Callovi, raccontaci la tua nuova vita nella Polizia di Dubai

06.11.2024
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L’avevamo lasciata in uscita sia dall’Esercito sia dal ruolo di vice-cittì di Paolo Sangalli nella nazionale femminile e pronta ad immergersi in una nuova avventura. Un anno fa di questi giorni, tra deserto e grattacieli, Rossella Callovi stava assaggiando ciò che sarebbe diventata la sua attuale vita. Ed ora la troviamo consulente dello Sport Excellent Center del Dipartimento degli Affari Sportivi della Dubai Police.

Un lavoro tosto, intenso e soddisfacente come ci racconta al telefono con entusiasmo la 33enne trentina ex campionessa del mondo juniores su strada, che ora si sta godendo un clima molto più sopportabile per il caldo. Da novembre 2023 ad oggi Callovi ha sviluppato un percorso lavorativo particolare che l’ha portata ad allargare il ventaglio degli sport da monitorare. Compreso il “suo” ciclismo, segue un totale di 28 discipline facenti capo al corpo militare della metropoli degli Emirati Arabi Uniti. Rossella in poco tempo è già diventata un punto di riferimento per tutte le squadre sportive della polizia locale, ma non mancano le occasioni per restare in contatto con l’Italia e con il mondo del pedale. Ecco cosa ci ha detto sulle mansioni del suo ruolo.

Callovi a giugno ha portato il Dubai Police Cycling Team in ritiro a Baselga di Pinè. I test sono stati fatti al CeRiSM di Rovereto
Callovi a giugno ha portato il Dubai Police Cycling Team in ritiro a Baselga di Pinè. I test sono stati fatti al CeRiSM di Rovereto
Rossella partiamo da come sei finita a Dubai?

Risale tutto ad agosto 2023. In quel periodo ero stata contattata dall’ambasciata degli Emirati Arabi Uniti in Italia che avevano in mano il mio profilo e volevano parlare con me. Mi aveva chiamato il Dipartimento Affari Sportivi chiedendomi inizialmente di lavorare per la loro squadra di ciclismo, il Dubai Police Cycling Team. Da quella telefonata abbiamo fatto tre colloqui ravvicinati dove, parlando di altri aspetti, mi hanno proposto di seguire anche gli altri sport.

In quanto tempo hai dovuto decidere?

Avevo ancora un po’ di cose in ballo da sistemare in Italia, così mi hanno proposto un mese di prova proprio a novembre di un anno fa. Mi sarebbe servito per capire di cosa avrei dovuto occuparmi. Nel frattempo, dal report sul ciclismo che mi avevano chiesto di compilare, ne ho fatti altri due in generale sull’accademia militare e sullo stesso dipartimento sportivo. D’altronde qua a Dubai sono ambiziosi e corrono veloci. A me sembrava di essere in una centrifuga di una lavatrice (sorride, ndr). Alla fine di questa prova ho accettato la loro offerta che si è materializzata a gennaio.

E’ uno dei classici treni da prendere al volo?

Diciamo di sì, nel senso che ho l’età e le condizioni giuste per salirci sopra. Sono arrivata a Dubai a marzo, ma nei mesi prima con quelli che sono adesso i miei capi c’è stato subito un buon feeling, anche perché hanno gradito il mio riscontro sincero sul loro dipartimento sportivo. E’ stato un bel confronto. Ad oggi ho un contratto annuale che si rinnova in automatico se una delle due parti non chiede di svincolarsi per validi motivi. E’ la forma contrattuale più alta che c’è qua per gli stranieri e loro la reputano a tempo indeterminato. Devo dirvi che è dura perché sono arrivata in un momento di forte ristrutturazione interna del Dipartimento Sportivo della Polizia, ma sono davvero contenta.

Quali sono stati i tuoi primi compiti?

Come anticipavo prima, ho iniziato subito con l’acceleratore a mille. Appena mi sono insediata, ho dovuto creare una banca dati dei 28 sport della Dubai Police. Ho raccolto tutte le informazioni delle relative squadre, tra atleti, staff, calendari non definiti e altri strumenti per monitorarle. Ho fatto 28 incontri con i rispettivi dirigenti delle squadre per sistemare tutto. E’ stato una sfacchinata incredibile che ho portato a termine in un mese. Con tutte queste informazioni ho fatto la reale fotografia dello stato attuale dello sport a Dubai e di conseguenza anche delle varie federazioni degli Emirati. Poi ho fatto anche altro.

Racconta pure.

In questa ristrutturazione del Dipartimento degli Affari Sportivi della Polizia di Dubai c’era anche un “progetto talenti” che non esisteva. Per questo era stato commissionato a tre multinazionali esterne di studiare una strategia sportiva per una nuova riforma delle squadre della polizia. Parallelamente il direttore dello Sport Excellent Center, il colonnello Abdulbasit Ali, aveva chiesto di fare altrettanto a me, come eventuale “piano B” (in apertura assieme ad Abdullah Khalifa Al Marri, comandante della Dubai Police). Le voleva pronte per giugno. Anche in questo caso abbiamo fatto tutti un grande studio e alla fine il capo ha approvato la mia strategia. Mi hanno fatto un enorme piacere naturalmente.

Callovi adesso è la consulente dello Sport Excellent Center del Dipartimento della Dubai Police. Segue 28 squadre di altrettanti sport
Callovi adesso è la consulente dello Sport Excellent Center del Dipartimento della Dubai Police. Segue 28 squadre di altrettanti sport
Ora di cosa ti occupi?

Adesso seguo la parte più agonistica e competitiva delle 28 squadre sportive della Dubai Police. Si va dal management per avere una struttura organizzativa sostenibile fino agli aspetti legali in cui rivediamo i codici disciplinari e comportamentali di ogni atleta. Curiamo anche il marketing e lo sviluppo accademico e dei giovani. In ogni sport abbiamo applicato una propria regolamentazione. La nostra intenzione è quella di trovare un equilibrio tra sport e lavoro.

Hai avuto difficoltà nello sviluppo di questo progetto?

No, non particolarmente. Molti mi conoscono solo per il mio trascorso ciclistico, ma in Italia avevo fatto tante esperienze diverse. Mi ero laureata a Verona con la tesi sulla doppia carriera di alto livello tra sport e studio, poi avevo fatto un master in management con più competenze in altri sport. Grazie ad una borsa di studio vinta, avevo fatto tre mesi in Inghilterra lavorando per un ente governativo (il Tass, ndr) che si occupava di gestire il sistema di supporto e servizi che ruota attorno agli atleti di alto livello. Devo dire però che aver lavorato accanto a Broccardo, Salvoldi e Sangalli mi ha aiutato tanto. Ognuno di loro mi ha trasmesso molto relativamente alle parti prestative e gestionali di un atleta. Ma anche altre persone sono state preziose per ciò che sto facendo adesso.

Chi sono?

Penso a Maurizio Evangelista (il direttore del Tour of the Alps, ndr) che mi ha insegnato ad organizzare gli eventi. Penso alla professoressa Francesca Vitali, psicologa dello sport e molto attiva nella doppia carriera. E penso anche al professor Federico Schena, vicerettore dell’università di Verona che è anche a capo del CeRiSM (il Centro di Ricerca Sport Montagna e Salute, ndr), con cui collaboravo prima. Lui l’ho rivisto questa estate perché, durante il ritiro a Baselga di Pinè della nostra squadra di ciclismo, ho portato alcuni atleti nel centro di Rovereto a fare dei test incrementali. E’ stato il mio secondo rientro in Italia dopo quello per il congedo dall’Esercito.

