Obiettivo maglia rosa: la Tirreno rafforza le ambizioni di Ayuso

18.03.2025
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SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Il tempo di ribadire che nella giornata di svago ad Ancona non avrebbe fatto null’altro che starsene a letto e semmai fare una breve passeggiata, poi Juan Ayuso ha lasciato la Tirreno-Adriatico con il sorriso appagato. Dopo il successo di Frontignano ha spiegato quanto sia difficile essere un corridore di vertice, dopo la vittoria finale (in apertura stringe il trofeo ricevuto da Stefano Allocchio) ha tracciato invece un primo bilancio con lo sguardo verso il Giro d’Italia.

Juan ha vinto, nessuno è parso in grado di mettere in discussione la sua vittoria, ma non ha schiacciato i rivali. La classifica corta ha reso necessario lottare su ogni traguardo senza dare mai nulla per scontato e grazie a questo la corsa è parsa molto interessante. Al punto da concedere una chance al miglior Ganna, che fino all’ultimo è rimasto in lotta per la maglia di ledaer.

Il duello Ayuso-Ganna si è risolto in montagna e solo in extremis. I due vengono entrambi dal Team Colpack
Il duello Ayuso-Ganna si è risolto in montagna e solo in extremis. I due vengono entrambi dal Team Colpack
Prima della Tirreno avevi detto che ci sarebbe stato spazio per crescere, credi di averlo fatto in questa settimana?

Molto, anche mentalmente, soprattutto con queste tappe di freddo e pioggia. Non mi era capitato tanto spesso di correre in condizioni simili. Una volta l’anno scorso, sempre qui alla Tirreno (la tappa di Gualdo Tadino, vinta da Bauhaus, ndr). Poi ricordo un giorno al Catalunya, con un meteo davvero difficile. Qui invece le condizioni sono state impegnative ogni giorno e sono certo che mi aiuteranno a migliorare, soprattutto in vista del Giro. Perché probabilmente a maggio ci saranno giornate come queste, cui devo abituarmi.

La tua tattica è stata piuttosto semplice: una grande crono e poi il tutto per tutto in salita. Hai temuto che potesse non riuscire?

Sì, certo. Ci sono stati momenti difficili, soprattutto per il freddo. Dopo la tappa di Colfiorito e i suoi 239 chilometri, ho pensato che non potesse andare peggio di così. Invece il giorno dopo, in discesa, faceva ancora più freddo. Per fortuna vedere che anche gli altri soffrivano mi ha aiutato a superare il momento di difficoltà. Come ho detto, anche questo è un percorso di apprendimento e quelli sono stati momenti delicati che sapevo di dover superare. Invece, parlando di gambe, mi sono sentito abbastanza bene per tutta la settimana. Sapevo che dovevo rimanere concentrato e aspettare la tappa di montagna.

Quanto è stato importante essere l’unico leader della squadra ed esserlo anche al Giro d’Italia?

Per me è sempre una questione di prestazioni e di essere il miglior corridore possibile. In questa squadra, ogni occasione che si presenta deve essere sfruttata al meglio, perché abbiamo tanti corridori che possono provare a vincere. L’anno scorso sono andato al Tour, ma è stato diverso. Nella sfida più grande della stagione, si doveva lavorare per un compagno di squadra e non sono abituato a farlo. Poi mi sono ritirato per il Covid ed è finita lì. Quando c’è Tadej, il migliore del mondo, dobbiamo correre per lui. Quest’anno però avrò anche io un grande obiettivo e mi piace molto sentire questo tipo di pressione.

Partenza del Tour 2024 da Firenze. Ayuso dovrà correre per Pogacar: un ruolo in cui non si troverà a suo agio
Partenza del Tour 2024 da Firenze. Ayuso dovrà correre per Pogacar: un ruolo in cui non si troverà a suo agio
In questi giorni è parso evidente l’ottimo rapporto che hai con Isaac Del Toro, sembra che siate anche buoni amici. Questo aiuta quando si è in corsa?

Issac mi aveva già aiutato molto in questa corsa l’anno scorso, poi non ci siamo più visti molto. Quest’anno, tranne Laigueglia, ho corso sempre con lui ed è stato di grande aiuto. Gli sono grato. Saremo insieme anche al Giro e credo che ci sosterremo a vicenda. Spero di ritrovarlo anche nella seconda parte di stagione, così anche io potrò aiutarlo a vincere.

Al Giro ci saranno altri rivali, il primo nome che salta agli occhi è Roglic. Preparando la corsa studierai i tuoi rivali oppure rimarrai concentrato unicamente su te stesso?

Da un lato, credo che ci si debba concentrare solo su se stessi, perché non si può controllare quello che fanno gli altri. Però devi anche conoscere i loro punti di forza e di debolezza per poterti adattare e cercare di batterli. Ho corso contro Roglic in tutte le condizioni atmosferiche, alla Vuelta e anche al Tour e mi ha sempre battuto (ride, ndr). Quindi, da questo punto di vista, la sfida non sarà a mio favore, ma spero di poterlo affrontare.

Un giornale spagnolo ha titolato: Ayuso, il Pogacar spagnolo. Ti piacciono certi accostamenti?

Da un lato è bello, perché dice che io sarei simile al miglior corridore della storia. D’altra parte però, non mi piace. Non perché soffra il confronto, perché hanno già parlato di me come del nuovo Indurain e del nuovo Contador. Semplicemente preferisco non essere paragonato a nessuno, perché tutti questi corridori sono stati migliori di me. Vorrei essere semplicemente me stesso, vincere le gare che devo vincere e perdere le gare che devo perdere. Sempre come Juan Ayuso. 

Le tappe di Colfiorito e Trasacco hanno messo a dura prova la sopportazione del freddo di Ayuso
Le tappe di Colfiorito e Trasacco hanno messo a dura prova la sopportazione del freddo di Ayuso
E’ vero, come ha detto il tuo diesse Guidi, che lo scorso inverno hai ragionato con la lungimiranza del vero leader?

Mi sono concentrato di più sul quadro generale, sul grande obiettivo: il Giro. Sto correndo poco. Ora andrò al Catalunya e poi basta. Forse si potrebbe pensare che abbia le gambe per andare ai Paesi Baschi e vincere, ma il Giro comanda su tutto. Per cui ora devo recuperare, dare tempo al mio corpo di assimilare gli sforzi e poi dedicarmi a un altro ritiro in altura per sistemare i dettagli. E’ stato l’inverno in cui ho lavorato di più, al punto che a gennaio ero già al peso forma, che ho sempre raggiunto un paio di mesi più avanti.

Hai già provato qualche tappa del Giro?

La tappa di Siena, quella delle strade bianche, che per noi corridori di classifica sarà cruciale e anche pericolosa. Poi ho visto la cronometro di Pisa, che è molto lunga e sicuramente farà delle grandi differenze. Penso che non ne vedrò altre, anche perché le montagne al momento sono ancora piene di neve.

Dopo Frontignano hai parlato della grande attenzione all’alimentazione: è davvero così estrema?

Si deve controllare tutto, vietato prendere cibo da asporto, ad esempio, perché non possiamo sapere come sia preparato. Credo che quando finirò il Giro, me ne starò per un po’ di tempo senza stress, mangiando cose normali. Ma per il resto non è così difficile, ci sono abituato. Non si tratta solo di riso bianco e uova. Gli chef del team fanno ricette molto buone e rendono tutto molto meno pesante.

Il giovane Del Toro è stato decisivo nella tappa di montagna e sarà con Ayuso anche al Giro
Il giovane Del Toro è stato decisivo nella tappa di montagna e sarà con Ayuso anche al Giro
Ti senti parte del gruppo importante, di quelli che vengono guardati con più rispetto?

Quando hai più gambe, tutto viene più facilmente. In gruppo facciamo tutti lo stesso lavoro, siamo su una bici e cerchiamo di ottenere i migliori risultati possibili. Anche se sanno che sei un corridore molto forte, nessuno ti regala niente e per questo devi lavorare sodo. Quindi per un verso non cambia molto, ma se alla fine della salita ho un po’ più di potenza per fare la differenza, allora le cose sono davvero differenti.

Tra noia e fughe a sorpresa, un Pogacar così come lo gestisci?

