Una Orbea Orca (da strada) sul gradino più alto del podio nel cx

Una Orbea Orca (da strada) sul gradino più alto del podio nel cx

16.11.2025
4 min
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Proprio così, Toon Aerts in sella alla Orbea Orca ha vinto il Campionato Europeo di ciclocross. Pur non avendo conferme ufficiali da Orbea, le immagini parlano piuttosto chiaramente. Il belga del Team Belgian Deschacht-Hens CX (alcuni atleti di questa squadra hanno un doppio tesseramento e sono legati al Team Lotto per le corse su strada) ha trionfato su una bici da strada, un prodotto con le sue linee classiche, minimale, una bici con un frame-kit dal peso ridotto.

Buona parte dei compagni di team utilizzano la gravel race Orbea Terra Race, modello sviluppato dall’azienda basca per le competizioni sullo sterrato. Proviamo ad argomentare di nostro pugno la scelta tecnica.

Una Orbea Orca (da strada) sul gradino più alto del podio nel cx
Anche vista di fronte. La bici è una Orbea Orca (ri-adattata)
Una Orbea Orca (da strada) sul gradino più alto del podio nel cx
Anche vista di fronte. La bici è una Orbea Orca (ri-adattata)

La Orbea usata da Toon Aerts

Le forme non mentono e l’impatto visivo recita in maniera lampante. Si tratta della Orca, modello utilizzato da molti atleti anche del Team Lotto, non solo per i grandi dislivelli. E’ difficile categorizzare la bici sotto il profilo del carbonio, ma potremmo dire che si tratta della top di gamma OMX. Cockpit non integrato OC Performance (sempre di casa Orbea) con stem in alluminio e piega molto classica (rotonda) in carbonio. Reggisella da 27,2 millimetri di diametro OC Performance con arretramento zero. La trasmissione è Shimano Dura Ace, con doppio plateau anteriore (50-42) e cassetta posteriore (sembrerebbe) 11-30. Ruote firmate Icon per tubolari, questi ultimi Dugast.

Resta il dubbio per la forcella abbinata al telaio. La sezione superiore della testa e dei foderi sono accostabili a quella normalmente in dotazione alla Orca “classica”, ma rispetto a quest’ultima c’è più luce per il passaggio della gomma ed una sorta di fazzoletto aggiunto dal lato opposto al disco. Potremmo giurare che la forcella montata sulla Orbea Orca di Toon Aerts sia quella che equipaggia la bici gravel Terra Race. Questo componente garantisce anche un passaggio più ampio dello pneumatico.

Un occhio alle geometrie

Il neo campione europeo ha una statura notevole, sfiora il metro e novanta, oltre ad essere filiforme. Nonostante questo si nota per la sua posizione molto compatta una volta sulla bici e con un baricentro perfettamente in linea con il piantone. Non è un fattore secondario che, porta lo stesso atleta a prediligere bici con geometrie compatte, con un interasse ridotto. Inoltre Aerts è sempre stato performante sui tracciati impegnativi con dislivello, fangosi e sabbiosi, ma al tempo stesso è un atleta non troppo agile nell’indirizzare l’avantreno del mezzo. Una bici con un angolo anteriore “più dritto” (concettualmente) è più adatta ad un atleta con queste caratteristiche.

Qui si può spiegare (per lo meno in parte) la scelta di puntare su un frame-kit stradale, sicuramente più leggero, diretto e agile negli ingressi alle traiettorie strette, presumibilmente una XL (57). La Orbea stradale è più corta di quasi 4 centimetri ed ha un angolo dello sterzo di 73,2° invece di 71,5 di Terra Race. Significa per l’appunto una bici più corta, ma anche molto più diretta su tutto l’avantreno. Cambia ovviamente il valore di trail tra sterzo e terminale della forcella, grazie all’adozione della forcella gravel. Inoltre è da considerare che la Orbea Orca ha un drop del movimento centrale per nulla compresso, anzi è piuttosto elevato, fattore importante per un ciclocrossista nell’ottica di non urtare gli ostacoli.

Tour de France 2020, Tadej Pogacar, cronoscalata Planche des Belles Filles

Peiper, il regista della Planche, alla corte di Remco

15.11.2025
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Dalla Garmin in cui vinse il Giro con Hesjedal alla BMC per sei anni e poi al UAE Team Emirates del primo Tour vinto con Pogacar. Poi Allan Peiper ha dovuto affrontare la lotta contro il cancro. E adesso una nuova sfida lo porta alla Red Bull. E’ singolare seguire l’australiano che da anni fa base in Belgio nelle sue migrazioni. Il più delle volte a richiamarlo è stato il gusto per nuove sfide, ma probabilmente nella squadra numero uno al mondo per lui non c’erano più gli stessi spazi. Al contrario, l’offerta dei tedeschi di fare di lui lo stratega dietro le quinte, mettendo in gioco la sua capacità di plasmare il gruppo, lo ha stimolato.

«Sono molto entusiasta – ha detto appena la notizia è diventata ufficiale – di far parte di questo progetto. Red Bull-Bora-Hansgrohe ha fatto progressi impressionanti negli ultimi anni e vedo un grande potenziale per rafforzare ulteriormente questa struttura. Si tratta di vivere una visione sportiva chiara e trasformarla in prestazioni quotidiane: questo è ciò che mi motiva. Vincere il Tour con Tadej è stato sicuramente il momento più bello della mia vita. L’ho conosciuto che era un ragazzino, ma sempre molto equilibrato. Ancora oggi si sveglia la mattina con un sorriso ed era sempre felice. Dice “grazie”, “ciao”, non urla mai. Non sente la pressione di essere il leader, eppure ha l’atteggiamento giusto. Se penso a quella mattina della Planche des Belles Filles, alla vigilia della crono in cui avrebbe vinto il primo Tour, credo sapesse già che avrebbe concluso in giallo, ma non ne parla mai».

Allan Peiper è australiano, ha 65 anni. E' stato alla UAE dal 2020 (foto Fizza/UAE Team Emirates)
Allan Peiper è australiano, ha 65 anni. E’ stato alla UAE dal 2020 (foto Fizza/UAE Team Emirates)
Allan Peiper è australiano, ha 65 anni. E' stato alla UAE dal 2020 (foto Fizza/UAE Team Emirates)
Allan Peiper è australiano, ha 65 anni. E’ stato alla UAE dal 2020 (foto Fizza/UAE Team Emirates)

Due ragazzini in Alta Saona

Quel giorno fu magico, ma davvero non ci fu nulla di improvvisato o imprevisto, se non il crollo di Roglic. Nel villaggio di Plancher les Mines, nell’Alta Saona, ricordano ancora quando in un giorno di luglio, davanti a una pensione ai piedi della salita, arrivò l’ammiraglia della UAE Emirates. La Grande Boucle si sarebbe corsa alla fine di agosto, nel calendario confuso ed elettrizzante nell’anno del Covid che a fine stagione avrebbe proposto il Giro in ottobre.

Ne scese proprio Peiper, che chiese all’anziana padrona se i due corridori che avevano appena provato la salita della Planche des Belles Filles potessero fare la doccia nella sua struttura. Erano due ragazzi di 21 anni: Pogacar e Bjerg. Quella salita sarebbe stato il teatro d’arrivo della penultima tappa del Tour, a capo di una crono di 36,2 chilometri con partenza da Lure. Era stato utile provarla e simulare una serie si situazioni di gara, a partire dal cambio della bici.

Sulla Planche des Belles Filles, provata e riprovata il mese prima, Pogacar visse un giorno perfetto. Uno dei suoi…
Sulla Planche des Belles Filles, provata e riprovata il mese prima, Pogacar visse un giorno perfetto. Uno dei suoi…

Il viaggio di Peiper

Peiper c’era già stato a giugno, subito dopo la fine del lockdown. Era partito dal Belgio facendo quasi 600 chilometri. Diluviava, il tergicristallo non si era mai fermato. E se in un primo momento aveva dubitato della bontà dell’iniziativa, vista la salita si era reso conto che lì si sarebbe deciso il Tour. Nessun dubbio al riguardo.

