Yates c’era, ma nessuno l’ha visto. Affini spiega il capolavoro Visma

07.06.2025
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Affini ammette di non essere uno che dorme tanto, ma che un paio di giorni di letargo dopo il Giro gli sono serviti. Adesso si tratta di preparare un’altra valigia, perché i corridori non si fermano mai, ma prima un ritorno sulla corsa conquistata da Yates ci sta tutto. Quello che ci interessa capire con il mantovano della Visma-Lease a Bike è cosa abbia rappresentato la conquista della maglia rosa per la squadra che nel 2023 aveva vinto Giro, Tour e Vuelta e l’anno successivo si è trovata a fare i conti con infortuni, sfortune e piazzamenti troppo piccoli per le attese generate nell’anno delle meraviglie.

«Diciamo che il 2023 è stato qualcosa di probabilmente irripetibile – dice Affini – poi il 2024, venendo da una stagione del genere, è stato un’annata più complicata, ma non da buttare via completamente. Alla fine, se guardi, non eravamo scomparsi dagli ordini d’arrivo, però è chiaro che una differenza c’è stata. Quest’anno siamo ripartiti abbastanza bene, anche se siamo mancati nelle classiche Monumento al Nord. Siamo stati presenti, ma è mancato il risultato pesante. Per cui venire al Giro e riuscire a portare a casa tre tappe e la maglia rosa credo che sia stata una bella botta di fiducia».

Si prepara la valigia per l’altura, senza conoscere ancora il programma del ritorno alle gare, ma con un’ipotesi Tour che segnerebbe il suo debutto e il giusto riconoscimento per un atleta che più forte e concreto non si può. Affini dice che gli piacerebbe fare il campionato italiano a crono, perché potrebbe correrlo con la maglia di campione europeo, ma altro non è stato ufficializzato e si dovrà attendere la metà di giugno per avere i piani dell’estate.

Sul podio di Roma, Simon Yates e Richard Plugge hanno riallacciato il filo dei Grandi Giri per la Visma-Lease a Bike
Sul podio di Roma, Simon Yates e Richard Plugge hanno riallacciato il filo dei Grandi Giri per la Visma-Lease a Bike
Sei stato uno di quelli che ha incitato Yates perché ci credesse: lo avevi in testa da prima oppure è stato una scoperta giorno dopo giorno?

Ho corso con la allora Mitchelton-Scott in cui c’era anche Simon. Lo conoscevo già, anche se quando è arrivato da noi, era chiaro che fosse stato preso più come rinforzo per Jonas (Vingegaard, ndr). Però allo stesso tempo gli avevano dato carta bianca per giocarsi le proprie carte in certi appuntamenti. E’ partito con l’idea del Giro già dall’inverno e quando siamo arrivati a Tirana c’era l’idea di fare una bella classifica. Volevamo fare tutto il possibile per metterlo nelle condizioni di ottenere un risultato. Poi strada facendo, è cresciuta sempre di più la fiducia che potesse arrivare qualcosa di grande. Per cui direi che abbiamo sempre visto Simon come un uomo per fare classifica e lo abbiamo protetto come meglio potevamo.

Ha raccontato di essere rimasto da solo soltanto nelle crono, mentre per il resto del tempo lo avete tenuto al sicuro…

Il mio compito era di tenerlo il più coperto e il più a lungo possibile, fintanto che in certe tappe il mio fisico me lo consentiva. Invece nei finali veloci, era sempre (tra virgolette) un casino, nel senso che eravamo divisi. Avendo Olav Kooij, Van Aert e io eravamo più concentrati su di lui, almeno nei finali di corsa quando cominciava l’avvicinamento alla volata, quindi negli ultimi 5-6-10 chilometri. In quei casi, il resto della squadra si stringeva attorno a Simon.

Tu hai vissuto il Nord con Van Aert e probabilmente ne hai condiviso le delusioni. Come è stato vederlo vincere la tappa di Siena?

Forse ne ho già parlato con qualcun altro, non mi ricordo bene con chi, ma sostanzialmente non è che in primavera Wout non ci fosse. Era sempre lì, solo che s’è trovato davanti degli altri corridori che in quel momento gli erano superiori. Però a guardare bene, la sua continuità è stata un segnale importante. Poi è chiaro che soprattutto in Belgio la stampa si aspetta tanto e a volte esagera. Però ci sono anche gli altri, non solo lui. Vederlo vincere una tappa, soprattutto quella di Siena che per lui è da sempre un posto importante, è stato un bel momento. Ha fatto un grande lavoro in tutte le tappe, ma vederlo vincere è stato bello per tutti noi. Eravamo tutti contenti, tutta la squadra quella sera ha festeggiato.

Giugno potrebbe essere per Affini l’occasione per correre il tricolore crono con la maglia di campione europeo
Giugno potrebbe essere per Affini l’occasione per correre il tricolore crono con la maglia di campione europeo
Si racconta che dopo la sconfitta del 2023, lo scorso anno Pogacar fosse davvero super determinato. Si percepisce una rivalità fra Visma e UAE?

Forse andrebbe chiesto ai diretti interessati, quindi Jonas e Tadej. Però noi, come squadra, sappiamo quali sono i corridori che effettivamente devi considerare rivali al 100 per cento. E’ normale che quando hai gli stessi obiettivi, diventi automaticamente il rivale numero uno. Allo stesso modo, quando hai due corridoi come Vingegaard e Pogacar, la rivalità diventa più forte. Ovviamente ce ne sono anche altri, il Giro ad esempio ha mostrato Del Toro e Ayuso, ma avere dei riferimenti come loro è una spinta reciproca. Ogni squadra cerca di migliorarsi, magari nel trovare quello 0,5 per cento per andare un po’ più forte. E questo riguarda i corridori, ma anche lo staff. Alla fine, se il livello è alto, lo scontro è elevato, come nel calcio.

Eppure, pur conoscendovi, è parso che nella tappa di Sestriere la UAE Emirates abbia sottovalutato Yates: a Martinelli è parso incredibile…

Per quello forse è stato bravo Simon con la sua esperienza, a gestirsi in quella maniera. Come ha detto anche lui, non ha preso un filo di vento e nessuno quasi lo ha visto. Il nostro scopo sin dall’inizio era portarlo avanti nel Giro senza che facesse troppa fatica. Praticamente c’è sempre stato, ma era come se non ci fosse e così ha gestito al meglio le sue energie.

Un Giro al microfono. Garzelli dà i suoi giudizi finali

05.06.2025
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Le fatiche del Giro sono alle spalle e Stefano Garzelli, in attesa dei prossimi impegni è tornato nel suo “buen retiro” spagnolo per godersi un po’ la famiglia. Il suo primo Giro da opinionista Rai è alle spalle e l’esperienza è stata molto positiva.

