MAARKEDAL (Belgio) – Ti trovi a pedalare al fianco di Thor Hushovd, che tolti i panni del corridore ricopre un ruolo di grande responsabilità. Il norvegese è general manager di un team sulla cresta dell’onda, Uno-X Mobility.
Hushovd, come sempre disponibile al 101 per cento: lo era da corridore, lo è ora da dirigente. Resta un grande appassionato della bici e appena si libera dagli impegni manageriali non rinuncia a pedalare (e sul pavé ha ancora un gran passo). Con lui abbiamo fatto una sorta di botta e risposta. I suoi favoriti per la campagna del pavé e il punto di vista sul ciclismo moderno.
Hushovd ricopre un ruolo di peso, considerando l’importanza che ha il ciclismo nel Nord EuropaHushovd ricopre un ruolo di peso, considerando l’importanza che ha il ciclismo nel Nord Europa
Il tuo favorito per il Fiandre?
Van der Poel è il mio favorito numero uno.
Il nome degli outsider?
Diversi corridori che stanno attraversando un periodo di grazia. Difficile rispondere, sono diversi. Pedersen, Pogacar, lo stesso Van Aert è d’obbligo inserirlo tra i favoriti. Serve anche un buon team a supporto. Nel lotto degli outsider inserisco anche il corridore Uno-X Rasmus Tiller. Vedrete che farà una top five.
Hai menzionato Van Aert, ti sei fatto un’idea della situazione?
Mi spiace molto per Van Aert. E’ stato molto sfortunato in alcune situazioni, eppure si è dimostrato un fuoriclasse, soprattutto per come ha gestito il suo ritorno dopo gli incidenti. Sono convinto che tornerà a vincere e come si dice nel ciclismo, si deve sbloccare, credo che sia una questione di testa. Comunque, lui c’è sempre, nonostante tutto.
Abbiamo pedalato al fianco di Hushovd sul pavé delle Fiandre (foto Ridley)Con lui sulla nuova Ridley Noah Fast in dotazione al Team Uno-X Mobility (foto Ridley)Abbiamo pedalato al fianco di Hushovd sul pavé delle Fiandre (foto Ridley)Con lui sulla nuova Ridley Noah Fast in dotazione al Team Uno-X Mobility (foto Ridley)
Cosa conta di più nel ciclismo moderno, la testa o le gambe?
Bisogna combinare le due cose. Il ciclismo è da sempre uno sport da pazzi, oggi lo è ancora di più. Devi essere attento e concentrato per più ore consecutive. Il cervello deve essere costantemente al 100 per cento e quando mancano le gambe, la mentalità, la prontezza, la lucidità e capacità di prendere le decisioni all’ultimo istante possono venire in soccorso.
C’è molta differenza tra la tua generazione di campioni e quella attuale?
Un altro mondo. In generale ora non c’è più paura e rispetto, ma soprattutto manca la paura, i ragazzi di oggi si buttano senza timore. Inoltre hanno una cultura del tutto e subito, fattore che non faceva parte della nostra generazione. Ovvio che il tutto è frutto anche di pressioni/richieste esterne che sono cambiate. A mio parere l’esempio che calza a pennello è Evenepoel, il percorso della sua carriera, riportato a 10 anni addietro, impossibile immaginare una cosa del genere.
Grande interprete del pavé, qui all’epoca della Credit AgricoleAl Tour contro Cavendish, uno dei rivali di sempreGrande interprete del pavé, qui all’epoca della Credit AgricoleAl Tour contro Cavendish, uno dei rivali di sempre
Hai provato ad immaginare un Thor Hushovd ciclista professionista oggi?
Qualche volta provo ad immaginare, faccio fatica. La cosa più complicata da metabolizzare, rispetto a come ero abituato a correre, è partire a tutta e arrivare a tutta. Personalmente mi godevo anche le partenze lente delle gare.
Le preferenze di Hushovd: pavé, salita o sprint al Tour de France?
Sprint al Tour.
Pogacar, Van der Poel, Van Aert o Evenepoel?
Pogacar.
Perché lui?
Pogacar è prima di tutto un amico, a Montecarlo dove abbiamo la residenza, ci troviamo spesso a pedalare. E’ una star in senso assoluto e un campione che ha cambiato le regole, ma è prima di tutto una persona estremamente rispettosa degli altri.
Personaggio carismatico e sempre disponibile, Hushovd è un vero appassionato della bici (foto Ridley)Personaggio carismatico e sempre disponibile, Hushovd è un vero appassionato della bici (foto Ridley)
Rim brake o freni a disco?
Freni a disco, senza alcun dubbio, non solo per questo. Complessivamente, le bici sono migliori e più performanti.
Hushovd che si immagina con le dotazioni tecniche attuali?
Ci penso e dico che i corridori attuali sono fortunati ad avere tutto questo a disposizione. Dotazioni tecniche eccellenti e tante possibilità di scelta.
Tecnicamente, nel ciclismo attuale cosa può fare la differenza?
Nell’ordine: alimentazione, la capacità di allenarsi sfruttando le metodologie attuali e tutto quello che la tecnologia mette a disposizione. L’aerodinamica, il mezzo meccanico e l’equipaggiamento tecnico in genere.
Un'italiana al debutto sul pavé della Het Nieuwsblad. E' Anastasia Carbonari. Non conosceva queste strade e Arzeni l'ha mandata in fuga. Ecco cosa racconta
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Un ideale dialogo a distanza fra Elisa Longo Borghini e la sua compagna Sofia Bertizzolo, che arriva al Giro delle Fiandre con un bel crescendo di forma. Nel UAE Team Adq si fanno i piani per assecondare la campionessa italiana, dopo che a Waregem la piemontese ha fatto sfoggio di una grande condizione.
«Sono arrivata con un buon morale dopo la Dwars door Vlaanderen – dice Longo Borghini – avevo bisogno di alcune conferme della mia condizione e penso di averle avute.Mentre ero da sola in testa, ho pensato alla frase detta dopo la Sanremo. Nel momento in cui sono rimasta da sola, mi sono detta: “Questa volta non mi prendono. Devo arrivare a Waregem e devo arrivarci per prima, perché me lo merito e perché il mio team se lo merita”. Quindi non ho pensato neppure per un secondo che mi sarebbero venuti a prendere.
«Però so che domani sarà un’altra gara, molto più difficile. Avrò il numero uno sulla schiena. E’ una gara in cui evitare di spendere troppa energia, specialmente all’inizio. Devi avere la squadra intorno, devi essere attento in ogni sezione, anche all’inizio della gara, perché una caduta o un guasto meccanico può costarti la corsa. E’ una gara lunga per noi donne, quindi la resistenza è qualcosa che bisogna avere».
Bertizzolo, 27 anni, correrà il Fiandre in appoggio a Longo BorghiniBertizzolo, 27 anni, correrà il Fiandre in appoggio a Longo Borghini
L’incognita Kopecky
Sofia Bertizzolo ha 27 anni e nel 2019, quando ne aveva 22, si piazzò quarta nel Fiandre vinto da Marta Bastianelli e conquistò la gara delle under 23. A Oetingen a metà marzo è arrivata seconda dietro Julie De Wilde, dopo il quinto posto di inizio anno in Australia.
