E’ proprio vero che ci sono lacrime e lacrime. Quelle versate da Pauline Ferrand Prevot ad Andorra, nella gara del recente campionato del mondo di mtb, avevano in sé un caleidoscopio di emozioni. C’era gioia e dolore, gratitudine e rammarico, perché per la campionessa olimpica quella era l’ultima gara in assoluto disputata sulle ruote grasse. Un mondo che le ha dato tutto, fino all’apoteosi di Parigi, all’oro olimpico vinto davanti al pubblico di casa. Che cosa puoi mai volere di più?
La francese ha dominato la gara olimpica di Parigi, dove si era presentata da favoritissimaLa francese ha dominato la gara olimpica di Parigi, dove si era presentata da favoritissima
Le feste del post Parigi
Quel mondiale, Pauline non lo ha neanche preparato, per certi versi aveva anche pensato di non gareggiare neanche. I giorni dopo la vittoria olimpica sono passati tra feste, incombenze, altre feste, altre incombenze… Difficile potersi allenare, pur se ad Andorra la transalpina è ormai di casa. Il fisico non ne aveva più, ha provato a reggere per un paio di giri, ma poi il suo mondiale è diventato qualcos’altro.
«Ho capito subito che non era proprio giornata – ha raccontato ai giornalisti subito dopo l’arrivo al 14° posto – e non avrei potuto difendere il mio titolo mondiale. Avrei potuto chiudere la mia stagione dopo l’oro olimpico, ma non sarebbe stato neanche giusto nei confronti di chi mi è stato vicino, tifosi in primis. Sapevo che in una giornata simile, agonisticamente parlando, avevo tutto da perdere, ma non potevo tirarmi indietro».
Con la francese dietro, titolo mondiale alla Pieterse (NED) sulla connazionale Terpstra e la nostra BertaCon la francese dietro, titolo mondiale alla Pieterse (NED) sulla connazionale Terpstra e la nostra Berta
Oro per la Pieterse, applausi per lei
Così, mentre davanti Puck Pieterse andava a prendersi il titolo mondiale e Martina Berta conquistava una splendida medaglia di bronzo per i colori italiani, Pauline Ferrand Prevot trasformava la gara in una passerella, fermandosi per ringraziare il suo meccanico e i suoi genitori, salutando i capannelli di tifosi. Il piazzamento a quel punto è diventato un dettaglio irrilevante, per una ragazza che dal ciclismo ha avuto tutto, vantando addirittura il primato di essere l’unica capace di indossare nello stesso momento la maglia di campionessa del mondo su strada, in mtb e nel ciclocross, quella tripletta che gente come Van der Poel e Pidcock ancora oggi insegue come una chimera.
Pauline a 32 anni ha deciso di dare una sterzata alla sua carriera: dopo aver vinto tutto nel fuoristrada vuole dedicarsi anima e corpo alla strada e vuole farlo subito, al punto che sarà presente già ai mondiali di Zurigo, pur senza aver fatto nulla quest’anno.
«L’idea è nata nel ritiro francese durante i Giochi, al Domaine du Tremblay a Yvelines – racconta l’oro olimpico a L’Equipe – ho chiesto se potevo partecipare ai mondiali e mi hanno detto subito sì. Sarebbe un bel mondo per riavvicinarmi a quel mondo che ho praticamente abbandonato nel 2015, limitandomi a saltuarie esperienze».
Per la Ferrand Prevot ben 12 titoli mondiali fra strada (qui a Ponferrada 2014), mtb, ciclocross e gravelPer la Ferrand Prevot ben 12 titoli mondiali fra strada (qui a Ponferrada 2014), mtb, ciclocross e gravel
Il sogno Tour de France
Pauline già prima di cogliere l’oro olimpico aveva detto che la sua ambizione era rituffarsi nel ciclismo su strada per inseguire nuovi sogni: un’altra maglia iridata in primis, ma sullo sfondo la maglia gialla del Tour de France Femmes. Se parliamo di iride, quello di Zurigo non sarà il giorno giusto: «Resterò ad Andorra per allenarmi, ma siamo già d’accordo che mi preparerò per farmi trovare pronta per la squadra. Saremo in sette e io mi metterò a disposizione di chi sarà la punta del team».
Un approccio soft, almeno nelle aspettative, anche perché le condizioni di forma sono quelle che sono e Yvan Clolus, il tecnico della nazionale di mtb che ha contribuito alla decisione è stato chiaro a questo proposito: «Non si può prevedere un terzo picco di forma a fine settembre dopo lo stress della stagione e della preparazione olimpica. Sarebbe chiederle troppo, ma l’esperienza le sarà utilissima per rientrare nel gruppo, riassaporare certe esperienze. Questa sarà la sua quotidianità nella nuova fase della sua carriera, è giusto iniziare ora».
“La vita è uno scherzo” il tatuaggio sul collo che rispecchia la sua filosofia“La vita è uno scherzo” il tatuaggio sul collo che rispecchia la sua filosofia
Ma nel 2025 non si scherza…
Pauline, che ha già scelto di lasciare la Ineos per approdare alla Visma-Lease a Bike, unica straniera (per ora) in un team tutto olandese con l’inossidabile Vos e la rampante Van Empel, si è rimessa subito al lavoro: «Nella settimana precedente i mondiali di mountain bike avevo accumulato tanto volume di lavoro, anche per questo sapevo che non potevo fare molto nella gara iridata». Quel che è certo, guardando il suo palmarés su strada fermo al 2022, è che anche con la superleggera la Ferrand Prevot non ha intenzione di scherzare: con 5 titoli francesi, uno mondiale, una Freccia Vallone e altro al suo attivo, ha tutte le possibilità per inserirsi ai vertici di un ambiente in forte evoluzione, tra campionesse in cerca di riscatto (Kopecky, Vollering) e grandi ritorni (Van der Breggen). State pur certi che ci sarà posto anche per lei…
Una foto su Instagram. Garofoli è piegato sulla bicicletta, sfatto dalla fatica sull’arrivo di Villablino alla Vuelta. Alle sue spalle c’è il padre, che gli poggia appena la mano sulla schiena, quasi con la paura di fargli male. Il commento accanto recita: «Sempre al mio fianco. Daddy».
Che cosa spinge un padre a seguire il figlio in un posto così lontano? Perché Gianluca Garofoli ha sentito il bisogno di raggiungere il Nord della Spagna per stare accanto a suo figlio? Glielo abbiamo chiesto. Perché la carriera di Gianmarco di colpo si è fermata e di colpo lo sguardo guascone di quel ragazzino tutto scatti e nervi ha cambiato sfumature. Lo vedi che si è fatto uomo, ma capisci anche che manca qualcosa. La fiducia. La continuità. E anche un contratto per il prossimo anno. Perché un padre parte dall’Italia e suo figlio gli riconosce a questo modo la presenza?
«Da due mesi a questa parte – racconta – lo vediamo veramente in sofferenza per il discorso della squadra. Si sente in crescendo, sente che non ha avuto fiducia. Si sente in un vicolo stretto e vuole liberarsi, ma ancora non ce la fa. Purtroppo negli ultimi due anni ha avuto parecchia sfortuna e per questo ha perso quasi un anno di allenamenti. Di fatto sta un anno indietro con la preparazione. Si è visto qui alla Vuelta che più corre e più le sue prestazioni migliorano. Avrebbe potuto farlo prima un Grande Giro. Penso che quella foto l’abbia messa per ringraziarmi».
Alla partenza della tappa di ieri, con l’idea di andare in fuga: la Vuelta di Garofoli è stata finalmente positivaAlla partenza della tappa di ieri, con l’idea di andare in fuga: la Vuelta di Garofoli è stata finalmente positiva
Il cuore e la paura
Ripilogando, Gianmarco Garofoli fa parte dell’infornata di Milesi, Germani, Piganzoli, Moro e tutti i 2002 che nelle categorie giovanili si dividevano le vittorie. Trascorre il primo anno alla DSM Development. Vince al Val d’Aosta, ma non si trova bene e nel secondo anno da under 23 approda alla Astana Development, guidato da Orlando Maini e fortemente voluto da Giuseppe Martinelli cui lo aveva consigliato Michele Scarponi in tempi non sospetti. E’ il 2022 e il marchigiano fa appena in tempo a partire, quando gli viene diagnosticata una miocardite, per la quale deve stare fermo a lungo. E’ l’inizio dei problemi.
