Oro all’Australia, ma l’Italia s’è desta. La scossa di Ganna

07.08.2024
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SAINT QUENTIN EN YVELINES (Francia) – Non è un bronzo che vale oro, ma è un bronzo che vale tanto. Il quartetto azzurro dell’inseguimento ha saputo assorbire la delusione della mancata finale e superare la Danimarca, che era arrivata all’appuntamento per il terzo posto forte di un tempo migliore ottenuto il giorno prima. E quindi va reso merito alla capacità di reazione dimostrata da Filippo Ganna, Simone Consonni, Jonathan Milan e Francesco Lamon, che è il primo a parlare a fine gara.

«La sera della semifinale – dice – ha prevalso l’amarezza per non essere nella finale per l’oro. Anche in maniera egoistica, mi prendo la responsabilità di questo termine. Ero delusissimo. Però abbiamo trovato la grinta necessaria per risalire su quel podio. C’è gente che lavora una vita per un podio olimpico. Volevamo questa medaglia, sono soddisfatto. La delusione ora passa in secondo piano».

Lamon era il più deluso ieri: voleva vincere. Il bronzo lo ripaga e finalmente torna il sorriso
Lamon era il più deluso ieri: voleva vincere. Il bronzo lo ripaga e finalmente torna il sorriso

Come a Tokyo, battuta ancora una volta la Danimarca in rimonta: «Una volta tocca a noi – sorride il veneziano – una volta a loro. Anche loro ci avevano battuti in passato. E’ una ruota che gira. L’importante è aver confermato che l’Italia c’è».

Una medaglia olimpica

Cosa è successo da un giorno all’altro? «Abbiamo assimilato il concetto che una medaglia, anche se di bronzo, è pur sempre una medaglia olimpica. Sarebbe stato da immaturi non dare il 100 per cento per portarla a casa. Ci siamo rimboccati le maniche, abbiamo analizzato i pochi errori di ieri e ce l’abbiamo fatta. Ce la meritavamo, ce la siamo meritata. Li avevamo già battuti, potevamo rifarlo».

Ancora una volta vittoria in rimonta, ma non c’è tattica secondo Lamon: «In uno scontro diretto c’è poca tattica. Conta solo battere l’avversario. Sappiamo che loro partono più forte, abbiamo cercato il giusto compromesso per avere un margine di rimonta nel finale e siamo riusciti a farlo nel migliore dei modi. Sono soddisfatto della mia partenza e di come hanno recuperato i miei compagni nel finale».

Ganna bis

Soddisfatto anche Filippo Ganna, uno dei pochi atleti italiani che tornerà da Parigi con due medaglie. Gli altri finora sono Thomas Ceccon (nuoto), Filippo Macchi (scherma), Alice D’Amato e Manila Esposito (ginnastica). Lui la prende alla lontana.

«Il nostro viaggio è iniziato a Rio. Una chiamata last minute – racconta – fuori dalle prime 4 per pochissimo». E’ un viaggio che si conclude, per questo quartetto? «Il bello dei miei 28 anni e forse dei 22 di Johnny è che siamo ancora giovani», risponde Filippo, che si considerava invece già un po’ “vecchio” dopo la cronometro su strada. Miracoli di una medaglia olimpica.

«Per il futuro vedremo. Ora l’importante è che abbiamo ancora una volta cercato di ottenere il massimo risultato, di lottare contro tutto e tutti. S’è visto chi ci è rimasto vicino, chi ci ha sempre supportato. Da Rio, se non prima. Ma io riparto anche dai mondiali di Londra, quando ci avevano cambiato un manubrio perché era fuori regola e abbiamo finito con cuore e testa. Anno dopo anno siamo cresciuti con coppe del mondo, europei, mondiali, fino all’Olimpiade di Tokyo. E non in tanti possono dire di avere quella medaglia a casa.

Consonni, Milan, Moro, Ganna e Lamon: un gruppo di fratelli premiati dal bronzo
Consonni, Milan, Moro, Ganna e Lamon: un gruppo di fratelli premiati dal bronzo

«Abbiamo avuto alti e bassi – prosegue – siamo arrivati qui da favoriti. Ma non si può sempre fare copia e incolla. Non è facile ripetersi, non è facile confermarsi. Ma è facile confermare che ognuno di noi darà sempre una mano agli altri. Chi è in difficoltà sa che troverà sempre un compagno pronto ad aiutarli. Ieri è stata dura. Complimenti a Gran Bretagna e Australia, non l’avevamo mai vista così forte. Ma il nostro bronzo vale tanto. E’ bello pensare che a Rio Viviani ha ottenuto l’oro, a Tokyo un bronzo. Noi abbiamo replicato lo stesso percorso, spostato di 4 anni».

La scelta della crono

Due medaglie in due discipline diverse per Filippo. Era meglio concentrarsi su una sola? «Ho deciso io, ascolto le critiche, non per forza devo condividerle. L’obiettivo era portare a casa due medaglie. Ce l’ho fatta. Sulla bici c’ero io. I ritiri, la fatica, i giorni fuori di casa, i sacrifici, li ho fatti io e sentiti io. Ringrazio chi mi ha supportato e speriamo di dare soddisfazioni al pubblico, che ci vuole veramente bene. Abbiamo continuato a lavorare, non ci siamo arresi quando le cose andavano male. Lì serve sempre mantenere la testa sulle spalle e affrontare le difficoltà».

Gli azzurri sono partiti subito forti e senza tabelle, demolendo la Danimarca. In testa Milan e poi Ganna
Gli azzurri sono partiti subito forti e senza tabelle, demolendo la Danimarca

La gestione della gara? «Volevamo partire forte per tenerli lì e fare quello che abbiamo fatto. San Johnny è stato decisivo. Aveva quella marcia in più che serviva. Magari a Tokyo ero io, oggi è stato lui. Ci siamo amministrati al meglio e abbiamo portato a casa una medaglia che ripaga dei tanti sacrifici fatti in questi anni».

Ganna risulta iscritto anche alla Madison, «ma spero che Consonni e Viviani stiano bene». Infine, la dedica: «A chi c’è sempre, anche quando le cose vanno male. Grazie a loro la testa rimane sulle spalle e porti a casa grandi risultati».

Parla San Johnny

Un’altra dedica l’aveva fatta a “San Johnny”, cioè Jonathan Milan. Sua la migliore prestazione individuale. «Ma santo è troppo – risponde lui – questo è un risultato di gruppo. Abbiamo dato tutti il 100 per cento in questi giorni. Il risultato va diviso in quattro e quindi ci sono almeno quattro santi. Ci siamo aiutati, abbiamo portato a casa un risultato che vale molto, con questi avversari così agguerriti.

Villa riceve l’abbraccio del gigante Milan: la medaglia è arrivata
Villa riceve l’abbraccio del gigante Milan: la medaglia è arrivata

«Il risultato dell’Australia parla da solo. Abbiamo fatto del nostro meglio, ci siamo detti che la Danimarca era battibile. In questi giorni era calata nel finale, pensavo aggiustassero il tiro. Ma in effetti sono stati avanti credo fino ai 2.500. Noi siamo stati molto regolari, questa è stata la nostra forza. Abbiamo avuto la forza di resistere fino alla fine».

Il futuro è già iniziato

Il futuro è suo. E di chi altro? «Penso che arriveranno tanti giovani. Cercheremo di dare il massimo per essere competitivi in più discipline possibili. Ci sono giovani promettenti, dobbiamo dargli spazio e tranquillità per crescere. E soprattutto fiducia. Ora godiamoci questo terzo posto e poi vedremo. Los Angeles? Vedremo, magari sperando in un percorso su strada più facile, poi ci penseremo».