«Il Fiandre sarà sicuramente una gara diversa – spiega la veneta – perché la lista di partenti sarà diversa. Le atlete che hanno fatto fatica a Waregem probabilmente faranno fatica anche al Fiandre, perché il livello di quattro giorni fa non può cambiare troppo radicalmente, a meno che qualcuna non abbia avuto un problema. Elisa è sicuramente in uno stato di forma fantastico. Non voglio sbilanciarmi, ma Lotte Kopecky non sembra al livello dell’anno scorso. Però andrà sicuramente forte, perché sappiamo che è un corridore di classe che in queste gare c’è nata. E’ belga, queste corse le sa fare. Eravamo curiosi di vederla l’altro giorno. Sapevamo che voleva assolutamente provare la gamba su qualsiasi salita e così ha fatto finché non si è staccata. Ma non ci dimentichiamo che Waregem era la terza gara che faceva».
Kopecky si è messa alla prova sugli strappi della Gand e di Waregem, ma non sembra ancora al topKopecky si è messa alla prova sugli strappi della Gand e di Waregem, ma non sembra ancora al top
Scontro fra squadre
Lo scenario del Fiandre sarà certamente ben più complesso rispetto alla gara di Waregem, su un percorso ben più selettivo anche rispetto alla Gand-Wevelgem. La Longo lo sa bene, ma non ha paura. La vittoria di Waregem è stata, a suo dire, una prova di sana “ignoranza”: una di quelle situazioni di battaglia e polvere che tanto le piace.
«Abbiamo una squadra che mi può aiutare nelle diverse fasi di gara – spiega – l’obiettivo è stare unite e tenermi al coperto, fino a che non si accenderà la corsa. Non sono convinta che le avversarie saranno contente di farmi fare la mia mossa, so che dovrò combattere duro perché il campo delle partenti sarà qualificato. La Canyon-Sram è una squadra molto forte. Penso che Marianne Vos sarà di nuovo in condizione. Van der Breggen tornerà dall’altura, quindi sarà sicuramente forte. Ci sono diverse squadre che possono dire la loro e non lasciarmi andare da sola. Avrò bisogno di correre in modo intelligente, ma anche di seguire il mio istinto».
Dopo Strade Bianche e Trofeo Binda, al Fiandre torna in gara Anna Van der BreggenDopo Strade Bianche e Trofeo Binda, al Fiandre torna in gara Anna Van der Breggen
L’effetto Longo Borghini
Ci sarà Silvia Persico, al rientro dopo la caduta del Trofeo Binda. Ci sarà Eleonora Gasparrini, sfortunata alla Sanremo. Poi ci saranno Elynor Backstedt ed Elizabeth Holden. Sull’ammiraglia le guideranno Cristina San Emetrio e Alejandro Gonzalez Tablas: un gruppo di atlete di alto livello, schierate per supportare una delle leader più forti al mondo.
«Ci sono stati tanti cambiamenti – dice Bertizzolo – tanti miglioramenti. Sicuramente Elisa fa bene sia a livello sportivo che a livello personale. E’ arrivata con la coscienza di essere un’atleta matura con degli obiettivi chiari e questo rende più semplice e più chiaro il lavoro di tutti. Ci sono meno dubbi, che sono stati forse il grande problema dell’anno scorso. Avevamo due o tre semi leader comunque forti, che nell’anno olimpico non erano al livello che serviva. Invece quest’anno abbiamo una leader di altissimo livello e questo premia anche le altre. Il ciclismo è bello perché è uno sport tattico e avere una leader di primo livello concede più chance anche alle altre. La storia del ciclismo è piena di indecisioni di cui hanno approfittati anche degli outsider. Io sarò a disposizione. La condizione è cresciuta molto negli ultimi dieci giorni, con il passare delle corse, anche perché rimango una che ha bisogno di correre prima di arrivare alla miglior versione di me».
La vittoria di Waregem ha dato a Longo Borghini le conferme che cercavaLa vittoria di Waregem ha dato a Longo Borghini le conferme che cercava
Il peso della storia
L’ultimo pensiero di Elisa Longo Borghini, l’ultima risposta di questo incontro virtuale, è rivolto alle ragazze che hanno percorso le stesse strade tanti anni fa, quando il ciclismo femminile non aveva la dignità di oggi. La sua capacità di vedere un filo fra storie tanto diverse le rende merito ed è conferma del suo spessore.
«Sentiamo molto l’attenzione dei media – dice – per questa nuova fase. Il ciclismo femminile ha sempre avuto delle bellissime corse. Ho sentito tanto parlare della prima Milano-Sanremo, ma non era la prima Milano-Sanremo. E’ stata semplicemente la reintroduzione della Milano-Sanremo, perché è stata corsa per tanti anni e ci sono state tante ragazze di spessore che l’hanno vinto. C’è stata solo un’italiana (Sara Felloni, ndr) che ha vinto quella corsa, di cui ovviamente nessuno si ricorda, però c’è stata. A me piace sempre guardare indietro e sono molto grata alle donne che hanno corso prima di noi, magari lavorando, magari non avendo uno stipendio. Se siamo qua adesso e abbiamo tutta questa attenzione, è anche grazie a tutte le ragazze che si sono spese per noi negli anni passati e hanno cercato di rendere questo ciclismo un posto migliore. Noi stiamo semplicemente beneficiando di quello che loro hanno fatto prima nell’ombra».
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RICCIONE – Il suo approccio nel mondo dei grandi è in linea con la personalità che abbiamo imparato a conoscere. Basso profilo, idee chiare, poche parole e tanti fatti a parlare per lui. Lorenzo Finn è un diciottenne atipico per questa generazione di baby-fenomeni cui si vuol far bruciare le tappe più del dovuto. Lo splendido mondiale vinto l’anno scorso a Zurigo tra gli juniores non lo ha cambiato più di tanto, nonostante stia crescendo in uno dei vivai più importanti del WorldTour.
Lui sa che ora deve accumulare esperienza di qualsiasi genere tra gli U23. Perché anche se Finn può apparire come un predestinato, al momento non c’è la necessità di caricarlo di responsabilità. Ha avuto un debutto stagionale da più giovane in gara che non lo ha spaventato e che fa parte del percorso di crescita graduale. Infatti un mese dopo essere diventato maggiorenne (essendo nato il 19 dicembre 2006), il ligure a Mallorca ha aperto il 2025 direttamente con la prima squadra della Red Bull-Bora-hansgrohe benché faccia parte della “Rookies”, ovvero il devo team. Dopo un piccolo stop fisico, è poi tornato ad attaccarsi il numero sulla schiena alla Settimana Internazionale Coppi e Bartali dove lo abbiamo incontrato.