Anche se la sede dei team della UAE Emirates sono ad Abu Dhabi, quanto incidono le imprese di Pogacar nel territorio di Dubai?

Il ciclismo è senza dubbio uno degli sport emergenti. Qua vogliono l’eccellenza e le gare della UAE sono molto seguite, così come i corridori sono presi come modelli. Con l’arrivo di Longo Borghini, anche la formazione femminile ha fatto un grandissimo salto in avanti rispetto a prima. Però a Dubai e dintorni vogliono crescere anche con gli eventi ciclistici sia in quantità che in qualità. Basti pensare che nel 2028 ad Abu Dhabi ci saranno i mondiali su strada, mentre nel 2029 quelli in pista. E i lavori della costruzione del nuovo velodromo sono già iniziati.

Quanto manca il solo ciclismo a Rossella Callovi?

Al momento devo dirvi che non ho molto tempo per pensarci troppo con tutto il lavoro che c’è (risponde divertita, ndr). Tuttavia resto aggiornata e sono sempre in contatto con quel mondo, specie per le vacanze di fine stagione. Qualche settimana fa ho conosciuto Lorena Wiebes durante una cena col mio capo ed altre persone. Mentre è venuta qua in vacanza Letizia Paternoster. Sono stato stata felice, le ho fatto da guida uscendo prima dal lavoro. Abbiamo passato un po’ di tempo assieme tra safari, escursioni e giri al mercato. Per il resto qua vogliamo perseguire il nostro obiettivo di promuovere lo sport tra i dipendenti della polizia per portarli agli eventi internazionali.

Serangeli dimentica l’azzurro vincendo al Regioni

06.11.2024
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Sepolta nell’attenzione dai contemporanei campionati europei, domenica San Colombano Certenoli ha ospitato la quarta tappa del Giro delle Regioni di ciclocross, chiaramente senza molti dei protagonisti delle prove precedenti, ma questo ha permesso ad altri elementi di mettersi in evidenza. Ad esempio Giacomo Serangeli, corridore della DP66, vincitore della gara junior e per certi versi il grande assente della rassegna continentale di Pontevedra.

Il crossista umbro, protagonista anche delle altre prove della stagione, ha scaricato sui pedali la sua delusione: «Quello ligure è un percorso che conoscevo già, anche se è cambiato un po’ è salito il fiume e ha costretto gli organizzatori a ridisegnarlo. Ma è molto tecnico, da spingere. Io ho trovato in Ivan Colombo (Sc Alfredo Binda) un rivale inatteso ma molto coriaceo. A due giri dalla fine ho guadagnato una manciata di secondi, ma non mi sono mai sentito al sicuro».

L’arrivo in terra ligure di Serangeli, condiviso con la sua compagna di team Petris, terza fra le pari età
L’arrivo in terra ligure di Serangeli, condiviso con la sua compagna di team Petris, terza fra le pari età
Quanto valore ha questo successo?

Molto e la cosa bella è stata che ho potuto tagliare il traguardo insieme alla mia compagna di squadra, Carlotta Petris che da parte sua andava a guadagnare la terza piazza fra le junior. E’ stata la ciliegina sulla torta.

Dì la verità: domenica però speravi di non esserci…

Non posso negare che non essere stato convocato per gli europei mi è dispiaciuto perché era l’obiettivo della prima parte di stagione. Mi dispiace soprattutto che non siano stati apprezzati i miei veri valori, che quello che ho fatto in questa prima parte dell’anno non sia stato sufficiente. Con Pontoni ho parlato, ma non metto in discussione le sue scelte perché è lui il responsabile e se ha preso quella strada lo ha fatto consapevolmente. Io non posso far altro che impegnarmi ancora di più per convincerlo a  prendermi in considerazione.

Dopo due podi e un 4° posto, serangeli vincendo sale in testa alla classifica del Regioni
Dopo due podi e un 4° posto, Serangeli vincendo sale in testa alla classifica del Regioni
Ti ha preannunciato un coinvolgimento per la Coppa del Mondo?

No, non ne abbiamo parlato. Io spero comunque di guadagnarmi una chance per correre all’estero, per far vedere quel che so fare. Sarebbe bellissimo poter fare della challenge il mio obiettivo stagionale, per ora so che il cittì pensa di convocare 4-5 corridori, spero di essere fra quelli.

La vittoria di Mattia Agostinacchio che cosa ti ha fatto pensare?

Intanto che se l’è meritata e che è stato bravissimo, poi che conferma che in quel contesto potevo anch’io dire la mia. Mattia ha vinto quasi sempre, ma a Brugherio dov’è arrivato quarto io ero davanti e anche nelle altre gare sono arrivato vicino a lui come a Fabbro che ha chiuso sesto. Io un posto nella Top 10 penso che sarei riuscito a ottenerlo e mi tengo basso.

La vittoria dell’umbro ad agosto al Trofeo dell’Aglianico, perla di un’ottima chiusura stagionale
La vittoria dell’umbro ad agosto al Trofeo dell’Aglianico, perla di un’ottima chiusura stagionale
Tu però vieni anche da una stagione su strada veramente buona, dove si è parlato di te come di un ottimo prospetto per le gare con molta salita…

Ho un fisico leggero e mi piace la salita, ma non mi ritengo uno scalatore puro. A me piacciono anche le volate in gruppi ristretti e la pianura non mi fa paura. Voglio diventare un corridore completo, capace di vincere su più fronti.

Tra l’altro non è stata una stagione semplice, visto che è iniziata con molto ritardo.

Alla prova di Coppa del Mondo di ciclocross a Hoogerheide mi sono rotto lo sterno: addio mondiali e oltre 40 giorni di completo stop. Sono dovuto ripartire da zero, la mia prima corsa è stata il Liberazione a Massa a fine aprile. Piano piano mi sono rimesso in carreggiata e ad agosto ho colto la mia prima vittoria, al Trofeo dell’Aglianico del Vulture in Basilicata.

Tra strada e ciclocross?

Dico la verità, spero di non dover scegliere, almeno non nei prossimi anni. Vorrei affrontare la categoria U23 potendo competere in entrambe le discipline perché credo che siano utili l’una all’altra. Poi so bene che la strada è quella principale, quella che dà le maggiori chance di crescita, anche economica. Io comunque spero di trovare un team che sia accondiscendente a questa richiesta.

Come concili l’attività con la scuola?

Non è facile, anche perché d’inverno abbino un paio di sedute in palestra a lavori tecnici sul ciclocross su un percorso vicino casa e anche quando esco su strada lo faccio con la bici da cross. Mi piace molto simulare gli sprint, è un lavoro tecnico sul quale ultimamente mi sto impegnando molto. Sono al quarto anno di Ragioneria Sportiva, abbinare gli allenamenti con la scuola con le poche ore di luce che ci sono non è semplice, ma questo sport richiede sacrifici e sono ben felice di farli.

Buda un anno dopo. Miglior dilettante italiano, ma non passa pro’

06.11.2024
6 min
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Con Simone Buda un anno dopo. Il corridore romagnolo è stato il miglior dilettante dell’anno. Per il corridore della Solme-Olmo, 30 top 10, 20 top 5 e ben cinque vittorie. Questo lo ha portato ad avere il miglior punteggio in graduatoria. Eppure, per Buda tutto ciò non basta per passare professionista. Come mai?

A quanto pare la “colpa” è di essere del 1999, pertanto, è considerato “vecchio” per questo ciclismo. Un anno fa, lo stesso Simone ci disse che era difficile migliorare e che si trovava di fronte a un bivio. Ha tenuto duro ed è migliorato ancora. Ma, sul filo dei 25 anni, la strada verso il professionismo non è in salita: è verticale per lui. Ora si sente definitivamente maturo e si percepisce, e non poco, anche da come parla.