«E’ stato qualcosa di realmente diverso dal solito – dice – non è la stessa cosa che qualsiasi altro ruolo televisivo. A me piaceva raccontare la corsa pensando che mi rivolgevo a chi non è del mestiere, non segue tutta la stagione e sa tutto di ruote, mozzi, allenamenti e strategie. Ho cercato di raccontare questo evento come qualcosa di nuovo».

Primo Giro da primo opinionista in postazione per Stefano Garzelli: una corsa divertente perché sempre incerta
Primo Giro da primo opinionista in postazione per Stefano Garzelli: una corsa divertente perché sempre incerta

Giro esaltante, mai scontato

E’ stato un Giro molto particolare e riviverlo adesso, a qualche giorno di distanza permette di sottolineare e cogliere aspetti che magari sono stati un po’ coperti dal grande risalto dettato dal suo epilogo a sorpresa: «Diciamo che il primo vincitore del Giro è… il Giro. Perché è stato sempre incerto, diverso, mai monotono. Non è facile dare giudizi, sento parlare di fallimenti, ma bisogna anche guardare le singole storie e il Giro ne ha raccontate tante. Un esempio: come si fa a criticare Tiberi? La sua corsa è stata totalmente condizionata dalla caduta, dopo non era più lui perché la botta era stata forte».

E’ vero ma come si fa a non giudicare negativamente (se proprio non vogliamo usare la parola fallimento) la corsa della UAE, per quanto il secondo posto di Del Toro sia carico di prospettive? Non è che la squadra non era abituata a gestire una situazione diversa non avendo Pogacar in corsa?

Yates e Van Aert, un sodalizio che ha funzionato alla perfezione nella penultima tappa
Yates e Van Aert, un sodalizio che ha funzionato alla perfezione nella penultima tappa

La UAE e le gerarchie non rispettate

«Con Tadej è facile correre, praticamente non devi fare nulla… Io credo che qualche errore ci sia stato, innanzitutto nella gestione della gerarchia. Ayuso, per quel che aveva fatto a Tirreno-Adriatico e Catalunya, era il capitano. Alla tappa delle strade bianche è caduto, a quel punto perché Del Toro ha allungato? Era con Bernal e Van Aert, ma non doveva esserci perché la gerarchia imponeva che stesse col capitano. Ciò ha dato a lui la maglia ma ha tolto tranquillità al gruppo, ha mostrato crepe che alla fine sono esplose».

La vittoria di Yates ti ha sorpreso? «So che lui preparava la tappa del Colle delle Finestre da novembre, aveva un conto in sospeso. Ha corso in maniera intelligente, sempre coperto, ma la sua forza è stata soprattutto essersi gestito prima del Giro. Non è un caso che sul podio sono finiti corridori che in primavera non si sono praticamente visti, salvo la vittoria di Del Toro alla Milano-Torino. Ad eccezione di Pogacar, chi va forte a marzo poi a maggio paga dazio. Lui è stato attento, poi la squadra lo ha supportato al meglio».

Una delusione forte per Ayuso, arrivato al Giro come leader dopo le vittorie in serie in primavera
Una delusione forte per Ayuso, arrivato al Giro come leader dopo le vittorie in serie in primavera

Pellizzari tutelato dalla Red Bull

Sulla Visma-Lease a Bike Garzelli ha parole di miele: «Hanno saputo tenere la corsa sempre sotto controllo. Van Aert è stato portato per la tappa delle strade bianche e l’ha vinta, poi avrebbe anche potuto tirare i remi in barca, invece è rimasto in gruppo e si è messo a disposizione. Yates dal canto suo aveva provato a Champoluc, ma ha subito capito che non c’era spazio per sovvertire la classifica e ha rinviato al giorno dopo, è stata una scelta molto saggia. Al sabato è stato un capolavoro di strategia, con Van Aert in avanscoperta che poi ha fatto da fantastico pesce pilota. Tattica indovinata, niente da dire».

Nell’ultima settimana del Giro e anche dopo è stato un fiorire di giudizi su Pellizzari, parlando di quel che avrebbe potuto fare se non fosse stato al servizio di Roglic… «Torniamo al discorso di prima: in un team ci devono essere gerarchie definite e la Red Bull le ha fatte rispettare. Pellizzari il Giro non doveva neanche farlo, è stato Roglic che lo ha voluto in squadra. Lui ha fatto il suo dovere e quando lo sloveno è caduto si è messo al suo servizi perché è questo che fa un luogotenente. Mi ha ricordato il Giro del ’97, quando Pantani cadde e perse 15 minuti. Io rimasi con lui, finii quel Giro 9° ma senza quel quarto d’ora sarei stato 4°. Eppure non mi sono mai pentito, neppure per un istante, di quella scelta, perché in quel momento il mio posto era accanto a Marco».

Roglic e Pellizzari: lo sloveno ha insistito per avere il giovane con sé
Roglic e Pellizzari: lo sloveno ha insistito per avere il giovane con sé

Il Giro degli italiani

Alla Red Bull avranno ora capito che Pellizzari è un leader? «Lo sapevano già da prima – sentenzia Garzelli – anzi io dico che lo hanno preso proprio con quell’idea. Non avevano preso uno qualunque, ma un prospetto per le corse a tappe, capace di vincerle. Per questo non avrebbero voluto neanche portarlo al Giro, ma come detto Roglic la pensava diversamente, poi le cadute sua e di Hindley hanno cambiato i rapporti in squadra. Ora sanno che tiene anche le tre settimane, il Giro ha dato loro ulteriori risposte».

In generale come giudichi questo Giro in chiave italiana? «Si potrebbe pensare che, con una sola vittoria di tappa, sia stato deficitario ma non è così. Io dico che è stato buono, ma molto sfortunato viste le cadute di Ciccone e Tiberi. Però abbiamo avuto Caruso che ha fatto un capolavoro e io l’ho sottolineato subito perché a 37 anni finire in top 5 ha un valore enorme. Era giustamente l’uomo di Tiberi, poi ha saputo sfruttare la sua esperienza, ma soprattutto ha mostrato di avere una grande condizione perché senza di quella non vai avanti».

Tiberi e Caruso. Sfortunatissimo il primo, bravo il siciliano a prendere le redini del team
Tiberi e Caruso. Sfortunatissimo il primo, bravo il siciliano a prendere le redini del team

Caruso, un capolavoro a 37 anni

Non è che il suo risultato è passato un po’ troppo sotto silenzio? «Non credo – afferma Garzelli – noi alla Rai l’abbiamo sempre sottolineato. Poi lo so bene, anch’io fui 5° a 37 anni vincendo due tappe e farlo con gente molto più giovane di te significa molto. Ma ci sono stati anche altri italiani che mi sono piaciuti, come Affini, Garofoli pur abbastanza sfortunato, senza dimenticare Fortunato vincitore della maglia azzurra. Non dimentichiamo poi che è stato un Giro condizionato dalle cadute, almeno 5 da primissime posizioni sono stati messi fuori gioco e questo, sull’esito finale, ha contato molto, ma si sa che per vincere anche la fortuna ha un suo peso».