Lorenzo ha aperto il 2025 correndo a Mallorca e mettendosi subito alla prova tra i pro’ (foto Getty Sport)Lorenzo ha aperto il 2025 correndo a Mallorca e mettendosi subito alla prova tra i pro’ (foto Getty Sport)
Avvio ad ostacoli
Quando scende dal pullman, Lorenzo Finn indossa la tuta ed il piumino della squadra. Piove, fa freddo, la riunione pre-gara è già finita è meglio tenersi ancora un po’ al caldo prima di cambiarsi e andare verso la partenza. Notiamo un tape verde che spunta dal polso sinistro e non possiamo chiedergli cosa sia successo.
«Al termine della seconda tappa – racconta – sono caduto a circa quattro chilometri dal traguardo di Sogliano al Rubicone quando iniziava l’ultima salita. Siamo caduti in tre della mia squadra, assieme ad altri atleti. E’ stata a centro gruppo e non ho potuto fare nulla. A quel punto non aveva senso provare a rientrare, ormai era andata. Peccato perché il finale mi piaceva ed ero curioso di vedere cosa avrei potuto fare.
«Per fortuna – prosegue Finn – il polso non è gonfio e non mi ha dato troppe noie con la pioggia e l’umidità. Diciamo che avevo già dato in quel senso. A fine febbraio mi sono rotto la clavicola in allenamento. Era una frattura composta, quindi un male e un disagio sopportabili. Sono riuscito a fare una decina di giorni di rulli e poi sono riuscito ad allenarmi su strada per prepararmi a questa gara e alle altre».
Il meteo inclemente della Coppi e Bartali non ha condizionato le prestazioni di Finn, che sotto la pioggia vinse il mondiale di ZurigoIl meteo inclemente della Coppi e Bartali non ha condizionato le prestazioni di Finn, che sotto la pioggia vinse il mondiale di Zurigo
Osservato speciale
La lente di ingrandimento su Finn c’è dai tempi del suo primo anno juniores quando aveva dimostrato le sue grandi doti in salita. Ed è continuata quando ad inizio 2024 era diventato il primo italiano di quella età ad andare a correre in una formazione estera, il Team Grenke-Auto Eder. Mentre ci sta spiegando la sua nuova vita da corridore, spuntano Marino Amadori e Marco Villa, rispettivamente i cittì delle nazionali U23 e professionisti.
«Di sicuro – ci dice – il mondiale vinto l’anno scorso è un ricordo che rimarrà per sempre, che terrò per tutta la vita e che non me lo potrà togliere nessuno. Ripensandoci mi dà ancora morale, però con questa categoria è iniziata una nuova carriera per me. Chiaramente con nuovi obiettivi».
Ma correre davanti ai due tecnici azzurri che effetto crea? «Tutte le gare sono sempre toste – risponde mentre li saluta con un cenno della mano – a maggior ragione correndo in mezzo ai pro’. Inevitabilmente so di avere gli occhi puntati addosso, però non la vivo con pressione. So che è tutta esperienza. Dall’anno scorso con gli juniores ai pro’ è un salto comunque è enorme. Sono tutte gare impegnative».
Finn a colloquio con Villa e Amadori, cittì dei pro’ e U23. Un corridore che può tornare utile ad entrambiFinn a colloquio con Villa e Amadori, cittì dei pro’ e U23. Un corridore che può tornare utile ad entrambi
Tra scuola e ciclismo
Per un ragazzo dell’età di Lorenzo che corre in bici, il primo anno tra gli U23 coincide quasi sempre anche con l’ultimo di scuola. Il diploma da conseguire tra i libri e i banchi è il primo vero appuntamento della categoria, che verosimilmente diventa più “semplice” da luglio in poi. Il ligure della Red Bull-Bora-hansgrohe Rookies ha sempre avuto buone medie scolastiche, così come in bici. Merito della sua gestione in cui cerca di conciliare anche la programmazione agonistica.
«Quest’anno ho la maturità e devo organizzarmi – va avanti Finn – è ancora dura per decidere tutto, ma intanto sono già riuscito a farmi posticipare l’esame di stato dopo il Giro NextGen, che è un grande obiettivo per noi. Anzi non nascondo che è il grande obiettivo della mia prima parte di stagione. Assieme agli altri cinque ragazzi con cui farò il Giro andremo in alturaad Andorra per tre settimane prima dell’inizio e lo prepareremo. Prima di allora farò tutto il calendario U23 con Liegi, Belvedere, Recioto e altre corse. Fino all’estate non credo che correrò ancora con la formazione WorldTour. Eventualmente vedremo nella seconda parte di stagione se si presenterà nuovamente l’occasione di fare qualche gara di un giorno».
La Coppi e Bartali per Finn è stato uno step importante per acquisire subito ritmo dopo l’infortunio alla clavicolaLa Coppi e Bartali per Finn è stato uno step importante per acquisire subito ritmo dopo l’infortunio alla clavicola
Ammiraglia italiana
In ammiraglia può contare su Cesare Benedetti, all’esordio da diesse e prima ancora atleta-simbolo del gruppo sportivo dal 2010 fin quando si chiamava NetApp ed era un team continental.
«Con Cesare mi trovo molto bene – chiude Finn – per me è una grande fonte di esperienza e consigli. Non ho problemi con l’inglese, ma ogni tanto è anche bello parlare in italiano col tuo diesse. Sta procedendo bene anche l’inserimento con i nuovi compagni. Naturalmente ho legato un po’ di più con Davide (Donati, ndr), ma siamo un bel gruppo e si è creata subito sintonia fra tutti. Siamo convinti di fare tutti assieme una bella annata e di crescere bene».
Prima nelle squadre ogni cosa passava dai diesse, ora quel ruolo sta cambiando. Lo abbiamo chiesto a Giuseppe Martinelli incontrato alla Coppi e Bartali
Poco più di un anno fa, era il 25 aprile, raccontammo la vittoria di Davide Donati al Gran Premio Liberazione di Roma. Erano passati appena cinque giorni dall’incidente che avrebbe messo fine alla carriera del compagno Galimberti e a lui, ancora sedato in ospedale, il bresciano dedicò la vittoria. Azzeccò la volata perfetta nel gruppetto di testa e precedette Montoli e Biagini.
Quest’anno, con pari naturalezza ma con la maglia della Red Bull-Bora, Donati ha centrato il secondo posto nell’ultima tappa della Settimana Coppi e Bartali, vincendo la volata alle spalle di Jay Vine, davanti a Lutsenko e Sheffield. Se a 19 anni (in realtà saranno 20 fra tre giorni) è questo il suo livello, forse possiamo aspettarcene di belle. Nel frattempo, lasciando il corridore al suo percorso, abbiamo riavvolto il nastro e chiesto a Dario Nicoletti, suo diesse lo scorso anno alla Biesse-Carrera, di raccontarcelo, per scoprirne qualcosa di più.
25 aprile 2024, Donati precede il compagno Montoli e Biagini sul traguardo di Roma25 aprile 2024, Donati precede il compagno Montoli e Biagini sul traguardo di Roma
Partiamo dalla fine: Donati ha vinto il Liberazione al primo anno e al secondo è partito verso la Red Bull: si sapeva dall’inizio?
