Trent’anni fa con Ballerini, l’Het Volk e la Roubaix

27.02.2025
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Era il 25 febbraio del 1995, giusto 30 anni fa, quando Franco Ballerini vinse l’Het Volk e, leggendovi un auspicio, di lì a poco conquistò la prima Roubaix. Nel 2008, la Het volk è diventata Omloop Het Nieuwsblad, si correrà sabato da Gand a Ninove e non c’è guerriero del Nord che non brami di mettersi alla prova. Questi erano i suoi giorni. Il tempo di un passaggio alla Sanremo e il Ballero sarebbe sparito per tre settimane sulle strade del Nord. Come si faceva una volta, quando quel viaggio era una missione per veri soldati. Si prendeva possesso di un hotel, di solito piccino perché le grandi catene non c’erano ancora, e si passava il tempo allenandosi sui muri e sul pavé con lo stesso gruppo di compagni, giorno dopo giorno.

Sono passati 15 anni da quando Franco ci ha lasciato e da quel giorno, soprattutto quando si comincia a guardare verso il Nord, non c’è un solo momento in cui la mente di chi l’ha conosciuto non torni da lui. Per questo e per sentire come vadano le cose, abbiamo pensato di rinfrescare i ricordi con l’aiuto di Sabrina Ricasoli, sua moglie e mamma di Gianmarco e Matteo. I figli di Franco. Quelli che ti mostrava nel telefonino ogni volta che gliene chiedessi notizie e ti raccontava almeno un aneddoto di ciascuno, da cui emergevano come i gioielli che sono divenuti crescendo.

Het Volk del 1995: Franco Ballerini vince nell’opening weekend del Nord e getta le basi della prima Roubaix
Het Volk del 1995: Franco Ballerini vince nell’opening weekend del Nord e getta le basi della prima Roubaix
La campagna belga, Sabrina, ti ricordi?

Mi ricordo sì. La campagna del Nord è che Franco si trasferiva in Belgio per 20-25 giorni e quando iniziava l’anno era tutto un’attesa di quei giorni lassù. Faceva dietro moto con mio babbo (i due sono insieme nella foto di apertura a Roubaix, dopo la vittoria del 1995, ndr). Le uscite di tutti i giorni, però non ricordo che avesse un pezzo di pavé dove fare le prove. La distanza lunghissima durante la settimana. La dieta, perché non doveva prendere peso. Un test dietro l’altro. Ogni cosa nella preparazione invernale era fatta per la campagna belga.

E’ vero che a un certo punto cambiava anche l’umore?

Per capirci, vi racconto questo. Matteo gli assomiglia tantissimo, come aspetto ma di carattere anche di più. Lui ovviamente non è un personaggio pubblico, quindi magari non ci si fa caso. Però capita anche che stia zitto per un’intera settimana. E se ci parlo, parlo da sola. Anche Franco poteva restare in silenzio per un’intera settimana, ma non perché non fosse più una persona allegra. Era solamente la sua concentrazione, non lo so quel che era. Io so che molte volte parlava da sola anche con lui, ecco.

Giro di Lombardia 2003, Franco e Sabrina Ballerini in un weekend da commissario tecnico
Giro di Lombardia 2003, Franco e Sabrina Ballerini in un weekend da commissario tecnico
Visto il tuo essere spesso allegra, era un bell’andare, no?

Sì, sì, esatto. Che poi, aspetta, il bello è che doveva filare tutto liscio con la preparazione. Non ci doveva essere un raffreddore, non ci doveva essere assolutamente un’influenza. Se i bambini, in quel periodo c’era Gianmarco, riportavano un virus o un’influenza dall’asilo, Franco ovviamente dormiva in un’altra stanza. Le situazioni erano queste, poi magari era il primo che si ammalava e noi no. La prevenzione al quel tempo si faceva così.

Doveva stare a dieta?

Era molto concentrato nell’alimentazione, una tragedia familiare enorme. Franco purtroppo aveva la tendenza a prendere peso, specialmente d’inverno. Quando non c’erano le gare non faceva delle mangiate incredibili, proprio perché ci stava attento. Secondo me mangiava molto di più quando iniziava ad allenarsi. Sono arrivata a cuocergli tantissima pasta, però senza olio e senza burro, senza panne, senza condimenti. Forse per questo non so fare niente da mangiare, tra il fatto che non mi piace cucinare e il fatto che ho imparato solamente a fare carne ai ferri e pasta al pomodoro. Ma le insalate te le lavo come ti pare… (ride, ndr).

Quella scritta sulla maglia, preparata proprio con Sabrina, fu il commiato di Ballerini dalla Roubaix
Quella scritta sulla maglia, preparata proprio con Sabrina, fu il commiato di Ballerini dalla Roubaix
Per quello sei sempre così magra, ecco il segreto…

Infatti! Gianmarco è stato parecchio a mangiare dalla mia mamma, perché per i primi 2-3 anni da quando è nato si viveva da lei. Lui è un mangione incredibile, gli piace tutto e quando mi dice: «Mamma, sono a cena da te!», mi faccio il segno della croce, perché lui non l’accontenti con una pietanza. Franco mangiava in modo più salutare, che a me piace, perché è semplice da preparare.

Finché arrivava il momento in cui si faceva la valigia per il Nord…

La fase della valigia in realtà era normale, non è che ci fosse tensione o emozioni. Si sapeva che era il momento più importante dell’anno per lui e per noi come famiglia. Però la situazione era tranquilla, non ci dava tanto da pensare. Nel 1998 nella valigia ci mise un portachiavi fatto all’asilo da Gianmarco per la festa del papà. Invece quando poi diventò cittì, non partiva per il mondiale senza l’orologio rosso. Prima che arrivassero i figli capitò anche a me di andare su, ricordo un anno con la moglie di Cipollini e ci divertimmo tantissimo. Poi s’è smesso, mentre mio padre continuava ad andare con i tifosi. Ma senti cosa è successo l’altro giorno…

La bici della seconda Roubaix di Ballerini ha ancora il fango ed è un oggetto sacro per il popolo del ciclismo
La bici della seconda Roubaix di Ballerini ha ancora il fango ed è un oggetto sacro per il popolo del ciclismo
Che cosa?

Ora i miei figlioli sono tutti e due fidanzati, Gianmarco ha anche un bambino: Cristian. E l’altro giorno la sua compagna diceva: «Perché non si va a Roubaix un giorno?». Per Matteo, la morte di Franco è stata un tabù fino a quasi tre anni fa. Non se ne poteva parlare assolutamente e, se capitava, se ne andava. Non è mai stato a manifestazioni o commemorazioni. Invece da quando si è fidanzato, devo dare il merito alla sua ragazza, le cose sono cambiate. In più, lavorando in una concessionaria, si ritrova con il pubblico e capita che la gente gli chieda se sia il figliolo di Franco. E quindi s’è trovato a dover buttare giù, mattone dopo mattone, questo muro che aveva intorno. E ora gli piace, ne parla e riguarda le gare del babbo. Ne parla anche troppo, per essere un tipo così chiuso. Chissà quindi se tutti e quattro un giorno prendono e vanno a Roubaix, per vedere il velodromo e quei posti lassù.

Cosa ricordi di quando Franco vinse la prima Roubaix? Noi eravamo con lui e ricordiamo la telefonata a casa e Gianmarco che diceva: «Babbo, rubé! Babbo, rubé!».

Sì, perché Gianmarco aveva due anni, nel 1995. Anzi, doveva ancora compierli. Lì è stato un casino. La gente del paese da tutte le parti, questo bambino che non lo ritrovavo neanche e me lo prendevano per tenermelo. Insomma, un vortice incredibile. E come si fa a dimenticare? E’ stata la nostra vita, impossibile non ricordarlo.