Rimase per due giorni in quella zona. Fece la salita più di una volta, prendendo nota delle curve, dei cambi di pendenza, percorrendo a piedi gli ultimi metri in cui la pendenza passa al 20 per cento. E poi, non pago, la scalò anche in bicicletta rendendosi finalmente conto che quella tappa avrebbe cambiato la storia. Dopo i tanti giorni sulle grandi salite, passare nuovamente alla posizione da crono sarebbe stato un’incognita.

L’osservazione che aveva portato via con sé, custodendola con cura, riguardava il punto in cui cambiare la bici. Era chiaro infatti che non si potesse arrivare in cima con quella da crono. Sull’altimetria aveva individuato il punto giusto al chilometro 31,1: poco più di 5 chilometri dal traguardo. In quel punto in cui la velocità sarebbe scesa ai 15 all’ora e la bici da crono sarebbe diventata di difficile gestione. Lo segnalò a Gouvenou, direttore tecnico del Tour, e grazie alle sue segnalazioni le transenne di quell’area cambio vennero messe nel punto esatto da lui individuato.

Tour 2020, quello del Covid: intorno ai corridori con le mascherine. Qui Luke Maguire, addetto stampa UAE
Tour 2020, quello del Covid: intorno ai corridori con le mascherine. Qui Luke Maguire, addetto stampa UAE
Tour 2020, quello del Covid: intorno ai corridori con le mascherine. Qui Luke Maguire, addetto stampa UAE
Tour 2020, quello del Covid: intorno ai corridori con le mascherine. Qui Luke Maguire, addetto stampa UAE

Cambio bici e pacco pignoni

Gestire un cambio bici come quello non è semplice, né semplice sarebbe stato scegliere la bici giusta. L’intuizione fu nuovamente di Peiper, che propose di montare sulla bicicletta di Pogacar una cassetta pignoni da juniores, una 19-25 a sei velocità, che avrebbero permesso di cambiare un solo dente alla volta, rispetto ai due delle cassette normali.

La salita era molto ripida, con tratti al 15 e anche 20 per cento e per gestirla non si potevano cambiare i rapporti bruscamente. La cambiata doveva essere fluida per mantenere la stessa cadenza e non mettere troppa pressione sulle gambe. Nel primo dei due giorni trascorsi sui Vosgi con Bjerg, Pogacar fece tre ricognizioni del percorso. Per il tratto di pianura invece avrebbe usato una monocorona anteriore da 58 denti senza deragliatore.

Si diceva della gestione del cambio bici, provato per almeno dieci volte dai due corridori. Fu l’intuizione del meccanico Vasile Morari a dare la svolta. Sarebbe stato Pogacar a portare la bici da crono verso l’ammiraglia, mentre lui gli avrebbe passato la bici da strada presa dal tetto dell’ammiraglia. Avrebbero così risparmiato il tempo del doppio passaggio del meccanico. Non è frequente assistere a simili prove e fu proprio Peiper a guidare le operazioni, puntando alla perfezione assoluta.

La resa di Roglic alla Planche des Belles Filles amplificò ancora di più la grande prova di Pogacar
La resa di Roglic alla Planche des Belles Filles amplificò ancora di più la grande prova di Pogacar

In lacrime nel parcheggio

In corsa andò tutto alla perfezione e sappiamo tutti come finì la storia. Ci fu anche il tempo per assistere al crollo di Roglic. La Jumbo Visma sprofondò in una confusione pressoché totale. Non effettuarono il cambio bici nel cambio di pendenza indicato da Peiper, ma più avanti tra la gente, tanto che per un po’ si credette che la maglia gialla volesse arrivare in cima con la Cervélo da crono. E fu l’ammissione successiva di un tecnico a far trapelare la verità su quel casco scomposto sul suo capo: un modello usato quel giorno per la prima volta, più pesante del precedente, a causa del quale Roglic perse terreno e fiducia.

Dopo aver scherzato con Pogacar al mattino, mentre i meccanici preparavano la bici bianca per la tappa del giorno dopo, sul fatto che la squadra non credesse nella sua possibilità di vincere il Tour, Peiper si ritrovò a piangere nel parcheggio delle ammiraglie. Era incredulo. Aveva bisogno di tempo per capire, così rimase seduto per qualche minuto e poi andò alla macchina della Jumbo-Visma per esprimere la sua solidarietà.

La nuova sfida di Peiper riguarda Evenepoel: la cura dei dettagli lo porterà al livello di Pogacar e Vingegaard?
La nuova sfida di Peiper riguarda Evenepoel: la cura dei dettagli lo porterà al livello di Pogacar e Vingegaard?

La sfida Evenepoel

La storia di Pogacar al Tour de France iniziò in quel modo indimenticabile, con la vittoria alla prima partecipazione. Peiper non sapeva ancora dei problemi di salute che avrebbe dovuto fronteggiare di lì a pochi mesi e che gli avrebbero impedito di seguire il secondo Tour del suo pupillo. Alla Red Bull, che sta facendo incetta di tecnici avendo allontanato quelli già vincenti che aveva in casa, è bastato saperlo in salute per offrirgli un incarico di grand importanza. Lavorerà accanto a Zak Dempster, preso dalla Ineos Grenadiers, e a Sven Vanthourenhout, l’ex tecnico della nazionale belga che ha ottenuto con Evenepoel le vittorie più belle. La prossima sfida di Peiper sarà proprio Remco. E un po’ di curiosità, dobbiamo ammetterlo, inizia a farsi largo.

Alla scoperta del miglior team Continental. E’ in Cechia…

Alla scoperta della miglior Continental. E’ in Repubblica Ceca

15.11.2025
5 min
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Finita la stagione è tempo di consuntivi e analizzando il ranking Uci emerge un’autentica sorpresa. Si parla sempre delle squadre del WorldTour, ma qual è la continental più in alta nella classifica? La vetta va all’ATT Investments, capace di chiudere al 32° posto, appena dietro alle nostre Professional VF Group Bardiani e Solution Tech-Vini Fantini e beffando gli italo-giapponesi del Team Ukyo a dispetto delle loro tante vittorie.

Otakar Fiala, a capo dello staff di direttori sportivi dell'ATT Investments
Otakar Fiala, a capo dello staff di direttori sportivi dell’ATT Investments
Otakar Fiala, a capo dello staff di direttori sportivi dell'ATT Investments
Otakar Fiala, a capo dello staff di direttori sportivi dell’ATT Investments

Un riferimento per l’Est europeo

Un successo che ha destato molta curiosità intorno al team di riferimento del ciclismo ceco, ma guardando il suo roster si scopre innanzitutto che la formazione fa un po’ da calamita per molti ciclisti di spessore di tutto l’Est europeo, quelli che per una ragione o per l’altra non sono riusciti a trovare spazio fra i professionisti o ne sono usciti. Un esempio? Barnabas Peak, l’ungherese che ha ritrovato l’attività nel finale di stagione grazie a loro e il prossimo anno rafforzerà la MBH Bank nel suo approdo fra le Professional.

Qual è la storia dell’ATT Investments? A raccontarla è il suo diesse Otakar Fiala: «La nostra squadra è stata fondata una decina di anni fa per supportare i giovani talenti della Repubblica Ceca e, nel tempo, anche dei Paesi limitrofi. A noi interessa riuscire a dare spazio ai giovani talenti per consentirgli di accumulare esperienza e approcciarsi nella maniera migliore alle categorie maggiori. Vogliamo lanciare la loro carriera, per questo li facciamo gareggiare in tutta Europa, per confrontarsi con quelli che un domani potranno essere i loro compagni di squadra».

La squadra boema ha iniziato la sua attività nel 2014 ed è Continental dal 2020
La squadra boema ha iniziato la sua attività nel 2014 ed è continental dal 2020
La squadra boema ha iniziato la sua attività nel 2014 ed è Continental dal 2020
La squadra boema ha iniziato la sua attività nel 2014 ed è continental dal 2020
Vi aspettavate di diventare la migliore squadra continental della stagione? Era questo il vostro obiettivo?