No, è venuto fuori nel corso dell’anno. Il suo procuratore è Omar Piscina, con cui abbiamo un buon rapporto. E’ stato corretto e ci ha sempre tenuto informati sulle varie tappe. Dopo il Liberazione c’era già interesse sul ragazzo. Ho tentato in tutti i modi di trattenerlo, anche parlando con lui. Gli dicevo che secondo me lui è un predestinato e sarebbe potuto arrivare al WorldTour anche restando con noi. Ma non c’è stato niente da fare.
Predestinato?
A che livello non lo so, non vuol dire che diventa come Pogacar. Secondo me lui è destinato ad andare nel WorldTour. Ha valori molto importanti e una grande determinazione. Ha finito la maturità scientifica e quando ha pensato solo a correre, si è visto che è scaltro, sa stare in gruppo. In più ha dati fisici da corridore moderno. Che sia determinato l’ho toccato con mano nella seconda parte di stagione, quando ha avuto un calo. Si poteva pensare che avendo firmato con la Red Bull si fosse seduto, invece era furibondo perché non riusciva a tornare ai risultati di primavera.
Furibondo?
A Poggiana si è ritrovato in fuga con quelli della Jumbo-Visma. Si era staccato sulla salita, che è impegnativa. E siccome voleva rientrare a tutti i costi, ha rischiato troppo e si è schiantato in discesa. Me lo sono trovato sul marciapiede con la mano fratturata (il GP Sportivi di Poggiana 2024 è stato vinto da Nordhagen, ndr). Ha dovuto saltare diverse corse, è rientrato nel finale di stagione e ha fatto ancora qualche piazzamento in Puglia.
Nella tappa finale di Forlì alla Coppi e Bartali, Donati vince bene la volata di gruppo alla spalle di VineNella tappa finale di Forlì alla Coppi e Bartali, Donati vince bene la volata di gruppo alla spalle di Vine
Per cui i piazzamenti alla Coppi e Bartali stupiscono fino a un certo punto?
A me non stupiscono tanto, perché dopo un test fatto prima della stagione 2024, il nostro preparatore disse: «Ragazzi, questo qua è diverso!». Sapevamo di aver preso uno buono e i test ce lo hanno confermato. E poi lo abbiamo scoperto preciso in ogni cosa e determinato. Dispiace che sia andato via, ma lui è la conferma che alle devo a volte qualcosa scappa.
Lui era sfuggito?
Completamente. Era in ballo con una continental straniera, ma alla fine hanno preso un altro e lui è venuto con noi. Donati è davvero la conferma che i devo team non possono vederli proprio tutti. Anche se poi tornano indietro e se li portano via ugualmente (Nicoletti sorride con una punta di rassegnazione, ndr).
Cosa puoi dirci di suo fratello?
Si chiama Andrea ed è partito con l’handicap di un infortunio, perché anche lui si è rotto la mano in allenamento. Domenica scorsa è rientrato e andava già bene, ma è caduto ancora. Per fortuna non si è fratturato, però ha preso una botta fortissima al ginocchio e ha dovuto fermarsi. E’ forte anche lui, ha lo stesso procuratore e viene fuori dalla Trevigliese, come suo fratello.
La vittoria del Liberazione è stata l’unica nel primo anno da U23 di Donati: accanto a lui il ds NicolettiLa vittoria del Liberazione è stata l’unica nel primo anno da U23 di Donati: accanto a lui il ds Nicoletti
Che futuro ti aspetti nel breve periodo per Donati?
Piscina ci ha detto che hanno per lui un bel progetto per le classiche. Lui forse ancora non ha ben capito che tipo di corridore potrebbe diventare, ma quando entri in quelle squadre, ti studiano, individuano quali sono i tuoi mezzi e vanno avanti per la strada che hanno scelto. Per cui non resta che aspettarlo. E io intanto faccio crescere un altro ragazzino interessante, un altro che è per ora è sfuggito ai devo team.
Comincia domani la Settimana Coppi e Bartali che si concluderà sabato in Toscana. Al via Van der Poel, Nibali, Froome e Thomas. Parliamo con l'organizzatore
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Il ruolino di marcia tenuto da Davide Stella in questo inizio stagione è di quelli importanti: in 18 giorni di gara 2 vittorie condite da 3 Top 5. Il suo ingresso del team UAE Gen Z è stato subito fragoroso. Parliamo d’altronde di un corridore che su pista è considerato un autentico talento, uno di quelli destinato a fare la storia e alle porte del compimento dei suoi 19 anni (lo farà il 14 aprile) sta riuscendo nel suo intento, dimostrare che ha valide carte da giocare anche su strada.
Nel team Gottardo Giochi Caneva Stella è rimasto ben 4 anni, fondamentali per la sua crescitaNel team Gottardo Giochi Caneva Stella è rimasto ben 4 anni, fondamentali per la sua crescita
Chi conosce bene chi è Davide e quello che può fare è Michele Biz, suo presidente alla Gottardo Giochi Caneva: «Con noi è rimasto quattro anni, da quando è diventato allievo fino all’accesso nel devo team. Io non lo conoscevo ma me ne avevano parlato molto bene. Chiesi informazioni a Roberto Casani, il nostro tecnico e avute ampie garanzie su di lui abbiamo investito».
Che cosa ti aveva detto per convincerti?
Lo aveva tenuto d’occhio nel secondo anno da esordiente. Non sono stati i risultati a solleticare la sua attenzione, quanto il suo comportamento, in gara ma soprattutto fuori. Abbiamo visto il suo inserimento in famiglia, l’appoggio di questa alla sua attività, anche il fatto della tradizione nel suo territorio, il Goriziano, ha avuto il suo peso, abbiamo anche parlato con qualche amico della sua zona. C’erano tutti i presupposti per vedere quel che poi abbiamo visto e continuiamo a vedere.
Davide Stella insieme a David Zanutta, quando conquistarono il titolo italiano allievi 1° anno nella madisonDavide Stella insieme a David Zanutta, quando conquistarono il titolo italiano allievi 1° anno nella madison
Dal punto di vista tecnico?
Potrà sembrare strano ma da esordiente non aveva vinto titoli particolari, ripeto non è stato quello il lato che abbiamo preso in considerazione. Le sue caratteristiche tecniche sono rimaste inalterate, si vedeva subito che era molto veloce e che aveva qualità che andavano sfruttate. Aveva solo bisogno di essere seguito, indirizzato, fatto crescere nella maniera giusta. Da noi ha iniziato subito a vincere, ricordo che quando conquistò il titolo nazionale nella madison, al primo anno da allievo, era strafelice. Questo è il primo vero ricordo che ho di lui in gara.
Che cosa ti colpì di quel ragazzino?
Dopo averlo visto all’opera, eravamo andati a casa sua per parlare con la famiglia e chiudere l’accordo per prenderlo nel nostro team. Questa è un po’ una nostra tradizione, vogliamo che la scelta sia condivisa da tutta la famiglia, è importante conoscersi. La cosa che mi colpì fu la sua grande determinazione, il fatto che parlò subito non delle sue ambizioni personali, ma legate alla squadra, la volontà di dare un contributo alla crescita di tutto il gruppo. E questa determinazione la colsi anche in un episodio successivo.
