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In Lussemburgo un grande Ulissi, “bandiera” del team UAE

30.09.2023
4 min
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Nel Giro del Lussemburgo vinto da Marc Hirschi, il Uae Team Emirates ha fatto davvero la voce grossa, con McNulty appena dietro lo svizzero e nel complesso ben 5 atleti tra i primi 10. Fra loro anche Diego Ulissi, apparso davvero in ottime condizioni di forma e perfettamente a suo agio in quel ruolo misto nel quale si contraddistingue: uomo al servizio degli altri ma pronto anche a prendersi le sue responsabilità e soddisfazioni. Un quinto posto finale in classifica che ha un suo peso specifico.

Ulissi insieme al vincitore finale Hirschi. Nei primi 10 anche McNulty e Grosschartner
Ulissi insieme al vincitore finale Hirschi. Nei primi 10 anche McNulty e Grosschartner

In Lussemburgo il corridore di Donoratico ha sempre fatto piuttosto bene: «Nel 2020 l’ho anche vinto, ma aveva una conformazione diversa – dice – non c’era la tappa a cronometro. Conosco però bene quelle strade, alcune tappe non erano diverse da quelle che avevo affrontato e questo mi ha aiutato. Sto bene e ho raggiunto un buon stato di forma per questo finale di stagione, anche se continuo a convivere con un problema al naso che dovrò risolvere quanto prima. Infatti chiuderò con la prima corsa in Veneto per poi operarmi».

Il quinto posto finale, al di là della classifica particolare con il dominio del tuo team, conferma comunque che nelle brevi corse a tappe, fino a una settimana, riesci sempre a emergere…

E’ sempre stata la mia caratteristica e negli anni sono andato migliorando sotto questo specifico profilo, ma ormai ne ho 34 e credo che il mio massimo l’ho già raggiunto. Correre in uno dei team più forti al mondo è una continua sfida, nella quale cerco di ritagliarmi i miei spazi. Ad esempio, in questo Tour of Luxembourg sono contento di com’è andata la cronometro, un terzo posto finale che non è di poco conto, significa che sto bene e l’ho dimostrato in una corsa di alto livello.

Per il toscano un’ottima prestazione a cronometro, 3° a 20″ da Campenaerts
Per il toscano un’ottima prestazione a cronometro, 3° a 20″ da Campenaerts
Tu hai già la conferma per il prossimo anno…

Per me è un titolo di vanto aver sempre militato nello stesso team, sin dal 2010. In questa fase della mia carriera aiuto gli altri, cerco di fare un po’ il regista in corsa, ma ci sono anche occasioni, nelle quali sono chiamato io a fare da capitano e finalizzatore, a mettere a frutto quello spunto vincente che mi è rimasto. Mi si chiede di portare punti alla causa, a me come a tutti, infatti era questo l’obiettivo nella corsa lussemburghese e credo che alla fine abbiamo portato a casa un bel bottino…

Pensi che sia il frutto anche di una squadra dove sono tutti capitani che lavorano insieme, quindi senza più ruoli ben definiti e i classici gregari di una volta?

Sì, ma non siamo i soli, un po’ tutte le grandi squadre sono ormai costruite in questa maniera, bisogna essere duttili. Guardate quel che è successo alla Vuelta con Vingegaard e Roglic. E’ il ciclismo attuale che lo richiede e le squadre si stanno man mano adeguando.

Lo sprint della prima tappa, vinta da Strong (Israel) con Ulissi quarto
Lo sprint della prima tappa, vinta da Strong (Israel) con Ulissi quarto
Tu sei arrivato a 34 anni: cos’altro è cambiato rispetto a quando sei approdato al ciclismo professionistico?

Oggi i corridori che passano professionisti sono molto più pronti rispetto ad allora. Non c’è più gavetta, non c’è più attesa, passano e sono già pronti per vincere. Non devi più insegnargli niente, hanno già appreso quello che serviva. Ci sarà un rovescio della medaglia? Avranno una carriera più corta? Solo il tempo potrà dirlo.

Ti è pesato vivere il giorno dell’europeo da un’altra parte?

Non era una corsa per me, servivano corridori esplosivi, pronti a rilanciare di continuo. Il sogno europeo non l’ho mai avuto, tra l’altro gareggiando non ho neanche visto la corsa, ho saputo tutto dopo.

Per il corridore di Donoratico la prossima sarà la quindicesima stagione nel team Uae, prima Lampre
Per il corridore di Donoratico la prossima sarà la quindicesima stagione nel team Uae, prima Lampre
A proposito di sogni, te ne è rimasto qualcuno per la prossima stagione?

Non ho sogni, ormai sono vicino alla conclusione e quello che dovevo fare l’ho fatto. Voglio solo dare il meglio per la mia squadra e stare bene, avere la condizione giusta per farlo. Vorrei però concludere la carriera qui dove ho iniziato, sarebbe nel suo piccolo un record al giorno d’oggi. Se nel calcio le “bandiere” non ci sono più, qui lo sono stato e voglio esserlo ancora.

Da Sivakov a Christen, la UAE del presente e del futuro

19.09.2023
5 min
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La Vuelta è appena finita, la stagione ancora no, ma con Joxean Fernandez Matxin, general manager
e direttore sportivo della UAE Emirates, già guardiamo al 2024.
La sua squadra sta continuando quell’evoluzione che il team principal Mauro Gianetti ci aveva detto un paio di anni orsono: migliorare per diventare i numeri uno.

Per George Bennett, Pascal Ackermann, Matteo Trentin… che salutano ci sono Pavel Sivakov (in apertura alla Coppa Sabatini col futuro compagno Hirschi), Filippo Baroncini, Antonio Morgado, Nils Politt e Igor Arrieta che arrivano. E il mercato non è chiuso.

Matxin (classe 1970) è il direttore della parte sportiva del UAE Team Emirates
Matxin (classe 1970) è il direttore della parte sportiva del UAE Team Emirates
Joxean, la UAE Emirates continua a crescere. Come andate verso il 2024?

Quel che vogliamo è essere protagonisti al livello mondiale con più corridori e in più gare. E’ per questo che avevamo Adam Yates negli Stati Uniti e poi in Canada, Ayuso e Almeida alla Vuelta, Pogacar e Hirschi in Italia…  Per noi è importante il bilancio tecnico/sportivo. E c’è spazio per tutti. Poi è chiaro che quando c’è Pogacar, la squadra è per lui. Così come è chiaro che usciamo da una Vuelta e una stagione in cui i Jumbo-Visma hanno fatto primo, secondo e terzo e vinto tutti e tre i grandi Giri. Loro hanno due dei tre corridori più forti al mondo del momento, l’altro è il nostro.

