L’estate rovente della bicicletta riserva delle sorprese (tecniche)

04.09.2024
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La tecnica della bicicletta non si ferma neppure in un momento dell’anno dove molte delle novità sono state presentate e viste. Non c’è più stagione e il mondo dei professionisti è un costante banco di test, anche e soprattutto di prodotti che vedremo tra qualche tempo.

Tour de France e Olimpiadi, ma anche Vuelta, Deutschland Tour e curiosità interessanti arrivano anche dal Tour de France Femmes.

Una Lapierre tutta nuova?

L’abbiamo intravista durante il Tour de France Femmes, prima in dotazione ad Evita Muzic, che ha ben figurato all’Alpe d’Huez con il quarto posto, ma utilizzata anche da Grace Brown e compagne. Lapierre non è più nel WorldTour maschile, ma prosegue la sponsorizzazione delle ragazze del Team FDJ-Suez.

La bicicletta mantiene le caratteristiche classiche che hanno reso celebre l’azienda francese, ovvero i foderi obliqui staccati dal piantone e una forma “sottile”. Il nuovo modello mutua la zona dello sterzo dalla versione aero Aircode, quindi più abbondante rispetto alla Xelius tradizionale. Si nota un importante fazzoletto di rinforzo nella zona del nodo sella ed il reggisella non è rotondo. Vedremo nei prossimi mesi se questa novità verrà confermata.

Evenepoel e le sue scarpe

Quelle che hanno attirato maggiormente la nostra attenzione sono state le scarpe utilizzate durante la Grande Boucle, un modello non ancora presente nel listino ufficiale Specialized. Profilo laterale sottile e ribassato, pianta e sezione frontale larga. Un solo rotore Boa laterale che agisce su una fibbia superiore e un velcro nella sezione mediana/frontale che tira su una sorta di bandella sdoppiata.

Alle Olimpiadi invece non sono state utilizzate, perché il corridore belga ha utilizzato le S-Works con le stringhe.

Finalmente si vedono le Vision 37

Sono state utilizzate durante le corse estive più impegnative in fatto di dislivello positivo, viste sulle bici del Team Bahrain-Victorious. Sono le ruote più basse e leggere del lotto SL grazie ai 1.290 grammi dichiarati e sono con cerchio tubeless.

Le ruote Vision usate dagli Astana, se pur simili per estetica, a nostro parere non sono lo stesso modello, sembrerebbe con cerchio predisposto per tubolare e la versione da 40.

Qualcosa dal passato

Di tanto in tanto ci sono ancora atleti che utilizzano la guarnitura 53-39, una combinazione quasi scomparsa dai radar. E’ il caso di Rudiger Seling dell’Astana che usa questi rapporti sulla sua bicicletta.

Abbiamo scovato anche un Jonathan Milan che durante le sue vittorie al Lidl Deutchland Tour ha utilizzato i vecchi shifters Sram e non l’ultima versione del pacchetto Red.

Gomme TT usate da Yates e non solo lui
Gomme TT usate da Yates e non solo lui

Gomme TT per tutti i giorni

Adam Yates è solo un esempio di corridori che utilizzano gli pneumatici in versione time trial anche per le gare in linea, naturalmente sulla bicicletta tradizionale. La realtà dei fatti dice che molti atleti di team differenti adottano questa soluzione, soprattutto quelli con gomme Continental tubeless.

Le motivazioni principali potrebbero essere legate ad una maggiore scorrevolezza e peso leggermente inferiore a parità di sezione. Di sicuro i professionisti non si pongono il problema dei costi e dell’eventuale sostituzione di una gomma che sfiora i 100 euro (o poco meno) al pezzo.

Un paio di Swiss Side con cerchio dal profilo ridotto
Un paio di Swiss Side con cerchio dal profilo ridotto

Swiss Side, nuova ruota per scalatori?

Qualcosa avevamo visto al Tour de France, ma una sorta di conferma arriva dalla Vuelta anche grazie al primato di Ben O’Connor. L’azienda svizzera ha messo a punto una ruota con cerchio dal profilo ridotto (38 millimetri), che non sacrifica i concetti aerodinamici sui quali si basa Swiss Side.

La ruota menzionata farebbe parte della famiglia Hadron2 e volendo fare un accostamento, anche in termini di resa tecnica, non si discosterebbe dalla DT Swiss ARC38. Le due aziende rosso-crociate collaborano attivamente insieme, condividendo tecnologie e fasi di produzione.

La monocorona di Roglic alla Vuelta

E’ stata una delle scelte tecniche che ha permesso a Roglic di vincere il Giro d’Italia 2023. Lo sloveno è amante della monocorona anteriore e di un pacchetto di pignoni ampio (in fatto di dentature e sviluppi metrici) per il posteriore. La scelta per la sua bicicletta viene replicata alla Vuelta, nella tappa con il durissimo arrivo a Caitu Negru. 46 denti per la corona anteriore e la scala 10-44 per i pignoni, scelte che non avremmo mai immaginato qualche stagione addietro. Per le tappe “normali” Roglic è solito utilizzare la doppia corona 52-39 e una scala pignoni 10-33 (Sram).

Dotazione tutta nuova (o quasi) per Bettiol

Dopo le Olimpiadi di Parigi il campione Italiano ha ufficializzato il passaggio dalla EF Education-Easy Post al Team Astana. Il cambio è stato di quelli importanti anche sotto il profilo tecnico. Oltre la metà della stagione, Bettiol è passato da una bicicletta Cannondale ad una Wilier Filante SLR. Le due bici hanno in comune le selle Prologo, le trasmissioni Shimano Dura Ace e le ruote Vision gommate Vittoria.

Sono cambiati anche il casco (da Poc a Limar) e l’abbigliamento (da Rapha a Biemme). Curioso e sicuramente non immediato il passaggio tra i pedali SpeedPlay e gli Shimano.

La pista junior ha una… Stella: per Davide altri due mondiali

04.09.2024
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Salvoldi era stato buon profeta. A inizio stagione aveva indicato in Davide Stella l’ideale trait d’union per il gruppo junior della pista, mutuando l’esperienza acquisita lo scorso anno e trasmettendola ai nuovi arrivi. Il corridore del Gottardo Giochi Caneva ha svolto il compito come meglio non si poteva, innanzitutto entrando nel quartetto (dove lo scorso anno da novizio era riserva) e pilotandolo verso l’oro e il record mondiale, poi condendo la sua partecipazione ai mondiali di categoria in Cina con l’oro nell’eliminazione e l’argento nella madison.

Stella insieme a Salvoldi, che gli ha affidato la guida del gruppo essendo un secondo anno
Stella insieme a Salvoldi, che gli ha affidato la guida del gruppo essendo un secondo anno

Considerando europei e mondiali, Stella vanta ben 10 presenze sul podio con 7 titoli vinti. Un vero animale da pista, uno di quei gioielli che, nel normale periodo di rinnovamento postolimpico, va curato con massima attenzione. Il friulano d’altronde è uno di quelli davvero innamorati della pista, ne fa un caposaldo del suo futuro anche se l’attività su strada resta primaria.

Tornato dalla Cina, ha ancora negli occhi non solo la gioia dei risultati, ma anche le sensazioni provate in una trasferta così lontana: «E’ stata una manifestazione strana, diversa. Mi hanno colpito i panorami, le costruzioni, i modi di fare della gente. Inizialmente rimani un po’ interdetto, poi ci fai l’abitudine e anzi apprezzo questo sport che mi permette di vivere esperienze simili».