«Fu un periodo di grande apprensione – racconta Gianluca – e quando di recente con mia moglie abbiamo sentito la notizia della morte del povero Roganti, ci siamo guardati con le lacrime agli occhi. E’ stato come smuovere una cosa molto dura, perché noi quella situazione l’abbiamo vissuta da vicino. La miocardite fu un grandissimo spavento. Fortunatamente il malore che ebbe fu preso per tempo. Il giorno dopo andammo all’ospedale e trovarono un principio di infarto. Fu preso in tempo e trattato. Da lì è stato tutto un buio, fino alla ripresa. Abbiamo vissuto con lui tutte le sue paure e le ansie. Anche se da papà, devo ammetterlo, per certi versi fu pure bello. In quel periodo era fermo con la bici, quindi non sapeva cosa fare e si dedicò a starmi dietro. Venne al lavoro in azienda, andammo in fiera, venne in giro per clienti. Fu pure bello, perché sennò questo spazio con il suo lavoro non sarebbe stato possibile…».
Primavera 2022. Un malore, la corsa in ospedale, la miocardite. Garofoli si ferma. Conseguenza del Covid? (foto Instagram)Primavera 2022. Un malore, la corsa in ospedale, la miocardite. Garofoli si ferma. Conseguenza del Covid? (foto Instagram)
Dopo il cuore, tutto ha ripreso il giusto corso?
Neanche per sogno, sono continuate ad accadere una dietro l’altra. Anche quest’anno ha avuto la bronchite prima del Giro Italia e ha fatto due settimane di antibiotici. Alla prima corsa, ha iniziato ad avere i crampi allo stomaco. Fatti gli accertamenti, si è scoperto che c’era l’helicobacter in corso, quindi altre due settimane di antibiotico. E insomma alla fine ha perso un sacco di tempo per cause di questo tipo.
Adesso le cose sembrano andare meglio, perché allora la sua presenza alla Vuelta?
Ho seguito la corsa nei weekend, avevo piacere che mi sentisse vicino. Certo il pensiero della squadra non aiuta. Non c’è niente di ufficiale, ma da quando è entrato lo sponsor cinese, vogliono fare giustamente lo squadrone e gli hanno fatto capire che per lui non c’è più posto.
Giro di Valle d’Aosta 2021, Gianmarco Garofoli con il fratello Gabriele: suo primo tifosoGiro di Valle d’Aosta 2021, Gianmarco Garofoli con il fratello Gabriele: suo primo tifoso
Suo figlio ha sempre avuto l’atteggiamento da guascone, forse le botte prese lo hanno cambiato, perché sembra molto più riflessivo…
In realtà, vivendolo da vicino e seguendolo alle corse anche con sua madre, lo studiamo. Gianmarco è sempre stato molto autonomo e indipendente, infatti noi molto spesso stiamo in disparte. Mi ricordo che da allievo di primo anno vinse il campionato regionale e ordinò da sé la maglia con la scritta della sua squadra. Tanto è vero che l’azienda da cui l’aveva ordinata mi chiamò per farmi complimenti. Non gli capitava spesso che un ragazzino di 15 anni fosse in grado di cavarsela da sé. Addirittura in quel periodo ebbe un incidente e si ruppe la clavicola e il titolare di quell’azienda, venne all’ospedale per conoscerlo. Non era guasconeria, era gioia esplosiva per i risultati che aveva. Però per contro è stato sempre molto altruista.
Ad esempio?
Noi abbiamo un altro figlio che ha la sindrome di down. E questo ha fatto sì che Gianmarco sia sempre stato con i piedi per terra e aiuti le persone più deboli vicine a lui o all’interno delle varie squadre in cui è cresciuto. La svolta ce l’ha avuta quando è andato alla DSM, lì è cresciuto moltissimo sotto tutti i punti di vista. La lontananza da casa e dagli amici. Fu uno dei primi a partire per una devo team straniera. Rimase su per sei mesi, tornando una sola volta e lassù maturò molto in tutti i sensi.
Due top 10 nel suo primo Grande Giro: Garofoli ha iniziato a mettere fuori la testa. Ha solo 21 anniDue top 10 nel suo primo Grande Giro: Garofoli ha iniziato a mettere fuori la testa. Ha solo 21 anni
Con la DSM vinse delle belle corse: come la prendeste quando decise di cambiare squadra?
Anche sul piano delle squadre, ha sempre fatto da sé le sue scelte. L’ambiente DSM era particolare, ma non mi chiese consiglio, semplicemente a un certo punto disse che sarebbe andato via. C’ero anche io in Olanda quando ruppe il contratto. Loro dissero di non volere più un corridore che non riusciva a osservare pedissequamente le loro regole e che ogni volta che qualcosa non lo convinceva chiedeva spiegazioni. Lui rispose in inglese di non voler stare un solo giorno di più nella squadra che lo aveva inserito nel gruppo del Giro di Sicilia e poi lo aveva tolto dalla lista senza chiamarlo o dargli una spiegazione.
Non ha chiesto consiglio?
Credo che abbia preso una buona decisione. Mia moglie è stata bravissima sin da piccolino a renderlo indipendente nelle sue decisioni, per cui di solito va che lo assecondiamo, cercando però di stargli vicino nei momenti più difficili.
Si è sempre saputo che il nome suo alla Astana lo fece Michele Scarponi, che per Gianmarco è sempre stato un riferimento…
Michele era venuto alla sua comunione e alla cresima. Veniva a prenderlo a casa per portarlo ad allenarsi. Due giorni prima del suo incidente, si erano allenati insieme. Eppure la conoscenza venne per caso.
Ieri, salendo verso Picon Blanco, con Aleotti nella tappa regina della VueltaIeri, salendo verso Picon Blanco, con Aleotti nella tappa regina della Vuelta
In che modo?
Mi pare che Gianmarco fosse ancora nei giovanissimi quando andammoallo Scarponi Day, che Michele organizzava a fine anno, con un pranzo e prima una pedalata da Filottrano a Sirolo, facendo la salita da Numana. Quella volta Gianmarco prese e scattò davanti al gruppo, avrà avuto 12 anni. Michele lo seguì e fecero insieme tutta la salita da Numana a Sirolo. Si conobbero così. Quando durante il pranzo venne il momento della lotteria per vincere le maglie che aveva messo in palio, Michele prese il microfono e disse che il body da gara non sarebbe stato estratto, perché lo avrebbe regalato al migliore di giornata. Chiamò Gianmarco e lo regalò a lui e fu così che nacque l’amicizia. Dopo un po’ che Michele era morto, Gianmarco ebbe un incidente e si ruppe una clavicola. Martinelli chiamò e ci invitò su, perché ci avrebbe pensato lui.
Lo conoscevate bene?
Non ci avevo mai parlato, ma ci raccontò che Michele gli parlava sempre di lui e diceva che avrebbero dovuto prenderlo. E anzi gli aveva detto che quando avesse smesso, si sarebbe dedicato a coltivare le sue grosse potenzialità. Era il lavoro che Michele si era prefissato per il dopo carriera.
Ci sono consigli che gli date in questo momento difficile oppure, visto che è così autonomo, lo osservate e non dite niente?
Il consiglio che gli diamo è di stare tranquillo, perché se c’è valore, viene fuori da solo. Secondo me la tranquillità paga sempre su tutto. Se uno deve andare, andrà di certo. Altrimenti vorrà dire che farà altro. E lui ogni cosa ha dovuto meritarsela. Mi ricordo dei mondiali del 2019, quando era campione italiano juniores e non volevano portarlo perché era troppo piccolino. Finché mio figlio andò ad affrontare il cittì e gli diede un ultimatum: «Dimmi cosa devo fare perché mi porti al mondiale».
Garofoli corre dal 2023 nell’Astana WorldTour. Approdò nel team kazako su indicazione di ScarponiGarofoli corre dal 2023 nell’Astana WorldTour. Approdò nel team kazako su indicazione di Scarponi
Che cosa gli rispose?
Che lo avrebbe portato se avesse vinto il Trofeo Buffoni.
E lui?
Venne a casa e disse che lo avrebbe fatto. Infatti vinse il Buffoni, andò ai mondiali di Harrogate e si piazzò quinto. Stessa cosa al tricolore juniores. Prima di partire mi disse: «Papà, oggi vinco». E’ partito e ha vinto. Due sole volte mi ha parlato così e in entrambe ha vinto. Quindi sono convinto che la sua tranquillità porterà ai risultati. Sembra in crescita, capace di stare accanto a quelli più forti. Se avesse potuto fare prima un Grande Giro, forse oggi staremmo parlando di un altro corridore. Ha 21 anni, mi sembra strano che si ragioni di lui come di un vecchio. I procuratori gli dicono che deve fare punti sennò è difficile trovare squadra, ma io spero che la squadra venga fuori ugualmente. Stasera torniamo a casa insieme, sperando che i manager guardino i corridori non solo per i punti che portano.
