Il movimento centrale per sentirsi come Pogacar

04.02.2025
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Bikone è il movimento centrale usato da Pogacar e dal UAE Team Emirates. Ovvio, ci vorrebbero le sue gambe, la sua testa, il suo cuore ed i suoi polmoni, ma in qualche modo usare un componente che utilizza anche il fuoriclasse sloveno ci fa sentire un po’ più vicini a lui.

Abbiamo provato il movimento centrale che adotta la medesima tecnologia, quella dei cuscinetti ceramici, dell’involucro completamente in alluminio in due parti (DC Tech). Il Team UAE-Emirates adotta la versione T47 per via della predisposizione Colnago V4Rs (la nuova Y1Rs ha le calotte esterne al telaio), noi abbiamo utilizzato un press-fit, ma la sostanza non cambia. Per fare chiarezza anche su alcuni aspetti dei movimenti centrali ceramici abbiamo posto alcuni quesiti allo staff tecnico Maclart, importatore di Bikone in Italia.

Rispetto ad un movimento centrale standard è quantificabile il vantaggio che fornisce un movimento centrale Bikone DC Tech Ceramic?

Il primo vantaggio è che i cuscinetti in acciaio tendono progressivamente ad accumulare calore e quindi ad aumentare di dimensioni, con conseguente aumento dell’attrito. I movimenti centrali con cuscinetti in ceramica disperdono il calore immediatamente ed in modo costante nel tempo. Significa che l’attrito non cambia, nel nostro caso è minimo. In una corsa breve non si nota, ma quando si superano i 50/60 chilometri il calo è evidente e si aggrava. La perdita di wattaggio è compresa tra 13 e 18 watt, a seconda dell’atleta.

Che operazioni sono necessarie per mantenere alto il livello tecnico e di resa di un bb ceramico?

Come utente privato, diciamo che ogni 1.000-1.500 chilometri in condizioni normali di utilizzo, il movimento centrale deve essere smontato, pulito e sgrassato. Deve essere poi applicato il grasso adeguato. E’ consigliabile utilizzare la giusta quantità di grasso al Graphene. Se l’uso è agonistico, professionale o simile, il consiglio è di rimuovere il grasso ad ogni uscita e applicare nuovo grasso o gel specifico.

E’ possibile quantificare la vita utile in piena efficienza di un movimento centrale Bikone DC Tech Ceramic?

E’ difficile essere precisi, le variabili sono diverse. La pulizia, la manutenzione corretta e fatta nel modo giusto. Temperatura, ambiente di utilizzo, clima in generale, ma proviamo ad azzardare un’ipotesi. Tra i 10.000 e 15.000 chilometri per la versione Ceramic, tra i 10.000 e 20.000 chilometri per la versione con i cuscinetti in acciaio.

Come si presenta il movimento Bikone

Due calotte completamente in alluminio che si innestano l’una nell’altra. Sono molto rigide e ben fatte. Non hanno filettature (abbiamo testato la versione press-fit) e al pari del punto di innesto c’è una guarnizione (una sorta di or in gomma) che ha l’obiettivo di fissare le due porzioni e non fare passare lo sporco. Non c’è Teflon. Quest’ultimo non è presente neppure nelle due boccole d’ingresso dell’asse passante della guarnitura (nel nostro caso 24 millimetri Dura Ace).

La rigidità è nettamente superiore rispetto ad un buon movimento centrale standard. Fin dal primo momento in cui il movimento centrale è estratto dalla busta mostra una libertà assoluta e una scorrevolezza mai riscontrata in precedenza su movimenti centrali di pari livello e categoria.

Le sedi per l’asse passante, anch’esse in lega
Le sedi per l’asse passante, anch’esse in lega

Cuscinetti ben riparati

I cuscinetti sono montati a pressione. Sono protetti dalle boccole menzionate in precedenza. Ci sono due schermi parasporco (uno per lato) e c’è l’anello in polimero dove alloggiano le sfere. Queste ultime non si vedono e sono girate verso l’interno del movimento centrale (ottima soluzione, non così scontata).

E’ presente del grasso/gel in abbondanza, indice che sancisce l’utilizzo della tecnologia ceramica al 100%. Non è solo un rivestimento.

Più di 1.000 chilometri

Utilizzare un movimento centrale del genere, in una stagione dove lo sporco che arriva dalla strada è tanto e invasivo, è quasi un delitto. Non fosse altro per un prezzo di listino impegnativo. Eppure il Bikone si conferma un gran bel prodotto, fatto e confezionato a regola d’arte. L’indice di pulizia dopo oltre 1000 chilometri di utilizzo conferma il nostro feedback e non abbiamo risparmiato nulla, uscite con il bagnato, sporco e umidità. Eccellente anche il grasso di base che anche dopo i 1000 chilometri rimane e tutto sommato resta pulito e non pastoso.

Ne guadagna la scorrevolezza, anche se è difficile quantificare dei watt, in quanto riteniamo che dovrebbe essere coinvolta tutta la trasmissione, con una pulizia adeguata ed un trattamento specifico (catena in primis e anche il bilanciere posteriore con le sue pulegge). L’aumento della rigidità del comparto centrale invece è quantificabile nell’immediato. Merito del fusto in alluminio, merito di una fluidità del movimento che agevola lo scorrimento complessivo. Un controllo periodico del comparto è fondamentale anche nell’ottica di preservare l’asse passante e la boccola dove appoggia quest’ultimo, in quanto sono entrambi in alluminio.

Bikone

Scottoni e la settimana con la UAE: un sogno che si realizza

27.12.2024
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Dopo avervi parlato del Premio Cesarini, una challenge dedicata ad allievi di secondo anno e juniores di primo anno e svolta sulla piattaforma per indoor cycling MyWoosh, è arrivato il momento di raccontare l’esperienza dedicata al vincitore. Il più veloce e il più forte è stato Pietro Scottoni, atleta del team Vangi-Sama Ricambi-Il Pirata. Il laziale, grazie alle sue prestazioni, si è aggiudicato una settimana nel ritiro della UAE Team Emirates. Non da spettatore, ma da protagonista. Infatti Scottoni ha pedalato con i ragazzi del Team Gen Z ed ha vissuto sette giorni incredibili. Un’esperienza che spera possa essere solamente un antipasto del prossimo futuro. 

«Si è tratta di un’avventura spettacolare – ci dice quando ancora si trova a contatto con la realtà della UAE – una settimana nella quale si è pedalato tanto, con uscite lunghe e dure. Nei vari pomeriggi c’era tempo di riposare e fare qualche riunione, momenti nei quali ho comunque imparato tanto».

Un rapido selfie allo specchio prima di partire per il primo allenamento con il UAE Team Emirates Gen Z
Un rapido selfie allo specchio prima di partire per il primo allenamento con il UAE Team Emirates Gen Z

Dal giorno zero

Ma, come si dice, riallacciamo il filo e torniamo al primo giorno della sua avventura. Domenica 15 dicembre, quando l’aereo è atterrato nei pressi di Alicante ed è iniziato il tutto

«Il giorno stesso, domenica – racconta Scottoni – siamo usciti per una sgambata, chiaramente vista l’età mi hanno aggregato al Team Gen Z. Anche perché già loro vanno forte, immaginate i professionisti. Però è stato subito un bell’impatto e una grande emozione indossare la divisa della squadra che ha vinto la classifica UCI 2024. Non mi è mai mancato nulla, è stato davvero bello anche perché sono venuto a vivere l’esperienza da dentro. Non ero un ospite, ma uno di loro».

Scottoni ha seguito il programma dei ragazzi del devo team
Scottoni ha seguito il programma dei ragazzi del devo team
Tra i giovani c’eri solamente tu di nuovo?

No. Di ragazzi juniores eravamo quattro: due dagli Emirati, uno spagnolo e io. Seguivamo i ragazzi del devo team e il loro allenamenti. Ad esempio lunedì e martedì abbiamo fatto due uscite molto lunghe e dure, con tanta salita. Inizialmente è stata dura, anche perché non sono mai stato abituato a fare così tanti chilometri in questo periodo. 

