro ogni tanto lavoro anche sulla bici da crono, anche se devo iniziare a lavorarci di più. Quello è e sarà uno step superiore che mi potrà dare un vantaggio nelle corse a tappe. Si è visto al Giro Next dove c’era la cronometro iniziale quanto sia importante questa disciplina».

Per Gualdi anche qualche apparizione tra i pro’, come Faun Ardeche e Laigueglia
Per Gualdi anche qualche apparizione tra i pro’, come Faun Ardeche e Laigueglia

Verso l’Avenir

Simone si è aggiunto al ritiro azzurro del Sestriere questa settimana. Un po’ di recupero e quindi l’arrivo in quota. Non scordiamo che è la prima volta che Gualdi fa la doppia altura in stagione. Lui dovrebbe essere certo di una maglia per l’Avenir.

«Sono contento di questa opportunità che mi dà Amadori – ha detto Gualdi – ho comunque dimostrato che sto bene. Al Valle d’Aosta si è corso in un certo modo, si partiva sempre a tutta. In una tappa siamo andati “a fiamma” per la prima ora e mezza finché non è partita la fuga, come nelle gare dei grandi.

«Sono certo che l’Avenir sarà una grandissima esperienza. Mi farò trovare  pronto e sarò sicuramente disponibile ad aiutare».