Doveva essere la tappa regina, ma con la sensazione che i giochi fossero già fatti, alla fine il poco che si è visto ha riguardato la lotta per il secondo posto. Con l’arrivo posto sulla settima salita di giornata, ad alzare le braccia al cielo è stato per la seconda volta in questa Vuelta Eddie Dunbar. L’irlandese del Team Jayco-AlUla è stato freddo ad aspettare il momento giusto, ha agganciato Sivakov a lungo in fuga e ha piazzato la zampata vincente. Alle sue spalle, dopo 7 secondi Enric Mas ha preceduto Roglic e altri 7 sono stati necessari per veder arrivare Ben O’Connor, che ha così mantenuto il secondo posto nella generale con 9 secondi sullo spagnolo. Si decide tutto domani nei 24,6 chilometri vallonati della crono di Madrid.
Eppure sull’arrivo irto di Picon Blanco a domani non si pensa ancora, tra la soddisfazione legittima del vincitore e della sua squadra, guidata in Spagna da un italiano – Valerio Piva – partito per lasciare il segno.
«E’ fantastico – dice il tecnico mantovano – sapevamo che Eddie fosse in forma e super motivato per la tappa di oggi. La vittoria era un sogno e ora è realtà. Sono molto felice per lui. La squadra lo ha aiutato il più a lungo possibile e abbiamo capito che era il momento giusto quando tutti i leader si guardavano perché non aveano più gregari. Eddie è stato incredibilmente forte, perché rimanere davanti quando gli uomini di classifica si attaccano a vicenda non è facile. Ha mostrato una qualità e una forma fantastiche. Ha concluso questa Vuelta in ottima forma e questa è un’ottima notizia per lui e per noi».
Dunbar aggancia Sivakov, prende appena fiato e poi riscatta, voltandosi soltanto ai 200 metri dall’arrivoSeconda vittoria di tappa per l’irlandese in questa Vuelta, dopo quella di Campus Tecnológico Cortizo PadronPer il Team Jayco-AlUla la vittoria di Dunbar è un balsamo benefico e provvidenzialeDunbar aggancia Sivakov, prende appena fiato e poi riscatta, voltandosi soltanto ai 200 metri dall’arrivoSeconda vittoria di tappa per l’irlandese in questa Vuelta, dopo quella di Campus Tecnológico Cortizo PadronPer il Team Jayco-AlUla la vittoria di Dunbar è un balsamo benefico e provvidenziale
L’astuzia e le gambe
Dunbar, che in classifica occupa l’undicesima posizione, è davvero al settimo cielo. La sua stagione era stata finora abbastanza sfortunata per non immaginare che prima o poi la sorte gli avrebbe sorriso. Il ritiro dal Giro d’Italia, in cui avrebbe fatto classifica, dopo appena due tappe meritava vendetta e le due tappe in questa Vuelta in qualche modo pareggiano i conti.
«Ho sempre saputo che sarebbe stata una tappa davvero difficile – dice – ma con il modo in cui sono state affrontate le ultime tre settimane, pensavo che molti sarebbero stati stanchi. Soprattutto i corridori della classifica generale, che hanno dato il massimo ogni giorno. Io sono un po’ indietro rispetto a loro e sapevo che se fossi rimasto agganciato, avrei potuto fare un bel risultato. Non mi avrebbero mai lasciato andare in fuga, per cui l’unico sistema sarebbe stato arrivare con loro. I compagni hanno fatto un lavoro fantastico negli ultimi giorni, tenendomi lontano dai guai. Mi hanno davvero sostenuto. Finiremo la Vuelta soltanto in cinque, ma hanno tutti corso in modo superbo.
«Quando ho attaccato, sapevo che avrei dovuto tenere il mio ritmo e pedalare alla soglia. Se qualcuno avesse voluto rientrare, avrebbe dovuto sostenere un grande sforzo. Però solo a 200 metri dall’arrivo ho pensato che avrei potuto vincere. Mi sono voltato e ho visto quanto spazio c’era e finalmente a 50 metri dall’arrivo ho iniziato a godermi la vittoria».
Roglic è salito sul podio con la mascherina: meglio evitare scherzi. Ma con i figli, difese abbassate…Roglic è salito sul podio con la mascherina: meglio evitare scherzi. Ma con i figli, difese abbassate…
Un altro giorno di classifica
Roglic sta bene e si vede. Ha corso con la testa, mettendo a segno il colpo del kappaò proprio ieri. Con i 50 secondi rifilati a Mas e 1’49” a O’Connor sull’Alto de Moncalvillo, lo sloveno ha blindato la maglia e si avvia alla crono con leggerezza. Ben più di quando era leader al Tour del 2020 e Pogacar trovò le gambe per giustiziarlo. Ben più del Giro dello scorso anno quando a Monte Lussari toccò a lui giustiziare Thomas e prendersi la maglia rosa. Domani per Primoz non ci saranno altre preoccupazioni che quella di arrivare sano e salvo al traguardo, con 2’02” su O’Connor e 2’11” su Enric Mas.
«La squadra oggi non era al meglio – dice il leader nelle interviste post tappa – ma tutti hanno dato il massimo. Ho per loro grande rispetto, hanno dato tutto quello che avevano. Fortunatamente sto abbastanza bene, quindi è stata una bella giornata. Abbiamo fatto un bel lavoro in queste tre settimane e ora dobbiamo solo finirlo. Aspettiamo domani! Siamo un giorno più vicini alla meta, stiamo andando nella giusta direzione, ma domani sarà un’altra giornata importante. Dico sempre che non sono uno specialista delle cronometro. Dovrò nuovamente dare tutto sulla strada».
Anche oggi, O’Connor si è difeso alla grande, dimostrando di avere ancora forzeAnche oggi, O’Connor si è difeso alla grande, dimostrando di avere ancora forze
Metà delusione, metà speranza
I precedenti negli scontri diretti fra O’Connor e Mas non danno ragione all’uno né all’altro. Nella prima crono, Mas ha fatto 26 secondi meglio di O’Connor. Alla Tirreno-Adriatico, O’Connor fece 8 secondi meglio di Mas. Tuttavia osservando gli scontri diretti di questa Vuelta, la sensazione è che Mas abbia una marcia in più e anche una superiore attitudine in virtù dei progressi degli ultimi anni. Tanto che dopo l’arrivo O’Connor parla di giornata positiva, mentre lo spagnolo è deluso.
«Devo accontentarmi di quello che c’è – dice Enric Mas, leggermente abbacchiato – non posso chiedere di più. Mi sarebbe piaciuto prendere un po’ più di tempo su O’Connor, ma non è stato possibile. Mi è mancato qualcosa e per questo non sono del tutto contento. Pensavo che Carapaz avrebbe collaborato di più, ma adesso dobbiamo solo accettare la realtà e sperare domani di fare una super cronometro. Devo andare a dormire pensando a questo. Corro in Spagna, darò tutto e sono sicuro che andrà bene. Il podio è qualcosa di bello, ma siamo qui a parlare di guadagnare 9 secondi per salire un altro gradino del podio, mentre eravamo venuti per vincere. Perché ovviamente non credo di poter dare più di due minuti a Roglic».
TERRE DI LUNI – Il terzo round della sfida che ci ha accompagnato per tutto il Giro della Lunigiana lo vince Lorenzo Finn. La prima vittoria di tappa dopo due partecipazioni per il ligure che ha provato a vincere la Corsa dei Futuri Campioni in entrambe le edizioni (in apertura foto Duz Image / Michele Bertoloni). Sulla sua strada però si è sempre trovato davanti un corridore francese. Nel 2023 era stato Leo Bisiaux a toglierli la vittoria, mentre quest’anno ci ha pensato Paul Seixas a rovinargli i piani. Il ligure della Grenke Auto Eder ha attaccato sia ieri che oggi, ma non è riuscito a scalfire la leadership di Seixas.
«L’anno scorso – analizza Finn – non ero riuscito a vincere una tappa, quest’anno sì e questo mi rende sicuramente felice. Riconfermare il podio e vincere una tappa sono un ottimo risultato. Chiaro che vincere la generale sarebbe stato meglio ma ripeto che non ho rammarichi».
Paul Seixas incide il suo nome sul trofeo del Giro della Lunigiana, un altro francese nell’albo d’oroLorenzo Finn si è detto soddisfatto, ha attaccato in tutti i modi ma Seixas ha resistitoPaul Seixas incide il suo nome sul trofeo del Giro della LunigianaLorenzo Finn si è detto soddisfatto, ha attaccato in tutti i modi ma Seixas ha resistito
La differenza nei dettagli
In salita Finn e Seixas hanno viaggiato di pari passo per tutti e tre i giorni di gara, uno attaccato all’altro, inseparabili. Solo il muro di Bolano ha creato una piccola crepa, di due secondi a favore del francese. Per il resto la differenza l’hanno fatta gli abbuoni. Seixas ne ha accumulato 20 secondi sui vari traguardi, Finn 16.