Il nostro obiettivo principale era vincere lo Europe Tour. Il fatto che siamo riusciti a concludere la stagione come prima squadra Continental in assoluto è un grande riconoscimento del nostro lavoro in prospettiva. Noi siamo approdati a questa categoria nel 2020, è stato un passo importante che conferma come sin dall’inizio abbiamo sempre lavorato con obiettivi a lungo termine. Per noi questo primato è la conferma che ci stiamo muovendo nella giusta direzione.

Il vostro roster è composto esclusivamente da corridori dell’Europa orientale: è stata una decisione intenzionale?

Sì, fa proprio parte del DNA del nostro team. I nostri corridori provengono in principal modo dalla Repubblica Ceca e dai Paesi limitrofi, dove nel corso degli anni abbiamo costruito una solida rete di contatti e una profonda conoscenza del contesto locale. E’ importante per noi, come spiegato, essere un trampolino versi i grandi team, possibilmente del WorldTour. Diciamo che possiamo essere una valida alternativa ai devo team, a maggior ragione ora con il prestigio derivante dai nostri risultati.

Alcuni ragazzi del team per il 2026 durante il primo raduno svolto la scorsa settimana con passeggiate nei boschi
Alcuni ragazzi del team per il 2026 durante il primo raduno svolto la scorsa settimana con passeggiate nei boschi
Alcuni ragazzi del team per il 2026 durante il primo raduno svolto la scorsa settimana
Alcuni ragazzi del team per il 2026 durante il primo raduno svolto la scorsa settimana con passeggiate nei boschi
Quanto è importante il vostro lavoro per lo sviluppo del ciclismo ceco e qual è il vostro rapporto con la federazione nazionale?

Siamo un importante ponte tra le categorie juniores ed élite. Un punto focale della nostra attività è dare ai giovani ciclisti l’opportunità di continuare a crescere rimanendo nel loro ambiente di origine pur uscendo dalla loro “comfort zone” attraverso un’attività internazionale di alto livello. Collaboriamo con la Federazione Ciclistica Ceca principalmente attraverso progetti per le squadre nazionali.

Quali sono stati i momenti salienti della vostra stagione?

E’ stata una stagione esaltante, nella quale abbiamo portato a casa qualcosa come 26 vittorie nel calendario UCI, non solo nell’Est europeo visto che abbiamo avuto due successi di Marcin Budzinsky in Grecia e due di Marceli Boguslawski al Tour du Loir et Cher. In generale il fiore all’occhiello è stato però il successo nello Europe Tour e la conquista del Campionato Nazionale Ceco nella gara a cronometro con Jan Bittner, erano due obiettivi che ci eravamo posti a inizio stagione.

Il polacco Marceli Boguslawski, vincitore della Course Cycliste de Solidarnosc nel suo Paese
Il polacco Marceli Boguslawski, vincitore della Course Cycliste de Solidarnosc nel suo Paese
Il polacco Marceli Boguslawski, vincitore della Course Cycliste de Solidarnosc nel suo Paese
Il polacco Marceli Boguslawski, vincitore della Course Cycliste de Solidarnosc nel suo Paese
Avete un team junior o di sviluppo a cui siete collegati?

Non ancora. Tuttavia, non escludiamo di crearne uno in futuro: un passo del genere però comporta dei cambiamenti e dei profondi investimenti. Noi lavoriamo sul lungo periodo, una scelta del genere dipenderebbe naturalmente da un potenziale passaggio del nostro team alla categoria Professional.

Quali dei vostri corridori ha il potenziale per raggiungere livelli più alti?

Abbiamo diversi corridori con i parametri giusti per raggiungere il livello superiore e mi tengo basso non citando il WT, ma bisogna sempre considerare che lo sviluppo di ogni atleta è individuale. Non vorrei nominare qualcuno in particolare. In generale, se un corridore lavora con sistematicità, il successo arriverà prima o poi, e qualcuno se ne accorgerà, questa è sempre stata una nostra convinzione.

Marcin Budzinski ha raccolto successi in Grecia, Slovenia (il GP Brda-Collio) e Austria
Marcin Budzinsky ha raccolto successi in Grecia, Slovenia e Austria. Nel 2026 sarà all’MBH Bank
Marcin Budzinski ha raccolto successi in Grecia, Slovenia (il GP Brda-Collio) e Austria
Marcin Budzinsky ha raccolto successi in Grecia, Slovenia e Austria. Nel 2026 sarà all’MBH Bank
State pianificando di salire di categoria con i vostri sponsor?

La possibilità di passare alla categoria ProTeam rimane aperta per il futuro, ma devono essere soddisfatte alcune condizioni, principalmente la stabilità finanziaria e un livello di qualità sportiva sufficiente tra i nostri corridori. Noi intanto ci strutturiamo per essere pronti, abbiamo uno staff con 4 diesse al mio fianco fra cui anche Juraj Sagan, che ha una grande esperienza diretta nel WorldTour, personale e tramite il fratello.

Quali obiettivi vi siete prefissati per il 2026?

A questo punto non possiamo tirarci indietro: confermarsi è sempre più difficile della prima volta, quindi vogliamo difendere il nostro titolo di miglior squadra Continental e vincere nuovamente il campionato nazionale ceco, magari nella corsa su strada. Ma vedere qualche nostro atleta approdare in un grande team sarebbe anch’esso una grande vittoria.

DT Swiss ARC 1100 Dicut 55, il (nostro) doppio test

DT Swiss ARC 1100 Dicut 55, il nostro (doppio) test

15.11.2025
6 min
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DT Swiss ARC 1100 Dicut 55, c’è molto oltre ad un nome che è diventato iconico. Il cerchio è più alto con i suoi 55 millimetri (in precedenza era 50), il canale si è allargato a 22 (larghezza totale 28) e la raggiatura è differente rispetto alla versione precedente. Ma c’è dell’altro.

Questa famiglia di ARC è la prima completamente sviluppata per poter alloggiare gli pneumatici larghi (tendenza sempre più attuale e sposata da molti) con design aerodinamico. Il nostro test kit prevede il tubeless Continental Aero111 da 29 per la ruota davanti, un classico GP5000TR da 30 per quella posteriore. Perché il doppio test? Perché la prova si è sviluppata con un setting diverso: due prove ben distinte tra loro, ovvero con il binomio pneumatici tubeless con camera d’aria in TPU, per poi passare alla configurazione tubeless (senza camera).

DT Swiss ARC 1100 Dicut 55, il (nostro) doppio test
Nel complesso, un profilo da 55 tanto agile e molto guidabile ovunque
DT Swiss ARC 1100 Dicut 55, il (nostro) doppio test
Nel complesso, un profilo da 55 tanto agile e molto guidabile ovunque

La base di partenza

Per la nostra prova abbiamo utilizzato principalmente la BMC Teammachine SLR01 e la Drali Iridio. Una bici più leggera con vocazione alla salita, una più aero oriented.

Ad ogni sessione di test abbiamo rilevato e tenuto da parte i dati per noi di interesse. I numeri relativi ai pesi (delle ruote): 2,2 chilogrammi (netti) rilevati con le camere in TPU, ricordando le sezioni generose degli pneumatici, 29 e 30, rispettivamente per anteriore e posteriore. Il set di ruote è stato fornito con gli pneumatici e le camere d’aria montate. Il prezzo di listino per il set completo è di 2.799,80 euro.

Un cenno ai tubeless Continental

Il GP5000TR non ha bisogno di presentazioni, anche se la sezione da 30 deve essere ancora completamente “digerita” dall’utente medio (e dal mercato). Il focus principale è verso il tubeless anteriore. Aero111 da 29 è prodotto da Continental e disegnato da Swiss Side: pneumatico che ha l’obiettivo primario di essere efficiente in fatto di aerodinamica estremizzata. E’ rotondo, non prevede ribs ed intagli, ma ha dei piccoli incavi quadrati.