27.02.2025
5 min
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Se c’è una cosa che si può ammettere tranquillamente è che con Tadej Pogacar c’è sempre da stare all’erta. Perché ogni corsa riserva sorprese, forse anche perché il campione del mondo è sempre sotto i riflettori. Nella prima tappa prova a fare lo sprint? Gli dicono che come velocista ha molto da imparare. Il giorno dopo è terzo a cronometro? E giù critiche anche da parte di giornali e giornalisti affermati. Poi però, appena la strada si rizza sotto le ruote, lo sloveno mette tutto in chiaro: se c’è lui, non si passa…

A cronometro lo sloveno aveva colto il terzo posto e su qualche giornale sono piovute critiche
A cronometro lo sloveno aveva colto il terzo posto e su qualche giornale sono piovute critiche

Una corsa divisa in due parti

Questa è la prima parte del UAE Tour. Poi c’è la seconda: tutti pensano che sarà un lento (per modo di dire…) procedere verso l’ultima frazione, quella dello Jebel Hafeet, con l’arrivo in salita. Ma con lui non è mai così ed ecco che nella tappa del venerdì fa il numero ad effetto, va in fuga per 110 chilometri. Il gruppo non sa che fare, i commentatori non capiscono. Alla fine finisce 36°, fresco come una rosa, con l’espressione del divertimento puro. Il contrario del giorno successivo, quando se ne resta in gruppo e alla fine ammette: «Mi sono annoiato».

Essere con Tadej è come stare sull’ottovolante e Andrej Hauptman, da anni suo diesse ma soprattutto amico, lo sa bene: «Quell’attacco è nato quasi per scherzo. Aveva pensato di rompere la monotonia dando verve alla corsa, ma si aspettava che qualcuno lo seguisse, invece sono rimasti in gruppo e allora ha tirato avanti, incurante di come sarebbe andata a finire, pensando a fare una buona sgambata. Certo, si fosse trattato di un altro corridore avrei detto che era meglio evitare, ma lui è speciale…».

Nella tappa di Jebel Jais uno scatto nel finale gli era valsa la prima vittoria 2025 e la maglia di leader
Nella tappa di Jebel Jais uno scatto nel finale gli era valsa la prima vittoria 2025 e la maglia di leader
Il fatto di essere imprevedibile è una delle caratteristiche che lo rende unico, secondo te?

Una delle tante. Io dico sempre che per certi versi è un artista, che interpreta i suoi vezzi, che si lascia andare alla fantasia. In fin dei conti poi, ha quasi sempre ragione lui.

Dopo la tappa ne parlate?

Certo, mettiamo a confronto le nostre idee, come facciamo sempre prima di una corsa, così facciamo dopo. Molti sono rimasti colpiti dalle sue dichiarazioni del dopo la tappa di sabato, quando ha detto di essersi annoiato. Tadej è uno che ama visceralmente l’azione, il coinvolgimento. Per lui pedalare non è mai un gesto meccanico, vuole che abbia sempre un senso. Questo significa anche che onora ogni gara come se fosse una grande classica o la tappa di un grande giro. Tadej è così: magari è in testa alla corsa e si mette a tirare per un compagno, magari anche la volata. Per me è anche bellissimo avere a disposizione uno così. Anche se qualche volta mi fa sobbalzare il cuore…

Tu hai corso per anni: quando ti trovi nel gruppo uno così, talmente superiore e che fa cose contro la logica, non sbaraglia anche tutte le tattiche di corsa?

Questa è un’altra delle cose che ne fanno un corridore unico. Io sì, ero corridore, ma non era la stessa cosa, io facevo sempre tanta fatica. Ormai sono anni che lavoro con lui e vedo che ha la capacità di trasformare tutto in un gioco, anche per combattere la noia. Questo è bellissimo, anche perché non fa mai nulla che non sia ammesso. Certo, così mette in difficoltà le altre squadre, me ne rendo conto…

Un conto però è una tappa di una corsa pur importante come il Uae Tour, un altro quando in ballo ci sono i traguardi che fanno una carriera, come una classica o un Grande Giro…

Calma: Pogacar anche quando fa quelle che qualcuno potrebbe considerare “mattane”, lo fa sempre a ragion veduta. Venerdì la tappa era piatta, non c’era vento, sapeva che quello sforzo non gli sarebbe rimasto sulle gambe. Quando si tratta di corse importanti anche lui sa benissimo che ogni stilla di energia è importante e corre sempre per attuare un piano, mai per fare azioni fini a se stesse.

Tadej Pogacar e il suo diesse Andrej Hauptman. Entrambi sono arrivati alla UAE nel 2019
Tadej Pogacar e il suo diesse Andrej Hauptman. Entrambi sono arrivati alla UAE nel 2019
Siamo a meno di un mese dal primo di questi obiettivi, la Sanremo che anche, soprattutto per un corridore come lui è difficile da interpretare. Ci sta già pensando?

Diciamo che ci sto pensando soprattutto io, per capire la tattica giusta e gli uomini più adatti per affrontarla. Se rendere la corsa dura da lontano, se aspettare la parte finale, se portar via un gruppetto verso lo sprint finale o magari altro. Manca tempo, ma ci stiamo ragionando, vagliando ogni possibilità perché la Classicissima è la corsa che più di ogni altra sfugge a qualsiasi regola tattica. Lì veramente serve il tocco dell’artista…

La stagione dell’iridato sarà lunga, come lo hai visto in terra araba?

Siamo esattamente dove volevamo essere. A livello alto, ma c’è margine, c’è lavoro da fare. Abbiamo cambiato il suo calendario rispetto al passato, farà solo il Delfinato come corsa a tappe da qui al Tour, per il resto solo corse d’un giorno. Siamo tranquilli, la squadra gira benissimo sia quando si corre per lui che quando Tadej non c’è. Dobbiamo solo pensare a lavorare e a guardare avanti, state tranquilli che di noia non si parlerà più…

Narvaez torna in Europa, con le certezze dell’Australia

20.02.2025
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Una toccata e fuga. Jhonathan Narvaez ha esordito con la nuova maglia della Uae dimostrando subito di che pasta è fatto, conquistando al Santos Tour Down Under quel successo finale che gli era sempre sfuggito in una corsa di livello WorldTour. Già solo quel risultato porterebbe a dire che la scelta di lasciare la Ineos dopo ben 6 anni è stata giusta. Jhonatan è tornato in Ecuador, riconfermandosi campione nazionale e poi ha continuato ad allenarsi in altura, nella “sua” altura. Doveva venire in Europa per le corse iberiche, ma poi si è scelto di posticipare alle prime classiche belghe.

Per parlare con lui lo abbiamo praticamente buttato giù dal letto, fissando un appuntamento quando da lui erano le 7 del mattino. Eppure era già sveglio e pronto, davvero desideroso di raccontare la sua nuova dimensione e di riassaporare presto quel mondo messo solo provvisoriamente da parte.

Nella classifica del Tour Down Under, Narvaez ha prevalso con 9″ su Romo (ESP) e 15″ su Fisher Black (NZL)
Nella classifica del Tour Down Under, Narvaez ha prevalso con 9″ su Romo (ESP) e 15″ su Fisher Black (NZL)
Che cosa ha rappresentato per te la vittoria in Australia?

Per me è stata una vittoria importante perché è un appuntamento prestigioso. Ci tenevo particolarmente per dimostrare di essere un buon elemento per quel tipo di corse, lunghe una settimana. Sapevo che aveva le caratteristiche giuste, con salite non troppo lunghe. Lo scorso anno la vittoria finale mi era sfuggita per 9”, pensavo che dovevo solo fare le cose per bene e avrei colto il bersaglio grosso. Così è stato.

Qual è stato il momento più bello e quello più difficile?

Sicuramente il penultimo giorno, quello di Willunga perché c’era un vento molto forte che ha spaccato in due il gruppo e io mi sono ritrovato nella seconda metà. Ho pensato che non saremmo più riusciti a rimettere insieme i pezzi, che la corsa era ormai andata. Ma poi ho pensato anche che dovevo mantenere la calma, infatti sono rientrato e nell’ascesa finale ho messo insieme il tutto e ho vinto. Quindi nella stessa tappa c’è stato anche il momento migliore.