«Ho fatto due attacchi sugli ultimi due passaggi di Montemarcello – spiega – a tutta. Non ho rammarichi perché ci ho sicuramente provato. Fare di meglio era impossibile, ho spinto con tutte le energie che avevo in corpo. Eravamo allo stesso livello».
«Lottare contro Finn è stato molto difficile – fa eco Seixas – è molto bravo in salita, forse in quelle con maggiore pendenza sono leggermente più forte io. Infatti, la differenza per vincere questo Lunigiana l’ho fatta su rampe molto ripide come a Bolano. Ma un giorno è così e l’altro può accadere il contrario. In generale penso che siamo sullo stesso livello».
In salita il livello tra i due è stato pari, la differenza l’hanno fatta gli abbuoni (Foto Duz Image / Michele Bertoloni)In salita il livello tra i due è stato pari, la differenza l’hanno fatta gli abbuoni (Foto Duz Image / Michele Bertoloni)
Un altro francese
Paul Seixas succede a Leo Bisiaux e a Lenny Martinez per la terza vittoria francese nelle ultime cinque edizioni del Giro della Lunigiana.
«E’ una bella sensazione – racconta – prendere in eredità la maglia verde da Leo Bisiaux e Lenny Martinez. Vedere un mio ex compagno di squadra vincere questa corsa mi ha motivato tanto per provarci a mia volta. Il percorso era leggermente diverso nel 2023, forse meno duro».
Paul Seixas e Leo Bisiaux hanno condiviso la maglia della AG2R Citroen U19 l’anno scorso, ma non solo. Entrambi, infatti, sono impegnati nel ciclocross. Alla domanda se seguirà le orme del vecchio compagno di squadra risponde così: «Non so ancora cosa farò in futuro, sicuramente correrò meno nel cross visto che passerò under 23. Voglio concentrarmi al meglio sulla strada perché l’impegno sarà maggiore. Non ho ancora deciso se proseguirò con la Decathlon AG2R o meno, sarà una cosa che vedremo dopo il mondiale. E’ una situazione difficile della quale non posso parlare ora».
Ecco i primi tre del Lunigiana 2024, da sinistra: Seixas, Finn e SumpikKristoff (Norvegia) si è detto sorpreso del livello di Finn e Seixas, per lui sono i favoriti al mondialeEcco i primi tre del Lunigiana 2024: Seixas, Finn Kristoff (Norvegia) si è detto sorpreso del livello di Finn e Seixas, per lui sono i favoriti al mondiale
Verso il mondiale
Tutti i protagonisti di questo Giro della Lunigiana li rivedremo a breve sulle strade di Zurigo pronti per darsi battaglia e conquistare la maglia iridata. Una serie di pretendenti al titolo iridato che solamente sfogliarlo fa venire il mal di testa. Nell’osservarli da vicino, però, sembra che la storia sia un capitolo a due: Finn e Seixas.
«Questa bella vittoria – dice il francese – è la dimostrazione che la condizione è davvero buona. Mi sono sentito sempre meglio giorno dopo giorno. Sono davvero felice di aver vinto qui, è molto buono per la mia forma e per avere la giusta confidenza nei miei mezzi. Finn e io probabilmente lotteremo anche per il mondiale, ma ci sono davvero tanti pretendenti alla maglia iridata. Quest’anno ho vinto tutte le corse di un giorno alle quali ho preso parte (tra cui la Lieigi-Bastogne-Liegi juniores, ndr). Il mondiale è una corsa tanto diversa dalle altre, ma spero di arrivare con la giusta condizione per puntare al podio».
Anche per Finn si avvicina l’appuntamento iridato, nel quale sarà chiamato a lottare sia a cronometro che su strada.
«Prima, però – conclude – starò un giorno a casa per poi partire verso il Belgio visto che correrò sia su strada che a cronometro anche all’europeo. Finito l’impegno continentale sarà la volta del mondiale e punterò tutto su quello dato che è molto più adatto alle mie caratteristiche».
Gianluca Geremia è il tecnico regionale del Veneto e sul ciclismo giovanile italiano ha cose interessanti da dire. Perché scimmiottare gli altri Paesi?
Il GP Kranj regala sempre spunti di discussione. L’ultima edizione ha premiato il russo di casa CTF Victorious Roman Ermakov, che ha fatto il paio con l’altra gara disputata neanche 24 ore prima, ma alle sue spalle è svettato Matteo Baseggio e non è un caso perché è praticamente tutta l’estate che viaggia nei quartieri alti delle gare a cui prende parte, con 7 Top 10 dal 28 giugno a questa parte.
Parliamo di un corridore di 26 anni, facente parte dell’Uc Trevigiani Energiapura Marchiol, quindi in una situazione quantomeno delicata. Il prossimo sarà l’ultimo anno nel quale potrà militare nella categoria, poi cadrà la mannaia: o uno sbocco quantomeno in una squadra continental, o l’addio a questo mondo. Parlando con il corridore, non si sentirà mai però la pur minima scivolata nello scoramento. Baseggio è pienamente inserito nel gioco e ha sempre accettato le sue conseguenze.
Il podio finale di Kranj con il russo Ermakov vincitore fra Baseggio e lo svizzero BalmerIl podio finale di Kranj con il russo Ermakov vincitore fra Baseggio e lo svizzero Balmer
Il secondo posto lo ha soddisfatto appieno: «Era una gara internazionale di livello elevato, con molti team che hanno subito lanciato la gara su ritmi altissimi. A metà gara eravamo rimasti nel gruppo davanti in una cinquantina, a due giri dalla fine in 20 a giocarci la vittoria. Quando Ermakov è andato via io e Balmer abbiamo provato a riprenderlo ma andava davvero forte, d’altronde aveva un altro ritmo e si era visto il giorno prima che era in stato di grazia».
Un risultato il tuo non inaspettato, visto come andavi nel periodo…
Sono sceso da Livigno che sentivo di avere una buona condizione e ho cercato di farla fruttare, ma spero che duri ancora a lungo. Io cerco di fare sempre più che posso, di partire per ogni gara per metterci la mia firma, ho un rendimento costante ed è sempre stata questa la mia caratteristica, sperando che mi porti anche a svettare in qualche circostanza. Questa comunque non è una vittoria ma poco ci manca considerando anche che c’erano delle Professional e lo stesso Balmer è uno che ha frequentato assiduamente il WorldTour.
Il corridore dell’Uc Trevigiani mette Balmer alle sue spalle ed è secondo nella corsa slovenaIl corridore dell’Uc Trevigiani mette Balmer alle sue spalle ed è secondo nella corsa slovena
Tu non ti sei mai lamentato del fatto di essere Elite, di essere costretto a un calendario forzatamente ridotto. Non ti pesa?
Lamentarsi non serve, sono sempre stato dell’idea che fa parte delle regole del gioco. Se non sei passato ne prendi atto, scegli che cosa fare. Io pensavo di smettere, poi però questo mondo mi piace a prescindere e sono andato avanti. Mi diverto, non mi pesa allenarmi, fare la vita del corridore. Anche per me come per gli altri l’obiettivo è sempre stato passare e finché sei in questo ambiente la speranza c’è sempre, ma se il passaggio non arriverà, almeno potrò dire di aver dato sempre il massimo e di non avere rimpianti.
Parlavi di speranza: tu sei senza procuratore, fai parlare per te i risultati, ma quella speranza ce l’hai sempre?
Altrimenti non sarei qui, io voglio continuare finché mi sarà possibile e mettendomi a disposizione se qualcuno si trovasse con un posto disponibile sapendo che qui c’è un corridore che in ogni gara dà il 110 per cento, anche, anzi soprattutto per gli altri. Se mi dicessero passi ma dovrai sempre tirare, io direi di sì e tirerei sempre… Oggi tutti i giovani che passano sono super ambiziosi ed è giusto che sia così, ma io posso garantire il mio impegno a favore di chi ha più chance di emergere.
La vittoria di Baseggio al Memorial Mantovani di fine marzo, rifilando distacchi pesanti (Photors)La vittoria di Baseggio al Memorial Mantovani di fine marzo, rifilando distacchi pesanti (Photors)
Eppure, facendo le dovute proporzioni, i risultati anche da parte tua non mancano…
Dall’inizio della stagione ho una vittoria e qualcosa come 17 Top 10, significa che sono sempre lì a lottare. Alcuni, proprio come quello di Kranj, hanno anche più valore considerando il livello di gara internazionale e la partecipazione.