Sul podio, prima l’Australia, seconda la Gran Bretagna e terza l’Italia

E il futuro immediato? «Vorrei arrivare bene agli europei su strada. Prima farò il Giro di Germania, Amburgo e poi gli europei. Ho un po’ di tempo per prepararli».

La sua dedica è per la famiglia: «Qui avevo i miei genitori, la mia ragazza, mio fratello non è riuscito ad esserci per questioni di allenamenti e gare, ma so benissimo che mi seguiva da casa. Sono stato contentissimo del fatto che ci fossero anche loro». E noi contenti non per l’oro, ma per un bronzo che vale tanto.

Freccia dei Vini: il ritorno e i cambiamenti. Parola a Bombini

07.08.2024
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Il 24 agosto torna in scena la Freccia dei Vini la famosa corsa dedicata a elite e under 23 che si svolge nell’Oltrepò Pavese (in apertura foto Comitato Eventi Sportivi OltrePo). Anzi, la gara è tornata nel calendario italiano nel 2022, dopo tre anni di assenza. Ad occuparsi di questa rinascita, tra i tanti nomi, è stato Emanuele Bombini. L’ex corridore professionista ha messo gran parte delle sue capacità e conoscenze per far rivivere una delle corse più belle dell’estate ciclistica. 

L’edizione del 2024 sarà la numero 52 e nell’albo d’oro della Freccia dei Vini si sono susseguiti nomi che hanno caratterizzato il ciclismo odierno e passato. Tra loro ci sono Giovanni Battaglin, Giuseppe Martinelli (nella foto di apertura la premiazione), Vittorio Algeri e lo stesso Emanuele Bombini, che vinse l’edizione del 1979. 

La vittoria di Giuseppe Martinelli alla Freccia dei Vini del 1974. Due anni dopo vincerà l’argento alle Olimpiadi di Montreal
La vittoria di Martinelli alla Freccia dei Vini 1974. Due anni dopo vincerà l’argento a Montreal

Cambiamenti

Mancano pochi giorni al via della corsa, che da quest’anno ha subito qualche piccola variazione al programma e al percorso. I tempi cambiano, gli anni passano e serve aggiustare il tiro, anche se il 2024 si prospetta un anno ricco

«Siamo alle ultime tappe burocratiche – spiega Bombini – quelle finali, direi che possiamo considerarci ben avviati verso il traguardo. Le squadre hanno risposto presente in gran numero, sia le formazioni italiane che quelle straniere. Questo è un buon segno per quanto riguarda la crescita e il prestigio della manifestazione».

La maglia celebrativa della 52ª edizione della Freccia dei Vini (foto Comitato Eventi Sportivi OltrePo)
La maglia celebrativa della 52ª edizione della Freccia dei Vini (foto Comitato Eventi Sportivi OltrePo)
La domanda è presto fatta, come sei entrato nel team organizzativo?

Un po’ per caso, devo ammettere. La vecchia organizzazione aveva bisogno di una mano per mettere insieme il puzzle e portare avanti la corsa. Non sono più giovanissimi (dice con un sorriso, ndr) e non è facile trovare giovani appassionati pronti a subentrare. Quando mi hanno contattato era il 2019, ma il Covid ha fermato tutto, anche la Freccia dei Vini. 

Così sei stato coinvolto nel progetto. 

Esattamente. L’occasione è nata nel 2021, quando ho collaborato per la preparazione delle tappa di Stradella al Giro d’Italia. Da una cosa nasce l’altra e mi sono ritrovato coinvolto in queste dinamiche. E devo ammetterlo, l’ho fatto con un piacere immenso. 

Quando vi siete rimessi in carreggiata?

Appena abbiamo potuto. Nel 2022 siamo riusciti a rimettere in piedi la corsa. Trovare risorse non è semplice, in più servono tanti volontari per controllare il percorso e permettere il corretto svolgimento della gara. La sicurezza è il primo elemento che viene valutato. Per questo nell’edizione del 2024 ci sono stati dei cambiamenti.

Quali?

Il percorso è stato rimaneggiato, abbiamo anche cambiato la sede di partenza. Si inizierà a Voghera, un po’ più vicini all’arrivo. Chiudere le strade e ottenere i permessi non è mai banale, per ogni sindaco collaborativo ce n’è un altro che storce il naso. Le strade su cui correvano i ragazzi, prima del cambio di percorso, erano tutte statali e provinciali, non tutti i comuni erano contenti del nostro passaggio. Così, grazie al nuovo percorso, abbiamo meno problemi. Si corre su strade secondarie. 

La posizione nel calendario in realtà sarebbe favorevole. 

Si corre sabato 24 agosto. La maggior parte delle persone è in ferie, e se un automobilista deve aspettare può farlo per cinque o dieci minuti. Tanto qualcuno che si lamenta lo si trova sempre. Al massimo diamo fastidio a qualche contadino che inizia la vendemmia (dice con un sorriso, ndr). Le manifestazioni e le gare di ciclismo servono, fanno bene al territorio.

Spiegaci.

Promuovi i tuoi spazi e la tua terra, porti gente e fai vivere in maniera diversa le strade. Non è da escludere che anche qualche turista possa venire a curiosare. La parte “primaria” è ormai legata al territorio, la corsa è un mezzo per farlo scoprire e vivere. Il ciclismo è sempre stata una disciplina maestra in quest’arte. 

Avete anche pensato a eventi esterni?

Di recente ho avuto un approccio con il mondo del gravel, visto che ho dato una mano nell’organizzazione del campionato italiano gravel. Sarebbe bello portare eventi del genere vicini alle corse di ciclismo. Un modo per far vivere tutto il mondo dei pedali in una manifestazione sola, aprendo le porte ai diversi appassionati.

Galibier, Covid, Vuelta e mercato: l’estate non facile di Ayuso

07.08.2024
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La calda estate di Juan Ayuso va avanti. Il giovane talento del UAE Team Emirates  ha messo nel sacco anche la partecipazione olimpica, passata un po’ in sordina, come per tanti altri nomi importanti, al di fuori di Remco Evenepoel, e ora si appresta ad affrontare il suo finale di stagione.

Un finale che però è ancora da definire e che in qualche modo è figlio del Tour de France finito anzitempo per il Covid. La situazione al momento per il ragazzo di catalano è abbastanza complessa.

Lo spagnolo (classe 2002) ha chiuso la prova olimpica al 22° posto. Era al rientro in gara dopo il Covid
Lo spagnolo (classe 2002) ha chiuso la prova olimpica al 22° posto. Era al rientro in gara dopo il Covid

Ayuso tra le curve

Perché complessa? Perché i rumors intorno allo spagnolo non sono mai mancati. Pensiamo al fatto del Galibier al Tour. Quel giorno, lo ricordiamo, Ayuso non entrò in azione subito e rischiò di far saltare il programma di attacco di Tadej Pogacar e scatenando quella che è stata ribattezzata la querelle del Galibier. L’attacco di Tadej fu ritardato e se Vingegaard non avesse perso quei 10” al Gpm e fosse rimasto sulle ruote dello sloveno, le cose sarebbero potute andare diversamente, almeno quel giorno. Poi sono emerse le voci che la non partecipazione di Ayuso alla Vuelta fosse una punizione da parte della squadra. E a tutto ciò ora si aggiungono le voci di mercato, secondo le quali Ayuso vorrebbe andare via per avere più spazio.

Insomma c’è tanta carne al fuoco, meglio dunque sentire Joxean Fernandez Matxin responsabile tecnico della UAE Emirates, colui che forse meglio di tutti conosce Juan e la sua gigantesca ambizione, il che non è del tutto un male per chi è campione nel Dna.

Matxin è lo Sports Manager, capo dei tecnici della UEA Emirates
Matxin è lo Sports Manager, capo dei tecnici della UEA Emirates
Joxean, abbiamo visto Ayuso lavorare in altura e poi andare alle Olimpiadi: come sta dunque?