Quanta curiosità avevi nel vedere da dentro una squadra del genere?

Tanta. Anche perché capire come vengono gestiti i corridori e vedere l’ambiente dall’interno non capita tutti i giorni. Da un lato anche gli allenamenti sapevo di doverli sfruttare bene, quando fai una settimana del genere torni che hai un’altra condizione. 

Pietro Scottoni, in primo piano, nel 2024 da junior primo anno ha vinto due gare (foto Valerio Pagni)
Pietro Scottoni, in primo piano, nel 2024 da junior primo anno ha vinto due gare (foto Valerio Pagni)
Cosa ti ha colpito maggiormente?

La logistica che c’è dietro. Basta vedere il salone a disposizione dei meccanici per capire la grandezza della squadra. Se un corridore ha anche il più piccolo problema tecnico si muovono per risolverlo. Questo poi non riguardava solo i meccanici, ma ogni ambito. 

Ci hai parlato anche di qualche riunione…

A livello teorico gli allenamenti che fanno sono gli stessi nostri, loro raggiungono un livello di specializzazione maggiore. Ma questo è normale. Tuttavia dai vari meeting mi porto a casa il fatto che mangiare prima e durante l’allenamento è davvero importante. Soprattutto quando si va sulle lunghe distanze. Alimentarsi male vuol dire finire presto la benzina. Se invece mangi bene quando torni dall’uscita senti di avere ancora energie. 

A Benidorm, Scottoni ha incontrato Sambinello, suo compagno alla Vangi
A Benidorm, Scottoni ha incontrato Sambinello, suo compagno alla Vangi
Hai avuto modo di incontrare anche i ragazzi del WorldTour?

Certo! Ho parlato un po’ con gli italiani: Baroncini e Covi. Mi chiedevano come fosse andata la giornata e cosa avessi fatto. Non sono entrato troppo nello specifico, anche perché sono uno a cui non piace disturbare. 

Con te c’era anche il tuo vecchio compagno di squadra Sambinello…

Siamo grandi amici, rivederlo con quella maglia mi ha fatto piacere per lui. Spero di fargli compagnia già il prossimo anno. 

La cosa che più ti è rimasta da questa settimana?

Stare in un ambiente del genere, dove tutto è grande ma allo stesso tempo non manca nulla. Anche se soltanto per una settimana fare questa vita mi è piaciuto molto.

Majka da Pogacar ad Ayuso, spalla preziosa al Giro

19.12.2024
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BENIDORM (Spagna) – Da quello che faceva lui, capivi che cosa avrebbe fatto Pogacar. Al Giro d’Italia è stato così quasi ogni giorno, quantomeno nelle tappe di salita. Quando il polacco si alzava sui pedali e calava il rapporto, la velocità cresceva di colpo. Significava che di lì a poco Tadej avrebbe attaccato e per allora gli altri sarebbero stati già al gancio. Rafal Majka è l’ultimo dei gregari all’antica. Uno che prima di lavorare per gli altri ha fatto il capitano.

A 35 anni detiene con Laengen il primato di corridore più anziano del UAE Team Emirates, dopo che nelle ultime due stagioni se ne sono andati i coetanei Trentin e Ulissi, per cui vederlo in mezzo a tanti ragazzini sembra persino strano. Se non fosse che gli stessi ragazzini lo guardano con rispetto e anche un filo di soggezione. Quello è Majka: ha vinto per due volte la maglia a pois del Tour e anche tre tappe.

Entrambi classe 1989, Laengen e Majka sono i due corridori più maturi del UAE Team Emirates
Entrambi classe 1989, Laengen e Majka sono i due corridori più maturi del UAE Team Emirates
Che effetto fa essere nella squadra numero uno al mondo?

E’ diventata forte, fortissima. Ci sono arrivato nel 2021, sono passati 4 anni e quasi non la riconosci. Non credevo che sarebbe stato possibile un progresso del genere, perché avviene in ogni comparto. I tecnici, gli allenatori, i nutrizionisti. E’ tutto ai massimi livelli e mi sento di dire che starci dentro è più facile di prima. Ho corso con Tinkoff e poi alla Bora, la UAE Emirates è la mia terza squadra. E quando faccio il confronto, per me è meglio perché è stabile. Si va senza problema ai ritiri, si prendono i voli e tutta una serie di dettagli. Come il fatto che abbiamo il cuoco sempre con noi. Anche nei ritiri prima di Giro, Tour e Vuelta. Ogni cosa che facciamo viene controllata, mi pare che ci sia una bella differenza rispetto ad altre squadre. Ho la sensazione che qui siamo proprio più avanti.

Hai corso per sei anni nelle squadre di Bjarne Riis, che sembrava il più organizzato di tutti. Se le riguardi adesso quanto sembrano più piccole?

Mi ricordo quando sono passato con Bjarne, la sua scuola prevedeva già una grande attenzione al cibo e il cuoco nelle corse più importanti. Ma le cose sono cambiate. Il carico sui corridori è aumentato e serve più concentrazione rispetto ad allora. Anche prima facevi sacrifici, però adesso ancora di più. Se vuoi vincere le corse, per stare avanti bisogna fare la vita oltre quello che prima si poteva immaginare.

Al Giro guardavamo te per capire cosa avrebbe fatto Tadej…

Lo sapete che prima del Giro avevo problemi con il tendine di Achille? Pensavo fosse il momento peggiore, però sono stato un mese a Sierra Nevada e il nostro fisio ha fatto il miracolo. Dopo due giorni di trattamento ho ripreso ad andare in bici e mi sono sentito subito molto meglio. Poi lo sapete, quando c’è un capitano come Pogacar e ti ritrovi davanti con venti corridori, sai che se acceleri, lui va via. Questo è un fenomeno, ragazzi.

Questo è il momento dell’attacco: Majka dà tutto, sta per scattare Tadej
Questo è il momento dell’attacco: Majka dà tutto, sta per scattare Tadej
A un certo punto chiedemmo a Matxin perché non portare anche te al Tour. Ce l’avresti fatta?

Dopo il Giro ci siamo ritrovati tutti a cena e abbiamo parlato. Stavo preparando anche io il Tour, in quanto prima riserva. Sono già stato per due volte in Francia con Tadej e uno l’ha pure vinto, quello del 2021. Però l’ultima parola spettava alla squadra e avevamo corridori molto bravi sia per la pianura e altri per la salita. Non sempre funziona tutto alla perfezione, anche a me sarebbe piaciuto andare, ma l’importante è che Tadej abbia vinto ugualmente. Ha vinto il Giro, il Tour e poi anche i mondiali.

Dicono che la figura del gregario non esiste più, allora tu cosa sei?

Prima ero capitano, adesso mi godo l’andare in bici. Ho un capitano di altissimo livello, uno così non l’avevo mai visto in vita mia. E’ anche un ragazzo umile, perché sono stato tanti giorni in gara con lui, anche in camera. E’ impressionante quanto sia umile e stabile, è sempre uguale. Quando però parte in bici, quello che vedo io è un terminator. Vuole ammazzare tutto. E’ lui che mi dice quando partire e io non aspetto altro.

Quest’anno è parso anche più potente di altre volte in passato.

Ha fatto la scelta di cambiare allenatore e la differenza si vede. Quando dopo un paio di anni che lavori allo stesso modo ti arriva l’impulso di cambiare, la squadra ti asseconda. Dal 2025 cambio anche io, ero sempre con lo stesso da quattro anni. Mi serve fare dei lavori diversi e questa squadra può darmi il supporto che mi serve, fra allenamento, bici e alimentazione. Tutti pensano che sia facile, però bisogna saper scegliere i corridori per lavorare e quelli per vincere. E’ il lavoro di Matxin, che lo fa bene.