In società che cosa dicono?
Sono contenti del mio rendimento, ma anche del mio comportamento: essendo uno dei più “grandi”, faccio un po’ da mediatore fra i più giovani e lo staff, contribuisco a fare gruppo, dando quel quid che poi serve anche in corsa. Non è neanche qualcosa che mi hanno chiesto nello specifico, mi fa piacere farlo, tutto qui.
Con Diego Beghini alla General Store-Essedibi nel 2020. Tante speranze non tutte realizzate (Photors)Con Diego Beghini alla General Store-Essedibi nel 2020. Tante speranze non tutte realizzate (Photors)
Tu non hai procuratore, hai mai provato a cercare direttamente un approdo in una continental magari estera? Di corridori italiani in giro per il mondo capita di vederne…
Non nascondo di averci pensato, ma servono i contatti. Ad esempio con i team asiatici che pure hanno budget interessanti, ma non basta avere un indirizzo mail e scrivere se non hai qualcuno che accompagna la proposta, che conosce, che può metterci una buona parola. Forse sono anche io che non mi ci metto più di tanto proprio perché per me chiudere a fine 2024 non sarà la fine del mondo. Ho studiato meccanica, in questo mondo ci si può rimanere anche in altre vesti. Io intanto continuo su questa strada, provando a fare risultato sempre sin dall’Astico-Brenta di domani, poi si vedrà.
La storia di Leo Hayter che si ferma e racconta tutto il brutto che gli passa per la testa ha continuato a risuonarci nelle orecchie. Il britannico non è il solo giovane corridore sottoposto costantemente a sollecitazioni da primo della classe, ma forse senza volerlo è diventato l’anello debole della catena e anche il più famoso. Altri smettono, ma non hanno gran nome e nessuno se ne accorge.
E’ difficile capire se la ragione sia solo nello sport o in un conteso più ampio. Per questo abbiamo chiesto alla dottoressa Manuella Crini di leggere le sue parole, cercando di capire cosa potrebbe esserci dietro. La psicologa di Alessandria ha collaborato con il Comitato regionale piemontese per una serie di tematiche fra cui l’ansia negli atleti più giovani e difficilmente riconduce tutto al ristretto ambito dello sport di elite, seppure da lì possa scoccare la scintilla che fa partire l’incendio.
Indubbiamente ci devono essere dei trigger, il grilletto che viene tirato affinché una patologia diventi manifesta. Indubbiamente la richiesta di prestazioni molto elevate può essere uno di questi. Quasi tutte le psicopatologie hanno una base familiare, una base genetica. Qualcosa che trasmettiamo, sia come immersione nell’ambiente relazionale primario, ma anche il modo di affrontare il dolore, di affrontare le sfide e le sconfitte. Dall’altro lato, per ciascuno di noi è una storia di vita individuale che ha comunque un peso. Hayter ha un fratello corridore, ma non è detto che due fratelli vivano la stessa esperienza familiare.
Che cosa vuol dire?
Anche due gemelli omozigoti crescono in modo diverso. Se io occupo la piastrella A, mio fratello non può occuparla quindi andrà sulla B, per cui vedrà già il mondo in modo diverso, anche se da soli 10 centimetri di distanza.
Esiste un’età nella quale sei pronto a sostenere certi stimoli legati alla richiesta di prestazioni elevate? Esiste una progressività nello stimolo dell’atleta oppure, col fatto che sono forti fisicamente, si suppone che siano fortissimi anche mentalmente?
Esisteva, una volta esisteva e dovrebbe ancora esistere. Però si è abbassata di molto e in tanti altri sport si è avvicinata a quella che nel calcio è sempre stata una soglia molto bassa. Nel calcio a otto anni o sei dentro o fuori. Si dovrebbe aspettare quantomeno la fine della pubertà (periodo che va dai 9 ai 14 anni, ndr) e l’inizio dell’adolescenza, ma ormai non si aspetta neanche quella. La competizione dovrebbe essere introdotta in adolescenza, sapendo che poi serve l’educazione per affrontarla. Fino alla pubertà in realtà, che tu vinca o perda, hai il tuo premio di partecipazione uguale per tutti. In seguito si inizia ad avere una distinzione, ma in ogni caso devi essere educato alla vittoria e alla sconfitta, che tu arrivi sul podio oppure ultimo. E come puoi reggere una pressione tanto elevata con un cervello in pieno cambiamento?
Leo Hayter e suo fratello maggiore Ethan: il piccolo è da sempre il fan numero uno del più grande (foto Instagram)Leo Hayter e suo fratello maggiore Ethan: il piccolo è da sempre il fan numero uno del più grande (foto Instagram)
Come?
E’ un bombardamento di cortisolo (un ormone la cui produzione aumenta in condizioni di stress psico-fisico severo, per esempio dopo esercizi fisici estremamente intensi e prolungati, ndr). Puoi viverla da incosciente oppure, se rifletti su quello che stai vivendo e senti la pressione del non essere riuscito, rischi di bloccarti. Ci sono ragazzi molto forti che arrivano davanti al test più severo e si bloccano, come lo studente davanti all’esame che dà più volte e non riesce a superarlo. Si allenano, sentono di essere forti, arrivano al giorno della gara, falliscono e si convincono che nessuna squadra li vorrà mai. Spesso dietro ci sono storie di vita, famiglie disintegrate e altri aspetti personali. E le famiglie spesso sono causa di problemi, tanto che parte del mio lavoro è formare gli istruttori e i tecnici su come gestire le famiglie. Perché spesso la famiglia è invasiva con le sue richieste. Il genitore che magari si improvvisa allenatore per avere anche qualche vantaggio economico, ma non sa nulla di quel mondo.
Hayter ha vinto il Giro d’Italia e nei due anni successivi ha iniziato ad avere questi problemi, smettendo di vincere. Prima hai parlato di educazione alla sconfitta…
Il valore della sconfitta, se viene legato al sentirsi un perdente, è tremendo perché diventa un fatto personale, soprattutto per il tardo adolescente che ancora non è nel mondo adulto al 100 per cento. Se non te lo hanno insegnato, non riesci a scollegare le cose. Ho vissuto una sconfitta e ci sono due possibilità. Se la sconfitta è là, fuori di me, allora l’approccio è giusto. Ma se la sconfitta è dentro di me, mi sento un perdente. E se io sono un perdente, devo ricoprire il ruolo che ho addosso. Mi comporto da perdente in maniera incoscia, inconsapevole, comunque non volontaria. E se mi sento perdente, non riesco più a gestire nulla. Forse allora con questi ragazzini e in chi lavora con loro, la cultura della sconfitta diventa fondamentale.
Vincendo la tappa di Pinzolo, Leo Hayter mette l’ipoteca finale sul Giro U23 del 2022Vincendo la tappa di Pinzolo, Leo Hayter mette l’ipoteca finale sul Giro U23 del 2022
Anche per guidarli nell’eventuale ripresa?
Certo, non basta ributtarli nella mischia e dirgli di andare: il lavoro deve iniziare da prima. Non dico che devi essere contento di essere sconfitto, ma devi saperti gestire. C’è stata polemica dopo la gara di Benedetta Pilato nel nuoto alle Olimpiadi. Mi è piaciuta molto, è arrivata a quarta invece l’hanno messa in croce perché era contenta di esserci riuscita. Però questa è la cultura, vorrei dire italiana ma credo dell’essere umano, per cui non c’è niente da festeggiare se non hai preso una medaglia. Invece poteva essere veramente una lezione di vita pazzesca. Ha festeggiato perché ha raggiunto un obiettivo che per lei era elevato, anche perché il primo posto è uno e non possiamo occuparlo tutti.
Una volta una rivista titolò, rivolgendosi a un atleta: se non vinci, non sei nessuno…
Il mondo dello sport secondo me è cresciuto per anni con gli atleti trattati come bestie. E se uno che ce l’ha fatta a suon di botte, ripropone lo stesso modello ritenendolo unico, la catena non si spezza. C’è una fetta di atleti che ha raggiunto degli obiettivi attraverso la mortificazione e quindi applica lo stesso modello, convinto che sia comunque valido perché in tanti casi ha funzionato. Ma se un modello funziona con me, non è per forza universalmente valido. Magari mi è solo andata bene. E poi siamo sicuri che abbia funzionato? Ha fatto di te un atleta migliore, ma vogliamo parlare della persona che sei diventato? Il successo non può essere ridotto solo alla vittoria della gara, c’è anche il successo della vita. E torniamo sempre al fatto che ci dimentichiamo che dietro l’atleta c’è un essere umano.