Partiamo da Sivakov, tra gli atleti della vostra campagna acquisti molto in vista in questo momento visto come si è comportato tra Giro di Toscana e Memorial Pantani. Che prevedete per lui?

Come detto, ci sarà spazio anche per lui. Avrà le sue corse. Ma all’occorrenza sarà per la squadra. Abbiamo tanti e tutti capitani.

Esatto: ormai per essere una squadra forte servono tutti “capitani”. E’ anche per puntare alla classifica UCI?

Quello è un nostro focus. Certo, la Jumbo-Visma in questa Vuelta ha fatto un record assoluto di punti presi in un solo grande Giro. Credo che ne abbia presi 3.000. Noi siamo stati la seconda squadra con mille punti: pensate che differenza. Prima di questa corsa avevamo 2.600 punti di vantaggio, ora siamo lì.

Passiamo agli altri ragazzi. Morgado e Arrieta, sono molto giovani…

Perché in questo nostro progetto noi guardiamo anche alla crescita. Loro saranno i capitani del futuro. Servono corridori pronti come i Sivakov e i Politt, ma anche atleti di prospettiva. Ma quando dico futuro, dico un futuro vicinissimo. Parlando dei due atleti, tecnicamente sono due profili diversi. 

Il “vecchio” Pogacar con lo svizzero Jan Christen (classe 2004) stagista della UAE Emirates alla Coppa Sabatini
Il “vecchio” Pogacar con lo svizzero Jan Christen (classe 2004) stagista della UAE Emirates alla Coppa Sabatini
Spiegaci meglio…

Arrieta è uno scalatore spagnolo, non dico come Ayuso, ma non è molto lontano da quel livello. Sono convinto che il prossimo anno farà un grande salto di qualità. Morgado ha una classe mondiale, che può andare bene su più terreni. Ma penso anche allo svizzero Jan Christen. Va in mtb, ha vinto un europeo, può vincere una volata quasi di gruppo e andare forte in salita, fa pista… Capite quando parlo di futuro? Gli abbiamo fatto un contratto fino al 2028. Quando scegliamo un ragazzo è perché ci crediamo.

E Baroncini?

Anche lui avrà il suo spazio e in più occasioni. Filippo potrà essere un corridore molto, molto importante per le classiche. In lui crediamo molto e anche per lui vedo un grande salto di qualità il prossimo anno. Sentirà la nostra fiducia.

Quindi atleti giovani, profili di spicco e dei “capitani” che si mettono a disposizione: la Jumbo-Visma ha fatto alzare l’asticella?

Sì, ma credo che anche noi abbiamo fatto migliorare loro e li abbiamo fatti essere più competitivi. Penso a un grande campione come Roglic per esempio. Dopo il Giro non lo hanno portato al Tour ma lo hanno fatto recuperare in vista della Vuelta. Non era possibile dopo un Giro tanto duro averlo al livello necessario per il Tour.

Quindi anche loro si sono dovuti fare i calcoli…

Il discorso del livello di competitività è reciproco. Riporto la classifica UCI, noi e la Jumbo siamo sul filo dei 27.000 punti, la terza, la Ineos-Grenadiers, ne ha 16.000. Un gap enorme, quasi il doppio.

“Tutti capitani”: corridori fortissimi e vincenti in ruolo di gregari per UAE e Jumbo. Anche per il 2024 sarà così
“Tutti capitani”: corridori fortissimi e vincenti in ruolo di gregari per UAE e Jumbo. Anche per il 2024 sarà così
Torniamo al volto 2024 della UAE. Con il saluto di atleti come Ackermann e Trentin ci si sposta sempre più sulle corse a tappe?

No, attenzione, Trentin: non era solo per le gare di un giorno, Matteo era al Tour. E lo scorso anno non lo ha fatto solo perché aveva il Covid. E’ uno dei corridori più forti e intelligenti del gruppo, non volevamo perderlo, ma gli hanno fatto una proposta di tre anni e alla sua età ci sta che l’abbia colta. Per quanto riguarda lo sbilanciamento sui grandi Giri, a ottobre saremo in Belgio tutti per il velocista Ackermann (nonostante vada via, ndr). Vogliamo essere competitivi in tutti i tipi di gara.

Domanda che in parte si lega ai programmi UAE 2024. Tra i big, Pogacar è l’unico che in stagione non ha ancora mai fatto il secondo grande Giro. Come mai? E avverrà il prossimo anno?

Partiamo dal fatto che se i Jumbo-Visma hanno vinto i tre grandi Giri, noi abbiamo conquistato la maglia bianca in tutte e tre queste gare. Significa che i nostri atleti sono giovani, non hanno 30 anni e il futuro è dalla nostra parte… Non farei dunque dei paragoni. Certo che Tadej può fare due grandi Giri nello stesso anno, ma prima ancora del risultato noi curiamo la carriera sportiva degli atleti. 

Vai avanti…

Almeida, per esempio, è un corridore molto importante, ma in questo momento a 24 anni, non ci sembrava giusto di fargli fare il Tour dopo il Giro. Intanto pensiamo al bilancio sportivo, al recupero, al rispetto della crescita dell’atleta e guardiamola in prospettiva. Come ho già detto prima, quando noi portiamo avanti un progetto con un corridore ci crediamo fino in fondo. Gli diamo fiducia con contratti anche di 6-7 anni.

La nuova dimensione di Wellens, per finire come vuole lui

06.09.2023
5 min
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C’era una luce particolare negli occhi di Tim Wellens, mentre ritirava sul podio la maglia di vincitore del Renewi Tour. La luce della rivincita. Alla sua prima stagione alla Uae Emirates, dov’era arrivato non senza clamori, come uomo capace di dare quella spinta in più a un team da sempre ritenuto “Pogacar-dipendente”, il belga aveva sì vinto una gara, ma sembrava non essere più né carne né pesce, quasi schiacciato dalla preponderanza dello sloveno, in cerca di vittoria appena sale su una bici. L’infortunio del Fiandre e il conseguente stop di quasi due mesi e mezzo non hanno agevolato il suo cammino.