Rafal, Magdalen, Maja e Oliwier: la famiglia Majka (immagine Instagram)
Rafal, Magdalen, Maja e Oliwier: la famiglia Majka (immagine Instagram)
Che cosa ti ha cambiato il nuovo preparatore?

Faccio un po’ lavori strani che non facevo prima. L’importante, come gli ho detto, è che voglio partire più tranquillo e arrivare bene, perché voglio fare il Giro d’Italia. Perché mi piace e penso che fare il Giro con Ayuso sarà diverso dal farlo con Pogacar. Juan è cresciuto tanto, soprattutto dopo questa stagione. L’ho visto quando ho corso con lui la Tirreno. E’ un ragazzo che vuole vincere e lo sai com’è un giovane che vuole vincere, scalpita. Io invece sono uno corridore che fa quello che gli viene detto dai direttori sul bus. Sono due leader diversi, però c’è una squadra che ti paga e bisogna fare al 100 per cento quello che ti dicono. Io penso che Ayuso possa arrivare fra i primi tre. Lo sapete come è il ciclismo, mai dire mai perché può succedere tutto, però può fare bene.

Ti sei mai pentito di aver fatto questa scelta, di non fare più il capitano?

Dopo Bora e dopo otto anni facendo il leader, mentalmente era diventato pesante. Non dico che non stessi bene, perché non sarebbe vero, però era un continuo carico di stress. Mi si attaccava addosso e interferiva nei rapporti con la famiglia, non riuscivo a essere in perfetto equilibrio. Invece questi quattro anni sono passati che quasi non me ne sono accorto. E’ incredibile. Matxin e Gianetti mi danno fiducia e anche quest’anno quando al Giro ho rinnovato il contratto con Mauro, non c’è stato nulla da ridire. Abbiamo trovato subito l’accordo, anche con Matxin per il mio ruolo. Lavoro al 100 per cento per la squadra, ma l’anno prossimo voglio vincere una corsa.

Quale corsa?

Spero di trovare spazio per vincere una tappa. Ne ho vinte tre al Tour e due alla Vuelta, mi manca una tappa al Giro. Sicuramente andrò a lavorare al 100 per cento per i ragazzi, però se avrò l’opportunità ci proverò. Prima pensiamo a lavorare e poi quando avremo un bel vantaggio e dopo che avremo fatto tutto quello che chiede la squadra, proveremo a portarne a casa una.

La forza della normalità: servirebbe un Covi in ogni squadra

17.12.2024
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BENIDORM (Spagna) – Mentre Diego Ulissi lo scorso anno non gradì troppo il fatto di essere stato escluso dal Giro d’Italia per fare punti nel resto del calendario, ad Alessandro Covi la cosa andò parecchio a genio. La sfortuna del piemontese fu che ebbe appena il tempo di cominciare la stagione e venne raggiunto, nell’ordine, dal Covid, da un grosso problema ai tendini e a seguire da un trauma cranico per caduta. Quando ha ricominciato a correre, le sue occasioni erano praticamente finite e così si è dato da fare come gregario, mettendo in fila però il sesto posto al Memorial Pantani e il secondo al Matteotti.

Nella giornata dedicata ai media nel ritiro del UAE Team Emirates, in mezzo a tante stelle del firmamento ciclistico, andare a cercare Covi è un atto rivoluzionario. Quando gli abbiamo dato appuntamento prima che uscisse per l’allenamento, qualcuno dello staff lo ha persino preso in giro. Forse se ne è stupito anche lui, sottovalutando la forza dell’umanità e dell’umiltà. Dovrebbe esserci un Covi in ogni grande squadra, per questo gli abbiamo chiesto di fare due chiacchiere. E quando viene a sedersi con quel che resta di una criniera giallo platino, riconosciamo lo sguardo mite e i bagliori folli del ragazzino che incontrammo per la prima volta fra gli under 23. Solo che nel frattempo Covi ha imparato a tenere a bada i suoi slanci di simpatica follia.

Il secondo posto al Matteotti dietro Aular non ha reso Covi particolarmente felice: c’è da capirlo
Il secondo posto al Matteotti dietro Aular non ha reso Covi particolarmente felice: c’è da capirlo
Non c’è più “lo zio Diego” e la squadra cambia ancora.

Ulissi se ne è andato e la squadra è davvero cambiata tanto negli anni. E’ sempre più internazionale, è la numero uno al mondo, quindi sono onorato di essere qui. Italiani siamo rimasti in pochi, speriamo pochi ma buoni (ride, ndr). Il prossimo sarà il sesto anno, sono qui da tanto. L’ho vista crescere in ogni aspetto, l’effetto è impressionante e penso che crescerà ancora tantissimo. Siamo nel posto in cui meritiamo di essere, cioè in cima alle classifiche mondiali. Negli anni abbiamo lavorato per quello, era un obiettivo della squadra. Per questo è un onore esserne parte e correre con questa maglia.

Discorso da calciatore, ma ti si perdona. Vista tanta concorrenza, è difficile guadagnarsi il posto nelle gare che contano?

Ovviamente ci sono tantissimi corridori forti. Se ti guardi intorno, vedi tanti campioni, quindi devi meritarti ogni cosa. Bisogna andare forte, il segreto è quello.

L’anno scorso fu fatta la scelta di non correre i Grandi Giri per puntare alle corse di un giorno, la rifaresti?

L’anno scorso, come avete detto, sono stato particolarmente sfortunato. A partire dalla Tirreno ho avuto un susseguirsi di problemi che mi hanno fatto saltare 30 giorni di bici nei tre mesi centrali della stagione. Ho saltato proprio le gare in cui sarei andato per fare bene. Sono andato avanti correndo per due settimane e fermandomi nelle due successive. Quindi non sono riuscito a rendere come avrei voluto. Nel finale di stagione invece ho trovato un equilibrio. Non ho più avuto problemi sulla mia strada e sono riuscito a fare delle buone prestazioni. Sperando che tutto questo prosegua fino all’anno prossimo, vorrei davvero provare a fare qualche risultato. Mi piace l’idea di stagione che avevamo immaginato già l’anno scorso. A me piace correre. E anche se il Giro per noi italiani è la corsa più importante, per me vincere è fondamentale. Quindi spero di tornare ad alzare braccia al cielo. Soffro questa situazione, mi manca.

Nell’hotel si gioca con la mitologia egizia. Quello non è un puma, ma per scherzare con il Puma di Taino, va più che bene
Nell’hotel si gioca con la mitologia egizia. Quello non è un puma, ma per scherzare con il Puma di Taino, va più che bene
Anche perché andare al Giro con certi leader significa soprattutto tirare, no?

E difficile avere il proprio spazio. Poi magari l’occasione capita ugualmente, però andando in una gara con un livello minore nei giorni del Giro, c’è più possibilità di fare il proprio risultato, che porta punti alla squadra. Ovviamente aiutare per me non è mai stato un problema, l’ho sempre fatto volentieri. Però quello che mi dà motivazione allenandomi è sicuramente vedere dove posso arrivare al confronto con i migliori corridori del gruppo. Ho visto che la gamba per tornare a quei livelli c’è e voglio davvero sfruttare l’anno prossimo per vincere delle gare. Che sia il Giro d’Italia o un’altra, per me è importante alzare le braccia al cielo.

Sei qui da sei anni, che cosa è cambiato nel tuo lavoro?

Il modo di approcciarsi con l’alimentazione. Un po’ anche gli allenamenti, però alla fine la bici è sempre pedalare nello stesso modo, quindi la palestra e gli esercizi sono sempre quelli. Quello che cambia sono dei piccoli particolari. Quel che noto è che prima si lavorava di più, si faceva più quantità. Ora c’è più qualità, lavori specifici che durano più a lungo durante un allenamento più corto. Una volta facevi sei ore piano, adesso se ne fanno quattro, ma a ritmo più sostenuto.

Come si trova il Covi brillante e persino dissacrante di un tempo in questi schemi così precisi?