Benedetta PIlato e la sua esultanza a Parigi per il quarto posto nei 100 rana a un centesimo dal bronzo (foto coni.it)Benedetta PIlato e la sua esultanza a Parigi per il quarto posto nei 100 rana a un centesimo dal bronzo (foto coni.it)
Cosa faresti se Leo Hayter fosse un tuo paziente?
Intanto, come hanno già fatto, lo bloccherei per un po’ dalle gare, anche dal fargliele vedere. Cercherei di capire, non darei tutto il peso della malattia allo sport, perché credo sia sbagliato. Dietro questo ragazzo c’è un mondo, quindi mi focalizzerei più sulla persona da un punto di vista prettamente terapeutico, psicologico. E poi da un punto di vista più psicoeducativo, lavorerei molto sul significato della sconfitta, su quello che per lui la sconfitta può veramente voler dire, quindi sui suoi nuclei centrali. La tratterei come una depressione normale, nel senso che non darei neanche tutto questo peso allo sport. E poi se ad un certo punto non sarà in grado di tornare a correre, farà altro. Non cercherei di aiutarlo ad uscirne solo per poter fare sport, che invece mi sembra una delle cose su cui tutti puntano.
Racconta di essersi sentito in colpa mentre era in tribuna a vedere il fratello alle Olimpiadi.
Non andarci a vedere le gare, stanne un po’ lontano, disintossicati da quello che evidentemente ti fa star male! Vediamo come va. Poi, piano piano, si potrebbe procedere con una desensibilizzazione, perché non c’è solo la componente depressiva, ma anche una componente ansiosa non da poco, che è controllante. Perché devo andare a vedere le gare se sono fuori? Veramente sto facendo harakiri. Quindi forse lo terrei un po’ lontano e lavorerei, come davanti a una depressione qualsiasi, in maniera farmacologica e in maniera poi terapeutica sui significati.
Leo Hayter ha avuto un’adolescenza di successi e riconoscimenti, sfociati nel passaggio al professionismoLeo Hayter ha avuto un’adolescenza di successi e riconoscimenti, sfociati nel passaggio al professionismo
Quindi prima l’uomo e poi l’atleta?
Smetterei di trattarla come una malattia dello sport, perché non lo è. Poteva diventare depresso per colpa di qualcos’altro. Se nella vita invece che fare il ciclista avesse fatto il caporeparto al Bennet, chi mi dice che la pressione del lavoro non lo avrebbe destabilizzato comunque? Diciamo che lo sport di altissimo livello ha fatto da cassa di risonanza. Le aspettative nello sport indubbiamente sono un trigger più potente. Ci sono tante patologie di questo tipo, guardate gli attori, i cantanti… Dove c’è un’aspettativa molto alta e senti che non puoi fallire, allora è più facile che tu fallisca. Poi in generale c’è stato un aumento di disturbi d’ansia in tutti i ragazzini e anche negli adulti. Abbiamo tutti lo Xanax nella borsa, perché ormai non riusciamo più a tollerare di poter stare in ansia. L’ansia di fronte a eventi importanti della vita è una condizione normale, invece l’abbiamo patologizzata. E quindi ora c’è più probabilità di sviluppare delle patologie nei giovani, che sono meno attrezzati per fronteggiare tante cose. Non sono più capaci di lasciar andare, ogni ostacolo diventa insormontabile e alla fine crollano. E se leggete bene le sue parole, è quello che sta vivendo questo ragazzo.
Dario Cioni, allenatore di Ganna, apre la porta sul progetto record dell'Ora. Il perché della data. La pista. L'attività di Pippo. I materiali. E Bigham
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Gli europei in Limburgo sono dietro l’angolo e il reparto crono della nazionale azzurra somiglia ad una raccolta forzata del “ce l’ho ce l’ho manca”. Nelle ultime settimane il cittì Marco Velo ha dovuto tenere conto delle pesanti defezioni di molti suoi ragazzi per completare l’album dei convocati e ridisegnarne quindi la fisionomia.
Non mancherà solo Ganna, ma anche Lorenzo Milesi, Venturelli e Toniolli, fortunatamente dimessa dall’ospedale dopo il terribile incidente di metà agosto. Tutte assenze obbligate per diversi motivi, che tuttavia non spaventano Velo, pronto a tuffarsi nella full immersion continentale (in apertura, Edorado Affini). Il menù si apre mercoledì 11 settembre con le sei prove contro il tempo individuali una dietro l’altro senza respiro. Dalle 9 alle 16,30 per juniores, U23 ed elite sia femminili che maschili. Il giorno successivo, a cavallo del mezzogiorno, spazio alle crono del team mixed relay con juniores ed elite.
Stop forzato. Ganna fuori forma rinuncia agli europei. Per il cittì delle crono Velo una scelta giusta e condivisibileStop forzato. Ganna fuori forma rinuncia agli europei. Per il cittì delle crono Velo una scelta giusta e condivisibile
Organizzazione e coordinamento
Il primo passo per gli europei è raggruppare tutti gli atleti sparsi tra Europa ed Italia. Un lavoro organizzativo che riguarda da vicino lo stesso Marco Velo.
«Domani partiranno i mezzi con le bici da crono ed il resto dei materiali – spiega il tecnico bresciano – poi lunedì partiremo da Bergamo col blocco più grande dei convocati. Contestualmente avremo altre partenze da altri aeroporti in base ai rispettivi impegni. Cecchini da Treviso, Guazzini da Pisa che erano a casa a prepararsi. Affini e Cattaneo da Madrid reduci dalla Vuelta. Maestri e Masetti arriveranno dalla Francia dopo aver corso il GP Fourmies. E allo stesso modo dovremo prevedere le varie navette per recuperare tutti visto che arriviamo sugli aeroporti di Bruxelles, Charleroi ed Eindhoven. Anche l’aspetto logistico non è da sottovalutare quando i tempi sono così ristretti, ma ormai siamo abituati. Quando ci saremo tutti naturalmente cercheremo di fare le varie ricognizioni dei percorsi».
Cronoman. Cattaneo arriverà dalla Spagna con una condizione in crescendo e voglia di riscattoCronoman. Cattaneo arriverà dalla Spagna con una condizione in crescendo e voglia di riscatto
Occhi su sei categorie
Il primo giorno degli europei sarà da vivere “a tutta” proprio come in una crono. Velo è abituato anche a tenere sotto osservazione tanti atleti, dagli juniores ai pro’, ma come si gestisce questo impegno per essere sempre sul pezzo?
«Innanzitutto seguire tutte le categorie – risponde il cittì della crono – per me è un onore. So che non è sempre facile trovare la quadratura del cerchio, però mi appoggio sempre agli altri cittì: Daniele per i pro’, Paolo per le donne, Marino per gli U23 e Dino per gli juniores (rispettivamente Bennati, Sangalli, Marino e Salvoldi, ndr). Loro hanno tutti i loro atleti sotto osservazione. Per me è più facile con i pro’ perché lavorando anche nelle gare di Rcs Sport ho la possibilità di vederli più spesso, ma ormai anche con gli U23 e le donne ho la stessa possibilità. Sulla categoria juniores invece è un pochino più difficile, però riusciamo sempre a trovare gli accordi. E alla fine posso dire che i risultati comunque arrivano».
«Mercoledì – prosegue Velo – sarà una giornata intensissima. Partiamo con le donne juniores su un tracciato di soli 13,3 chilometri, poi tutte le altre cinque categorie correranno sulla distanza di 31,2. Giovedì invece saranno 52,3 chilometri sia per gli juniores che per gli elite nella cronosquadre mista. In alcune categorie sappiamo già chi schierare, in altre dobbiamo sciogliere qualche riserva. Comunque alcuni di loro correranno anche la prova su strada e sicuramente sarà un buon modo per trovare un po’ di ritmo».
Assenti Toniolli e Venturelli (qui con La Bella ad Euro 2023), ma la bella notizia è che la prima ha lasciato l’ospedale dopo il terribile incidente di metà agostoAssenti Toniolli e Venturelli (qui con La Bella ad Euro 2023), ma la bella notizia è che la prima ha lasciato l’ospedale dopo il terribile incidente di metà agosto
Assenze da digerire
La rinuncia di Ganna è arrivata come un fulmine a ciel sereno in casa azzurra. La sua assenza si aggiunge ad altre di pari livello per le categorie interessate. Velo ne prende atto senza fare drammi.
