Pericolo scampato in Danimarca, ma Morkov suona l’allarme

Pericolo scampato in Danimarca, ma Morkov suona l’allarme

19.11.2025
5 min
Salva

Con l’attività provvisoriamente ferma, affrontiamo con Michael Morkov un argomento scottante. Sono giorni di grandi sommovimenti nel ciclismo danese, scosso dalla chiusura della nazionale di Mtb: stop ai fondi federali e soprattutto il licenziamento in tronco del cittì Mads Boedker. Era stata la stessa federazione danese a comunicarlo avvertendo tutti i nazionali (nomi di un certo peso del panorama offroad, tra cui anche gente a mezzo servizio con la strada come il pluricampione del mondo Albert Withen Philipsen) che avrebbero dovuto pagarsi di tasca propria (o meglio, con il sostegno dei club) attività e trasferte internazionali, anche per le prove titolate.

La notizia aveva scosso l’ambiente, tante le proteste non solo dal mondo delle ruote grasse e non solo da quello ciclistico. La Federazione poi è tornata sui suoi passi, trovando un accordo con l’azienda CeramicSpeed per nuovi fondi potendo così riassumere Boedker e garantire l’attività di base. Ma chiaramente il rumore è stato tanto, come anche le implicazioni su tutto il ciclismo danese, anche quello su strada. In fin dei conti parliamo di uno dei movimenti di punta dell’attuale momento, quello che con Vingegaard e Pedersen è praticamente una delle poche vere alternative al dominio di Pogacar.

Michael Morkov è da quest'anno cittì della nazionale danese su strada, curando tutte le categorie maschili
Michael Morkov è da quest’anno cittì della nazionale danese su strada, curando tutte le categorie maschili
Michael Morkov è da quest'anno cittì della nazionale danese su strada, curando tutte le categorie maschili
Michael Morkov è da quest’anno cittì della nazionale danese su strada, curando tutte le categorie maschili

Michael Morkov ha assunto quest’anno il ruolo di cittì della strada e non si tira indietro nell’affrontare un argomento certamente spinoso, partendo da un’analisi della stagione che aveva portato più di qualche sorriso: «Penso che sia stata fantastica. Probabilmente una delle migliori stagioni che abbiamo mai avuto tra i professionisti, con tante vittorie. Avere Jonas Vingegaard e Mads Pedersen al secondo e terzo posto nella classifica mondiale è davvero impressionante».

L’attività danese si basa quasi interamente sul Programma Elite: come funziona?

Noi tecnici siamo chiamati a gestire l’attività puntando quasi tutto sulle prove titolate. Questo perché abbiamo un calendario ridotto e un budget limitato, non abbiamo molte attività. Siamo quindi chiamati a farcelo bastare, ma va anche detto che il calendario generale non lascia molti spazi, i corridori sono sempre impegnati con i loro team.

Mads Boedker con la nazionale di mtb. La federazione ha tagliato i fondi e rescisso il suo contratto, ripensandoci poi
Mads Boedker con la nazionale di mtb. La federazione ha tagliato i fondi e rescisso il suo contratto, poi è tornata indietro
Mads Boedker con la nazionale di mtb. La federazione ha tagliato i fondi e rescisso il suo contratto, ripensandoci poi
Mads Boedker con la nazionale di mtb. La federazione ha tagliato i fondi e rescisso il suo contratto, poi è tornata indietro
Nelle settimane scorse si era parlato di problemi economici per la nazionale danese di mountain bike. I problemi coinvolgevano anche quella su strada?

Certo, è tutto nella stessa federazione. Ho seguito con molta apprensione tutta la vicenda, conoscendo personalmente anche i protagonisti. Il problema è molto più grande, non riguarda solo la mountain bike. Già da anni i fondi sono stati tagliati per la pista, per la strada e per il bmx e sono davvero straordinari i risultati che riusciamo a conseguire, ad esempio con il quartetto dell’inseguimento. Quindi, ovviamente, tutto è molto limitato e non abbiamo molte risorse.

Come è strutturato il tuo lavoro durante la stagione? Ci sono ritiri di allenamento e la nazionale partecipa alle gare indossando la divisa della nazionale?

Io sono tecnico sia per gli elite che per gli under 23 – risponde Morkov – quindi concentriamo su questa categoria gli sforzi, anche economici. Questa stagione abbiamo fatto tre prove di Nations Cup con la nazionale e poi abbiamo partecipato a gare UCI danesi come il GP di Herning. Siamo stati presenti alla prima edizione della Copenhagen Sprint, che era una gara del WorldTour e poi al Giro di Danimarca. Il tutto oltre naturalmente alle prove titolate per entrambe le categorie. Uno sforzo di non poco conto, ma era fondamentale esserci, non possiamo limitarci a europei e mondiali

Vingegaard e Pedersen, i migliori del ranking UCI dietro "sua maestà" Pogacar
Al centro Vingegaard e Pedersen, i migliori del ranking UCI dietro “sua maestà” Pogacar
Vingegaard e Pedersen, i migliori del ranking UCI dietro "sua maestà" Pogacar
Vingegaard e Pedersen, i migliori del ranking UCI dietro “sua maestà” Pogacar
La Federazione Danese, come altre federazioni sportive, riceve sostegno statale come nel caso dell’Italia attraverso il Comitato Olimpico Nazionale?

Certo che sì e questa è in realtà la nostra principale fonte di sostentamento – spiega Morkov – che proviene dalla federazione e in prima istanza dal governo. Ma purtroppo, a differenza di altri Paesi, la Danimarca non sta supportando il mondo dello sport con grandi risorse. Non so come funzioni da voi, ma i fondi messi a disposizione sono praticamente gli stessi dagli ultimi 10 o 15 anni. Non c’è una compensazione direttamente proporzionale in base ai risultati conseguiti, nel ciclismo come in qualsiasi altro sport e questo pesa. Rispetto ai nostri avversari, penso che siamo molto indietro in termini di risorse.

Proviamo a chiudere con qualche nota di ottimismo: quest’anno Vingegaard ha corso gli europei, speri di averlo al mondiale il prossimo anno?

Assolutamente sì. Spero di riuscirci perché come cittì ho ovviamente un grande interesse nel far partecipare tutti i talenti ai mondiali, dove i più giovani possono accumulare esperienza importante e mettersi in mostra per il resto del ciclismo mondiale, ma dove anche i grandi campioni possono dare lustro alla maglia e lottare per le medaglie. E ancora più importante, ovviamente, è che i campionati siano sempre una forte motivazione per tutta la stagione. Quindi la priorità è avere tutti i migliori. E’ un peccato che quest’anno non abbiamo potuto partecipare con il nostro miglior team, cercherò di fare del mio meglio per rientrare nel budget così da poter portare anche qualche corridore di talento per i campionati del mondo.

Il quartetto danese oro agli ultimi mondiali, nonostante profondi tagli al budget per la pista
Il quartetto danese oro agli ultimi mondiali, nonostante profondi tagli al budget per la pista
Il quartetto danese oro agli ultimi mondiali, nonostante profondi tagli al budget per la pista
Il quartetto danese oro agli ultimi mondiali, nonostante profondi tagli al budget per la pista
Quali sono le tue speranze per il movimento ciclistico danese nel 2026?

Innanzitutto di continuare a sviluppare i giovani corridori. Abbiamo molti elementi interessanti tra gli under 23 e gli under 19. E penso che uno dei miei doveri più importanti per il mio ruolo sia quello di aiutare questi giovani corridori nei primi passi prima di diventare professionisti. E poi, naturalmente, spero sinceramente che Mads e Jonas possano mantenere, come anche Skjelmose, il loro altissimo livello internazionale e continuare a ottenere grandi vittorie con questi tre corridori.

Morkov, il tuo amico e rivale, Elia Viviani, è alla fine della sua carriera. Alla Sei Giorni di Gand sta salutando l’attività agonistica. Che cosa ne pensi?

In realtà è un po’ triste che finisca la sua carriera perché mi piace sempre seguire Elia. Ho parlato con lui l’altro giorno e gli ho detto che alcuni dei miei migliori anni da ciclista sono stati quelli trascorsi in squadra con lui, dove abbiamo lavorato molto bene insieme alla Quick Step. E’ un mio caro amico e mi mancherà vederlo correre, soprattutto mi mancherà vederlo correre in pista. Anche se credo che ci incontreremo spesso, per i nostri rispettivi ruoli se entrerà a far parte della federazione italiana.