Kooij sale sul diretto Affini-Van Aert e si prende Roma

01.06.2025
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ROMA – Olav Kooij sta per entrare in mix zone. Sono passati forse venti minuti dalla sua vittoria, ma ecco che Wout Van Aert lo richiama. «Vieni, andiamo alla premiazione di Simon (Yates chiaramente, ndr)». E così è andata a finire che tra brindisi, premiazioni, antidoping, priorità delle tv, e svariate pacche sulle spalle, l’olandese della Visma-Lease a Bike si è presentato ai microfoni quando ormai le ombre avevano coperto persino i punti più alti del Foro Romano.

Il re di Roma è lui. E’ lui che ha vinto lo sprint finale su un circuito meno scontato del previsto. Un anello nel cuore della Capitale che a tratti riprendeva gli ondulati del GP Liberazione e arrivava sulla collinetta che domina il Circo Massimo.

Olav Kooij (classe 2001) è al suo secondo successo al Giro 2025, il terzo in totale
Olav Kooij (classe 2001) è al suo secondo successo al Giro 2025, il terzo in totale

Turbocompressore Affini

Si poteva pensare che i calabroni, oggi a dire il vero con il rosa al posto del giallo, potessero essere appagati dai due successi di tappa e soprattutto dalla rocambolesca maglia rosa conquistata ieri. E invece eccoli spianati sulle loro Cervélo. Il treno finale, un diretto, era composto da Edoardo Affini, Wout Van Aert e appunto Kooij.

La velocità era altissima. La fuga volava e dietro si limava come fosse una classica. Altro che gambe stanche. O almeno, se così era, i corridori non lo hanno dato a vedere. La Alpecin-Deceuninck ha svolto un ottimo lavoro per Kaden Groves, ammaliato dal circuito tecnico e duro e dall’arrivo in salita: 300 metri al cinque per cento.

Ma quando poi entrano in gioco i mega motori c’è poco da fare. Sentite qui il racconto di Affini degli ultimi 1.500 metri: «C’era tanta tensione ed è stato un po’ un gioco di tempistiche nella parte finale. Anche le altre squadre volevano stare davanti e soprattutto avevano sacrificato degli uomini per chiudere sulla fuga, che stava andando veramente forte. Quindi un po’ tutti erano senza uomini e per questo non bisognava sbagliare i tempi della volata. A quel punto siamo andati in crescendo di velocità, pensavamo partisse il tutto ma si sono spostati e la velocità è calata».

Quelli sono attimi di incertezza in cui c’è un grande rimescolamento di carte. E proprio lì Affini mette a segno il capolavoro per il suo team e per Kooij.

«Ci sono state di nuovo un paio di accelerazioni – spiega Affini – ma sono riuscito a stare in posizione senza sprecare troppo. Poi a un chilometro e mezzo ho visto che era il momento di andare e mi sono detto: “Adesso. O la va o la spacca”. Per radio Wout mi ha fatto sapere che erano in buona posizione. Mi ha detto: “Siamo qui”. Io ho capito che erano alla mia ruota ed è stata un’indicazione importante per fare un’accelerata forte. Quando sai che i tuoi compagni ti seguono hai ancora più motivazione, più certezza. Sai che non stai facendo una tirata a vuoto».

L’urlo dell’olandese che ha preceduto Groves e Moschetti (che si nota col casco bianco e azzurro nella foto di apertura)
L’urlo dell’olandese che ha preceduto Groves e Moschetti (che si nota col casco bianco e azzurro nella foto di apertura)

Vittoria Kooij

A quel punto Kooij doveva “solo” spingere la sua bici fino al traguardo. «Edoardo – dice Kooij – è stato un grande a spingere in quel modo e a sua volta anche Wout ha potuto affondare fortissimo. Toccava a me e non potevo che spingere forte sui pedali… L’unica paura che avevo non era per lo sprint in sé ma di riuscire a restare sui pedali dopo tre settimane durissime».

«Non è facile concludere uno sprint perfetto, ma oggi credo proprio che ci siamo riusciti con tutta la squadra. Prima di Affini e Van Aert che, ripeto, mi hanno posizionato in modo perfetto, anche gli altri avevano svolto egregiamente il loro compito. Pertanto sono contento di averli ripagati così».

Prima di andare oltre, Olav ha dedicato anche un pensiero a Robert Gesink, una colonna portante di questo team. «Oggi abbiamo pedalato con un’emozione speciale ulteriore, per la perdita della moglie del nostro ex compagno di squadra Gesink».

La Visma ha tirato sia per Kooij che per tenere Yates fuori da guai. Per Affini e compagni un lavoro doppio, ma anche doppia felicità
La Visma ha tirato sia per Kooij che per tenere Yates fuori da guai. Per Affini e compagni un lavoro doppio, ma anche doppia felicità

Festa maglia rosa

«Olav – racconta Affini – è sicuramente un grande velocista, direi uno dei migliori al mondo. E che finale per noi, con Simon in maglia rosa. È stato bellissimo finire il Giro d’Italia così, con Olav primo a Roma. Era una tappa che avevamo cerchiato in rosso. E credetemi, oggi non è stata affatto una passerella, come si suol dire. Siamo andati forti tutto il giorno. A parte ovviamente la prima parte con un po’ di foto, un po’ di festeggiamenti».

Anche Kooij fa eco a quanto detto da Affini e ha voglia di staccarsi dalla sua vittoria. In fin dei conti è comprensibile: hanno vinto il Giro d’Italia. «Questo finale di settimana è stato incredibile, davvero. L’azione di ieri con Simon è stata, è stata… non so neanche come dire: pazzesca! E poi vincere qui a Roma. La vittoria di Simon mi ha dato ancora più carica. Abbiamo vissuto 24 ore incredibili».

Proprio su Roma, si è soffermato l’olandese. In qualche modo è riuscito a godersi lo spettacolo di questo arrivo nella storia. «E’ stato bellissimo, abbiamo pedalato con un panorama stupendo. Conoscevo già il Colosseo… Un circuito bello, ma anche duro. Ora festeggeremo con una bella cena romana!».

E dopo 41′ spunta Affini, ritratto della felicità, che racconta

01.06.2025
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SESTRIERE – Quando ormai tutti, ma proprio tutti i 159 corridori rimasti in gara sono sfilati verso le ammiraglie, ecco che spunta Edoardo Affini. Il gigante della Visma-Lease a Bike ha un sorriso grosso così.