Il friulano ha subito mostrato la sua predisposizione per la pista, dove da junior vanta ben 7 titoli vintiIl friulano ha subito mostrato la sua predisposizione per la pista, dove da junior vanta ben 7 titoli vinti
Quale?
Era l’inverno e organizzammo una grande riunione con tutti i nostri ragazzi, allievi e juniores insieme. Si parlava di obiettivi da raggiungere nel corso della stagione. Lui consegnò un post.it che mi lasciò di stucco, c’era scritto “diventare campione del mondo”. Gli chiesi davanti a tutti se si rendeva conto di quel che aveva scritto, se l’aveva preso sul serio e lì si mostrò risoluto, disse che il percorso con noi doveva portarlo a quello. Ha avuto ragione…
Stradista o pistard? Voi avete appoggiato sempre la sua doppia anima tecnica, ma dove lo vedete meglio?
Noi abbiamo Nunzio Cucinotta che segue i nostri ragazzi su pista e mi disse subito che quel giovane aveva una particolare predisposizione per le specialità su pista, per questo sono convinto che non la debba mai lasciare e che sia quella la via maestra per raggiungere i suoi sogni. Su quel talento di base abbiamo lavorato tanto e tanto ancora Davide deve lavorare perché non vada disperso. La passione è rimasta, Davide sa bene che quella è una porta aperta verso la partecipazione olimpica, già a Los Angeles 2028, deve solo seguirla.
Su strada Stella si è messo in mostra da junior come un ottimo velocista. Ora ha già 2 vittorie in maglia UAE (fotobolgan)Su strada Stella si è messo in mostra da junior come un ottimo velocista. Ora ha già 2 vittorie in maglia UAE (fotobolgan)
Sei rimasto sorpreso dal suo inizio di stagione alla UAE?
No, anzi devo dire che i suoi successi sono stati per me e per noi di tutto il gruppo la classica ciliegina sulla torta. La vittoria alla Volta ao Alentejo è arrivata proprio prima della presentazione della nostra attività per quest’anno, tenutasi sabato scorso. Abbiamo parlato di lui, di come si possano perseguire i propri sogni. Stella ha qualità innate, ha fatto un ingresso nel mondo dei grandi che non è comune, considerando che ha già all’attivo due vittorie.
Siete rimasti in contatto?
So che tecnici e compagni di squadra lo sentono ripetutamente, io gli ho mandato messaggi di congratulazioni, sa che per lui ci sono sempre. La cosa che mi piace di lui è che è uno costante, lo vedi vincere a inizio stagione come anche alla fine, tiene sempre una qualità di prestazioni alta perché non smette mai d’imparare, di crescere.
Il corridore di Monfalcone insieme a Juan David Sierra agli ultimi europei. Una coppia molto promettenteIl corridore di Monfalcone insieme a Juan David Sierra agli ultimi europei. Una coppia molto promettente
Vedendolo ora da lontano, che impressione ne trai?
Quella di un ragazzo che è esattamente dove voleva essere. Come quando vince, hai sempre l’impressione che sia una corsa quasi naturale, che non lo sorprende, ma che lui prende con consapevolezza. Sta acquisendo l’abitudine a vincere che è una dote necessaria per continuare a crescere, per raggiungere i suoi obiettivi. Sta facendo i passi giusti: non nascondo che qualche piccolo timore ce l’avevo nel suo passaggio di categoria, è sempre un’incognita, ma ha iniziato col piede giusto, ora deve solo proseguire.
Quattro juniores della Gottardo-Caneva sono andati in Belgio per la Philippe Gilbert. Racconta tutto Ravaioli. Lo stupore, qualche disagio, l'esperienza
Una squadra giovanissima, tanta grinta e tanta esperienza da maturare. Con Gianluca Valoti, diesse della MBH Bank – Colpack, parliamo della Coppi e Bartali dei suoi ragazzi. Non è certo la prima volta che una continental di under 23 prende il via a questa gara, ma l’idea che dei “dilettanti” si ritrovino in mezzo ai pro’ ha sempre il suo fascino.
Con il tecnico lombardo cerchiamo di capire cosa è stata per loro questa corsa e dove li può portare. Valoti ha parlato di prospettive, ma quali?
Gianluca Valoti (classe 1973) è uno dei diesse storici del team bergamasco (foto Instagram)Gianluca Valoti (classe 1973) è uno dei diesse storici del team bergamasco (foto Instagram)
Partiamo un po’ dalla fine, Gianluca. Che bilancio fai dei tuoi ragazzi alla Coppi e Bartali?
La Coppi e Bartali è importante perché viene in un periodo abbastanza di transizione, cioè senza troppe gare importanti per noi, e proprio per questo è utile per preparare le corse di aprile. E’ una corsa a tappe impegnativa e il livello prestativo è molto alto e questo ci aiuterà.
Chiaramente la tua squadra in una corsa del genere sa che non può vincere, salvo rari casi come quando avevi Ayuso! Che tipo di formazione porti? Una squadra di “costruzione” o con il fine delle fughe per ottenere visibilità?
Noi in questi anni abbiamo cercato sempre di portare corridori e un team in prospettiva per costruire il mese di aprile e, per qualcuno, mettere in bagaglio una corsa a tappe in più in vista del Giro Next Gen. Tuttavia, quest’anno, con la prima tappa molto facile, abbiamo portato il nostro velocista: Samuel Quaranta. Purtroppo per una sbandata non è riuscito a sprintare. Per il resto abbiamo puntato su una squadra di scalatori.
Come uscite da questa Coppi e Bartali?
Soddisfatti, nel senso che più o meno tutti hanno raggiunto una condizione buona. Venivamo da 15 giorni di altura sull’Etna, quindi l’obiettivo era far crescere la forma. L’unico problema, se proprio vogliamo scavare, è stato il meteo: pioggia e freddo non ci hanno aiutato.
A ruota dei giganti (Majka nello specifico): grandi fatiche, ma anche grandi esperienzeA ruota dei giganti (Majka nello specifico): grandi fatiche, ma anche grandi esperienze
Fate dei test pre e post Coppi e Bartali per valutare la condizione dei ragazzi?
Abbiamo fatto qualche mini test, ma niente di specifico. Più che altro test su strada. E in effetti si sono visti risultati migliori dopo la corsa. La Coppi e Bartali aiuta, ma va anche detto che il periodo precedente non era il migliore per i nostri scalatori, quindi era normale vedere un miglioramento netto dopo la corsa.
Chi è andato più forte? Nell’ultima tappa siete stati autori di un gran bell’attacco…
Esatto, Luca Cretti ma anche Lorenzo Nespoli, che nell’ultima tappa ha mancato di poco il passo di Jay Vine. Se fosse riuscito a scollinare con loro, avrebbe potuto giocarsi la tappa o arrivare secondo, che per noi sarebbe stato come una vittoria. Anche Cesare Chesini si è fatto vedere, Diego Bracalente ha tentato qualche fuga, Pavel Novak ha sofferto il brutto tempo. Mentre Manuel Oioli ha faticato un po’ di più, essendo meno scalatore degli altri e corridore più completo.