«Inizialmente Pippo agli europei – dice – avrebbe dovuto fare solo la crono individuale, poi è arrivata questa notizia che ci ha sorpreso. Alle Olimpiadi non avevamo avuto avvisaglie, ma ci sta che lui sia stanco. Pippo è chiaramente il faro italiano per le crono e non solo e ha fatto una scelta da capitano che condivido molto. Certo, mi dispiace molto non averlo. Ha avuto una stagione impegnativa a livello fisico e mentale. Dopo Parigi ha recuperato poco correndo subito al Deutschland Tour e al Renewi Tour. E’ umano, non un robot. Adesso è in altura per preparare il mondiale. Spero che recuperi al meglio e di averlo a disposizione per la Svizzera. Se così non fosse abbiamo valide alternative su cui contare. E in ogni caso, qualunque sarà la sua scelta, sarà sempre condivisa da noi».
Guazzini dopo il Giro Women ha ritrovato gamba e morale. L’oro olimpico nella madison può fare da spinta alla crono europeaGuazzini dopo il Giro Women ha ritrovato gamba e morale. L’oro olimpico nella madison può fare da spinta alla crono europea
«Negli U23, dove siamo campioni del mondo in carica – va avanti Velo – siamo messi uguale con l’assenza di Lorenzo Milesi che non è in condizione. Nelle donne U23 invece siamo stati molto sfortunati. Venturelli è ancora alle prese col polso rotto agli europei in pista, mentre Toniolli sappiamo tutti cosa le è successo. A lei mando un grosso in bocca al lupo. Sono felice e sollevato che sia uscita dall’ospedale ed ora è giusto che pensi a tornare ad avere una vita normale prima di rimettersi in bici. Noi la aspettiamo. Sia Federica che Alice l’anno scorso da juniores erano state due pedine fondamentali per vincere l’oro nel team relay e sono certo che lo sarebbero state anche tra le U23».
Fondamenta e aspettative
La crono va cercata e allenata. Il ritornello è sempre quello da tempo e i risultati nelle competizioni internazionali non possono prescindere da quel dogma. Velo lo ripete a mo’ di litania, mentre approccia qualche previsione.
«Sotto i pro’ – puntualizza l’ex tre volte campione italiano a crono – mancano le prove contro il tempo. Personalmente spero sempre che ne inseriscano di nuove, oltre che sperare che i diesse facciano fare ai loro giovani allenamenti sulla bici da crono almeno due volte la settimana. Nelle grandi corse a tappe vediamo come andare forte a crono sia sempre fondamentale».
Esordio azzurro. Maestri (classe ’91) correrà il Team Mixed Relay. Per Velo un ottimo innesto, pieno di motivazioniPromozione. Dopo la maglia azzurra nelle giovanili, prima volta per Masetti tra le grandi e doppio impegno tra mixed relay e stradaEsordio azzurro. Maestri (classe ’91) correrà il Team Mixed Relay. Per Velo un ottimo innesto, pieno di motivazioniPromozione. Dopo la maglia azzurra nelle giovanili, prima volta per Masetti tra le grandi e doppio impegno tra mixed relay e strada
«Diventa difficile – conclude Velo – azzardare dei pronostici, però forse posso sbilanciarmi di più sulle prove di squadre che individuali. Con gli elite nel team relay abbiamo un sestetto da medaglia. Agli europei siamo sempre andati a podio e onestamente mi brucia ancora il mondiale del 2022 perso per tre secondi. Abbiamo chiamato Maestri, corridore esperto che quest’anno ha dimostrato di andare forte, ma “giovane” per la nazionale visto che è alla sua prima maglia azzurra. Siamo certi che arriverà molto motivato e preparato. Stesso discorso per Gaia Masetti alla sua prima chiamata con le grandi, che farà pure la prova su strada.»
Anche tra gli juniores l’Italia può fare molto bene nella cronosquadre mista, considerando proprio che è campione in carica. «Abbiamo Montagner e Finn, quest’ultimo campione italiano, cui si aggiungerà Magagnotti, col morale alto dal titolo iridato nel quartetto. Tra le ragazze dobbiamo decidere fra quattro».
Raccagni Noviero ha vinto il tricolore U23 a crono. Arriva da una buona stagione. Al via anche Nicolas Milesi, vicecampione italianoRaccagni Noviero ha vinto il tricolore U23 a crono. Arriva da una buona stagione. Al via anche Nicolas Milesi, vicecampione italiano
Le prove individuali sono più complicate da decifrare senza alcuni atleti di riferimenti, ma si può puntare a fare risultato. «Tra le donne juniores vale il discorso del team relay, dobbiamo scegliere, mentre per i maschi l’incognita è la distanza. Più di trenta chilometri sono tanti, roba che si vede nelle gare a tappe dei pro’. Negli U23 abbiamo Raccagni Noviero e Nicolas Milesi, ovvero i primi due del campionato italiano che si sono preparati bene. Nelle donne c’è Cipressi, anche lei sempre a suo agio a crono, che sta recuperando da un piccolo malanno di stagione. Infine negli elite abbiamo Affini e Cattaneo che dovrebbero arrivare con una buona condizione data dalla Vuelta e che domani vorranno fare bene nell’ultima tappa a crono a Madrid. Tra le ragazze Guazzini e Pirrone stanno pedalando bene nell’ultimo periodo e anche loro daranno il massimo».
Dopo averla... preparata nei giorni scorsi, rileggiamo con Malori la crono di Tokyo per capire che cosa insegna. Da Roglic a Ganna, passando per Van Aert
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BOLANO – La terza giornata del Giro della Lunigianamette in menu due semitappe completamente differenti l’una dall’altra. Al mattino, con partenza da Sarzana, è andata in scena una frazione dedicata ai velocisti. Appena 37 chilometri che il gruppo si è sciroppato in meno di un’ora. A Marina di Massa vince il belga Aldo Taillieu davanti all’umbro Cornacchini e al francese Sparfel. Il belga mette nel sacco un altro sigillo importante dopo la Kuurne-Brussel-Kuurne e i campionati nazionali a cronometro. A Bolano invece arriva la vittoria di Remelli e Seixas conferma la sua leadership.
«Un gran bello sprint – commenta – sapevamo di dover rimanere davanti per tutta la tappa e così abbiamo fatto. Devo ringraziare i miei compagni di squadra per avermi pilotato al meglio e permesso di vincere. E’ un bel segnale in vista dei campionati europei, quello che mi serviva per arrivare con la massima fiducia».
Il Belgio ha condotto tutta l’ultima parte della prima semitappa (Foto Duz Image / Michele Bertoloni)Taillieu ha messo la firma su un grande lavoro di squadra (Foto Duz Image / Michele Bertoloni)Il Belgio ha condotto tutta l’ultima parte della prima semitappa (Foto Duz Image / Michele Bertoloni)Taillieu ha messo la firma su un grande lavoro di squadra (Foto Duz Image / Michele Bertoloni)
Pomeriggio movimentato
Il profilo della seconda semitappa di giornata, da Sestri Levante a Bolano, è mosso e aperto a tante sorprese. La più grande è la vittoria del veneto Cristian Remelli, il corridore dell’Autozai Contri è stato bravo a mettere nel sacco i favoriti, anticipandoli prima dello strappo finale. Una salita di 4 chilometri con rampe superiori al 15 per cento che ti guardano negli occhi scovando ogni incertezza. Non ne ha avute Remelli, il quale ha preso di petto la salita e a testa bassa ha portato a casa la terza vittoria stagionale.
«La più bella dell’anno – dice mentre ancora con lo sguardo cerca di capire se è tutto un sogno o se è successo davvero – nonostante tutto. Sapevo che se avessi aspettato Finn e il francese (Seixas, ndr) non avrei avuto occasioni. Prima dell’ultimo strappo, a due chilometri dall’arrivo, ho anticipato tutti insieme a Garbi. Siamo compagni di squadra all’Autozai e oggi mi ha dato una grande mano, lo devo ringraziare. Purtroppo, il primo giorno sono uscito subito di classifica ma la vittoria di oggi pareggia il dispiacere, anzi direi che lo supera».
Nel pomeriggio i festeggiamenti sono toccati alla Rappresentativa del Veneto grazie a RemelliLe rampe di Bolano hanno premiato il coraggio del corridore della AutozaiNel pomeriggio i festeggiamenti sono toccati alla Rappresentativa del Veneto grazie a RemelliLe rampe di Bolano hanno premiato il coraggio del corridore della Autozai
Finn all’arrembaggio
Il mare azzurro della Baia del Silenzio di Sestri Levante è soltanto un colore sullo sfondo del paesaggio di Bolano. Dal mare i ragazzi sono passati alla montagna, accarezzando le colline dolci della Liguria. Dietro queste però si nascondeva Lorenzo Finn, il quale ha provato a scombussolare i piani della Francia.