Edoardo è transitato 41’08” dopo il bravissimo Chris Harper e ha perso ulteriore tempo perché si è infilato direttamente nella mixed zone per stritolare con un abbraccio dei suoi Simon Yates. Hanno vinto il Giro d’Italia ed è giusto così.

Lo hanno vinto con una grande azione di squadra. Il ruolo di Wout Van Aert se non decisivo è stato determinante. Che locomotiva, Wout… Alla fine i campioni trovano sempre un modo per farsi vedere, mettersi in mostra e soprattutto per essere nel vivo della corsa. Ma nel vivo della corsa e di questo Giro c’è stato anche Edoardo Affini. Era dal successo sul Lussari di Primoz Roglic che non conquistava un Grande Giro, ma quella era tutta un’altra storia. Era decisamente più attesa quella maglia rosa. E la festa può dunque iniziare.

Dopo quasi un’ora dalla fine della tappa (41′ più il tempo per salutare Yates) ecco spuntare Affini…
Dopo quasi un’ora dalla fine della tappa (41′ più il tempo per salutare Yates) ecco spuntare Affini…
Edoardo, sei emozionato, ve lo aspettavate?

Aspettavate “ni”, nel senso che io onestamente ci credevo. Se chiedete anche ai massaggiatori, ai ragazzi dello staff, quando parlavamo con i direttori dicevo sempre che Simon doveva crederci, perché continuavo a vederlo bene. Era bello pimpante, forse da un certo punto di vista ci credevamo quasi più noi che lui.

Incredibile, ma ormai anche tu hai una certa esperienza in fatto di grandi capitani…

Anche ieri sera gli ho detto: «Dai Simon, credici. Insisti». E come me anche gli altri. Abbiamo provato a dargli la spinta giusta e poi oggi ecco quel che è successo! Quando in radio ho sentito che cominciava a guadagnare ho detto: «Dai, dai… ma che roba sta succedendo?». Che poi ha vinto il Giro d’Italia sulla salita dove l’aveva perso. Ma lui è tornato per vincerlo. Penso che sia una storia incredibile, una gran bella storia.

Era in programma di mandare in fuga Van Aert? Avevate progettato questa azione?

Sì, ma non in modo forzato, diciamo. Mi spiego: non è che dovesse fare proprio quello che ha fatto, però si è creato un gruppo grosso di attaccanti, volevamo metterci un uomo e Wout è riuscito ad entrarci. Poi chiaramente, per come si è messa la corsa, è venuto fuori un piano perfetto.

Affini è stato l’uomo di Simon Yates per le tappe di pianura
Affini è stato l’uomo di Simon Yates per le tappe di pianura
Edoardo, come hai vissuto questi chilometri finali?

Li ho sofferti! Perché dopo tre settimane e con queste salite sono abbastanza finito, ma è chiaro che avere quelle notizie dava motivazione.

Cosa ti chiedevano gli altri vicino a te?

Ah – ride – volevano sapere come stava andando. «Ma è finita?». «Come sono messi?». «Cosa è successo?». Io davo un po’ di indicazioni, ma fino a un certo punto, perché poi la distanza cominciava ad essere troppa, quindi anche la radio non si sentiva più bene. Arrivare quassù e vedere tutto quanto… una gioia!

I compagni hanno abbracciato Simon, super commosso (foto Instagram)
I compagni hanno abbracciato Simon, super commosso (foto Instagram)
Hai avuto modo di vedere Simon, di fargli i complimenti?

Sì, sì, sono andato nella mixed zone. Stava facendo le interviste, ma me ne sono altamente “sbattuto le balle” (concediamogli questa licenza, ndr) e sono piombato su di lui. Per una cosa del genere non c’è intervista che tenga. Ci siamo abbracciati subito.

E’ una grande soddisfazione anche per chi come te lavora per questi capitani, giusto?

Assolutamente. In queste tre settimane io ho fatto un po’ il suo bodyguard, per le tappe ovviamente più veloci. Per quelle più dure stavo lì finché riuscivo. Poi ero di supporto, ovviamente, anche ad altri corridori della squadra. Però che dire, con Simon abbiamo fatto un ritiro insieme a Tenerife, ad inizio anno siamo stati in camera assieme… Penso che si sia creato un bel legame. E poi, ragazzi, dopo una vittoria del genere… E’ tanta roba.

Pogacar e Vingegaard: da Sierra Nevada strade parallele…

24.05.2025
5 min
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Qui si lotta sulle strade del Giro d’Italia, ma il resto del ciclismo non si ferma. C’è chi corre nel Nord Europa, chi lo fa in Estremo Oriente e chi invece nel Sud dell’Europa si sta allenando. Parliamo dei primi due pretendenti alla prossima maglia gialla: Tadej Pogacar e Jonas Vingegaard. Sloveno e danese, per ironia della sorte o forse semplicemente per qualità dell’altura, sono entrambi a Sierra Nevada, nel sud della Spagna.

E’ lì che stanno costruendo il rispettivo Tour de France. E’ lì che si sono persino incrociati in allenamento, ma non si sono parlati. Da quel che si sa, uno procedeva in un senso e l’altro nella direzione opposta. E come stanno andando le cose?

Pogacar a Sierra Nevada: resistenza ma anche tanta intensità (screenshot a video su X)
Pogacar a Sierra Nevada: resistenza ma anche tanta intensità (screenshot a video su X)

Casa UAE

Partiamo dalla UAE Emirates di Pogacar. Come sempre, il campione del mondo è parso il ritratto della felicità: sereno, tranquillo, fa il suo e ride. Emblematico il video che ha pubblicato lui stesso qualche giorno fa, mentre giocava col vento e la sua Colnago alla soglia dei 2.500 metri di quota.

«Tadej è Tadej – sorride Mauro Gianetti, quando ci spiega come procedono i lavori del suo corridore – Viene da un ottimo inizio stagione, quindi è rilassato. Allo stesso tempo però è concentrato sul Tour. Sa bene, e lo sappiamo anche noi, che Vingegaard ci arriverà molto agguerrito, molto forte. Per questo sta lavorando seriamente, ma soprattutto serenamente».

Dopo le classiche, Pogacar si è fermato una settimana precisa: una pausa di riposo e relax, anche e soprattutto mentale. La doppietta Roubaix-Amstel non è stata uno scherzo neanche per lui.

«Vero – dice Gianetti – dopo la primavera ha fatto una settimana di stacco per poi ricominciare pian piano. I primi giorni a Sierra Nevada sono stati molto tranquilli in termini di allenamenti, adesso invece sta lavorando sodo per arrivare al Delfinato in buona condizione. Il Delfinato servirà a fare una rifinitura».