La volata vincente nella penultima tappa a Willunga Hill, battendo Onley e Fisher Black
La volata vincente nella penultima tappa a Willunga Hill, battendo Onley e Fisher Black
Le corse a tappe come il Santos Down Under sono la tua dimensione ideale come ciclista?

Credo di sì. Per me è una gara dura, ma non prevede lunghe salite da 20 minuti, quindi è adatta a me. Si tratta di fasi esplosive in cui bisogna essere veloci. Quindi posso dire che è una gara che si adatta alle mie caratteristiche. La cosa che mi dispiace è che di corse così, di una settimana intera, non troppo lunghe né brevi, non ce ne sono altre in cui potrò essere leader. Il che significa che avevo solo un colpo in canna…

Come ti sei trovato a fare il leader alla Uae?

E’ stato molto positivo, mi hanno dato fiducia sapendo che potevo essere un valido candidato al successo. Ho già fatto gare come capitano, gestendo la squadra, so come muovermi anche nei momenti difficili, ma il team mi ha dato molta sicurezza e soprattutto i compagni hanno lavorato in maniera splendida. Non dimentichiamo che era comunque una gara WorldTour, non si può mai dire come andranno le cose in un livello così alto.

L’ecuadoriano con compagni e staff ad Adelaide. Lo scorso anno aveva perso per appena 9″
L’ecuadoriano con compagni e staff ad Adelaide. Lo scorso anno aveva perso per appena 9″
Tu hai sorpreso tutti al Giro d’Italia battendo Pogacar il primo giorno: ripensa a quella tappa non come avversario ma come compagno di Pogacar, come potreste lavorare insieme nella stessa situazione?

Questa domanda non mi è mai passata per la testa, ma non so davvero cosa sarebbe successo in quello scenario, se lui fosse stato il mio socio e compagno di squadra. E’ un tema interessante, per trovare una risposta adeguata dovrei trovarmi a gareggiare insieme e non è ancora successo. Ho fatto solo dei training camp in cui abbiamo condiviso piccoli momenti in bici, in hotel e niente di più. Devo imparare a conoscerlo, sarà anche importante in vista del Tour.

Che tipo è e come ti trovi a essere un suo aiutante, magari proprio alla Grande Boucle?

Partiamo col dire che il Tour è un pensiero che mi entusiasma, perché non l’ho mai affrontato. Per me è molto importante portare a termine la gara. Ed è ancora più bello farlo in una squadra come la sua, accanto al campione in carica, quindi sarà una bellissima avventura e speriamo di arrivare in buone condizioni.

Appena tornato dall’Australia, Narvaez si è laureato campione nazionale, per la terza volta (foto Prensa Latina)
Appena tornato dall’Australia, Narvaez si è laureato campione nazionale, per la terza volta (foto Prensa Latina)
Le tue vittorie in Ecuador che risalto hanno avuto?

Ora il ciclismo sta crescendo poco a poco. Sia per quanto riguarda i giovani corridoi che per gli appassionati, c’è molto più fermento rispetto a sei anni fa, oggi il ciclismo è molto diffuso. Anche le corse sono molto più seguite. Le mie vittorie mi hanno reso piuttosto popolare, il successo in Australia ha avuto risalto. Prima non era così. Soprattutto nella zona in cui vivo, quella montuosa dell’Ecuador. Qui si va molto in bicicletta.

Tra poco torni in Europa: lasciare casa che sensazioni ti dà?

Non è tanto un peso perché viaggio sempre con la mia famiglia, ho mio figlio che ha un anno e quindi posso seguirlo insieme a mia moglie. Ci siamo adattati bene alla vita europea. Apprezzo i benefici della mia professione: tutta la mia vita è quasi organizzata e non mi costa nessuno sforzo tornare indietro. Ovviamente mi manca il mio Paese, poi in questo momento è bellissimo perché il clima è molto buono, ma fa parte del raggiungimento dei propri obiettivi professionali, è un sacrificio che faccio volentieri.

Il suo successo nel 2020 a Cesenatico, nel Giro d’Italia dove si è rivelato come ottimo finisseur
Il suo successo nel 2020 a Cesenatico, nel Giro d’Italia dove si è rivelato come ottimo finisseur
Tu farai tutto il periodo delle classiche, qual è quella che ti piace di più e con che ambizioni le affronti?

A me piacciono tutte molto, ma soprattutto quelle fiamminghe che meglio mi si adattano, ad esempio il Giro delle Fiandre. Ma anche quelle delle Ardenne mi piacciono molto. Le affronto tutte con molta ambizione, puntando a fare bene e portare a casa qualcosa, d’altronde un corridore non va avanti con l’ambizione. So che ci saranno gare dure, ma arriverò nelle migliori condizioni possibili, ho lavorato per quello.

Hai vinto due volte al Giro d’Italia: che differenza c’è tra il Narvaez del 2020 e quello dello scorso anno?

Ora riconosco di essere un corridore un po’ più maturo. Nel 2020 ho commesso ancora molti errori come professionista, forse un po’ di ignoranza su cosa bisogna fare in allenamento e a riposo. Negli ultimi anni ho lavorato meglio, sono stato più disciplinato con l’alimentazione, l’allenamento, il riposo e questo mi ha fatto fare un salto in avanti. Penso che la chiave sia cercare di fare le cose bene per poter emergere.

Il movimento centrale per sentirsi come Pogacar

04.02.2025
5 min
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Bikone è il movimento centrale usato da Pogacar e dal UAE Team Emirates. Ovvio, ci vorrebbero le sue gambe, la sua testa, il suo cuore ed i suoi polmoni, ma in qualche modo usare un componente che utilizza anche il fuoriclasse sloveno ci fa sentire un po’ più vicini a lui.

Abbiamo provato il movimento centrale che adotta la medesima tecnologia, quella dei cuscinetti ceramici, dell’involucro completamente in alluminio in due parti (DC Tech). Il Team UAE-Emirates adotta la versione T47 per via della predisposizione Colnago V4Rs (la nuova Y1Rs ha le calotte esterne al telaio), noi abbiamo utilizzato un press-fit, ma la sostanza non cambia. Per fare chiarezza anche su alcuni aspetti dei movimenti centrali ceramici abbiamo posto alcuni quesiti allo staff tecnico Maclart, importatore di Bikone in Italia.

Rispetto ad un movimento centrale standard è quantificabile il vantaggio che fornisce un movimento centrale Bikone DC Tech Ceramic?

Il primo vantaggio è che i cuscinetti in acciaio tendono progressivamente ad accumulare calore e quindi ad aumentare di dimensioni, con conseguente aumento dell’attrito. I movimenti centrali con cuscinetti in ceramica disperdono il calore immediatamente ed in modo costante nel tempo. Significa che l’attrito non cambia, nel nostro caso è minimo. In una corsa breve non si nota, ma quando si superano i 50/60 chilometri il calo è evidente e si aggrava. La perdita di wattaggio è compresa tra 13 e 18 watt, a seconda dell’atleta.

Che operazioni sono necessarie per mantenere alto il livello tecnico e di resa di un bb ceramico?

Come utente privato, diciamo che ogni 1.000-1.500 chilometri in condizioni normali di utilizzo, il movimento centrale deve essere smontato, pulito e sgrassato. Deve essere poi applicato il grasso adeguato. E’ consigliabile utilizzare la giusta quantità di grasso al Graphene. Se l’uso è agonistico, professionale o simile, il consiglio è di rimuovere il grasso ad ogni uscita e applicare nuovo grasso o gel specifico.

E’ possibile quantificare la vita utile in piena efficienza di un movimento centrale Bikone DC Tech Ceramic?

E’ difficile essere precisi, le variabili sono diverse. La pulizia, la manutenzione corretta e fatta nel modo giusto. Temperatura, ambiente di utilizzo, clima in generale, ma proviamo ad azzardare un’ipotesi. Tra i 10.000 e 15.000 chilometri per la versione Ceramic, tra i 10.000 e 20.000 chilometri per la versione con i cuscinetti in acciaio.

Come si presenta il movimento Bikone

Due calotte completamente in alluminio che si innestano l’una nell’altra. Sono molto rigide e ben fatte. Non hanno filettature (abbiamo testato la versione press-fit) e al pari del punto di innesto c’è una guarnizione (una sorta di or in gomma) che ha l’obiettivo di fissare le due porzioni e non fare passare lo sporco. Non c’è Teflon. Quest’ultimo non è presente neppure nelle due boccole d’ingresso dell’asse passante della guarnitura (nel nostro caso 24 millimetri Dura Ace).