Simone Buda (classe 1999) quest’anno ha ottenuto 5 vittorie
Simone Buda (classe 1999) quest’anno ha ottenuto 5 vittorie
Allora Simone, partiamo da questa tua stagione: il miglior dilettante italiano…

Direi che come è andata lo dicono i numeri. Sinceramente, ad oggi sono deluso e stanco di parlarne. Quel che ho fatto è sotto gli occhi di tutti. Lo scorso anno, nonostante la mia buona stagione, mi fu chiesto di migliorare ancora. Ho accettato, nonostante lo scetticismo di molti, increduli che a 23 anni si potesse migliorare ancora. Ci sono riuscito.

Cosa non ha funzionato secondo te?

Io i miei problemi li ho avuti. Di fatto ho perso le mie stagioni migliori con il Covid. Il terzo e quarto anno da dilettante, quando s’inizia davvero ad andare forte, in pratica non ho corso. Nei due anni precedenti ero al servizio dei compagni. Mettiamoci anche l’accelerata da parte dei giovani ed ecco che di colpo le cose per quelli come me sono peggiorate.

Per assurdo, ti sarebbe convenuto essere del 1998: in quel caso la Federazione tese una mano ai ragazzi nel periodo del Covid…

Vero, però siamo di nuovo ai “se e ai ma”. A quel punto cosa potevo fare? Ci credevo e sono andato avanti fino a diventare élite. Ho lavorato tanto, sapevo dove potevo arrivare. Quando dico una cosa la mantengo. Lo scorso anno di questo periodo ero lì, lì per smettere. Mi fu detto di provare ancora. Se dovevo farlo però avrei dovuto dare il 101 per cento. Al team manager Forcolin dissi che avrei vinto cinque gare. Mi prese per matto. Ma io sono così: determinato. Se faccio una promessa la mantengo.

Grande affiatamento nella Solme-Olmo di Forcolin, al centro con i suoi ragazzi (Avigh Foto)
Grande affiatamento nella Solme-Olmo di Forcolin, al centro con i suoi ragazzi (Avigh Foto)
Ora come sei messo?

Ambire ai pro’ è difficile, ma io ho fatto tutto quello che potevo e dovevo. Mi è stato chiesto di migliorare e l’ho fatto. Di vincere più gare e l’ho fatto. Mi sono stati chiesti dei test di un certo livello ed ho risposto alle aspettative. Mi è stato chiesto di migliorare nelle corse più dure e ho fatto anche quello. Davvero, non so più cosa potrei fare. Se non trovo una squadra, chiuderò da numero uno. Poi rifletto anche su una cosa.

Quale?

Se il ciclismo italiano è così ben messo da perdere il suo dilettante migliore, allora mi faccio da parte. Certo, correre mi piace, potrei farlo fino a 35 anni, ma non ne varrebbe la pena. Bisogna guardare in faccia la realtà. Con certi risultati devi fare il salto di categoria; se non lo faccio, dico basta. Poi magari potrei essere il peggior professionista del mondo, anche se non credo, ma a quel punto lascerei tutto. Ma una risposta l’avrei avuta. Quel che mi spettava l’avrei ottenuto.

Veniamo ad aspetti più tecnici: hai parlato di migliorare nelle corse più dure. Come sei migliorato?

Per il corridore che sono (un passista molto veloce, ndr) non andavo piano, ma insieme al mio coach Giovanni Pedretti e al supporto della squadra ho aumentato la tenuta nelle corse più mosse e importanti. Ero stato accusato sulla qualità delle mie vittorie. Ebbene, quest’anno, nelle internazionali, ho sempre fatto bene. Ho vinto in Ungheria, ho fatto secondo al Circuito del Porto e alla Popolarissima. La squadra mi ha supportato al 100 per cento. Ha creduto in me, i compagni hanno creduto in me. Nonostante corressi, e corressimo, con il dito puntato, visto che avevo già più di 23 anni.

Solo nelle ultime due stagioni Buda ha vinto 9 corse, ottenendo 36 top 5 (foto AV)
Solo nelle ultime due stagioni Buda ha vinto 9 corse, ottenendo 36 top 5 (foto AV)
Al Porto ha vinto un certo Jakub Mareczko

Se devo dirla tutta, quel giorno sono caduto a 6 chilometri dall’arrivo e ho fatto la volata col 14. Alla Popolarissima in volata c’è stato un problema con delle transenne spostate… Non ho la prova per dire che sarebbe andata diversamente, quindi sto zitto. Ma è successo anche questo. Lo accetto: certe cose accadono correndo in bici. Ma tutto il resto?

Possibile, Simone, che davvero non ci sia stata neanche una trattativa, un interessamento di qualche team?

Tante parole, ma poi nulla di fatto. Contatti con dei procuratori, anche importanti, che poi sono spariti.

Perché secondo te?

Sinceramente non lo so ed è quello che mi chiedo. Da parte mia, ho sempre voluto far parlare la strada, tenendomi lontano dalle polemiche. Dal management della mia squadra ho cercato di farmi proteggere il più possibile, facendomi stare lontano da eventuali trattative, voci… Volevo avere la serenità e la mente libera: un atleta per rendere ne ha bisogno, non gli bastano solo le gambe. Poi è chiaro che qualche notizia me la davano. Però, per dire, anche in questo caso volevo tenermi lontano dalle polemiche e restare concentrato solo sul ciclismo. Ma pongo io una domanda.

Vai…

Okay i giovani, ma una squadra prende chi va forte o chi potrebbe andare forte? Chi vince o chi potrebbe vincere? Se così fosse, i Ballan, i De Marchi e in qualche modo anche Vingegaard… per dire, non ci sarebbero.

Buda, sprinter, è migliorato anche nelle corse più mosse
Buda, sprinter, è migliorato anche nelle corse più mosse
O anche Tarozzi per restare ad esempi più concreti e vicini…

Tarozzi è praticamente un fratello. Usciamo sempre insieme. Siamo stati anche compagni. Ci siamo visti anche ieri sera. Pensate che gente come lui, ma soprattutto coetanei di altre squadre, rivali, se così possiamo dire, mi chiamano e mi chiedono: «Allora, novità?». Io rispondo: niente. E questo credo sia spaventoso anche per loro. Anche loro sono increduli. Immagino si domandino: «Ma come, se lui che è stato il numero uno della stagione non passa, noi cosa facciamo?».

Prima ti abbiamo chiesto delle trattative e poi ti abbiamo interrotto…

Qualche team continental, italiano e straniero, si è fatto avanti. Mi davano anche dei buoni soldi, ma non accetto questa via, non mi accontento dopo quel che ho fatto. Io voglio diventare professionista. Vorrei che la mia esperienza fosse un insegnamento. Che senso avrebbe se il prossimo anno mi ripresento alla San Geo (una delle prime gare stagionali, ndr)? Cosa direi al Simone Buda ragazzino del 2013?

Chiaro…

Ci pensavo proprio qualche giorno fa. Anche da esordiente vinsi la classifica dell’anno. Ho sempre vinto molto. Quel ragazzino aveva il sogno di migliorarsi, la gioia di andare in bici e di passare professionista. E ora? Cos’è il ciclismo italiano? Se uno vince la Serie B, l’anno dopo passa in Serie A. Idem con la Formula 2 e il passaggio in Formula 1. Perché noi no? Cosa dimostra il ciclismo italiano? Davvero, non so più cosa dire e cosa pensare… Perché non ho un procuratore? Perché non ho soldi?