Mi sto adattando, mi stanno piegando (ride, ndr). Alla fine è una conseguenza del ciclismo che c’è adesso. Ti guardi in giro, sono tutti super professionali e lo sono diventato anch’io. Se vuoi stare a questi livelli, devi fare tutto al 100 per cento.

Le corse in Veneto sono state le ultime di Covi con Ulissi: qui il Giro del Veneto, poi la Veneto Classic
Le corse in Veneto sono state le ultime di Covi con Ulissi: qui il Giro del Veneto, poi la Veneto Classic
Non hai ancora un calendario gare, ma potendo scegliere dove andresti?

Ho visto più o meno il calendario, ma ancora non ne abbiamo parlato. Per cominciare direi Laigueglia, che mi piace tantissimo e ci sono affezionato. Poi la Tre Valli a fine stagione, che reputo la gara di casa. Quest’anno siamo stati sfortunati con il meteo, ma speriamo di tornarci l’anno prossimo e vincerla. Nel mezzo mi piacerebbe fare bene al campionato italiano. Non so esattamente dove sarà, però è sempre una gara che ti dà la motivazione per fare bene.

Due soli italiani nella WorldTour (tu e Baroncini), tre nella Gen Z (Giaimi, Sambinello e Stella). Come sono i rapporti con i più giovani?

L’anno scorso ho avuto modo di conoscere Luca Giaimi, che era l’unico italiano. Adesso ce ne sono altri due e almeno li ho conosciuti. Con Luca è stato un reciproco cercarsi, un po’ mi ha cercato lui e un po’ l’ho cercato io. Ha una casa vicino ai miei familiari a Varese, quindi ogni tanto ci siamo trovati anche in allenamento per poi creare un legame di amicizia. Un po’ come Ulissi e me, ho fatto e sto facendo del mio meglio per trasmettergli qualcosa. Speriamo che farà una buona stagione.

Ti mancherà Ulissi?

Diego mi mancherà a livello di amicizia, questo è certo. Come maestro di ciclismo, quando è andato via mi ha detto che quello che aveva da insegnarmi, me l’ha trasmesso tutto. Ho preso tanto da lui, ma ognuno ha la sua personalità, per cui sto facendo anche del mio per trovare la mia strada. Ormai ho 26 anni e un pacchetto di esperienze grazie al quale posso trasmettere qualcosa anche io. Speriamo che il sistema funzioni anche con questi giovani.

Ayuso fa rotta sul Giro e lavora per superare Pogacar

16.12.2024
6 min
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BENIDORM (Spagna) – Prima di Roglic, la dichiarazione d’amore al Giro d’Italia l’ha fatta Juan Ayuso. E’ stato Matxin, il capo dei tecnici del UAE Team Emirates ad annunciarne la presenza e subito dopo lo spagnolo l’ha confermato. Verrà al Giro per tentare di vincerlo, come ha già fatto nel 2021 fra gli under 23. Il nodo che resta da sciogliere riguarda l’eventuale presenza di Pogacar, che per decidere aspetterà il 19 dicembre e la presentazione della Vuelta. E’ chiaro che in quel caso cambierebbe tutto, ma nel parlarne Ayuso minimizza e tira dritto.

Il terzo posto alla Vuelta del 2022 sembra lontanissimo. I successivi problemi al ginocchio e il quarto posto del 2023 hanno confermato che la sostanza è tanta, mentre il ritiro dall’ultimo Tour con qualche sbavatura nei rapporti con i compagni ha lasciato un interrogativo che il Giro potrebbe risolvere definitivamente.

«Io vado al Giro – sorride Ayuso – se poi ci viene anche Tadej, allora saremo in due e non è un problema. Sono completamente concentrato sul Giro, è uno degli obiettivi più grandi per la prossima stagione. In termini di preparazione per me non cambia nulla. Ci si prepara sempre al meglio delle proprie possibilità, nel miglior modo possibile. Se Tadej ci fosse, correremmo in un modo, se non lo fa, cambierebbe tutto, ma il focus sul Giro non cambia».

Pogacar, Ayuso e il Tour a Firenze. Lo spagnolo lascerà la corsa dopo 13 tappe
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E’ stato il tema del 2024, il fatto di essere in una squadra con così tanti leader e non avere il tuo spazio. TI senti mai schiacciato?

Non userei questi termini, ma è vero che siamo una delle migliori squadre del mondo per cui ho molti compagni di livello molto alto. Questo fa crescere il livello di tutti, perché se vuoi avere una possibilità, devi dimostrarti all’altezza, non puoi semplicemente chiederlo, perché potrebbero esserci dei corridori migliori di te. Quindi penso che anche questa sia una motivazione, sai che devi continuare a lavorare e non puoi rilassarti.

Parlando del Giro con Tadej, sei riuscito a farti dare qualche consiglio?

Penso che per Tadej sia tutto più facile che per ciascuno di noi, quindi è abbastanza difficile ottenere dei consigli. E’ il migliore del mondo e tutto ciò che fa lo fa sembrare più facile di quanto in realtà non sia. Ho molti amici al di fuori del ciclismo che non guardano molto le corse. Poi vedono Tadej fare certe cose e pensano che sia normale. E io invece gli dico che non lo è. Tadej Pogacar è un bravo ragazzo da avere intorno ed è meglio averlo dalla tua parte che come avversario.

Sai spiegarti perché gli viene tutto così facile?

Perché è il migliore del mondo. È come quando vedi Messi con la palla e come gira intorno a tutti. Anche quello può sembrare facile, poi però vedi tutti gli altri e capisci che non possono farlo. Penso che nel ciclismo lui sia come Messi.

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Avete entrambi dei contratti a lungo termine, quindi per tutto il resto della tua carriera avrai intorno Tadej. Cosa pensi che succederà fra un anno o due?

Se lui oggi è considerato il miglior corridore al mondo, immagino che per fare meglio dovrò prendere io il suo posto. Ma se azzardassi una cosa del genere, voi della stampa chissà cosa direste. Per cui mi limiterò a dire che un giorno mi piacerebbe essere migliore di lui, perché è il miglior corridore del mondo. Sogno di essere come lui, quindi per riuscirci dovrei batterlo. Ovviamente non voglio che questo crei un malinteso perché Tadej non è un rivale, ma il mio metro di paragone. Lui mette l’asticella e tu devi cercare di raggiungerla.

Dopo il Tour si vociferava che fra voi due non corresse buon sangue…

La relazione fra noi è perfettamente normale. Abbiamo passato molto tempo insieme, specialmente quest’anno, preparando il Tour. E anche l’anno scorso, quando lui si allenava per il Tour e io per il Tour de Suisse. Abbiamo passato molto tempo in ritiro e questo crea delle amicizie. E’ stato difficile per me non poterlo aiutare al Tour, mentalmente mi sono sentito incapace di dimostrare quello che ero in grado di fare. Ne abbiamo parlato in privato e penso che abbia capito la situazione. Lo apprezzo molto per questo, perché pur essendo un campione si prende sempre del tempo anche per questi dettagli. E per quanto riguarda il contratto, ora sono contento e non ho bisogno di pensarci.

Quando si è svolta questa conversazione fra voi?

Andato via dal Tour, la volta successiva ho visto Tadej in Canada. Ci tenevo a dirgli che quello che era uscito sulla stampa non era vero e volevo che lo sentisse direttamente da me. Ma l’ho anche ringraziato per un paio di cose per le quali gli ero molto grato e poi l’abbiamo chiusa lì, perché mi è parso che abbia capito alla perfezione quello che volevo dirgli.

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Diventare il migliore al mondo è una bella scalata, dove vedi che devi migliorare di più?

Per ora penso a ogni piccolo aspetto. Mi piacerebbe migliorare di più in salita perché mi considero uno scalatore, ma se guardo le mie vittorie, la metà di esse sono venute sulla bici da crono. E’ strano, ma del resto se si vuole vincere una classifica generale, bisogna andare forte anche contro il tempo. Ora per me è difficile recuperare uno o due minuti in salita, ma posso guadagnarli nella cronometro e questo viene in mio favore. Ma se voglio cercare di colmare il divario da corridori come Vingegaard, Remco e Roglic, devo assolutamente diventare uno scalatore migliore.