La rigidità è nettamente superiore rispetto ad un buon movimento centrale standard. Fin dal primo momento in cui il movimento centrale è estratto dalla busta mostra una libertà assoluta e una scorrevolezza mai riscontrata in precedenza su movimenti centrali di pari livello e categoria.

Le sedi per l’asse passante, anch’esse in lega
Le sedi per l’asse passante, anch’esse in lega

Cuscinetti ben riparati

I cuscinetti sono montati a pressione. Sono protetti dalle boccole menzionate in precedenza. Ci sono due schermi parasporco (uno per lato) e c’è l’anello in polimero dove alloggiano le sfere. Queste ultime non si vedono e sono girate verso l’interno del movimento centrale (ottima soluzione, non così scontata).

E’ presente del grasso/gel in abbondanza, indice che sancisce l’utilizzo della tecnologia ceramica al 100%. Non è solo un rivestimento.

Più di 1.000 chilometri

Utilizzare un movimento centrale del genere, in una stagione dove lo sporco che arriva dalla strada è tanto e invasivo, è quasi un delitto. Non fosse altro per un prezzo di listino impegnativo. Eppure il Bikone si conferma un gran bel prodotto, fatto e confezionato a regola d’arte. L’indice di pulizia dopo oltre 1000 chilometri di utilizzo conferma il nostro feedback e non abbiamo risparmiato nulla, uscite con il bagnato, sporco e umidità. Eccellente anche il grasso di base che anche dopo i 1000 chilometri rimane e tutto sommato resta pulito e non pastoso.

Ne guadagna la scorrevolezza, anche se è difficile quantificare dei watt, in quanto riteniamo che dovrebbe essere coinvolta tutta la trasmissione, con una pulizia adeguata ed un trattamento specifico (catena in primis e anche il bilanciere posteriore con le sue pulegge). L’aumento della rigidità del comparto centrale invece è quantificabile nell’immediato. Merito del fusto in alluminio, merito di una fluidità del movimento che agevola lo scorrimento complessivo. Un controllo periodico del comparto è fondamentale anche nell’ottica di preservare l’asse passante e la boccola dove appoggia quest’ultimo, in quanto sono entrambi in alluminio.

Bikone

Scottoni e la settimana con la UAE: un sogno che si realizza

27.12.2024
4 min
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Dopo avervi parlato del Premio Cesarini, una challenge dedicata ad allievi di secondo anno e juniores di primo anno e svolta sulla piattaforma per indoor cycling MyWoosh, è arrivato il momento di raccontare l’esperienza dedicata al vincitore. Il più veloce e il più forte è stato Pietro Scottoni, atleta del team Vangi-Sama Ricambi-Il Pirata. Il laziale, grazie alle sue prestazioni, si è aggiudicato una settimana nel ritiro della UAE Team Emirates. Non da spettatore, ma da protagonista. Infatti Scottoni ha pedalato con i ragazzi del Team Gen Z ed ha vissuto sette giorni incredibili. Un’esperienza che spera possa essere solamente un antipasto del prossimo futuro. 

«Si è tratta di un’avventura spettacolare – ci dice quando ancora si trova a contatto con la realtà della UAE – una settimana nella quale si è pedalato tanto, con uscite lunghe e dure. Nei vari pomeriggi c’era tempo di riposare e fare qualche riunione, momenti nei quali ho comunque imparato tanto».

Un rapido selfie allo specchio prima di partire per il primo allenamento con il UAE Team Emirates Gen Z
Un rapido selfie allo specchio prima di partire per il primo allenamento con il UAE Team Emirates Gen Z

Dal giorno zero

Ma, come si dice, riallacciamo il filo e torniamo al primo giorno della sua avventura. Domenica 15 dicembre, quando l’aereo è atterrato nei pressi di Alicante ed è iniziato il tutto

«Il giorno stesso, domenica – racconta Scottoni – siamo usciti per una sgambata, chiaramente vista l’età mi hanno aggregato al Team Gen Z. Anche perché già loro vanno forte, immaginate i professionisti. Però è stato subito un bell’impatto e una grande emozione indossare la divisa della squadra che ha vinto la classifica UCI 2024. Non mi è mai mancato nulla, è stato davvero bello anche perché sono venuto a vivere l’esperienza da dentro. Non ero un ospite, ma uno di loro».

Scottoni ha seguito il programma dei ragazzi del devo team
Scottoni ha seguito il programma dei ragazzi del devo team
Tra i giovani c’eri solamente tu di nuovo?

No. Di ragazzi juniores eravamo quattro: due dagli Emirati, uno spagnolo e io. Seguivamo i ragazzi del devo team e il loro allenamenti. Ad esempio lunedì e martedì abbiamo fatto due uscite molto lunghe e dure, con tanta salita. Inizialmente è stata dura, anche perché non sono mai stato abituato a fare così tanti chilometri in questo periodo. 

Quanta curiosità avevi nel vedere da dentro una squadra del genere?

Tanta. Anche perché capire come vengono gestiti i corridori e vedere l’ambiente dall’interno non capita tutti i giorni. Da un lato anche gli allenamenti sapevo di doverli sfruttare bene, quando fai una settimana del genere torni che hai un’altra condizione. 

Pietro Scottoni, in primo piano, nel 2024 da junior primo anno ha vinto due gare (foto Valerio Pagni)
Pietro Scottoni, in primo piano, nel 2024 da junior primo anno ha vinto due gare (foto Valerio Pagni)
Cosa ti ha colpito maggiormente?

La logistica che c’è dietro. Basta vedere il salone a disposizione dei meccanici per capire la grandezza della squadra. Se un corridore ha anche il più piccolo problema tecnico si muovono per risolverlo. Questo poi non riguardava solo i meccanici, ma ogni ambito. 

Ci hai parlato anche di qualche riunione…

A livello teorico gli allenamenti che fanno sono gli stessi nostri, loro raggiungono un livello di specializzazione maggiore. Ma questo è normale. Tuttavia dai vari meeting mi porto a casa il fatto che mangiare prima e durante l’allenamento è davvero importante. Soprattutto quando si va sulle lunghe distanze. Alimentarsi male vuol dire finire presto la benzina. Se invece mangi bene quando torni dall’uscita senti di avere ancora energie. 

A Benidorm, Scottoni ha incontrato Sambinello, suo compagno alla Vangi
A Benidorm, Scottoni ha incontrato Sambinello, suo compagno alla Vangi
Hai avuto modo di incontrare anche i ragazzi del WorldTour?

Certo! Ho parlato un po’ con gli italiani: Baroncini e Covi. Mi chiedevano come fosse andata la giornata e cosa avessi fatto. Non sono entrato troppo nello specifico, anche perché sono uno a cui non piace disturbare. 

Con te c’era anche il tuo vecchio compagno di squadra Sambinello…

Siamo grandi amici, rivederlo con quella maglia mi ha fatto piacere per lui. Spero di fargli compagnia già il prossimo anno. 

La cosa che più ti è rimasta da questa settimana?

Stare in un ambiente del genere, dove tutto è grande ma allo stesso tempo non manca nulla. Anche se soltanto per una settimana fare questa vita mi è piaciuto molto.

Majka da Pogacar ad Ayuso, spalla preziosa al Giro

19.12.2024
6 min
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BENIDORM (Spagna) – Da quello che faceva lui, capivi che cosa avrebbe fatto Pogacar. Al Giro d’Italia è stato così quasi ogni giorno, quantomeno nelle tappe di salita. Quando il polacco si alzava sui pedali e calava il rapporto, la velocità cresceva di colpo. Significava che di lì a poco Tadej avrebbe attaccato e per allora gli altri sarebbero stati già al gancio. Rafal Majka è l’ultimo dei gregari all’antica. Uno che prima di lavorare per gli altri ha fatto il capitano.