In fatto di performance mostra un’eccellente stabilità e scorrevolezza quando l’asfalto è asciutto, meno con il bagnato. E’ una gomma piuttosto dura, con risposte secche e dirette, con e senza camera. Misurata sul cerchio mantiene perfettamente la larghezza da 29, mentre la GP5000 sul posteriore spancia di 1 millimetro (si allarga a 31).

Le pressioni utilizzate

Il range di pressioni utilizzato. Per l’anteriore con camera d’aria siamo arrivati fino a 5,8 atmosfere (tanto, ma è pur vero che il binomio regge davvero bene), identificando a 5,5 il compromesso ottimale. 5/5,2 atmosfere in configurazione tubeless. Sulla posteriore ci siamo spinti fino a 6 con la camera (tantissimo, forse troppo, ma è pur vero che siamo andati alla ricerca di una sorta di limite).

Il compromesso giusto per noi è 5,2/5,4 con il setting tubeless, per un peso di 66 chilogrammi, con la preferenza di risposte molto secche e dirette da parte di ruote/gomme. Si può scendere fino a 5 atmosfere in tutta tranquillità, sacrificando poco o nulla in termini di resa tecnica. In questi casi è sempre bene considerare le preferenze (soggettive) legate alla guida e alla percezione delle risposte che arrivano dagli pneumatici.

DT Swiss ARC 1100 Dicut 55, il (nostro) doppio test
Un bel grazie a chi ci supporta in questi test, che richiedono un impegno temporale non banale
DT Swiss ARC 1100 Dicut 55, il (nostro) doppio test
Un bel grazie a chi ci supporta in questi test, che richiedono un impegno temporale non banale

Il test con le camere d’aria in TPU

Abbiamo rilevato un peso di 2.690 grammi (inclusi i pignoni 11/30 Ultegra ed i dischi 160/140 Ultegra). Percorso di 10 chilometri (prevalentemente pianeggiante) a 300 watt medi, tratto eseguito in 15 minuti e 39 secondi ad una velocità media di 38,4 chilometri orari.

Le DT Swiss csenza camere

E’ stato rilevato un peso di 2.715 grammi (25 in più rispetto alle camere d’aria) e da sottolineare l’aggiunta di 40 cc di liquido anti-foratura per ogni ruota. Stesso percorso e partenza da fermo. Tempo rilevato 15 minuti e 33 secondi ad un media di 38,6 chilometri orari. 6 secondi in meno rispetto alla configurazione con le camere in TPU.

DT Swiss ARC 1100 Dicut 55, il (nostro) doppio test
A confronto le ARC 38 e le nuove 55
DT Swiss ARC 1100 Dicut 55, il (nostro) doppio test
A confronto le ARC 38 e le nuove 55

In salita, il confronto con le ARC 38

Considerando la resa tecnica ottimale anche quando la strada sale, ecco la domanda che ci siamo posti: «Perché non fare un confronto con le ARC 38?». Ecco fatto. Salita di 4,87 chilometri con un dislivello positivo di 225 metri ed alcuni tratti oltre il 10%. La stessa salita prevede una tratto di 300 metri circa di discesa, dove ai fini della prestazione è fondamentale non perdere troppa velocità. In entrambe le prove abbiamo tenuto un riferimento di 285 watt medi.

Con le 38 abbiamo percorso l’ascesa in 13 minuti e 11 secondi, alla velocità media di 22,3. Il peso della bici (pronta per il test, tutto incluso) è di 6,85 chilogrammi. Con le DT Swiss ARC da 55 millimetri abbiamo percorso la stessa salita con il medesimo tempo, medesima velocità media ed il peso rilevato della bici è di 7,05 chili (200 grammi in più delle ARC 38). Tra le due prove è cambiata leggermente (3 watt, ininfluente) la potenza normalizzata, che è stata maggiore durante l’utilizzo delle 55. Le ARC con il cerchio più alto perdono qualcosa èsui tratti più ripidi, ma sono nettamente più veloci quando la pendenza è in intorno al 5/7% e dove la strada permette di fare velocità.

In conclusione

Mai ci saremmo aspettati di utilizzare una ruota da 55 millimetri di altezza al pari di all-round stradale, sul piatto, vallonato e anche in salita con la massima gratificazione. La nuova ARC resta un prodotto spinto verso l’agonismo, ma capace di regalare delle ottime sensazioni in termini di comfort funzionale alla resa tecnica (che non significa comoda), gestione anche sul lungo periodo, adattabilità, ma soprattutto in fatto di guidabilità. Guidabilità che è decisamente superiore al modello 50 precedente.

L’avantreno non è “appesantito” da una ruota che vuole “comandare a tutti i costi”, anzi, a tratti sembra di guidare con la versione ARC da 38. La rinnovata famiglia DT Swiss ARC è l’esempio lampante di quanto sono evolute e diventate più “facili” le ruote con il cerchio alto.

DT Swiss

Benoit Cosnefroy,

Gianetti: vi dico perché abbiamo preso Cosnefroy

15.11.2025
4 min
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Qualche giorno fa abbiamo parlato di Benoit Cosnefroy e del suo passaggio alla UAE Emirates. Ripartendo proprio da questo pezzo e dai suoi contenuti, oggi ritorniamo sul francese e lo facciamo con Mauro Gianetti, CEO della squadra numero uno al mondo.

In particolare ci ha colpito una frase di Cosnefroy: «Quando Mauro Gianetti mi ha presentato il progetto, ho capito che questa squadra era la sfida ideale per me in questa fase della mia carriera». Perché dunque la nuova squadra sarebbe così ideale per l’ex Decathlon-Ag2R?

Mauro Gianetti durante uno dei meeting negli UAE (foto Instagram)
Mauro Gianetti durante uno dei meeting negli UAE (foto Instagram)
Mauro, partiamo dall’arrivo proprio di Cosnefroy da voi: come è andata? L’avete cercato voi?

In realtà è stato il suo agente a contattarci dicendoci che era libero e che avrebbe avuto piacere di correre con noi. A quel punto noi gli abbiamo chiesto cosa venisse a fare da noi, cosa si aspettasse e la sua risposta è stata importante.

Quale è stata?

Correre con voi mi renderebbe motivatissimo. Io sono francese, ma non ho la pretesa o il pallino del Tour de France. Io voglio stare nella squadra numero uno al mondo per crescere come atleta, per cercare di fare tutto al meglio come hanno fatto tutti i corridori che sono approdati in UAE Team Emirates. Tanto più che vengo da un anno difficile e ho voglia di rialzarmi. So che voi potete darmi il supporto tecnico necessario per il mio miglioramento e io sono pronto a dare una mano. E se poi dimostrerò di avere le qualità necessarie e ci saranno percorsi giusti sarei pronto a dire la mia.

Però! Fossero tutti così…

Veramente! Subito si è mostrato con qualità umane non da poco. E questo l’ho apprezzato.

Già lo avete avuto con voi?

Sì, nei giorni che abbiamo passato negli Emirati Arabi Uniti. Era felicissimo, sereno e convinto della scelta fatta e di trovarsi in questo ambiente. Si è subito integrato, ma devo dire che questo è anche facile nel nostro gruppo.

Lo scorso anno Cosnefroy ha vinto la Freccia del Brabante. Il francese ama molto certe classiche
Lo scorso anno Cosnefroy ha vinto la Freccia del Brabante. Il francese ama molto certe classiche
Perché?

Perché come dico spesso siamo davvero amici. Quello della UAE Team Emirates è un gruppo aperto, internazionale e caloroso. Benoit l’ho visto bello brillante, sciolto nel parlare con gli altri. E per me si è anche divertito. Dai, sono fiducioso. Era beato tra i compagni. Mi sembra sia stato un bell’acquisto.

E invece, Mauro, da un punto di vista tecnico di che atleta parliamo? E come s’inserisce nella vostra rosa?

E’ un corridore che in qualche modo va a sostituire Alessandro Covi: un corridore che ogni squadra vorrebbe avere, in quanto sa aiutare ma sa anche vincere. Sa prendersi le sue responsabilità a prescindere dal ruolo che gli si dà. Un atleta così può andare bene sia per le gare di un giorno che per quelle di una settimana. Sa scattare, sa andare in fuga e cosa importantissima sa svolgere lavori ad alta intensità, ovviamente nei percorsi accidentati o su salite fino a 10-15 minuti.