Non significa mettersi troppa pression?

La pressione che metti su te stesso non è la stessa che può venirti dall’ambiente. Quando sono andato al Tour, volevo fare del mio meglio e avere questo tipo di motivazione è molto importante perché è quello che faccio da quando ero piccolo. E’ un plus che mi motiva di più.

Cambierai la tua preparazione?

Non so ancora dirlo nei dettagli, ma forse ci sarà più carico di lavoro. Fino ad ora, anche a causa della mia età, probabilmente non mi allenavo lo stesso numero di ore degli altri. Quindi un aspetto sarà quello di cercare di aumentare le ore generali, intervenendo poi con dei lavori specifici. Ci sono vari tipi di mitologia sui tipi di allenamento, ma preferisco attenermi a quello che penso abbia davvero funzionato per me. D’altra parte, penso che sarebbe un errore fare 20 anni di carriera allo stesso modo, quindi voglio sperimentare cose nuove.

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Hai già vinto un Giro d’Italia da U23, qual è il tuo rapporto con l’Italia?

La verità è che fare il Giro mi riporta alla mente tanti bei ricordi, perché ho corso per metà anno alla Colpack. Quattro o cinque mesi a Bergamo in cui sono stato molto bene e le gare da under 23 che ho fatto in Italia mi hanno permesso di fare un salto molto importante grazie al quale sono arrivato di qua con molta più fiducia. Mi piace correre in Italia. L’anno scorso la Tirreno è andata bene per certi versi, ma fare secondo non mi è piaciuto tanto, quindi spero di tornarci il prossimo anno e che il Natale mi porti fortuna e buoni risultati.

Mondo Emirates, viaggio fra sport, affari e campioni

20.11.2024
7 min
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«Purtroppo non possiamo fare molto con Pogacar – dice mister Boutros – perché il contratto di Emirates è con la squadra. Ma nel frattempo, se dovessimo avere un concetto di pubblicità per il quale valga la pena, non lo escludiamo: tutto è possibile. Dipende dalla campagna pubblicitaria che stiamo conducendo, dalla personalità che dobbiamo utilizzare. Detto questo, non abbiamo sfruttato appieno Pogacar, credo soprattutto perché questi ciclisti continuano a pedalare tutto l’anno e non so se hanno tempo per fare altro».

Chi parla è Boutros Boutros, vicepresidente esecutivo e responsabile marketing e comunicazioni di Emirates. La compagnia aerea emiratina supporta dal 2017 il team di Mauro Gianetti, ma sponsorizza squadre di calcio fra cui Milan e Real Madrid e altri sport fra cui cricket, rugby, tennis, ippica, vela, basket… L’elenco è davvero lungo e certamente pregiato e questo ha acceso la nostra curiosità di sbirciare in casa loro, per farci raccontare i criteri di scelta delle discipline che sostengono.

Il nostro interlocutore ha svolto un ruolo chiave nella costruzione del marchio globale della compagnia, guidando un team di oltre 150 professionisti e più di 100 agenzie globali, che ne fanno uno dei comunicatori aziendali più influenti e di alto profilo del Medio Oriente. Boutros è entrato in Emirates nel 1991 ed ha alle spalle anche due decenni di esperienza nel giornalismo, nelle relazioni pubbliche e nel marketing.

Boutros Boutros è vicepresidente esecutivo e responsabile marketing e comunicazioni di Emirates (foto Gulf News)
Boutros Boutros è vicepresidente esecutivo e responsabile marketing e comunicazioni di Emirates (foto Gulf News)
Emirates e lo sport: come nasce?

Quando abbiamo avviato la compagnia aerea, abbiamo sempre saputo dove volevamo arrivare. Ma è molto difficile pensare di conquistare il mondo quando si inizia con due aerei e due rotte. Il modello di business delle compagnie aeree è molto costoso, dato che ogni aereo costa più o meno 200 milioni di dollari e ogni nuova rotta costa una fortuna. Comunque, per farla breve, sapevamo che saremmo arrivati a un livello globale, sapevamo dove saremmo arrivati. Perciò avevamo bisogno di farci conoscere, perché non ci conosceva nessuno, nemmeno a Dubai. Sto parlando dei primi anni ’90 e abbiamo scoperto che lo sport era il modo migliore per aumentare la consapevolezza e avvicinarci al pubblico.

Quale sport? E perché?

Ci sono differenze. Si passa da sport conosciuti a sport meno conosciuti, sport seguiti e sport meno seguiti. Siamo partiti da questa considerazione, sapendo ad esempio che la maglia di un calciatore è la migliore connessione con le persone che lo amano. I calciatori hanno i loro sostenitori, il loro pubblico. E naturalmente una voce importante è la copertura televisiva, che oggi per il calcio è massima. Così abbiamo pianificato come crescere fino a raggiungere il top, per esempio partendo dallo sport più seguito che per il mondo occidentale è il calcio. Poi c’è il cricket, che coinvolge probabilmente 2 miliardi di persone. E poi c’è il rugby. Abbiamo stilato una lista di sport di punta, purtroppo a spese di tutti gli altri. Non possiamo approfondirli tutti, anche se ci piacerebbe.

Siete voi a scegliere lo sport o ricevete richieste fra cui scegliete?

Come in tutte le attività commerciali, tutti vogliono avvicinarsi per entrare nel business. Ma come ho detto all’inizio, abbiamo preso in considerazione gli sport più trasmessi. Così ad esempio, inizialmente ci siamo avvicinati alla Formula Uno. Però ci siamo detti che è troppo rischiosa e poteva creare una pericolosa associazione di idee. Noi facciamo volare le persone e quindi non ci è sembrato utile sposare uno sport soggetto a incidenti

Fra le squadre di calcio sponsorizzate dalla compagnia aerea c’è il Real Madrid (Facebook/Emirates)
Fra le squadre di calcio sponsorizzate dalla compagnia aerea c’è il Real Madrid (Facebook/Emirates)
Avete creato un ranking di discipline appetibili?

Abbiamo scoperto che i primi sei, sette sport sono il calcio, il football, il tennis, il golf, il rugby, il cricket e l’equitazione, perché è un grande sport in Medio Oriente e genera un’ottima immagine. Ci siamo resi conto che nel complesso questi sport coprono quasi tutti gli appassionati del mondo e così ci siamo mossi.

E cosa avete fatto: avete bussato alle loro porte?

Naturalmente c’è sempre da considerare il prezzo e la disponibilità, perché nelle sponsorizzazioni sportive, come in tutte le altre cose, le prime due o tre squadre sono sempre occupate, quindi bisogna scegliere bene il tempo. Siamo stati abbastanza pazienti da aspettare il momento giusto ed è questo il motivo per cui ci sono voluti forse 10 anni per costruire il nostro portfolio.

C’è differenza tra sostenere una squadra o un singolo sportivo?

Noi non sponsorizziamo singoli atleti, perché otteniamo molto di più dalle squadre. In più dal punto di vista amministrativo gestire una sola persona richiede lo stesso tempo della gestione di un club.

Emirates sposnorizza la NBA Cup, che si concluderà con una Final Four a Las Vegas (Facebook/Emirates)
Emirates sposnorizza la NBA Cup, che si concluderà con una Final Four a Las Vegas (Facebook/Emirates)
Le sponsorizzazioni hanno modalità diverse…

Dobbiamo scegliere come distribuire le nostre risorse. Dove possiamo, ci concentriamo sul prendere la maglia. Se invece non è disponibile, si fa qualcos’altro. Ad esempio, si prendono i led dello stadio, ma il vero obiettivo è la maglia. Ecco perché sponsorizziamo gli arbitri del rugby, del cricket e anche dell’NBA. Questa è un’area che più o meno ci appartiene, perché nessun’altra compagnia aerea è riuscita ad arrivarci. Abbiamo provato anche con il calcio, ma sponsorizzare gli arbitri non è parso la cosa migliore, avendo anche delle squadre. Si poteva scrivere qualcosa sulle maniche, ma sono troppo piccole perché vengano notate in televisione. La sfida più grande è individuare la misura e il posto in cui mettere il nostro nome.