Ci sono stati aneddoti particolari? Cosa dicevano i ragazzi la sera a tavola?
Parlavano molto di numeri, di KOM, di wattaggi. In questi casi, io cerco sempre di far evitare il confronto con i professionisti perché influisce molto mentalmente. E gli consiglio di nascondere i watt sul computerino. Perché quando vedi che una squadra WorldTour tira a 400 watt (e in gruppo sono ancora tantissimi, ndr) può essere demotivante per un under 23.
Chi li ha impressionati di più tra i professionisti?
Ovviamente chi ha vinto, ma anche i più esperti come Ulissi e Bettiol. Hanno grande ammirazione per questi corridori e questo, ammetto che mi ha fatto molto piacere. Mi ha colpito sentirli parlare di Ulissi o che lo hanno osservato in corsa.
Luca Cretti all’attacco nella 4ª tappa: per lui 115 km di fugaLuca Cretti all’attacco nella 4ª tappa: per lui 115 km di fuga
E ti hanno fatto qualche domanda “strana”?
Sempre la stessa: la fuga partirà? La lasceranno andare? Arriverà? Io rispondo sempre che se fossi un mago non farei il direttore sportivo! Gli dicevo che le fughe oggi vengono tenute sotto controllo e difficilmente arrivano. Raramente gli lasciano più di 3′.
Li vedi più tesi rispetto alle gare di aprile?
Sì, inizialmente sì. E’ una corsa professionistica e il livello è alto. A volte vanno giù di morale perché prendono distacchi importanti, allora sta a noi tecnici motivarli, fargli capire che stanno affrontando un livello superiore, qual è per noi la Coppi e Bartali. Bisogna supportarli ancora di più rispetto alle corse dilettantistiche. Non è facile, perché qualcuno reagisce meglio, qualcun altro soffre di più. Sta a noi trovare il giusto equilibrio tra stimolo e supporto morale.
Gianluca, ora quali sono i prossimi obiettivi?
Come detto prima, le corse internazionali in Veneto ad aprile, poi il Giro di Reggio Calabria e Giro d’Abruzzo, per chiudere la prima parte di stagione. Poi avremo delle corse in Bretagna e il Giro Next Gen, anche se ancora non si sa quante squadre italiane saranno invitate…
Davanti a una corsa come la recente Dwars door Vlaanderen, ci sono due piani da far coincidere: il piano della tattica di corsa e il piano degli uomini che hai di fronte. E se l’uomo è un campione che fatica a ritrovarsi, allora il discorso si complica. Che cosa sta succedendo a Van Aert?L’esito della corsa belga sarà l’ennesimo chiodo sulla croce o se ne può dare una diversa lettura? E perché la squadra non ha voluto fargli da ombrello?
Abbiamo riletto i post di ieri, quelli dopo la sconfitta. Non i commenti dei tifosi, ma quelli degli addetti ai lavori che nella difficoltà del belga forse hanno riconosciuto anche un pezzetto della propria storia. Da Demi Vollering in avanti, nessuno di loro ha puntato il dito contro l’uomo, mentre alcuni si sono focalizzati sulla condotta della sua ammiraglia. Il piano della tattica di corsa, appunto, e l’uomo che si ha di fronte.
A Van Aert vogliamo tutti bene e abbiamo tutti la sensazione che qualcosa non vada come deve. Per cui abbiamo ripreso alcune di queste voci e siamo andati più a fondo, cercando di capire se la nostra sensazione di una squadra incapace di gestire il finale di corsa e ancora meno di proteggere il suo leadeer sia condivisa da altri. Oggi Van Aert e la Visma-Lease a Bike incontreranno la stampa alla vigilia del Fiandre, con quale stato d’animo ci arriverà il belga?
Powless davanti a tutti e dietro i tre Visma sconfittiPowless davanti a tutti e dietro i tre Visma sconfitti
La Visma e Van Aert
Adriano Malori ha scritto un post puntando il dito su squadre sempre più legate ad un approccio scientifico al ciclismo e sempre meno capaci di gestire situazioni che richiedono esperienza.
«Condivido che sia sbagliato fare una crociata contro Van Aert – spiega ora Malori – che purtroppo si trova in un momento psicologicamente molto delicato. Lo testimonia anche il fatto che sia in sovrappeso, lontano parente del Van Aert che al Tour 2022 era stato capace di staccare Pogacar in salita. Viste le cose, non avrei tenuto chiuso il finale dando a lui la responsabilità di finalizzare la corsa. Se anche avesse avuto le gambe migliori, poteva saltargli il cambio o rompere la catena. Se volevano risollevare Van Aert, secondo me l’hanno fatto nel modo più sbagliato.
«Volevi farlo vincere e fargli riprendere un po’ il sorriso in vista del Fiandre? Allora si facevano scattare i compagni in modo… morbido, facendo in modo che Powless ogni volta rientrasse, lasciando poi a Van Aert il compito di dare la botta finale per staccarlo definitivamente. Invece Wout ha dimostrato poca lucidità nel chiedere di tenere la corsa chiusa, ma l’ammiraglia ha dimostrato di non avere gli attributi per dirgli di no. Io ho la sensazione che alla Visma di Van Aert importi poco. Lo hanno sempre usato per fare il gregario in lungo e in largo. L’hanno sfruttato senza considerazione, mentre il suo rivale di sempre, Van Der Poel, si è gestito come un cecchino mirando l’appuntamento, e ci è sempre arrivato più pronto di lui. Mercoledì dovevano tutelarlo mettendosi davanti e dicendo che è stata la squadra a sbagliare la tattica. Vederlo così prostrato nella conferenza stampa a me ha fatto veramente paura».
Il secondo posto in volata è stato un colpo troppo duro per Van AertIl secondo posto in volata è stato un colpo troppo duro per Van Aert
Ammiraglia anestetizzata
«Il post che ho fatto ieri – dice invece Angelo Furlan – non è nel mio stile, perché sono sempre per le cose costruttive. Mi ricordo sempre quando ero corridore e le critiche da divano mi piacevano fino a un certo punto. Si capisce che Van Aert stia passando un momento difficile e che la squadra voleva farlo vincere, ma hanno sbagliato. Il fatto di non aver provato a staccare Powless quando mancava tanto all’arrivo non è stato responsabilità dei corridori: il senso del mio post era questo. Non voleva essere un’accusa, ma cosa diciamo agli esordienti e agli allievi?