Gusto, produzione Slovenia

Gusto e la nuova sede europea: il mercato e la voglia di crescere

19.11.2025
5 min
Salva

NAKLO (Slovenia) – Gusto, marchio taiwanese produttore di telai per bici da corsa, ha da poco aperto la sua prima sede europea, più precisamente a Naklo in Slovenia. Un paesino vicino alla città di Kranj dove si respira ancora un clima di tradizioni, colori e sapori tipici di questa parte di mondo. La sede europea di Gusto è stata inaugurata un anno fa e la sua modernità è quasi in contrasto con le strutture intorno, con ancora tante parti realizzate con il legno dei boschi circostanti.

All’interno della sede di Naklo viene ultimato l’assemblaggio delle biciclette che poi saranno distribuite sul mercato europeo. Un lavoro del tutto manuale della durata di un paio d’ore dove i tre meccanici: Andrej, Urban e Mark si dividono il carico. Da qui esce una ventina di biciclette al giorno.

Luka Zele, Gusto Europe Operation Manager
Il nostro interlocutore è stato Luka Zele, Gusto Europe Operation Manager
Luka Zele, Gusto Europe Operation Manager
Il nostro interlocutore è stato Luka Zele, Gusto Europe Operation Manager

Nuove prospettive

Gusto è cresciuta molto nel corso degli ultimi anni, complici alcuni successi sportivi legati al Pogi Team Gusto Ljubljana, certamente, ma anche grazie alla qualità dei propri telai.

«La decisione di trasferire una parte dell’attività qui in Europa – racconta Luka Zele, Gusto Europe Operation Manager – è abbastanza semplice da spiegare. Il ciclismo è un mercato globale, e operando in questo settore da tanti anni Gusto ha voluto espandere i propri confini. Per riuscire a lavorare con continuità con il mercato europeo era necessario stabilirsi nel Vecchio Continente e avere una sede centrale. 

«Avere una sede europea – riprende Luka Zele – è importante anche per il mercato asiatico e per l’azienda stessa. Gran parte dell’industria e dell’attività sportiva si concentra qui da noi. Essere vicini agli atleti e ai consumatori ci permette di raccogliere rapidamente i feedback e parte del potere di acquisto che si trova in Europa».

Quali sono le differenze tra il mercato asiatico e quello europeo?

Il mercato asiatico è più orientato verso il ciclismo ricreativo. Un altro aspetto interessante è che in Asia non si vedono molte mountain bike, né biciclette gravel. Di conseguenza distribuire molte bici da strada sul mercato europeo significa prendere una fetta di clientela importante che è ancora affezionata a questa disciplina. Allo stesso modo è utile anche per l’immagine di Gusto in Asia, in quanto facciamo vedere come il nostro brand sia appetibile sul mercato mondiale di riferimento. La combinazione di questi due fattori significa che l’azienda sta crescendo nel suo complesso.

Essere legati da ormai dieci anni a una formazione continental che vantaggi vi ha portato?

Il rapporto tra la nostra azienda e il Pogi Team Gusto Ljubljana è piuttosto stretto. Diciamo che i corridori testano le nostre attrezzature, chiaramente a un livello superiore rispetto agli altri utenti. Un altro motivo che ci spinge a sponsorizzare un team è il marketing e il conseguente ritorno d’immagine, pensate cosa significa per noi il fatto che Pogacar abbia vinto il Tour de l’Avenir con una bici Gusto. Terzo e ultimo motivo è la presenza alle corse, non solo in Slovenia ma in tutta Europa. Da quest’anno anche in tutto il mondo. 

Un team che nel frattempo è diventato sempre più internazionale…

Abbiamo avuto modo di creare e far vivere tante belle storie, aiutando molti atleti a raggiungere un livello superiore. Negli anni la squadra si è allargata e sono arrivati corridori australiani, taiwanesi e giapponesi. Anche molti membri dello staff sono passati poi nelle squadre migliori al mondo, nel WorldTour: Ineos, Q36.5 Pro Cycling, Visma Lease a Bike. Per noi avere queste storie da raccontare è un modo per far vedere che il nostro modo di lavorare funziona e sta portando i suoi frutti

Quanto ha imparato Gusto dal mercato europeo?

In termini tecnici ci sono stati dei feedback importanti con il team. Alcuni piccoli accorgimenti, in particolar modo nel design, che ci hanno permesso di migliorare i nostri telai e le nostre biciclette. 

Avete parlato di gravel e mountain bike, Gusto sta pensando di entrare in questo mercato?

L’azienda si è sempre concentrata sulle bici da strada e continuerà così. Allo stesso modo non si può mai sapere cosa comporterà il futuro. Al momento escludiamo il campo delle e-bike e delle mountain bike. E’ possibile vedere qualcosa sul gravel in futuro, che è più simile al ciclismo su strada per certi aspetti.  

Gusto, produzione Europa, Slovenia, Naklo
Gli uffici, al piano superiore della sede: qui vengono gestiti gli ordini dei negozianti in tempi davvero brevi
Gusto, produzione Europa, Slovenia, Naklo
Gli uffici, al piano superiore della sede: qui vengono gestiti gli ordini dei negozianti in tempi davvero brevi
In che modo vi rapportate con i venditori?

Entrare in un mercato in cui sono già presenti marchi locali ben più noti del nostro non è facile ma abbiamo trovato il modo giusto, a mio avviso. Il rapporto diretto con il rivenditore ci permette di aiutarlo a crescere ed evolvere. Questo lo facciamo attraverso la cooperazione, e non con la competizione. Inoltre i nostri rivenditori non devono fare preordini, ma lavorano con le quantità disponibili e con gli ordini al momento. 

Da qui anche l’esigenza di spostare la parte finale dell’assemblaggio in Europa?

Normalmente abbiamo tutte le biciclette disponibili in magazzino e produciamo ciò che viene ordinato con tempi di reazione rapidi. Assemblare in Europa in base alla domanda del mercato è un modo per essere presenti e competitivi

E’ un sistema che può funzionare anche con numeri più alti?

Certamente, abbiamo già dei piani che ci permetteranno di sostenere una produzione più grande mantenendo lo stesso criterio di gestione degli ordini. Il nostro metodo di lavoro non richiede al negoziante di avere cento o duecento biciclette a magazzino, questa responsabilità ricade su Gusto come azienda. Si tratta di un sistema che ci rende unici e specifici sul mercato.

Kilojoule: Pozzovivo spiega questo “nuovo” parametro

19.11.2025
5 min
Salva

Sempre più spesso quando parliamo di preparazione viene fuori questa parola: kilojoule.
«Si seguono i kilojoule». «Dipende da quanti kilojoule hai fatto». «Volume di kilojoule»… ma cosa sono? Che parametro è?

E’ una domanda ricorrente. E quando si parla di preparazione, magari strettamente legata all’atleta, uno dei migliori interlocutori in assoluto è Domenico Pozzovivo, che oltre a essere un coach affermato e molto aggiornato, è anche un fresco corridore. Insomma, è da entrambe le parti della barricata in qualche modo.

Domenico Pozzovivo (classe 1982) ha smesso di correre lo scorso anno. Oggi è un preparatore
Domenico Pozzovivo (classe 1982) ha smesso di correre lo scorso anno. Oggi è un preparatore
Innanzitutto, Domenico, di cosa parliamo: è un’intensità, è un’unità di misura?

La possiamo chiamare una metrica, un valore che serve a quantificare il lavoro meccanico svolto nell’unità di tempo. Basta moltiplicare i watt, che sono la misura del lavoro espresso, per il tempo. A quel punto otteniamo i joule. Per ottenere il kilojoule dobbiamo dividere il risultato per mille. E’ semplicemente questo e soprattutto è qualcosa che abbiamo già nei nostri archivi, dal punto di vista dei dati, per valutare l’intensità di un allenamento.

E perché adesso si usano questi kilojoule? Qual è il vantaggio?

Il vantaggio è avere un parametro immediato di quanto lavoro si è compiuto nell’allenamento. Va molto in parallelo, alla fine, con il training score o altri indici che spesso vengono forniti di default a fine training dalle varie piattaforme (tipo Trainingpeaks, ndr). Questo però è un valore assoluto. Attenzione però…

A cosa?

C’è la superficialità di considerarlo come un dato oggettivo, uguale per tutti. In realtà ognuno dovrebbe parametrare il kilojoule a se stesso. Ovviamente un corridore più leggero, esprimendo meno watt di un corridore più pesante, avrà sempre meno kilojoule. Il paragone in senso stretto sarebbe errato e andrebbe relativizzato. Il top del tutto è il kilojoule per chilo, se vogliamo avere un parametro davvero oggettivo e confrontabile.