Gruppo di famiglia. Con Sabrina, Gianmarco e il figlio Cristian, Matteo e le loro compagne (immagine Facebook)
Gruppo di famiglia. Con Sabrina, Gianmarco e il figlio Cristian, Matteo e le loro compagne (immagine Facebook)
Uno dei ricordi più belli venendo da voi poco dopo quella vittoria furono i cimeli tutti infangati esposti in casa.

Ci sono ancora. Lo sai, ci si abitua a tutto nella vita, no? Però capisci che sono cose di un certo valore quando incontri una persona che te lo fa capire. E io, guarda il destino, l’ho incontrata a una cena di beneficenza fatta nel giorno di San Valentino per il Meyer (l’ospedale pediatrico di Firenze, ndr) nel nome di Franco. C’era un ragazzo e noi avevamo la bici dell’ultima Roubaix, quella che c’è rimasto tutto il fango. E a un certo punto lui dice che deve alzarsi per andare a vederla da vicino ed è andato. Si è emozionato e poi è venuto accanto a me e non credeva che avessi ancora le scarpe di quel giorno. E lo vedevo che era proprio emozionatissimo, quindi mi sono detta che è proprio vero che sono ricordi preziosi. E insomma, quand’è così, gli dai ancora più valore…

Tra noia e fughe a sorpresa, un Pogacar così come lo gestisci?

27.02.2025
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Se c’è una cosa che si può ammettere tranquillamente è che con Tadej Pogacar c’è sempre da stare all’erta. Perché ogni corsa riserva sorprese, forse anche perché il campione del mondo è sempre sotto i riflettori. Nella prima tappa prova a fare lo sprint? Gli dicono che come velocista ha molto da imparare. Il giorno dopo è terzo a cronometro? E giù critiche anche da parte di giornali e giornalisti affermati. Poi però, appena la strada si rizza sotto le ruote, lo sloveno mette tutto in chiaro: se c’è lui, non si passa…

A cronometro lo sloveno aveva colto il terzo posto e su qualche giornale sono piovute critiche
A cronometro lo sloveno aveva colto il terzo posto e su qualche giornale sono piovute critiche

Una corsa divisa in due parti

Questa è la prima parte del UAE Tour. Poi c’è la seconda: tutti pensano che sarà un lento (per modo di dire…) procedere verso l’ultima frazione, quella dello Jebel Hafeet, con l’arrivo in salita. Ma con lui non è mai così ed ecco che nella tappa del venerdì fa il numero ad effetto, va in fuga per 110 chilometri. Il gruppo non sa che fare, i commentatori non capiscono. Alla fine finisce 36°, fresco come una rosa, con l’espressione del divertimento puro. Il contrario del giorno successivo, quando se ne resta in gruppo e alla fine ammette: «Mi sono annoiato».

Essere con Tadej è come stare sull’ottovolante e Andrej Hauptman, da anni suo diesse ma soprattutto amico, lo sa bene: «Quell’attacco è nato quasi per scherzo. Aveva pensato di rompere la monotonia dando verve alla corsa, ma si aspettava che qualcuno lo seguisse, invece sono rimasti in gruppo e allora ha tirato avanti, incurante di come sarebbe andata a finire, pensando a fare una buona sgambata. Certo, si fosse trattato di un altro corridore avrei detto che era meglio evitare, ma lui è speciale…».

Nella tappa di Jebel Jais uno scatto nel finale gli era valsa la prima vittoria 2025 e la maglia di leader
Nella tappa di Jebel Jais uno scatto nel finale gli era valsa la prima vittoria 2025 e la maglia di leader
Il fatto di essere imprevedibile è una delle caratteristiche che lo rende unico, secondo te?

Una delle tante. Io dico sempre che per certi versi è un artista, che interpreta i suoi vezzi, che si lascia andare alla fantasia. In fin dei conti poi, ha quasi sempre ragione lui.

Dopo la tappa ne parlate?

Certo, mettiamo a confronto le nostre idee, come facciamo sempre prima di una corsa, così facciamo dopo. Molti sono rimasti colpiti dalle sue dichiarazioni del dopo la tappa di sabato, quando ha detto di essersi annoiato. Tadej è uno che ama visceralmente l’azione, il coinvolgimento. Per lui pedalare non è mai un gesto meccanico, vuole che abbia sempre un senso. Questo significa anche che onora ogni gara come se fosse una grande classica o la tappa di un grande giro. Tadej è così: magari è in testa alla corsa e si mette a tirare per un compagno, magari anche la volata. Per me è anche bellissimo avere a disposizione uno così. Anche se qualche volta mi fa sobbalzare il cuore…

Tu hai corso per anni: quando ti trovi nel gruppo uno così, talmente superiore e che fa cose contro la logica, non sbaraglia anche tutte le tattiche di corsa?

Questa è un’altra delle cose che ne fanno un corridore unico. Io sì, ero corridore, ma non era la stessa cosa, io facevo sempre tanta fatica. Ormai sono anni che lavoro con lui e vedo che ha la capacità di trasformare tutto in un gioco, anche per combattere la noia. Questo è bellissimo, anche perché non fa mai nulla che non sia ammesso. Certo, così mette in difficoltà le altre squadre, me ne rendo conto…

Un conto però è una tappa di una corsa pur importante come il Uae Tour, un altro quando in ballo ci sono i traguardi che fanno una carriera, come una classica o un Grande Giro…

Calma: Pogacar anche quando fa quelle che qualcuno potrebbe considerare “mattane”, lo fa sempre a ragion veduta. Venerdì la tappa era piatta, non c’era vento, sapeva che quello sforzo non gli sarebbe rimasto sulle gambe. Quando si tratta di corse importanti anche lui sa benissimo che ogni stilla di energia è importante e corre sempre per attuare un piano, mai per fare azioni fini a se stesse.

Tadej Pogacar e il suo diesse Andrej Hauptman. Entrambi sono arrivati alla UAE nel 2019
Tadej Pogacar e il suo diesse Andrej Hauptman. Entrambi sono arrivati alla UAE nel 2019
Siamo a meno di un mese dal primo di questi obiettivi, la Sanremo che anche, soprattutto per un corridore come lui è difficile da interpretare. Ci sta già pensando?

Diciamo che ci sto pensando soprattutto io, per capire la tattica giusta e gli uomini più adatti per affrontarla. Se rendere la corsa dura da lontano, se aspettare la parte finale, se portar via un gruppetto verso lo sprint finale o magari altro. Manca tempo, ma ci stiamo ragionando, vagliando ogni possibilità perché la Classicissima è la corsa che più di ogni altra sfugge a qualsiasi regola tattica. Lì veramente serve il tocco dell’artista…

La stagione dell’iridato sarà lunga, come lo hai visto in terra araba?

Siamo esattamente dove volevamo essere. A livello alto, ma c’è margine, c’è lavoro da fare. Abbiamo cambiato il suo calendario rispetto al passato, farà solo il Delfinato come corsa a tappe da qui al Tour, per il resto solo corse d’un giorno. Siamo tranquilli, la squadra gira benissimo sia quando si corre per lui che quando Tadej non c’è. Dobbiamo solo pensare a lavorare e a guardare avanti, state tranquilli che di noia non si parlerà più…

Finamoni: «Alla Campana per amore verso il ciclismo giovanile»

26.02.2025
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La chiusura del settore giovanile da parte della SC Padovani a favore della formazione continental aveva portato tanti ragazzi a trovarsi senza squadra di punto in bianco. Una situazione che ha aperto il cuore e le porte della Campana Imballaggi e di Alessandro Coden. Infatti dopo un colloquio con sponsor e collaboratori è nata la formazione allievi della Campana Imballaggi. La figura di riferimento sarà Massimo Finamoni, diesse della categoria alla Padovani e anche lui migrato ciclisticamente in Trentino dopo la chiusura della squadra (in apertura Stefano Colombo/ Cyclingshoots).