Ora sta bene. Più che altura lui era ad Andorra, dove vive, e lì si è allenato con i ragazzi che erano andati invece in ritiro. Ma sta bene e sta svolgendo il suo programma regolarmente.

A mente fredda torniamo sul Galibier. Cosa è successo davvero quel giorno?

Alla fine è nato tutto da un gesto, quello di Almeida, più grande di quello che realmente è stato. La verità è che Ayuso doveva andare davanti a tirare prima, ma era dietro. Non doveva stare in quella posizione. Poi quando si è deciso ha cambiato ed è andato avanti in modo veloce, perché c’era un chiaro ordine e si è messo a menare. Lo ha fatto “da Dio” Almeida, e poi lo ha fatto anche lui… per quello che poteva (come a dire che forse non era già al top, ndr). Una volta passato avanti, poi hanno tirato tutti e due.

Anche Pogacar poi disse che doveva scattare prima. Immaginiamo che a fine tappa abbiate fatto una riunione…

Ma per noi era tutto chiaro già nel bus. Il fatto stesso di parlarne ancora è una cosa più grande di quanto realmente sia stata. Ognuno ha fatto il suo, semplicemente Juan si è mosso un po’ dopo. E’ poi bastato un gesto plateale di Almeida che lo invitava a tirare e nella vetrina mondiale del Tour il tutto è diventato un caso. 

Ed ora lo vedremo alla Vuelta?

Non abbiamo nessun dubbio, da quando quest’inverno abbiamo parlato dei programmi. Io gli ho proposto Giro d’Italia e Vuelta, come alternativa al Tour, ma lui ha detto che voleva andare al Tour. «Okay – gli dissi – ma se vieni in Francia sai che vieni per tirare». Con un atleta di vertice come Pogacar è così. Noi siamo stati chiari ed onesti con il ragazzo sin da subito. E poi fermarsi prima, allenarsi e riprendere il programma… Okay fai altura, fai anche qualità, un lavoro grande, ma non correre ti dispiace, specie quando hai la sensazione che stai bene ma non puoi farlo.

Dopo il ritiro anticipato dal Tour magari se lo aspetta e anche da fuori sembra una scelta scontata…

Juan è la prima riserva. Come sapete facciamo in autunno i nostri programmi e tutti i ragazzi vanno rispettati e tutti si sono preparati bene. Vediamo come stanno gli altri compagni, se tutti dimostreranno di stare bene, di poter essere pronti per affrontare una Vuelta al meglio si andrà avanti con quel programma, altrimenti ci sarà Juan.

Juan in allenamento ad Andorra con alcuni compagni (foto Instagram)
Juan in allenamento ad Andorra con alcuni compagni (foto Instagram)
Conoscendolo quanta voglia ha?

Tanta, lui stesso ci ha chiesto di correre la Vuelta, ma come ho detto dobbiamo pensare anche al resto del gruppo. E se tutti stanno bene, lui non corre. Lo sai lui e lo sanno gli altri, per questo facciamo programmi chiari sin dall’inverno, affinché tutti possano farsi trovare pronti.

E se non dovesse andare alla Vuelta che corse farà?

La trasferta in Canada, quindi le corse in Italia e il Giro di Lombardia, ma vediamo…

Joxean, non possiamo non chiederti delle voci di mercato intorno ad Ayuso, specie dopo le scaramucce del Tour e cioè che lui vuole andare via. Cosa ci puoi dire?

Che per me è tutto chiaro e semplice: Juan Ayuso ha contratto con noi fino al 2028. E quella, per me, è l’unica voce che conta. 

Lo schiaffo dell’Australia, il quartetto sbanda

07.08.2024
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SANT QUENTIN EN YVELINES (Francia) – La botta fa male e non può essere altrimenti. L’Australia non solo toglie il record del mondo all’Italia, ma lo fa anche nella sfida diretta. Soprattutto, toglie ai campioni in carica la possibilità di riconfermarsi. Ci si giocherà il bronzo contro la Danimarca. Sarà la replica della finale di Tokyo e anche questo è un dato: erano le migliori, hanno fatto un passo indietro. Se non nelle prestazioni, nella classifica. Le due cose vanno distinte. Il Ct Marco Villa lo dice subito.

«Noi abbiamo fatto il nostro. Sono andati forte gli australiani – spiega – di fronte a un 3’40″730 bisogna dire bravi a loro. Non me l’aspettavo su questa pista, se ci sono riusciti hanno fatto una cosa eccezionale. La prestazione dell’Italia c’è stata, Jonathan è stato grandissimo. Purtroppo non è servito. I ragazzi sono andati in pista determinati per battere l’Australia, forse nel finale si sono un po’ demoralizzati».

L’Australia va in finale per l’oro facendo il record del mondo in semifinale: 3’40″730
L’Australia va in finale per l’oro facendo il record del mondo in semifinale: 3’40″730
Ora sarà importante confermarsi sul podio olimpico.

Ho grande fiducia in questo gruppo. Ma ci sono anche gli avversari e non sempre basta dare il 100 per cento. Il giorno prima avevamo fatto un buon tempo, poi lo abbiamo migliorato. Non basta per lottare per l’oro, basta per una finale per il bronzo che non era facile da raggiungere. Quando ho visto che la Nuova Zelanda era sul 3’43” ho tremato. Ieri ha sbagliato gara, oggi è andata forte, ha sfruttato la scia del Belgio. La formula è così e può portare a far sì che magari dal gruppo che va dalla quinta all’ottava del giorno prima esca fuori qualcuno che spariglia le carte. E se avessimo sbagliato qualcosina avremmo compromesso anche la finale per il terzo posto. Siamo stati bravi a parare il colpo e adesso ci giochiamo una medaglia.

In questi tre anni gli altri hanno fatto più progressi di noi.

Ho visto che qualcuno ci ha copiato. Hayter fa i tre giri finali, è ciò che era Ganna a Tokyo per noi. Welsford nell’Australia fa lo stesso. Ci hanno copiato un po’ tutti e hanno anche migliorato i materiali. Sapevamo che dovevamo stare al passo e migliorare anche noi. E siamo migliorati, ma gli altri sono stati più forti.

E’ migliorato anche il quartetto femminile, che ha battuto il record italiano, ma è atteso da un turno proibitivo.

La Nuova Zelanda in campo femminile era la favorita in partenza e lo ha dimostrato. Oggi (ieri, ndr) non abbiamo schierato Elisa Balsamo, questa volta proviamo con lei. Non ha avuto un avvicinamento facile e di conseguenza quando non riesci a lavorare tutte insieme qualcosa manca. Abbiamo questo appuntamento, Elisa ci è arrivata con un infortunio. Pensava di uscire bene dal Giro d’Italia e invece ne è uscita malata, ha saltato l’unica settimana in cui potevamo stare insieme. Ha fatto due prove che mi danno fiducia sul poterla schierare. Non so ancora al posto di chi, parlerò con le ragazze.

Che valutazione si può fare di chi ha fatto le prove su strada?

La scusante della strada non deve esserci più. Abbiamo visto la campionessa olimpica su strada (Kristen Faulkner, ndr) far parte del quartetto e non era certo solo lei. Siamo stati noi a indirizzare un po’ tutti su questa via e adesso gli altri ci seguono. Hayter è qua, non ha fatto le gare su strada, ma tre settimane fa ha vinto il campionato nazionale su strada e si è allenato sul quartetto. Dedicarsi alla pista non mi sembra così invalidante, ecco.

Milan avrebbe potuto partecipare alla gara su strada?

A me non sembrava una gara per lui. Ma se insistete, va bene: poteva farla.

Tra Australia e Gran Bretagna, chi è la favorita?