Battute finali dell’eliminazione, Stella precede Cordoba (ESP) e Menanteau (FRA)
Battute finali dell’eliminazione, Stella precede Cordoba (ESP) e Menanteau (FRA)
C’era gente ad assistere alle gare?

Tantissima, in certi giorni c’era il pienone, con striscioni e tanto tifo per i corridori locali, ma non solo per loro perché anche altre tifoserie, seppur con poca gente al seguito si facevano sentire. In questo senso è stato molto bello, un mondiale vissuto profondamente. Un mondiale anche di altissimo livello e lo dimostrano i tempi conseguiti. La pista era molto veloce e la concorrenza enorme, sia nelle prove contro il tempo che in quelle di gruppo. I risultati ottenuti sono stati sudati, posso assicurarlo.

Com’era l’ambiente in casa azzurra?

Molto sereno e questo ha favorito i risultati. Devo dire che Dino ha lavorato molto sul gruppo, cercando di trovare subito un’intesa sin dall’inizio dell’anno. Il risultato è stato che si è formato un gruppo unito, di amici prima che atleti, sembrava quasi di stare in vacanza quando eravamo lontani dalle bici. Questo era avvenuto già prima degli europei e in Cina si è visto ancora di più.

Il quartetto azzurro con Costa, Stella, Magagnotti e Fantini. Il nuovo record è 3’51″199
Il quartetto azzurro con Costa, Stella, Magagnotti e Fantini. Il nuovo record è 3’51″199
Lo scorso anno era già arrivato l’oro e il record mondiale e sembrava quasi impossibile riuscire a fare meglio cambiando completamente formazione. Come ci siete riusciti?

Molto del merito è del cittì che ci ha preparato al meglio. Dopo la vittoria nell’europeo, ci ha chiesto quali fossero le nostre intenzioni e noi abbiamo detto che l’oro mondiale non ci bastava, volevamo migliorare il primato. Dino ha lavorato per questo, portandoci in altura a Livigno, lavorando a Montichiari, curando la coesione del gruppo e gli automatismi.

Quali erano i ruoli?

Costa era al lancio, poi toccava a me rilanciare l’andatura e tenere alto il ritmo per passare poi la mano a Magagnotti e posso assicurare che quando tira lui non è facile stargli dietro. A chiudere poteva essere lo stesso Magagnotti oppure Fantini. Posso anzi dire che proprio lui è stata la sorpresa. A inizio stagione so che c’era qualche dubbio sui suoi requisiti, era meno performante degli altri ma Salvoldi ha continuato a crederci e lui è venuto fuori al momento giusto.

Argento nella madison insieme a Sporzon, battuti solo dai belgi Huysmans e Van Strijthem
Argento nella madison insieme a Sporzon, battuti solo dai belgi Huysmans e Van Strijthem
Tu però non ti sei limitato al quartetto, portando a casa anche un oro nell’eliminazione e un argento nella madison…

Sinceramente all’eliminazione ci puntavo perché è la specialità che mi viene meglio e che mi piace di più, ma inizialmente non doveva toccare a me ma a Bortolami. Poi Salvoldi ha cambiato le assegnazioni il giorno prima, così mi sono ritrovato a farla. Che devo dire, è una specialità che mi viene bene… Il giorno dopo c’era la madison, Salvoldi aveva pensato di evitarmi lo sforzo precedente, ma a dir la verità non ho sentito la fatica. Abbiamo chiuso secondi ma potevamo anche vincere, solo che Sporzon è caduto e riprendendo ci siamo trovati sfalsati rispetto a quanto stabilito, ossia lui sprintava nei turni che spettavano a me e viceversa. Questo ci ha creato qualche problema, senza la sua caduta sono convinto che ce la giocavamo.

Hai ormai un curriculum enorme, hai intenzione di continuare nei velodromi?

Sicuramente, era una conditio sine qua non per la squadra nella quale passerò, l’ho detto a ogni contatto che ho avuto. La squadra l’ho già scelta, ma mi hanno chiesto di non dire ancora nulla, comunque mi lasceranno carta bianca per fare attività su pista.

Stella (a destra) vince il GP DMT prima di partire per Luoyang. Sconfitti Stefanelli e Fabbro (foto Rodella)
Stella (a destra) vince il GP DMT prima di partire per Luoyang. Sconfitti Stefanelli e Fabbro (foto Rodella)
Lo scorso anno avevi detto che per emergere su pista avevi un po’ trascurato la strada. Come ti sei regolato quest’anno?

Avevo deciso di dedicarmi di più alle gare su strada soprattutto nella prima parte di stagione per poi passare alla pista per le gare titolate. Le mie soddisfazioni me le sono prese con tre vittorie fino a maggio e il successo al GP DMT proprio prima di partire per la Cina. Rispetto allo scorso anno è arrivata qualche vittoria in più, ora mi aspetta il Lunigiana da affrontare con la condizione acquisita in pista, ma sfruttando anche il grande carico di lavoro svolto a Livigno.

Epis e Milesi, come sta andando nel devo team dell’Arkea?

04.09.2024
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Fra le tante… migrazioni degli U23 italiani verso i development team, ce ne sono due che forse non hanno fatto clamore come altre. Quella di Giosuè Epis e Nicolas Milesi di accettare la proposta della Arkea-B&B Hotels Continentale rappresenta una scelta di volontà di crescita importante.

Circa 40 giorni di gara per entrambi, di cui un terzo disputati con la formazione WorldTour. Tuttavia per Epis e Milesi la stagione finora ha viaggiato su due binari diversi per differenti validi motivi (in apertura al campionato italiano U23, photors.it). Ne abbiamo parlato con loro, cercando di capire anche se, al netto di tutto, la decisione di andare all’estero stia ripagando o meno.

Epis vuole finire in crescendo la stagione. Al Giro del Friuli cercherà continuità di prestazioni e risultati
Epis vuole finire in crescendo la stagione. Al Giro del Friuli cercherà continuità di prestazioni e risultati

Maledetta primavera

Oggi Epis è in gara al Giro del Friuli (fino al 7 settembre) con la speranza di ritrovare il giusto colpo di pedale e di conseguenza un morale sereno. Il suo 2024 ha avuto un avvio che definire travagliato è quasi un complimento.

«Per le aspettative che avevo – spiega il ventiduenne bresciano – non è stato un anno facile. Non sono molto contento, mi sento soddisfatto al 70 per cento se considero tutto. In realtà speravo in maggiori risultati e prestazioni. Non sono mancati, però avrei voluto più continuità di rendimento. La sosta forzata di 40 giorni a fine marzo ha decisamente condizionato la mia annata, sia dal punto di vista fisico che mentale».

Tutta colpa del valore della troponina (un enzima di natura proteica presente nel muscolo scheletrico e cardiaco) durante un check-up di routine della squadra. Il suo indice segnalava una sofferenza del cuore, che comunque appariva inizialmente sotto controllo ed invece no.

«Ricordo che ero a Linate – prosegue Epis – e stavo salendo sul volo per andare a correre il Circuit des Ardennes in Francia, quando mi hanno chiamato con urgenza dicendomi di scendere. Non potevo correre perché non avevo il benestare dei dottori. Infatti i valori, dopo alcuni accertamenti, erano troppo alti e sarebbe stato pericoloso. Mi è caduto il mondo addosso, perché ho dovuto fare subito una settimana di ospedale e poi è stata una lunga trafila. Nei primi giorni ho pensato più volte di smettere, poi ho ritrovato la motivazione».