Non è stato un anno facile per Wellens e quella vittoria, sulle strade di casa, se l’è goduta nella tranquillità della famiglia. Mentre tramite WhatsApp si parla attraverso migliaia di chilometri di distanza, emerge chiara in sottofondo la voce di suo figlio nato nello scorso inverno, che richiama al caos famigliare che in certi casi è molto più ritemprante della calma piatta.

«Sono arrivato alla gara con tante ambizioni – racconta – ci tenevo a far bene e alla fine tutto ha funzionato perfettamente. Sapevo che molto si giocava nella cronometro dove ho chiuso 2° alle spalle di Tarling, mi ero allenato molto per quel giorno ed è stato davvero un buon inizio. Poi il giorno dopo ho sfruttato la gamba che avevo e solo Teunissen mi ha battuto. Lì ho preso la maglia per non lasciarla più. E’ stata davvero una bella settimana con la squadra, i compagni mi hanno aiutato perfettamente a difendere la maglia di leader e guardo indietro con la grande soddisfazione di aver vinto ancora. E’ un successo che significa molto».

Arrivato alla Uae sull’onda dei successi alla Lotto, il belga ha ridisegnato il suo ruolo
Arrivato alla Uae sull’onda dei successi alla Lotto, il belga ha ridisegnato il suo ruolo

Un cambio completo

Tim sa bene che in questa stagione era guardato col microscopio. 32 anni, considerato un grande interprete per le classiche, molti si attendevano di vederlo più volte sul gradino più alto del podio. Il belga però non si lamenta, è chiaro che questo successo ha spostato un po’ gli equilibri della bilancia delle sue aspirazioni.

«Il mio primo anno all’UAE Team Emirates è stato effettivamente migliore del previsto. Sono stato più di dieci anni nella stessa squadra, che era diventata un po’ una famiglia, quindi avevo un po’ di paura nel cambiare tutto, incontrare nuove persone, trovare nuovi equilibri. L’integrazione però è andata davvero bene, si sono tutti messi a disposizione e io ho fatto lo stesso.

Wellens ha avuto un grande aiuto dalla squadra, correndo da capitano al Renewi Tour
Wellens ha avuto un grande aiuto dalla squadra, qui con Trentin a scortarlo

Il Tour mancato

«Bisogna capire che cambiare tutto a una certa età non è semplice. Io ho dovuto davvero voltar pagina, cambiare anche preparazione e all’inizio avevo molti dubbi. Come avrei reagito ai nuovi allenamenti? Sentivo che alcune volte durante la stagione avevo gambe che non sentivo da molto tempo, quindi ero molto soddisfatto delle mie prestazioni in gara e non stavo tanto a guardare i risultati, sapevo che sarebbero arrivati».

Molti si sono stupiti non vedendolo al Tour de France, pensando che quella fosse una bocciatura: «Non posso negare – dice – che uno dei motivi per cui volevo venire qui era fare un grande Giro con quello che è giustamente ritenuto il migliore del mondo. E penso che sia davvero speciale vincere un grande Giro come compagno di squadra. Con un corridore come Tadej, le possibilità sono alte… Quindi di sicuro sono rimasto molto deluso di non essere riuscito a entrare nella selezione, ma questa è stata una scelta giusta perché il mio livello non era tale da garantire un rendimento all’altezza, gli infortuni della prima parte di stagione avevano influito, ero indietro con la preparazione, quindi è stata una buona decisione. L’anno prossimo spero sicuramente di essere lì in buone condizioni per rendermi molto utile per la squadra».

Wellens al Tour 2022. la sua avventura alla Lotto è durata oltre 10 anni, con molte vittorie
Wellens al Tour 2022. la sua avventura alla Lotto è durata oltre 10 anni, con molte vittorie

Il nuovo ruolo nel team

Una cosa che bisogna riconoscere a Wellens è di essersi saputo mettere in discussione. Alla Lotto Dstny era un leader, alla Uae sapeva che un leader già c’era, un leader assoluto, che vuole e sa vincere in qualsiasi corsa e situazione. Cambiare ruolo che cosa ha comportato?

«Il mio ruolo ora è portare il leader al punto cruciale totalmente davanti al plotone – spiega – in modo che sia pronto senza aver speso energie e so come si fa proprio perché per anni sono stato un leader alla Lotto e qualcuno lo ha fatto per me. Ho avuto molte opportunità nella mia carriera di cui sono molto grato. Grazie a ciò ho potuto vincere molte gare, non avrei mai potuto pensare di vincerne più di 30, quindi sono super felice di quello che ho avuto. Ma ho notato che negli ultimi due, tre anni alla Lotto volevo cambiare.

Il sodalizio con Pogacar ha subito funzionato. Qui il lancio del famoso scatto dello sloveno all’ultima Sanremo
Il sodalizio con Pogacar ha subito funzionato. Qui il lancio del famoso scatto dello sloveno all’ultima Sanremo

I programmi per un dolce tramonto

«Non volevo più avere sempre tutta la pressione sulle spalle, che è bello, ma pesante se non sei al massimo. Volevo fare qualcos’altro, qualcosa con meno pressione sulle spalle e la Uae è ideale per questo perché ha tanti corridori vincenti, anche migliori di me. Ma ciò che è stato molto importante per me è che in alcune gare ho ancora la mia opportunità e non posso lamentarmi, perché vedo che la squadra apprezza gli sforzi che faccio».

Per questo Tim non ha particolari aspirazioni per la prossima stagione, sembra aver trovato la dimensione ideale per il suo finale di carriera, esattamente come voleva disegnarlo: «Quando faccio bene il mio lavoro, la squadra è felice e questo mi dà davvero stimoli anche per la prossima stagione. Siamo una squadra, abbiamo visto che se ognuno s’impegna e svolge il proprio ruolo, i risultati arrivano. Una volta sarà a sostegno di Tadej (beh, magari anche più di una…), un’altra a sostegno di un altro compagno e ci sarà anche la possibilità che in quella gara, in quel dato giorno si lavori per me. Per mantenere alta la motivazione. E comunque un obiettivo per il 2024 ce l’ho: essere parte integrante del team in un grande Giro».

Milesi e Baroncini, le soddisfazioni iridate della Beltrami

30.08.2023
6 min
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«Prima di vincere o fare risultato, a noi interessa insegnare ai ragazzi cosa significhi diventare dei corridori senza creare false illusioni. E aver visto Baroncini prima e Milesi poi diventare campioni del mondo ci rende molto orgogliosi del lavoro fatto con loro». Lo afferma con convinzione Roberto Miodini, diesse della Beltrami TSA Tre Colli, che aveva guidato i due giovani italiani nella loro rispettiva prima stagione da U23.