Direi Australia. Ho visto la Gran Bretagna in difficoltà e oggi ha cambiato un uomo. Spero che abbiano avuto la scusa medica giusta, dato che lo ha fatto anche la Francia. Avevo capito che la sostituzione si poteva fare solo in casi eccezionali e con adeguata valutazione medica. Ho visto il francese sostituito che camminava tranquillamente, sembrava star bene.

Consonni: cuore, testa e gambe

La sensazione è agrodolce, c’è poco da fare. Emerge anche parlando con gli atleti. Simone Consonni è il più positivo. «Da campioni olimpici in carica – dice – volevamo difendere il titolo. Sinceramente l’Australia ci ha sorpresi, complimenti a loro. Ci abbiamo messo cuore, testa e gambe. Non è bastato, ma siamo in una finale per il bronzo. Dobbiamo smaltire la delusione ed essere cattivi contro la Danimarca, ma non sarà facile.

«La nostra prestazione è stata di qualità, ma forse era meglio fare peggio e raggiungere la finale. Siamo migliorati rispetto a Tokyo, però c’è stata un’Australia incredibile. Non abbiamo rimorsi. Abbiamo dato tutto. Siamo all’Olimpiade, è una cosa diversa. E’ un palcoscenico eccezionale, lo abbiamo visto su strada. Si lavora al top per limare i dettagli e si è visto quanto il livello medio si sia incrementato».

Villa e Lamon: i due sono gli unici ad aver pensato soltanto alla pista
Villa e Lamon: i due sono gli unici ad aver pensato soltanto alla pista

L’amarezza di Lamon

Francesco Lamon è il più deluso: «Non mi interessano i tempi – dice – mi dispiace non aver vinto e non poter lottare per l’oro. Ora pensiamo a domani (oggi, ndr) e a portare a casa il bronzo. Non è un oro come speravamo, ma abbiamo fatto del nostro meglio e gli australiani sono stati superiori. Bravi loro. Sono contento di essere qui a giocarmi la medaglia con i miei compagni e colgo l’occasione per ringraziarli. Siamo migliorati, poi entrano in campo tanti fattori e l’Australia ci ha sorpreso. Non abbiamo sentito il peso dell’essere campioni in carica, anzi, ci ha dato molta forza. Non è servito».

Ganna, 100 watt in più

Filippo Ganna cerca di mantenere equilibrio: «Sapevamo che l’Australia era forte. Oggi abbiamo dato il cento per cento – dice – non è bastato per batterli. Hanno fatto un tempo incredibile, 3’40”. Ora proveremo a prendere il bronzo, dando il massimo, come sempre. La qualità della prestazione c’è stata, io ho fatto 100 watt in più rispetto a Tokyo.

«Non bisogna essere delusi, abbiamo la coscienza a posto e abbiamo fatto tutto ciò che potevamo. E’ uno dei primi quartetti dove arrivo provatissimo, non ho nulla da recriminare. Magari con la Danimarca cercheremo di allungare il rapporto, anche se non l’abbiamo mai provato, vedremo».

Vedremo chi andrà sul podio.

Cataldo, il gruppo e i rischi inutili: siamo sicuri che vada bene?

06.08.2024
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Cosa si prova alla fine del viaggio? Si smette di essere corridori come si smette di essere un impiegato o un operaio, con la misura colma e la gioia per il tempo ritrovato? Oppure è diverso e si tratta di spegnere una passione che il tempo e la fatica anziché affievolire hanno reso più potente? Dario Cataldo sta vivendo in maglia Lidl-Trek le ultime settimane di una carriera iniziata da bambino. Il professionismo porta la data del 2007, ma qualsiasi corridore si guardi indietro ti dice che con quella vita c’è nato e ha iniziato a farla dalla prima volta che il sogno c’è acceso.

«La vivo tra alti e bassi ammette – perché senti che la cosa che hai sempre fatto non ci sarà più. La fai da quando sei bambino e poi di colpo andrai in bici solo per il piacere di farlo. Fare l’atleta è qualcosa di cui siamo orgogliosi, quindi il fatto di esserlo ancora oppure dire di esserlo stato ha un peso molto diverso. Però allo stesso tempo ho voglia di fare qualcosa d’altro, voglia di mettermi in gioco. Quando sono in bici, ci sono alti e bassi. Magari in allenamento fai il tuo dovere, i tuoi lavori e tutto quello che c’è da fare. Qualche volta ho sensazioni un po’ peggiori, perché con il recupero dall’incidente ho dei momenti il cui mi arrivano dei dolori e altri in cui sento che sto facendo dei passi in avanti. Quindi mi metto fiducia e penso che sto meglio, che posso andare più forte, tornare a fare delle belle prestazioni come prima. Invece quando vai in gara cambia tutto, perché i ritmi sono altissimi. Non c’è modo di gestirsi e se hai un minimo di mancanza, un minimo deficit di forza, lo paghi».

La carriera di Cataldo ha subito uno stop per caduta al Catalunya 2023. Si rivide in pubblico al via del Giro da Pescara, con un busto indosso
La carriera di Cataldo ha subito uno stop per caduta al Catalunya 2023. Si rivide in pubblico al via del Giro da Pescara, con un busto indosso
Forse questo farà pesare meno il distacco?

Il fatto è che adesso le corse sono molto più “stressanti”, perché si corre in modo molto aggressivo. C’è tanta pressione, anche se nessuno ti punta la pistola. Tutti si sentono responsabilizzati, ti metti pressione da te. Devi guadagnarti il posto alle gare, guadagnarti un contratto per l’anno dopo, che è sempre più difficile. Per questo i corridori sono molto più aggressivi in gara, non si lascia neanche un centimetro in nessun momento della corsa. E inevitabilmente questo fa aumentare il rischio. L’abbiamo visto tante volte e ne abbiamo parlato. Abbiamo visto leader che solo per prendere davanti una curva più veloce in discesa, in un momento che non cambiava la vita a nessuno, hanno rischiato di non correre il Tour (il riferimento è chiaramente a Vingegaard ed Evenepoel al Giro dei Paesi Baschi, ndr). E allora forse uscire da questo ciclismo così tirato pesa meno. Ho vissuto un bel periodo e sono contento di tutto quello che ho fatto, quindi vivo questo passo obbligato in modo abbastanza sereno.

C’è un po’ di quel non vedere l’ora di esserne fuori, tipico di chi va in pensione?

Forse sì e non credo sia una sensazione soltanto mia. Mi sono trovato a parlare di questo con diversi colleghi che hanno più o meno la mia età e tutti hanno lo stesso sentimento. Non voglio dire il rifiuto, però iniziare a sentire che forse non è più il tuo posto. Quando sei giovane e hai vent’anni, paura zero. Sei lì con il coltello tra i denti e non hai la capacità o la coscienza per prevedere certi tipi di pericoli o certe situazioni, quindi vai sempre al limite. Invece con l’esperienza, ci rifletti molto di più.

La caduta nella 4ª tappa del Giro dei Paesi Baschi è stata causata dall’immotivata ansia di stare davanti (immagine Eurosport)
La caduta nella 4ª tappa del Giro dei Paesi Baschi è stata causata dall’immotivata ansia di stare davanti (immagine Eurosport)
Niente di nuovo, in realtà…

E’ una cosa che c’è sempre stata, infatti. Mi ricordo che quando ero ai primi anni da pro’, mi dicevano che io mi buttavo a quel modo in discesa perché ero più giovane. In realtà lo fai per l’età poi, da grande, tiri di più i freni. Ne ho parlato con diversi corridori. Ci sono giorni in cui stando in gruppo, senti che non è più il gruppo di qualche anno fa. Non voglio dire che i ragazzi siano meno corretti, ma sono preda di quella tensione. Sentono di non poter perdere nessuna occasione e questo gli mette addosso una pressione diversa, che amplifica l’incoscienza. Il rischio a volte può premiare, a volte può fare dei grossi danni: soprattutto quando è gratuito. L’incoscienza eccessiva non può essere tollerata, perché le conseguenze possono essere davvero pesanti.