«Sono appena arrivato in ufficio – racconta Finamoni – oggi (ieri per chi legge, ndr) piove e i ragazzi non si allenano, ho un cuore anche io (dice con una risata, ndr). Gli impegni non mancano comunque, visto che devo portare le bici dal meccanico».

A sinistra Massimo Finamoni insieme ad Alessandro Coden (foto Stefano Colombo/Cyclingshoots)
A sinistra Massimo Finamoni insieme ad Alessandro Coden (foto Stefano Colombo/Cyclingshoots)

Il richiamo dei ragazzi

Finamoni ha legato la sua passione del ciclismo alle categorie giovanili. Appena parla ci fa subito capire che avere a che fare con la crescita personale e atletica di questi ragazzi gli dà un qualcosa di unico.

«Prima di allenare gli allievi – spiega ancora Finamoni – ero con gli esordienti e nel mio percorso sono passato anche dalla categoria juniores. Però la dimensione che più mi piace e mi realizza a livello personale è quella degli esordienti e degli allievi. Mi sento di essere un educatore ciclistico e questo mi dà tanta voglia di lavorare e mettermi a disposizione. Capisco l’importanza delle mia figura nella crescita e nella maturazione dei ragazzi».

La formazione allievi della Campana Imballaggi è composta da otto ragazzi, cinque dei quali arrivano dalla Padovani (foto Stefano Colombo/Cyclingshoots)
La formazione allievi della Campana Imballaggi è composta da otto ragazzi, cinque dei quali arrivano dalla Padovani (foto Stefano Colombo/Cyclingshoots)
La chiusura della Padovani è stata una doccia fredda?

Per un certo verso sì, ma d’altra parte la squadra era stata scottata dalla scelta di alcuni ragazzi che avevano deciso di cambiare maglia di punto in bianco. Dopo tante delusioni e complice l’interesse di alcuni sponsor, hanno deciso di creare definitivamente il progetto continental.

Come hanno preso la scelta i ragazzi?

Alcuni non sapevano dove sbattere la testa considerando che erano alla Padovani da sempre. Ci sono state delle reazioni di rabbia cieca alla base delle quali ho capito ci fosse della frustrazione. Io dico sempre che i pensieri dei ragazzi sono come l’olio, vengono sempre a galla. Per fortuna si è trovata una soluzione. 

Essere diesse di una squadra allievi vuol dire insegnare loro le basi del ciclismo
Essere diesse di una squadra allievi vuol dire insegnare loro le basi del ciclismo
Così hai preso i ragazzi e siete andati alla Campana…

Avrei potuto anche continuare a lavorare in Padovani, mi avevano offerto di rimanere e far parte dello staff della continental. Mi sono trovato un po’ tra l’incudine e il martello con sei ragazzi che sarebbero diventati allievi di secondo anno senza squadra. Nel cercare una sistemazione ho parlato con Alessandro Coden che mi ha detto di essere disposto a prenderli tutti. 

E sei andato anche tu.

Ci ho pensato un attimo, in realtà quasi nulla, e sono entrato nella Campana Imballaggi. Volevo restare con i giovani, sono consapevole che questo è il mio posto. Ho ringraziato Galdino Peruzzo, il presidente, e i Vice-Presidenti Alberto Ongarato e Martino Scarso per l’offerta ma ho seguito il cuore. Voglio insegnare ciclismo, quando entri in squadre grandi non lo puoi fare, ma è giusto che sia così. 

Il rapporto con i ragazzi della categoria allievi è molto diretto
Il rapporto con i ragazzi della categoria allievi è molto diretto
Insegnare ciclismo agli allievi cosa vuol dire?

Fargli vedere e spiegargli come si mangia, ci si allena oppure come si approccia una gara. I giovani si affidano totalmente alla figura di riferimento e questo crea un legame molto bello. Adesso che fa freddo mi chiedono se devono indossare i guanti, o quale giacca. Se passi in una realtà continental il corridore sa cosa deve fare, è giusto che sia così. E poi c’è un altro aspetto.

Quale?

Mio figlio, che era in Padovani con me, ha 18 anni. Questa scelta di venire alla Campana l’ho fatta anche per lui. In questo modo riesco a insegnarli cosa vuol dire gestire una squadra e quali sono gli aspetti importanti da curare. Coden e tutti gli sponsor della Campana Imballaggi mi hanno messo nelle mani una tavola vuota sulla quale disegnare. Inoltre tratta tutti i suoi atleti allo stesso modo: dagli allievi alla squadra under 23/elite. 

La stagione della formazione allievi inizierà il 22 marzo
La stagione della formazione allievi inizierà il 22 marzo
Avrete una squadra di otto ragazzi ci ha anticipato Coden…

E sarebbero potuti essere molti di più. Abbiamo ricevuto una ventina di richieste, la maggior parte delle quali non è stato possibile accettare. 

Quando iniziate la stagione?

Il 22 marzo, manca meno di un mese. Siamo carichi.

Consonni: «Quando sprinta Jonny, la bici si contorce»

26.02.2025
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«Alla Valenciana dopo che mi sono spostato ed è scattato Jonathan, prima che passasse il secondo ho dovuto contare fino a cinque. Sapevo che avrebbe vinto». Appena uscito da una sessione dall’osteopata, in seguito ad caduta a suo dire fantozziana in un rifornimento dell’UAE Tour, Simone Consonni ci porta con sé dentro lo sprint. E’ Simone l’apripista, oggi leadout, di Jonathan Milan.

E proprio con il recente UAE Tour possiamo ufficialmente dire che si è aperta anche la stagione delle grandi volate. Nella prova emiratina infatti c’erano tutti i migliori sprinter del pianeta. E tra questi ha brillato proprio Jonathan Milan. Per il velocista della Lidl-Trek due vittorie, altrettanti podi e la maglia a punti, merito anche della sua spalla fedele e sempre più valida: Simone Consonni appunto.

Consonni e Milan: i due oltre che essere compagni sono anche amici. Per Simone avere un buon feeling di squadra è fondamentale per gli sprint
Consonni e Milan: i due oltre che essere compagni sono anche amici. Per Simone avere un buon feeling di squadra è fondamentale per gli sprint
Al netto di questa caduta, come stai Simone? Che ti è sembrato di queste prime corse dell’anno?

Stiamo abbastanza bene. L’abbiamo dimostrato già alla prima tappa della Valenciana con la crono a squadre: prestazione incredibile della squadra, dove abbiamo rifilato un bel gap alla seconda. Abbiamo fatto la ricognizione a gennaio, ci puntavamo e l’abbiamo vinta con 46″ di vantaggio. Questo ci ha dato grande morale per la settimana, culminata con la vittoria di Jonathan nell’ultima tappa.

Ma la prova del nove c’è stata al UAE Tour, dove la concorrenza era spietata…

Esatto. Abbiamo fatto tante cose belle, anche se c’è stato qualche dettaglio da rivedere, specie nelle ultime due volate. Non tutte le ciambelle escono col buco. Nelle ultime due volate la ciambella non ci è proprio riuscita. Noi comunque ci poniamo l’asticella sempre alta, anche quando la competizione è di livello mondiale.

Tu hai un ruolo cruciale nei successi di Milan. E quali sono gli aspetti da migliorare per rendere perfetto il treno?

Io sono l’ultimo uomo, ma il mio lavoro dipende molto da chi mi precede. In tutta la struttura che stiamo costruendo, la cosa fondamentale è il lavoro dei compagni che mi portano nella posizione giusta. Per esempio, il lavoro che fa Edward Theuns è cruciale: ci prepara l’entrata nell’ultimo chilometro e mi lascia in una posizione ideale.

Chiaro: è una catena, in cui il tuo lavoro non dipende solo da te…

E’ così. Se guardiamo la volata della Valenciana, mi hanno portato a 500 metri in testa, io non dovevo pensare a nulla: solo sprintare vicino alle transenne, lasciare spazio a Jonathan e poi lasciar fare lui. Ed è andata bene. Però qual è il problema: è che più ci avviciniamo al traguardo, più ogni errore è difficile da correggere. Ma se arrivi ben preparato a quel momento, anche un piccolo errore si può recuperare. Per arrivarci bene, tutto deve funzionare come si deve prima.