Sul computerino, in basso a destra, il dato dei kilojoule consumati
Sul computerino, in basso a destra, il dato dei kilojoule consumati
Che differenza c’è allora rispetto al valutare solo i watt? Cosa c’è di diverso dal dire, per esempio: a fine allenamento ho fatto 200 watt medi?

Perché dentro c’è anche la durata. Con un numero hai sia l’intensità che il tempo. Riprendendo la vostra frase, per correttezza avreste dovuto dire: “Ho fatto 200 watt medi per tre ore”, mentre nel kilojoule il tempo è già incluso. Con quel numero sintetizzi due grandezze: hai la misura oggettiva di quanto è stressato il tuo organismo perché rappresenta il lavoro meccanico complessivo che hai svolto.

Ci sono relazioni con le calorie bruciate? Tanto più che siamo nell’era dell’uso massiccio dei carboidrati…

Viene associato alla caloria, ma parlando di consumo calorico bisognerebbe dividere per quattro il suo valore. Però non è correttissimo, perché otteniamo il dato dei kilojoule solo dalla pedalata. Abbiamo detto che è una misura del lavoro meccanico, della pedalata appunto. Ma quando un ciclista pedala non produce solo quel tipo di lavoro: i muscoli del tronco stabilizzano, se ti alzi sui pedali lavorano anche le braccia. C’è un lavoro generale dell’organismo, quello per mantenersi in vita, che non viene calcolato nel kilojoule. Per convenzione, se hai consumato 10 kilojoule si dice che hai bruciato 10 calorie, anche se termodinamicamente non sarebbe così.

Preparatori e atleti dicono che oggi l’importante non è solo avere tanti watt, ma riuscire a esprimerli a fine corsa. E fanno riferimento in qualche modo al kilojoule: perché?

In tal senso il kilojoule è una misura molto utile. Dal punto di vista dell’analisi dei dati rende confrontabili prestazioni ottenute su percorsi o situazioni differenti. Ti dice che in condizioni diverse, però, dopo un certo numero di kilojoule sei riuscito a fare 20’ a 6,2 watt/chilo, oppure un altro valore. E puoi confrontarlo con un’altra prestazione svolta in un giorno diverso su un altro percorso.

Adesso si pone tanto l’accento sulla durability…

Appunto: riuscire a fare, dopo tanti kilojoule accumulati nel gruppone, determinate prestazioni ed è ciò che fa la differenza. E’ come un carico che continui ad aumentare sulle tue spalle durante l’attività: alla fine il kilojoule è questo.

Lorenzo Germani
Qualche giorno fa Germani ci disse dell’importanza di avere un’ottima durability. Non solo ma è uno dei suoi obiettivi in vista del 2026
Lorenzo Germani
Qualche giorno fa Germani ci disse dell’importanza di avere un’ottima durability. Non solo ma è uno dei suoi obiettivi in vista del 2026
Chiarissimo come sempre, Domenico. Ti senti di aggiungere qualcosa? Una chiosa?

Aggiungere no. Piuttosto, mi verrebbe da dire che ci sono anche un po’ le mode. E adesso il kilojoule, se non ce l’hai in bocca, quasi non sei un preparatore! E questo a me fa sorridere. Però è altrettanto vero che è un parametro molto utile e direi immediato. Insomma, non è solo una moda. Quel che voglio rimarcare è che è soggettivo. Faccio un esempio.

Vai…

Ho due ragazzi: uno pesa 70 chili e l’altro 60. Non posso dire a entrambi: «Fai il lavoro dopo 2.000 kilojoule», perché sono due parametri diversi per ciascuno. Sapendo cosa c’è dietro quel numero riesci a usarlo bene. Se lo usi senza capirlo puoi essere addirittura fuorviante.

Perché?

Perché il segreto è rapportarlo al peso dell’atleta. In bici non è una gara di pesi: è sempre uno sport in cui mettere in relazione la prestazione con il proprio peso fa la differenza, tranne negli esercizi puri di sprint. Diciamo che i kilojoule entrano in ballo soprattutto quando si parla di durabilità, cioè di riuscire a ripetere una prestazione anche dopo un determinato carico di lavoro.

Marco Milesi, Biesse Carrera Premac 2025 (Photors.it)

La Biesse Carrera che verrà: nuovi innesti e i giovani che crescono

18.11.2025
5 min
Salva

Il primo annuncio è stato quello di Leonardo Vesco, in arrivo dalla MBH Bank-Ballan-Csb, poi la notizia che Filippo Agostinacchio rimarrà in squadra, quindi l’arrivo di Stefano Leali. Gli ultimi giorni della Biesse Carrera Premac sono stati decisamente frenetici. Tanti innesti, dovuti alle partenze di altrettanti corridori per i quali era arrivato il momento giusto di lasciare il nido. Infatti i gemelli Bessega faranno parte della rosa della Polti VisitMalta, mentre Filip Gruszczynski passerà professionista proprio con la MBH Bank di Bevilacqua. 

Le uniche certezze rimangono in ammiraglia: Marco Milesi e Dario Nicoletti guideranno la continental bresciana anche nel 2026

«Abbiamo cambiato tanto – ci racconta Milesi in uno dei momenti di pausa di questo novembre – più di metà squadra sarà totalmente nuova. Dei 16 corridori che hanno corso con noi nel 2025, ne abbiamo confermati sette, gli altri sono tutti nuovi».

Renato Favero, Soudall Quick-Step Development, Paris-Roubaix Espoirs (foto Freddy Guérin/DirectVelo)
Favero, uscito dal progetto della Soudal QuickStep è pronto a rilanciarsi con la Biesse Carrera Premac (foto Freddy Guérin/DirectVelo)
Renato Favero, Soudall Quick-Step Development, Paris-Roubaix Espoirs (foto Freddy Guérin/DirectVelo)
Favero, uscito dal progetto della Soudal QuickStep è pronto a rilanciarsi con la Biesse Carrera Premac (foto Freddy Guérin/DirectVelo)

Stessi numeri

Sedici atleti, un numero interessante di corridori che permetterà alla Biesse Carrera Premac di tenere il passo con il calendario messo in piedi lo scorso anno. 

«Considerando tutte le nuove gare che sono entrate a far parte del calendario italiano – spiega Milesi – avremo modo di fare tanta attività, in certi casi doppia. Sono arrivati dei profili interessanti, uno di questi è quello di Renato Favero (di ritorno dall’esperienza al devo team della Soudal QuickStep, ndr). E’ un corridore forte che da noi può sbocciare definitivamente. Come lo scorso anno avremo due atleti elite: Agostinacchio e Rossi (nel 2025 erano Dati e Iacomoni, passati entrambi al Team Ukyo, ndr). Inoltre avremo un blocco importante di ragazzi al secondo anno da under 23, tutti profili interessanti e da monitorare».

Con il passaggio della MBH Bank a team professional sentite di essere diventati il riferimento per il movimento continental?

Penso che anche altre realtà potranno dire la loro, ad esempio la Technipes #InEmiliaRomagna oppure la General Store. Certamente la nostra squadra rimane un riferimento per la categoria under 23, così come lo è stata in passato. 

Favero è un altro atleta che torna indietro da un devo team, su quali aspetti bisogna lavorare con questi ragazzi?

Lui me lo ricordo da quando era junior, faceva il bello e il cattivo tempo in gara. Non so se non gli è stato dato abbastanza spazio o se non lo ha trovato, fatto sta che nei due anni alla Soudal ha corso poco. E’ un modo di fare diverso quello dei devo team, improntato molto sulla preparazione. Se un atleta non ha mai lavorato in quel modo, fa fatica ad adattarsi al fatto di non correre tutte le domeniche. Si deve esser forti di testa e rimanere convinti del progetto. 

Nicola Zumsteg, Zanè-Monte Cengio 2025 Velo Club Mendrisio
Nicola Zumsteg, svizzero classe 2006: un ottimo scalatore, qui vittorioso su Cretti alla Zanè-Monte Cengio (photors.it)
Nicola Zumsteg, Zanè-Monte Cengio 2025 Velo Club Mendrisio
Nicola Zumsteg, svizzero classe 2006: un ottimo scalatore, qui vittorioso su Cretti alla Zanè-Monte Cengio (photors.it)
Programmare l’attività è il solo modo per crescere?