Pensi che l’incidente abbia accelerato i tempi della tua decisione?

Quando ho firmato l’ultimo contratto, tra me e me pensai che potesse essere l’ultimo, ma mi tenni una porta aperta casomai avessi avuto voglia e possibilità di fare un altro anno. L’incidente ha tolto questa possibilità e mi ha aiutato a prendere la decisione.

Cuitu Negro, Cataldo trionfa alla Vuelta del 2012: la corsa tornerà sulla stessa salita nella 15ª tappa
Cuitu Negro, Cataldo trionfa alla Vuelta del 2012: la corsa tornerà sulla stessa salita nella 15ª tappa
Quest’anno la Vuelta torna sul Cuito Negro, una delle salite più dure di Spagna, dove vincesti una tappa nel 2012. Cosa ricordi di quel Dario?

Erano ancora anni in cui si poteva pensare in grande. Ero arrivato di nuovo nei 15 al Giro d’Italia, ero campione italiano della crono. Avevo ancora grandi aspettative per me stesso e come tutti sognavo in grande. Poi comunque entrai al Team Sky e dovetti fare i conti con la realtà, perché con tanti capitani forti, anche i corridori fortissimi lavorano da gregari. E a quel punto puoi solo adattarti alla situazione.

Come dire che andare forte è un bel biglietto da visita per cambiare squadra e poi diventa una condanna?

Dipende da quanto vai forte, perché magari non basta per essere leader. Quello è un po’ una sfortuna, però è un dato di fatto. Le gerarchie o i ruoli dipendono da quello. Adesso si vede ancora di più, è una situazione che si è amplificata. Ci sono dei corridori, che sono degli alieni, ed è quasi impossibile che altri abbiano spazio. Adesso rispetto a prima c’è bisogno di tutta la squadra per portare a casa un risultato, perché bisogna limare su tutto. Quindi vedi corridori che sono sempre stati dei leader che adesso fanno i gregari. Adam Yates, Maika, Kwiatkowski, che ha vinto Sanremo, Strade Bianche e mondiale, invece da anni fa solo il gregario. La piramide è diventata sempre più stretta. Sono sempre meno quelli ai vertici e sempre più i gregari di lusso che sono sempre più forti.

Nel 2013 e 2014, Cataldo ha corso al Team Sky al servizio di capitanti come Froome (nella foto), Wiggins e Uran
Nel 2013 e 2014, Cataldo ha corso al Team Sky al servizio di capitanti come Froome (nella foto), Wiggins e Uran
E’ difficile fare la vita da atleta al 100 per cento sapendo che sei alle ultime corse?

Come dicevo, ci sono alti e bassi. Ci sono giorni in cui voglio fare tutto bene per arrivare giusto alle ultime gare. Altri in cui il sentimento è quello di mollare un po’, che tanto non cambia niente. Ma viene subito spinto dietro da quel senso di responsabilità che fa parte del mindset che hai avuto per tantissimi anni. E allora ti ribelli e dici che devi fare le cose per bene. Quante volte i corridore ti hanno detto che anche se sono in vacanza, sentono il bisogno di andare in bicicletta o fare sport, perché non possono permettersi di lasciare delle cose, di non allenarsi a sufficienza, di non allenarsi bene? Quella cosa non ti abbandona, l’istinto del corridore è di allenarsi bene.

Al momento del suo ritiro, Francesco Totti parlò della paura dell’ignoto che lo attendeva: è una paura che esiste?

Ma certo che c’è, a meno che tu non abbia già iniziato a fare qualcosa cui potrai dedicarti al 100 per cento. Però questa non è una cosa che riescono a fare tutti, perché il mestiere di corridore ti assorbe talmente tanto, che non è facile fare altro nello stesso momento. Per me è stato così, quindi non ho iniziato con altre cose, per cui un po’ di paura c’è. In questo periodo tanti mi chiedono cosa farò dopo. E’ difficile rispondere, perché non ne ho la certezza. Se mi chiedono cosa so fare, avendo sempre fatto il corridore, posso conoscere la teoria di altri lavori, ma non li ho mai fatti. Se mi chiedono cosa mi veda capace di fare, allora posso fare tante cose. Sia perché confido nelle mie capacità, sia perché comunque l’esperienza maturata in tanti anni di corse, in questo ambiente, mi rende consapevole di avere tante competenze. E se non sei stato un buon corridore, è difficile averle. Basterà iniziare, fare il primo passo, il resto verrà da sé. Con l’impegno, con lo stesso modo di lavorare del corridore, impegnandosi sempre al massimo.

Cataldo è arrivato all’allora Trek-Segafredo nel 2022 per guidare Ciccone (qui al Giro). La caduta del 2023 ha ostacolato il processo
Cataldo è arrivato all’allora Trek-Segafredo nel 2022 per guidare Ciccone (qui al Giro). La caduta del 2023 ha ostacolato il processo
Ultima domanda: ha fatto bene Pogacar a non andare all’Olimpiadi?

Secondo me è stato un peccato, sarebbe dovuto andare. Comunque la corsa di un giorno con la condizione del Tour poteva essere una bella soddisfazione. Anche perché storicamente le Olimpiadi sono un obiettivo difficile da centrare, ci sono talmente poche occasioni nella carriera di un atleta, che vanno colte. Anche se a uno come lui, con un palmares così grande, una medaglia alle Olimpiadi non cambia la vita. Però gli avrebbero dato un prestigio così grande, che sarebbe valsa la pena fare ancora una settimana di sacrifici. Invece un’altra cosa…

Prego.

Ha fatto bene a non andare alla Vuelta, anche se da un certo punto di vista ti viene da dire che dopo aver vinto Giro e Tour, quando ti ricapita di poter fare la tripletta? Però è anche vero che fare una stagione così stressante, avendo firmato adesso per cinque anni, non gli permetterebbe di mantenere l’equilibrio per essere competitivo nelle prossime stagioni. Se facesse la Vuelta, avrebbe bisogno di un recupero bello grosso e non so se ne varrebbe la pena.

Quando torni in gruppo?

Sono riserva nelle prossime gare e poi dovrei andare a Montreal e Quebec prima delle corse italiane. Almeno ho dato la disponibilità alla squadra. Mi sto allenando, voglio fare tutto al meglio.

La tripletta di Roche, prossimo traguardo di Pogacar?

06.08.2024
6 min
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Tadej Pogacar lo ha detto senza mezzi termini: «Ora punto tutto sul mondiale». Il suo obiettivo è realizzare la tripletta Giro-Tour-gara iridata che in passato è riuscita solo due volte. La prima a Eddy Merckx in quella che fu l’ultima sua grandissima stagione, il 1974. La seconda a Stephen Roche, l’irlandese della Carrera che visse un anno magico nel 1987, mai più replicato.

Lo sprint vittorioso di Roche al mondiale di Villach. La tripletta è compiuta, 13 anni dopo Merckx
Lo sprint vittorioso di Roche al mondiale di Villach. La tripletta è compiuta, 13 anni dopo Merckx

Oggi l’irlandese gestisce con passione il suo albergo a Sainte Maxime, sulla Costa Azzurra ma resta sempre legato al vecchio mondo. Sa bene che quella tripletta è rimasta storica, anche per come arrivò, soprattutto per il carico di polemiche che si portò dietro nella sua prima tappa, il Giro d’Italia vinto contro tutto e tutti.

Tra Giro, Tour e mondiali, quale fu la corsa più difficile da conquistare e quella che ti diede maggiore soddisfazione?