Sponsorizzate anche molti eventi sportivi, danno dei buoni riscontri?

Facciamo eventi nel cricket e la Coppa del mondo di rugby. Non è possibile sponsorizzare tutte le squadre del mondo, perché è molto costoso. E allora si va al mondiale di rugby, per esempio, si sponsorizza l’arbitro e poi magari lo stesso torneo.

Parliamo del ciclismo?

Abbiamo scelto una squadra sapendo che avrebbe vinto. E’ più facile seguire una squadra piuttosto che le tante corse di ciclismo in giro per il mondo. Il Tour de France è famosissimo, come un altro un paio di eventi, ma ce ne sono tanti. Ecco perché abbiamo una squadra, perché ci rappresenta. E siamo stati abbastanza fortunati nel fare la squadra degli Emirati Uniti, che poi ha anche vinto.

Nella vela, ecco Emirates Nuova Zelanda e il team SailGP Emirates Gran Bretagna (Facebookl/Emirates)
Nella vela, ecco Emirates Nuova Zelanda e il team SailGP Emirates Gran Bretagna (Facebookl/Emirates)
Avete la squadra numero uno al mondo, in cui milita il corridore più forte del mondo: che effetto fa?

Abbiamo iniziato perché ne conoscevamo il potenziale, ma un conto è poter competere e tutt’altro è vincere. Siamo stati fortunati che abbiano vinto il campionato del mondo e poi siamo stati fortunati che abbiano i migliori corridori del gruppo. E’ una zona nuova in cui abbiamo iniziato a pedalare per provare e credo che abbiamo fatto bene a sponsorizzare una squadra piuttosto che il singolo ciclista.

Quindi la squadra funziona più dell’evento?

Sì, attraverso le persone e i loro risultati c’è un legame migliore. E questo riflette davvero lo spirito emiratino: si può lavorare in squadra, si può avere successo e ci si può distinguere da tutti gli altri.

E’ importante che il team abbia sede negli Emirati Arabi Uniti?

Abbiamo iniziato come squadra di supporto per gli Emirati Arabi Uniti. Volevamo una squadra che portasse il nome del Paese, perché in fin dei conti noi ne portiamo la bandiera. All’inizio eravamo noi a sostenerli, ora sono loro a sostenere noi, perché hanno mantenuto la promessa e hanno fatto così bene che ora siamo davvero orgogliosi. E anche dal punto di vista finanziario, il rapporto qualità/prezzo è molto buono.

In Italia il marchio si riconosce sulle maglie del Milan (Facebook/AC Milan)
In Italia il marchio si riconosce sulle maglie del Milan (Facebook/AC Milan)
Per cui, concludendo, si può dire che la sponsorizzazione nel ciclismo sta funzionando?

Sta andando molto bene, perché ci ha permesso di intercettare molti clienti in aree in cui di solito non siamo presenti. Ci ha permesso di raggiungere un pubblico a cui non avevamo mai pensato. Il ciclismo ha la sua popolarità, perché è uno sport che tutti possono praticare. In tutto il mondo, quasi tutti vanno in bicicletta e quasi tutti possono permettersi una bicicletta. Non c’è bisogno di percorsi particolari, si può andare in bicicletta nel cortile di casa o sulle strade nei dintorni. Il ciclismo è molto più grande di quanto la gente si renda conto. Noi stessi ce ne siamo resi conto quando abbiamo iniziato a essere coinvolti.

E mister Boutros è mai andato in bicicletta?

Ho tentato la fortuna, finché un paio di anni fa mi sono infortunato. Ormai è troppo tardi per riprovarci, ho una grossa placca nella gamba, penso sia meglio fare altro. Spero di averle dato tutto ciò che desidera, ho il telefono che squilla. Spero di rivederla presto.

Gregario di Pogacar, per Sivakov è facile: «Tu tiri, lui vince»

26.10.2024
4 min
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«Non dirò che sia facile – ha detto Sivakov a Eurosport dopo il Tour – perché è comunque difficile essere all’altezza del compito. Eppure è facile essere compagno di squadra di un leader come Pogacar. Noi facciamo il nostro lavoro e lui vince. E’ un enorme piacere per noi sapere che quando inizia una corsa, spesso finisce con una vittoria, come è successo al Tour de France. Al di là di questo, è sempre un ragazzo normale. Facciamo il nostro lavoro, ci divertiamo, ridiamo molto. Abbiamo un ottimo rapporto, siamo un ottimo gruppo».

La sola vittoria 2024 di Sivakov a L’Aquila, tappa finale del Giro d’Abruzzo, chiuso 2° dietro Lutsenko
La sola vittoria 2024 di Sivakov a L’Aquila, tappa finale del Giro d’Abruzzo, chiuso 2° dietro Lutsenko

L’ambiente giusto

Forse questa volta il russo naturalizzato francese, ma nato in Italia, ha trovato al UAE Team Emirates la sua dimensione definitiva. Alla Ineos Grenadiers dava l’impressione di divertirsi meno, ma non certo di fare meno fatica. Solo che ora, a parità di impegno e magari anche d’ingaggio, si capisce che le vittorie siano un compenso migliore. Sivakov non è un gran chiacchierone. La prima volta ci parlammo a Campo Imperatore, dove aveva appena conquistato il Giro d’Italia U23, lasciandosi dietro Hamilton e Hindley, nello stesso 2007 in cui avrebbe poi conquistato anche il Valle d’Aosta. Sembrava un predestinato e così lasciavano pensare le vittorie al Tour of the Alps e al Polonia del 2019. Poi forse qualche caduta di troppo, le prestazioni sono scese e le richieste della Ineos si sono alzate e Sivakov è rientrato nei ranghi del gregario.

«La differenza rispetto a prima – ha detto prima del Lombardia – è che con la Ineos anche per andarsi a giocare la Parigi-Nizza, c’era qualcosa da dimostrare e questo iniziava a pesarmi. Invece qui alla UAE Emirates, quando non c’è Tadej, anche per noi ci sono le porte aperte».

Al Giro del 2023 Sivakov è venuto come gregario di Thomas, poi secondo a 14″ da Roglic
Al Giro del 2023 Sivakov è venuto come gregario di Thomas, poi secondo a 14″ da Roglic

Le certezze di Pogacar

Un cambio di attitudine che potrebbe aver riacceso anche la fiducia. Quando mai negli ultimi tempi era capitato di vedere Sivakov attaccare come nel finale del Lombardia? Evidentemente aver fatto quell’ottimo Tour accanto a Pogacar ed essere arrivato in forze al fine stagione gli hanno restituito la voglia di provarci.

«Correre accanto a Tadej – ha spiegato – è qualcosa che colpisce, anche se difficilmente puoi farne un modello. Quando decide, lui attacca e si affida all’istinto. Quando l’ho visto in fuga al mondiale, ho capito subito che era uno di quei giorni. Non ha paura di niente, ma non mi aspettavo che avesse un simile livello. Credevo che avremmo vinto il Tour de France, non che riuscisse a conquistare tutte le altre corse. Penso che abbia impressionato tutti, ma non crediate che sia solo azzardo: sa cosa può fare. Spesso sorprende i suoi avversari, come ha fatto a Zurigo. Chi avrebbe mai immaginato che potesse attaccare a 100 chilometri dall’arrivo?».