Come stai passando questi giorni?

Anche se non so cosa farò, come andranno le cose, ho ripreso ad allenarmi. Ho fatto 20 giorni di stacco. Ho corso dal 27 febbraio all’8 ottobre. Adesso magari non faccio sei ore di bici, ma ho ripreso con la corsa a piedi, la palestra…

Le emozioni di papà Franco: il primo tifoso della figlia Giorgia

06.11.2024
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Il sorriso che Giorgia Pellizotti ha strappato a suo padre Franco attraversa potente anche il telefono ed è come se lo avessimo davanti agli occhi. L’incredulità della giovane azzurra che è tornata dalla sua prima spedizione continentale con due medaglie in altrettante gare ve l’abbiamo raccontata. Ora tocca a Franco Pellizotti, suo padre e primo tifoso. La famiglia intera ha seguito Giorgia fino a Pontevedra, in Spagna, per la gara continentale.

«Noi siamo partiti da Venezia sabato mattina – racconta Franco – per atterrare a Madrid e prendere la macchina e arrivare fino al campo di gara. Giorgia, invece, ha viaggiato con la nazionale e sono volati prima a La Coruna e poi si sono spostati a Pontevedra. Lei e la figlia di Bramati hanno viaggiato insieme, noi l’abbiamo recuperata solamente ieri a casa del “Brama”. Nell’ora di macchina per tornare a casa, Giorgia non ha fatto altro che parlare dei giorni passati con la nazionale».

Qual è stato il primo argomento toccato?

Il gruppo. Per lei era tutto nuovo e la cosa che mi ha colpito maggiormente è stata la felicità che ha provato nello stare con il team azzurro. Sia con le ragazze che con i ragazzi. Sinceramente sentirla parlare così era la cosa cui tenevo di più. I risultati sono stati sorprendenti, non me li aspettavo. Ma da genitore sono ancora più contento di averla sentita felice e divertita dall’esperienza. 

Davvero non ti aspettavi queste medaglie?

A essere onesto dal team relay credevo sarebbero usciti con un podio, ma battere la Francia la vedevo complicata. Era la squadra più forte a mio modo di vedere, c’erano Célia Gery, Aubin Sparfel… Insomma tutte le prime linee. L’Italia aveva una squadra forte, ma mancava la Casasola. Invece hanno dimostrato di essere i più forti di tutti. 

Franco Pellizotti insieme agli altri due figli: Giacomo e Mia
Franco Pellizotti insieme agli altri due figli: Giacomo e Mia
Nella gara di domenica?

Non nascondo che da tempo la vedevo andare forte, ma scontrarsi in un contesto internazionale con ragazze di un anno più grandi non è facile. La prima corsa fatta nel 2024 è stata in Svizzera a fine settembre e lì c’era Anja Grossman, che poi ha vinto anche il titolo europeo. In quell’occasione Giorgia da lei aveva pagato più di un minuto, ma in un mese l’ho vista crescere tanto. Quando parlavamo dell’europeo sapevamo che fosse un appuntamento difficile, ma credevo in lei. Sapevo che non l’avrebbero staccata. 

Invece non era partita benissimo.

Nel primo giro e mezzo ha pagato una decina di secondi dal gruppo di testa, lì ci ero rimasto un attimo. Ho pensato: «Cavolo, siamo già fuori dai giochi». Giorgia al contrario non si è demoralizzata, è rimasta fredda ed ha avuto la grande capacità di tornare in corsa e giocarsi la medaglia. Con un atteggiamento più cattivo, in senso agonistico, magari sarebbe rimasta più fresca nel finale. E’ vero che la cattiveria agonistica ti viene anche dalla consapevolezza che acquisisci in questi contesti. 

Giorgia si scioglie nell’abbraccio del fratello Giacomo dopo la vittoria nel team relay
Giorgia si scioglie nell’abbraccio del fratello Giacomo dopo la vittoria nel team relay
Dove ti ha sorpreso?

Nella gestione della corsa. E’ sempre rimasta lucida e non si è mai fatta prendere dal panico. Sono arrivate due medaglie che erano distanti da quanto ci saremmo aspettati, diciamo che è riuscita a salire un bel gradino. 

Sei stato più genitore o tifoso?

Sono uno abbastanza silenzioso, di solito cerco di appartarmi e guardare la corsa da solo. Sapete se sto in mezzo alla folla poi la gente arriva, ti chiede. Preferisco mettermi in un punto tattico e isolato dove vedere bene la gara in più passaggi. Sto lì e incito Giorgia, senza darle consigli. Da questo punto di vista me ne guardo bene, c’è chi fa il suo lavoro e sa farlo: il cittì Pontoni e tutto lo staff, anche quello del team. Quando siamo via con la squadra, do una mano come qualsiasi genitore, lavo le bici, e me no sto in disparte. A Giorgia pensano i suoi tecnici. 

Pronti, via! La più piccola dei fratelli Pellizotti, Mia, pronta a sostenere sua sorella Giorgia
Pronti, via! La più piccola dei fratelli Pellizotti, Mia, pronta a sostenere sua sorella Giorgia
Com’è stato vivere quei due giorni di gara? 

Innanzitutto è stato bello perché siamo stati tutti insieme. Un anno fa abbiamo fatto la scelta di comprare un camper per seguire Giorgia nelle varie gare. Il mio off season è il ciclocross e mi piace davvero molto. Le nostre ferie sono condite dal fango dei tracciati. E’ davvero un’esperienza bellissima, che viviamo con molta serenità. Riusciamo anche a fare i turisti. Coincidenza vuole che sia stato a Pontevedra anche in un giorno di riposo della Vuelta quest’estate, solo che non ero riuscito a vederla. Nei giorni scorsi la sera siamo andati a visitare la cittadina, abbiamo mangiato fuori. Insomma, ci siamo divertiti.

Ripensa a quando avete preso il camper per seguire Giorgia ad ora, come rivivi questo anno?

E’ stata fantastico. A dicembre del 2023, come le avevo promesso, siamo andati a fare dieci giorni in Belgio, nella terra del ciclocross. Ha disputato due gare e poi siamo stati a vedere la corsa in notturna a Diegem. Sono state delle ferie atipiche, ma davvero molto belle per tutti noi. A gennaio eravamo andati anche a vedere i mondiali di Tabor, durante le premiazioni Giorgia mi ha detto: «Chissà se un giorno salirò su un podio così». 

Un anno dopo lo ha fatto…

Per due volte! E in una di queste ha anche sentito l’inno di Mameli. Mi ha confessato che è stata la prima volta in cui ha pianto per una vittoria. Il gruppo è stato incredibile, con un legame davvero forte. Ogni volta che qualcuno di loro saliva sul podio, gli altri erano sotto a festeggiare. Da genitore, ma anche da diesse, quella del gruppo è la soddisfazione più grande che mi porto a casa, senza ombra di dubbio.

Dal Fiandre al Lombardia, quattro podi azzurri con Moser

06.11.2024
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Senza contare le tappe, che pure hanno il loro peso, nel 2024 l’Italia del ciclismo è salita per sole quattro volte sul podio di gare a tappe e classiche WorldTour. E’ chiaro che nessuno dimentica le vittorie di Milan, Ganna e Vendrame al Giro. Oppure i secondi posti di Frigo e Zana alla Vuelta e il terzo di Cattaneo nella crono di Madrid. Non c’è niente di facile in tutto questo, ma abbiamo concentrato la nostra attenzione su quattro risultati che ci hanno permesso di parlare con Moreno Moser di quattro corridori diversi fra loro.