A 35 anni detiene con Laengen il primato di corridore più anziano del UAE Team Emirates, dopo che nelle ultime due stagioni se ne sono andati i coetanei Trentin e Ulissi, per cui vederlo in mezzo a tanti ragazzini sembra persino strano. Se non fosse che gli stessi ragazzini lo guardano con rispetto e anche un filo di soggezione. Quello è Majka: ha vinto per due volte la maglia a pois del Tour e anche tre tappe.

Entrambi classe 1989, Laengen e Majka sono i due corridori più maturi del UAE Team Emirates
Entrambi classe 1989, Laengen e Majka sono i due corridori più maturi del UAE Team Emirates
Che effetto fa essere nella squadra numero uno al mondo?

E’ diventata forte, fortissima. Ci sono arrivato nel 2021, sono passati 4 anni e quasi non la riconosci. Non credevo che sarebbe stato possibile un progresso del genere, perché avviene in ogni comparto. I tecnici, gli allenatori, i nutrizionisti. E’ tutto ai massimi livelli e mi sento di dire che starci dentro è più facile di prima. Ho corso con Tinkoff e poi alla Bora, la UAE Emirates è la mia terza squadra. E quando faccio il confronto, per me è meglio perché è stabile. Si va senza problema ai ritiri, si prendono i voli e tutta una serie di dettagli. Come il fatto che abbiamo il cuoco sempre con noi. Anche nei ritiri prima di Giro, Tour e Vuelta. Ogni cosa che facciamo viene controllata, mi pare che ci sia una bella differenza rispetto ad altre squadre. Ho la sensazione che qui siamo proprio più avanti.

Hai corso per sei anni nelle squadre di Bjarne Riis, che sembrava il più organizzato di tutti. Se le riguardi adesso quanto sembrano più piccole?

Mi ricordo quando sono passato con Bjarne, la sua scuola prevedeva già una grande attenzione al cibo e il cuoco nelle corse più importanti. Ma le cose sono cambiate. Il carico sui corridori è aumentato e serve più concentrazione rispetto ad allora. Anche prima facevi sacrifici, però adesso ancora di più. Se vuoi vincere le corse, per stare avanti bisogna fare la vita oltre quello che prima si poteva immaginare.

Al Giro guardavamo te per capire cosa avrebbe fatto Tadej…

Lo sapete che prima del Giro avevo problemi con il tendine di Achille? Pensavo fosse il momento peggiore, però sono stato un mese a Sierra Nevada e il nostro fisio ha fatto il miracolo. Dopo due giorni di trattamento ho ripreso ad andare in bici e mi sono sentito subito molto meglio. Poi lo sapete, quando c’è un capitano come Pogacar e ti ritrovi davanti con venti corridori, sai che se acceleri, lui va via. Questo è un fenomeno, ragazzi.

Questo è il momento dell’attacco: Majka dà tutto, sta per scattare Tadej
Questo è il momento dell’attacco: Majka dà tutto, sta per scattare Tadej
A un certo punto chiedemmo a Matxin perché non portare anche te al Tour. Ce l’avresti fatta?

Dopo il Giro ci siamo ritrovati tutti a cena e abbiamo parlato. Stavo preparando anche io il Tour, in quanto prima riserva. Sono già stato per due volte in Francia con Tadej e uno l’ha pure vinto, quello del 2021. Però l’ultima parola spettava alla squadra e avevamo corridori molto bravi sia per la pianura e altri per la salita. Non sempre funziona tutto alla perfezione, anche a me sarebbe piaciuto andare, ma l’importante è che Tadej abbia vinto ugualmente. Ha vinto il Giro, il Tour e poi anche i mondiali.

Dicono che la figura del gregario non esiste più, allora tu cosa sei?

Prima ero capitano, adesso mi godo l’andare in bici. Ho un capitano di altissimo livello, uno così non l’avevo mai visto in vita mia. E’ anche un ragazzo umile, perché sono stato tanti giorni in gara con lui, anche in camera. E’ impressionante quanto sia umile e stabile, è sempre uguale. Quando però parte in bici, quello che vedo io è un terminator. Vuole ammazzare tutto. E’ lui che mi dice quando partire e io non aspetto altro.

Quest’anno è parso anche più potente di altre volte in passato.

Ha fatto la scelta di cambiare allenatore e la differenza si vede. Quando dopo un paio di anni che lavori allo stesso modo ti arriva l’impulso di cambiare, la squadra ti asseconda. Dal 2025 cambio anche io, ero sempre con lo stesso da quattro anni. Mi serve fare dei lavori diversi e questa squadra può darmi il supporto che mi serve, fra allenamento, bici e alimentazione. Tutti pensano che sia facile, però bisogna saper scegliere i corridori per lavorare e quelli per vincere. E’ il lavoro di Matxin, che lo fa bene.

Rafal, Magdalen, Maja e Oliwier: la famiglia Majka (immagine Instagram)
Rafal, Magdalen, Maja e Oliwier: la famiglia Majka (immagine Instagram)
Che cosa ti ha cambiato il nuovo preparatore?

Faccio un po’ lavori strani che non facevo prima. L’importante, come gli ho detto, è che voglio partire più tranquillo e arrivare bene, perché voglio fare il Giro d’Italia. Perché mi piace e penso che fare il Giro con Ayuso sarà diverso dal farlo con Pogacar. Juan è cresciuto tanto, soprattutto dopo questa stagione. L’ho visto quando ho corso con lui la Tirreno. E’ un ragazzo che vuole vincere e lo sai com’è un giovane che vuole vincere, scalpita. Io invece sono uno corridore che fa quello che gli viene detto dai direttori sul bus. Sono due leader diversi, però c’è una squadra che ti paga e bisogna fare al 100 per cento quello che ti dicono. Io penso che Ayuso possa arrivare fra i primi tre. Lo sapete come è il ciclismo, mai dire mai perché può succedere tutto, però può fare bene.

Ti sei mai pentito di aver fatto questa scelta, di non fare più il capitano?

Dopo Bora e dopo otto anni facendo il leader, mentalmente era diventato pesante. Non dico che non stessi bene, perché non sarebbe vero, però era un continuo carico di stress. Mi si attaccava addosso e interferiva nei rapporti con la famiglia, non riuscivo a essere in perfetto equilibrio. Invece questi quattro anni sono passati che quasi non me ne sono accorto. E’ incredibile. Matxin e Gianetti mi danno fiducia e anche quest’anno quando al Giro ho rinnovato il contratto con Mauro, non c’è stato nulla da ridire. Abbiamo trovato subito l’accordo, anche con Matxin per il mio ruolo. Lavoro al 100 per cento per la squadra, ma l’anno prossimo voglio vincere una corsa.

Quale corsa?

Spero di trovare spazio per vincere una tappa. Ne ho vinte tre al Tour e due alla Vuelta, mi manca una tappa al Giro. Sicuramente andrò a lavorare al 100 per cento per i ragazzi, però se avrò l’opportunità ci proverò. Prima pensiamo a lavorare e poi quando avremo un bel vantaggio e dopo che avremo fatto tutto quello che chiede la squadra, proveremo a portarne a casa una.

La forza della normalità: servirebbe un Covi in ogni squadra

17.12.2024
6 min
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BENIDORM (Spagna) – Mentre Diego Ulissi lo scorso anno non gradì troppo il fatto di essere stato escluso dal Giro d’Italia per fare punti nel resto del calendario, ad Alessandro Covi la cosa andò parecchio a genio. La sfortuna del piemontese fu che ebbe appena il tempo di cominciare la stagione e venne raggiunto, nell’ordine, dal Covid, da un grosso problema ai tendini e a seguire da un trauma cranico per caduta. Quando ha ricominciato a correre, le sue occasioni erano praticamente finite e così si è dato da fare come gregario, mettendo in fila però il sesto posto al Memorial Pantani e il secondo al Matteotti.

Nella giornata dedicata ai media nel ritiro del UAE Team Emirates, in mezzo a tante stelle del firmamento ciclistico, andare a cercare Covi è un atto rivoluzionario. Quando gli abbiamo dato appuntamento prima che uscisse per l’allenamento, qualcuno dello staff lo ha persino preso in giro. Forse se ne è stupito anche lui, sottovalutando la forza dell’umanità e dell’umiltà. Dovrebbe esserci un Covi in ogni grande squadra, per questo gli abbiamo chiesto di fare due chiacchiere. E quando viene a sedersi con quel che resta di una criniera giallo platino, riconosciamo lo sguardo mite e i bagliori folli del ragazzino che incontrammo per la prima volta fra gli under 23. Solo che nel frattempo Covi ha imparato a tenere a bada i suoi slanci di simpatica follia.