Ognuna delle tre è molto difficile da vincere. Il Giro lo conquistai avendo problemi con alcuni dei miei compagni di squadra che hanno corso contro di me. E’ stato molto, molto difficile mentalmente perché mi trovavo nell’assurda situazione di dover convincere il pubblico italiano che non ero un cattivo ragazzo e che onoravo la patria che mi stava ospitando e dando lavoro. Quello che è successo con Roberto Visentini è stato qualcosa che è capitato, non c’era acredine fra noi, ma chiaramente molti tifosi italiani mi erano contro. Ogni giorno combattevo con i media e con i miei compagni di squadra, quindi era molto complicato.

L’irlandese insieme a Millar, ribatte in maniera polemica ai fischi del pubblico
L’irlandese insieme a Millar, ribatte in maniera polemica ai fischi del pubblico
Tu hai vinto il Giro senza l’appoggio della tua squadra, con il solo Schepers dalla tua parte. Com’era l’atmosfera nel team fuori dalla corsa, alla sera o prima delle tappe?

Dopo il primo giorno o due ci siamo messi intorno a un tavolo. La squadra voleva la maglia rosa. Visentini era il campione uscente, io venivo dalla vittoria al Romandia. Ma un giro di 3 settimane è qualcosa di diverso. L’accordo era di proteggere entrambi, ma principalmente di puntare su di me perché avevo dimostrato che l’87 era stato un buon anno per me, era da febbraio che ero competitivo. Quindi la squadra ha deciso di darmi la mia possibilità. Ma l’atmosfera era difficile, tra me e i miei compagni di squadra. Ma poi le cose sono andate lentamente meglio perché anche io mi stavo comportando bene. Come detto, al team interessava vincere perché le vittorie portano finanziamenti. E’ chiaro però che tutto quel che avvenne ebbe un prezzo, gli equilibri erano infranti.

Ho letto che la Panasonic si schierò dalla tua parte, come raggiungesti un accordo con il team di Millar e pensi che sia possibile fare lo stesso oggigiorno?

Molte persone nell’87 erano un po’ disgustate dalla reazione del popolo italiano e da quello che mi stava succedendo. Millar era un mio caro amico, quindi voleva vincere una tappa e pensò che fosse un buon compromesso aiutarmi per ottenere il suo scopo. Cosa che avvenne, quindi ci guadagnammo entrambi. Penso che oggi, sì, questo può ripetersi e avvenga. Tutto e niente di ciò che abbiamo fatto è stato eccezionale.

Roche in maglia gialla. Vinse il Tour superando Delgado al penultimo giorno, a cronometro
Roche in maglia gialla. Vinse il Tour superando Delgado al penultimo giorno, a cronometro
Pogacar punta a ripetere la tua impresa, tu pensi che possa farlo?

Penso onestamente, sì, ci sono stati corridori in passato capaci di farlo come Indurain, Armstrong, Pantani. Potevano. Ma per essere in grado di fare queste tre cose con tre vittorie, tutto deve andare di pari passo, devi programmarti bene. Devi anche avere la fortuna di trovare un percorso adatto: se sei forte in salita e ti trovi un mondiale pianeggiante, diventa tutto complicato. Quest’anno abbiamo lui che ha già vinto Giro e Tour e ha un campionato del mondo a Zurigo molto, molto ondulato. Quindi sì, penso che tutto sia possibile per lui quest’anno perché sta mostrando una forza incredibile nel recupero ed è anche uomo da classiche. Certamente comunque la concorrenza non mancherà con gente come Evenepoel e Van Aert. Deve avere il meteo dalla sua. Deve avere fortuna, non deve avere forature. Deve avere una squadra. Tutto deve coincidere.

Vista la sua superiorità a Giro e Tour, al suo posto proveresti a vincere anche la Vuelta?

In Irlanda diciamo «il cimitero è pieno di eroi morti» – dice Roche sorridendo – Puoi andare e provare a vincere, ma poi se non funziona, allora potrebbe essere più dannoso per lui anche fisicamente perché ha solo 25 anni. Ha già fatto così tanto nella sua breve carriera finora. Non deve rischiare di bruciarsi anzitempo. La gente potrebbe pensare che vincere Giro e Tour non fosse troppo difficile per lui, l’opposizione non c’era. Forse, ma nonostante ciò lo ha fatto accumulando migliaia di chilometri, caldo, fatica. Penso che potrebbe essere un po’ troppo. E’ molto più saggio concentrarsi ora sul campionato mondiale.

Il podio del mondiale austriaco, con Argentin secondo e lo spagnolo Martin terzo
Il podio del mondiale austriaco, con Argentin secondo e lo spagnolo Martin terzo
Segui il ciclismo irlandese e rispetto ai tuoi tempi lo trovi migliorato come livello?

Sì, il nostro ciclismo è molto cresciuto. Abbiamo gente forte come Healy, Ryan. OK, Sam Bennett sta andando un po’ giù, ma ci sono alcuni bravi ragazzi lì che stanno arrivando nell’EF Education EasyPost che fanno sperare. E penso che la federazione stia lavorando bene, avremo sempre più ragazzi di cui parlare in futuro. Healy mi impressiona, io dico che presto vincerà anche una grande gara.

Quello di oggi è un ciclismo che ti piace?

Sì, penso che il ciclismo di oggi sia cambiato un po’ rispetto all’ultima generazione. I ciclisti sono più aggressivi, sono un po’ più istintivi, vanno forte in salita come a cronometro, nelle corse d’un giorno come in quelle a tappe. Quindi penso che per i prossimi due anni vedremo un po’ di ciclismo davvero buono.

Pogacar in trionfo all’ultimo Tour. Ora il suo obiettivo è il mondiale di Zurigo
Pogacar in trionfo all’ultimo Tour. Ora il suo obiettivo è il mondiale di Zurigo
Guardandoti indietro, come giudichi la tua carriera ciclistica?

Guardo tutta la mia carriera e dico OK, posso dire che questo anno è stato buono. Quello no, quell’altro è stato pessimo. Tutto sommato, il complesso è stato positivo. Sai, è molto facile dire che avrei dovuto, avrei potuto…. Ma non è una cosa che potrei cambiare. Ripensandoci, l’unica cosa è che non avrei lasciato la Carrera alla fine dell’87. Avrebbe potuto essere meglio, ma non ne avrò mai la certezza.

Biagini: «Con la Vf Group-Bardiani ho cambiato ritmo»

06.08.2024
5 min
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Nel mese di luglio il nome di Federico Biagini è emerso piano piano negli ordini di arrivo. Ha iniziato con un settimo posto nella prima tappa del Tour of Austria, poi è arrivata la prima vittoria di stagione al Giro della Valle d’Aosta. Infine, un quarto posto nella seconda tappa del Tour Alsace (in apertura prima del prologo iniziale, foto Vf Group-Bardiani). Risultati che hanno evidenziato una crescita importante per un corridore entrato da quest’anno nel team. Biagini ha firmato un contratto a lungo termine: un quadriennale con scadenza nel 2027. Un periodo lungo considerando che è al terzo anno da under 23. Questo vuol dire che ha la certezza di fare due stagioni da professionista con il team di Reverberi

Luglio intenso

Una grande iniezione di fiducia, ripagata con una vittoria e con una crescita costante che lo ha portato gradualmente sotto i riflettori. In questi giorni si trova a casa, riposa e cerca di scappare dal caldo della sua Reggio Emilia, poi il 13 agosto farà le valigie per il Tour du Limousin. 