Un occhio avanti e uno indietro: Consonni deve spingere forte ma anche scortare Milan. Spesso comunicano con urlo o con uno sguardo d’intesa
Un occhio avanti e uno indietro: Consonni deve spingere forte ma anche scortare Milan. Spesso comunicano con urlo o con uno sguardo d’intesa
Simone stiamo entrando sempre di più nel discorso dello sprint: raccontaci il momento in cui lanci la volata. E magari capisci se Milan la vincerà, il suo modo di pedalare, la cadenza…

Jonathan ha uno stile inconfondibile. Non è armonioso, ma vedendolo da vicino capisci quanto spacchi la bici a ogni pedalata. Ogni colpo di pedale sembra far male alla bici, ma è proprio questo che lo rende così efficace. Lui è così. A 24 anni ormai è un corridore fatto. Sì, potrà limare qualcosina, ma è quello ormai. Qualcuno dice che dovrebbe cambiare stile, secondo me invece deve rimanere così: quello è il suo modo di essere veloce.

Quando ti sposti cosa succede: cosa vedi? Cosa pensi?

Alla Valenciana, quando mi ha passato ho contato fino a cinque prima di vedere sfilarmi il secondo. Lì ho capito che avevamo vinto. Al UAE Tour invece, con gente come Merlier e Philipsen, fino alla linea del traguardo non potevi mai essere sicuro. Io vedo le volate da una posizione privilegiata. Quando mi sposto, vedo la bici di Jonathan che si contorce. Che le fa male. Ed è bello, fa impressione. Capisci perché lo chiamano il Toro di Buja!

Dal modo in cui sprinta, magari un certo rapporto, certe cadenze, riesci a capire prima se vincerà o meno?

Dipende dalle situazioni. Lui sprinta con cadenze alte, questo gli viene molto dalla pista. Il movimento della testa è sempre quello, non ci sono volte in cui lo fa di più e altre in cui lo fa meno.

Gli sprint sono sempre molto concitati, riuscite a parlare mentre si arriva alla volata? C’è comunicazione tra voi?

Ci parliamo, ci urliamo. Nell’approccio all’arrivo ci diciamo se ci siamo, se bisogna aspettare. Però lui e io siamo diversi. Io sono più razionale, ragiono di più. Lui è più istintivo. A volte ha ragione lui, a volte io. Per esempio, nella seconda vittoria al UAE Tour (vinta per 7-8 centimetri, ndr), lui voleva partire prima, io ho aspettato un po’ di più. Alla fine è andata bene e ho avuto ragione io. Jonny era lungo. Invece nell’ultima volata, quando Merlier ha anticipato, lui voleva che uscissi prima, io ho aspettato e abbiamo perso l’attimo. In quel caso ha avuto ragione lui.

Consonni deve fare uno sprint vero e proprio. Poi si sposta, entra in gioco Milan e a quel punto Simone di gode la scena da dentro (screenshot a video)
Consonni deve fare uno sprint vero e proprio. Poi si sposta, entra in gioco Milan e a quel punto Simone di gode la scena da dentro (screenshot a video)
Come hai detto tu: è un gioco di squadra…

Penso che il nostro lavoro nello sprint sia come una piramide: ognuno che lavora da più lontano. Io sono il penultimo pezzetto della piramide, Jonathan l’ultimo e quando riesce a finalizzare è importante per tutti. Milan è esigente, vuole sempre vincere. Aveva vinto due tappe al UAE Tour, ma voleva anche la terza e la quarta. Questo atteggiamento si trasmette a tutta la squadra e ci spinge a dare sempre di più.

Tu sai sempre quando lui è dietro di te?

Più o meno sì, ma torno al discorso di prima. Molto conta anche come è stata preparata la volata e anche da chi c’è. Con il livello del UAE Tour non è facile neanche se sei messo bene. Io alla fine quando parto devo tenere i 63 all’ora o più, per dire, e fare uno sprint vero e proprio. Ma dietro c’è gente che quella tua botta la tiene bene, che è ancora al 60-70 per cento della propria potenza massima. Perché è così: gente come Milan, Philipsen, Merlier hanno questi margini, quei wattaggi per fare certe volate e alzare ancora la velocità. E quindi anche se lo lanci bene e ti sposti al momento giusto non è detto che si vinca.

Qual è il tuo prossimo impegno, Simone?

Farò la Tirreno-Adriatico. Non farò le classiche di apertura in Belgio: come l’anno scorso del resto. Quando hai in squadra frecce come Pedersen, Stuyven, Simmons e Vacek, è normale. E neanche la Sanremo. Lì il team magari porta Jacopo Mosca, che tira 200 chilometri. Io non sarei utile nel finale. Mi piange il cuore non fare la Sanremo, da italiano mi piacerebbe aiutare Milan, ma bisogna essere onesti con se stessi. Me la guarderò da casa… e spero di poter stappare una bella bottiglia di champagne per la vittoria di Jonathan o di qualche mio altro compagno.

Vervaeke, la vittoria, il tatuaggio. Il giorno atteso una vita

26.02.2025
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Il ciclismo sa ancora raccontare storie che ti lasciano col fiato sospeso. Come quella di Louis Vervaeke, che al Tour of Oman ha riassaporato il gusto dolce della vittoria dopo 10 anni di onorata carriera nel WorldTour, viaggiando praticamente fra tutti i team belga-olandesi, dalla Lotto alla Sunweb, dall’Alpecin alla Soudal dov’è arrivato nel 2022. Sempre con la fama di gregario affidabile, infaticabile, dedito al sacrificio. Ma sempre con quel piccolo tarlo in fondo all’anima.

Le ultime vittorie di Vervaeke risalivano al 2014, quand’era nella U23 della Lotto
Le ultime vittorie di Vervaeke risalivano al 2014, quand’era nella U23 della Lotto

Una mattinata di corsa e di caldo

Col passare degli anni ci fai quasi l’abitudine. Anche il ciclismo può diventare qualcosa di ordinario. Ti alzi, ti alleni, vai alle gare, pedali dando tutto, ma sempre nell’ombra, sperando che il capitano faccia il suo (anche perché se vince, i premi vengono divisi fra tutti e questo è un aspetto di condivisione che non è mai cambiato ed è una delle forze di questo sport…). Ci sono però giorni speciali, quelli nei quali cambia tutto e i ruoli si invertono. A Yitti Hills, nel caldo infernale della penisola araba, Louis ne ha vissuto uno.

Eppure, all’inizio tutto sembrava procedere come di consueto. La fuga iniziale che prendeva corpo, con il gruppo che lasciava fare. «Tanto non andranno lontani, li riprenderemo tutti». E’ quasi sempre così d’altronde. Quasi. Del naturale ordine delle cose fa parte anche qualcuno che, vedendo il solito tran tran del gruppo si dedichi all’inseguimento: «Si guardavano – racconterà il belga all’arrivo – nessuno si metteva al lavoro così, per evadere un po’ dalla noia ho pensato di andare a prenderli e uno spagnolo della Q36.5 mi ha seguito. Non c’è neanche voluto molto per riaccodarci, è bastato darci cambi regolari.