«Già abbiamo tattiche che vengono stravolte da corridori che partono da lontano perché sono dei fuoriclasse. Cosa imparano i ragazzini da un finale come quello di mercoledì? Questo è il problema. Doveva arrivare un ordine dall’ammiraglia. Ci sono watt predittivi, i kilojoule predittivi, GPS, telecamere, riproduzione predittiva in 3D dell’arrivo e cosa stai facendo sull’ammiraglia quando si decide la corsa, guardi il tablet? Lo so che vuoi far vincere Van Aert, ma prova a giocartela. Gli altri due che avevano lì sono due vincenti, due punte di diamante, invece chi li guidava è parso quasi anestetizzato. Si sono dimenticati che basta fare delle cose semplici, applicare una tattica semplice e avrebbero vinto. Non vorrei essere nel povero Van Aert che ha tutta la solidarietà ed è un corridore per cui io faccio il tifo e ammiro tantissimo. Dopo l’arrivo è stato fin troppo un signore ad assumersi tutte le colpe».
Pedersen si è inchinato alla forza della Visma, ma ora conforta Van AertPedersen si è inchinato alla forza della Visma, ma ora conforta Van Aert
Programma da capire
«C’è un problema Van Aert – dice Bennati – e mi dispiace tantissimo. Ci sta il fatto che la squadra voglia far vincere Wout, come quando il capitano vuole far segnare il goleador, non passa la palla agli altri attaccanti e la squadra avversaria fa goal in contropiede. Mercoledì volevano metterlo nelle condizioni di vincere la corsa, ma se in questo momento Van Aert non riesce a battere Neilson Powless in volata, allora il problema c’è davvero.
«Facciamo un passo indietro – prosegue Bennati – un campione come lui non si può gestire così. Dopo gli incidenti dello scorso anno, non doveva fare la stagione del cross e non credo che alla Visma qualcuno lo abbia costretto. Aveva la grande opportunità di recuperare al 110 per cento e prepararsi per la stagione su strada, riazzerando tutto. Avrebbe dovuto fare un programma classico, passare attraverso Parigi-Nizza o Strade Bianche e Tirreno. Un corridore come lui deve fare quel tipo di calendario, con la Sanremo e la Gand, non andare tre settimane in altura per preparare queste gare, perché obiettivamente non ne ha bisogno.
«Secondo me giocarsi solo la carta della volata è sempre sbagliato, anche se sei nettamente più forte. E se anche non avesse vinto lui perché magari Benoot andava via, dal punto di vista mentale era sempre meglio che vincesse un compagno di squadra, che avere questa grande delusione perdendo con Powless sull’arrivo. Questo episodio va sempre più a complicare la situazione di Van Aert. A meno che non abbia un carattere talmente forte che da questa grande delusione riuscirà a tirare fuori il meglio di sé, vincendo il Fiandre e la Roubaix».
Powless è incredulo, Van Aert è più incredulo di luiPowless è incredulo, Van Aert è più incredulo di lui
Tifosi di Wout
«Mercoledì in tanti abbiamo criticato la tattica della Visma – scrive Giada Borgato – non certo Van Aert. Il campione non si discute e sono sicura che il mondo del ciclismo era lì a fare il tifo per lui. A fine corsa, da campione qual è, frustrato, deluso e amareggiato, si è dichiarato “colpevole” ai microfoni di mezzo mondo. Sentire quelle parole mi ha fatto male e mi sono chiesta perché gli sia stato permesso di prendersi una responsabilità cosi grande. Credo che in questo momento Wout non debba prendersi responsabilità per il semplice fatto che non ha bisogno di ulteriori pesi sulle spalle.
«In condizioni normali avrebbe vinto con due biciclette su Powless, ma si è visto che non è il solito Van Aert e credo che lui lo sappia. Il campione ha nell’indole di provarci, vuole vincere, ma la squadra conosce i valori dei suoi atleti e in teoria dovrebbe anche sapere come stanno a livello mentale. Allora forse sarebbe servita un po’ di freddezza da parte dei direttori sportivi che avrebbero dovuto dirgli: “No, decidiamo noi. E se sbagliamo, sbagliamo noi, non tu”. L’ammiraglia avrebbe dovuto tutelarlo e prendersi la responsabilità di scegliere cosa fare. Le critiche sono state rivolte per lo più alla squadra e non al corridore. Perché in fondo siamo tutti dalla parte di Wout».
Il weekend di apertura del Nord ha posto l'attenzione sul modo di correre aggressivo di quelle strade. Mors tua, vita mea. Certe cose si vedono solo lassù
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RICCIONE – C’era un uomo in borghese alla Coppi e Bartali che ogni giorno ha osservato quello che è stato il suo mondo da un altro punto di vista. Giuseppe Martinelli in Romagna si è ritrovato nei panni dello spettatore privilegiato in mezzo agli appassionati che, riconoscendolo, gli chiedevano foto e impressioni.
L’occhio di “Martino” è di quelli allenati, di quelli che vedono sfumature dove una persona normale vede solo tinta unita. Eil ciclismo sta andando verso una direzione sempre più variopinta per la moltitudine di figure che ne fanno parte. Prima di un foglio firma, abbiamo domandato a Martinelli, ospite della MBH Bank Ballan CSB, cosa ne pensa del diesse di questa epoca.
«Mi hanno invitato Valoti e Rossella Di Leo che hanno dei progetti in evoluzione – ci racconta l’ex tecnico di Carrera, Mercatone Uno, Saeco, Lampre e Astana – sono qua a vedere come si muove il mondo dei dilettanti, che poi sono ormai semi-professionisti. La Coppi e Bartali è una gara dove ci sono formazioni WorldTour, con un livello molto alto. Mi piace vedere da esterno pur essendo dentro all’evento. L’impatto è molto bello, ma diverso dal WorldTour dove sei sempre concentrato sull’obiettivo o sul dovere di vincere. In una squadra come la Colpack si pensa a far crescere i giovani e proiettarli in categorie superiori o posizioni migliori negli anni successivi».
Non solo la tattica, ma conoscenze approfondite di altri aspetti: Davide Martinelli e Antonio Bevilacqua, due scuole a confronto (foto MBH Bank Ballan)Non solo la tattica, ma conoscenze approfondite di altri aspetti: Davide Martinelli e Antonio Bevilacqua, due scuole a confronto (foto MBH Bank Ballan)
Prendendo spunto dal figlio Davide diesse, papà Giuseppe con la sua esperienza come vede questo ruolo in generale ora come ora?
Parlavo di questo in questi giorni con Valerio Piva della Jayco ed altri colleghi del WorldTour. Praticamente è cambiato il ruolo del direttore sportivo. Adesso ti devi confrontare con figure all’interno del team che non dico facciano il tuo lavoro, però ti obbligano ad essere concentrato. Tutti ruoli che non c’erano quando ho iniziato io. All’epoca era tutto basato sul rapporto diesse-corridore.
Come si deve comportare il diesse con queste figure?
Con loro devi mediare. Bisogna trovare un compromesso, un equilibrio. Non è sempre facile se il diesse non ha un suo “io”. Credo che il direttore sportivo debba avere ancora la capacità di gestire un team. Che poi si debba confrontare con il responsabile della performance, col procuratore del corridore, col preparatore o col nutrizionista è ormai un aspetto quasi imprescindibile.