Mozzato, con il secondo posto del Fiandre. Ulissi con il secondo al Tour de Pologne. Milan con il secondo ad Amburgo. Infine Ciccone, terzo al Lombardia. 

Moreno Moser, classe 1990 è stato pro’ dal 2012 al 2019 (foto Instagram)
Moreno Moser, classe 1990 è stato pro’ dal 2012 al 2019 (foto Instagram)

Mozzato e il Fiandre

Mozzato al Fiandre è la sorpresa di primavera: pochi lo avrebbero pronosticato così forte, seppure i suoi piazzamenti sulle strade del Nord fossero in crescendo da almeno due anni. Si può arrivare secondi al Fiandre per un colpo di fortuna? Decisamente no, anche se forse quel piazzamento ha generato delle attese che il vicentino non era in grado di sopportare.

«Per arrivare in fondo a Fiandre e Roubaix – dice Moser – quando le corse iniziano a superare i 230-250 chilometri, devi avere comunque un grosso motore. Poi è ovvio che Mozzato è molto veloce, è riuscito a tenere quel gruppetto lì e a giocarsela bene in volata. Il risultato è di spessore, anche se è comprensibile che poi si chiedano conferme. Io ho fatto il corridore e so quanto è duro rimanere sul pezzo, quindi questa non è assolutamente una critica, ma solo una considerazione e una speranza. Il bel risultato fa crescere le attese. Prendiamo il Fiandre di Bettiol: quella che fu una giornata di grazia. E’ chiaro che la vittoria alzò le aspettative a livello stellare, però a livello di stipendio, di popolarità e tutto quello che ne consegue ha avuto i suoi riscontri.

«Invece il secondo posto non ti dà vantaggi altrettanto clamorosi, crea aspettative e basta. Portare Mozzato alle Olimpiadi forse era più di quello che potesse reggere, anche perché in giro c’è un livello stellare da parte di pochi atleti. Noi ci concentriamo sugli italiani, ma la verità è che tutto il mondo si ritrova a inseguire quei 4-5 corridori. Si parla tanto della Slovenia, ma Pogacar e Roglic non possono fare media. Sono casi isolati, non una statistica».

Mozzato stremato dopo l’arrivo del Fiandre: il vicentino è stato il primo dopo Van der Poel
Mozzato stremato dopo l’arrivo del Fiandre: il vicentino è stato il primo dopo Van der Poel

Ulissi e il Polonia

Ulissi secondo al Tour de Pologne, battuto solo da Jonas Vingegaard, uscito forte dal Tour. Sbaglia chi pensa che il danese in Francia fosse sotto tono: aveva espresso valori altissimi e in Polonia è arrivato con la voglia di vincere.

«Secondo me Ulissi è un corridore pazzesco – comincia Moser – non paragonabile a un livello Pogacar, però come uomo squadra e corridore che può raccogliere risultati in grandi gare, è un elemento che farebbe comodo in qualsiasi squadra. Non so quanti altri anni correrà, però di certo è un signor professionista e lo aveva già fatto vedere all’inizio di stagione. Dopo la sua scalata a Prati di Tivo al Giro d’Abruzzo, scrissero che aveva fatto i migliori dati di sempre. Quelle cose lì non te le inventi, significano che vai forte. Ammiro Diego per il fatto che è riuscito a stare al passo con il cambio di generazione e l’aumento delle prestazioni. Si pensa che i giovani abbiano un motore più grande dei vecchi, in realtà lui è la dimostrazione della capacità di adattamento nella preparazione.

«Trovo sempre interessante guardare quelli che hanno corso ai miei tempi, guardando i watt medi delle gare. Mi rendo conto che eravamo tutti molto più bassi. Lo stesso Froome con i valori dei Tour vinti, oggi sarebbe ventesimo. Invece Diego è rimasto in alto. Poi magari non ha cercato fortuna altrove per una scelta di vita. Una squadra come la UAE sicuramente ti dà delle certezze anche a livello economico e delle buone prospettive. Andare via da giovani è un salto nel vuoto, perché se fai un paio di stagioni storte, rischi di finire la carriera».

Il podio finale del Giro di Polonia, da sinistra Kelderman (terzo), il vincitore Vingegaard e Ulissi
Il podio finale del Giro di Polonia, da sinistra Kelderman (terzo), il vincitore Vingegaard e Ulissi

Milan ad Amburgo

Milan ha vinto undici corse e si è messo al petto svariate medaglie in pista, eppure ad Amburgo (e prima agli europei) ha perso il filo della volata e ha lasciato la vittoria a Olaf Kooij, lo stesso che lo aveva battuto in modo identico a Napoli, nella nona tappa del Giro d’Italia.

«Jonathan è un altro che viaggia con grandissime attese – dice Moser – e dovrebbe sentirsi fortunato per questo. Secondo me si merita tutte le vittorie che sta ottenendo e io sinceramente lo considero il velocista più forte al mondo. L’anno prossimo dovrebbe fare il Tour, mi sembra. Al Giro quest’anno ha vinto tre tappe, ma credo che se fosse andato in Francia ne avrebbe portate a casa un paio. Quindi aspettiamo questo grande passo, ma penso che sia un corridore veramente di una classe immensa e sarebbe quasi sprecato vederlo solo in volata. E non penso che il fatto di puntare alle classiche vada considerata una scelta che esclude le volate, semplicemente è un fatto di programmi. Come per Philipsen e Kristoff prima di lui. Non è che si si allena per vincere il Fiandre, poi perde in volata.

«L’Ho visto muoversi bene in gruppo, abbastanza cattivo, forse a volte un po’ troppo agitato, Non ha paura, ma la mia sensazione è che a volte la sua grande potenza, la resistenza e la confidenza nei suoi mezzi lo mettano nella situazione di prendere un po’ troppa aria. A volte è un problema di quelli forti, che piuttosto di rimanere chiusi, spendono troppo e alla fine la pagano. Invece Cavendish, consapevole che la sua forza non sia essere più resistente degli altri, rischia a restare coperto perché sa che se esce troppo presto, lo battono. Quindi per assurdo, io credo che a volte Milan si senta tanto forte, si scopra troppo presto e paghi il conto in termini di spesa energetica. Per questo chi gli esce dalla scia può batterlo, come ha fatto Kooij».

Ad Amburgo, come pure a Napoli al Giro, Kooij rimonta e brucia Milan
Ad Amburgo, come pure a Napoli al Giro, Kooij rimonta e brucia Milan

Ciccone al Lombardia

Si chiude con Ciccone (foto di apertura), cuore abruzzese arrivato al Lombardia con addosso la delusione del mondiale e costretto ad arrendersi allo strapotere di Pogacar ed Evenepoel. I suoi numeri in salita sono stati rimarchevoli, ma in certi giorni non si può correre per vincere: è la strada a vietarlo.

«Ha fatto un Lombardia notevole – conferma Moser – non ho alcun dubbio che sia un grandissimo corridore. Ha tanta cattiveria e tanta classe, non so se a volte gli manca un po’ di costanza, ma certo arrivare al livello di quelli lì gli costa tanto. Non è tanto lui che manca, ma il fatto che in questo momento si corra per il secondo posto, che diventa quasi una semi-vittoria. Ovviamente noi vediamo la TV da spettatori, come guardare una serie TV, però le squadre non la guardano con i nostri stessi occhi. E se per noi il secondo posto è una sconfitta, per un corridore arrivare secondo dietro Tadej vuol dire diventare l’oggetto del desiderio delle squadre che non potranno mai avere Pogacar. Tu sei uno di quelli che gli è arrivato più vicino, quindi il tuo valore cresce esponenzialmente.