Il secondo posto al Matteotti dietro Aular non ha reso Covi particolarmente felice: c’è da capirlo
Il secondo posto al Matteotti dietro Aular non ha reso Covi particolarmente felice: c’è da capirlo
Non c’è più “lo zio Diego” e la squadra cambia ancora.

Ulissi se ne è andato e la squadra è davvero cambiata tanto negli anni. E’ sempre più internazionale, è la numero uno al mondo, quindi sono onorato di essere qui. Italiani siamo rimasti in pochi, speriamo pochi ma buoni (ride, ndr). Il prossimo sarà il sesto anno, sono qui da tanto. L’ho vista crescere in ogni aspetto, l’effetto è impressionante e penso che crescerà ancora tantissimo. Siamo nel posto in cui meritiamo di essere, cioè in cima alle classifiche mondiali. Negli anni abbiamo lavorato per quello, era un obiettivo della squadra. Per questo è un onore esserne parte e correre con questa maglia.

Discorso da calciatore, ma ti si perdona. Vista tanta concorrenza, è difficile guadagnarsi il posto nelle gare che contano?

Ovviamente ci sono tantissimi corridori forti. Se ti guardi intorno, vedi tanti campioni, quindi devi meritarti ogni cosa. Bisogna andare forte, il segreto è quello.

L’anno scorso fu fatta la scelta di non correre i Grandi Giri per puntare alle corse di un giorno, la rifaresti?

L’anno scorso, come avete detto, sono stato particolarmente sfortunato. A partire dalla Tirreno ho avuto un susseguirsi di problemi che mi hanno fatto saltare 30 giorni di bici nei tre mesi centrali della stagione. Ho saltato proprio le gare in cui sarei andato per fare bene. Sono andato avanti correndo per due settimane e fermandomi nelle due successive. Quindi non sono riuscito a rendere come avrei voluto. Nel finale di stagione invece ho trovato un equilibrio. Non ho più avuto problemi sulla mia strada e sono riuscito a fare delle buone prestazioni. Sperando che tutto questo prosegua fino all’anno prossimo, vorrei davvero provare a fare qualche risultato. Mi piace l’idea di stagione che avevamo immaginato già l’anno scorso. A me piace correre. E anche se il Giro per noi italiani è la corsa più importante, per me vincere è fondamentale. Quindi spero di tornare ad alzare braccia al cielo. Soffro questa situazione, mi manca.

Nell’hotel si gioca con la mitologia egizia. Quello non è un puma, ma per scherzare con il Puma di Taino, va più che bene
Nell’hotel si gioca con la mitologia egizia. Quello non è un puma, ma per scherzare con il Puma di Taino, va più che bene
Anche perché andare al Giro con certi leader significa soprattutto tirare, no?

E difficile avere il proprio spazio. Poi magari l’occasione capita ugualmente, però andando in una gara con un livello minore nei giorni del Giro, c’è più possibilità di fare il proprio risultato, che porta punti alla squadra. Ovviamente aiutare per me non è mai stato un problema, l’ho sempre fatto volentieri. Però quello che mi dà motivazione allenandomi è sicuramente vedere dove posso arrivare al confronto con i migliori corridori del gruppo. Ho visto che la gamba per tornare a quei livelli c’è e voglio davvero sfruttare l’anno prossimo per vincere delle gare. Che sia il Giro d’Italia o un’altra, per me è importante alzare le braccia al cielo.

Sei qui da sei anni, che cosa è cambiato nel tuo lavoro?

Il modo di approcciarsi con l’alimentazione. Un po’ anche gli allenamenti, però alla fine la bici è sempre pedalare nello stesso modo, quindi la palestra e gli esercizi sono sempre quelli. Quello che cambia sono dei piccoli particolari. Quel che noto è che prima si lavorava di più, si faceva più quantità. Ora c’è più qualità, lavori specifici che durano più a lungo durante un allenamento più corto. Una volta facevi sei ore piano, adesso se ne fanno quattro, ma a ritmo più sostenuto.

Come si trova il Covi brillante e persino dissacrante di un tempo in questi schemi così precisi?

Mi sto adattando, mi stanno piegando (ride, ndr). Alla fine è una conseguenza del ciclismo che c’è adesso. Ti guardi in giro, sono tutti super professionali e lo sono diventato anch’io. Se vuoi stare a questi livelli, devi fare tutto al 100 per cento.

Le corse in Veneto sono state le ultime di Covi con Ulissi: qui il Giro del Veneto, poi la Veneto Classic
Le corse in Veneto sono state le ultime di Covi con Ulissi: qui il Giro del Veneto, poi la Veneto Classic
Non hai ancora un calendario gare, ma potendo scegliere dove andresti?

Ho visto più o meno il calendario, ma ancora non ne abbiamo parlato. Per cominciare direi Laigueglia, che mi piace tantissimo e ci sono affezionato. Poi la Tre Valli a fine stagione, che reputo la gara di casa. Quest’anno siamo stati sfortunati con il meteo, ma speriamo di tornarci l’anno prossimo e vincerla. Nel mezzo mi piacerebbe fare bene al campionato italiano. Non so esattamente dove sarà, però è sempre una gara che ti dà la motivazione per fare bene.

Due soli italiani nella WorldTour (tu e Baroncini), tre nella Gen Z (Giaimi, Sambinello e Stella). Come sono i rapporti con i più giovani?

L’anno scorso ho avuto modo di conoscere Luca Giaimi, che era l’unico italiano. Adesso ce ne sono altri due e almeno li ho conosciuti. Con Luca è stato un reciproco cercarsi, un po’ mi ha cercato lui e un po’ l’ho cercato io. Ha una casa vicino ai miei familiari a Varese, quindi ogni tanto ci siamo trovati anche in allenamento per poi creare un legame di amicizia. Un po’ come Ulissi e me, ho fatto e sto facendo del mio meglio per trasmettergli qualcosa. Speriamo che farà una buona stagione.

Ti mancherà Ulissi?

Diego mi mancherà a livello di amicizia, questo è certo. Come maestro di ciclismo, quando è andato via mi ha detto che quello che aveva da insegnarmi, me l’ha trasmesso tutto. Ho preso tanto da lui, ma ognuno ha la sua personalità, per cui sto facendo anche del mio per trovare la mia strada. Ormai ho 26 anni e un pacchetto di esperienze grazie al quale posso trasmettere qualcosa anche io. Speriamo che il sistema funzioni anche con questi giovani.

Ayuso fa rotta sul Giro e lavora per superare Pogacar

16.12.2024
6 min
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BENIDORM (Spagna) – Prima di Roglic, la dichiarazione d’amore al Giro d’Italia l’ha fatta Juan Ayuso. E’ stato Matxin, il capo dei tecnici del UAE Team Emirates ad annunciarne la presenza e subito dopo lo spagnolo l’ha confermato. Verrà al Giro per tentare di vincerlo, come ha già fatto nel 2021 fra gli under 23. Il nodo che resta da sciogliere riguarda l’eventuale presenza di Pogacar, che per decidere aspetterà il 19 dicembre e la presentazione della Vuelta. E’ chiaro che in quel caso cambierebbe tutto, ma nel parlarne Ayuso minimizza e tira dritto.

Il terzo posto alla Vuelta del 2022 sembra lontanissimo. I successivi problemi al ginocchio e il quarto posto del 2023 hanno confermato che la sostanza è tanta, mentre il ritiro dall’ultimo Tour con qualche sbavatura nei rapporti con i compagni ha lasciato un interrogativo che il Giro potrebbe risolvere definitivamente.

«Io vado al Giro – sorride Ayuso – se poi ci viene anche Tadej, allora saremo in due e non è un problema. Sono completamente concentrato sul Giro, è uno degli obiettivi più grandi per la prossima stagione. In termini di preparazione per me non cambia nulla. Ci si prepara sempre al meglio delle proprie possibilità, nel miglior modo possibile. Se Tadej ci fosse, correremmo in un modo, se non lo fa, cambierebbe tutto, ma il focus sul Giro non cambia».