Per la precisione proprio in questi giorni Pogacar è tornato a casa a Monaco. Si è allenato anche con il suo amico e pilota della Williams, Carlos Sainz.

Vingegaard a Sierra Nevada ha utilizzato anche la bici da crono (foto da X)
Vingegaard a Sierra Nevada ha utilizzato anche la bici da crono (foto da X)

Casa Visma

Vingegaard ha affrontato un calendario di gare molto limitato, con solo una trasferta all’Algarve e la Parigi-Nizza abbreviata a causa di un incidente. La sua permanenza in Francia è stata interrotta da una caduta con conseguente commozione cerebrale, che gli ha fatto saltare anche il Catalunya di marzo.

Si sta allenando in quota insieme a diversi compagni della Visma-Lease a Bike, tra cui Matteo Jorgenson, Sepp Kuss, Victor Campenaerts e Tiesj Benoot. Qui a parlare è stato direttamente Vingegaard.

«Ora sto meglio – ha detto il danese – la caduta di quest’anno è stata uno scherzo rispetto a quella della primavera 2024. E’ avvenuta a 15 all’ora in salita. Però mi ha creato non pochi problemi. Rimanevo sveglio per circa un’ora e poi dovevo dormire. E’ stato così per i primi tre-quattro giorni. Poi sono migliorato e già pochi giorni dopo l’incidente sono risalito in bici, ma dopo solo un’ora avevo mal di testa e nausea e mi sono dovuto riposare. A quel punto poi non sono più salito in bici per qualche giorno. Dal punto di vista mentale è stata comunque difficile da affrontare. Anche per questo ora sono ancora più motivato nel tornare in gara, perché mi sono perso anche il Catalunya. Sono più determinato che mai».

Vingegaard e Pogacar all’ultimo Tour. I due arriveranno alla prossima Grande Boucle rispettivamente con 18 e 22 giorni di corsa
Vingegaard e Pogacar all’ultimo Tour. I due arriveranno alla prossima Grande Boucle rispettivamente con 18 e 22 giorni di corsa

Tadej a Isola 2000?

Entrambi si incontreranno al Delfinato. I due non corrono uno contro l’altro dal giorno di Nizza, finale dell’ultimo Tour, che era per giunta una crono. La corsa francese è un passaggio quasi obbligato per il loro programma. Il Tour de Suisse avrebbe significato un approccio al Tour leggermente diverso e più breve in termini di recupero.

«Dopo il Delfinato – riprende Gianetti – Tadej tornerà in altura, credo a Isola 2000, ma questo deve ancora essere definito per bene. Per adesso sta facendo un lavoro in crescendo, come dicevo. Ha lavorato sulle salite lunghe, sulla forza, sulla resistenza: quello che serve dopo una primavera in cui aveva fatto un lavoro più specifico per le classiche, con più lavori di esplosività».

Abbiamo chiesto a Gianetti se questo tipo di lavoro comporti anche un leggero cambiamento fisico: vedremo un Pogacar più magro?

«Sì, ci sta che cambiando un po’ lavoro si perda quel chiletto, ma non perché lui debba dimagrire. Semplicemente, in quel momento serviva più forza. E’ una conseguenza del lavoro che deve fare, quindi è molto probabile che al Tour sia più leggero rispetto alle classiche. Poi è chiaro che il fisico è quello, non è che lo puoi stravolgere. Stiamo parlando di dettagli, ma dettagli che a questo livello diventano importanti».

Il danese è parso super motivato: «La primavera di Pogacar? Mi ha impressionato, ma non vuol dire che al Tour sarà così forte»
Il danese è parso super motivato: «La primavera di Pogacar? Mi ha impressionato, ma non vuol dire che al Tour sarà così forte»

Vingegaard a Tignes

Ancora Vingegaard: «Al momento so di non essere ancora al mio miglior livello, ma questo è il motivo per cui sono qui sulla Sierra Nevada ad allenarmi. Spero di riuscire a raggiungere un livello che non ho mai raggiunto in passato. Se dovessi riuscirci, sono sicuro di poter lottare per vincere il Tour».

Da quel poco che si è visto, anche Vingegaard sta intensificando i lavori. Ci sono alcuni video in cui è impegnato a fare degli scatti.

Una piccola differenza fra i due è che, per adesso almeno, Vingegaard ha già fatto delle ricognizioni sulle tappe chiave della Grande Boucle, mentre Pogacar ha visionato la crono di Caen (ma qualche tempo fa). Il capitano della Visma è andato sul Col du Soulor e ad Hautacam, quindi in ricognizione della dodicesima tappa. Ha percorso anche la frazione numero 14, il tappone pirenaico con Col de Peyresourde, Col du Tourmalet, Col d’Aspin e il finale in salita di Superbagnères.

Dopo il Delfinato, i due saranno di nuovo “vicini di casa”: Vingegaard e compagni, stavolta con la squadra al completo, andranno a Tignes, sulle Alpi francesi.

Capolavoro Visma, ma per Dainese il più forte era Van Uden

22.05.2025
5 min
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Oggi finalmente Alberto Dainese è riuscito a vedere la tappa dal divano della sua casa a San Marino. Fino a domenica ha corso a Dunkerque, invece questa volta è riuscito a seguire la volata che ha consegnato a Olav Kooij il traguardo di Viadana. Volata confusa, con il treno della Lidl-Trek in azione da troppo lontano, con Pedersen che alla fine ha dovuto accontentarsi del quarto posto. 

«E’ un sollievo – ha detto il vincitore della Visma-Lease a Bikeho dovuto aspettare un po’, ma oggi tutto è andato a posto. Siamo cresciuti, con la vittoria di tappa di Wout e Simon (Van Aert e Yates, ndr) che sta facendo bene anche in classifica generale. Le due volate precedenti non erano andate alla perfezione, ma ora tutto è andato per il verso giusto».

A tirargli la volata si è ritrovato Affini fino all’ultimo chilometro e Van Aert fino ai 200 metri, con l’ultima curva pennellata alla perfezione. Con due motori così ad aprirti la strada, il lavoro alla fine viene meglio.

Alberto Dainese, classe 1998 del Tudor Pro Cycling Team, è pro’ dal 2020. Ha corso 3 Giri, un Tour e 2 Vuelta
Alberto Dainese, classe 1998 del Tudor Pro Cycling Team, è pro’ dal 2020. Ha corso 3 Giri, un Tour e 2 Vuelta

Dainese, si diceva, ha corso a Dunkerque la scorsa settimana e tornerà in gruppo fra due settimane in Belgio, nella Elfstedenronde che si correrà il 15 giugno a Bruges. Le cose procedono nel modo giusto, anche se adesso un po’ di nostalgia del Giro sta venendo fuori, dato che domani il gruppo passerà da Galzignano e Vicenza.