«Ho attaccato fin dai primi chilometri – spiega mentre si dirige verso i rulli – perché pensavo di poter mettere in crisi i francesi. Alla fine ho aspettato l’ultima salita e forse non è stata la decisione migliore, però la gamba era buona. Il gruppo era ancora numeroso ai piedi di Bolano, mi aspettavo una selezione maggiore. Ci sono stati diversi scatti e contro scatti, ho dovuto chiudere in prima persona sui francesi. Di certo non finisce oggi la corsa, domani è un giorno nuovo con altrettante occasioni da cogliere».
Finn accusa due secondi sul rivale francese (Foto Duz Image / Michele Bertoloni)Dopo l’arrivp un breve scambio di saluti tra Seixas e Finn Il ligure gira le gambe sui rulli, domani è un altro giorno e ci riproveràFinn accusa due secondi sul rivale francese (Foto Duz Image / Michele Bertoloni)Dopo l’arrivp un breve scambio di saluti tra Seixas e Finn Il ligure gira le gambe sui rulli, domani è un altro giorno e ci riproverà
La Francia sorride
Paul Seixas mantiene la vetta della classifica generale. Anzi aumenta anche il vantaggio nei confronti di Finn grazie all’abbuono del secondo posto e ai due secondi di distacco messi tra lui e il ligure. Il pugno in segno di soddisfazione quando gli dicono del vantaggio incrementato fa capire che la corsa del talento transalpino era indirizzata completamente verso Finn.
«Mantenere la maglia – racconta Seixas – è un grande risultato per oggi. All’inizio della tappa non mi sentivo molto bene di gambe. Non ho fatto alcun tipo di riscaldamento prima del via e sentivo i muscoli un po’ duri. Quando Finn ha attaccato a inizio tappa gli sono stato dietro con un po’ di fatica ma poi le sensazioni sono migliorate chilometro dopo chilometro. Tanto che nel finale di tappa ho attaccato in prima persona, mi sentivo super bene. Ho fatto uno sforzo non indifferente per arrivare secondo e prendere l’abbuono. Non ho seguito l’attacco del veneto perché la tappa non era la mia priorità».
«La nostra strategia – continua la maglia verde – era mettere pressione a Finn e così abbiamo fatto. Durante la salita finale abbiamo attaccato a turno costringendolo a muoversi visto che era da solo. All’inizio della tappa mi sono detto che fosse un contendente molto forte, poi nel finale l’ho visto un po’ in difficoltà e ne ho approfittato. La nostra tattica era di sfiancarlo ed ha funzionato abbastanza bene grazie al lavoro dei miei compagni. Domani dovremo lavorare ancora tanto, il distacco non è così ampio da farci stare tranquilli».
E’ recente la notizia che l’europeo gravel 2024 si terrà ad Asiago il prossimo 13 ottobre. Una data che ha sollevato più di qualche perplessità da parte di chi il gravel lo pratica tutto l’anno, com’è il caso di Mattia De Marchi, tra i più forti italiani della disciplina (in apertura al mondiale 2023). Lo abbiamo raggiunto al telefono mentre è impegnato al Giro del Friuli, per farci raccontare la sua opinione a riguardo (e il problema, abbiamo scoperto, non è solo questione di date).
Sesto alla Monsterrando Gravel di domenica scorsa, De Marchi sta ora correndo il Giro del Friuli su strada (foto Chiara Redaschi)La gara piemontese, complice il caldo, si è rivelata durissima, con dislivelli importanti (foto Chiara Redaschi)Sesto alla Monsterrando Gravel di domenica scorsa, De Marchi sta ora correndo il Giro del Friuli su strada (foto Chiara Redaschi)La gara piemontese, complice il caldo, si è rivelata durissima, con dislivelli importanti (foto Chiara Redaschi)
Mattia, come vedi questo prossimo europeo gravel?
Non benissimo sinceramente. La prima cosa è la data scelta, il 13 ottobre. Sembra sia stata decisa pensando solo agli stradisti e non a chi fa gravel tutto l’anno.
Perché?
Perché proprio quel giorno c’è una gara molto importante in Spagna (la finale del circuito Gravel Earth Series, ndr), alla quale, se vogliamo correre l’europeo, dovremo rinunciare. Difficile non pensare che quella data sia stata presa perché il giorno prima si corre il Giro di Lombardia, cercando così di attirare i professionisti. Allora, mi dico: se la principale preoccupazione è quella, che facciano direttamente una gara gravel solo per i professionisti su strada. Con la possibilità che poi alla fine non vengano, ovviamente. Questo mi ha dato fastidio perché mi è sembrata una mancanza di rispetto, non ci voleva tanto a controllare il calendario. Devo dire poi che una recente intervista di Pippo Pozzato (che svolge funzione di supporto agli organizzatori di Flanders Classics, ndr) non mi è piaciuta granché, perché nomina solo i pro’. Quindi ecco, come praticante del gravel tutto l’anno mi sento un po’ preso in giro.
Lo scorso mondiale gravel è stato vinto a Treviso da Matej MohoricFra le stelle al via c’era anche Wout Van Aert, amante del fuoristrada, ma ormai soprattutto stradistaLo scorso mondiale gravel è stato vinto a Treviso da Matej MohoricFra le stelle al via c’era anche Wout Van Aert, amante del fuoristrada, ma ormai soprattutto stradista
Per quanto riguarda il percorso invece, come lo vedi?
Il percorso lo conosco bene, ma è il più facile che si potesse fare. Dicono che il 70 per cento è sterrato, ma per mia esperienza diretta so invece che tante di quelle strade sono asfaltate. L’altopiano di Asiago lo conosco benissimo e c’erano molte altre alternative. L’obiettivo secondo me doveva essere spingere il posto nella sua interezza e credo che in questo senso si sia persa un’occasione. Voglio dire: si correrà su un anello che solitamente fanno fare alle famiglie con le e-bike. Mi auguro che questo evento faccia comunque conoscere il territorio, credo solo ci fosse un modo migliore per farlo conoscere, tutto qua.
Tu comunque parteciparei, giusto?
No, non andrò. Mi pesa moltissimo dire di no alla maglia azzurra, ma avevo questa gara in Spagna programmata da mesi e alla fine ho deciso di andare.
Una scelta non facile…
Rinuncio e basta, però non è un modo corretto di fare. Oltre al fatto che annunciare il tutto poco più di un mese prima rende ogni cosa complicata. Piuttosto forse era meglio non farlo, questo europeo. Quando sono iniziate a girare le voci su questa data, avevo anche scritto all’UEC, che ha in mano l’organizzazione, per fargli presente il problema. Non mi hanno mai risposto. Ad un certo punto c’erano corridori che mi scrivevano per chiedermi informazioni in quanto italiano, ma io non sapevo niente. Il rischio grande così facendo è di bruciarsi tutta una fetta di atleti e poi diventa un problema serio.
Lo standard delle gare gravel in Europa e negli USA – qui The Rift Iceland – prevede percorsi meno… educati (foto hrrypwll.com)Ecco Mattia De Marchi alla Serenissima Gravel 2023: la gara ha avuto il merito di portare i pro’ nella specialitàLo standard delle gare gravel in Europa e negli USA – qui The Rift Iceland – prevede percorsi meno… educati (foto hrrypwll.com)Ecco Mattia De Marchi alla Serenissima Gravel 2023: la gara ha avuto il merito di portare i pro’ nella specialità
Cioè?
Cioe se noi decidiamo di non correre più agli eventi perché non ci sentiamo un minimo tutelati, e di non parlare più del gravel ogni giorno come facciamo da anni, anche chi organizza rimane fregato. Noi siamo nel nostro piccolo delle persone influenti che il gravel lo fanno tutto l’anno e in qualche modo tengono su la baracca. Finché c’è questo genere di approccio è difficile che riusciamo ad attirare corridori di livello. Noi siamo obbligati ad andare in America e loro, se le cose restano così, non verranno mai di qua. Dopo aver visto il percorso del primo mondiale gravel, gli americani non volevano venire al secondo, per dire. Hanno chiesto a me e io gli ho detto che invece valeva la pena. Ma capite bene che, di nuovo, se le cose si fanno così c’è il forte rischio di bruciarsi un sacco di opportunità.
Ti senti di dare qualche consiglio, magari per i prossimi anni?
Io, come avevo scritto all’UEC, sono a disposizione per dare consigli. Non saprei come organizzare un evento, ma sono nel giro da anni e quel mondo credo di conoscerlo. Spero che Flanders Classic veda potenzialità nelle nostre zone per fare qualcosa di davvero interessante qui, che investano nei nostri territori. Io, ripeto, sono e resto a disposizione.