Un Giosuè nuovo

Epis ha riattaccato il numero sulla schiena il primo maggio a Francoforte, nella classica per U23, ma solo a fine mese ha ripreso veramente, praticamente a due mesi di distanza dall’ultima corsa. E da lì la lunga rincorsa fino ad oggi.

«Sono rientrato all’Alpes Isère – continua Epis – dove ho raccolto due piazzamenti, di cui un terzo posto in volata. Ero in crescita, mi serviva correre. Poiché la nostra squadra non era stata invitata al Giro NextGen, avrei dovuto correrlo con la nazionale di Amadori, ma alla fine sono stato mandato allo ZLM Tour, trovando un altro piazzamento per il morale. Tutto sommato, se riguardo indietro a ciò che è successo, va bene così, però ora voglio solo fare bene il finale di stagione iniziando proprio dal Giro del Friuli».

Epis e Milesi hanno corso quasi una decina di gare con l’Arkea WT. Qui assieme alla Coppi&Bartali però col devo team
Epis e Milesi hanno corso quasi una decina di gare con l’Arkea WT. Qui assieme alla Coppi&Bartali però col devo team

I miglioramenti di Milesi

Nelle ultime ore è arrivata la convocazione di Milesi per l’europeo in Belgio (dall’11 al 15 settembre) sia per la crono che per la strada, anche se la formazione verrà ufficializzata dopo l’attuale ritiro al Sestriere. Per il 20enne bergamasco di Parre l’annata finora è andata bene ed è servita per incamerare esperienze nuove.

«Sono migliorato tanto in ogni campo – racconta Nicolas – dalla resistenza alle gare dure fino alla crono, in cui già andavo bene. Mi piacciono le corse del Nord, che sono adatte alle mie caratteristiche. Ho avuto diverse occasioni, alcune delle quali potevo fare meglio ed un paio di buone top ten sono arrivate. Peccato per il secondo posto al campionato italiano a crono (a 25” da Raccagni Noviero, ndr), dopo quello dell’anno scorso. Mi ero preparato bene allo ZLM Tour, ma non ho nulla da recriminare».

Se la maglia azzurra era uno degli obiettivi del 2024, anche alcune successive gare lo saranno. «Visto che abbiamo corso molto all’estero, sarebbe bello fare bene in quelle italiane. Penso al Piccolo Lombardia sulle strade vicino a casa».

Scelta giusta

Anche in considerazione delle rispettive annate, l’ultima domanda ai due lombardi del devo team dell’Arkea è relativa alla scelta di lasciare le proprie formazioni U23 italiane per l’estero. Giusta o affrettata?

«Per quanto mi riguarda – dice Epis, che ha ottenuto 8 vittorie totali nei tre anni da “dilettante” in Italia – la rifarei senza pensarci. Ci tengo a specificare che con la Zalf, la mia ex squadra, mi sono lasciato bene e che hanno compreso la mia volontà di voler guardare cosa c’è oltre il nostro confine. E’ un modo di crescere, facendo anche un’esperienza di vita un po’ più ampia. E non sottovalutiamo che quest’anno ho avuto modo di correre per tante volte col team WorldTour, dove impari a curare i dettagli. In Italia non mi sarebbe mai potuto capitare. Certo, col senno del poi, cercherei di fare meglio certe cose, ma ripeto, non sono pentito della mia scelta, tant’è che ho rinnovato anche per l’anno prossimo».

Azzurro. Milesi quest’anno con la nazionale ha corso l’Orlen Grand Prix in Polonia. E’ appena stato convocato anche per l’europeo in Belgio
Azzurro. Milesi quest’anno con la nazionale ha corso l’Orlen Grand Prix in Polonia. E’ appena stato convocato anche per l’europeo in Belgio

Stessa lunghezza d’onda anche per Milesi, forse con ancora meno dubbi. «Anche nel mio caso non ho avuto problemi con la Colpack, con cui avrei potuto continuare. Anche loro hanno capito l’opportunità che mi veniva offerta. Sicuramente non è stato facile all’inizio perché cambiava tutto, a partire dalla lingua, ma l’ambientamento è andato bene, grazie anche a Giosuè. Avere un compagno italiano aiuta ad integrarsi meglio».

«Il calendario dei devo team – conclude Milesi – è un’altra cosa rispetto a quello italiano. Ti dà un’altra consapevolezza. Puoi confrontarti su percorsi diversi, con rivali che cambiano quasi ad ogni corsa, tra i migliori al mondo e su tattiche alternative. Sono contento, per me è stato un passo in avanti per crescere più in fretta, anche attraverso le corse con la Arkea dei pro’. Anche io ho rinnovato e vorrei guadagnarmi il passaggio nel team WorldTour per il 2026».

La nuova vita di Bettiol all’Astana, iniziata a Ferragosto

04.09.2024
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Più che il cambio della bici, racconta Bettiol, la parte più originale è stato il cambio delle tacchette. Alla Ef Education usava le Speedplay, alla Astana le Shimano. Non è semplice dopo sei anni passare fra due sistemi così diversi.

«E a quel punto – sorride Alberto – ho chiesto un intervento di emergenza ad Alessandro Mariano, che era in barca a vela all’isola d’Elba. Così ho dato le scarpe a Gabriele Balducci, che era venuto a trovarmi a Livigno per qualche giorno. Le ha portate in Toscana. E’ andato a Piombino. Ha chiamato un suo amico col gommone e le hanno portate all’Isola d’Elba: ho la foto che lo testimonia, ho anche il video. Alessandro ha montato le scarpe sulla barca a vela mentre gli altri due facevano un bagno. Gliele ha ridate. E a quel punto poi, Gabriele le ha date al mio amico Andrea che veniva a Livigno a fare cinque giorni di vacanza. Lui me le ha portate e io le ho provate».

Se non è un film, poco ci manca. Bettiol è per qualche giorno in Toscana e se i giorni in bici non gli sembrano troppo diversi è solo perché i colori della maglia tutto sommato sono rimasti gli stessi. Era tricolore quella della EF Education che ha indossato fino al 14 agosto ed è tricolore quella di adesso, su cui tuttavia c’è scritto Astana. Che qualcosa bollisse in pentola ce lo aveva fatto capire l’8 agosto proprio Gabriele Balducci, da sempre suo mentore e amico comune. In partenza per Livigno con la Mastromarco, si era sentito dire da Alberto di grosse novità in arrivo, ma nessuno avrebbe immaginato che avrebbe cambiato squadra nel bel mezzo dell’estate.

Sembra passato un secolo, sono appena due mesi. Bettiol vittorioso al tricolore con la sua SuperSix Evo LAB71
Sembra passato un secolo, sono appena due mesi. Bettiol vittorioso al tricolore con la sua SuperSix Evo LAB71
Che cosa è successo nell’estate?

Così alla svelta, neanche noi ce l’aspettavamo. E’ andato tutto molto veloce. Io ero in vacanza quando abbiamo preso questa decisione, quindi anche Gabriele non sapeva niente. Avevamo parlato un po’, è da un annetto buono che parliamo. Però si ragionava comunque sempre del 2025, finché Vinokourov ha chiesto la possibilità di avermi subito e Giuseppe (Acquadro, il suo manager, ndr) ha trovato subito le porte aperte da parte di Vaughters, perché comunque non è facile soprattutto dal punto di vista burocratico. C’è da fare un sacco di richieste in modo molto rapido, perché l’UCI ti dà dei tempi molto stretti e se non li rispetti, non puoi fare niente. Quindi devo ringraziare la EF, perché avrebbero avuto tutto il diritto di aspettare. E poi l’Astana ha fatto un grande lavoro. Insomma, io ero in vacanza: hanno fatto tutto loro.