«Gli anni scorsi da under 23 – racconta Biagini – avevo già vinto, ma erano gare diverse: nazionali. Un successo è sempre un bel modo per capire a che punto si è arrivati. L’ho ottenuto in una corsa difficile, dove c’erano tanti corridori forti e di primo piano della categoria, quindi è un risultato che assume un valore ancora maggiore. Era da un po’ di tempo che mi sentivo bene, dal mese di giugno. Poi il 17 di quel mese una macchina mi ha investito in allenamento, nulla di rotto ma tanto spavento. Mi sono beccato dei punti sul gomito, ma sono andato comunque al campionato italiano a crono, nonostante la ferita poggiasse proprio sulle protesi. Pochi giorni dopo ho fatto anche la tanto chiacchierata prova in linea, nella quale anche io sono stato fermato, nonostante fossi a quattro minuti dai primi».

Al Tour Alsace la sua terza corsa a tappe dalla stagione (foto Vf Group-Bardiani)
Al Tour Alsace la sua terza corsa a tappe dalla stagione (foto Vf Group-Bardiani)
Di fatto con la firma per la Vf Group-Bardiani sei entrato nel mondo dei professionisti, come va?

Rispetto ai due anni precedenti in cui ho corso da under 23 con due team diversi (Carnovali e Zalf, ndr) vedo una grande differenza. E’ tutto molto professionale qui, c’è la massima serietà in ogni momento. Ogni membro dello staff sa cosa deve fare e ti aiuta tanto a migliorarti. Quando mi alleno da solo a casa l’impegno che metto è sempre lo stesso, ma una volta insieme al team si vede il cambio.

Quale aspetto ti ha colpito maggiormente?

Tutto, devo dire. Gli allenamenti e le ore fatte in bici prima di tutto. Anche se, devo ammettere, da giugno ho cambiato preparatore e sono passato a David Morelli, che è di Reggio come me. Il motivo è per una maggiore comodità: mi segue ogni giorno e sono sempre in contatto con lui, ci vediamo tantissimo. Un’altra cosa che ho notato è l’alimentazione, dall’inverno ho avuto modo di parlare con il nutrizionista della squadra che mi ha dato tanti consigli e indirizzato bene. 

Anche il calendario è cambiato tanto…

Rispetto agli anni scorsi sì. Ho fatto gare di maggior rilievo e anche la mia prima vera corsa a tappe. Le altre che ho corso, in passato, sono state il Lunigiana e il Giro del Veneto. A luglio di quest’anno, invece, ho corso al Giro dell’Austria, tutta un’altra cosa. 

In Francia tanta fatica e molti chilometri per lui che continua a crescere e maturare (foto Vf Group-Bardiani)
In Francia tanta fatica e molti chilometri per lui che continua a crescere e maturare (foto Vf Group-Bardiani)
Ne hai messe in fila tre nel solo mese di luglio.

Abbiamo visto che correre in appuntamenti di più giorni aiuta a crescere, sia fisicamente che mentalmente. Mi piace come modo, ogni mattina ti svegli e sai che c’è una nuova occasione per vincere. L’aspetto più importante da curare è il recupero, non ero abituato ma ci ho preso la mano. 

Inizi ad inquadrare che tipo di corridore puoi diventare?

Devo ancora capirlo fino in fondo. Per il momento mi sento completo, forte in salita, ma mi manca qualcosa nelle scalate sopra i 20 minuti. Tuttavia al Tour Alsace, nella tappa con arrivo in cima alla Planche des Belles Filles, sono arrivato nei primi venti con un un minuto e 40 secondi dal vincitore Nordhagen. In realtà dal secondo classificato ho pagato solo un minuto. E’ stata una bella prova, dalla quale si può partire a lavorare bene. 

Qui Biagini (a sinistra) è insieme a Pinarello, i due sono molto legati (foto Vf Group-Bardiani)
Qui Biagini (a sinistra) è insieme a Pinarello, i due sono molto legati (foto Vf Group-Bardiani)
Da qua fine anno farai altre gare a tappe?

Il Limousin, poi il Giro del Friuli. A quel punto vedremo cosa deciderà la squadra. Ci sono corse che mi piacerebbe fare, anche di un giorno, come il Giro dell’Emilia, la gara di casa. 

Per l’anno prossimo hai già qualche ambizione?

Non ho mai corso il Giro Next Gen, mi piacerebbe farlo. Ma non nascondo che mi piacerebbe fare anche quello dei grandi. Chiaramente sarà più difficile guadagnarsi il posto, ma l’obiettivo base è di dare sempre il massimo, poi vedremo dove arriverò.

Il velodromo di Parigi sarà veloce come quello di Tokyo?

06.08.2024
5 min
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Ieri sono iniziate le Olimpiadi di Parigi anche su pista, al velodromo di Saint-Quentin-en-Yvelines o Velodromo Nazionale, visto che è la sede della Federazione ciclistica francese. La speranza italiana è concentrata soprattutto sui quartetti, ma non solo ovviamente. Certo è che dopo le prestazioni di Tokyo e il primato mondiale, da Ganna e compagni ci si aspetta moltissimo.

Ma stavolta non parliamo tanto dei ragazzi quanto piuttosto del velodromo stesso. Per grandi prestazioni serve anche un “campo gara” che possa proporre condizioni eccellenti. L’equazione sarebbe sin troppo facile: una pista, un posto al chiuso, uguali prestazioni ripetibili. Un po’ come succede in una piscina… per dire. In realtà non è proprio è così. Ci sono molti fattori esterni. Fattori che riguardano la struttura stessa del “campo” di gara.

Pensiamo per esempio alla super pedana dei salti in lungo e triplo agli Europei di atletica di Roma e ora quella “meno performante” di Parigi. Non sempre un campo di gara standard è poi davvero così uguale.

Il Velodromo di Saint-Quentin-en-Yvelines o Velodromo Nazionale sorge ad Ovest di Parigi. E’ stato costruito nel 2014
Il Velodromo di Saint-Quentin-en-Yvelines o Velodromo Nazionale sorge ad Ovest di Parigi. E’ stato costruito nel 2014

Da Tokyo a Parigi

Quindi che prestazione possiamo aspettarci dal Velodromo olimpico? A Tokyo di record ne abbiamo visti molti, uno su tutti: quello del quartetto azzurro con quel memorabile 3’42”032, un primato che in questi anni nessuno ha neanche avvicinato. E’ vero anche che gli studi aerodinamici hanno fatto passi da gigante e oltre alla pista, si è visto quanto il vestiario conti di più, lo stesso vale per i caschi e per le bici. E anche per le preparazioni e alimentazione.

Ma questi sono altri fattori. Concentriamoci sulla pista.  

Quali sono quindi le condizioni che rendono veloce una pista piuttosto che un’altra? Le principali sono quattro: la superficie, l’altitudine, la temperatura interna e, sembra assurdo visto che si è al coperto, anche il meteo esterno, pressione e in parte l’umidità.

E’ noto infatti che quanto più bassa è la pressione atmosferica, tanto minore è la densità dell’aria e migliore è la penetrazione nella stessa da parte dei corridori. Solitamente la pressione dell’atmosfera va di pari passo con l’altitudine (più è alta la quota, minore è la colonna d’aria sulla testa, minore è la pressione), ma anche con l’umidità. Un’aria umida è meno densa di quella secca. E infine conta anche la temperatura. Più è alta e meno è densa, posto che poi oltre un certo limite (solitamente i 21-23 gradi) diventa controproducente per il rendimento del corpo umano.

E infatti di solito i velodromi sono tenuti a questa temperatura. Ricordate quanta ricerca ci fu per il Record dell’Ora di Pippo Ganna?

Queste condizioni ambientali erano tutte presenti a Tokyo nel velodromo di Izu, per quella tempesta tropicale che coinvolse il Giappone in quei giorni. A Parigi nei prossimi giorni sia l’umidità che la pressione sono date in aumento. E’ un bene nel primo caso (anche se poi è costante all’interno del velodromo), un male nel secondo.

