In questo periodo invernale parliamo spesso di preparazione “a secco”, cioè dei famosi esercizi di ginnastica. E i più moderni spesso sono stravaganti. Tra i principali sostenitori della palestra, nel senso più ampio del termine, c’è Gianluca Brambilla.
Il corridore della Trek-Segafredo cura molto questa parte della preparazione. Lui appartiene alla schiera di coloro che fanno esercizi particolari. Esercizi che non puntano al mero aumento di watt, ma portano ad un miglioramento generale del fisico: stabilità (che si traduce anche in una guida migliore), postura, propriocezione… E chiaramente alla forza. E allora proprio a Brambilla chiediamo perché li fa e quali benefici gli portano.
Gianluca è un ottimo discesista, merito anche di questi particolari eserciziGianluca è un ottimo discesista, merito anche di questi particolari esercizi
Gianluca, da dove vengono i tuoi esercizi così particolari?
Me li invento! Li faccio per cercare di stare bene. Già il TRX è difficile di suo, vai ad utilizzare la famosa core zone: addominali, schiena, spalle… Io poi aggiungo una rotella per avere più instabilità e rendere tutto più difficile.
E come te li inventi?
Ho preso spunto da un particolare manubrio di mountain bike che aveva una sorta di palla al suo centro che lo rendeva instabile una volta poggiato a terra. Nella palestra dove vado, Iron Gym di Rosà, ho trovato questa rotella per gli addominali e ho unito le due cose.
Senti la differenza?
Si sente, si sente… In strada, se per esempio devo fare uno scatto all’improvviso per un tombino o un’auto che sbuca lateralmente. E si sente ancora di più in Mtb, che io di inverno pratico spesso.
Il Praep Propilot, lo strumento (molto usato da biker e motocrossisti) al quale si è ispirato BrambillaIl Praep Propilot, lo strumento (molto usato da biker e motocrossisti) al quale si è ispirato Brambilla
Certo, Gianluca, sono esercizi molto particolari…
Si, sono esercizi particolari che ti aiutano molto quando sei stanco. Chiaramente sono anche esercizi di un certolivello che presuppongono già una certa abitudine a questo tipo di sforzo e di esercizio stesso, altrimenti rischi anche di farti male. Devi andare per gradi. Quest’anno, per esempio, sono già quattro settimane che faccio palestra, due-tre sedute a settimana.
Insomma sei un vero esperto…
In effetti è un bel po’ che faccio palestra. Da una decina di anni, dai tempi della Quick Step. L’ho scoperto con loro e l’ho mantenuto. E da 3-4 anni ho inserito anche gli esercizi di stabilità. Ho sentito un grande beneficio sin da subito. Sapete, in gara dopo tante ore, dopo tanto stare sotto sforzo avvertivo dei fastidi soprattutto alla schiena, adesso invece questi sono notevolmente diminuiti. Non dico spariti, perché facciamo degli sforzi sovrumani, però… Senza contare che una volta tendevo a ruotare il bacino verso destra e adesso no, resto dritto.
Come svolgi le sessioni?
Ho una mia routine, spesso faccio stretching a freddo al mattino: una decina di minuti di core zone, chiaramente senza forzare, al di fuori della palestra. Quando invece vado in palestra il riscaldamento lo faccio andandoci in bici, 20-30 minuti. Poi passo alla pressa (foto in apertura, ndr), allo squat e successivamente inserisco questi esercizi tipo TRX, Plank, TRX con rotella… Rispetto ad altri miei colleghi poi io utilizzo poco peso, ma faccio più ripetizioni.
TRX con la variante della rotella (video del personal trainer Carlo Bizzotto della palestra Iron Gym)
Anche se la tendenza oggi è al contrario: poche ripetizioni ma con grandi carichi…
Vero, gli altri sollevano tanti di quei chili che neanche posso immaginare, però io ho una mia teoria: non devo essere “Mister Olympia”, il ciclismo resta uno sport di resistenza. Se poi aumento un po’ la forza, ma metto 2 chili di massa muscolare il rapporto potenza/peso potrebbe risentirne. Specie per uno scalatore come me. E per lo stesso motivo evito quei balzi enormi su cubi altissimi: rischierei di fare danni alle ginocchia. Per me il gioco non vale la candela.