Com’è stato andare a dormire con una squadra e risvegliarsi il giorno dopo con l’altra?

E’ una cosa che adesso, a questa età e in questo periodo della mia vita, in cui insomma sono un po’ più consapevole di quello che voglio, non mi ha creato grossi problemi. Se mi fosse successo qualche anno fa, in cui ancora avevo da assestarmi bene, magari l’avrei patito. Da un punto di vista di atteggiamento mentale, non mi ha smosso per niente. E’ anche vero che l’Astana è una squadra kazaka, ma ci sono tantissimi italiani e tanti che conoscevo già. Quindi alla fine il passaggio non è stato brusco, come magari andare in una squadra dove non conoscevo nessuno. Per il resto, mi è cambiato poco. Avevo già programmato di andare a Livigno per tre settimane e sarei stato da solo. L’idea di andare al Renewi Tour è venuta fuori durante questo ritiro, non era programmata e voi sapete quanto mi dessero fastidio un tempo le cose non programmate…

Bettiol accanto a Van der Poel: entrambi in rotta sui mondiali di Zurigo
Bettiol accanto a Van der Poel: entrambi in rotta sui mondiali di Zurigo
Quindi hai tenuto lo stesso calendario?

Ho fatto una settimana in meno a Livigno, che forse è stato anche meglio. Ero andato su dopo le Olimpiadi perché comunque sarei andato alle gare in Canada e poi eventualmente al mondiale, quindi io avevo bisogno di recuperare e allenarmi. Insomma sembra un cambio radicale e in parte lo è stato, però è stato facile da gestire, mettiamola così.

Delle scarpe ci hai detto, per la bici e l’abbigliamento?

Anche questo è stato tutto improvvisato e devo ringraziare l’Astana per l’impegno che ci hanno messo. Per l’abbigliamento il loro referente è Bruno Cenghialta e ci siamo trovati a metà strada tra la Toscana e Livigno, perché io tornavo dalle vacanze e stavo andando su. Abbiamo provato l’abbigliamento e abbiamo fatto anche due foto per il comunicato stampa. Quanto alla bici, Michele Pallini che era a Parigi con noi aveva tenuto a casa quella con cui avevo corso le Olimpiadi, per cui ha preso le misure in videochiamata con il meccanico Tosello. Lui ha sistemato la Wilier e alla fine l’ha data a Panseri, altro meccanico italiano che me l’ha portata a Livigno.

Decimo nella crono di Tessenderlo al Renewi Tour, Bettiol deve trovare confidenza con i nuovi materiali
Decimo nella crono di Tessenderlo al Renewi Tour, Bettiol deve trovare confidenza con i nuovi materiali
In tempi non sospetti, forse proprio al mondiale di Wollongong, dicesti che ti trovi bene in nazionale perché ti ricorda l’ambiente della Liquigas. L’Astana non è la Liquigas, però ci sono davvero tanti italiani. Può essere un fattore importante?

Sì, è un ambiente familiare. C’è Michele Pallini, c’è il dottor Magni, tante figure che già conoscevo proprio dalla Liquigas. Ci sono i meccanici Borselli e Panseri. Poi gli atleti, che conosco benissimo. Velasco e Ballerini. Con Ballero siamo vicini di casa a Lugano e ci alleniamo spesso insieme, quindi cambia veramente poco. E’ un ambiente in cui mi sono trovato bene, almeno in questa settimana e scommetto ancora di più l’anno prossimo. Adesso è un po’ tutto improvvisato, anche come metodologie. Quelle loro sono un po’ diverse dalla EF, per cui per ora si tratta di adattarsi l’uno agli altri. La bicicletta, le tacchette, ma anche la nutrizione, l’integrazione, le barrette. Ci sono tante cose diverse. Però l’ambiente è bello, c’è tanta voglia di migliorare e quindi l’anno prossimo sono ottimista che faremo belle cose.

Perché cambiare?

Io avevo ancora due anni di contratto e sarei stato anche lì, non ho cambiato perché stavo male alla EF o perché mi mancassero gli stimoli. E’ solo che mi si è presentata questa occasione, mentre prima erano solo parole. Quando sono passati ai fatti, ho fatto le mie valutazioni. E se un corridore come Diego Ulissi, che ha fatto più anni di me nella stessa squadra, ha deciso di cambiare, allora poteva andare bene anche a me. Avevo visto che c’è tanto potenziale ed erano un po’ di anni che anch’io riflettevo sul fatto di rimanere nella stessa squadra  e sui pro e i contro di cambiare. Rischi di rimanere seduto, di veder attutire gli stimoli. Ho il mio piccolo staff che mi supporta sempre, indipendentemente dal colore della maglia, però anche trovare un ambiente nuovo può essere uno stimolo. Ma non volevo cambiare perché stavo male.

Fianco a fianco con Evenepoel, reduci dal Tour e dalle Olimpiadi, ovviamente con esiti diversi
Fianco a fianco con Evenepoel, reduci dal Tour e dalle Olimpiadi, maovviamente con esiti diversi
Come è stato il dopo Olimpiadi? Evenepoel ha raccontato di grosse difficoltà a recuperare…

Ho recuperato bene, semmai ho vissuto un periodo di spossatezza durante il Tour, soprattutto la seconda settimana quando ho avuto un calo di forma. A Parigi non ho stravinto l’Olimpiade come Remco, ma comunque ero lì davanti a giocarmi la top 10, non è che sono andato piano. Quando sono tornato a casa, ho staccato una settimana poi però a Livigno ho trovato subito delle belle sensazioni. Mi sono allenato veramente bene e infatti si è visto al Renewi Tour. Era una corsa a tappe che richiedeva degli sforzi opposti a quello che ho fatto a Livigno. Lassù si parlava di salite lunghe e tante ore in bici a bassa intensità. Invece il Renewi era tutto scatti e strappi corti su cui sono andato bene, quindi vuol dire che il mio fisico aveva recuperato e sono contento. E’ chiaro che non si possa fare il paragone con Remco. Lui è partito dal Delfinato, ha corso il Tour per fare la classifica, poi ha tirato dritto. Ero nel suo stesso hotel a fine aprile a Sierra Nevada, lo vedevo lavorare ed erano bello concentrati.

In Astana conosci i corridori, forse un po’ meno staff e tecnici?

Non è stato un salto nel vuoto, perché già in Belgio i compagni hanno lavorato per me. Mi sono scoperto ben allineato con Zanini in ammiraglia e anche per lui è stato un piccolo passettino per capire come andremo in Belgio il prossimo anno, anche per i materiali. I meccanici hanno cominciato a capire come mi piace fare le cose. Michele Pallini ormai mi conosce da tanto, con tutti i mondiali e le due Olimpiadi che ho fatto con lui. Poi quando veniva a Lugano, spesso Vincenzo (Nibali, ndr) mi chiamava per sapere se volevo fare anch’io un massaggio con lui. Ci si conosce da tanto. Invece meccanici e direttori no. Anche Bruno Cenghialta, Giuseppe Martinelli… Sono tutte facce che conoscevo, ma non ci avevo mai lavorato insieme. Però siamo un bel gruppo, anche a Lugano con Ulissi e Ballerini. La EF è stata un bel periodo della mia vita. Staremo a vedere, spero di aver fatto la scelta giusta. Per ora ne sono molto convinto.