Anche noi con i nostri ragazzi programmiamo i periodi di allenamento, corse e riposo. Un esempio lo abbiamo in Agostinacchio, ora impegnato nel preparare la stagione di ciclocross, il quale prima di tornare a correre su strada farà un periodo di stacco. Sicuramente diamo più spazio agli atleti con un calendario che permette loro di correre e accumulare esperienza

Chi sono i secondi anni da attenzionare?

Alcuni di questi sono con noi dallo scorso anno e abbiamo visto un grande passo in avanti da metà stagione in poi: Michele Bicelli, Andrea Donati, Davide Quadriglia e Alessandro Milesi su tutti. Avremo anche due innesti dal Velo Club Mendrisio, Nicholas Travella e Nicola Zumsteg. Quest’ultimo si è messo in luce con ottime prove da scalatore, ha vinto la Zanè-Monte Cengio ed è arrivato in top 10 sia al Piccolo Giro dell’Emilia, alla Bassano-Monte Grappa e anche alla Schio-Ossario del Pasubio. 

I profili di esperienza non mancheranno, oltre a Favero ci saranno Leonardo Vesco e Stefano Leali…

Vesco è un terzo anno e secondo me è forte, molto forte. Leali mi è sempre piaciuto perché attacca e non ha paura, spesso si piazza con azioni da lontano e ha coraggio. 

Visto il calendario fitto in Italia riuscirete a mantenere qualche appuntamento all’estero?

Certamente, Giro di Slovacchia, Tour de Mirabelle e Paris-Troyes dovrebbero riconfermare l’invito. Inoltre avendo un corridore svizzero di interesse nazionale (Zumsteg, ndr) abbiamo intenzione di fare qualche gara in più oltre confine. Per il resto stiamo preparando tutto, il primo ritiro sarà a Denia a gennaio e poi partiremo come sempre dalla Coppa San Geo.

Gaia Masetti è nata il 26 ottobre 2001. Dopo 4 stagioni alla AG Insurance Soudal, nel 2026 correrà nella Picnic PostNL

Masetti sorride: annata buia superata e Picnic per rilanciarsi

18.11.2025
6 min
Salva

La sua vittoria più bella quest’anno l’ha conquistata giù dalla bici in una gara che ogni anno riguarda sempre più corridori. Gaia Masetti ha iniziato il 2025 con alcune aspettative e lo ha finito con altre convinzioni e soprattutto col nuovo contratto firmato con la Picnic PostNL.

Nella seconda parte di stagione abbiamo incontrato tante volte la 24enne modenese come ospite delle gare giovanili del suo comitato provinciale e il suo sguardo era lo stesso che avevamo incrociato alla team presentation del Giro d’Italia Women, l’ultima gara disputata. L’immancabile sorriso aveva assunto sfumature tristi per una serie di motivi sfortunati che avevano minato pure la volontà di continuare a correre. La mononucleosi è infida da sconfiggere e quando passi da un oro europeo con la nazionale al non avere più una squadra, tutto diventa più scuro.

Il suo percorso è stato tortuoso, Masetti si è scoperta scalatrice nelle difficoltà e alla fine è riuscita a scollinare bene con l’aiuto di persone a lei care. Dopo quattro annate con la AG Insurance Soudal (le prime due nel devo team e le altre due nella formazione WorldTour) nella quale è cresciuta molto, Gaia è pronta ad una nuova dimensione.

Gaia esce spesso col fratello Simone, che ha corso fino da junior. Nel 2026 lei cerca il rilancio nella Picnic PostNL
Gaia esce spesso col fratello Simone, che ha corso fino agli juniores. Nel 2026 lei cerca il rilancio nella Picnic PostNL
Gaia esce spesso col fratello Simone, che ha corso fino da junior. Nel 2026 lei cerca il rilancio nella Picnic PostNL
Gaia esce spesso col fratello Simone, che ha corso fino agli juniores. Nel 2026 lei cerca il rilancio nella Picnic PostNL
Possiamo dire che l’ufficialità del passaggio alla Picnic di due settimane fa ha chiuso un periodo cupo?

Assolutamente sì, non ho paura a riconoscerlo. Quando ho firmato tra fine settembre ed inizio ottobre ho cominciato a stare meglio, sia fisicamente che mentalmente, tanto che in bici ho iniziato a rivedere i miei valori e ad avvertire sensazioni buone. E’ stato un sospiro di sollievo, ma durante le trattative in realtà non ero serena, nonostante il mio procuratore mi dicesse di stare tranquilla che era tutto sotto controllo. Mi si erano profilate delle alternative, però la preoccupazione maggiore era capire se potevo restare ancora nel WorldTour dopo una stagione del genere.

Cos’è che ti ha fatto perdere un po’ di fiducia in te stessa?

Infortuni e problemi di salute si sono succeduti in sequenza. Ero caduta alla Strade Bianche fratturandomi alcune vertebre alte e rimediando una forte botta al gomito. Sono stata ferma per un po’ e dopo ero condizionata negli allenamenti. Ho ripreso a maggio all’Itzulia Women e mi sentivo stanca. Prima del Tour de Suisse durante un’uscita di sei ore sul mio Appennino attorno al Monte Cimone, sono stata punta da un ragno violino. Mi sono gonfiata appena rientrata a casa. Al pronto soccorso mi hanno dato del cortisone e non ho potuto più correre fino ai campionati italiani. E non era finita.

Masetti cade alla Strade Bianche ed inizia il suo calvario. Recupera dalle fratture, ma arriva la mononucleosi a frenarla ancora
Masetti cade alla Strade Bianche ed inizia il suo calvario. Recupera dalle fratture, ma arriva la mononucleosi a frenarla ancora
Masetti cade alla Strade Bianche ed inizia il suo calvario. Recupera dalle fratture, ma arriva la mononucleosi a frenarla ancora
Masetti cade alla Strade Bianche ed inizia il suo calvario. Recupera dalle fratture, ma arriva la mononucleosi a frenarla ancora
Cosa è successo dopo?

La crono tricolore l’ho fatta con numeri non buoni, mentre nella prova in linea mi sono sentita male e svuotata dopo la prima ora di gara. Ho cercato di gestire le forze di quel periodo perché c’era il Giro Women. Volevo correrlo perché ci tenevo ad aiutare Sarah (la compagna Gigante, ndr) a fare risultato come poi è stato. L’ho finito con grandi dolori alla milza, sono arrivata in fondo solo di testa. A quel punto abbiamo approfondito gli esami del sangue che avevo già fatto e abbiamo riscontrato una forte forma di mononucleosi. Dovendo fare almeno tre settimane di stop, il mio 2025 è finito.

Sono quindi subentrati problemi più di natura psicologica che altro?

Proprio così. Da una parte avevo trovato la cura giusta malgrado essendo asmatica alcuni farmaci inizialmente andassero in conflitto tra loro. Dall’altra parte sapevo di non potermi più far vedere in gara né dalla mia squadra, che forse aveva già fatto scelte diverse, né dalle altre. Ad agosto ho toccato il momento più brutto. Ho pianto e sono stata male. Ne sono uscita grazie a Paola Pagani, con la quale collaboro da ormai un anno e mezzo. E’ stata fondamentale per me, a parte il ruolo importante della mia famiglia.

Come ti ha aiutata?

Un anno fa di questi giorni, dicevamo che il 2025 sarebbe stata una stagione magnifica. Invece ad ogni incontro con lei, le dicevo che era sempre peggio. Di natura sono pessimista ed autocritica, ma Paola ha lavorato a fondo con me per farmi vedere il bicchiere mezzo pieno. Assieme a lei ho trovato lati positivi che mi hanno spinta a resistere.

Cosa ti ha consigliato?

Già da prima di agosto ho dovuto distrarmi dal ciclismo e non è stato facile perché non ero disposta a fare passi indietro. Ho seguito le sue parole e alla fine ho ottenuto una vittoria umana e personale che mi ha fatto fare un salto di qualità mentale. Paola l’ho ringraziata pubblicamente e non lo farò mai abbastanza perché immagino che non sia stato semplice per lei spiegare certi concetti ad una ragazza che sta vedendo tutto buio.

La luce in fondo al tunnel, è il caso di dirlo, è stata quella della Picnic. Com’è nato il contatto con loro?

Sapevo che mi stavano tenendo sotto osservazione da un po’ e sono stati i primi a farsi vivi e poi concretizzare tutto. Per la verità dovevano sistemare le posizioni di alcune loro atlete e quindi i tempi non sono stati immediati. Tuttavia ho apprezzato molto questo atteggiamento e le loro parole. Quando hanno risolto quelle questioni, abbiamo fatto una video-call, poi sono andata a Manchester per parlare coi diesse Rudi Kemna e Callum Ferguson. Successivamente ho fatto un salto in Olanda per le misure della bici e dell’abbigliamento. Lassù ho conosciuto anche il mio futuro preparatore che mi ha già stimolata tantissimo per i lavori da svolgere.