Avete già definito già il suo programma?

No, per adesso c’è stato solo questo incontro. I programmi li faremo poi con Matxin a dicembre.

Cosnefroy vuole crescere, anche tecnicamente: ha già fatto qualcosa sul piano tecnico?

E’ già venuto al nostro service course. Per ora siamo partiti con un approccio soft, nel senso che abbiamo riportato le misure che aveva sulla vecchia bici e le abbiamo adattate sulle Colnago, ma qualche piccola modifica alla posizione l’abbiamo già fatta. Il resto lo faremo col tempo.

Cosnefroy durante un live sui social con il suo fans club
Cosnefroy durante un live sui social con il suo fans club

Un corridore vivo

L’idea che un corridore, come dice Cosnefroy, voglia continuare a crescere, sperimentare, migliorare vuol dire che è ancora attivo. E’ mentalmente sul pezzo. Probabilmente soprattutto all’inizio sarà utilizzato in supporto. La UAE Emirates è infarcita di campioni ed è comprensibile che ci siano un certo inserimento e, perché no, anche delle gerarchie. Ma ciò non toglie il fatto che se Benoit dovesse andare forte, non esiterebbe ad avere più spazio. In questi anni la UAE si è sempre mostrata molto propensa a lasciare spazio a chi andava forte e a rotazione tutti hanno avuto le loro chance.

Tra l’altro si è proposto con umiltà. Ha ribadito persino al suo fans club di non pretendere di essere al Tour e che anzi, quasi certamente, non ci sarà.

«I miei infortuni hanno complicato il mercato – ha detto Cosnefroy al giornale locale di casa sua, La Presse de la Manche – ma era l’ultima spiaggia per rimanere ai massimi livelli». Questa grinta è ciò che lo rende vivo e giovane nonostante la prossima stagione lo vedrà andare per i 31 anni.

Tadej Pogacar, Pogi Team Gusto Ljubljana (foto Instagram)

In Slovenia sulle tracce di Pogacar: dove è nato il mito

14.11.2025
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VIKRCE (Slovenia) – La sede del Pogi Team Gusto Ljubljana è una villetta a due piani come se ne trovano tante nella campagna slovena. Il muro bianco mangiato dalla nebbia e dal freddo, le montagne intorno che con la loro ombra ne coprono il tetto e un silenzio così profondo da riuscire a sentire ogni respiro. Fuori, nel piccolo cortile interno, i mezzi della formazione continental e le bandiere richiamano il nome di Tadej Pogacar. Qui a mezz’ora dalla capitale Ljubljana è partita la storia del corridore che sta riscrivendo regole e numeri nel ciclismo moderno. 

La porta si apre e il freddo dell’autunno sloveno ci accompagna anche all’interno dell’officina posta all’ingresso. Assi di finto legno, un bancone con cassetti colmi di attrezzi da lavoro e una rastrelliera dove sono agganciate le biciclette Gusto in attesa di rifarsi il look in vista della prossima stagione. L’ambiente è familiare, i ragazzi del team continental passano di qui come si fa a casa quando è da un po’ che non ci si vede. Sorrisi, kit da provare e si dà una mano al meccanico a fare qualche piccola modifica

Nicolas Gojković, campione croato in carica è venuto a provare l’abbigliamento con la bandiera del suo Paese che indosserà il prossimo anno. Nel sentirci parlare in italiano accenna qualche parola raccontandoci di aver corso da juniores al Team Fratelli Giorgi, condividendo spesso la casetta della squadra con Samuele Privitera. Ricordando il sorriso del ragazzo ligure, scomparso quest’anno al Giro della Valle d’Aosta, ci stupiamo di quanto sia piccolo il mondo a volte. 

L’inizio di tutto

I locali e i corridoi stretti lasciano entrare una luce fioca che accarezza le pareti, tutto dentro la sede del Pogi Team Gusto Ljubljana parla di Tadej Pogacar, il quale a questa squadra ha legato il nome. La Slovenia da anni conta diversi corridori capaci di inserirsi tra i migliori al mondo: Mohoric e Roglic su tutti, ma da quando quel ragazzo col ciuffo che spunta dal casco ha vinto il Tour de France nel 2020 tante cose sono cambiate. A raccontarcelo è Bostjan Kavcnik, meccanico di Tadej Pogacar anche ora al UAE Team Emirates, che al Pogi Team Gusto Ljubljana è da sempre legato.

«Sono entrato in questa squadra nel 1995 – racconta Bostjan in un perfetto italiano – quando ero allievo e correvo ancora. Ho proseguito fino ai dilettanti poi con il tempo ho smesso e sono entrato a far parte dello staff del team. Ricordo ancora quando abbiamo ordinato le prime biciclette Gusto, era il 2014 quando Tomaz Poljanec (il team manager) ha portato qui i primi telai. Lui ha lavorato come direttore di Gusto in Australia e aveva fondato una squadra per poi tornare qui in Slovenia e partire con il progetto della continental».

Prendere le misure

I primi passi mossi insieme tra Gusto e il Team Ljubljana hanno permesso a entrambi di crescere e lavorare alla ricerca del miglior set-up. Riuscire a parlare e far coincidere le esigenze non è stato facile, ma poi la strada intrapresa ha portato i suoi frutti. L’avvento di un talento come quello di Tadej Pogacar, che con il modello Gusto Ranger ha vinto il Tour de l’Avenir nel 2018, ha fatto da volano verso riconoscimenti sempre più importanti.

«Ricordo che quando ho ordinato i primi telai – racconta ancora Bostjan Kavcnik – le misure e le geometrie erano tanto diverse. Infatti Gusto produceva biciclette per il mercato asiatico, quindi c’era da prendere la mano. Il telaio che ha utilizzato Pogacar per vincere l’Avenir è una taglia XL, diciamo che è completamente diverso rispetto ai marchi europei con i quali eravamo abituati a lavorare. Nel tempo Gusto ha realizzato biciclette in linea con il nostro mercato diventando un produttore affidabile (ora Gusto ha aperto anche la sua prima sede europea, proprio qui in Slovenia, ndr)».

L’impronta di Tadej

All’interno della villetta del Pogi Team Gusto Ljubljana, al piano superiore, si apre quella che è una mansarda e allo stesso tempo un museo dedicato a Tadej Pogacar. Biciclette, trofei, maglie e fotografie. Qui la sua presenza non manca e nel tempo si è costruito un movimento capace di raccogliere tanti ragazzi e avvicinarli al ciclismo. 

«Il Rog Club, che raccoglie diversi iscritti e del quale fa parte anche il Pogi Team Gusto Ljubljana – ci spiega Bostjan Kavcnik – ha visto aumentare considerevolmente il numero di iscritti, anche tra i più piccoli. Fino a cinque o sei anni fa avevamo cinque bambini che facevano attività, ora siamo a cinquanta. Il nome di Pogacar ha ispirato tanti giovani e li ha avvicinati alla bicicletta. In totale il Rog Club (che conta tutte le categorie giovanili, ndr) arriva a oltre 200 iscritti. Qualcosa in più se si considerano anche gli amatori. Pogacar stesso nonostante i tanti impegni passa da qui una o due volte all’anno, poche settimane fa ha anche organizzato l’evento a Komenda la sua città natale, dove siamo andati con tutti gli iscritti (in apertura Pogacar con alle spalle i ragazzi del Pogi Team Gusto Ljubljana, foto Instagram, ndr)».

Guardandoci intorno rimaniamo sorpresi nello scoprire, dietro ogni angolo, la storia assolutamente normale di un corridore che normale non è. Da dove tutto è partito, ormai otto anni fa, la domanda che ci poniamo è se ora sarebbe possibile vedere qualcosa del genere. Nell’epoca dei devo team e del professionismo appena maggiorenni la storia di Pogacar ci deve insegnare che il talento nasce ovunque. E questo non bisogna mai darlo per scontato.