Soler vince, Van Aert cade, O’Connor si salva, Zana ci fa sognare

03.09.2024
6 min
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Lagos de Covadonga, salita delle Asturias a quota 1.069. Soler vince la tappa, Zana arriva secondo e avresti avuto voglia di spingerlo in questa sua rincorsa all’attaccante spagnolo. Alle loro spalle, nella lotta per la classifica generale, Ben O’Connor si salva anche oggi. E anche se alla fine il margine residuo è di 5 secondi, ti scopri a fare il tifo perché tenga la maglia ancora per un po’. Roglic là davanti non tira un metro. Si fa portare al traguardo da chi ha rincorso gli scatti di Landa e poi di Mas e passa sulla riga senza spendere un grammo più del dovuto.

Se domani e giovedì promettono di essere giorni senza attacchi, l’arrivo di venerdì al Moncalvillo potrebbe essere quello del patibolo. Poco male, verrebbe da dire: l’australiano si è difeso con piglio e autorità. La sua Vuelta se l’è goduta, sia pure ultimamente stringendo i denti.

La caduta di Van Aert porta via dalla Vuelta la maglia verde e quella a pois. Il belga è in ospedale per accertamenti
La caduta di Van Aert porta via dalla Vuelta la maglia verde e quella a pois. Il belga è in ospedale per accertamenti

Da Van Aert a Soler

Soler è al settimo cielo, in un giorno che per il UAE Team Emirates potrebbe aver significato anche la vittoria della maglia a pois. Infatti il più accreditato per la conquista, Wout Van Aert, è caduto nella discesa della Collada Llomena ed è finito violentemente contro una scarpata rocciosa. Ha provato a ripartire, ma si è presto reso conto di non riuscire a piegare il ginocchio. E dando la sensazione di essere leggermente sotto choc, è stato costretto al ritiro. Sapremo nelle prossime ore quali siano le sue condizioni effettive. Per Vine, che vestiva il primato della montagna al posto suo, si spalanca la via di Madrid, dovendosi difendere dal compagno Soler, che stasera ha ben altro cui pensare.

«Come ve lo spiego cosa provo? Felicità – dice infatti il vincitore di tappa – ricompensa per il lavoro. Penso a mia moglie e i miei figli e a me che sono lontano da casa da tanto tempo. All’inizio soffrivo, ero al limite. Ma poco a poco ho visto che i rivali si stavano staccando. Ho tenuto il passo e sapevo che l’uomo da tenere d’occhio sarebbe stato Poole, perché a Manzaneda era arrivato secondo dietro a Castrillo. Tenevo d’occhio lui e ho approfittato di un suo piccolo rallentamento per attaccare. Ho preso qualche metro e ce l’ho fatta. Non la definirei la vittoria più importante della mia carriera, ma sicuramente è speciale. Da quando sono qui alla UAE non ho molte occasioni. Ci ho provato più volte e ho commesso degli errori, ma ora ci sono riuscito…»

«Non mi sentivo molto bene stamattina – dice invece Jay Vine – e per questo ho deciso di lavorare per Soler e Del Toro. Ero in gara due anni fa quando Marc vinse a Bilbao, quindi è piuttosto speciale essere stato parte di un’altra sua vittoria. La caduta di Van Aert non è assolutamente il modo in cui volevo prendere la maglia a pois e onestamente devo dire che si stava dimostrando più forte di me. Ma l’obiettivo di oggi era una vittoria per la squadra e quell’obiettivo è stato raggiunto. Avevamo tre corridori in fuga, è stata una mossa grandiosa. Del Toro è un ragazzo giovane, al suo primo Grande Giro, e oggi sembrava davvero in forma».

Il secondo di Zana

Eppure in questo giorno in cui si simpatizza per il leader quasi spogliato e si prova compassione per Van Aert, che si era ripreso benissimo dall’infortunio di primavera e speriamo non ci finisca nuovamente dentro, i Lagos de Covadonga e la loro nebbia hanno portato (quasi) bene anche a Filippo Zana. Il vicentino, già protagonista al Giro, prima ha collaborato con Marco Frigo (settimo al traguardo), poi alla fine ha fatto da sé, ottenendo il secondo posto a 18 secondi da Soler. I due azzurri, classe 1999 per Zana invece 2000 per Frigo, sono i soli due italiani dei pochi presenti in Spagna a essere saliti sul podio di tappa. Frigo infatti c’era riuscito a la Yunkera, arrivando secondo dietro O’Connor nel giorno della sua lunghissima fuga.

Filippo Zana, classe 1999, è arrivato secondo a 18″ da Soler: la sua Vuelta va in crescendo
Filippo Zana, classe 1999, è arrivato secondo a 18″ da Soler: la sua Vuelta va in crescendo

«Soler è partito più di una volta – racconta Zana – e l’ultima è stata quella giusta. Io sono andato sotto il mio passo, ma siamo andati veramente forte per tutto il giorno, le forze erano quelle. C’erano delle belle salite non molto facili, ma ho cercato di dare il tutto per tutto. Già non era cominciata bene. In partenza sono caduto subito con Van Aert e avevo un po’ di dolore al ginocchio. Poi sono riuscito a tornare davanti, c’erano un po’ di salitelle e sono riuscito a prendere la fuga giusta. Però non avevo tanta voglia di cadere ancora, per cui la discesa in cui è caduto Van Aert l’abbiamo fatta piano. Era tecnica e e bagnata, mentre quel pezzetto sembrava un po’ più asciutto, quindi forse hanno rischiato di più e nella prima curva sono andati fuori. Non valeva la pena rischiare…

«Nel finale non si vedeva niente. Sapevamo che Soler era davanti e non aveva molto – prosegue Zana – ma c’era così tanta nebbia che non si vedeva niente. Perciò adesso ci dormiamo sopra e poi ci riproviamo, anche se non è facile prendere le fughe. Ci sono altre tappe, speriamo sia di avere le gambe sia di prendere la fuga giusta per provare a vincere. Sono contento della mia condizione. Sto crescendo, magari davvero si riesce a fare qualcosa di buono».

La resa di O’Connor

O’Connor passa con il morale basso. Ha parlato brevemente con Paret Peintre, che probabilmente si è scusato per non averlo assistito sino in cima. Ma il compagno lo ha rincuorato, infilandosi il giubbino della squadra.

«In realtà non pensavo che sarebbe andata così male oggi – dice – ma alla fine ho salvato la maglia. Immagino che sia un bel risvolto positivo per le prossime due tappe. Perciò ormai devo solo godermela al massimo, perché non sono più sicuro che a Madrid vincerò io. Il ciclismo australiano produce sempre buoni risultati ed è bello ritrovarci a combattere nelle posizioni di testa».

Il destino è segnato. Se anche sopravvivesse miracolosamente alle salite, la legge di Roglic nella crono sarebbe inappellabile. Dopo un po’, si percepisce che la stia prendendo col sorriso. Leggermente amaro, va bene, ma farsela andare di traverso servirebbe solo a stare peggio.