Quale sarà il ruolo di Gaia Masetti alla Picnic PostNL?

Innanzitutto visto da fuori mi è sempre piaciuto il loro modo di correre, molto unite. Più che ruolo, abbiamo discusso della mia crescita. Loro ritengono che io abbia buoni numeri per ottenere risultati migliori di quelli avuti finora. So che atleta sono, ma non conosco i miei limiti e so anche che posso migliorare ancora in tanti punti, come intensità o esplosività. Io cercherò di meritarmi il mio spazio in alcune gare.

Nonostante un'estate difficile, Gaia grazie alle parole di Paola Pagani non ha mai perso il sorriso e la consapevolezza di sè stessa
Nonostante un’estate difficile, grazie alle parole di Paola Pagani, Gaia non ha mai perso il sorriso e la consapevolezza di se stessa
Nonostante un'estate difficile, Gaia grazie alle parole di Paola Pagani non ha mai perso il sorriso e la consapevolezza di sè stessa
Nonostante un’estate difficile, grazie alle parole di Paola Pagani, Gaia non ha mai perso il sorriso e la consapevolezza di se stessa
Troverai tante connazionali tra cui Rachele Barbieri, modenese come te. Avevi parlato con lei?

Ad inizio contatto con la Picnic avevo sentito Rachele. Lei per me è un riferimento, ma non so se farò parte del suo treno. Di sicuro, come vi ha detto anche lei, anche io sono felice di essere nella sua stessa squadra. Anzi, finalmente ritrovo compagne italiane dopo quattro stagioni e non è male ogni tanto poter parlare la propria lingua in un team straniero.

Sai già qualcosa del tuo programma del 2026?

Dal 10 al 18 dicembre saremo in ritiro a Calpe. So che dovrei iniziare col Tour Down Under e poi proseguire col blocco delle classiche. Non vedo l’ora di iniziare. Arrivo in una squadra molto strutturata con comparti precisi ed un metodo di lavoro ben rodato che mi piace. Per come sono fatta io e dopo l’annata appena trascorsa, questa squadra è proprio quella che mi serviva per ritrovare me stessa.

Con Modern Adventure, Hincapie si rimette in gioco

Con Modern Adventure, Hincapie si rimette in gioco

18.11.2025
6 min
Salva

Il mondo del ciclismo riabbraccia un figliol prodigo, George Hincapie, del quale si erano perse le tracce da qualche anno. Uno dei nomi di punta del ciclismo americano a cavallo del secolo, vissuti sempre all’ombra di Lance Armstrong con tutte le perplessità lasciate alla storia, Hincapie è comunque uno che ha vinto tanto, anche classiche di grido come la Gand-Wevelgem del 2001. Ora è a capo della Modern Adventure, nuova squadra professional a stelle e strisce che dal prossimo anno sarà in carovana. Non sono mancati finora alcuni ingaggi importanti, come il ritorno fra i pro’ del sudafricano Stefan De Bod e soprattutto l’abbraccio a Leo Hayter, che aveva lasciato il ciclismo a soli 22 anni per colpa della depressione.

Hincapie, dall’altra parte dell’Atlantico sta lavorando alacremente al progetto, in previsione del training camp che si svolgerà a Greenville dal primo dicembre. L’entusiasmo è esattamente quello che metteva sulle strade europee e anche italiane, Paese al quale è rimasto molto affezionato.

George Hincapie, 52 anni, ha corso fino al 2012, con 28 vittorie al suo attivo
George Hincapie, 52 anni, ha corso fino al 2012, con 28 vittorie al suo attivo
George Hincapie, 52 anni, ha corso fino al 2012, con 28 vittorie al suo attivo
George Hincapie, 52 anni, ha corso fino al 2012, con 28 vittorie al suo attivo
La tua ultima esperienza da direttore sportivo è datata 2018: che cosa hai fatto da allora?

Per essere precisi sono il proprietario della squadra con 3 direttori sportivi. A quei tempi ne avevamo un paio. Io la supervisiono, la guido. Mi sono rimesso in gioco, dopo che dall’esperienza nella Holowesko Citadel mi sono concentrato solo sulla mia famiglia e sulla mia azienda di famiglia: Hincapie Sportswear. Faccio anche un podcast con Lance e viaggio per partecipare a eventi. Quindi non mi sono occupato più di squadre dal 2018, ma ovviamente sono sempre stato un appassionato di questo sport e di tutto ciò che accade. Tornare è divertente, emozionante, anche snervante, ma è una bella sensazione.

Com’è nata l’idea della Modern Adventure e quali sono le tue ambizioni?

Io voglio creare il dream team americano, il dream team del Tour de France. So che ci vorrà molto tempo, molto lavoro, molta pazienza. Mi sento come quando ho firmato con la Motorola a 19 anni. Sono arrivato in Europa e non conoscevo nessuno, ma era molto allettante per me cercare di dimostrare di essere nel posto giusto. E qualunque cosa fosse successa, volevo continuare a lavorare il più duramente possibile per diventare un ciclista professionista di successo. Trent’anni dopo, sono più o meno nella stessa posizione. Voglio dimostrare di poter costruire una squadra di grande successo e rinvigorire il ciclismo qui in America. Anche se abbiamo alcuni ciclisti straordinari americani, sono in squadre diverse in tutta Europa e non riescono a impressionare il pubblico, ad avere lo spazio d’informazione che meriterebbero. I numeri, in termini di audience, stanno diminuendo qui negli Stati Uniti. Quindi, vorrei ricostruire una squadra di serie A che i tifosi americani possano sostenere.

L'obiettivo del team di Hincapie è dare impulso al ciclismo locale e ritrovare l'affetto del pubblico
L’obiettivo del team di Hincapie è dare impulso al ciclismo locale e ritrovare l’affetto del pubblico
L'obiettivo del team di Hincapie è dare impulso al ciclismo locale e ritrovare l'affetto del pubblico
L’obiettivo del team di Hincapie è dare impulso al ciclismo locale e ritrovare l’affetto del pubblico
Nel WorldTour ci sono altre squadre americane, ma la tua ha una maggiore densità di corridori Usa. E’ una precisa scelta?

Sì, certo. E in futuro, sarà sempre così. Vogliamo avere almeno il 50 per cento di corridori americani. E’ vero, le altre squadre hanno licenza USA, ma hanno al massimo uno o due americani. Noi vogliamo fare qualcosa di diverso. Sceglieremo corridori da tutto il mondo, ma il nocciolo duro sarà sempre nostrano.

Farete attività sia in Europa che nel calendario americano?

Stiamo valutando a quali gare riceveremo inviti in Europa o in Medio Oriente, nei primi due anni correremo ovunque sarà possibile. Essendo la nostra una squadra professionistica di seconda divisione, non ha inviti garantiti. Ma in questo momento sto viaggiando in tutto il mondo, incontrando quante più persone possibile, parlando di noi e della nostra visione. Ovviamente, vogliamo gareggiare in America, ma non ci sono molte gare, quindi faremo quello che è disponibile, ma l’attenzione sarà rivolta al calendario europeo.

La domanda è d’obbligo. Considerando i tuoi rapporti con Lance Armstrong, sarà coinvolto anche lui nel progetto?

No, siamo in contatto, come detto lavoro con lui al podcast ma la squadra è completamente slegata da Lance e anche nella ricerca di sponsor mi muovo in maniera autonoma, attraverso altre vie.

Il roster della squadra americana comprende attualmente 20 corridori, di cui 11 statunitensi
Il roster della squadra americana comprende attualmente 20 corridori, di cui 11 statunitensi
Il roster della squadra americana comprende attualmente 20 corridori, di cui 11 statunitensi
Il roster della squadra americana comprende attualmente 20 corridori, di cui 11 statunitensi
Il programma americano è fatto soprattutto di criterium: secondo te sono utili e hanno un senso nel confronto con le gare europee?

Difficile dirlo, è completamente diverso. Ne faremo qualcuno. Ma non vanno sottovalutati, ci sono gare emozionanti. Sono gare brevi e adrenaliniche. Piene di azione. Anche in notturna. E’ un tipo di ciclismo diverso e non è su questo che vogliamo concentrarci, ma sicuramente ne faremo un paio di grandi solo per essere presenti, solo per costruire un seguito in termini di fan qui negli Stati Uniti. Ci sono anche gare classiche che stanno sviluppandosi, in Maryland, Philadelphia che sta tornando, poi forse faremo la Redlands, che è una corsa a tappe più piccola. E alcune corse gravel, se andranno a buon fine, per i nostri sponsor come Factor e SRAM.