Il belga insieme allo spagnolo Axparren, all’inseguimento del quartetto di fuggitivi
Il belga insieme allo spagnolo Axparren, all’inseguimento del quartetto di fuggitivi

Il traguardo? Un miraggio…

«Pensare di vincere? No, allora no. Era un’azione come se ne vedono tante nella stagione. Nel gruppetto davanti abbiamo tirato un po’ tutti, ma c’era la consapevolezza che il gruppo sarebbe arrivato». Solo che non arrivava mai…

Perché uno come Vervaeke possa sovvertire l’ordine delle cose serve che alcuni tasselli vadano a combaciare. Magari le squadre dei velocisti che, per una o un’altra ragione, non si mettano d’accordo. Oppure il tuo team che, non avendo messo in conto una soluzione particolare per andare a caccia della vittoria parziale pensando alla classifica, cominci a pensare che, chissà, potrebbe essere una buona idea rompere i cambi e vedere come andrà a finire. Parliamo del Wolfpack, in questo sono maestri…

Nessuna vittoria ma qualche podio in carriera, qui all’Iztulia Basque Country 2024 (terzo)
Nessuna vittoria ma qualche podio in carriera, qui all’Iztulia Basque Country 2024 (terzo)

Quella voce interiore…

I chilometri passano, dietro avanzano sì, ma non con la consueta sollecitudine. E allora quel tarlo in fondo all’anima comincia a farsi sentire, a instillare il dubbio: e se fosse la volta buona? Perché non provarci, che hai da perdere? Poi magari ti resterà sempre il dubbio se non l’avrai fatto… Gli altri? Per un giorno faranno a meno di te, anzi saranno loro a darti una mano…

Gli altri mollano, hanno fatto il loro. Dovrebbe farlo anche lui, ma Vervaeke vuole provarci fino in fondo, a cercare quel che tante volte gli era sfuggito. Già, perché non è che in questi 10 anni Louis sia stato sempre lì a lavorare nelle prime fasi della corsa. Di fughe ne ha affrontate. Qualche piazzamento l’ha preso. Ma la vittoria, quella era rimasta un tabù. E di nuovo quella voce interiore: hai 31 anni, ti ricapiterà ancora un’occasione del genere? Ma vedi dietro di te quanti giovani ci sono che scalpitano? Che farebbero di tutto per prendersi il tuo posto? Magari se vinci i capi avranno un motivo in più a fine anno per mettere un’altra firma sul tuo contratto…

Vervaeke indica il tatuaggio sul braccio dedicato alla sua famiglia, ispirazione verso il trionfo
Vervaeke indica il tatuaggio sul braccio dedicato alla sua famiglia, ispirazione verso il trionfo

La spinta della famiglia

Il gruppo risale, e Louis tira dritto, le gambe diventano di piombo: «Mi è passato di tutto nella mente. Il traguardo che non arrivava mai, quella luce rossa delle energie che era ormai fissa nel mio cervello. Poi ho guardato il mio braccio destro: c’è un tatuaggio, un occhio con due nomi. Sono quelli dei miei figli Augustin e Celestine e quell’occhio è mia moglie Astrid, come a ricordarmi che erano lì, a spingermi, a dirmi che stavo facendo qualcosa che li rende orgogliosi. Era come se li sentissi, in mezzo al rumore dell’aria tagliata dal mio passaggio, delle ruote che procedevano frenetiche, della gente che mi incitava. Sentivo solo loro…».

20 secondi, 10, 5. I treni degli sprinter che lavorano a tutta, ma Louis non molla. Perché quel giorno “è” il giorno. Tutti i pianeti si sono messi in fila, tutti i pezzi del puzzle si sono incastrati. Il gruppo risale ma resterà indietro e c’è tempo anche per rialzarsi, per godersi quel sapore dimenticato. Indicando proprio quel tatuaggio sul braccio, perché è da lì che è nato tutto.

Dopo la vittoria a Vervaeke sono arrivati i complimenti di Evenepoel: «Sono così fiero di te, fratellone»
Dopo la vittoria a Vervaeke sono arrivati i complimenti di Evenepoel: «Sono così fiero di te, fratellone»

Il giorno dopo, tutto torna alla normalità. Louis torna a lavorare per i leader, Valentin Paret Peintre per l’occasione, ma quegli attimi non potrà portarglieli via più nessuno: la vittoria, il podio, le interviste del dopo corsa, tutti che chiedono le ragioni di quel gesto. Il ciclismo riprende il suo scorrere, con le luci della ribalta riservate ad altri. Quando però saranno passati anni, e magari i suoi figli avranno a loro volta avuto figli che guarderanno quelle foto sbiadite, Louis potrà raccontare di quel giorno magico quando, solo per quel giorno, tutto si ribaltò…

Fra una settimana tutti a Laigueglia, nel giardino di Pozzato

26.02.2025
5 min
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Gli facciamo notare che, battuto definitivamente Merckx, il suo record di vittorie al Trofeo Laigueglia (2003, 2004 nella foto di apertura, 2013) non è ancora nel mirino di Pogacar. Questo basta a Pozzato per farsi una risata e tornare con la memoria a quando la corsa ligure gli fece capire di essere diventato un corridore. Era il 2003, il vicentino correva con la Fassa Bortolo, dopo i tre anni con la Mapei. Avevano appena vinto la cronosquadre al Giro del Mediterraneo e lui per primo aveva colto un secondo posto, così Giancarlo Ferretti gli mise a disposizione la squadra per la corsa italiana.

«Mi ricordo l’impostazione di gara – ricorda Pozzato – io arrivavo da quel secondo posto in cui forse mi ero toccato con Bettini e avevo perso la corsa. Probabilmente avrei vinto in rimonta, se non mi avesse chiuso nell’ultima curva. Mi ricordo che Petito parlò con Ferretti dicendogli che andavo veramente forte. Allora Giancarlo venne con i suoi modi diretti e mi disse: “Adesso vediamo se sei forte per davvero!”. E’ stata la prima volta che mi davano la responsabilità di una squadra così importante. C’erano tutti quanti: Kirchen, Frigo, Tosatto, Petito, Cioni, Ivanov e Gustov. Tutti a disposizione per farmi vincere. Mi tennero tutto il giorno come se fossi veramente un capitano di quelli affermati. L’anno prima avevo vinto 14 corse, ma quel giorno vinsi su Sacchi, Baldato e Bettini e capii che era iniziato il ciclismo vero».

Filippo Pozzato, 43 anni, è stato pro’ dal 2000 al 2018: ha 49 vittorie in bacheca fra cui la Sanremo, due tappe al Tour e una al Giro
Filippo Pozzato, 43 anni, è stato pro’ dal 2000 al 2018: ha 49 vittorie in bacheca fra cui la Sanremo, due tappe al Tour e una al Giro

Il Trofeo Laigueglia si correrà fra una settimana, mercoledì prossimo, il vincitore uscente è Lenny Martinez. Per instradare l’attesa siamo andati proprio da colui che ne ha vinti tre. Domenica ci sarà la Omloop Het Nieuwsblad, vinta da Pippo nel 2007, poi il ciclismo dei professionisti prenderà il via anche in Italia sulle strade della Liguria. Torniamo a quel 18 febbraio del 2003 e alle parole di Pozzato, che in questi giorni è al lavoro per organizzare il Carnival Circuit di Sandrigo, dove la bicicletta sarà per una serata motivo di valorizzazione del territorio, evasione, burla, svago.

Ferretti all’epoca era l’equivalente italiano di Lefevere, forse anche più vincente. Che effetto fece sentirlo parlare a quel modo?

Erano cose che mi gasavano ed era comunque un test necessario. Anche Tosatto me lo disse subito: “Oggi vediamo se hai i coglioni!”. Era il modo di crescere di quegli anni, con il senso di sfida per farti prendere responsabilità e farti diventare grande più in fretta. A me piaceva. Al netto dei problemi che abbiamo avuto, Ferretti è stato il primo che mi ha insegnato a prendermi delle responsabilità e che mi ha messo a disposizione la squadra che a quel tempo era la più importante del mondo. Avevo vent’anni, non era una cosa da tutti e lo apprezzai molto.

Andavi forte davvero, quell’anno avresti vinto anche la Tirreno-Adriatico…

E secondo me avrei vinto anche la Sanremo, perché volavo. Invece caddi in discesa, coinvolto nella caduta di Cassani. Forse è stata la Sanremo che sono andato più forte di tutti (la vinse invece Bettini su Celestino e Paolini, ndr).