«Però c’è anche un altro tema che ho letto in un’intervista a Gianni Bugno e cioè che le squadre potrebbero anche stancarsi di raccogliere le briciole. Se accendi la televisione e Pogacar è già fuori, forse la corsa diventa meno interessante. Al netto di questo però, è sempre meglio avere un campione fortissimo che fa innamorare i ragazzini, piuttosto che non averlo».

Mozzato: annata dal doppio volto. L’analisi del veneto

05.11.2024
5 min
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Luca Mozzato è stato uno dei nostri portacolori alle Olimpiadi di Parigi, un bel traguardo per il corridore dell’Arkea-B&B Hotels, che dopo il podio al Fiandre era, ed è, entrato ufficialmente tra i grandi del ciclismo italiano. Tuttavia, proprio dopo i Giochi era lecito attendersi qualcosa di più da lui. Ma non sempre le cose vanno secondo programma.

In questi giorni Mozzato è alle prese con un trasloco. Tra scatoloni, immancabili scorribande da Ikea e mobili da spostare, ci ha raccontato come è andata e, in parte, come andrà la prossima stagione.

Per Mozzato una grande stagione fino a primavera
Per Mozzato una grande stagione fino a primavera
Insomma Luca, se dovessi tracciare un bilancio di questo tuo 2024 ciclistico cosa diresti?

Una stagione dai due volti. Quindi un bilancio molto positivo nella prima parte, fino alle classiche. E dire che non era iniziata benissimo, ma laddove avevamo segnato il cerchio rosso ci sono arrivato bene. L’idea era di andare forte tra marzo e aprile. Poi, anche in virtù del mio modo di correre, non avevo fatto molto. Non sono un tipo che può andare in fuga da solo. Magari cerco di restare nel primo gruppo e poi, a seconda di come va la corsa, cerco di cogliere l’occasione, forte anche del mio spunto veloce.

Chiaro…

Quel che mi è piaciuto è stata la crescita costante che ho avuto in quel periodo. Una crescita che è stata suggellata dal podio al Giro delle Fiandre. Io poi sono sempre stato parecchio legato al risultato. Non sono di quelli che si accontentano di andare forte. Magari preferisco soffrire tutta la gara, restare davanti con uno sforzo grande ma poi cogliere un risultato, piuttosto che stare bene in gara e poi restare con un pugno di mosche in mano.

Dopo le classiche del Nord hai staccato. E ti sei preparato per il Tour e le Olimpiadi. E da qui in poi ti abbiamo visto meno…

Esatto. È stata un’estate impegnativa. Io per primo mi aspettavo di essere più presente e cogliere qualcosa in più. E me lo aspettavo non tanto al Tour, dove ero consapevole che per me sarebbe stato difficile ottenere un risultato, ma per il dopo Tour. Fare la Grande Boucle quest’anno per me era importante, con la partenza dall’Italia e, appunto, le Olimpiadi subito dopo.

Perché era difficile fare di più?

Perché la mia presenza era per stare vicino a Demare e perché dovevo svolgere un certo lavoro in vista delle Olimpiadi. Ma in generale ho fatto più fatica di quel che mi aspettavo. Ho sofferto di più rispetto agli anni precedenti, specie nella terza settimana. Le altre volte, da quella, seppur stanco, ne uscivo con una bella gamba, in crescita. Stavolta invece non è andata così. Un giorno avevo sensazioni positive e un giorno negative. Non è stata una bella situazione.

Dal Tour in poi le cose non sono andate benissimo, ma il veneto non ha mai mollato e forse questo suo troppo insistere è stato l’errore chiave
Dal Tour in poi le cose non sono andate benissimo, ma il veneto non ha mai mollato e forse questo suo troppo insistere è stato l’errore chiave
E questo aspetto ha avuto ripercussioni sulle Olimpiadi?

Sulle Olimpiadi ma anche sul resto: la gamba non era piena e il morale non era alto. Chiaro che a Parigi si sarebbe potuto fare qualcosa di meglio, ma non era facile. Poi io sono uno che ha bisogno di correre per dimostrare quel che ha fatto, quanto ha lavorato. E questa cosa mi ha fatto più danni che bene.

Troppa voglia di fare, ma spiegaci meglio…

Per esempio, dopo Parigi, mi sono impuntato con la squadra per fare il Limousin, gara nella quale in passato ero andato bene. Invece ero a corto di fiato e quella corsa, a conti fatti, è stata la mazzata finale. Sono stato come nella terza settimana del Tour: un giorno mi svegliavo bene e l’altro male. Giusto nel finale di stagione mi sono un po’ ripreso. E infatti la miglior corsa, per sensazioni avute, è stata la Parigi-Tours, l’ultima gara dell’anno. Questo per dire che alla fine non ho mai mollato e ho cercato fino alla fine di fare bene, di riprendermi.

Quali insegnamenti hai dunque ottenuto da questa stagione?

Innanzitutto che non devo esagerare. Che non sono Superman: se non sono al meglio, devo recuperare un po’. E poi che forse devo ascoltare un po’ di più chi mi sta vicino. Penso proprio al Limousin: dovevo ascoltare la squadra che invece mi consigliava di rifiatare in vista del finale di stagione.

Che poi la questione è proprio questa, Luca: davvero ti si è visto poco, specie in relazione a quanto mostrato in primavera…

Sì, sì e ne sono consapevole. Quello solitamente è un periodo buono per me: nelle corse di secondo livello di fine stagione ci sono sempre stato. Stavolta invece ho fatto fatica.

Mozzato si appresta ad affrontare la terza stagione in questo team
Mozzato si appresta ad affrontare la terza stagione in questo team
Complimenti per l’onestà! E invece in squadra come vanno le cose?

Per ora sembra tutto bene. Non navighiamo nell’oro ma tutto procede come gli altri anni. Faremo tre giorni in Bretagna a fine mese con sponsor e fan, poi a dicembre e a gennaio andremo in Spagna per i ritiri, dove prepareremo la stagione cercando di difendere il posto nel WorldTour.

Conosci già il tuo calendario?

Non di preciso, ma più o meno è il solito. Quindi già so che la mia prima parte di stagione si concluderà con la Parigi-Roubaix. Poi non so le corse specifiche, ma più o meno è quello. Da lì in poi, invece, si vedrà.

Ti piacerebbe fare il Giro d’Italia?

Da italiano assolutamente sì, specie perché il Giro non l’ho mai fatto. Tra l’altro, si vocifera ci sia una tappa con arrivo a Vicenza, la mia città.

Pista, volate, salite e crono: tutto il Milan di Roberto Bressan

05.11.2024
5 min
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Sentire che Luca Guercilena ha riconosciuto la bontà del lavoro svolto dal Cycling Team Friuli con Jonathan Milan fa sì che Roberto Bressan mandi attraverso queste righe un messaggio di ringraziamento al general manager della Lidl-Trek. Fra i corridori passati nelle sue mani, Johnny è forse quello che sta volando più alto e che ha dimostrato da subito di poterlo fare (in apertura, immagine photors.it).

«Le parole di Luca mi riempiono di orgoglio – dice il manager friulano – ma è qualcosa che mi sento di dividere con tutto il nostro gruppo. Io ho fatto la mia parte, prendendo le decisioni, ma anche Andrea Fusaz ha fatto tanto con Milan e tutto lo staff tecnico. Una cosa è certa: si vedeva che fosse un talento fuori dal comune».

Bressan, classe 1960, insieme a Roberto Fedriga, presidente della Regione FVG (immagine CTF)
Bressan, classe 1960, insieme a Roberto Fedriga, presidente della Regione FVG (immagine CTF)
Da cosa si vedeva?