Pogacar, Ayuso e il Tour a Firenze. Lo spagnolo lascerà la corsa dopo 13 tappe
Pogacar, Ayuso e il Tour a Firenze. Lo spagnolo lascerà la corsa dopo 13 tappe
E’ stato il tema del 2024, il fatto di essere in una squadra con così tanti leader e non avere il tuo spazio. TI senti mai schiacciato?

Non userei questi termini, ma è vero che siamo una delle migliori squadre del mondo per cui ho molti compagni di livello molto alto. Questo fa crescere il livello di tutti, perché se vuoi avere una possibilità, devi dimostrarti all’altezza, non puoi semplicemente chiederlo, perché potrebbero esserci dei corridori migliori di te. Quindi penso che anche questa sia una motivazione, sai che devi continuare a lavorare e non puoi rilassarti.

Parlando del Giro con Tadej, sei riuscito a farti dare qualche consiglio?

Penso che per Tadej sia tutto più facile che per ciascuno di noi, quindi è abbastanza difficile ottenere dei consigli. E’ il migliore del mondo e tutto ciò che fa lo fa sembrare più facile di quanto in realtà non sia. Ho molti amici al di fuori del ciclismo che non guardano molto le corse. Poi vedono Tadej fare certe cose e pensano che sia normale. E io invece gli dico che non lo è. Tadej Pogacar è un bravo ragazzo da avere intorno ed è meglio averlo dalla tua parte che come avversario.

Sai spiegarti perché gli viene tutto così facile?

Perché è il migliore del mondo. È come quando vedi Messi con la palla e come gira intorno a tutti. Anche quello può sembrare facile, poi però vedi tutti gli altri e capisci che non possono farlo. Penso che nel ciclismo lui sia come Messi.

Prima crono del 2024 alla Tirreno: Ayuso si lascia indietro Ganna per un secondo e Milan di 12″
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Avete entrambi dei contratti a lungo termine, quindi per tutto il resto della tua carriera avrai intorno Tadej. Cosa pensi che succederà fra un anno o due?

Se lui oggi è considerato il miglior corridore al mondo, immagino che per fare meglio dovrò prendere io il suo posto. Ma se azzardassi una cosa del genere, voi della stampa chissà cosa direste. Per cui mi limiterò a dire che un giorno mi piacerebbe essere migliore di lui, perché è il miglior corridore del mondo. Sogno di essere come lui, quindi per riuscirci dovrei batterlo. Ovviamente non voglio che questo crei un malinteso perché Tadej non è un rivale, ma il mio metro di paragone. Lui mette l’asticella e tu devi cercare di raggiungerla.

Dopo il Tour si vociferava che fra voi due non corresse buon sangue…

La relazione fra noi è perfettamente normale. Abbiamo passato molto tempo insieme, specialmente quest’anno, preparando il Tour. E anche l’anno scorso, quando lui si allenava per il Tour e io per il Tour de Suisse. Abbiamo passato molto tempo in ritiro e questo crea delle amicizie. E’ stato difficile per me non poterlo aiutare al Tour, mentalmente mi sono sentito incapace di dimostrare quello che ero in grado di fare. Ne abbiamo parlato in privato e penso che abbia capito la situazione. Lo apprezzo molto per questo, perché pur essendo un campione si prende sempre del tempo anche per questi dettagli. E per quanto riguarda il contratto, ora sono contento e non ho bisogno di pensarci.

Quando si è svolta questa conversazione fra voi?

Andato via dal Tour, la volta successiva ho visto Tadej in Canada. Ci tenevo a dirgli che quello che era uscito sulla stampa non era vero e volevo che lo sentisse direttamente da me. Ma l’ho anche ringraziato per un paio di cose per le quali gli ero molto grato e poi l’abbiamo chiusa lì, perché mi è parso che abbia capito alla perfezione quello che volevo dirgli.

Tirreno-Adriatico 2024, tappa di Valle Castellana: Vingegaard in fuga da solo, Ayuso insegue con Hindley
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Diventare il migliore al mondo è una bella scalata, dove vedi che devi migliorare di più?

Per ora penso a ogni piccolo aspetto. Mi piacerebbe migliorare di più in salita perché mi considero uno scalatore, ma se guardo le mie vittorie, la metà di esse sono venute sulla bici da crono. E’ strano, ma del resto se si vuole vincere una classifica generale, bisogna andare forte anche contro il tempo. Ora per me è difficile recuperare uno o due minuti in salita, ma posso guadagnarli nella cronometro e questo viene in mio favore. Ma se voglio cercare di colmare il divario da corridori come Vingegaard, Remco e Roglic, devo assolutamente diventare uno scalatore migliore.

Non significa mettersi troppa pression?

La pressione che metti su te stesso non è la stessa che può venirti dall’ambiente. Quando sono andato al Tour, volevo fare del mio meglio e avere questo tipo di motivazione è molto importante perché è quello che faccio da quando ero piccolo. E’ un plus che mi motiva di più.

Cambierai la tua preparazione?

Non so ancora dirlo nei dettagli, ma forse ci sarà più carico di lavoro. Fino ad ora, anche a causa della mia età, probabilmente non mi allenavo lo stesso numero di ore degli altri. Quindi un aspetto sarà quello di cercare di aumentare le ore generali, intervenendo poi con dei lavori specifici. Ci sono vari tipi di mitologia sui tipi di allenamento, ma preferisco attenermi a quello che penso abbia davvero funzionato per me. D’altra parte, penso che sarebbe un errore fare 20 anni di carriera allo stesso modo, quindi voglio sperimentare cose nuove.

Juan Ayuso ha compiuto 22 anni il 16 settembre. E’ pro’ dall’estate 2021
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Hai già vinto un Giro d’Italia da U23, qual è il tuo rapporto con l’Italia?

La verità è che fare il Giro mi riporta alla mente tanti bei ricordi, perché ho corso per metà anno alla Colpack. Quattro o cinque mesi a Bergamo in cui sono stato molto bene e le gare da under 23 che ho fatto in Italia mi hanno permesso di fare un salto molto importante grazie al quale sono arrivato di qua con molta più fiducia. Mi piace correre in Italia. L’anno scorso la Tirreno è andata bene per certi versi, ma fare secondo non mi è piaciuto tanto, quindi spero di tornarci il prossimo anno e che il Natale mi porti fortuna e buoni risultati.

Mondo Emirates, viaggio fra sport, affari e campioni

20.11.2024
7 min
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«Purtroppo non possiamo fare molto con Pogacar – dice mister Boutros – perché il contratto di Emirates è con la squadra. Ma nel frattempo, se dovessimo avere un concetto di pubblicità per il quale valga la pena, non lo escludiamo: tutto è possibile. Dipende dalla campagna pubblicitaria che stiamo conducendo, dalla personalità che dobbiamo utilizzare. Detto questo, non abbiamo sfruttato appieno Pogacar, credo soprattutto perché questi ciclisti continuano a pedalare tutto l’anno e non so se hanno tempo per fare altro».

Chi parla è Boutros Boutros, vicepresidente esecutivo e responsabile marketing e comunicazioni di Emirates. La compagnia aerea emiratina supporta dal 2017 il team di Mauro Gianetti, ma sponsorizza squadre di calcio fra cui Milan e Real Madrid e altri sport fra cui cricket, rugby, tennis, ippica, vela, basket… L’elenco è davvero lungo e certamente pregiato e questo ha acceso la nostra curiosità di sbirciare in casa loro, per farci raccontare i criteri di scelta delle discipline che sostengono.

Il nostro interlocutore ha svolto un ruolo chiave nella costruzione del marchio globale della compagnia, guidando un team di oltre 150 professionisti e più di 100 agenzie globali, che ne fanno uno dei comunicatori aziendali più influenti e di alto profilo del Medio Oriente. Boutros è entrato in Emirates nel 1991 ed ha alle spalle anche due decenni di esperienza nel giornalismo, nelle relazioni pubbliche e nel marketing.

Boutros Boutros è vicepresidente esecutivo e responsabile marketing e comunicazioni di Emirates (foto Gulf News)
Boutros Boutros è vicepresidente esecutivo e responsabile marketing e comunicazioni di Emirates (foto Gulf News)
Emirates e lo sport: come nasce?