Che cosa rappresentava il Trofeo Laigueglia in quegli anni?

Per me è sempre stata la corsa di inizio stagione e forse quando l’ho vinta la prima volta era la più importante. Si ricorda più spesso la tappa del Tour, ma con Laigueglia sono entrato nel grande ciclismo. Poi con l’avvento del WorldTour è cambiato tutto. Adesso però la stanno riportando su.

Hai vinto la terza a dieci anni dalla prima, 2003-2013. Percorso diverso, avversari diversi…

Per me è sempre rimasta la corsa importante dei primi tempi, di quando c’era il ciclismo di una volta, anche se a livello internazionale dopo i primi anni 2000 la situazione è cambiata. Avrei potuto vincerla anche nel 2009 quando si impose Ginanni, ma ebbi delle incomprensioni con Ballan e chiudemmo io secondo e lui quinto. E’ sempre stata una corsa speciale perché, abitando a Monaco, si svolgeva anche vicino casa mia. Nel 2013 avevo già corso il Tour de San Luis e poi le gare di Mallorca, ma restava la corsa d’apertura e la sentivo sempre mia, ma questo è un punto di vista personale.

Eri uno cui serviva correre per andare forte?

Assolutamente. Avevo bisogno di correre, perché c’era anche un modo diverso di allenarsi, adesso invece arrivano e vanno forte già dalla prima corsa. Non so come facciano, è un modo completamente diverso di affrontare le gare e forse è quello che ho sofferto a fine carriera. Non riuscivo ad allenarmi come si allenavano i più giovani.

Il Trofeo Laigueglia… riscalda l’asfalto dell’Aurelia nell’imminenza della Sanremo
Il Trofeo Laigueglia… riscalda l’asfalto dell’Aurelia nell’imminenza della Sanremo
Cosa ricordi dei vari percorsi che sono cambiati?

Il primo anno che l’ho vinta, scollinai bene sulla salita del Balestrino. Primo Bettini con Celestino e io ero subito dietro e lì ho capito che andavo forte. L’anno dopo invece passai a un minuto e mezzo dalla testa: ero 6 chili più dell’anno precedente, però sono riuscito a vincere lo stesso, ma in maniera completamente diversa. Nel 2013, invece, andavo forte e la Lampre era a mia disposizione. Mi ricordo che Niemiec fece un lavoro incredibile in salita. La tirò tutta con me a ruota e nessuno riuscì a partire. In finale il percorso era cambiato, si arrivava da Andora. Ci furono attacchi in tutti i modi per farmi fuori, ma vinsi facilmente in volata

Tempo fa si parlò della possibilità che, in quanto organizzatore, prendessi tu il Trofeo Laigueglia…

E’ vero, ci sono stati vari contatti. Ho degli amici da quelle parti, ma perché io possa organizzare una corsa, oltre all’incarico da parte del Comune che è proprietario della gara, serve che ci siano anche i presupposti economici. Però è vero, lo ammetto: mi piacerebbe un giorno provare a organizzare il Trofeo Laigueglia. Sarebbe come chiudere il cerchio.

L’XDS Astana vola nel ranking e Conci ci mette del suo

26.02.2025
5 min
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Tutti parlano della UAE Emirates, capace nella scorsa settimana di fare en plein di vittorie parziali nello stesso giorno nelle tre principali corse a tappe e di sfiorare il filotto nelle classifiche finali, scongiurato solo da Vingegaard nella Volta ao Algarve. La squadra degli Emirati domina la classifica parziale del ranking Uci per questa stagione, ma la cosa che stupisce è che alle sue spalle c’è l’XDS Astana, capace di un inizio di stagione col botto non solo grazie alle imprese di Christian Scaroni, ma anche di Nicola Conci (i due insieme in apertura).

La volata in Francia premia Godon, alla sua sinistra Conci è terzo davanti a Champoussin
La volata in Francia premia Godon, alla sua sinistra Conci è terzo davanti a Champoussin

Una sfrenata caccia ai punti Uci

La formazione kazaka è alla forte ricerca di punti per evitare la retrocessione dal WorldTour e tutti si sentono parte in causa in questo ambizioso progetto. Nel quale si è subito immerso Conci, arrivato dall’Alpecin per trovare una nuova dimensione. E i risultati premiano anche lui, che domenica al Tour des Alpes Maritimes è tornato ad assaporare il podio.

«La stagione è iniziata bene, team nuovo, nuove motivazioni, un inverno trascorso lavorando senza intoppi – racconta il 28enne trentino mentre si sottopone a una seduta sui rulli – ma se devo essere sincero non mi sento ancora al punto che vorrei, perché in corsa continuo a far fatica, a non sentire che mi viene tutto facile. Significa che devo lavorare ancora e che c’è margine e considerando il risultato di Vence è un bel segnale».

Per Conci il lavoro all’XDS Astana cambia rispetto al passato, ora è anche un finalizzatore
Per Conci il lavoro all’XDS Astana cambia rispetto al passato, ora è anche un finalizzatore
In Francia però sei stato protagonista non solo come spalla di Christian…

Paradossalmente la cosa che mi è piaciuta di più non è tanto il podio della seconda giornata, quanto il lavoro fatto nella prima per posizionarlo davanti all’imbocco della salita. Era fondamentale per permettergli di giocarsi la vittoria, come poi è stato. Io ho tenuto fino a 400 metri dall’arrivo, poi le gambe erano diventate di piombo… Il giorno dopo, quando abbiamo messo al sicuro la vittoria in classifica, Scaroni ci ha lasciati liberi di giocarci le carte in volata, a me e Champoussin e infatti abbiamo fatto 3° e 4°.

E’ quel che ti aspettavi cambiando squadra?

Diciamo che ho trovato un team in piena ricostruzione, teniamo conto che sono stati cambiati più della metà dei corridori. E’ chiaro che questo significa una piena ristrutturazione anche nell’impostazione del gruppo, delle corse. Noi abbiamo portato uno spirito nuovo, forse anche inconsapevolmente. Tutti sappiamo che l’obiettivo in ogni corsa è fare più punti possibile, quindi cambiano completamente le strategie. Ognuno è chiamato a tener duro fino alla fine, a conquistare anche quel piazzamento nelle retrovie che però ti garantisce un gruzzoletto di punti sempre utile alla causa. E’ un bel gruppo, che si sta cementando intorno alla causa.

Conci dopo lo sprint con Fortunato. Il gruppo è l’arma in più della formazione kazaka, che punta alla salvezza
Conci dopo lo sprint con Fortunato. Il gruppo è l’arma in più della formazione kazaka, che punta alla salvezza
Questo però significa anche strategie completamente diverse da quelle alle quali eri abituato, con un team (l’Alpecin Deceuninck) che aveva un leader dichiarato prima del via…

Qui non è che tutti partono per vincere, sia chiaro. Le tattiche le costruiamo in corso d’opera. In Francia ad esempio avevamo tre giovani che lavoravano per gli altri nelle prime fasi di corsa, permettendoci di arrivare più freschi alla fase cruciale. Di base i capitani erano Scaroni e Champoussin che erano gli uomini più in forma. In Australia, dove avevo corso prima, avevamo invece Higuita come leader, che però all’inizio aveva avuto problemi, quindi siamo anche in grado di cambiare in corso d’opera. Infatti abbiamo lavorato per Gate che ha avuto ottimi riscontri. Domenica eravamo davanti io, il francese e Fortunato, almeno uno doveva fare risultato, alla fine l’abbiamo fatto in due… Comunque, per tornare alla domanda, qui la prospettiva è diversa, ci sono sempre almeno 2 o 3 punte.