Quindi hai carta bianca da parte del preparatore?
Si, si… mi segue Paolo Slongo e lui è informato su ciò che faccio ed è sulla mia stessa lunghezza d’onda per quel che riguarda i pesi soprattutto. Mi dà un circuito da fare e io lo eseguo. Dopo la palestra solitamente inseriamo un’ora o due di bici, a seconda di cosa dice il programma, per fare subito della trasformazione.
Questi esercizi li fai anche durante la stagione?
Quelli del mattino da qualche tempo sì, anche in piena stagione. E quando non corro un paio di volte a settimana vado anche in palestra.
La cornice è intima, il luogo è una palestra nel paese di Musile di Piave in provincia di Venezia. Viene da chiedersi perché Paolo Slongo sia qui. L’allenatore della Trek-Segafredo meriterebbe di parlare a platee più gremite e perché no, paganti. Ma non appena veniamo accolti sul posto e le sedie iniziano a riempirsi, si capisce che qui lo sport sia educazione e rispetto.
L’intervento di Slongo ha un fine ben preciso. Sensibilizzare e trasmettere la sua esperienza a genitori e allenatori. Con l’obiettivo preciso della delicata “ricerca del talento” (titolo della sua presentazione), senza però esasperare la ricerca o l’atleta stesso. I punti sono davvero tanti e riassumerli tutti sarebbe impossibile. Infatti ascoltando le parole del preparatore trevigiano, si capisce che questo tipo di incontri dovrebbero avere luogo in tutte le realtà che trattano di ciclismo giovanile e non solo.
A ospitare il pomeriggio di sport è stata la ASD polisportiva Musile A ospitare il pomeriggio di sport è stata la ASD Polisportiva Musile
Che cos’è il talento?
Dopo una breve introduzione delle autorità comunali presenti, comincia l’intervento. Slongo inizia ringraziando chi ha dato spazio e allo stesso tempo gode della sua presenza: «Ringrazio per l’invito Tarcisio Bettin della polisportiva Musile e Giuseppe Moro per aver organizzato questo incontro».
Il primo punto è una domanda, a cui tutti vorremmo una risposta. Che cos’è il talento?
«Secondo me il talento – dice Slongo – è un’attitudine innata o personale. Avere talento significa riuscire a fare facilmente con naturalezza qualcosa che risulta difficile a quanti non sono dotati di quel talento».
Una definizione che racchiude tanta esperienza e potrebbe già essere un mantra. «Al talento però – continua il diesse – va aggiunto il duro lavoro. I primi anni che ho lavorato con Nibali alla Liquigas, non nascondo che abbiamo avuto parecchie frizioni. Non capiva tutta l’importanza che davo alla preparazione nonostante le sua doti. Nel 2010 dopo il terzo posto al Giro d’Italia e la vittoria della Vuelta, ha cambiato mentalità e abbiamo iniziato il nostro percorso insieme».
Paolo Slongo è stato premiato dal Comune di Musile di PiavePaolo Slongo è stato premiato dal Comune di Musile di Piave
Impegno e calma
Ci sono esempi di tutti i tipi nel mondo del ciclismo e storie che potrebbero riempire libri interi. In tutte queste è presente il talento. Con il duro lavoro questo può essere esaltato e far diventare l’atleta un campione o un fuoriclasse.
«Il fuoriclasse – spiega Slongo – ha quattro aree completamente sviluppate: cuore, testa, fisico e tecnica/tattica. Due esempi sono Nibali e Sagan. Il campione invece non ha una di quelle quattro aree, ma ha lavorato per chiudere le eventuali lacune. Basso e Aru tra questi».
Lo schema presentato è semplice, ma fine a se stesso se non c’è una lettura da parte di qualcuno. Gli allenatori infatti devono scovare e fare crescere i corridori senza però mettere pressione. Stesso discorso vale per i genitori che spesso sono l’ago della bilancia per la realizzazione di una carriera sportiva.