Accordo Pinarello, Q36.5 in vista del 2026

Pinarello-Q36.5, squadra svizzera con forte accento italiano

14.11.2025
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Se il buongiorno si vede dal mattino, il Pinarello-Q36.5 Pro Cycling Team annunciato giusto ieri promette di portare una ventata inattesa e nuova (in apertura un’immagine da Instagram/Pinarello_Official). Non si tratta di indossare il mantello di Superman e trasformare l’onesta professional svizzera, che ha chiuso il 2025 nella 19ª posizione del ranking, in una WorldTour. Se tuttavia Ivan Glasenberg, il magnate sudafricano che fra le tante acquisizioni ha preso per sé l’80 per cento di Pinarello e il 45 per cento di Q36.5, ha deciso di scendere in campo in modo così eclatante, allora forse non è impensabile che voglia tentare l’ascesa.

Ivan Glasenberg, magnate sudafricano (foto Corsera)
Ivan Glasenberg, sudafricano, è il proprietario di Pinarello e detiene il 45% di Q36.5 (foto Corsera)
Ivan Glasenberg, magnate sudafricano (foto Corsera)
Ivan Glasenberg, sudafricano, è il proprietario di Pinarello e detiene il 45% di Q36.5 (foto Corsera)

L’esperienza con Ineos

La notizia fa ancora più rumore pensando che il brand di bici veneto è storicamente e per successi la bandiera della Ineos Grenadiers. A partire dalla fondazione nel 2010, con il team britannico ha conquistato per sette volte la maglia gialla, tre volte il Giro e due la Vuelta. Un quantitativo imprecisato di gare a tappe WorldTour e il record dell’Ora con Ganna. Proprio con il piemontese, ieri Fausto Pinarello era a Londra per la due giorni di incontri promossa da Rouler.

«Questa partnership – ha commentato Fausto Pinarello, intercettato sull’aereo prima del decollo per l’Italia – è più di una sponsorizzazione: è una visione condivisa. Facciamo tutti parte della stessa corporate e dei tre marchi, con Q36.5 e gli integratori Amackx. Il nostro è il più grande, quindi è anche giusto che sia così. Non è la Ineos, è pur sempre una professional. Poi per sapere se passeremo WorldTour, dovremo aspettare qualche settimana e capire cosa succede con qualche squadra che sta chiudendo.

«I rapporti con Ineos – prosegue – restano assolutamente uguali. Si sono trovati sempre bene con noi e non avevano alcuna intenzione di cambiare le biciclette. Volevamo solo capire la forma, la quantità, capire quanti corridori avranno ora che hanno messo su finalmente il devo team e anche la squadra juniores. I materiali saranno completamente diversi, uno avrà Shimano e l’altro Sram. Sempre il top di gamma, ma con equipaggiamenti diversi, tranne forse per le selle a causa di contratti precedenti».

Wiggins inaugurò nel 2012 la serie dei 7 Tour vinti da Pinarello con Sky, aiutando poi nello sviluppo della Bolide da crono
Wiggins inaugurò nel 2012 la serie dei 7 Tour vinti da Pinarello con Sky, aiutando poi nello sviluppo della Bolide da crono

L’impegno di Pinarello

Pinarello non è nuovo all’esperienza di avere più di una squadra in gruppo, anche se il livello delle pretese si è alzato rispetto agli anni in cui forniva le bici alla Telekom, ad esempio, e alla Movistar.

«Il lavoro non ci aumenta più di tanto – dice Fausto –  è importante organizzarsi e suddividere le cose. Se abbiamo le misure perfette, se abbiamo tutto sotto controllo, se ci siamo preparati, basta organizzarsi. Non è che dovremo consegnare 150 pezzi domani mattina. Un po’ a novembre, un po’ a dicembre, un po’ a gennaio, piuttosto che prima Giro d’Italia.

«Fino agli anni 90 – prosegue Pinarello – avevamo anche tre squadre, nessuno col primo nome, però avevamo tre squadre in gruppo. Andando ancora più indietro, ricorderete la Del Tongo-Pinarello, la Metauro Mobili-Pinarello di Magrini e la Vini Ricordi-Pinarello. Mai il primo nome, ma il mio socio è molto appassionato di ciclismo e la sua passione ci porta a fare belle cose. Pogacar resterà Pogacar, ma noi cerchiamo di mantenere il nostro impegno nel ciclismo. Credo in questo movimento, nonostante sia un mercato senza grandi emozioni. Il nostro lavoro è investire, non vinceremo il Tour, ma la squadra si è rinforzata».

Nella bacheca di Fausto Pinarello ci sono anche i 5 Tour e i 2 Giri di Indurain, qui con lui
Nella bacheca di Fausto Pinarello ci sono anche i 5 Tour e i 2 Giri di Indurain, qui con lui

Una cassaforte importante

Non tragga in inganno il fatto che il primo sponsor sulle maglie sarà un marchio di bici: un’opzione che di solito viene associata alla difficoltà nel trovare un nome all’altezza. Dietro Pinarello c’è infatti la svizzera Spac, la cassaforte attraverso cui lo scorso anno Glasenberg ha acquistato per 90 milioni di euro anche il 5 per cento di Technogym.

L’accordo raggiunto fa sì che Tom Pidcock tornerà a pedalare su bici Pinarello anche su strada. Lasciata la Ineos per approdare alla Q36.5, il campione olimpico e mondiale della mountain bike ha conquistato il podio della Vuelta in sella a una Scott, ma ha continuato a correre su Pinarello in tutte le specialità del fuoristrada. E’ stato proprio lui infatti a sviluppare i modelli Dogma XC e Crossista, che lo hanno portato ai suoi risultati più prestigiosi.

«Sono davvero felice – ha detto il britannico – di tornare a tempo pieno in Pinarello. E’ davvero come tornare a casa. Ho sempre amato guidare le loro bici e, nel corso degli anni, ho costruito un rapporto davvero forte con il marchio. E’ la reunion perfetta».

Tom Pidcock prova la nuona Pinarello da gravel (foto Roberto Bragotto)
Nonostante usasse Scott su strada, Pidcock ha pedalato in fuoristrada sempre con Pinarello (foto Roberto Bragotto)
Tom Pidcock prova la nuona Pinarello da gravel (foto Roberto Bragotto)
Nonostante usasse Scott su strada, Pidcock ha pedalato in fuoristrada sempre con Pinarello (foto Roberto Bragotto)

La soddisfazione di Bergamo

Per Q36.5, il suo fondatore Luigi Bergamo e per il team manager Douglas Ryder si tratta di un’apertura auspicata, ma forse inattesa per la modalità annunciata. Circolavano da tempo voci che il team avrebbe corso su bici Pinarello, non certo che sarebbe diventato il team ufficiale dell’azienda.

«Come uno dei co-fondatori – ha spiegato Bergamo – sono davvero orgoglioso di vedere questa piccola squadra crescere anno dopo anno grazie a tutta la dedizione, l’impegno, il sacrificio e la passione che i nostri corridori e il nostro staff hanno dimostrato. Il 2026 sarà un altro grande passo avanti, con i giovani corridori che sono stati con noi fin dall’inizio che maturano e diventano vincitori. Abbiamo un podio in un Grande Giro, nuovi grandi corridori che si uniscono alla squadra e naturalmente, infine, i nostri amici di Pinarello che si uniscono al progetto e ci aiutano a portarlo a un altro livello. Le nostre ambizioni sono altissime».

Luigi Bergamo, bolzanino, è fondatore e CEO del marchio Q36.5, come pure della squadra svizzera (foto Jim Merithew)
Luigi Bergamo, bolzanino, è fondatore e CEO del marchio Q36.5, come pure della squadra svizzera (foto Jim Merithew)

Il WorldTour nel mirino?

Il mercato della squadra è stato frizzante, soprattutto con l’arrivo di corridori di indubbio talento, ma in cerca di rilancio. La molla della rivalsa è spesso la chiave di volta per atleti che passano dal WorldTour a una professional in cui, dando per scontata l’alta qualità dei materiali, troveranno soprattutto un ambiente più umano.