Che cosa ti è parso della volata?

E’ stata una volata più per prendere quella curva nei primi 5 e poi a mio parere il più forte di gambe oggi era Van Uden. Forse gli è mancata un po’ di malizia quando è partito perché poteva restare più vicino a Van Aert, invece ha lasciato tanto spazio a Kooij di prendergli subito la ruota. Si è mosso un pelo prestino…

Se fosse andato dritto e non si fosse allargato, dove sarebbe passato Kooij?

In realtà difatti è stata anche una questione di scia. Se restava un po’ di più al fianco, aveva più scia e Kooij avrebbe dovuto aspettare che lo passasse, poi si sarebbe dovuto mettere a ruota prima di provare a uscire. Mentre così gli ha proprio lasciato un metro grazie al quale si è messo subito a ruota e di fatto la volata gliel’ha tirata lui. Però (ride, ndr), non trovi che sia facile parlare dal divano?

Quanto è stato importante secondo Alberto Dainese il lavoro di Affini e Van Aert?

In tivù sentivo che gli mancasse un uomo, ma in realtà è stato tutto perfetto. Kooij da quella posizione poteva decidere quando partire e Van Aert l’ha lasciato ai 200 metri. Se avessero avuto un uomo in più, rischiavano che qualcuno entrasse deciso nell’ultima curva e lo buttasse fuori. Mentre così sono arrivati giustissimi.

Forse un uomo in più avrebbe permesso a Van Aert di rialzarsi prima? Di fatto l’ultimo uomo di Kooij è stato Van Uden…

Per quello dicevo che se Van Uden fosse rimasto più a lungo a ruota, forse avrebbe vinto lui. Kooij sarebbe stato costretto a partire 10-20 metri più lungo e l’altro avrebbe potuto rimontarlo. Erano un po’ lunghi, in effetti. Avercelo comunque un Van Aert così, che ti tira la volata. Stiamo parlando degli ultimi 10 metri, ma si vede che tanti hanno fatto fatica anche solo per arrivare lì.

Pedersen è parso meno brillante?

Secondo me era una volata più da velocista puro, quindi da uno capace di uscire forte dalla curva ai 300 metri e poi partire. Pedersen è sì fortissimo, lo vedete quanto va forte in salita, però secondo me se Kooij gli battezza la ruota, lo può saltare.

Quanto era importante uscire davanti in quella curva?

Terzo, dovevi uscire terzo. Secondo o terzo dipende da quante gambe aveva il primo. Van Aert aveva fatto la tirata, quindi magari gli mancavano 10 metri. Però se esci secondo o terzo, almeno hai la chance di fare lo sprint. Invece se ti manca quella posizione, non riesci a fare la volata. Fretin veniva fortissimo, ma in curva era decimo e non ha fatto meglio del sesto posto.

Intanto Del Toro con la maglia rosa è sempre più a suo agio. A Brescello ha sprintato per i 2″ del traguardo Red Bull
Intanto Del Toro con la maglia rosa è sempre più a suo agio. A Brescello ha sprintato per i 2″ del traguardo Red Bull
Che effetto fa vedere le volate in televisione?

Ho scoperto che mi piace. Delle altre tappe faccio anche fatica a dire la mia, perché non saprei da dove cominciare, ma le volate mi piace analizzarle.

Peccato per i velocisti del Tour, con l’ultima tappa che non si conclude più in volata…

Prima ho trovato un francese qui a San Marino, un appassionato di bici. E mi ha detto che hanno messo Montmartre nell’ultima tappa e ci ha tenuto a dirmi che lavorava a Parigi, mi ha descritto la salita e mi ha detto che non si arriverà in volata. Hanno rovinato l’arrivo più iconico. Almeno per i velocisti, hanno tolto la ciliegina dalla torta.

E Wout risponde con un colpo da campione. Siena è sua

18.05.2025
6 min
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SIENA – Si alza un coro. “Wout, Wout…” e lui si lascia andare a un urlo che quasi non gli appartiene. E forse è così perché quel Wout Van Aert da qualche ora non c’è più. E’ tornato il campione che tutti conosciamo. Poche ore fa avevamo titolato: Il Belgio sulle spine chiede ogni giorno di Van Aert. Ebbene, questa è stata la sua risposta.

A Siena va in scena una tappa da strip-tease tecnico e nervoso. Una frazione che potrebbe decidere addirittura il Giro d’Italia, una giornata che ha ricordato l’epica tappa del 2010, solo che al posto del fango stavolta c’era la polvere.

Bentornato Wout

Quante cose da raccontare, quanti spunti. Ma oggi la notizia è il ritorno alla vittoria di Wout Van Aert. Stamattina era stato tra gli ultimi ad accordarsi: era rientrato nella zona dei bus per un ultimo controllo.

Man mano che la corsa andava avanti, tra accelerate, cadute, attacchi, noie meccaniche, il gruppo si assottigliava. E lui c’era. E’ lì che si vede il campione: lo squalo che fiuta il sangue e poi azzanna la preda.

Infatti ha detto: «Ho cercato di crearmi situazioni favorevoli. Prima della tappa pensavo che avrei potuto vincere con una fuga da lontano. Non avrei immaginato che ci sarebbero stati dei team con voglia di controllare. Quando ho visto che non ero nella fuga, ho pensato di aver sprecato la mia occasione migliore per vincere».

«La Q36.5 ha continuato a lavorare, ha controllato la fuga. Dal secondo settore di sterrato la situazione si è fatta favorevole anche per me, perché c’erano ancora corridori in classifica interessati a fare ritmo e riprendere la fuga. Stavo bene, già dal primo settore. La dinamica è cambiata dopo la caduta: la Ineos Grenadiers (quella in cui sono rimasti coinvolti anche Pidcock e Roglic, ndr) ha approfittato del momento con tanti corridori davanti. E’ stato lì che ho iniziato a crederci».

Nel finale un duello tra titani: Del Toro e Van Aert. Il messicano sembrava più brillante
Nel finale un duello tra titani: Del Toro e Van Aert. Il messicano sembrava più brillante

Duello con Del Toro

La preda di cui parlavamo è molto più giovane di lui. Una preda che per un tratto è stata anche alleata. Isaac Del Toro, talento della UAE Emirates, ha tirato molto. Forse anche più del belga.

I due si sono parlati. Forse si sono accordati con il classico “tappa a me, maglia a te”. Ma a giudicare da come se le sono date nel finale, non sembrava proprio. Addirittura Van Aert nell’ultima curva, per essere sicuro di non farsi passare, è quasi finito sulle transenne per uscire alla massima velocità. Dettaglio che lui stesso ha rimarcato (e anche Del Toro lo ha notato). Se c’è stato un patto, sono stati due ottimi attori.