Con voi torna a correre Leo Hayter: come pensate di sostenerlo dopo i difficili messi che ha passato e che cosa può fare?

E’ incredibilmente talentuoso, ha vinto il Giro NextGen, viene da una famiglia di ciclisti. Io so bene quanto sia difficile il ciclismo, mentalmente in particolar modo. Quando ho visto l’opportunità di riportarlo in un ambiente meno stressante, di fornirgli un’ottima attrezzatura e un ottimo allenamento, ho assunto Bobby Julich come mio direttore delle prestazioni. Lavoreremo tutti per togliergli la pressione, ma anche per fornirgli gli strumenti migliori per tornare al suo livello e anche meglio del suo. So che è rischioso per lui firmare con noi, una piccola nuova squadra, e anche per noi legarci a lui, visto che è appena tornato e ha trascorso così tanto tempo lontano dallo sport. Siamo d’accordo che lavoreremo tutti per il meglio. E personalmente sono molto entusiasta di averlo in squadra. Il ciclismo non perdona davvero né dà molte possibilità ai ragazzi. Io voglio essere qualcuno che può dare alle persone delle chance per tornare a praticare lo sport che tutti amiamo.

Il recupero di Leo Hayter dopo due anni d'inattività è una delle grandi scommesse per Hincapie (foto Getty Images)
Il recupero di Leo Hayter dopo due anni d’inattività è una delle grandi scommesse per Hincapie (foto Getty Images)
Il recupero di Leo Hayter dopo due anni d'inattività è una delle grandi scommesse per Hincapie (foto Getty Images)
Il recupero di Leo Hayter dopo due anni d’inattività è una delle grandi scommesse per Hincapie (foto Getty Images)
Hai intenzione di fare scouting in Europa in futuro, magari in Italia, Paese che conosci bene?

Spero di sì. Sto contattando amici che hanno contatti e conoscenze con gli organizzatori in Italia e anche Maurizio Fondriest mi ha contattato e mi sta aiutando un po’. Voglio correre in Italia, Paese che amo, vogliamo fare tutto il possibile per essere selezionati anche per le gare in Italia e se ci sarà possibilità, portare anche corridori da noi.

Tu hai vinto tanto da corridore, come ti troveresti nel ciclismo di oggi e quanto è diverso dal tuo?

Oh, è molto diverso. Noi gli allenamenti li misuravamo a sensazione, a quantità, oggi è tutto calcolato, l’allenamento, l’alimentazione, il recupero, Il sonno, l’idratazione, i watt… ci sono tanti calcoli e molte meno congetture. Tutti sanno esattamente cosa bisogna fare, quanto cibo devono mangiare. Quindi è molto più avanzato tecnicamente rispetto ai miei tempi. Penso che molti sport guardino al ciclismo per il modo in cui i ciclisti recuperano ora, per il modo in cui si allenano. Credo che sia uno degli sport tecnicamente più avanzati in circolazione.

Lo staff del team Professional, che farà attività soprattutto in Europa e Asia
Lo staff del team Professional, che farà attività soprattutto in Europa e Asia
Lo staff del team Professional, che farà attività soprattutto in Europa e Asia
Lo staff del team Professional, che farà attività soprattutto in Europa e Asia
Quali sono le tue speranze e i tuoi obiettivi per il primo anno della squadra?

Dobbiamo intanto concentrarci sull’immagine e sul branding della squadra, dare ai corridori l’opportunità di correre nelle gare più importanti. E non voglio sembrare pretenzioso, ma so che scenderemo in pista e proveremo a vincere cinque gare. Sarà molto difficile, ma voglio avere un impatto, voglio che i ragazzi si presentino sapendo di avere la migliore attrezzatura, i migliori allenatori e voglio che migliorino le loro prestazioni passate. Diventino ciclisti migliori grazie al nostro programma.

Giacomo Notari, debriefing

Debriefing di fine stagione: con i giovani tanto dialogo, vero Notari?

18.11.2025
6 min
Salva

Questo è il momento dell’off-season e per i preparatori è l’ora dei debriefing. Si tirano le somme di ciò che l’atleta ha fatto nel corso dell’anno: dati, numeri, lavori specifici ben riusciti e altri meno. Ma quando di mezzo c’è un ragazzo, come cambia questo debriefing? E com’è il confronto?

Con Giacomo Notari, coach della UAE Emirates Gen Z, cerchiamo di capire in che direzione si muove questa fase, soprattutto rispetto al confronto con la stagione precedente. Cosa valuta Notari? Da cosa parte? (In apertura foto Instagram)

Notari, debriefing
Giacomo Notari è il preparatore della UAE Team Emirates Gen Z. E’ con lui che parliamo di debriefing con i giovani
Notari, debriefing
Giacomo Notari è il preparatore della UAE Team Emirates Gen Z. E’ con lui che parliamo di debriefing con i giovani
Giacomo, dunque, cosa guardi in questo debriefing annuale?

Prima di tutto vorrei dire che non lo faccio solo con chi già c’era, ma anche con i nuovi che arriveranno, perché è un momento per conoscerli. Con i “vecchi”, invece, si valuta cosa è stato fatto bene e cosa si poteva fare meglio.

E cosa si fa in questo debriefing?

In linea generale, sebbene io sia un preparatore e quindi abituato a lavorare tanto con numeri, sigle e dati, quando faccio questi debriefing parlo molto. Cerco di capire cosa si aspettano da loro stessi, cosa pensano di aver fatto bene e dove ritengono di dover migliorare. Non cosa hanno sbagliato, ma dove credono di poter crescere. Con i nuovi cerco di capire che tipo di corridori pensano di essere, per farmi un’idea. Dopo, avendo i dati, qualcosa si capisce, ma è importante anche sapere che immagine hanno di sé, perché sono ancora in una fase in cui qualcosa può cambiare. La impronto più come un dialogo, anche psicologico: siamo focalizzati sui numeri, ma in gara non vince chi ha il wattaggio più alto. Essendo uno sport di situazione, contano il saper stare a ruota, prendere posizione, leggere la corsa, capire quando è il momento giusto. Poi è chiaro che un po’ si guardano anche i numeri.

Come?

Si guarda in particolare il volume di ore settimanali, ma è difficile contestualizzarlo. Uno può aver fatto 20 ore, ma cosa vuol dire? Potevano essere 20 ore in Z1, in Z2 o con molta intensità. Per questo preferisco parlare, capire come sono soliti allenarsi, se fanno palestra, se piace loro farla, se pensano che sia utile.

gruppo UAE GEN Z, allenamento debriefing
Ore di lavoro, test, FTP: ma nel debriefing di Notari resta centrale il dialogo con i ragazzi
gruppo UAE GEN Z, allenamento debriefing
Ore di lavoro, test, FTP: ma nel debriefing di Notari resta centrale il dialogo con i ragazzi
Ma la crescita fisiologica come la valuti?

Certamente valuto anche questo aspetto, ma non necessariamente il fatto che abbia migliorato la FTP mi dice che abbia corso più forte dell’anno precedente. Tendenzialmente le migliori prestazioni le fanno in condizioni di freschezza, mentre in gara l’azione vincente nasce dalla fatica. Quindi sarebbe utile vedere quanto migliorano dopo un certo carico di lavoro, misurato in kilojoule.

Perché?

Perché le gare si vincono in condizioni di fatica. A volte facciamo test proprio in fatica: creiamo affaticamento con salite a intensità alta e poi facciamo eseguire una prova massimale, per vedere quanto perde rispetto a quando è fresco. Non posso concentrarmi solo sui 12′, 15′ o 20′ in freschezza. Il mio scopo è migliorare la “durability”: arrivare meno stanchi alla fine. Quando parlo con loro mi interessa capire che volumi erano soliti fare, come arrivavano a fine gara, cosa soffrivano di più. Quelli sono i punti deboli su cui lavorare e che possono determinare il calo nel finale.

Tratti soprattutto under 23, quindi ragazzi di 18-19 anni in crescita. Quanto migliora un ragazzo per semplice sviluppo fisico?

E’ difficile quantificare perché ognuno ha fasi di crescita diverse, però tendenzialmente un miglioramento c’è. Tra i 17 e i 23 anni sono in un’età d’oro: non hanno i problemi di chi ne ha 26 o 27. Vivono in casa, non devono fare la spesa o fronteggiare responsabilità pesanti. L’unico stress è la scuola. Se togliessimo anche quello, avrebbero tutto il giorno per allenarsi e andrebbero ancora più forte.