Quando abbiamo avviato la compagnia aerea, abbiamo sempre saputo dove volevamo arrivare. Ma è molto difficile pensare di conquistare il mondo quando si inizia con due aerei e due rotte. Il modello di business delle compagnie aeree è molto costoso, dato che ogni aereo costa più o meno 200 milioni di dollari e ogni nuova rotta costa una fortuna. Comunque, per farla breve, sapevamo che saremmo arrivati a un livello globale, sapevamo dove saremmo arrivati. Perciò avevamo bisogno di farci conoscere, perché non ci conosceva nessuno, nemmeno a Dubai. Sto parlando dei primi anni ’90 e abbiamo scoperto che lo sport era il modo migliore per aumentare la consapevolezza e avvicinarci al pubblico.

Quale sport? E perché?

Ci sono differenze. Si passa da sport conosciuti a sport meno conosciuti, sport seguiti e sport meno seguiti. Siamo partiti da questa considerazione, sapendo ad esempio che la maglia di un calciatore è la migliore connessione con le persone che lo amano. I calciatori hanno i loro sostenitori, il loro pubblico. E naturalmente una voce importante è la copertura televisiva, che oggi per il calcio è massima. Così abbiamo pianificato come crescere fino a raggiungere il top, per esempio partendo dallo sport più seguito che per il mondo occidentale è il calcio. Poi c’è il cricket, che coinvolge probabilmente 2 miliardi di persone. E poi c’è il rugby. Abbiamo stilato una lista di sport di punta, purtroppo a spese di tutti gli altri. Non possiamo approfondirli tutti, anche se ci piacerebbe.

Siete voi a scegliere lo sport o ricevete richieste fra cui scegliete?

Come in tutte le attività commerciali, tutti vogliono avvicinarsi per entrare nel business. Ma come ho detto all’inizio, abbiamo preso in considerazione gli sport più trasmessi. Così ad esempio, inizialmente ci siamo avvicinati alla Formula Uno. Però ci siamo detti che è troppo rischiosa e poteva creare una pericolosa associazione di idee. Noi facciamo volare le persone e quindi non ci è sembrato utile sposare uno sport soggetto a incidenti

Fra le squadre di calcio sponsorizzate dalla compagnia aerea c’è il Real Madrid (Facebook/Emirates)
Fra le squadre di calcio sponsorizzate dalla compagnia aerea c’è il Real Madrid (Facebook/Emirates)
Avete creato un ranking di discipline appetibili?

Abbiamo scoperto che i primi sei, sette sport sono il calcio, il football, il tennis, il golf, il rugby, il cricket e l’equitazione, perché è un grande sport in Medio Oriente e genera un’ottima immagine. Ci siamo resi conto che nel complesso questi sport coprono quasi tutti gli appassionati del mondo e così ci siamo mossi.

E cosa avete fatto: avete bussato alle loro porte?

Naturalmente c’è sempre da considerare il prezzo e la disponibilità, perché nelle sponsorizzazioni sportive, come in tutte le altre cose, le prime due o tre squadre sono sempre occupate, quindi bisogna scegliere bene il tempo. Siamo stati abbastanza pazienti da aspettare il momento giusto ed è questo il motivo per cui ci sono voluti forse 10 anni per costruire il nostro portfolio.

C’è differenza tra sostenere una squadra o un singolo sportivo?

Noi non sponsorizziamo singoli atleti, perché otteniamo molto di più dalle squadre. In più dal punto di vista amministrativo gestire una sola persona richiede lo stesso tempo della gestione di un club.

Emirates sposnorizza la NBA Cup, che si concluderà con una Final Four a Las Vegas (Facebook/Emirates)
Emirates sposnorizza la NBA Cup, che si concluderà con una Final Four a Las Vegas (Facebook/Emirates)
Le sponsorizzazioni hanno modalità diverse…

Dobbiamo scegliere come distribuire le nostre risorse. Dove possiamo, ci concentriamo sul prendere la maglia. Se invece non è disponibile, si fa qualcos’altro. Ad esempio, si prendono i led dello stadio, ma il vero obiettivo è la maglia. Ecco perché sponsorizziamo gli arbitri del rugby, del cricket e anche dell’NBA. Questa è un’area che più o meno ci appartiene, perché nessun’altra compagnia aerea è riuscita ad arrivarci. Abbiamo provato anche con il calcio, ma sponsorizzare gli arbitri non è parso la cosa migliore, avendo anche delle squadre. Si poteva scrivere qualcosa sulle maniche, ma sono troppo piccole perché vengano notate in televisione. La sfida più grande è individuare la misura e il posto in cui mettere il nostro nome.

Sponsorizzate anche molti eventi sportivi, danno dei buoni riscontri?

Facciamo eventi nel cricket e la Coppa del mondo di rugby. Non è possibile sponsorizzare tutte le squadre del mondo, perché è molto costoso. E allora si va al mondiale di rugby, per esempio, si sponsorizza l’arbitro e poi magari lo stesso torneo.

Parliamo del ciclismo?

Abbiamo scelto una squadra sapendo che avrebbe vinto. E’ più facile seguire una squadra piuttosto che le tante corse di ciclismo in giro per il mondo. Il Tour de France è famosissimo, come un altro un paio di eventi, ma ce ne sono tanti. Ecco perché abbiamo una squadra, perché ci rappresenta. E siamo stati abbastanza fortunati nel fare la squadra degli Emirati Uniti, che poi ha anche vinto.

Nella vela, ecco Emirates Nuova Zelanda e il team SailGP Emirates Gran Bretagna (Facebookl/Emirates)
Nella vela, ecco Emirates Nuova Zelanda e il team SailGP Emirates Gran Bretagna (Facebookl/Emirates)
Avete la squadra numero uno al mondo, in cui milita il corridore più forte del mondo: che effetto fa?

Abbiamo iniziato perché ne conoscevamo il potenziale, ma un conto è poter competere e tutt’altro è vincere. Siamo stati fortunati che abbiano vinto il campionato del mondo e poi siamo stati fortunati che abbiano i migliori corridori del gruppo. E’ una zona nuova in cui abbiamo iniziato a pedalare per provare e credo che abbiamo fatto bene a sponsorizzare una squadra piuttosto che il singolo ciclista.

Quindi la squadra funziona più dell’evento?

Sì, attraverso le persone e i loro risultati c’è un legame migliore. E questo riflette davvero lo spirito emiratino: si può lavorare in squadra, si può avere successo e ci si può distinguere da tutti gli altri.

E’ importante che il team abbia sede negli Emirati Arabi Uniti?

Abbiamo iniziato come squadra di supporto per gli Emirati Arabi Uniti. Volevamo una squadra che portasse il nome del Paese, perché in fin dei conti noi ne portiamo la bandiera. All’inizio eravamo noi a sostenerli, ora sono loro a sostenere noi, perché hanno mantenuto la promessa e hanno fatto così bene che ora siamo davvero orgogliosi. E anche dal punto di vista finanziario, il rapporto qualità/prezzo è molto buono.

In Italia il marchio si riconosce sulle maglie del Milan (Facebook/AC Milan)
In Italia il marchio si riconosce sulle maglie del Milan (Facebook/AC Milan)
Per cui, concludendo, si può dire che la sponsorizzazione nel ciclismo sta funzionando?

Sta andando molto bene, perché ci ha permesso di intercettare molti clienti in aree in cui di solito non siamo presenti. Ci ha permesso di raggiungere un pubblico a cui non avevamo mai pensato. Il ciclismo ha la sua popolarità, perché è uno sport che tutti possono praticare. In tutto il mondo, quasi tutti vanno in bicicletta e quasi tutti possono permettersi una bicicletta. Non c’è bisogno di percorsi particolari, si può andare in bicicletta nel cortile di casa o sulle strade nei dintorni. Il ciclismo è molto più grande di quanto la gente si renda conto. Noi stessi ce ne siamo resi conto quando abbiamo iniziato a essere coinvolti.

E mister Boutros è mai andato in bicicletta?

Ho tentato la fortuna, finché un paio di anni fa mi sono infortunato. Ormai è troppo tardi per riprovarci, ho una grossa placca nella gamba, penso sia meglio fare altro. Spero di averle dato tutto ciò che desidera, ho il telefono che squilla. Spero di rivederla presto.