Ne avevamo sentito parlare e così quando era ancora junior avevamo cominciato a seguirlo, finché con Andrea Fusaz gli facemmo un test e fummo letteralmente impressionati dai numeri che saltarono fuori. Noi un ragazzo di 18 anni con quei valori non lo avevamo mai visto in vita nostra e, tutto sommato, faccio questo mestiere da qualche anno. Sono stato anche il direttore sportivo di suo padre Flavio, insomma. Jonathan ha dei geni fuori dal comune che gli vengono proprio da suo padre e da sua madre. Ha una forza fisica tutta da esprimere che non permette di sapere dove potrà arrivare. I suoi limiti sono ignoti, siamo ancora lontani secondo me. Secondo me se va al Tour e gli mettono a disposizione un bel treno, due tappe le vince di sicuro. Altro che Philipsen e gli altri…

Al primo anno da U23 lo portaste in pista: si vedeva quel tipo di talento oppure fu un tentativo?

Fu un esperimento. Il giovane Jonathan non aveva un carattere facile e anche tenerlo con la testa sulla bici non era semplicissimo. Così lo portai in pista per gestirlo e dargli la completezza che avevamo già sperimentato con Fabbro, nonostante fosse uno scalatore, e con De Marchi. Sapevamo tutti quello che potesse diventare Alessandro, ma andare in pista completa la dotazione del corridore.

Pare che Villa abbia detto a Guercilena già da allora che Jonathan avrebbe potuto fare il record del mondo.

Villa ha creduto in quello che gli dicevo e inserendolo nel quartetto ai mondiali di Berlino 2020, aggiunse 100 cavalli al quartetto. Quando presero il bronzo a squadre e poi fece 4’08” nell’individuale, che per me fu pazzesco, gli dissi che il suo traguardo doveva essere battere Ganna. Non perché si possa cancellare Pippo, visto che è un’istituzione, ma perché Ganna all’età di Jonathan non faceva gli stessi tempi, quindi era chiaro che il suo cammino fosse quello di batterlo. Attenzione: Ganna ha aperto la via e tracciato un metodo di lavoro dal quale Jonathan è stato di certo avvantaggiato.

Ti aspettavi che potesse fare il record del mondo?

Direi di sì. Quella sera ho chiamato Giovanni Carini, il meccanico della nazionale, e gli ho chiesto di passarmi Jonathan. Era ancora nel mezzo della festa, abbiamo parlato pochi minuti. Gli ho fatto i complimenti perché aveva raggiunto l’obiettivo che si era prefissato quattro anni prima.

Il suo presente è fortemente orientato sulle volate, credi che sia potenzialmente anche un corridore da classiche?

Milan è destinato a vincere le classiche, perché lui ha la salita nelle gambe. Nel tappone del Giro d’Italia U23 del 2020 in cui Aleotti fece quarto, Milan tirò da solo per le prime due salite. E’ più di un Viviani, col massimo rispetto, che fa le volate e vince in pista. Jonathan va forte anche a crono. Il campionato italiano U23 del 2020 era lungo 25,6 chilometri e lui batté Piccolo e Tiberi a 48,200 di media. Quando vincemmo il campionato italiano cronosquadre a 55 di media, lui fece il giro di riscaldamento da solo a 50 di media. Lo vedo più dalla parte di un Boonen o Pedersen che di un velocista puro.

Come si spiega secondo te che all’europeo non sia riuscito a venire fuori nel finale in volata?

Jonathan non è ancora capace di fare le volate da solo, ma se gli danno un treno come quello di Cipollini, non c’è nessuno che possa batterlo, perché ha dei valori di potenza fuori dal comune. Quel giorno, al netto di quello che hanno sbagliato e di cui hanno parlato, secondo me non stava bene, altrimenti uno con quella potenza sarebbe venuto fuori lo stesso. Non so se sia stato per la condizione o la tensione, ma secondo me quel giorno qualcosa deve essere successo.

Quanto della velocità di Milan su strada deriva dalla pista? Secondo Bressan i due ambiti sono legati con corda doppia
Quanto della velocità di Milan su strada deriva dalla pista? Secondo Bressan i due ambiti sono legati con corda doppia
Si dice che dal 2025 potrà puntare solo alla strada: tu gli diresti di andare comunque in pista per allenarsi?

Farebbe male a mollarla, perché la punta di velocità gli viene da quei lavori. Le partenze da fermo con certi rapporti, i lavori specifici sono cose che in strada non riesci a simulare bene. Non so se andrà in pista solo per allenarsi, come pure Ganna. Secondo me però un pensiero al mondiale lo faranno. Non credo che a Ganna faccia piacere aver perso il record del mondo, come credo che se Charlton dovesse battere il record, anche Jonathan, che ora magari potrebbe essere appagato, ritroverebbe la voglia di provare. 

Pellizotti, un oro, un bronzo e quel sorriso strappato al padre

05.11.2024
5 min
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La fantastica spedizione azzurra a Pontevedra, culminata con l’inedito primato nel medagliere degli europei di ciclocross, ha avuto anche la protagonista che non ti aspetti. Giorgia Pellizotti è tornata a casa con un oro nel team relay e il bronzo nella prova individuale junior e forse è proprio questa la medaglia più inattesa dell’intera spedizione azzurra. L’andamento della stagione aveva indicato la punta azzurra in Elisa Ferri (alla fine onorevole quinta), invece la figlia d’arte ha tirato fuori il classico coniglio dal cilindro.

Il podio finale con la Pellizotti al fianco della Bukovska e della vincitrice Grossmann
Il podio finale con la Pellizotti al fianco della Bukovska e della vincitrice Grossmann

Tornata a casa, Giorgia si è subito reimmersa nella routine quotidiana fatta di studio e allenamenti: «Il primo giorno ho preferito però saltare la scuola per rimettermi in pari con lo studio avendo saltato qualche giorno, e poi non nascondo che lì in Spagna ci si svegliava sempre molto presto e tra stanchezza ed emozioni ero veramente spossata».

Ti aspettavi risultati simili?

Decisamente no, quest’anno non avevo mai corso all’estero salvo l’esordio in Svizzera. Non sapevo che cosa attendermi, mi dicevo che anche una Top 10 sarebbe stata un buon risultato per me che sono primo anno.

Un pezzo del percorso, affrontato dall’azzurra anche nel team relay, una prova fondamentale
Un pezzo del percorso, affrontato dall’azzurra anche nel team relay, una prova fondamentale
Tu eri stata scelta per il Team Relay del sabato, quanto è stato utile partecipare in funzione della gara domenicale?

Tantissimo, direi che è stato fondamentale per molti aspetti. Intanto ho potuto provare il percorso ad alte velocità, il che non è la stessa cosa che farlo per allenamento. Vedi le traiettorie anche in base alla fatica, alla spinta che dai alla bici. Poi la vittoria ha dato a tutti una carica enorme, direi che ha fatto davvero la differenza.

C’è un segreto, qualcosa che ti ha dato la spinta giusta per il podio?

Io direi la lucidità nell’affrontare ogni frangente di una gara difficile. Soprattutto nei momenti iniziali, nei quali non ero messa benissimo. Ho avuto anche aiuto dalla fortuna, trovandomi al posto giusto nel momento giusto, ad esempio quando ho seguito l’azione di svizzera e ceka che alla fine si è rivelata decisiva.