Quello che Alaphilippe porterà alla Tudor: parla Cancellara

03.09.2024
4 min
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Qualcosa ci aveva colpito nelle parole di Julian Alaphilippe al momento di annunciare la firma con il Tudor Pro Cycling Team. Il racconto del francese circa lo scambio di opinioni con Fabian Cancellara sulla famiglia e la serenità nella squadra hanno creato una sorta di ponte fra le due enormi esperienze in campo. Ci siamo tutti ritrovati a pensare che, al netto delle eventuali responsabilità, gli ultimi mesi del francese alla Soudal-Quick Step non siano stati l’ideale per rendere al meglio. Le parole martellanti di Lefevere sono risultate destabilizzanti per un atleta che dopo gli infortuni non aveva ancora ritrovato la piena efficienza fisica. Ora che il corpo riesce a pedalare alla velocità della mente, si è rivisto un Alaphilippe battagliero e vincente. Solo che ormai la frittata era fatta. La sfiducia è stata insuperabile, la squadra belga non ha proposto rinnovi contrattuali di alcun tipo e Julian ha firmato con la Tudor. Troverà Ricardo Scheidecker, come abbiamo spiegato, e anche Matteo Trentin che ben conosce.

Cancellara, qui con Luc Wirtgen, è il proprietario del Tudor Pro Cycling Team
Cancellara, qui con Luc Wirtgen, è il proprietario del Tudor Pro Cycling Team

Il fuoco dentro

Cancellara è il proprietario dei team e contrariamente a quanto accade nelle professional di tutto il mondo, evita di spingere troppo sul gas. Non si sta affrettando a promettere il WorldTour, anche se è comune convinzione che i suoi sponsor potrebbero reggerne benissimo l’impatto. Si cresce per gradi, innestando di volta in volta gli uomini giusti per il progetto. E l’arrivo di Alaphilippe e Hirschi, che si sommano a Trentin e Dainese iniziano a comporre uno scheletro piuttosto convincente.

«Per noi è una grande opportunità avere Julian con noi – ha spiegato Cancellara a L’Equipe – per il nostro progetto, con il suo modo di correre, il suo brio, la sua esperienza. Quando vince è una cosa, ma se vince un suo compagno è orgoglioso come se fosse lui. E’ un ragazzo semplice che ha tenuto i piedi per terra. Ha ancora il fuoco dentro, la voglia di fare bene».

Alaphilippe sa vincere, ma sa anche esultare quando il risultato viene da un compagno di squadra
Alaphilippe sa vincere, ma sa anche esultare quando il risultato viene da un compagno di squadra

Un corridore del team

Cancellara sa stare al mondo e lo conosce bene. E’ stato a lungo la colonna portante delle squadre di Riis, vincendo le sue classiche più belle. Poi è passato nell’orbita della Trek e con Luca Guercilena ha chiuso la carriera vincendo le Olimpiadi di Rio nella crono. Sa che l’errore più grande è quello di caricare il peso della squadra sulle spalle del corridore di gran nome. A lui è successo e non l’ha sempre trovato divertente.

«Non spetta a Julian costruire la squadra – ha proseguito Cancellara – deve portare valore aggiunto alla nostra struttura, ma non dico che abbia delle responsabilità, delle pressioni. Siamo noi, tutti insieme. E abbiamo la responsabilità di metterlo in buone condizioni. Deve poter tornare a casa e stare tranquillamente con la sua famiglia. Penso che Julian abbia bisogno di questo, di quella tranquillità, di una buona atmosfera, di persone di cui si fida, che credono in lui, attorno a lui. Non ha niente da dimostrare, ma sono sicuro che se avrà questo equilibrio, farà il resto».

Ritrovata la salute, Alaphilippe ha ritrovato la vittoria, ma ormai la frattura con Lefevere era insanabile
Ritrovata la salute, Alaphilippe ha ritrovato la vittoria, ma ormai la frattura con Lefevere era insanabile

La porta del Tour

Ovviamente lo svizzero sa che l’investimento sul francese ha due facce: quella dei risultati che potrà portare e quella delle porte che potrà aprire. Sin dal suo debutto fra le professional, la Tudor ha avuto grande accoglienza nelle corse del Belgio, ma un po’ più tiepida in Francia. Mai provate ancora le Classiche Ardennesi. Invitata per la prima volta alla Parigi-Nizza, è riuscita a vincere la tappa di Montargis con Arvid De Kleijn, che dopo aver regalato alla squadra la prima vittoria in assoluto alla Milano-Torino del 2023, ha così offerto la prima nel WorldTour.

«Siamo una squadra di seconda divisione – ha spiegato ancora Cancellara – vogliamo continuare come abbiamo fatto finora e stabilizzare la nostra organizzazione. Grazie a Julian avremo delle opzioni, ma non andremo dove non saremo in grado di distinguerci. E’ escluso che andiamo a una gara solo per esserci. Se andiamo , vogliamo essere offensivi, gareggiare, mostrare unità e carattere. Possiamo chiedere di partecipare al Tour, ma la decisione non è nelle nostre mani. Non è detto che con la presenza di Julian questo accadrà con sicurezza. Abbiamo un grande progetto sul tavolo, ma non abbiamo deciso. Se continuiamo a stabilizzare la nostra organizzazione, il nostro modo di correre, avvicinarci ai primi 20 team, può essere un obiettivo concreto».

Usare il power meter anche nel gravel? Alcuni consigli utili

03.09.2024
7 min
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Utilizzare un power meter di buona qualità, affidabile, robusto e con dati ripetibili anche in ambito gravel non è da contestualizzare nel solo agonismo. Gli aspetti ed i fattori da considerare sono diversi.

Un misuratore di potenza ci aiuta a gestire lo sforzo e la fatica (non è dedicato esclusivamente a chi sviluppa fiumi di watt). I numeri possono essere divertenti e proprio l’utilizzo dello stesso power meter può assumere contorni divertenti. Ci mette alla prova con noi stessi, uno stimolo ulteriore a migliorare (o confrontare) le performances soggettive. Il power meter è uno strumento moderno che è entrato a fare parte della dotazione base del ciclista, anche in ambito off-road e nel gravel.

Power meter nel pedale, facile e adatto a più tipologie di bici
Power meter nel pedale, facile e adatto a più tipologie di bici

Power meter e gravel stanno bene insieme

Il misuratore di potenza è parte di un ecosistema. Device gps ed eventuale piattaforma di analisi dei numeri, fascia di rilevazione cardiaca e power meter, ma anche quei terminali che analizzano le nostre ore di riposo e di sonno. Pensandoci bene è proprio il misuratore di potenza ad essere al centro di tutto questo. La percezione di un eventuale miglioramento dello stato di forma, oppure di un calo lo percepiamo quando affrontiamo uno sforzo attraverso la lettura dei dati che compaiono sullo schermo del computerino. I watt.

Il power meter è uno strumento di carico esterno che non mente (quando è ben fatto, i suoi dati sono sovrapponibili e ripetibili), che non lascia spazio al nostro stato emotivo, oppure alle variabili legate ad alimentazione, caldo etc. I freddi numeri sono il primo riferimento ed il più facile da interpretare.

I canoni giusti per la gravel

Robustezza e costruzione eseguita con materiali di primissima qualità. Rispetto alla categoria strada un misuratore di potenza utilizzato sullo sterrato è soggetto ad una maggiore usura, colpi proibiti che arrivano da oggetti esterni, polvere, fango, umidità e acqua. Deve resistere a shock continui.