In fuga con Pogacar a Zurigo, Sivakov ha collaborato prima di crollare: chiuderà 35°
In fuga con Pogacar a Zurigo, Sivakov ha collaborato prima di crollare: chiuderà 35°

Rimpianto Delfinato

Il Tour of Guangxi non è andato come pensava. Forte della condizione mostrata al Lombardia, il russo-francese era volato in Cina per provare a vincere la corsa, ma alla fine ha dovuto accontentarsi del quinto posto, pagando la maggior esplosività di Van Eetvelt sull’arrivo di Nongla che ha deciso la corsa.

«Ho avuto delle opportunità in alcune gare – ha commentato prima di ripartire – ma è meglio essere compagno di squadra di corridori come Pogacar che lottare contro di loro. Alla fine si creano molte opportunità. Possiamo prendere l’esempio di Sepp Kuss, che lo scorso anno ha vinto la Vuelta. Se non fosse stato compagno di squadra di Roglic e Vingegaard, non credo che ci sarebbe riuscito. E’ sempre difficile trovare il proprio posto in una squadra di altissimo livello, ma sono abbastanza soddisfatto della mia stagione. La delusione vera è stata il Delfinato. Mi sono ammalato e non ho fatto la gara che avrei voluto».

Erano i giorni prima del Tour. Quelli che Adam Yates ha messo a frutto duellando con Almeida sulle salite del Giro si Svizzera e che Sivakov ha invece sciupato, ovviamente non per colpa sua, ritirandosi nell’ottava tappa. Non è come alla Ineos, ma anche qui le occasioni vanno colte quando capitano. Perché quando poi torna sulla scena Pogacar, per gli altri ci sono solo luci riflesse.

Baroncini e il cambio di passo grazie alla dieta di Gorka

13.10.2024
5 min
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«Il grosso passo quest’anno è stato l’essere seguito in maniera super professionale da un team valido di preparatori e nutrizionisti. Il cambio sostanziale penso sia arrivato grazie a Gorka, il nutrizionista della squadra. Ci manda delle tabelle settimanali tarate in base agli allenamenti e al consumo calorico. Alla fine questa è una parte fondamentale, in quanto ci fornisce l’energia per essere sempre in forze e mantenere il peso costante».

Queste parole di Filippo Baroncini, reduce della prima vittoria da professionista, nella nostra intervista di sette giorni fa ci hanno incuriosito. Il corridore da quest’anno in forza al UAE Team Emirates ha cambiato parecchio dal punto di vista dell’alimentazione e della nutrizione. L’artefice di tutto ciò, come ammesso dallo stesso Baroncini, è stato Gorka Prieto il nutrizionista del team emiratino. Siamo andati a chiedere direttamente a lui in che modo ha lavorato e portato il campione del mondo U23 di Leuven a un nuovo livello. 

«E’ la prima volta – dice Gorka – per stessa ammissione di Baroncini, che qualcuno lo segue in maniera così completa dal punto di vista dell’alimentazione. A inizio stagione ci siamo dati un target di peso da rispettare in base agli obiettivi che aveva nel corso dell’anno. Il primo test fatto è stata una semplice plicometria che mi ha permesso di capire i valori di grasso corporeo».

Alla base della crescita di Baroncini c’è la cura dell’alimentazione grazie alle conoscenze di Gorka il nutrizionista del team
Alla base della crescita di Baroncini c’è la cura dell’alimentazione grazie alle conoscenze di Gorka il nutrizionista del team
Qual è il target di peso deciso per Baroncini?

Tra i 76 e 76,5 chilogrammi nel momento di massima forma. Chiaramente non si può mantenere il peso costante per tutto l’anno, quindi sono state fatte delle scelte in base al calendario. Baroncini aveva come obiettivo quello di fare bene alla Vuelta e nel finale di stagione. Siamo partiti un po’ più alti per poi adattare il peso verso questi impegni. 

Come segui i corridori?

Tutti hanno un piano alimentare da seguire e tramite un’applicazione io fornisco loro un menu. In questo modo sanno cosa mangiare anche quando sono a casa. Tutto viene calibrato in base agli allenamenti e al tipo di obiettivi. Il nostro team comunica in maniera totale. 

Michele Romano, cuoco del UAE Team Emirates, ha un piano alimentare e sa cosa cucinare agli atleti durante le gare
Michele Romano, cuoco del UAE Team Emirates, ha un piano alimentare e sa cosa cucinare agli atleti durante le gare
Spiegaci meglio.

Il preparatore carica il piano di allenamenti settimanali su Training Peaks, io lo vedo e calibro cosa bisogna fare a livello nutrizionale per avere sempre la giusta dose di energie e il miglior reintegro. 

Qual è stato il primo passo fatto con Baroncini?

Fare un’intervista con lui e spiegargli il nostro metodo di lavoro. Poi abbiamo preso le misure: grasso corporeo e peso. Infine ci siamo confrontati sui suoi gusti e il metodo di alimentazione in gara. Il nostro non è un metodo che impone qualcosa all’atleta, ma lo aiutiamo seguendolo al meglio. Se un giorno preferisce il riso alla pasta, lo comunica e io cambio la tabella nutrizionale. 

La pasta viene pesata cotta e condita per garantire il giusto apporto nutritivo (foto Giallo Zafferano)
La pasta viene pesata cotta e condita per garantire il giusto apporto nutritivo (foto Giallo Zafferano)
Quanto è stato difficile integrare nel vostro sistema un corridore nuovo che non era abituato a lavorare in questa maniera?

Baroncini è un ragazzo estremamente bravo e diligente. Ha capito subito come questo metodo potesse aiutarlo a migliorare e crescere nelle prestazioni. D’altronde avere qualcuno che ti dà delle indicazioni precise su come mangiare e cosa ti permette di concentrarti al 100 per cento sull’obiettivo

Che è diverso dall’essere seguiti solamente in gara.

Decisamente. Perché poi in quei giorni sai cosa fare e ti viene detto. Poi però quando torni a casa non hai continuità nel lavoro. Il rischio più grande è che il corridore mangi meno del dovuto, arrivando vuoto e senza energie a fine gara o allenamento. 

Il gusto degli atleti gioca una parte importante nel costruire la tabella nutrizionale
Il gusto degli atleti gioca una parte importante nel costruire la tabella nutrizionale
Baroncini è un corridore “massiccio” che ha bisogno di un costante apporto di energia…

E’ un ragazzo alto e parecchio muscoloso quindi il suo fabbisogno energetico di base è più alto di quello di uno scalatore. Poi tanto dipende dal tipo di gara e di allenamento. La cosa importante è sapere quanto ha consumato all’interno di uno sforzo per regolare l’alimentazione. A inizio stagione abbiamo tenuto il peso più alto, anche se di poco. Con l’avvicinarsi degli obiettivi ho calcolato la strada giusta per arrivare al peso forma. 

La grande differenza vista?

L’alimentazione in corsa. Filippo non era abituato a mangiare tanto durante le gare, rispetto allo scorso anno integra di più.

Uno dei passi in avanti fatti da Baroncini è l’aver imparato ad alimentarsi nel modo corretto in corsa
Uno dei passi in avanti fatti da Baroncini è l’aver imparato ad alimentarsi nel modo corretto in corsa
Ha qualche richiesta o esigenza particolare?

No. In gare o allenamenti impegnativi l’apporto di carboidrati è intorno ai 120 grammi ogni ora. Lui è uno che preferisce usare le borracce, quindi integrazione attraverso i liquidi. Io sono in costante comunicazione con il nostro fornitore di integratori: Enervit, per riportare le richieste dei corridori e adattare i prodotti alle loro esigenze. 

Ad esempio?

Le famose rice cake si fanno ancora, ma con una ricetta diversa. Si usa il riso soffiato e marshmallow per avere un apporto maggiore di zuccheri. Questa soluzione risulta anche più facile da digerire in gara.