Un altro punto è la calma. «Nel 2010 – racconta Paolo – Sagan vinse due tappe alla Parigi-Nizza da giovanissimo. RCS chiamò Roberto Amadio, allora team manager della Liquigas, per avere Sagan alla Milano-Sanremo. Ma Roberto decise di non mandare Peter. Aveva la paura potesse vincere la Sanremo e bruciare le tappe».
La sinossi è chiara. Un percorso diretto al successo può portare a pressioni elevate e responsabilità difficili da sopportare da giovani o a inizio carriera.
Kreuziger con Nibali alla Liquigas: due dei tanti campioni passati per la squadra italianaKreuziger e Nibali: due dei campioni passati per la Liquigas
Se il talento si nasconde
Scorrono le slide, le nozioni e i consigli sono preziosi. I ragazzi, i genitori e gli allenatori seduti sono attenti e interessati. Compare sul telo del proiettore unafoto emblematica. Un podio del campionato U23 del mondo totalmente dominato dall’Italia. Lugano 1996, primo Giuliano Figueras, a seguire Roberto Sgambelluri e Gianluca Sironi. L’unico senza medaglia, al quarto posto, con sguardo pensieroso, è Paolo Bettini.
«Non devo certo dirvi chi sia Paolo Bettini – dice Slongo – ma pensate se da quel quarto posto avessimo perso un talento così. I numeri e i risultati non devono essere l’unico metro di giudizio per scovare i talenti. Bisogna guardare le prestazioni».
Ai mondiali U23 del 1996, Bettini quarto (fra Sgambelluri e l’iridato Figueras): fu l’unico ad avere una carriera importanteBettini, quarto ai mondiali U23 del 1996, fu l’unico ad avere una carriera importante
Dalle intuizioni di Slongo sono giunti alla ribalta nomi del calibro di Vincenzo Nibali, Elia Viviani, Elisa Longo Borghini e Peter Sagan. Lo slovacco è un altro esempio lampante.
«Peter– spiega Paolo – venne scartato dalla Quick Step in seguito ai valori ritenuti nella media da un università che collaborava con la squadra».
Il bacino di utenza
Gli esempi che vengono proiettati dal diesse sono quelli di campioni e fuoriclasse che sono migrati da altre discipline per venire ad eccellere nel ciclismo.
Greg Van Avermaet calciatore fino a 20 anni, così anche Remco Evenepoel fino ai 17 anni. Oppure Primoz Roglic saltatore con gli sci fino ai 22 anni. Un altro esempio citato a chilometro zero è Roberto Menegotto di San Donà di Piave, anche lui calciatore prima, diventato ciclista professionista poi.
«Una volta era più facile trovare il talento – riprende Slongo – per risorse e quantità di praticanti. Al giorno d’oggi bisogna attingere anche da altri sport per poter allargare gli orizzonti. Un altro punto legato a questo discorso è la variazione delle discipline. Si arriva troppo presto alla specializzazione. Un atleta deve poter praticare più sport. Se sceglie il ciclismo deve poter fare più discipline, dalla pista alla Mtb e il ciclocross».
Il pubblico composto da giovani, allenatori e genitori ha seguito attentamente ogni passaggio del diesse trevigianoIl pubblico ha seguito attentamente ogni passaggio del trevigiano
Età biologica ed età anagrafica
L’intervento di Slongo è ormai al termine. Un ultimo punto viene toccato e riguarda le età degli atleti. La differenza tra quella anagrafica e quella biologica. Si sofferma sulla categoria degli allievi, dove secondo lui la differenza tra sviluppo fisico e carta d’identità fa più “danni”. Le prime convocazioni arrivano e i risultati iniziano a essere importanti per gli atleti.
«Secondo uno studio fatto dalla FCI – mostra sulla lavagna il diesse – i primi tre degli ordini d’arrivo degli allievi, hanno un’età biologica superiore di quasi due anni. Il grosso rischio per i selezionatori è di prendere strade sbagliate, mentre gli atleti rischiano di smettere precocemente per mancanza di risultati».