Il team continental emiliano è stato come un centro di svezzamento sia per loro che per altri attuali pro’ che sono passati da lì, ma è ovvio che quei trionfi iridati abbiano un sapore speciale. Lo splendido agosto di di Milesi – composto nell’ordine dalla vittoria della crono mondiale U23 a Glasgow, il quinto posto nella prova in linea e la vestizione della maglia rossa a La Vuelta grazie al primo posto della Dsm-Firmenich nella cronosquadre – ha bissato di fatto quelle sensazioni vissute nel 2021 con la favolosa cavalcata di Baroncini a Leuven. Col tecnico parmense siamo tornati ai tempi di “quei” due ragazzi…

Roberto andando in ordine cronologico, che ricordo hai di Milesi?

Sicuramente è fresco. L’ho sentito dopo i suoi recenti risultati. Lorenzo è stato con noi per una stagione nel 2021, ma pensate che venne in ritiro il primo giorno anche l’anno dopo, che era già in DSM, per salutare i vecchi compagni e il resto dello staff. Quando lo abbiamo preso sapevamo che era uno degli junior più promettenti. In Beltrami ha fatto un’annata molto buona, sempre al servizio dei compagni. Correva in modo generoso e spesso gli ho detto, quasi rimproverato, che lo era anche troppo, come quella volta alla Milano-Busseto. Andò in fuga con altri quattro fin dai primissimi chilometri e nel finale, col gruppo arrivato a cinquanta metri, tirò alla morte pur di non farlo rientrare. Lui fece quinto su cinque e mi disse: «Hai ragione potevo agire diversamente, ma non volevo che ci riprendessero, ci meritavamo di arrivare noi».

Cosa gli avevi risposto?

Fondamentalmente nulla (sorride, ndr). Forse sarebbe riuscito ad ottenere qualcosa in più, ma ormai la corsa era finita e al limite lo avrei visto all’opera in quella successiva. D’altronde Lorenzo ha sempre guardato alla sostanza in gara. Di lui ti accorgevi subito del gran motore che aveva. Anche al Giro dell’Emilia in mezzo ai pro’ fece un gran numero. 145 chilometri di fuga prima di staccarsi e ritirarsi al primo passaggio sul San Luca quando si mossero i big. Per me quell’azione valeva come cinque vittorie, alla faccia di chi vede solo i risultati e mai le prestazioni. Che è un tipico ragionamento che c’è nel ciclismo giovanile e dilettantistico però questo è un altro discorso

Invece un ricordo di Baroncini?

Devo dire che sono tanti per entrambi ed è normale che dopo le loro vittorie assumano anche un significato diverso. Filippo era uno junior di grande prospettiva, che aveva fatto una bella trafila giovanile. Era arrivato nel 2019 e lo avevamo preso convinti che avrebbe fatto bene in poco tempo. Nel primo anno ha capito com’era la categoria cogliendo qualche buon piazzamento. Nel 2020 invece, quando la stagione è ripresa dopo il lockdown, bastava portarlo solo alle corse perché non ne ha sbagliata una. In quaranta giorni aveva collezionato due vittorie e sei top 10, ma ci piaceva come interpretava la corsa, all’attacco e convinto dei suoi mezzi. Eravamo certi che nel 2021 sarebbe diventato il più forte con noi o con altri.

Era obiettivamente difficile trattenerli?

E’ un discorso complesso e semplice al tempo stesso. Nel caso di Lorenzo, quando arrivò da noi, sapevamo che era già nel mirino di squadre WorldTour, tant’è che la DSM lo prese per il suo Devo Team. A Filippo invece è stato proposto un contratto migliore da un’altra parte (passò alla Colpack-Ballan, ndr) che noi non riuscivamo a pareggiare. Ci è dispiaciuto chiaramente ma forse doveva andare così…

In ogni caso resta la soddisfazione di aver introdotto due futuri iridati nel difficile mondo di U23 e pro’.

Certo, siamo contenti. Significa che funziona bene il cosiddetto scouting e quindi il lavoro che facciamo sui ragazzi. In Beltrami vogliamo che i ragazzi siano consapevoli di quello che stanno facendo per capire dove vogliono arrivare. Poi è ovvio che la differenza è data dalle motivazioni e da una buona dose di fortuna. Considerando che la nostra squadra è di recente costituzione, nell’ultimo periodo abbiamo una buona percentuale di nostri ex atleti al primo anno da “dilettante” che ora sono professionisti. Penso a Parisini e Tarozzi oltre a Fiorelli, anche se era già un po’ più grande. A loro aggiungo De Pretto che è stato con noi nel 2021, quando c’era Milesi, e che ha appena firmato due anni nel WorldTour con la Jayco-AlUla. Quando leggiamo di questi passaggi siamo molto orgogliosi.

Vedendo ora dove sono, cosa prevede Roberto Miodini per Baroncini e Milesi?

Sono due ragazzi diversi fra loro, sia fisicamente che caratterialmente. Filippo spero che abbia più fortuna in certe situazioni. Quando cade spesso si fa male o si rompe. Oppure se al campionato italiano non avesse forato avrebbe vinto lui, ne sono sicuro al cento per cento. Andrà in UAE e si ritaglierà un ruolo da protagonista o da punta perché è nella sua indole. E’ ancora giovane e può diventare un corridore da classiche. Di Lorenzo invece stiamo scoprendo le sue potenzialità. Forse è meno appariscente, ma decisamente solido. Ha solo 21 anni e la sua dimensione la troverà a brevissimo. Di certo è che saranno due corridori fondamentali per la nazionale di Bennati nell’imminente futuro.

Arriva Baroncini, caro Baldato sarà alter ego di Trentin?

29.08.2023
4 min
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Un campione che va. Un campione che viene. In UAE Team Emirates il bilancio è apparentemente in pareggio, perché se Matteo Trentin saluta la squadra di Mauro Gianetti, vi approda Filippo Baroncini. Un campione di esperienza al posto di un campione giovane.

Non che l’iridato U23 di Leuven 2021 sia arrivato per rimpiazzare il campione europeo 2018, ma certo questa staffetta ha delle suggestioni. E allora con Fabio Baldato, uno dei diesse della UAE, vorremmo capire quanto queste suggestioni possano avere dei risvolti tecnici.