In realtà poi si è saputo che Wout gli ha detto che non poteva tirare troppo perché dietro c’era il suo leader: Simon Yates.

Intanto dietro era il caos totale. Ciccone che a tratti tirava. Ayuso che non stava fermo e cercava collaborazione. Roglic che inseguiva e Pellizzari che continuava a rientrare per aiutarlo. Bernal che si è rivisto a livelli siderali. Un sacco di carne al fuoco.

Fuori dal tunnel?

La cosa più bella è stato il suo crescendo. E probabilmente è proprio questo che anche a lui è piaciuto di più.

«Non sono ancora al top – ha detto il belga – ma va bene così. Sto crescendo… Sono cresciuto sia durante la tappa (ma quella è la testa, ndr) che durante questo Giro.

«Sono felicissimo, per me vuol dire tanto vincere al Giro e soprattutto tornare al successo dopo un periodo lungo e complicato. Ho studiato bene il finale, conosco bene la Strade Bianche e penso che l’esperienza in questa corsa, mi abbia aiutato. Sapevo che in quel punto, dopo lo strappo di Santa Caterina, sarebbe stato molto difficile superare qualcuno. Nel finale, probabilmente, se avessi avuto gambe migliori ci avrei provato».

All’arrivo c’era la sua famiglia. Anche i suoi bambini sembravano stralunati nel vedere il loro papà così euforico. Gli urli, poi lo sdraiarsi in terra. A riordinare le idee. L’adrenalina resta, ma i nervi crollano. Le forze vanno via, emerge la passione.

«Se sono fuori dal tunnel? Sì – poi ci pensa un attimo Wout – direi di sì. Insomma, una bella e grande domanda. Sono molto emozionato, ho tante cose che mi passano per la testa. Questo è un posto speciale, forse il più bello dove finire una corsa di bici. Una piazza così, con tifosi così vicini, quasi un’arena… Forse è una delle mie vittorie più belle.

«Oggi sono riuscito a entrare nel ristretto gruppo davanti e anche in quello di chi ha vinto in tutti i grandi Giri. Il mio obiettivo principale era vincere una tappa qui. Avrei voluto anche vestire la maglia rosa. Ci sono andato vicino, ma nei giorni successivi ho perso troppo tempo. Forse anche per questo questa vittoria vale ancora di più per me e per la squadra».

Il messicano e l’olandese sullo strappo di Santa Caterina. Guardate che grinta. Alla fine Wout ha vinto anche di esperienza
Il messicano e l’olandese sullo strappo di Santa Caterina. Guardate che grinta. Alla fine Wout ha vinto anche di esperienza

Un nuovo Giro

Da Siena inizia un nuovo Giro d’Italia per tanti: per Roglic, oggi sconfitto di giornata. Per la UAE Emirates. Per la Visma-Lease a Bike.

«Non abbiamo mai mollato – riprende Van Aert – ci siamo andati vicini più volte nelle tappe precedenti. Spero che questa vittoria possa cambiare il Giro anche per i miei compagni. Abbiamo corridori adatti a ogni terreno».

Intanto il suo addetto stampa gli porge il box con la pasta. Lui lo guarda affamato, ma è troppo gentile per mangiare durante la conferenza stampa. Altri lo fanno, credeteci!

«Sicuramente – conclude Van Aert – festeggeremo con una bella bottiglia di vino. Siamo in Toscana. Ho notato che siamo passati anche davanti alla cantina di Antinori, quindi stasera sarà il momento per celebrare. Come sapete, l’Italia è la mia Nazione preferita per le vacanze. E anche per andare in bici. Il Giro mi sta aiutando a scoprire nuove regioni e nuovi posti. Ieri mi è piaciuta molto la zona dove è finita la tappa. E’ davvero bello vincere qua».

Un po’ come ieri, con Ulissi, mentre venivamo via. Van Aert ci ha sorpassato tra i vicoli di Siena, tornati in mano ai turisti. C’era una salita per tornare ai bus. Mentre faceva lo slalom tra la gente, un cenno d’intesa e: «Uff, ancora salita!».

Van Aert, la 1ª tappa per decifrare l’enigma della condizione

09.05.2025
4 min
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TIRANA (Albania) – E’ come se di colpo non gliene andasse bene più una. Anche l’avvicinamento al Giro d’Italia di Wout Van Aert è stato condizionato da un malanno che lo stesso belga ha raccontato sin dal primo impatto con i media alla presentazione delle squadre. E se è vero che a quelli che vincono non succede mai niente – dai problemi di salute alle più banali forature – bisogna riconoscere che al belga quest’anno le cose stanno andando parecchio storte. Così da vincitore predestinato della prima tappa e prima maglia rosa, Van Aert si trova ora alle prese con qualche dubbio di troppo.

«Sono stato molto malato – ha ribadito ieri a margine della conferenza stampaho avuto un’infezione virale e ho dovuto prendere molti antibiotici. Ecco perché ho dovuto apportare molte modifiche alla mia preparazione. Non è stato l’avvicinamento che speravo. Quindi inizio con un po’ di paura. La verità è che non sono riuscito ad allenarmi bene dopo l’Amstel, tranne al mio primo giorno qui in Albania. Quando è così, è difficile andare alla partenza con la fiducia necessaria».

«Per me Wout è più di un semplice corridore – ha detto ieri Roglic – avrà sicuramente le sue occasioni in questo Giro»
«Per me Wout è più di un semplice corridore – ha detto ieri Roglic – avrà sicuramente le sue occasioni in questo Giro»

Il sogno rosa

Il solo allenamento buono è un giro di 63 chilometri nei dintorni della capitale albanese, con una ricognizione del circuito che oggi verrà percorso per due volte nella prima tappa (foto Visma-Lease a Bike in apertura). La salita di Surrel, lunga 7 chilometri e con una pendenza di circa il 4,5 per cento, che a cose normali sarebbe stata per lui un trampolino verso la vittoria e la prima maglia rosa, parrebbe ora motivo di preoccupazione.

«E’ stato utile provare la salita – ha ribadito ieri durante la conferenza stampa riservata ai primi della classe – ma la mia impressione è che sia piuttosto difficile per me. L’inizio è ripido e dopo lo scollinamento sarà solo discesa fino all’arrivo. Vedo una possibilità per gli attaccanti di raggiungere il traguardo. Spero di non dover rinunciare al mio sogno rosa, soprattutto perché ho concluso la primavera con buone sensazioni».

L’obiettivo di crescere

Certo la partenza albanese sarebbe stata l’ideale per il miglior Van Aert, che con la prima tappa e poi la crono, avrebbe avuto il terreno ideale e la squadra giusta per conquistare la prima maglia rosa. Anche se è opinione comune che la tappa di Valona domenica sarebbe un osso troppo duro anche per la miglior versione del Van Aert 2025.