Il trentino ha fatto la campagna di gennaio in Australia, dove la fatica si è fatta sentire
Il trentino ha fatto la campagna di gennaio in Australia, dove la fatica si è fatta sentire
Quanto influisce questo su di te?

Basterebbe pubblicare i dati per capire a che livello siamo. Domenica era una corsa 2.1, ma i riscontri sono da WorldTour. Noi comunque non guardiamo al livello delle corse perché sono tutte di valore, sappiamo che dobbiamo arrivare davanti e fare di tutto per riuscirci. La sera di sabato, ad esempio, ero in camera con Scaroni e mi ha preannunciato che, se avesse difeso la maglia, nel finale avrebbe dato libertà a noi per fare risultato. Essere coinvolti tutti dà morale, ognuno gioisce per il risultato dell’altro, è questo lo spirito di cui parlavo prima e probabilmente il nostro attuale livello nella “classifica” scaturisce da questo.

E ora che cosa ti aspetta?

Sono ancora in Francia per la Faun Ardeche e la Drone Classic, non dovevo farle ma alcune defezioni mi hanno chiamato in causa e mi fa piacere perché sono corse che mi piacciono molto. Poi avrò il blocco delle corse italiane: nella Strade Bianche per ora sono riserva nel team, invece so che andrò a Laigueglia, Tirreno-Adriatico e Milano-Torino. Poi una pausa prima delle classiche ardennesi, quando a correre sarà il gruppo che attualmente si sta caricando in altura al Teide.

Passato all’Alpecin nel 2022, nello stesso anno aveva colto il suo ultimo podio al Veneto Classic
Passato all’Alpecin nel 2022, nello stesso anno aveva colto il suo ultimo podio al Veneto Classic
Sei tornato sul podio dopo 3 anni, alla vittoria ci pensi?

Come si fa a non farlo? Io sono passato pro’ dopo soli due anni da dilettante, tutti si aspettavano molto, ma la vittoria non è ancora arrivata. Ora so che è però nelle mie corde e devo dire che ho anche un grande mezzo a mia disposizione. Me ne sono accorto sin da quando sono arrivato, per me la bici del brand cinese è all’altezza delle migliori del WorldTour. Ho tutto a disposizione per centrare l’obiettivo, devo solo trovare l’occasione giusta.

Velo, il nuovo cittì femminile che si ispira a… Julio Velasco

25.02.2025
6 min
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Le anticipazioni delle settimane scorse hanno trovato conferme nel consiglio federale del 22 febbraio con un effetto domino tra i cittì delle varie nazionali. La guida delle nazionali femminili su strada è andata a Marco Velo, che lascia quella delle crono e rileva il ruolo che fu di Paolo Sangalli nell’ultimo quadriennio. Una scelta neanche tanto a sorpresa se ci si riflette con attenzione.

Il 51enne tecnico bresciano aveva già avuto modo di conoscere il movimento femminile attraverso le crono negli eventi internazionali, raccogliendo anche diversi titoli, ma d’ora in poi si tratterà solo di approfondire le tre categorie in maniera più continuativa. Se elite e U23 sulla carta sono più semplici da seguire, anche solo per un discorso di visibilità mediatica, Velo sa che dovrà avere uno sguardo più completo sulle juniores. Per farlo si avvarrà di un paio di figure fidate ed uno staff pronto ad appuntarsi tutto quanto ne valga la pena. Appena rientrato dal UAE Tour, ne abbiamo approfittato subito per sentire le sensazioni del nuovo cittì femminile, scoprendo con piacere anche chi è il suo modello di riferimento e per quale motivo.

Passaggio di consegne. Velo subentra a Sangalli e assieme a Longo Borghini sembra indicare i prossimi obiettivi
Passaggio di consegne. Velo subentra a Sangalli e assieme a Longo Borghini sembra indicare i prossimi obiettivi
Marco l’investitura è arrivata che eri negli Emirati. Hai già appuntamenti in agenda?

Mentre ero giù mi sono organizzato per questi giorni con diverse telefonate. Tra oggi e domani, visto che abito a pochi minuti dal velodromo, sarò in pista a Montichiari per alcuni test di valutazione con le juniores. Tutte ragazze selezionate per la pista che possono tornare utili anche su strada. Anche quando curavo le crono, col Team Performance della pista c’è sempre stata un’ottima collaborazione. E sarà così ancora con Diego Bragato, che è diventato il cittì della pista femminile. Se ci pensate, a parte Longo Borghini e pochissime altre, tutte le altre ragazze del giro azzurro fanno doppia attività.

Cosa cambia dal ruolo che avevi prima?

Prima avevo una forte collaborazione con Sangalli, specialmente per i riscontri che ricevevo sulle juniores. Adesso la situazione si è ribaltata. In tutta questa nuova situazione sarò aiutato da Marta Bastianelli e Silvia Epis, ma anche dalle stesse società giovanili con le quali saremo sempre in contatto. Marta l’ho sentita molto motivata ed è un carrarmato (dice sorridendo, ndr). Fra poco partorirà e mi ha già detto che sarà disponibile per la nazionale, ma le ho detto di non correre troppo. Silvia invece seguirà il giovanile, come sempre, ed è una garanzia in quel senso.

Da cittì delle crono Velo ha lavorato con le juniores nei Mixed Relay. Approfondirà la categoria con l’aiuto di Marta Bastianelli e Silvia Epis
Da cittì delle crono Velo ha lavorato con le juniores nei Mixed Relay. Approfondirà la categoria con l’aiuto di Marta Bastianelli e Silvia Epis
Quanto senti di conoscere il mondo femminile?

Naturalmente saranno fondamentali gli aiuti di Marta e Silvia per farmi entrare in questo settore in modo più completo. So che devo crearmi un bagaglio di conoscenze maggiori rispetto a prima e so che dovrò vedere le gare delle juniores per farmi meglio un’idea quando non sarò impegnato con le corse di RCS Sport. Le società giovanili devono stare tranquille anche se non mi dovessero vedere perché ci sarà sempre qualcuno sul campo gara. Grazie a Marta e Silvia le juniores saranno sempre monitorate. Loro saranno i miei occhi quando sarò assente.

Pensi che il tuo ruolo durante le corse RCS ti possa limitare più del dovuto?

No, tutt’altro. Penso che sia una risorsa da sfruttare a nostro favore. Sarò direttore di corsa della Strade Bianche Women e della Sanremo Women, quindi potrò vedere da vicino come si evolve la gara. E anche al Giro Women sarà uguale. Sono tutte occasioni per capire come stanno le nostre ragazze, ma anche le avversarie. Rispetto a prima vedrò le corse sotto un altro punto di vista.

La nazionale femminile è una di quelle che ha conquistato più medaglie. Ti spaventa raccogliere questa eredità o la vedi come un ulteriore stimolo?

Bisogna fare un discorso più ampio. Non sono spaventato dalle medaglie, così come sono fiducioso e motivato di poter fare bene. Tuttavia so che ci sono aspettative alte. Il grande lavoro sarà mantenerle e gestire le critiche che potrebbero arrivare qualora non centrassimo dei risultati. E’ un aspetto che ho considerato e che sono pronto ad affrontare. Vorrei essere all’altezza dei miei predecessori, soprattutto per la cura del gruppo in termini di armonia e solidità che si è formato negli anni scorsi.

Basandoci sulle tue scelte da cittì delle crono negli eventi internazionali, l’impressione è che non avrai problemi a guidare la nazionale femminile. Che idea ti sei fatto?

Ho sempre detto che i Mixed Relay, sia dei pro’ che dei giovani, sono stati utili per fare un grande lavoro di gruppo e di equilibrio tra uomini e donne. Le scelte di alcune atlete potevano essere considerate delle scommesse, che poi però siamo riusciti a vincere. La mia percezione è quella di essere sulla stessa lunghezza d’onda delle ragazze, ma so che avrò bisogno di tutti per mantenerla tale. A breve faremo una riunione con il nostro staff per capire bene cosa fare e come muoverci.