Baroncini (classe 2000) a fine stagione passerà dalla Lild-Trek alla UAE Emirates
Baroncini (classe 2000) a fine stagione passerà dalla Lild-Trek alla UAE Emirates
Fabio, arriva Baroncini…

Eh – sospira Baldato – Baroncini è un gran bel corridore. L’ho seguito soprattutto durante quel mondiale tra gli under 23 e fu entusiasmante, lo vinse alla grande. Tra i pro’ deve ancora far vedere il suo valore. Sappiamo con certezza che ha grandi qualità e potenzialità enormi. Starà anche a noi fargliele esprimere.

E parte Trentin. Filippo è il suo sostituto? Ci sono delle analogie fra i due?

Matteo ha una cosa che non puoi comprare oltre alle qualità atletiche e fisiche ed è l’esperienza. L’occhio che ha della corsa. Specie nelle corse adatte a lui dove anche Filippo può fare bene, penso alle classiche del Belgio. Matteo ha accumulato questa esperienza negli anni, Baroncini ci può arrivare. Il modo in cui ha vinto il mondiale ha mostrato che sa muoversi.

Che spazi avrà? Abbiamo parlato di classiche indirettamente, ma dovrà aiutare Pogacar?

Mi aspettavo questa domanda! Vedremo… Prima di tutto non sono io che prendo certe decisioni, poi bisognerà vedere tante cose: le intenzioni della squadra, quelle di Tadej, la condizione dei singoli corridori… Certo, mi sento di dire che se Pogacar vuol puntare al Fiandre, per esempio, è chiaro che che anche un Baroncini eventualmente sarebbe chiamato in causa per aiutarlo. Alla fine parliamo di un atleta che, in due Fiandre che ha fatto, uno lo ha vinto e nell’altro ci è andato vicino.

Trentin ha scortato Pogacar per tre anni. Lo sloveno ne faceva un punto di riferimento
Trentin ha scortato Pogacar per tre anni. Lo sloveno ne faceva un punto di riferimento
In effetti…

Ma ciò non toglie che Baroncini non possa correre alla Trentin. Essere cioè l’ago della bilancia, un aiuto fondamentale per Tadej. E correre comunque da protagonista.

Che corridore ti aspetti di guidare?

Non lo conosco così bene, lo conoscete più voi! Non posso che rifarmi a quanto visto da quel che ha fatto tra gli under 23. E oltre ad aver vinto e ad andare forte, so che ha aiutato tanto e bene Ayuso nel Giro Under 23. Lo scoprirò nel corso dei mesi, anche dal punto di vista umano.

Trentin e Baroncini per te si somigliano?

Un po’ sì. Col tempo, come detto, Matteo è diventato un punto di riferimento, ma questo paragone va preso con le pinze. Lui è gli occhi del direttore sportivo in corsa. E’ uno di quei corridori che non ha bisogno di fare “uno più uno per dire due”. Lui va direttamente al due. Anche al Renewi Tour nella tappa vinta da Mohoric si è gestito alla grande nel finale. Un corridore così ci mancherà. 

L’emiliano è un corridore completo. Va forte a crono, è veloce e anche in salita si difende benone
L’emiliano è un corridore completo. Va forte a crono, è veloce e anche in salita si difende benone
E con Baroncini?

Possiamo costruire delle belle cose. I programmi sono ancora tutti da fare. E’ un corridore che mi stimola, che non vedo l’ora di guidare e spero di riuscire a fare qualcosa di bello con lui.

Per quali corse lo vedi più adatto?

Come detto il Fiandre. Ma anche un’Amstel Gold Race… Tutte quelle corse in Belgio che ormai non sono più solo per velocisti. Ci metterei anche una Gand. Ma perché no, anche una Sanremo. Sarà tutto scoprire, da capire anno per anno, in base alla sua crescita, alla sua condizione. Che poi è il bello e il difficile del nostro mestiere, tanto più in una squadra ricca di campioni come la UAE Emirates.

Trentin lascia Pogacar: 3 anni con Cancellara, ecco perché

25.08.2023
6 min
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Qualcuno ha detto che quando Pogacar ha saputo che il prossimo anno Trentin cambierà squadra sia andato su tutte le furie. Matteo non ne sa nulla. Lui ha preso la sua decisione e dal 2024 al 2026 correrà con la maglia del Tudor Pro Cycling Team in cui molto probabilmente approderà anche un altro Matteo come diesse. Professionista dal 2012, la carriera di Trentin è stata finora tutt’altro che banale e con pochi cambi di maglia. La Quick Step nei suoi vari cambi di nome, poi la Mitchelton-Scott, un anno con la CCC che poi ha chiuso e ancora adesso il UAE Team Emirates. Perché cambiare a 34 anni? Lo abbiamo chiesto a lui, nei giorni del Renewi Tour, il vecchio Benelux Tour, che fu prima BinckBank Tour e prima ancora Eneco Tour.

Glasgow, caduta, ritiro e dolore alla mano: le radiografie hanno escluso la frattura
Glasgow, caduta, ritiro e dolore alla mano: le radiografie hanno escluso la frattura
Prima cosa: come sta la mano del mondiale? Alla fine niente di rotto…

No, non era rotto niente, ma c’è un ematoma su una delle ossa della mano, non chiedetemi il nome, non lo ricordo più. Quello c’è e ci vorrà del tempo prima che si riassorba. Se avessi preso una botta su una coscia, dopo una settimana o due al massimo si sarebbe riassorbita. Questo durerà almeno un altro mesetto.

Ti provoca qualche fastidio?

Meno di una settimana fa e molto meno di due settimane fa, però dà ancora fastidio. Un fastidio diverso dall’essere caduto nuovamente al mondiale, ma questa volta me la sono anche andata a cercare, non posso recriminare più di tanto su qualcuno o qualcosa. Ho fatto una mossa che semmai andava fatta negli ultimi giri. Se proprio devo andare a infilarmi da qualche parte, magari si poteva fare quando ne fosse valsa la pena. Però ormai è fatta, quindi…

Il Tour non è stato fortunato per Matteo: troppe cadute. Qui lo spinge Matxin
Il Tour non è stato fortunato per Matteo: troppe cadute. Qui lo spinge Matxin
Come è maturata, al di là dell’offerta, questa idea di cambiare squadra?

In realtà mi hanno cercato molto presto, poi il tempo passa, ci sono cose da fare, però mi era piaciuto molto il progetto. Non è che fossi alla ricerca di un cambio o qualcosa del genere, però mi è piaciuto molto il fatto che cercassero uno della mia età, rispetto magari ad altre realtà dove un corridore di 34 anni viene messo in discussione, perché non si sa quanto durerà. Loro invece sono venuti proprio per la mia esperienza, per quello che posso dare alla squadra e anche con un intervallo di tempo importante. Insomma, un contratto di tre anni a questa età non lo trovi sotto i sassi.