«E’ frustrante – ha spiegato ieri sollevando il velo sui suoi problemi – ma mi ammalo sempre nei momenti meno opportuni. La settimana scorsa avevo persino paura di non riuscire a partire. Ora che sono qui, è un sollievo. Spero di essere in forma, ma vedremo come andrà giorno per giorno. Qualcosa proverò a fare, sono qui per vincere. La cosa più importante ora è superare bene le prime tappe e vedere come reagirà il mio corpo. Di solito in un Grande Giro riesco sempre a crescere, quindi se non sarò al meglio fin dall’inizio, sono fiducioso di stare meglio con il passare delle tappe. Non ho mai avuto ambizioni di classifica, sarebbe bello vincere il maggior numero di tappe possibile».

Alla presentazione delle squadre, Van Aert (accanto ad Affini) ha ammesso come sia un peccato debuttare al Giro solo ora
Alla presentazione delle squadre, Van Aert ha ammesso come sia un peccato debuttare al Giro solo ora

Rompere il ghiaccio

Malattia o no, il belga ha così fugato ogni sospetto su quali siano i suoi obiettivi al Giro d’Italia. Si era arrivati a pensare che non avesse più la sua punta di velocità a causa di una preparazione mirata a fare meglio nelle corse a tappe, ma pare che non sia così.

«Non è mai stata mia intenzione- ha spiegato – vincere il Giro. Siamo qui per conquistare più tappe possibili, mentre il nostro uomo per la classifica generale è Simon Yates. Potrei anche fare una buona cronometro domani. Quest’anno ne ho fatta solo una di 19 chilometri in Algarve ed è andata piuttosto bene (Van Aert si è piazzato al secondo posto dietro Vingegaard, ndr). Ma a questo punto, con tutti i dubbi causati dalla malattia, dovremo aspettare e vedere come andrà il primo giorno. Poi potremo capire quali saranno i miei obiettivi più immediati».

Van Aert, lo sprint è sparito. Invece Remco vola già

19.04.2025
4 min
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Uno che sperava di vincere, l’altro che lo ha sognato per settimane, forse mesi. Wout Van Aert ha pedalato verso l’arrivo della Freccia del Brabante restando alla ruota di Evenepoel. Remco ha corso come sempre, senza voltarsi e chiedendo solo una volta il cambio. Uno si è allenato minuziosamente rincorrendo (invano) la condizione perfetta, l’altro ha dovuto arrangiarsi appena gli hanno dato la possibilità di ripartire dopo l’incidente. Quando hanno iniziato la volata, le motivazioni erano per entrambi fortissime. Forse però nella mente di Van Aert c’era già il dubbio che gli ha impedito di sprintare come ha sempre saputo fare. O forse nelle sue gambe non c’è più quel che serve in situazioni simili. D’altra parte il percorso del Brabante strizza gli occhi agli scalatori.

«Certo che speravo di vincere – ha dichiarato Wout subito dopo la sconfitta – soprattutto in questa situazione, con la corsa che si sarebbe risolta con una volata a due. Ma non mi era rimasto più niente. Nell’ultima ora Remco mi ha lentamente sfinito, è stato già duro resistere nell’ultimo giro del percorso.

«E’ incredibile – ha dichiarato Evenepoel dopo la vittoria – pensavo di non avere molte possibilità contro Wout allo sprint. E’ uno che ha vinto volate di gruppo, ma è stata una gara dura e negli ultimi anni sono diventato un po’ più esplosivo anche io».

Van Aert ha ammesso che l’azione di Evenepoel lo ha sfinito
Van Aert ha ammesso che l’azione di Evenepoel lo ha sfinito

Lo sprint di Remco

Il rompicapo è lungi dall’aver trovato una soluzione. Che cosa sta succedendo a Van Aert? Evenepoel ha ragione: allo stesso modo in cui si pensava che avrebbe fatto un sol boccone di Powless alla Dwars door Vlaanderen, il finale della Freccia del Brabante sembrava scritto perché Wout cogliesse finalmente la vittoria che gli manca dal 27 agosto, dalla decima tappa della Vuelta.

«Mi sentivo bene – ha detto Van Aert – e ho contribuito a far esplodere la corsa. Sono rimasto scioccato dal fatto che ci sia stata una selezione così rapida. Per me sarebbe stato meglio se in finale ci fossero stati più corridori, perché non è stato un gran regalo restare a ruota di Remco. Speravo che dopo l’ultima salita calasse un po’ il ritmo, in modo da poter fare uno sprint esplosivo, ma lui ha tirato dritto. Nell’ultimo giro avevo già capito che fosse lui il più forte e lo ha dimostrato in volata».

«Avevo previsto questo scenario – ha detto Evenepoel – ma mi sono comunque sorpreso. Sapevo di stare bene, ma vincere al rientro non è facile. Ho dovuto impegnarmi a fondo. Durante gli allenamenti il mio cardiofrequenzimetro a volte arrivava a 190 battiti, ma oggi è andato verso i 200».

La vittoria di Remco al rientro ha avuto del prodigioso
La vittoria di Remco al rientro ha avuto del prodigioso

Lo sprint di Wout

Fra i due non è mai corso buon sangue. Dopo la vittoria di Evenepoel ai mondiali di Wollongong, Van Aert fece una gran fatica a complimentarsi con lui. Wout sembrava il predestinato, il solo e vero avversario di Van der Poel. Il gigante capace di vincere le volate e le crono, poi di tirare in salita come i migliori scalatori. La Jumbo-Visma di quegli anni era una squadra prodigiosa, poi qualcosa si è inceppato. Andate a rileggere i nomi di quelli che c’erano ai Tour del 2022 e del 2023.

«Non sono troppo deluso – ha detto Van Aert – ma come ho detto, puntavamo a qualcosa di più. Per come si era messa, speravo di batterlo in volata, ma a quanto pare non ho più uno sprint. Vorrei anche una risposta alla domanda sul perché sia accaduto. Non abbiamo lavorato in modo diverso, ma è qualcosa che dobbiamo valutare. Non ho idea del motivo. L’unica spiegazione che vedo per oggi è che ho sofferto negli ultimi chilometri ed ero già oltre il limite quando lo sprint è iniziato».

Una spiegazione andrà cercata. Non è possibile che “quel” Van Aert sia sparito nei meandri di una preparazione sempre più cervellotica e in conflitto con il suo essere un uomo per le battaglie. Ha dovuto arrendersi a Van der Poel, così come a Pogacar e Pedersen. E’ stato battuto in volata da Powless e ora da Evenepoel. Il prossimo esame sarà l’Amstel di domani, poi il focus si sposterà sul Giro d’Italia. Ma quale sarà per allora lo scopo di questo immenso campione che ha smesso di trovare la strada?