Lo sprint di Giorgia, battuta di un’incollatura dalla ceka Bukovska, sfuggitale sull’ultima curva (Photopress.be)
Lo sprint di Giorgia, battuta di un’incollatura dalla ceka Bukovska, sfuggitale sull’ultima curva (Photopress.be)
Eppure in un primo momento eri anche un po’ rammaricata per il secondo posto sfuggito…

Ero felicissima, sia chiaro, però quando ho visto che avevamo fatto il buco mi sono leggermente rilassata ed è stato un errore perché non ho lottato sul rettilineo finale come avrei dovuto, ma la Bukowska era ormai sfuggita e sul rettilineo finale non potevo più rimontarla. Sarebbe stato importante rimanerle incollata.

Tu sei entrata nel team azzurro lo scorso anno pur essendo ancora allieva. Quanto è servito anticipare i tempi?

Moltissimo perché si è formato un gruppo coeso, anche con lo staff, c’era già una conoscenza consolidata. Diciamo che non siamo partiti da zero quest’anno, eravamo tutti pronti ad affrontare la trasferta nel bene come nel male. Io credo che sia stato importante, infatti non mi sono sentita come una novizia in un evento pur così importante.

Titolo junior all’elvetica Anja Grossmann, già titolata nella mountain bike
Titolo junior all’elvetica Anja Grossmann, già titolata nella mountain bike
La svizzera Grossmann era davvero imbattibile?

Io l’avevo affrontata già alla prima prova stagionale e mi ero accorta della sua superiorità, ma la conosco bene. Negli ultimi due anni è stata campionessa europea di mtb nella categoria allieve. Poi ha un fisico completamente diverso dal mio, infatti a dir la verità su un percorso come quello iberico non mi aspettavo di arrivarle così vicino.

Che cosa ti ha detto tuo padre all’arrivo?

Papà non è un uomo di tante parole. Io poi ero con la nazionale, ci siamo potuti vedere poco, ma si vedeva che era contento, molto contento. Avremo modo di confrontarci e di parlarne, una cosa però me l’ha detta: di pensare subito alle prossime gare e non cullarmi sugli allori perché l’appuntamento che conta è sempre davanti a noi. Io punto alle maglie nelle categorie superiori, quando conterà davvero. Questa è una tappa importante, ma pur sempre una tappa.

Con l’oro della staffetta insieme alla famiglia e a papà Franco, diesse della Bahrain Victorious
Con l’oro della staffetta insieme alla famiglia e a papà Franco, diesse della Bahrain Victorious
Sei sempre convinta a non seguire le sue orme e quindi dedicarti all’offroad?

Sì, la mountain bike resta la mia opzione per l’estate mentre il ciclocross è sempre la disciplina che preferisco. Non nascondo poi che l’idea che questa disciplina possa entrare nel programma olimpico mi esalta moltissimo e mi fa prendere questa attività con un altro spirito. Infatti ora che sono a casa già non vedo l’ora che arrivi il fine settimana con le nuove prove internazionali, tra il Giro delle Regioni a Cantoira e la prova di Torino.

La grande festa di Medellin per l’addio di Uran

05.11.2024
4 min
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Non vedremo più Rigoberto Uran nel gruppo. Il simpatico… bresciano di Urrao, arrivato in Italia nel 2006 per correre con la Tenax e avviare così una carriera da professionista lunga 19 stagioni, ha salutato domenica ottomila tifosi allo stadio Atanasio Girardot di Medellin. Qui il sindaco gli ha consegnato la Medaglia Categoria d’Oro, massima onorificenza della città (in apertura Uran con il presentatore Mario Sabato, foto El Giro de Rigo).

Alla cena inaugurale, con Uran i campioni di ieri e quelli di oggi (foto El Giro de Rigo)
Alla cena inaugurale, con Uran i campioni di ieri e quelli di oggi (foto El Giro de Rigo)

Grazie bicicletta

Una giornata allegra, come da par suo, ma questa volta insieme toccante, inaugurata in mattinata con El Giro de Rigo, la gran fondo scelta da tempo come gara per l’addio. Al suo fianco sono arrivati due campioni molto speciali che lo hanno scortato al passo d’addio: Joaquim Purito Rodriguez e Alejandro Valverde. Due giganti spagnoli che non si sono mai amati troppo, ma concordi nell’onorare il grande Rigo. E poi anche corridori in attività, da Dani Martínez e Sergio Higuita, Santiago Buitrago e Fernando Gaviria.

«Questo è un momento molto speciale per ogni ciclista – ha detto commosso Uran – e io non ho potuto farlo alla Vuelta a España, a causa della frattura dell’anca. Ma Dio conosce il perché delle sue scelte. E oggi a Medellín, davanti a tutta la mia gente e ai partecipanti al Giro de Rigo, do l’addio al ciclismo professionistico. Voglio solo dire: grazie, bicicletta. Grazie a te ho potuto ottenere molto, ho potuto sostenere la mia famiglia, ho potuto lottare e ispirare un intero Paese».

Tifosi e appassionati si sono accalcati per salutare il campione (foto El Giro de Rigo)
Tifosi e appassionati si sono accalcati per salutare il campione (foto El Giro de Rigo)

Felicità contagiosa

Valverde e Purito hanno condiviso con Uran i colori della Caisse d’Epargne nel 2008 e nel 2009. «E’ stato un orgoglio – ha detto Rodriguez – aver corso nella stessa squadra con Rigo. Non immaginavo che fosse possibile una corsa come El Giro de Rigo, sei davvero un fenomeno in tutto. Sapevamo tutti che ci avrebbe reso felici quando ti avessimo incontrato nel gruppo».

Un concetto simile a quello espresso da Rodriguez è arrivato anche da Valverde: «Stare con lui – ha detto – è sempre stata una gioia. In più ha fatto davvero tantissimo per il ciclismo del suo Paese».

L’oro di Medellin

Tra gli ospiti di lusso c’era anche la ciclista Mariana Pajón, tre volte medaglia olimpica della BMX, che aveva ospitato Uran e anche Bernal pochi giorni prima in occasione della sua Gran Fondito per bambini. E proprio lei, che ha toccato più volte con mano l’entusiasmo della sua gente, ha detto parole molto vere.

«La città è in festa – ha notato – e anche l’America Latina ti abbraccia. Siamo venuti per celebrare quello che è Rigo: non solo la sua carriera ma il suo modo di essere».

E lui dall’alto del palco su cui lo hanno intervistato, al momento di accettare il premio dal Sindaco Federico Gutierrez, ha commentato la sua carriera con una battuta. «Abbiamo perso l’oro a Londra, ma abbiamo vinto l’oro a Medellín», commentando così l’affetto che la sua gente gli ha sempre tributato.

Avrebbe voluto salutare alla Vuelta, ma ha dovuto ritirarsi e ora Uran saluta a Medellin (foto El Giro de Rigo)
Avrebbe voluto salutare alla Vuelta, ma ha dovuto ritirarsi e ora Uran saluta a Medellin (foto El Giro de Rigo)

Una storia difficile

Tra le vittorie più importanti di Uran si ricordano due tappe al Giro, una al Tour e una alla Vuelta. Il Gp Quebec. Il secondo posto alle Olimpiadi di Londra e la doppia piazza d’onore a Giro d’Italia: nel 2013 dietro Vincenzo Nibali e nel 2014 dietro Nairo Quintana. Anche il Tour de France del 2017 lo vide secondo dietro Froome, ad appena 54 secondi.

La sua storia di emancipazione dalla povertà attraverso la bici dopo l’uccisione del padre resta uno dei capitoli più toccanti del ciclismo contemporaneo. Le sue risate restano la colonna sonora di decine di interviste. E anche se negli ultimi tempi la sua presenza in gruppo è stata meno incisiva, siamo certi che davvero in gruppo se ne sentirà la mancanza.