Che cosa cercano da uno della tua esperienza: che aiuti i giovani o che dimostri di saper ancora vincere?

Tutte e due le cose, ma potete chiederlo a loro. Penso che quest’anno per me non sia stato un granché, sia al Tour che al mondiale. In Francia non ho potuto avere le mie chance, ovviamente, perché eravamo tutti per Tadej e lo sapevo dal principio. Quindi non sono andato neanche a cercarmele. Però ugualmente ho visto che nonostante abbia 34 anni, riesco a stare davanti quelle due volte in croce che posso giocarmi le mie carte. E al mondiale stessa storia. Sono caduto, ma sono sicuro che avrei fatto una gran corsa. Non so tradurlo in termini di piazzamento, ma stavo bene davvero.

Nella 19ª tappa del Tour, Trentin coglie il nono posto. La fuga è quella giusta, ma contro Mohoric c’è poco da fare
Nella 19ª tappa del Tour, Trentin coglie il nono posto. La fuga è quella giusta, ma contro Mohoric c’è poco da fare
Cosa ti piace del progetto Tudor?

E’ una squadra giovane, con un grande sponsor e una grande società alle spalle. Nomi molto importanti e il fatto che entrino aziende così altisonanti è una bella cosa per il ciclismo in generale. E poi mi piace la visione a lunghissimo termine, basta vedere che con Bmc hanno firmato per sei anni. Quindi contratti lunghi e un progetto a lunga gittata. Non guardano al prossimo anno o quello dopo, guardano già parecchio avanti.

Hai avuto contatti anche con Cancellara?

Ho parlato anche con Fabian, ma ho notato che ogni persona con cui ho avuto a che fare si è attenuta sempre al suo ruolo. Tutti sanno tutto ovviamente, ma nessuno sconfina nel ruolo altrui. Si parla di una cosa con uno e di una cosa con un altro, ognuno ha la sua responsabilità. C’è una settorialità comunicativa, non a camere stagne.

Qui con Froidevaux, Fabian Cancellara è il proprietario del Tudor Pro Cycling Team
Qui con Froidevaux, Fabian Cancellara è il proprietario del Tudor Pro Cycling Team
Nella tua carriera hai cambiato poche squadre, resti parecchio: perché di volta di volta hai deciso di cambiare?

Quella in cui sono stato meno è la Mitchelton, ma non perché non mi trovassi bene nella squadra, anzi. E’ la squadra in cui a livello di ambiente mi sono trovato meglio, era un bellissimo gruppo in cui ho ottenuto i risultati migliori della mia carriera. Ho cambiato perché in quel momento non c’erano più le condizioni per lavorare serenamente. Ma non abbiamo litigato, ci salutiamo ancora. Diciamo che dove vado, cerco sempre di integrarmi nel gruppo e dare il mio contributo per quello che posso. Vedo che ha sempre funzionato. Tutti sanno che cambierò squadra, ma continuo a fare il mio lavoro al 100 per cento della mia professionalità. A me non è mai capitato, ma trovo che sarebbe poco furbo pagare uno e non farlo correre solo perché a fine anno andrà via.

Fra i tuoi obiettivi ci saranno ancora le classiche?

Diciamo di sì, anche se passando in una professional, molto sarà legato agli inviti ed è abbastanza presto per averne a determinate corse. Sinceramente voglio tornare a vincere e vincere bene: più due corse all’anno e questo sarebbe già il segnale che le cose funzionano. Tanto ormai si fa fatica in tutte le corse. Bello se vinci la prova monumento, ma non è che se vinci l’Omloop Het Nieuwsblad o Kuurne fatichi di meno.

Al mondiale, Trentin aveva una gran gamba. Qui scatta davanti a Pogacar, ma si ritirerà per caduta
Al mondiale, Trentin aveva una gran gamba. Qui scatta davanti a Pogacar, ma si ritirerà per caduta
Quanto è pesante per uno che ha velleità da vincente stare in una squadra in cui c’è un leader forte come Pogacar?

In realtà non tanto, perché quanti ne trovi di corridori così? Tadej è al di sopra di tutti, non puoi dire di essere più bravo di lui.

La decisione di cambiare è stata presa anche con tua moglie?

Abbiamo parlato un bel po’ anche a casa e poi mi sono orientato verso questa scelta. Cambiare dà nuovi stimoli, è una scelta di vita.

Come procede adesso la tua stagione?

Adesso il Benelux, forse Plouay e poi tutte le gare in Belgio e il finale in Veneto, a casa di Pippo Pozzato.

Almeida, testa a Barcellona. Crono e sprint la via per un altro podio

08.08.2023
4 min
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Un Giro d’Italia corso da protagonista, un campionato nazionale (a crono) vinto e una lunga estate per recuperare, riflettere e preparare la Vuelta. Joao Almeida a Roma era riuscito a guadagnare il suo primo podio in un grande Giro. Il che lo ha proiettato, se non proprio in una nuova dimensione, in uno stato di maggiore consapevolezza di se stesso.

In gruppo Joao è uno degli atleti più rispettati e in vista. E al Tour de Pologne abbiamo potuto osservare tutto ciò dal vivo per un’intera settimana. Si muoveva da leader. Il tutto senza considerare che è stato protagonista assoluto della corsa con Mohoric fino all’ultimo traguardo volante.

Almeida dopo la crono del Lussari al Giro. Ci eravamo lasciati così…
Almeida dopo la crono del Lussari al Giro. Ci eravamo lasciati così…

Con la Spagna in testa

Un vero spettacolo. Sui veloci arrivi polacchi Joao ha lottato con corridori più esplosivi ed è sembrato essere il “primo Almeida”, quello del Giro d’ottobre quando in maglia rosa sprintava con Ulissi a Monselice o staccava i rivali della generale a San Daniele del Friuli. Una brillantezza da finisseur ritrovata che potrebbe essere un’arma da non sottovalutare in chiave abbuoni alla Vuelta.

Lo avevamo lasciato con le gambe distese su una sedia dietro al podio del Lussari.

«Sto bene – ci ha detto il corridore della UAE Emirates – questa estate è filata secondo i programmi. Dopo il Giro ho fatto i campionati nazionali, sia su strada che a crono, e poi sono salito in altura, per preparare le prossime gare avendo la Vuelta come focus principale».