Ripetibilità dei dati e rilevazione ad hoc. Quando si affrontano dei lavori specifici sulla bicicletta è fondamentale avere un sistema di qualità eccellente per quantificare, analizzare e costruire le successive tabelle di allenamento. E’ ovvio che il prodotto deve essere costruito a regola d’arte ed il wattaggio non deve essere stimato.

Come in altre occasioni prendiamo ad esempio i pedali Assioma Pro MX con power meter integrato nel perno. Significa uno strumento di lavoro che protegge le parti delicate e più sensibili (tutte le componenti elettroniche, gli estensimetri e le batterie ricaricabili), costruito da un’azienda, Favero Electronics che è leader della categoria.

Calibrazione con il device? Solo al primo montaggio o quando si sposta da una bici ad un’altra
Calibrazione con il device? Solo al primo montaggio o quando si sposta da una bici ad un’altra

Semplicità di utilizzo

Un misuratore di potenza che si indirizza alla categoria gravel/off-road deve essere facile da utilizzare e semplice da montare sulla bicicletta. Quale soluzione migliore se non un pedale e si può portare da una pedivella ad un’altra, da una bici gravel ad una mtb, da una ciclocross ad una e-mtb (anche sulla bici da strada) senza limiti di montaggio?

E poi, Assioma Pro MX è dotato della funzione di calibrazione automatica (zero off-set). E’ un algoritmo sofisticato che considera i vari aspetti nel tempo ed esegue in autonomia calibrazioni periodiche del power meter. La calibrazione manuale è necessaria dopo la prima installazione, oppure ogni volta che si spostano i pedali da una bici ad un’altra.

Facilità di pulizia e manutenzione

In generale un power meter ben fatto come Assioma Pro MX non richiede manutenzione, è stato disegnato e sviluppato anche in quest’ottica. E’ giusto considerare che l’utilizzo off-road è severo e lo strumento è soggetto alle incurie di utilizzo e dell’ambiente. Un altro segreto di questo pedale è l’estrema facilità in caso di intervento e smontaggio, non bisogna essere un meccanico professionista.

Due attrezzi ed un pedale. Una piattaforma di aggancio compatibile SPD con le molle dalla tensione regolabile. Un perno che è un blocco unico e due viti di chiusura con sede a brugola. Tutto qui, non serve altro se non un po’ di buon senso e un velo di grasso lubrificante. Non in ultimo una batteria ricaricabile con buona autonomia. Soprattutto nell’ambito dello sterrato una batteria ricaricabile e ben protetta è più affidabile (rispetto ad una usa e getta).

Senza limiti di montaggio per le pedivelle
Senza limiti di montaggio per le pedivelle

Compatibilità

Assioma Pro MX di Favero Electronics è dotato di Bluetooth e Ant+. Il primo è dedicato alla app Favero Favero Assioma e permette anche l’associazione ad app di terze parti, ad esempio quelle social cycling (Zwift e Rouvy solo per fare due esempi). Ant+ è dedicato all’associazione con i computerini e smart watch presenti in commercio che portano in dote questo stesso protocollo.

I valori aggiunti

Un power meter non deve essere troppo costoso, o per lo meno deve avere la giusta proporzione tra la qualità complessiva ed il valore in euro. Nel caso di Assioma Pro MX il valore aggiunto è lo sbilanciamento verso la qualità.

Oltre ai materiali che contribuiscono alla longevità dei pedali, ci sono una serie di finestre che allargano la qualità dei dati. Ad esempio l’RP, acronimo di rider position, che fa vedere quanto tempo è passato in piedi sui pedali e seduti. Oppure la PP (power phase) che ci aiuta ad analizzare per intero la nostra pedalata, arrivando a capire dove è possibile migliorare il gesto. O ancora la PCO (platform center offset) che può aiutare noi ed eventualmente anche un biomeccanico a posizionare correttamente le tacchette e sfruttare maggiormente il piatto di battuta del pedale.

Nel gravel race è uno strumento fondamentale
Nel gravel race è uno strumento fondamentale

In conclusione

Il power meter è stato e lo è tutt’ora una sorta di gamechanger che contribuisce a vedere il ciclismo con diverse ottiche, dalla più agonistica ed esasperata, fino ad arrivare a chi utilizza lo strumento semplicemente per diletto e per rimanere al pari con la modernità. Il misuratore non è il giusto o lo sbagliato. Arricchisce e completa la dotazione di chiunque ha ambizioni di miglioramento, ma non per forza affronta gare e competizioni.

E’ uno strumento sviluppato per chi si vuole allenare meglio sotto il profilo qualitativo o semplicemente vuole tenere sotto controllo le uscite in bici con l’ausilio dei numeri. Il gravel non è esente da questa chiave di lettura, anzi. Per natura e considerando l’ampio delta di utenza, proprio il gravel è stato complice nel totale sdoganamento dei power meter specifici per l’off-road.

Cycling.Favero

In Boemia si riaffaccia Savino. La Soudal se lo coccola…

03.09.2024
4 min
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Ci sono piazzamenti che hanno un sapore particolarmente dolce anche in un mondo come il ciclismo dove conta solo chi vince. Per Federico Savino il 3° posto al West Bohemia Tour è uno di questi. Il suo primo risultato importante in una corsa a tappe, ma per certi versi è anche il primo squillo di assoluto rilievo nella sua avventura al devo team della Soudal.

Sarà per questo che il pisano ha perfettamente in testa ogni singolo passaggio della corsa, interpretata con una maturità che non è sfuggita agli occhi attenti dei dirigenti del team WorldTour, in fase di profondo rinnovamento.

Il podio del West Bohemia Tour con Savino terzo dietro i belgi Vaneeckhoutte, vincitore, e Lambrecht
Il podio del West Bohemia Tour con Savino terzo dietro i belgi Vaneeckhoutte, vincitore, e Lambrecht

«E’ stata una corsa caotica per molti versi, probabilmente perché non c’era una squadra talmente forte da riuscire a tenerla, quindi non era facile trovare la giusta soluzione tattica. Sapevamo però che la classifica si faceva soprattutto nella prima tappa, dopo un brevissimo prologo a cronometro dove avevo chiuso ai piedi del podio, quindi ero già ben messo in classifica. Lì sono stato attento a beccare la fuga giusta, ci siamo ritrovati in 5 a collaborare fino alla fine sorbendoci 70 chilometri di fuga, arrivando tutti alla spicciolata. Io ho chiuso ancora 4°, poi lavorando abbiamo scalato una posizione».

Eri il capitano designato prima del via?

Non è una pratica che la nostra squadra adotta, chi punterà alla classifica lo si decide in base all’evoluzione della corsa, nel corso dei giorni. Le prime due giornate mi vedevano davanti e quindi la squadra si è messa al mio servizio.

Savino aveva iniziato benissimo con il 4° posto nel prologo, a 4″ da Schwarzbacher (SVK)
Savino aveva iniziato benissimo con il 4° posto nel prologo, a 4″ da Schwarzbacher (SVK)
E come ti sei trovato nel ruolo?

Molto bene perché ho avuto da tutti i ragazzi un grande aiuto. Si sono davvero messi a disposizione, hanno lavorato duramente per tenermi nel vivo della corsa, ma anche per avere una tattica aggressiva nelle altre due tappe, conquistando la seconda tappa con Lars Vanden Heede con Raccagni Noviero quarto e vincendo anche l’ultima frazione con Senne Hulsmans. Questo andare spesso all’attacco è stato di grande aiuto perché ci ha permesso di controllare la corsa con più facilità per le posizioni di classifica. Io ero sempre vicino agli altri di classifica, il terzo posto è nato da questo.