Il giorno dopo con Bostjan, il meccanico di sempre

13.10.2024
6 min
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CAVENAGO – Bostjan Kavcnik è il meccanico di Pogacar. E se l’idea di partenza era farsi raccontare le idee del campione del mondo in tema di meccanica, immaginate la sorpresa quando lo sloveno ci dice di esserne il meccanico sin da quando Tadej aveva 11 anni. Lo incontriamo sul camion officina del UAE Team Emirates, una bici sul cavalletto e le altre Colnago già a posto poggiate lungo la parete.

«Ho fatto la sua prima bici – racconta Bostjan – sin da quando era piccolo. Eravamo insieme nella Radenska Liubljana, il primo nome è un’acqua minerale molto famosa in Slovenia. Sono stato l’unico meccanico per gli allievi, juniores e under 23. Ho iniziato a lavorare a fine 2004, vent’anni fra poco. La prima bici di Tadej era una Billato in alluminio, marca italiana. Era montata con uno Shimano 600. Aveva i pedali a sgancio, ma ruote normali in alluminio. Era già forte, ma era uno dei più piccoli. Stava sempre zitto. In una delle prime corse da allievo, si faceva un giro di un chilometro e mezzo. Lui attaccò e in pratica riprese il gruppo, guadagnò il giro come in pista. Finché alla radio annunciarono che c’era un ragazzino dietro che si stava staccando. E a quel punto il suo tecnico rispose che in realtà lui stava per doppiarli tutti…».

Bici nuova al Giro, al Tour e anche per vincere il mondiale: eccolo alla presentazione della Colnago V4RS Tadej Pogacar
Bici nuova al Giro, al Tour e anche per vincere il mondiale: eccolo alla presentazione della Colnago V4RS Tadej Pogacar
Che rapporto c’è fra Tadej e il suo meccanico?

Speciale. Qualcuno arriva e ti dice cosa devi fare. Lui invece ha delle proposte, ma chiede il mio parere e poi insieme troviamo la soluzione. Non è un corridore che ti stressa sempre, ma vuole che la bici funzioni bene. E’ molto attento alle misure, sente le differenze. Normalmente alle gare è una delle prime cose che controllo. Tadej ne ha sempre quattro e dopo aver verificato le misure, si fanno le altre cose.

Durante quest’anno ha cambiato spesso bici: ogni volta c’è da rifare il fitting?

No, perché ho una scheda con le sue misure. Il vero fitting lo facciamo a dicembre nel primo ritiro. Uso il metro, non solo la macchina che abbiamo per prendere le misure. Con il metro sei più veloce. E una volta che l’altezza di sella e l’arretramento sono a posto, siamo tutti tranquilli. Per adesso è sempre andata bene, anche se ogni volta cambiamo anche la sella. Quella nuova permette di riguadagnare quel milimetro in meno che con l’uso di solito si perde. Piuttosto c’è da fare attenziona all’abbigliamento. Al mondiale ha usato il body Alé, qui usa Pissei. E ci sono differenze di altezza nei fondelli di cui bisogna tenere conto.

Il piccolo adesivo di Hulk sul manubrio questa volta ha il costume iridato: per Bostjan, Pogacar è molto legato al personaggio
Il piccolo adesivo di Hulk sul manubrio questa volta ha il costume iridato: per Bostjan, Pogacar è molto legato al personaggio
Ogni volta che gli monti una bici nuova, Tadej scende per provarla?

Questa è una buona domanda. Quando al Giro ha corso con la Colnago rosa, l’ha presa per la prima volta per andare al foglio firma. Ero nervoso, perché in corsa ci sarebbe stata una discesa e lui l’avrebbe fatta senza aver provato la bici. In quei casi ho sempre paura. Sono io che provo la bici e provo ad andare a tutta, ma non è lo stesso che può fare lui. Però per mia fortuna (Bostjan ride, ndr), mi è andata sempre bene.

Vuole che la sua bici sia leggera?

Sì, chiede sempre quanto pesa la bici e cosa si possa fare per renderla più leggera. Guarda cosa c’è in giro e cosa si può comprare oppure usare. A volte mi manda una foto o un link e mi chiede che cosa ne pensi. E’ molto concentrato sulla bicicletta. Anche il fatto di ridurre la lunghezza delle pedivelle è partito da lui. Ha concluso che se fosse riuscito a fare la stessa velocità con più pedalate, allora avrebbe risparmiato più energie. Ha provato e si è trovato bene, per cui l’anno scorso dopo il Tour ha detto di voler cambiare qualcosa per fare la differenza rispetto all’anno prima. Ovviamente lo abbiamo assecondato e, riducendo le pedivelle, abbiamo alzato la sella degli stessi millimetri: due, in questo caso.

Dopo la prima Billato, Pogacar ha corso da U23 con bici Gusto. Bostjan Kavcnik era da tempo il suo meccanico
Dopo la prima Billato, Pogacar ha corso da U23 con bici Gusto. Bostjan Kavcnik era da tempo il suo meccanico
Qui alla Uae ti ha portato lui?

A 43 anni pensavo di essere vecchio per queste cose. A casa ho una moglie e due bambini, non è facile essere così tanto fuori. Però lui ha chiesto ad Hauptman che ci fossi anche io e Andrej mi ha invitato a provare e sono qui da tre anni. Normalmente faccio 180 giorni all’anno via da casa, il primo anno qualcuno di più.

Tadej sceglie da solo i rapporti per correre?

Ne abbiamo parlato a lungo. Shimano ha il 40-54 e lui invece ha chiesto di avere il 38-55. Shimano non lo avrebbe fatto, allora ci siamo guardati intorno e abbiamo trovato Carbon-Ti e loro sono stati bravissimi. Ha corso tutto l’anno in questo modo, ha cambiato solo per Montreal, mondiale ed Emilia, dove ha corso con il 40-54, mentre al Lombardia ha voluto nuovamente il 38-55. Dietro usa sempre 11-34. Carbon-Ti fa per noi anche i dischi dei freni e lui ha scelto le pastiglie AbsoluteBlack, con cui dice che si sente meglio.

Usa sempre le stesse ruote?

Sì, sempre queste, le Enve SES 4.5, anche in salita: esiste una versione normale e una leggera. Per lui è importante che la ruota sia veloce, non solo leggera. A inizio anno abbiamo parlato a lungo anche delle pressioni. In squadra c’è un addetto ai materiali, David Herrero, che stila l’elenco delle pressioni in base al peso dei corridori e alle condizioni della strada, asfalto o condizioni meteo. Arriva sempre quando ci sono le crono, dove indica anche il casco più adatto, le ruote e le gomme. E’ il responsabile dei materiali.

Tadej fa sempre quello che dice lui?

Di solito è abbastanza fedele alle sue indicazioni, anche se qualcosa a volte cambia. Ad esempio interviene sulla pressione delle gomme, per come si sente più sicuro. In generale, il gonfiaggio varia a seconda che usi la ruota normale o quella leggera. Quelle leggere sono un po’ più strette e si gonfiano di più.

Bostjan conferma che Pogacar usa abitualmente ruote Enve SES 4.5, anche in versione più leggera
Bostjan conferma che Pogacar usa abitualmente ruote Enve SES 4.5, anche in versione più leggera
Mettete voi le tacchette sotto le scarpe o ci pensa il biomeccanico?

No, no, lo facciamo noi. Questa settimana gli ho fatto un paio io e un altro un collega. Abbiamo una dima in cui si può fare la singola scarpa e poi si valuta se va bene. E’ lui che dice se la vuole un po’ più a destra o sinistra, un po’ fuori o dentro. Tadej usa le tacchette gialle, che danno più libertà. Con quelle fisse che usava inizialmente ha avuto qualche problemino alle ginocchia e per evitarlo, preferisce avere il piede più ibero di muoversi.

Quando è a casa Pogacar sa fare il meccanico oppure chiede supporto?

No, normalmente se ha qualche problema va in un negozio oppure arriva qualcuno dalla squadra. A volte mi chiama e mi chiede come si possa risolvere un problema, qualcosa prova a farla da solo. Di base non vuole disturbare, Tadej è un ragazzo molto educato.