L’obiettivo è il WorldTour da subito acquistando una licenza libera? In attesa di capire se sarà possibile, la svolta annunciata ieri potrebbe certamente riaprire le porte del Giro d’Italia, cui la Q36.5 ha partecipato quest’anno per la prima volta. Nonostante l’affiliazione svizzera, i due nomi sulla maglia parlano di due solide aziende italiane. Il nuovo corso targato Paolo Bellino ne terrà certamente conto.

Nuova vita per la Solme Olmo, diventata Continental

Nuova vita per la Solme Olmo, diventata continental

14.11.2025
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Una delle novità della prossima stagione è l’approdo fra le continental della Solme Olmo. Una decisione importante quella presa dal presidente Gianpietro Forcolin, che ha forti ripercussioni sulla stessa struttura del team che dal prossimo anno si fonderà con la Arvedi, cooptando nella propria squadra 5 elementi del team che hanno basato la propria principale attività sulla pista, da Lamon a Sporzon, da Galli a Patuelli, Fiorin e Sasso.

Giampietro Forcolin, vulcanico presidente della Solme Olmo da quest'anno affiancata anche da Arvedi
Gianpietro Forcolin, vulcanico presidente della Solme Olmo da quest’anno affiancata anche da Arvedi
Giampietro Forcolin, vulcanico presidente della Solme Olmo da quest'anno affiancata anche da Arvedi
Gianpietro Forcolin, vulcanico presidente della Solme Olmo da quest’anno affiancata anche da Arvedi

Forcolin è un presidente che è l’anima pulsante del suo team, seguendolo come si farebbe con un figlio: «Noi veniamo da 2-3 stagioni molto buone – racconta – dove abbiamo fatto buonissimi risultati e dove i nostri atleti sono emersi. Il passaggio fra le continental è dettato dal fatto che vogliamo dare la possibilità ai nostri ragazzi di confrontarsi ed avere maggiori possibilità di svolgere delle corse a tappe. La crescita di un ciclista passa attraverso questo, quindi magari faremo meno corse di un giorno e qualche corsa a tappe in più, perché noi cerchiamo di preparare dei ragazzi che abbiano un bagaglio tale di esperienza che li possa aiutare nel proseguo».

Come sarà strutturata la squadra?

Noi vogliamo arrivare ad avere 19 ragazzi il prossimo anno, comprensivi del quintetto che arriva dall’Arvedi che possono essere considerati degli specialisti della pista e che svolgeranno la loro attività principalmente per questa, prendendo parte anche alle gare su strada per allenarsi e completare la serie di lavori necessari per eccellere nei velodromi. Sei ragazzi sono confermati dallo scorso anno, possiamo arrivare a 19-20. Abbiamo già definito con il Pool Cantù GB Team anche il passaggio fra gli Under 23 di Julian Bortolami e Luca Morlino che esordiranno con noi nella nuova categoria.

Lorenzo Anniballi, qui vincitore al Memorial Mantovani, uno dei corridori confermati per il 2026
Lorenzo Anniballi, qui vincitore al Memorial Mantovani, uno dei corridori confermati per il 2026
Lorenzo Anniballi, qui vincitore al Memorial Mantovani, uno dei corridori confermati per il 2026
Lorenzo Anniballi, qui vincitore al Memorial Mantovani, uno dei corridori confermati per il 2026
Quello per la pista è un lavoro anche importante, è fatto in sinergia con Salvoldi per far lavorare bene i ragazzi anche in funzione degli allenamenti a Montichiari e degli impegni su pista?

Sì, lavoreremo in sinergia per far combaciare il periodo della strada con quello della pista. Bisogna fare dei percorsi congiunti e concordati, considerando che siamo una squadra molto giovane. E’ mia ambizione avere anche qualche elemento con esperienza, un po’ più grande, ma devo vedere quanti mi permette l’UCI di schierare all’interno della formazione Continental. Il regolamento prevede 16 più massimo quattro specialisti. Al momento gli elite sono Lamon e Galli, vedremo se ci sarà possibilità di allargare il numero, poi avremo 5 corridori all’esordio fra gli U23.

Tutti italiani o come quest’anno ci sarà anche qualche straniero?:

Tutti italiani, è una scelta netta quella fatta quest’anno. Nel 2025 abbiamo avuto anche un atleta colombiano. C’erano state delle possibilità di portare dei ragazzi stranieri in Italia, ma onestamente ragionandoci un po’ sopra abbiamo detto no, è meglio che diamo spazio ai corridori italiani anche perché ne abbiamo comunque di validi. In Italia i posti sono quelli, pertanto a questo punto cerchiamo di far correre i nostri.

Dario Igor Belletta, arrivato a marzo, ha portato l'unica vittoria internazionale, a Visegrad
Dario Igor Belletta, arrivato a marzo, ha portato l’unica vittoria internazionale, a Visegrad
Dario Igor Belletta, arrivato a marzo, ha portato l'unica vittoria internazionale, a Visegrad
Dario Igor Belletta, arrivato a marzo, ha portato l’unica vittoria internazionale, a Visegrad
Si dice sempre che in Italia si faccia un po’ la guerra a chi vuole fare pista o altre discipline che non siano la strada. Voi andate un po’ controcorrente…

Noi ne siamo sempre stati fautori, io in principal modo in tempi non sospetti ho detto che la multidisciplinarietà va bene. Trentin ha sempre fatto cross con ottimi risultati tutte le stagioni e poi ho visto che anche nei primi anni del professionismo continuava a farlo. Perché era un modo comunque diverso di approcciare il ciclismo divertendosi, ma allo stesso tempo facendo allenamento in maniera diversa e soprattutto un allenamento proficuo per quello che doveva fare dopo.

Idem per la pista?

Vale lo stesso discorso. Non è un peggiorativo per la strada, come la strada non è un peggiorativo per la pista. E’ logico che in determinate situazioni dovremo fare delle scelte, ma sono compatibili al 100 per cento.

Christian Fantini, primo alla Medaglia d'Oro di Monza, continua la sua avventura alla Solme Olmo
Christian Fantini, primo alla Medaglia d’Oro di Monza, continua la sua avventura alla Solme Olmo
Christian Fantini, primo alla Medaglia d'Oro di Monza, continua la sua avventura alla Solme Olmo
Christian Fantini, primo alla Medaglia d’Oro di Monza, continua la sua avventura alla Solme Olmo
Quest’anno avete avuto una sola vittoria internazionale…

Io guardo al complesso, abbiamo portato a casa 7 successi. Poi abbiamo fatto secondo al Circuito del Porto, quarto alla Popolarissima, se parliamo di corse a livello internazionale abbiamo avuto molti piazzamenti, c’eravamo insomma. Quindi è un bilancio sicuramente positivo, quello di questo anno. Noi siamo contenti di quello che abbiamo fatto.

Fare il passaggio fra le continental quanto vi cambia a livello societario?

Per me influisce solo a livello economico. Serve quindi un sostegno maggiore nella ricerca di sponsor. Se uno guarda i budget e gli atleti che avevo lo scorso anno, tutta l’attività svolta, noi abbiamo fatto 20 giorni di gara all’estero, senza tener conto di tutte gare in Italia a cui abbiamo partecipato. Fare costantemente doppia attività a volte è davvero dispendioso, perché ti manca la materia prima. In determinati momenti, nonostante avessimo 18 ragazzi, facevo fatica a mettere insieme i 7 per partire.

Il roster per il 2026 comprende per ora 13 atleti, fra cui 5 pistard. Si dovrebbe arrivare almeno a 19
Il roster per il 2026 comprende per ora 13 atleti, fra cui 5 pistard. Si dovrebbe arrivare almeno a 19
Il roster per il 2026 comprende per ora 13 atleti, fra cui 5 pistard. Si dovrebbe arrivare almeno a 19
Il roster per il 2026 comprende per ora 13 atleti, fra cui 5 pistard. Si dovrebbe arrivare almeno a 19
Farete quindi anche attività all’estero?