Che cosa rappresenta per te questo podio?

Per me è una rivalsa dopo un periodo difficile. Al di là della vittoria al Circuit des Ardennes, questo podio mi dà particolare soddisfazione. Soprattutto perché dimostra che la condizione sta arrivando per il finale di stagione, sento le gambe muoversi come si deve e questo mi dà fiducia per le prossime gare. Questo è un anno importante, all’inizio speravo fosse l’ultimo nella categoria, ma è probabile che rimanga un altro anno perché vogliono che faccia ancora esperienza. Dicono che sto continuando a crescere ma vogliono che prosegua così per poi approdare nel team più grande, è l’obiettivo loro e anche il mio.

Per la Soudal una trasferta molto positiva con due vittorie di tappa, qui Hulsmans
Per la Soudal una trasferta molto positiva con due vittorie di tappa, qui Hulsmans
Ma come ti trovi nel team?

Benissimo, il fatto che sia completamente straniero non influisce minimamente anche se richiede chiaramente un cambio mentale. Ma con loro si entra in un’altra dimensione, estremamente professionale, che cura tutto nei minimi particolari. Sono trattato benissimo, non manca proprio nulla.

Questo però comporta un calendario quasi esclusivamente straniero, in Italia non ti si è visto…

E’ un po’ il bello e il brutto della scelta fatta. E’ chiaro che c’è un prezzo da pagare, si sta lontani da casa, ma il calendario che seguo è molto competitivo, sicuramente superiore a quello italiano. E’ molto impegnativo e complesso, richiede spirito di sacrificio ma non posso negare che col passare delle settimane si vede la differenza, la qualità è molto alta e permette di crescere più velocemente. Ora comunque mi aspetta un lungo periodo in Italia con gare tra cui la Rosa d’Oro e San Daniele per finire col Piccolo Lombardia.

La vittoria di Savino nella tappa del Circuit des Ardennes, unico acuto in un anno poi difficile
La vittoria di Savino nella tappa del Circuit des Ardennes, unico acuto in un anno poi difficile
Il fatto di gareggiare sempre all’estero pensi ti penalizzi anche come visibilità, ad esempio per un’eventuale convocazione in azzurro?

Tema delicato. Sicuramente mi si vede meno, so che Amadori gira molto per le gare italiane ed è normale che non possa avere contezza completa di quanto avviene all’estero. Diciamo che è un prezzo da pagare, ma che pago volentieri considerando la crescita professionale. Guardando poi quel che succede nella massima categoria, è un problema che andrà sparendo. Chiarisco che con il cittì non ho recriminazioni, d’altronde nel 2023 risultati non ne avevo fatti e il vero Savino si sta cominciando a vedere solo ora.

Vuelta, si riparte. Roglic fiuta la maglia, ma non si sbilancia…

03.09.2024
4 min
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La conferenza stampa di Roglic nel riposo di Oviedo è piuttosto laconica. Lui è spiritoso e dispensa sorrisi, ma di base non c’è tanto da ridere. Se ne sono andate due settimane e O’Connor è sempre là davanti, solido come un brutto sogno. Non che le rimonte dell’ultima ora siano impossibili e tantomeno sconosciute allo sloveno, che al Giro del 2023 conquistò la maglia rosa soltanto nella crono finale del Monte Lussari. In ogni caso, i venti secondi di penalizzazione non sono stati una notizia di poco conto. Come minimo hanno vanificato tutti gli studi fatti sulla bicicletta presa per fare la differenza in salita.

«O’Connor è in gran forma – dice Roglic – è un grande corridore che ha già ottenuto ottimi risultati. Non è una sorpresa vederlo a questo livello».

Il riferimento probabilmente è al Tour de France del 2021, quando l’australiano arrivò quarto a 10’02” da Pogacar e a 2’59” minuti dal terzo posto di Carapaz. Richard ora lo segue, a sua volta quarto, a 2’44” dalla testa della corsa.

Questo è il rientro incriminato: scia prolungata dopo il cambio della bici
Questo è il rientro incriminato: scia prolungata dopo il cambio della bici

La schiena va bene

Domenica sul traguardo del Cuitu Negru, il cronometro gli aveva regalato un margine di 38 secondi sulla maglia rossa, che gli avrebbe permesso di affrontare la tappa di oggi ai Lagos de Covadonga con meno di un minuto. Invece i 20 secondi di penalizzazione rendono tutto più complicato.

«Non me ne va mai bene una – ha ironizzato il tre volte vincitore della Vuelta – ma naturalmente non è divertente, perché sono venti secondi in più che devo recuperare. Che io sia d’accordo o meno, non importa. Naturalmente non sono contento di perdere venti secondi in quel modo, ma posso farci poco. Se non altro sento di stare bene. Cerco di non pensare troppo al mal di schiena e di non fare movimenti troppo strani, che possano complicare le cose».

Roglic completa la scalata di Cuitu Negru assieme a Enric Mas
Roglic completa la scalata di Cuitu Negru assieme a Enric Mas

Un lento risalire

Difficile prevedere come proseguirà la corsa. Sta di fatto che al momento O’Connor può contare su un grande morale e una squadra sufficientemente attrezzata. L’australiano della Decathlon-Ag2R ha conquistato la maglia rossa con la fuga e la vittoria a La Yunquera. Da quel giorno si è ritrovato in testa con 4’51” di vantaggio, che Roglic ha iniziato lentamente a intaccare con piccoli morsi. Il primo affondo deciso di Primoz è venuto sul Puerto de Ancares alla tredicesima tappa di venerdì (foto di apertura). Quel giorno, arrivando a 10’54” dal vincitore Michael Woods, Roglic ha rifilato 1’54” a O’Connor, arrivato a 12’49”. Domenica salendo verso il Cuitu Negru il passivo del leader sarebbe stato di 38 secondi, prima che si abbattesse la mannaia della giuria.

«Non so come andrà a finire – ironizza Roglic – è complicato sapere per quanto tempo potremo riprendere, perché non conosciamo lo stato fisico dei nostri avversari. Manca un minuto, darò il massimo».

Sul Cuitu Negru, Florian Lipowitz ha conquistato la maglia dei giovani
Sul Cuitu Negru, Florian Lipowitz ha conquistato la maglia dei giovani

Fattore Lipowitz

Oltre a Vlasov che ha dimostrato di stare bene, accanto a Roglic si sta muovendo in modo davvero interessante il tedesco Lipowitz, che ha 23 anni ed è a sua volta in classifica. Sesto a 4’33” da O’Connor, a 3’30” dal suo capitano.

«Florian sta volando – spiega Roglic – è la prima volta che corro con lui, ma quest’anno aveva già dimostrato di essere fortissimo con grandi prestazioni. Lo dimostra anche qui alla Vuelta. E’ la maglia bianca e sono fortunato averlo con me».

Da domani inizieranno i fuochi d’artificio, con sei tappe che decreteranno il vincitore della corsa. Delle sei, quattro sembrano davvero importanti per gli uomini della classifica generale. L’arrivo ai Lagos de Covadonga. Moncalvillo. Picón Blanco e la cronometro di 24,6 chilometri a Madrid. Quel che resta, cioè le tappe di domani e dopodomani (Santander e Maeztu), sarà per cacciatori di tappe e velocisti