Tattiche di corsa, pressioni, abilità in gruppo: anche questo conta… e i numeri non lo dicono (foto La Presse)
Tattiche di corsa, pressioni, abilità in gruppo: anche questo conta… e i numeri non lo dicono (foto La Presse)
Un aspetto semplice ma non banale…

A 26-27 anni sei prestativo, ma hai anche stress: casa, famiglia, figli, spese… E’ quindi difficile quantificare la crescita perché ci sono fattori esterni e quelli fisiologici che vanno di pari passo con lo sviluppo individuale.

Hai detto “parlo molto con loro”. E loro cosa ti chiedono? E come capisci, dalle loro risposte, che stanno maturando?

Tendenzialmente cerco di capire i punti di forza e quelli di debolezza. Guardando i dati e la curva di potenza capisco dove sono forti o carenti, ma voglio che lo dicano anche loro. Io dai numeri vedo solo la parte prestativa, ma magari il loro limite è altro.

Tipo?

Ad esempio che non sono bravi a stare in gruppo o che hanno problemi in discesa, cose che da TrainingPeaks non emergono. In squadra abbiamo anche una psicologa: una volta un ragazzo aveva paura in discesa per via di una caduta. Abbiamo lavorato con lei e poi lo abbiamo affidato a un coach specifico proprio per la discesa che gli ha spiegato ingresso in curva, velocità, staccata, traiettoria… Queste cose non le vedi dai computerini. Siamo troppo fossilizzati sui numeri, ma c’è tutto un contesto attorno che fa tanta differenza.

debriefing
Il francese Fabries, la soddisfazione maggiore di Notari per questo suo 2025 (foto Instagram)
debriefing
Il francese Fabries, la soddisfazione maggiore di Notari per questo suo 2025 (foto Instagram)
Bello questo aspetto del dialogo nel debriefing…

Oggi i ragazzi sanno moltissimo di nutrizione e allenamento. Su internet possono raccogliere un’infinità di informazioni, ma questo gli crea stress: vogliono controllare tutto, quando ci sono persone che possono farlo per loro. Questo gli toglie stress.

Qual è stata la soddisfazione più grande dell’anno? Il miglioramento che ti ha dato più gioia?

Non abbiamo vinto tanto, ma neanche poco. La vittoria a tutti i costi non è ciò che cerchiamo. In UAE abbiamo la fortuna di poter far crescere i ragazzi: se sono con noi è perché crediamo in loro. Preferiamo farli maturare pensando al futuro. La soddisfazione più grande è arrivata da un corridore francese, Ugo Fabriès.

Raccontaci…

Praticamente non aveva mai vinto una corsa. Sapevamo che numericamente era forte, ma credeva poco in sé stesso. Ha fatto delle buone gare e a fine stagione ha vinto il campionato nazionale, correndo da solo, senza compagni. Meritava. Era uno che si è sempre fatto in quattro per i compagni: una volta Pericas ebbe un problema nel momento peggiore e lui, anziché giocarsi la corsa, si staccò dal gruppetto per riportarlo davanti. Sono contento che il titolo nazionale gli abbia consentito di restare in squadra e che potrò averlo anche il prossimo anno.

Fabio Aru Academy

Torniamo alla Fabio Aru Academy: come vanno le cose?

17.11.2025
5 min
Salva

Fabio Aru Academy: vi ricordate? Ne parlammo quasi due anni fa, proprio quando l’ex professionista sardo lanciò questo ambizioso e lodevole progetto nella sua terra d’origine. E’ un’iniziativa nata per dare un futuro al ciclismo isolano, offrendo ai giovani una struttura stabile e un percorso formativo completo. Oggi, a distanza di questo lasso di tempo, vediamo come stanno andando le cose. E perché è così importante insistere anche laddove fare ciclismo non è semplice né naturale, benché il territorio paradossalmente lo consentirebbe meglio che altrove, con meno traffico e un clima ideale.

Vi anticipiamo subito che la crescita c’è ed è costante. I ragazzi dell’Aru Academy vanno forte, non solo in gara, ma nell’attività quotidiana su strada, in Mtb e nel cross. E’ questo l’aspetto che più conta.

Aru con Federico Balconi (Zerosbatti) e gli esponenti di Luna Rossa (tra cui si riconosce Simion) nella base della nota imbarcazione
Aru con Federico Balconi (Zerosbatti) e gli esponenti di Luna Rossa (tra cui si riconosce Simion) nella base della nota imbarcazione
E dunque Fabio, come procedono i lavori della tua Academy?

La base è sempre a Villacidro. Abbiamo le squadre da G1 ad allievi. L’attività la svolgiamo prevalentemente nel nostro territorio e in tutta la Sardegna, anche se quest’anno siamo andati sulla terraferma. Infatti con dieci bambini siamo stati al Meeting Nazionale dei Giovanissimi a Viareggio. Portiamo avanti con decisione anche il progetto scuole: così facendo abbiamo messo in sella 2.600 bambini.

Cioè?

Con i nostri tecnici, i caschi Specialized e le nostre bici andiamo nelle scuole e facciamo provare i ragazzi: li mettiamo in sella e li avviamo al ciclismo. Non solo: con l’aiuto di Zerosbatti e Imago Mundi cerchiamo di proporre la bici non soltanto come mezzo sportivo o agonistico, ma come stile di vita sano e strumento per la mobilità sostenibile. Abbiamo anche fatto degli incontri alla base di Luna Rossa a Cagliari. C’erano tanti enti: e’ stato un bel risultato, che ha riscosso attenzione anche a livello nazionale.

Tra progetti con le scuole ed eventi promozionali, in due anni la Fabio Aru Academy ha messo in bici 2.600 bambini
Tra progetti con le scuole ed eventi promozionali, in due anni la Fabio Aru Academy ha messo in bici 2.600 bambini
Una vera attività promozionale…

Esatto. Ma secondo me noi corridori del passato dobbiamo farlo. Anche perché se vogliamo i campioni del domani, da qualche parte bisogna iniziare. Penso per esempio anche a Sbaragli, che tempo fa ha postato la foto della sua squadra a Castiglion Fiorentino, mi pare… Dobbiamo fare qualcosa per l’attività giovanile.

Invece, Fabio, qual è lo stato dell’attività agonistica in Sardegna? In poche parole: le gare ci sono?

Alla fine le gare per giovanissimi, esordienti e anche allievi ci sono. Il problema semmai è il livello, perché restando solo in Sardegna inevitabilmente è più basso. Per questo ogni tanto è vitale andare fuori regione. Serve un confronto più ampio.

Chiaro, altrimenti resta un “circuito chiuso”…

Esatto. Per chi vive in Lombardia, Toscana, Veneto… con 200-300 chilometri, ma anche molto meno, hai un raggio enorme di possibilità e di confronto. Per noi è tutto più complesso e costoso: dobbiamo prendere un aereo o una nave, prenotare un hotel, imbarcare i mezzi e impiegare molto tempo. Non sarebbe sostenibile farlo sempre. Tuttavia, grazie al supporto di alcune aziende, ogni tanto ci riusciamo. Servirebbero più fondi. Stiamo lottando da tre anni per provare a perseguire obiettivi più grandi.

Sono dieci le persone dello staff che supportano la Fabio Aru Academy
Sono dieci le persone dello staff che supportano la Fabio Aru Academy
E quali sono?

Provare ad alzare il livello del confronto. Ma vorrei ricordare che la Fabio Aru Academy non punta solo a creare campioni. Una nostra prerogativa è il rispetto delle regole, l’educazione. Preferisco avere bravi bambini, prima ancora di piccoli corridori che vincono. Che siano composti e che la bici per loro sia una scuola di vita.

Tu non vivi in Sardegna: ogni quanto vai a trovare la tua Academy?

Una decina di volte l’anno. Mi piace seguire i ragazzi. Però devo dire che ho un bel team: una squadra di dieci persone tra direttori sportivi e collaboratori che li seguono in allenamento, gli stanno vicino e mantengono le nostre strutture.

Cosa intendi per strutture?

Abbiamo un percorso di ciclocross di due chilometri e mezzo, uno di MTB cross country di cinque chilometri e una piccola pista dove facciamo anche delle gimkane.

Presenti anche tante bambine. Si corre su strada, in MTB e nel cross
Presenti anche tante bambine. Si corre su strada, in MTB e nel cross
Torniamo alle gare in Sardegna: quanti partenti ci sono mediamente?

