Dallo scorso febbraio, Thor Hushovd è il general manager della Uno-X Mobility. Un ruolo che era forse nel suo destino, considerando quel che l’uomo di Grismatd ha fatto, conquistando tappe in tutte e tre i Grandi Giri, classiche come la Gand-Wevelgem ma soprattutto vestendo la maglia iridata nel 2010. Un riferimento assoluto per il ciclismo norvegese che da lì ha vissuto anni di vacche grasse, sfornando corridori di grande livello: Kristoff, Boasson Hagen, Johannessen. Anche grazie al fatto di avere un team di riferimento, ora nelle sue mani.
Hushovd è partito “a treno in corsa”, si può dire che il 2024 sia stato un anno di assestamento a livello personale, eppure per il team è stato molto proficuo con 26 successi e tanti piazzamenti: «E’ stato fantastico, abbiamo messo in campo bei punti. Le vittorie sono venute in serie, abbiamo anche fatto un buon Tour anche se non abbiamo raggiunto il nostro obiettivo di vincere una tappa. Ma siamo stati una volta secondi, due volte terzi. Quindi in generale, penso che abbiamo fatto una buona stagione».
26 vittorie è un bottino che ti saresti aspettato a inizio anno?
Si ha sempre un obiettivo alto, ma certamente quel numero fa piacere, anche perché al suo interno ci sono stati anche traguardi importanti. E’ chiaro che vorresti sempre fare meglio, che qualche piazzamento è una vittoria mancata, che avremmo potuto giocare meglio le nostro carte soprattutto nelle grandi classiche, ma abbiamo cercato di migliorare i nostri difetti emersi l’anno prima.
La maggior parte dei successi sono venuti da Kristoff e Cort che sono over 30. Dietro di loro chi sono i giovani che hai visto in maggiore crescita?
Io dico che ci sono nuovi talenti in arrivo. Sono davvero felice per questo, ma onestamente so che ci vuole tempo perché maturino. Ora abbiamo firmato qualche nuovo giovane, di ottime aspettative come Dalby e Pedersen. Stiamo crescendo bene, avremmo bisogno di alcuni più giovani, ma ne abbiamo così pochi che vengono.
Nel WorldTour vi confrontate con tutte multinazionali, solo il vostro team ha corridori di due sole nazioni. Perché questa scelta?
Questa è una scelta presa dal proprietario del team perché l’azienda ha mercato solo in Norvegia e Danimarca e quindi ha interesse che i corridori siano di questi due Paesi. La Uno-X Mobility deve avere una forte identità come squadra scandinava. Per certi versi è più difficile perché ci sono meno corridori da raggiungere, ma penso che sia anche più divertente e penso anche che il nostro ciclismo abbia ancora bisogno di squadre con una forte identità come questa. Non sto dicendo che tutti dovrebbero farlo, ma è una cosa positiva.
Anche in futuro sarà una squadra esclusivamente scandinava o seguirà l’esempio del team femminile che ha anche rider italiane come la Confalonieri?
Chi può dirlo? Per ora il piano è questo e si lavora su questi progetti per il futuro, poi le cose possono sempre cambiare. La storia siamo sempre noi a scriverla. Abbiamo fatto passi importanti, ora ci piacerebbe progredire, tornare al Tour con un ruolo e risultati migliori. Per quanto riguarda le donne, lì abbiamo meno bacino da cui attingere, quindi era necessario allargare i confini per rinforzare il team che resta però un riferimento per il ciclismo norvegese e danese.
Tu hai iniziato come general manager lo scorso febbraio, a stagione iniziata. E’ stato difficile?
Sì, molto, non lo nego. Non c’è un momento perfetto per iniziare, ma sono anche arrivato alla stagione in cui tutto era pianificato e organizzato, quindi non spettava a me pianificare tutto, ma così è più difficile agire perché le cose si sistemino. Ma ha funzionato bene, ho trovato una buona accoglienza e molta collaborazione, abbiamo lavorato tutti per la stessa causa.
Rispetto a quando correvi, stai vivendo un ciclismo diverso?
Beh, rispetto a quando correvo sono passati pochi anni, un decennio eppure le differenze sono molto marcate. Il ciclismo è cambiato in molti modi diversi, ma penso anche che sia cambiato in meglio perché è bello allargare i confini, sfidare nuovi limiti.
Che cosa vi attendete per il 2025?
Potrei dire vincere più dell’anno prima, ma io guardo soprattutto al Tour dove vogliamo vincere una tappa. E magari provare a fare qualche colpo a sensazione nelle classiche dove abbiamo gli uomini giusti per farlo.
Ti viene mai il rimpianto per non poter essere in strada a lottare per la vittoria, invece che in ammiraglia?
Penso di aver avuto la mia occasione, aver corso tanto e vinto altrettanto, anche gare importanti. Il tempo non fa sconti, ora è di un’altra generazione e io sono contento di poterci essere in un’altra veste. Mi piace vedere i corridori che seguono i miei consigli. Mi piace anche seguirli in allenamento. E’ questa ora la mia vita.