«In ritiro ho lavorato con regolarità. Nel senso che non ho cambiato nulla. Ho cercato di lavorare bene su ogni aspetto, soprattutto sulle salite dure. Mentre il Tour de Pologne è stato molto importante per ritrovare la brillantezza».

Almeida sfortunato a Glasgow. E’ caduto nel trasferimento picchiando polso e gamba sinistra (si notano i segni). Farà comunque la crono
Almeida sfortunato a Glasgow. E’ caduto nel trasferimento picchiando polso e gamba sinistra (si notano i segni). Farà comunque la crono

Ayuso, amico e rivale

Ma come spesso accade oggi dopo i ritiri, e come avevamo accennato, Almeida è parso subito in condizione. E’ venuto via dalla Polonia (anche lui diretto a Glasgow) con un secondo posto incoraggiante – pensate che dopo oltre mille chilometri di gara ha perso per un solo secondo – la sensazione è quella di un atleta che può fare molto. E che in qualche modo vuol mettere subito i puntini sulle “i”.

La concorrenza in Spagna è alta e in casa c’è un “rivale” mica da ridere: Juan Ayuso. Ma su questo aspetto Almeida appare forse più tranquillo di quello è.

«La convivenza con Juan? Io credo che andrà bene. Siamo amici e facciamo spesso l’altura insieme. Abbiamo passato anche questi ultimi giorni insieme ad Andorra (erano sull’Envalira, dove hanno affrontato diverse salite che ci saranno alla Vuelta, ndr). Partiamo alla pari e poi facciamo la nostra corsa. Io non dovevo andare forte al Polonia per poter dire di essere il leader in Spagna, ma per valutare le mie sensazioni, per fare la mia gara… e provare anche a vincere».

Il discorso della leadership e della fiducia era un aspetto che Almeida aveva già toccato dopo il Giro d’Italia. In particolare aveva parlato dell’importanza di aver vinto in salita battendo i rivali nel testa a testa, come aveva fatto sul Bondone, e dell’imparare ad essere il capitano della squadra. Aveva sottolineato come questa cosa non si apprendesse dalla sera alla mattina.

Joao crede molto nella crono iridata: un test fondamentale in vista della Vuelta. A fine giugno aveva vinto il titolo nazionale in questa specialità
Joao crede molto nella crono iridata: un test fondamentale in vista della Vuelta. A fine giugno aveva vinto il titolo nazionale in questa specialità

Crono, all-in

In Spagna sarà un po’ come rivivere il Giro d’Italia. A giocarsi la corsa ci saranno appunto Joao, Thomas, Roglic, Caruso… 

«E’ vero! Tutto uguale… Sarà un po’ come al Giro ma in una gara diversa. Una gara diversa per le sue frazioni più piccole e nervose, ma anche perché farà più caldo. Al caldo ti ci devi preparare bene… ma alla fine vince sempre il più forte».

Vince il più forte: lo abbiamo visto anche in questo mondiale. I più forti erano tutti lì davanti… nonostante un percorso altimetricamente non troppo selettivo. I primi nomi in ottica Vuelta che fa Almeida sono Remco e Roglic, i più temuti secondo lui. «Ma – va avanti – sono tanti i nomi forti che ci sono. Non sono facili da battere perché tutti vanno forte sia a crono che in salita. Qual è il segreto? Avere più gamba di loro!».

Proprio sulla crono il portoghese continua a fare leva non poco. Anche in Polonia i suoi tecnici ci hanno riferito che andrà al mondiale soprattutto per fare bene nella prova contro il tempo. Per lui i chilometri contro il tempo potrebbero essere il grimaldello per il podio di Madrid. Intanto si parte con la cronosquadre di Barcellona.

Niemiec ci mette il video e Majka le gambe

31.07.2023
5 min
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DUSZNIKI ZDROJ – Finalmente il pubblico polacco può urlare a squarciagola il nome di un proprio beniamino. Ieri la voce ere rimasta strozzata in gola prima per Majka e poi per Kwiatkowski. Oggi lo stesso Rafal gli ha regalato questa gioia. Una gioia vera.

Al Tour de Pologne, tappa ancora una volta caratterizzata da una lunga fuga, dalla quale ne esce in maglia azzurra, re della montagna, Jacopo Mosca. Nel finale però entrano in scena i pesi massimi: la UAE Emirates  prima e poi la Ineos-Grendiers prendono in mano la situazione.

Rafal Majka vince la 3ª tappa, davanti a Mohoric (sulla destra) e Kwiatkowski
Rafal Majka vince la 3ª tappa, davanti a Mohoric (fuori dal taglio della foto sulla destra) e Kwiatkowski

Majka di forza

Una curva a gomito verso destra introduce nello strappo finale. E’ duro e lungo appena meno di un chilometro. La planimetria ricorda vagamente il finale della Coppa Sabatini, solo che la pendenza è nettamente più dura (al di sopra del 10 per cento) e ai lati ci sono gli abeti anziché le case di Peccioli. Si arriva in un centro di biathlon: siamo sulle colline bellissime della Slesia.

«Rafal – gli chiediamo – ma ti aspettavi di vincere su uno strappo così breve ed esplosivo?».

E lui: «No! Io di solito vado meglio sulle salite più lunghe. Ma sapete, quando si esce dal Tour de France con questa gamba puoi, e devi, fare una sola cosa: spingere forte».

Il polacco è il ritratto della felicità. Ai microfoni della tv nazionale parla con la scioltezza di chi per una volta corre in casa. Anche il linguaggio del corpo è chiaro e rivela sicurezza. 

«Vero, sono felice. Okay, forse non vincerò la classifica generale, ma ho vinto una tappa! Ed è quello che volevo. Per la classifica c’è Joao Almeida.

«Già ieri ci avevo provato – prosegue Majka – ma ero partito troppo presto. E forse anche oggi avevo anticipato un po’ troppo. I metri finali proprio non passavano più… però erano in piano! Ho sfruttato il lavoro dei miei compagni e anche quello della Ineos-Grenadiers.

«Che dire, dopo le vittorie di Tadej (Pogacar, ndr) e Adam (Yates) e il loro podio al Tour è un bel momento. Non vedevo l’ora di correre questa gara».

Ma quello è Niemec

Poco prima di andare sul podio Majka abbraccia una vecchia conoscenza del ciclismo italiano, Przemyslaw Niemiec, classe 1980 e 17 stagioni da pro’ tutte nel Belpaese, dove ha fatto anche il dilettante.