Varia. Ci sono gare con 150 giovanissimi ed altre con 60-70. Noi organizziamo tre-quattro gare l’anno. Quest’anno, per esempio, abbiamo allestito il campionato regionale di MTB e al via c’erano 150 ragazzi nelle varie categorie. E’ vero: qualche anno fa erano di più, ma questi sono i numeri.

Ma questo non è un problema solo della Sardegna, Fabio…

A Villacidro, per esempio, nelle gare giovanissimi da G1 a G6 abbiamo avuto 117 partenti. In altre ce ne sono 40-50. E man mano che si sale di categoria sono ancora meno: tra chi lascia, chi prova e poi cambia, chi non prosegue.

Il vero spartiacque per un ragazzo che vuole fare ciclismo agonistico arriva sempre prima. Siamo ormai agli juniores… tu come la vedi?

Di certo oggi fare l’allievo è molto diverso rispetto a quando correvo io. I primi lavori specifici li ho fatti da junior. Oggi iniziano dagli esordienti con certi lavori e qualche test. E’ chiaro che il mondo va avanti, ma non metterei una regola unica per questo spartiacque. Ognuno ha il suo sviluppo e le sue tempistiche. Io, per esempio, sono cresciuto dopo i miei coetanei: se non avessi avuto pazienza, avrei smesso.

E per i più grandicelli ecco i primi test
E per i più grandicelli ecco i primi test
Dunque è possibile fare lo junior in Sardegna?

No, è molto difficile. Torniamo al discorso del livello del confronto. In quella categoria serve misurarsi la domenica con altri ragazzi. Io l’ho fatto viaggiando, ma alla base ci deve essere la consapevolezza da parte del ragazzo (e della sua famiglia aggiungiamo noi, ndr) di un grande impegno, una predisposizione al viaggio e al sacrificio. Potresti anche fare la preparazione invernale sull’isola, anzi dal punto di vista climatico sarebbe perfetta, ma poi devi viaggiare.

Serata del Grande Ciclismo, Pesaro, 2025, salotto Riccardo Magrini, Luca Gregorio, Eleonora Ciabocco, Gianmarco Garofoli

EDITORIALE / Al ciclismo italiano manca soprattutto un faro

17.11.2025
4 min
Salva

Venerdì sera, nel corso della classica Serata del Grande Ciclismo di Pesaro, durante un momento di salotto condotto da Luca Gregorio e Riccardo Magrini, il microfono è finito in mano a Gianmarco Garofoli, che non ci ha pensato due volte. Agganciandosi alle parole di Magrini, che parlava della difficoltà del ciclismo italiano, il corridore marchigiano della Soudal Quick Step, ha piazzato uno scatto deciso.

«Non è vero che il ciclismo italiano è in difficoltà – ha detto – ci sono tanti corridori forti che ottengono ottimi risultati. Davanti a tutti ci sono Pogacar e pochi altri, ma subito dietro ci siamo noi. Solo che chi racconta le corse non lo dice. Si parla sempre degli stessi, di quanto sia forte Pogacar e gli altri è come se non ci fossero. Faccio un esempio: Alessandro Verre. E’ arrivato secondo nella tappa regina del Giro d’Italia, ma nessuno ne ha parlato».

Magrini ha replicato che non è vero e che nessuno ricorda nemmeno chi abbia vinto la tappa di Sestriere. Aveva ragione: abbiamo avuto bisogno di ricorrere al web per ricordare il nome di Chris Harper e a maggior ragione – viene da dire – si sarebbe potuto dedicare più spazio a Verre. E con la disputa che è andata avanti ancora per qualche minuto, a noi è venuto di fare una considerazione che, dopo la vittoria di Sinner a Torino e la figuraccia della nazionale di calcio a Milano, ha preso maggiore consistenza.

Serata del Grande Ciclismo, Pesaro, 2025,
La serata del Grande Ciclismo si è svolta a Pesaro, organizzata dai primi due a sinistra: Giacono Rossi e Maurizio Radi
Serata del Grande Ciclismo, Pesaro, 2025,
La serata del Grande Ciclismo si è svolta a Pesaro, organizzata dai primi due a sinistra: Giacono Rossi e Maurizio Radi

I soliti due al comando

Sinner e Alcaraz sono davanti a tutti come Pogacar e Vingegaard: alle loro spalle c’è il vuoto. La sola differenza è che Sinner è italiano: basta questo perché i risultati dei giocatori alle sue spalle diventino immensi. Non vogliamo dire che non siano ottimi atleti, ma avendo vinto negli ultimi due anni tornei di seconda schiera (ATP Tour 250), probabilmente non avrebbero tanta eco mediatica se là davanti al posto di Sinner ci fosse un giocatore non italiano. Si parla tanto di Jasmine Paolini, senza rendersi conto che un’Elisa Longo Borghini vale cento volte di più.

Se con Pogacar ci fosse un italiano di pari livello, come per magia i risultati di Ciccone, Scaroni, Ganna, Milan, Viviani, Trentin e Vendrame sarebbero raccontati con altra enfasi. Questo perché i grandi media vivono di iperboli: l’ordinario non esiste e di conseguenza scompare. Anche al di fuori della diretta, si preferisce fare pagine e minuti su Pogacar, cadendo in esaltazioni anche ripetitive, piuttosto che approfondire quello che c’è dietro. Una vecchia storia da cui difficilmente usciremo, motivo di dibattiti estenuanti che hanno spinto noi a intraprendere una linea diversa e che comprensibilmente possono diventare causa di frustrazione per gli atleti… invisibili.

Giro d'Italia 2025, Sestriere, 20a tappa, Alessandro Verre
Secondo a Sestriere nella 20ª tappa del Giro, Verre è per Garofoli l’emblena del corridore ignorato da parte dei media
Giro d'Italia 2025, Sestriere, 20a tappa, Alessandro Verre
Secondo a Sestriere nella 20ª tappa del Giro, Verre è per Garofoli l’emblena del corridore ignorato da parte dei media

La WorldTour italiana…   nel calcio

Che cosa dovremmo dire allora del calcio italiano, se il ciclismo è in crisi? Non si vince la Champions League dal 2010, quando l’Inter vinse anche il mondiale per club. E bisogna ringraziare l’Atalanta che nel 2024 vinse la UEFA Europa League, perché andando a ritroso per vedere un’altra vittoria italiana bisogna risalire al 1999 del Parma. Nel 2006 l’Italia ha vinto i mondiali di calcio. Nel 2010 e nel 2014 è stata eliminata al primo turno. Mentre nel 2018 e nel 2022 non si è qualificata. E dopo la sconfitta di ieri con la Norvegia, rischia grosso anche questa volta.

Eppure si riempiono pagine e palinsesti di campioni stranieri, che sventolano le bandiere delle squadre di casa nostra, senza pensare (probabilmente) che proprio grazie a tale colonialismo, i giocatori italiani hanno perso consistenza e qualità. Servirebbe anche a loro una WorldTour italiana, che avesse il coraggio di investire seriamente sul vivaio?

Ciccone ha vissuto un 2025 più continuo, sia pure con incidenti. Qui primo a San Sebastian
Ciccone ha vissuto un 2025 più continuo, sia pure con incidenti. Qui primo a San Sebastian

Continuità cercasi

Garofoli ha ragione? Restando sul dato oggettivo e sportivo, probabilmente sì. Ma poiché il pubblico dello sport italiano prima di essere competente è soprattutto tifoso, in mancanza di continuità e grandi vittorie, si continuerà a sostenere che il ciclismo italiano sia in crisi. La continuità fa la differenza, su questo aveva ragione Magrini. Il Ciccone di quest’anno ha dato un seguito al podio del Lombardia 2024 e se non si fosse ammalato dopo i mondiali, probabilmente avrebbe continuato nella serie. Altri invece si sono affacciati alla porta dei grandi e poi sono spariti.

E’ importante dare al pubblico dei riferimenti. Pellizzari per la salita. Ciccone per le classiche. Milan per le volate. Scaroni e Ballerini per altre classiche. Se tutto questo diventerà un’abitudine, sarà più difficile ignorare certe prestazioni e l’arrivo di giovani interessanti come Finn verrà inquadrato in un movimento già di per sé florido. I problemi esistono. Il livello giovanile è in forte difficoltà. Ma se proprio qualcuno ha voglia si sparare sulla Croce Rossa, guardi verso il calcio. Se noi siamo in crisi, loro come sono messi?