Per Giuseppe Martinelli il ruolo del diesse deve restare centrale nella gestione della squadra, confrontandosi con altre figurePer Giuseppe Martinelli il ruolo del diesse deve restare centrale nella gestione della squadra, confrontandosi con altre figure
Nel mondo delle continental o dei cosiddetti “dilettanti” invece c’è ancora un rapporto più diretto.
Certamente. Ovvio che però se vuoi crescere o se vuoi fare veramente qualcosa di buono nel futuro, secondo me devi già avere una tua identità da portare avanti. Quello che ad esempio vorrei trasmettere a Davide o altri che me lo dovessero chiedere è proprio questo aspetto. Quella del diesse deve essere la figura centrale, soprattutto per convincere il corridore a fare una cosa anziché un’altra.
Facendo una provocazione, c’è il rischio che un diesse venga messo da parte e si ritrovi solo a guidare l’ammiraglia?
Sarebbe un punto di non ritorno. Secondo me dipende molto dal soggetto in questione e da cosa tu vuoi fare della tua carriera. Se vuoi fare veramente il direttore sportivo in prima persona e pensi che sia davvero il tuo ruolo, allora devi avere il carisma o maturarlo. Quello che decide non solo la strategia in corsa, ma anche le dinamiche in seno alla squadra. Se invece vuoi essere la persona che si fa le cento o duecento giornate di corse senza avere responsabilità, è un altro discorso, però cambia la prospettiva.
Chiaro…
Il diesse deve saper prendersi le sue responsabilità e mi è sempre piaciuto fare quello. Non dico che mi piacesse fare il leader, però alla fine visto che mi hanno sempre insegnato e dato quel ruolo, io lo mettevo in pratica nel miglior modo possibile.
Davide Martinelli ha ottimi insegnanti per il ruolo di diesse. Non solo papà Giuseppe, ma anche Gianluca Valoti (foto MBH Bank Ballan)Davide Martinelli ha ottimi insegnanti per il ruolo di diesse. Non solo papà Giuseppe, ma anche Gianluca Valoti (foto MBH Bank Ballan)
Il diesse attuale deve comunque saperne di tutti questi aspetti. Per Giuseppe Martinelli è facile o meno?
Vent’anni fa o prima, per dire, ne sapevamo anche noi perché ognuno di noi aveva la propria idea di allenamento o di nutrizione che era data essenzialmente dall’esperienza fatta sul campo. Adesso invece il diesse si basa su dati molto più “scientifici” se mi passate il termine e deve trovare la quadra. E di conseguenza deve essere molto più preparato, lo vedo in Davide. Prima il corridore arrivava ad un appuntamento importante attraverso le prime gare in preparazione. Ora deve essere competitivo dal momento in cui si mette il numero sulla schiena, non esistono più le corse per entrare in forma. Per questo ci deve essere dietro un grande lavoro di equipe tra diesse sempre sul pezzo, corridore e le altre figure.
Il tempo di smaltire la delusione per il 2° posto e ci siamo resi conto che Battistella aveva già fatto una volata come quella di ieri. Ai mondiali del 2019
MASSA MARITTIMA – Perché un’azienda come BMC propone un progetto, una bici di qualità e fattura artigianale? Oltre alle considerazioni di Stefan Christ, espresse durante la presentazione ufficiale della BMC Teammachine R Mpc, abbiamo chiesto altre informazioni a David Heine.
Heine è il responsabile marketing del marchio svizzero e ci offre una visione ad ampio spettro, anche commerciale e ci spiega perché questa bici è stata fornita a soli 3 corridori del Team Tudor.
Masterpiece (Mpc), non una bici da museoElegante, aggressiva, raffinataMasterpiece (Mpc), non una bici da museoElegante, aggressiva, raffinata
Cosa significa Mpc per un’azienda come BMC?
Mpc è l’apice della tecnologia che può essere raggiunto in ambito ciclistico. Per BMC in particolare rappresenta il momento in cui la parte ingegneristica e di sviluppo mette in campo ogni risorsa possibile e dove gli eventuali limiti commerciali passano in secondo piano.
Limiti commerciali, cosa significa?
Significa che, commercialmente parlando, un prodotto dalle caratteristiche come quelle che si presentano con Mpc, ha poco senso. E’ costoso per noi e per il consumatore finale, si possono produrre pochi pezzi. E’ una sorta di azzardo.
David Heine è il responsabile marketing di BMCDavid Heine è il responsabile marketing di BMC
Allora perché lo fate?
Perché BMC può permettersi di farlo e non è presunzione. E’ uno stimolo, è una fase delle nostre ricerche. E’ un biglietto da visita e un punto di arrivo. Una BMC Mpc è un vanto e non è una bici da museo, ma un qualcosa sopra le righe perfettamente utilizzabile e ultra performante.
Quanti pezzi si possono produrre?
Per un kit telaio Mpc ci vogliono all’incirca 10/12 ore. Realisticamente 4 pezzi a settimana, molto pochi se consideriamo i canoni attuali di una grande azienda.
Dove è prodotta una BMC Mpc?
Solo in Germania da artigiani selezionati che non possono veicolare nulla all’esterno di tutto quello che è un progetto Mpc.
Nessuna verniciatura, solo le scritte ed i loghi specchiatiIl posizionamento delle pelli di carbonio non passa inosservatoA BCA è stata presentata con le nuove Pirelli RS total blackNessuna verniciatura, solo le scritte ed i loghi specchiatiIl posizionamento delle pelli di carbonio non passa inosservatoA BCA è stata presentata con le nuove Pirelli RS total black
Quanto vi costa fare un telaio Mpc?
Più del doppio rispetto alla versione standard, anche se è difficile quantificare in modo preciso. A parità di versione e taglia, tra una standard e una Mpc ci sono 130 grammi di differenza in termini di peso. La Mpc pesa meno ed è più rigida.
La prima Mpc è stata una Roadmachine, la endurance. Come mai siete partiti da un segmento del genere?
Per una semplice prova legata ad una questione temporale. In quel periodo era previsto il lancio della Roadmachine e abbiamo utilizzato quella piattaforma per provare una Mpc. Poi c’è stata la SLR e ora la Teammachine R.
Alaphilippe l’ha usata alla Sanremo 2025Mark Hirschi alla Milano-Torino e anche alla TirrenoAlaphilippe l’ha usata alla Sanremo 2025Mark Hirschi alla Milano-Torino e anche alla Tirreno
Quante Mpc al Team Tudor?
Solo tre bici per tre corridori, una a testa e solo la versione Teammachine R. Hirschi il primo ad usarla,Alaphilippe che l’ha utilizzata alla Sanremo, Storer che non l’ha ancora utilizzata anche se alla Parigi-Nizza ha vinto sulla versione standard.
Avete previsto altre Mpc al team?
Per ora no, ovviamente valuteremo.
I corridori la chiedono?
Tutti. BMC ha fatto una scelta e non è solo una questione di costi. Mpc è un prodotto talmente esclusivo che deve rimanere tale per qualsiasi tipologia di utilizzatore.