Il motivo che ci ha spinto a passare continental è stato proprio questo. Noi come società ci siamo prefissati, nel limite del possibile, di far fare ai nostri ragazzi una corsa a tappe al mese. E’ logico che i corridori andranno a rotazione, perché non è che tutti possono fare tutto. Tante corse a tappe che ci sono in Europa sono 2.1. Di conseguenza se non fai parte della categoria Continental non puoi esserci. Io la scorsa stagione avevo ricevuto degli inviti, ma non ho potuto andarci perché eravamo squadra di club. Ora finalmente potremo.

Tudor Pro Cycling Team 2025, ritiro in Spagna

I ritiri di ieri e di oggi, ne parliamo con Tosatto

14.11.2025
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A breve tutte le squadre inizieranno i ritiri invernali, durante i quali prepareranno la prossima stagione. Da qualche anno praticamente tutte le formazioni si trasferiscono in Spagna, continentale o sulle isole, ma non è sempre stato così.

Anzi, meno di vent’anni fa era l’Italia ad ospitare tutto il meglio del ciclismo mondiale durante questo periodo. Cos’è cambiato nel frattempo? Potrebbe il nostro Paese tornare agli antichi fasti? L’abbiamo chiesto a Matteo Tosatto, che dopo una lunghissima carriera tra i professionisti ora è direttore sportivo del Tudor Pro Cycling Team.

Matteo Tosatto
Dopo un carriera da pro durata dal 1997 al 2016, ora Matteo Tosatto è direttore sportivo del Tudor Pro Cycling Team
Matteo Tosatto
Dopo un carriera da pro durata dal 1997 al 2016, ora Matteo Tosatto è direttore sportivo del Tudor Pro Cycling Team
Matteo, dove andavate in ritiro ai tuoi tempi, e dove andrete invece quest’anno?

Avendo avuto una carriera lunga ho visto, anzi vissuto, il passaggio tra Italia e Spagna. Fino al 2005 si andava in Toscana, e non solo noi, venivano anche tantissime squadre straniere. Mi ricordo per esempio la Telekom, la Rabobank, la Lotto e anche molte francesi. Poi un po’ è cambiato il clima, un po’ il bisogno di un altro tipo di infrastrutture. Nel frattempo la Spagna è cresciuta molto e adesso quasi tutti vanno lì, anche noi. Credo che in 50 chilometri di costa tra Valencia ed Alicante ci siano tutte le squadre del mondo.

Il cambiamento è stato causato dal clima e dalle strutture quindi?

Direi di sì. Lì a dicembre c’è ancora un’ottima temperatura e poi certamente gli hotel sono più strutturati. Sono attrezzati con la palestra, parcheggi spaziosi per i mezzi, sale riunioni per poter fare molte cose. Nelle strade interne poi c’è anche molto meno traffico, un altro fattore importante ovviamente. Per fare un paragone, negli anni 80 tutte le squadre andavano nella costa ligure, ora col traffico che c’è sarebbe impossibile. E poi c’è il dato economico. In Spagna fanno prezzi ottimi per i ciclisti. A volte mi è capitato di andare anche da solo per dei lavori specifici e mi ricordo che era davvero molto conveniente.

Tinkoff Gran Canaria 2015
La Tinkoff al ritiro di dicembre a Gran Canaria nel 2015, quando Tosatto era in squadra
Tinkoff Gran Canaria 2015
La Tinkoff al ritiro di dicembre a Gran Canaria nel 2015, quando Tosatto era in squadra
Da che anno c’è stato il cambiamento?

Con la Quick Step nel 2006 abbiamo fatto il ritiro di dicembre in Italia e poi quello di gennaio a Calpe. Poi dal 2008 in poi siamo andati solo in Spagna, a Gran Canaria. Secondo me quello è il miglior posto in assoluto, ci sono sempre tra i 18 e i 26 gradi, e puoi fare di tutto. Salite lunghe, salite brevi, pianura, tutto quello che serve per allenarsi bene.

La Sicilia non potrebbe essere un’alternativa? Dopo tutto l’Etna assomiglia un po’ al Teide…

In Sicilia ci sono stato una settimana nel 2015, ed eravamo appunto sotto l’Etna. Il clima era ottimo, si stava bene, il problema mi ricordo che erano le strade. La principale era buona, invece quelle interne molto meno per via del traffico. Ho letto giusto ieri un’intervista di Fiorelli che è di quelle parti e anche lui dice lo stesso. Poi c’erano anche tanti cani randagi che in bici possono essere un problema. D’altronde la salita dell’Etna è il paesaggio più bello che si potesse vedere credo, e ci si allenava molto bene. Ma non si può fare solo su e giù per quella salita tutto il tempo.

Etna Giro 2022
Il Giro sull’Etna nel 2022. Secondo Tosatto la Sicilia ha clima e paesaggi perfetti, ma mancano strutture e strade adeguate
Etna Giro 2022
Il Giro sull’Etna nel 2022. Secondo Tosatto la Sicilia ha clima e paesaggi perfetti, ma mancano strutture e strade adeguate
Ci sarebbero altri posti adatti in Italia secondo te?

Un’altra volta, sempre con la Quick Step, siamo andati in Puglia e mi è sembrato un ottimo posto. Sia come clima che come strutture. Il problema lì è che mancano le salite ed ora anche a dicembre si inizia già a fare lavoro di qualità. Una volta l’Italia tirava anche per il cibo, era vista come una parte importante.

Ora non lo è più?

Adesso anche quello è cambiato perché tutte le squadre hanno il loro cuoco. Una volta invece si guardava molto la qualità della cucina, che in Italia è e resta imbattibile. Mi ricordo che gli stranieri rimanevano colpiti anche solo per un cappuccino, e anche soltanto per quello venivano da noi molto volentieri. 

A livello tecnico invece i ritiri sono cambiati?

Secondo me non è cambiato tantissimo rispetto a 15 anni fa, l’idea di base è sempre quella. Il primo ritiro, quello di dicembre, è quello in cui ci si trova tutti assieme e serve per fare gruppo, anche perché è l’unica occasione durante l’anno in cui si è davvero tutti, dagli atleti allo staff. Si allena più il fondo, senza troppa intensità. Invece il secondo, quello di gennaio, è più specifico anche come lavori, e si formano già i diversi gruppi, per esempio non c’è chi va a correre poco dopo in Australia.

Ballan Bettini Tosatto
Ballan, Bettini e Tosatto, tre illustri esponenti dell’ultima generazione che durante l’inverno si è allenata in Italia
Ballan Bettini Tosatto
Ballan, Bettini e Tosatto, tre illustri esponenti dell’ultima generazione che durante l’inverno si è allenata in Italia
Qual è stato il posto più bello in cui sei stato in ritiro, e quello che invece ricordi meno volentieri?

Secondo me il luogo migliore in generale è Gran Canaria. Ci siamo stati ai tempi di Bjarne Riis, in una bellissima struttura, un golf club molto grande in cui avevamo una villetta ogni tre corridori. Anche come qualità di allenamento, clima, un po’ tutto. Il ricordo peggiore forse è del 2013, quando a gennaio siamo andati in Corsica una settimane per vedere le prime tappe del Tour che iniziava da lì. Il posto era molto bello, ma abbiamo preso 5 giorni di pioggia e vento e con Riis ci si allenava sempre e comunque.

Matteo, ultima domanda. Durante quest’inverno preparerete un corsa in particolare tra quelle di primavera?

In generale puntiamo a fare bene in tutte le classiche fin dalla Sanremo, tanto più che ci siamo rinforzati con corridori di qualità come Kung e Mozzato. In più nel 2026 saremo presenti a tutte le corse WorldTour e vogliamo fare bene anche anche all’Amstel e alla Liegi con Alaphilippe e Hirschi. Se proprio dovessi dire due corse che fanno per noi però, forse direi che Fiandre e Roubaix sono i due grandi obiettivi di primavera. Sono sicuro che abbiamo la squadra per fare molto bene.