Przemysław, quanto tifo per Rafal! Non solo per Kwiatkowski…

Loro sono i numeri uno del ciclismo polacco. Senza andare a vedere cosa hanno vinto in passato, uno ha vinto recentemente una tappa al Tour e l’altro è stato nella squadra di Pogacar, quindi sempre nel vivo. Il pubblico li ama.

Majka ci ha detto che non si aspettava di vincere su uno strappo così esplosivo…

Vi racconto questa. Ieri a Rafal ho mandato il video dell’ultimo chilometro di oggi. L’avevo fatto la settimana scorsa mentre facevo le ricognizioni del percorso. Gli ho mandato questo file e si vede che lo ha studiato bene! Complimenti a lui… – nel frattempo arriva proprio Majka che gli sussurra qualcosa all’orecchio mentre i due si abbracciano – Ieri era un po’ deluso e così con il video si deve essere fatto bene i conti.

Przemyslaw, tu hai corso fino a pochi anni fa. Majka ci ha detto della gamba con cui è uscito dal Tour: ma davvero conta così tanto?

Sì, parecchio. Quando esci da un grande Giro con una gamba buona devi continuare a correre. E’ stato così anche nel 2014. Majka aveva vinto due tappe al Tour, la settimana dopo ha vinto anche al Polonia e la classifica generale di quell’edizione. Io feci quinto. E la stessa cosa ha fatto Mohoric ieri. All’ultima settimana del Tour Matej ha vinto una tappa, è venuto qui e ha alzato di nuovo le braccia al cielo. E’ una vecchia regola che vale anche in questo ciclismo: se non finisci un grande Giro stanco devi continuare. Puoi ottenere risultati buoni.

Le gambe di Majka: la condizione del Tour ha consentito a lui e Mohoric di vincere su arrivi non super congeniali a loro
Le gambe di Majka: la condizione del Tour ha consentito a lui e Mohoric di vincere su arrivi non super congeniali a loro
Tu con Majka hai anche corso? Siete passati entrambi per il gruppo Lampre, poi divenuto UAE Emirates…

No, per poco non ci siamo incontrati, perché lui era alla Tinkoff. Ho corso con lui ai mondiali insieme e altrimenti come avversari. Ma ci vedevamo spesso. Specie alla Vuelta. Però abitiamo abbastanza vicini, nei pressi di Cracovia. Ci conosciamo da tanto tempo e siamo buoni amici. 

E tu cosa fai nella vita? Ti vediamo ancora in forma…

Io ho smesso nel 2018. Mi occupo dei miei bambini perché ne ho quattro! Dunque sto con la famiglia. E lavoro per il Tour de Pologne e le altre gare che facciamo.

Quindi sei nella squadra di Czeslaw Lang?

Sì, sì… sono nel Lang Team. Per il Polonia ci lavoriamo quasi tutto l’anno. Non bisogna credere che siccome è una gara di una settimana basti poco. Vi dico solo che da gennaio ad oggi ho fatto 50.000 chilometri in macchina per vedere i percorsi, chiedere i permessi… 

Fino al 2027, MET al fianco di Pogacar

29.07.2023
3 min
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Il Tour de France non è solo l’evento ciclistico più importante del mondo, capace per tre settimane di catalizzare l’attenzione di tutti gli appassionati di ciclismo. E’ anche l’occasione per team e sponsor tecnici di stringere nuovi accordi oppure di prolungare quelli già esistenti. E’ questo il caso dell’accordo fra MET Helmets e UAE Team Emirates. In occasione del secondo giorno di riposo, mentre il Tour entrava nella sua settimana decisiva, quella del trionfo di Vingegaard, MET Helmets ha annunciato il prolungamento fino al 2027 della propria partnership tecnica con il team che ha in Pogacar la sua punta di diamante (nella foto di apertura lo sloveno con Majka dopo la vittoria a Le Markstein).

Da sempre insieme

MET Helmets ha accompagnato fin dalla sua nascita il UAE Team Emirates. E’ infatti dal 2017 che gli atleti della formazione emiratina possono contare sulla qualità dei caschi MET. In tutti questi anni sono arrivati successi prestigiosi come i due Tour de France conquistati grazie a Tadej Pogacar e tante altre corse, anche classiche monumento, sempre firmate da Pogacar.

La collaborazione con il UAE Team Emirates ha portato all’azienda di Talamona, in provincia di Sondrio, non solo trofei, ma anche feedback importanti da parte degli atleti. Tutto ciò ha permesso di aggiungere ulteriore qualità a prodotti già altamente tecnici. A confermarlo è Achille Montanelli, Marketing Manager MET Helmets. 

«Siamo molto orgogliosi ed entusiasti per questo rinnovo», ha dichiarato. «Creare un’alchimia così forte tra uno sponsor e un team non è comune, ma con UAE Team Emirates tutto è avvenuto in modo molto naturale. Siamo con loro sin dal primo giorno e la collaborazione si evolve e progredisce continuamente. Questo rappresenta l’impegno che tutti coloro che stanno dietro al nostro marchio mettono per consentire ai nostri prodotti di migliorare sempre. Sicuramente ne seguiranno altri!».

Durante il periodo delle classiche era arrivato il successo al Fiandre, ad opera di Pogacar
Durante il periodo delle classiche era arrivato il successo al Fiandre, ad opera di Pogacar

La gioia del team

Da parte sua lo staff della UAE Team Emirates non ha mancato di manifestare la propria soddisfazione per il prolungamento dell’accordo con MET Helmets. A confermarlo è lo stesso Mauro Gianetti, CEO e Team Principal UAE.

«Siamo felici di andare avanti con MET – racconta – è stato un partner fedele in questi anni e siamo cresciuti insieme. MET ha saputo investire il successo ottenuto insieme in prodotti e strutture all’avanguardia, che saranno davvero utili anche per il team. Sento che avremo nuovi importanti traguardi da raggiungere insieme».

Alle parole di Gianetti hanno fatto eco quelle di Andrea Agostini, Chief Operating Officer UAE Team Emirates: «Le operazioni con MET sono sempre facili e questo ci ha permesso di costruire negli anni un forte rapporto. MET ha un posizionamento del marchio di alto livello, in linea con la nostra visione e la strategia degli sponsor, senza dimenticare che i loro prodotti sono tra i migliori al mondo in termini di prestazioni e sicurezza».

MET