Julio Velasco ha vinto tutto nel volley maschile e femminile. Velo si ispira a lui e lo vorrebbe incontrare direttamente (foto AFP)
Julio Velasco ha vinto tutto nel volley maschile e femminile. Velo si ispira a lui e lo vorrebbe incontrare direttamente (foto AFP)
Marco Velo cittì delle nazionali femminili su strada ha già dei suoi dogmi da adottare in corsa?

La costruzione della tattica la si farà in base alla condizione delle ragazze e alle caratteristiche del percorso. Tra elite, U23 e juniores siamo ben coperti in tutti i terreni, dovremo solo stabilire gli avvicinamenti ai vari obiettivi. Più che tatticamente, il mio compito sarà quello di essere un cittì che sappia motivare le proprie atlete. Le donne sono molto più meticolose degli uomini e bisogna stare attenti a come ci si rapporta con loro quando si punta ad un obiettivo. In questo senso il mio modello è una persona che non c’entra nulla col ciclismo.

A chi ti riferisci?

Il mio riferimento è Julio Velasco. Lui ha vinto quasi tutto col volley maschile e a Parigi ha conquistato un oro olimpico storico con la nazionale femminile. Lui per me ha un grande metodo di lavoro. Sono rimasto colpito da Velasco durante una convention organizzata dal CONI in cui lui ha spiegato come alzare o mantenere alta l’asticella. Non ho mai avuto modo di parlarci direttamente, ma mi piacerebbe farlo anche pranzandoci assieme, magari sfruttando il nuovo ruolo da cittì. Lui ha tanto da insegnare ed io posso solo che imparare. L’Olimpiade di Los Angeles 2028 è un grande obiettivo, ma non dobbiamo correre. Uno a cui chiedere consigli e spunti ce lo abbiamo.

Caro Lamon: cosa hai visto nei giovani talenti del quartetto?

25.02.2025
5 min
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Francesco Lamon è il filo conduttore dell’inseguimento a squadre azzurro su pista, la sua presenza al campionato europeo di Zolder è la conferma della sua importanza nel progetto. Il veneto è uscito dall’impegno continentale su pista con una buona gamba, tanto da sfruttarla per vincere lo Spinners Dubai. Un appuntamento su strada negli Emirati da quale è rientrato proprio ieri. 

«Avevo già corso a Dubai a gennaio – racconta mentre si dirige in palestra per allenarsi – ma l’impegno dell’altro giorno era più semplice. Ho corso con la maglia della Dubai Police. Ho deciso di fare questa gara dopo l’europeo su pista per sfruttare la condizione, visto che sul parquet la stagione non sarà così impegnativa».

Francesco Lamon ha sfruttato la condizione dell’europeo per correre e vincere lo Spinneys Dubai 92 Cycle Challenge
Francesco Lamon ha sfruttato la condizione dell’europeo per correre e vincere lo Spinneys Dubai 92 Cycle Challenge

Il nuovo ciclo

Il campionato europeo di Zolder ha acceso i riflettori sul quadriennio olimpico di Los Angeles 2028. I lavori sono ufficialmente iniziati. Francesco Lamon lo ha iniziato accanto a un’ondata di giovani talenti azzurri, ragazzi di vent’anni che si sono subito messi in mostra. 

«Iniziare questo 2025 insieme ai giovani – prosegue – è stato bello, mi sarebbe piaciuto riuscire a conquistare una medaglia. Ci è mancato davvero poco, ma penso che abbiano dato il massimo. Avendo girato poco insieme, visti gli impegni su strada e i vari ritiri, credo che il tempo fatto sia da considerarsi molto buono (il giovane quartetto ha fatto registrare 3’54″169, ndr). E’ un gruppo con dell’ottimo materiale sul quale lavorare e investire. Esserci giocati la medaglia di bronzo fino all’ultimo è stato un bel segnale e un ottimo punto di partenza».

Il quartetto che ha conquistato il quarto posto agli europei di Zolder era formato da: Lamon, Favero, Grimod e Boscaro
Il quartetto che ha conquistato il quarto posto agli europei di Zolder era formato da: Lamon, Favero, Grimod e Boscaro
Pensi possano seguire le orme di Ganna, Consonni e Milan?

Quando ho visto arrivare Ganna e Milan si vedeva che avessero qualcosa di fuori dal comune, un talento incredibile. Paragonarli ai giovani di ora è un azzardo, ma a livello di caratteristiche li vedo simili. Di “Jonny” e “Pippo” ce ne sono solo due al mondo. E’ difficile sovrapporli, ma questi giovani hanno talento, lo si è visto.

Da cosa?

I tempi fatti registrare da Favero e Grimod nell’inseguimento individuale non sono banali. Favero, che ha già corso il mondiale su pista dello scorso anno con noi, ha conquistato il quarto posto e ha girato in 4’08”. Un tempo di tutto rispetto considerando che è all’inizio della sua avventura, e l’inseguimento individuale è uno sforzo che più lo si fa più si capisce come affrontarlo. 

Francesco Lamon, a destra, è stato il punto di riferimento per i giovani in questa rassegna continentale
Francesco Lamon, a destra, è stato il punto di riferimento per i giovani in questa rassegna continentale
Su che aspetti hai lavorato maggiormente con loro?

Più che sulle prestazioni, quelle ci sono, c’era da essere bravi nel tenerli tranquilli. A loro giustamente manca l’esperienza e gestire la tensione non è facile. Hanno vent’anni, anche io alla loro età vivevo così le gare. Ho cercato di non far pesare questo aspetto e penso di esserci riuscito, rispetto al mondiale è andata molto meglio. Soprattutto con Favero. 

Come mai?

Dopo la caduta al mondiale dello scorso anno partiva più titubante ma sono riuscito a tenerlo sereno, anche con qualche battuta. Alla fine con un sorriso gli ho detto: «Peggio del mondiale non può andare». Credo che la forza del gruppo sia importante e anche sdrammatizzare aiuta i giovani. Cadere e sbagliare è normale e fa parte della maturazione. Favero a questo europeo ha fatto vedere ottime cose. 

I valori in campo sono ottimi, Favero (20 anni domani) ha conquistato il quarto posto nell’inseguimento individuale
I valori in campo sono ottimi, Favero (20 anni domani) ha conquistato il quarto posto nell’inseguimento individuale
Rispetto a quando arrivarono Ganna e Milan il quartetto è il riferimento della pista azzurra, per i giovani c’è più apprensione?

Quando loro due entrarono nell’orbita della pista, non eravamo una delle nazionali di riferimento. Ora la pressione è più alta, i giovani come Grimod e Favero arrivano in un contesto maggiormente incanalato. 

A livello di caratteristiche fare dei paragoni è difficile, ma come atteggiamento?

In questi ragazzi vedo la stessa determinazione che c’era negli occhi di Milan e Ganna. Questa cosa serve per aiutarli a sconfiggere l’ansia, abituarsi a far parte di un progetto grande e ambizioso. Bisogna prendere dimestichezza con il rappresentare una nazionale importante. 

Favero aveva già corso tra gli elite al mondiale del 2024, esordio sfortunato vista la caduta (in foto è consolato da Milan)
Favero aveva già corso tra gli elite al mondiale del 2024, esordio sfortunato vista la caduta (in foto è consolato da Milan)
Come lo si fa?

Rimanere presenti nell’ambiente. Quest’anno gli appuntamenti sono pochi, ci sarà una sola Coppa del mondo. Creare un gruppo non sarà facile visto che si correrà di meno, però questi ragazzi devono mantenere l’abitudine di venire in pista a girare. Se spariscono per sei mesi non va bene, serve continuità. 

Il fatto che sia arrivato Salvodi che li ha avuti da juniores è un vantaggio…

Sicuramente lui li conosce e loro conoscono il suo metodo di lavoro e sanno cosa vuole dagli atleti.