Curve ad ampio raggio e rettilinei corti: ottimo per il quartetto
Curve ad ampio raggio e rettilinei corti: ottimo per il quartetto

Rettilinei corti

L’anello di Saint-Quentin-en-Yvelines è da 250 metri, su legno di abete siberiano. E’ stato costruito nel 2014, ma il parquet è stato rifatto a maggio e questo non è un punto a favore di eventuali record. Il legno vecchio infatti risulta più scorrevole, ma per il Giochi tutto doveva essere alla perfezione. 

Dalla Francia assicurano che è comunque velocissimo.

Mentre è un punto a favore la forma dell’anello. I due rettilinei infatti sono relativamente corti e questo consente di mantenere la velocità in modo leggermente più semplice e, nel caso del quartetto, anche la compattezza del treno.

In più nonostante sia un anello “corto” è largo 8 metri, quindi le sponde consentono di salire abbastanza in alto. Tanto per fare un paragone con l’Izu di Tokyo la pista era larga 7,60 metri quindi si poteva salire circa 40 centimetri in meno. Tuttavia è anche vero che l’inclinazione delle curve era di 45°, un grado in più del Saint-Quentin-en-Yvelines che è di 44°. Il raggio di curva è di 23 metri, quindi abbastanza ampio e dovrebbe risultare più fluido per le specialità di endurance e dell’inseguimento a squadre.

Il velodromo francese ha ospitato i mondiali su pista del 2015 e del 2022. Ospita ben 5.000 spettatori
Il velodromo francese ha ospitato i mondiali su pista del 2015 e del 2022. Ospita ben 5.000 spettatori

Pista fluida

Énergies & Services è l’azienda responsabile del velodromo, da anni è a guardia della pista al fine di renderla sempre performante. Ogni mattina vengono controllate la temperatura e l’umidità, prima e dopo ogni corsa. La precisione dello stato del parquet è talmente elevata che la pista viene monitorata costantemente. Inoltre viene eventualmente corretta la regolazione dei cunei tra il terreno e le travi di sostegno, che a seconda dell’essiccazione del legno e delle vibrazioni si muovono, in modo impercettibile, ma si muovono.

Insomma, forse non ci sarà un uragano come a Tokyo a rendere la pressione perfetta, ma gli altri ingredienti ci sono tutti. La pista è scorrevole e gli atleti sono soddisfatti. Chiudiamo con una frase di qualche tempo fa di Gregory Bauge, ex pistard francese e oggi tecnico dei “galletti”, nove volte campione del mondo nella velocità e plurimedagliato olimpico: «Questa pista è un tavolo da biliardo: è ampia e fluida. Su alcuni tracciati si avvertono degli strappi tra i rettilinei e le curve, ma su questo anello niente!».

Pinarello: «Avenir? Pronto a prendermi le responsabilità»

06.08.2024
4 min
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Continua la marcia di avvicinamento al Tour de l’Avenir. Marino Amadori è al lavoro al Sestriere con i ragazzi che porterà in Francia e anche all’Europeo, ma certo a tenere banco è la “Petite Grande Boucle”. E continua il nostro viaggio nell’ascoltare gli azzurri che saranno al via di questa importante corsa. Dopo Ludovico Crescioli e Simone Gualdi, stavolta sentiamo Alessandro Pinarello, uno dei tre azzurri che su carta sono deputati a fare la classifica.

Pinarello, in forza alla VF Group-Bardiani, rispetto ai suoi due colleghi ha avuto un avvicinamento diverso: niente Giro della Valle d’Aosta, ma tantissima altura e Tour d’Alsace. Tutto fa parte di un grande lavoro mirato proprio all’Avenir.

Pinarello (classe 2003) in ritiro al Sestriere con la nazionale
Pinarello (classe 2003) in ritiro al Sestriere con la nazionale
Alessandro, da qualche giorno hai raggiunto i tuoi compagni al Sestriere, come vanno le cose?

Sto bene, vengo già da un lungo periodo di altura, poi l’Alsazia e poi ancora l’altura. A luglio ero stato sul Passo Eira, quindi nella zona di Livigno, per ben tre settimane.

Al Tour d’Alsace come è andata? Se si guardano i risultati non c’è stato l’acuto, ma questo conta fino ad un certo punto…

Io mi sono sentito bene, tranquillo. Forse per il risultato ho risentito un po’ dell’altura, ma nel finale stavo già meglio, specie negli ultimi due giorni.

Una preparazione estremamente mirata: tanta altura e poi diretto all’obiettivo. Come i grandissimi.

Sapevo che sarebbe andata così, ma sono convinto di questo modo di lavorare. Anche dall’Alsazia mi ero sentito con Marino, ma nulla di che, giusto per sapere come stavo. Io credo che stiamo preparando perfettamente questo Avenir, sia dal punto di vista dell’allenamento, che della nutrizione, dei dettagli…

Pinarello è un habituè dell’azzurro. Quello che arriva è il suo secondo Avenir (foto Instagram)
Pinarello è un habituè dell’azzurro. Quello che arriva è il suo secondo Avenir (foto Instagram)
E ora brillantezza?

In Alsazia non ho sofferto troppo il ritmo gara. Mancano due settimane, qui al Sestriere stiamo facendo un bel blocco di lavoro con tutti i ragazzi e poi avrò ancora una settimana a casa. Dal 10 agosto quindi potrò fare una bella rifinitura lavorando a bassa quota. Ma anche qui in montagna stiamo spingendo!

Hai detto del nutrizionista. Ha cambiato qualcosa?

Diciamo che da quest’anno curo meglio i dettagli. Adesso mi segue un nutrizionista ed è stato un bello scalino, mi ha dato molto. Essere seguito mi sta aiutando molto con la nutrizione in altura, per esempio. In quota si consuma di più e adesso mangio in modo adeguato anche in questa situazione.

Alessandro, Amadori riserva su di te molte speranze. Vai all’Avenir per fare cosa?

Per fare il meglio possibile. Quest’anno ho lavorato moltissimo sulle salite lunghe, che era un po’ quello che forse mancava. E sono migliorato, spero che basti per l’Avenir.

Tu e Crescioli leader: ti piace?

Ci sta! Me la prendo tutta questa responsabilità. Non mi faccio problemi, anzi… mi piace.

Pinarello in azione al Tour d’Alsace, sfruttato come tappa di avvicinamento nella preparazione per l’Avenir
Pinarello in azione al Tour d’Alsace, sfruttato come tappa di avvicinamento nella preparazione per l’Avenir
State vedendo le tappe, cosa ti sembra del percorso dell’Avenir?

Abbiamo fatto già il Colle delle Finestre e in questi giorni stiamo vedendo anche la terza e quarta tappa. Mi sembra un percorso molto esigente, più dell’anno scorso in cui c’erano almeno due o tre frazioni tranquille. Quest’anno è più duro e con tanta più salita ed anche per questo ho lavorato di più su questo terreno. Salite e discese, salite e discese… ci si deve presentare lucidi. E’ un problema sbagliare le salite e lo stesso vale per le discese.

Chi saranno per te i rivali più pericolosi?

Non saprei dire di preciso. So che i ragazzi della Visma-Lease a Bike (di varie nazionalità, ndr) lo stanno preparando molto bene. So che hanno fatto tutte le ricognizioni e anche loro sono in ritiro in quota. Poi vedremo che cosa vorrà fare Jarno Widar. E’ lui il favorito numero uno, specie dopo quel che ha fatto al Valle d’Aosta. E so anche che c’è Morgado. Un anno di WorldTour lo ha fatto migliorare di sicuro, ma forse le salite dell’Avenir sono un po’ troppo per lui. Vediamo. Io e i ragazzi siamo pronti a dare tutto.