Dal pubblico sorge una domanda su questo argomento. Ed è proprio Roberto Menegotto, uno degli esempi citati prima a porla: «Il rischio più grosso di perdere opportunità è proprio legato a questo aspetto. Ogni fisico è fatto a suo modo e ha un proprio tempo di sviluppo. Come si potrebbe risolvere questo equivoco?».
La risposta di Paolo Slongo è semplice e diretta: «Facendo più incontri come questi, trasmettendo il messaggio di lavorare con calma e non pensare solo ai risultati. Si devono guardare le prestazioni, l’intelligenza, le lacune e lavorare duramente, senza esasperare alcun aspetto».
«Vado con un altro abruzzese – sorride Dario Cataldo – direi un passaggio naturale. Con Giulio ci stiamo inseguendo da anni. Suggerivo di prenderlo prima che passasse, ma poche persone in gruppo sanno fidarsi dell’esperienza dei corridori. Poi l’ho segnalato quando era alla Bardiani, ma ancora niente. Ora si è concretizzato ed è come se il cerchio si fosse chiuso».
Dario Cataldo, abruzzese classe 1985, parla così di Giulio Ciccone, anche lui abruzzese, ma del 1994. In quei nove anni c’è il mondo, compreso il fatto che uno dei primi direttori sportivi di Ciccone fu Michele Cataldo, padre di Dario. E’ una storia di storie che si intrecciano e che alla Trek-Segafredo vedrà dal prossimo anno i due con la stessa maglia, come mai successo prima.
Cataldo è andato alla Movistar nel 2020 dopo 5 anni all’Astana con Aru e NibaliCataldo è andato alla Movistar nel 2020 dopo 5 anni all’Astana con Aru e Nibali
Eppure non è stato un passaggio facile, perché a un certo punto della storia il nome di Dario era fra quelli in cerca di squadra e nonostante il suo procuratore Manuel Quinziato si stesse dando un gran da fare, per la fatidica firma c’è stato da aspettare novembre. Tanto avanti.
Qualcosa di buono
Ne avevamo parlato a settembre, nei giorni della Vuelta per la quale non era stato convocato, avendo così il primo sentore del fatto che la Movistar non lo avrebbe confermato. Avevamo parlato dell’attitudine dei team nel far firmare ragazzini di primo pelo, quasi… drogati dall’ansia di trovare il nuovo Evenepoel soffiandolo a qualcun altro.
«Che non fosse una bella situazione ne ero consapevole – racconta – perché arrivi a ottobre e non hai ancora chiuso… Però avevo fiducia di aver seminato bene e mi chiedevo perché mai non dovesse venire fuori qualcosa di buono. Con Trek-Segafredo si parlava da giugno, ma ho firmato solo un paio di giorni fa. Resta però che questa situazione dei giovani sta cambiando la direzione delle squadre».
Con Michele Cataldo, padre di Dario, Giulio Ciccone campione provinciale allievi (foto Facebook)
A Letto Manoppello, prima del Giro 2016, Ciccone con il primo ds Marracino e a destra Michele Cataldo (foto Facebook)
Con Michele Cataldo, padre di Dario, Ciccone campione provinciale allievi (foto Facebook)
Prima del Giro 2016, Ciccone con il primo ds Marracino e a destra Michele Cataldo (foto Facebook)
E’ anche difficile immaginare il modo per cambiarlo…
Ho riflettuto tanto sulle persone che gestiscono le squadre e su come certe volte commettano degli errori grossolani. Pochi sanno vedere le cose come stanno ed è singolare che nel prendere certe decisioni non si senta il parere dei corridori, che correndo accanto tutto il tempo, potrebbero dare indicazioni molto precise.
Che valutazione daresti a questo punto di Ciccone?
E’ certo che abbia tanto potenziale, difficile dire quale sia il terreno migliore su cui possa esprimersi. Sul fronte delle corse a tappe conta tanto la gestione sua e di chi gli sta intorno e dietro, perché per restare a galla per tre settimane devi fare tutto nel miglior modo possibile. Giulio è tanto istintivo, si butta nelle mischie. Questo nelle classiche può essere un’arma vincente, nei Giri un po’ meno.
Al Giro del 2019 vince la tappa di Como, battendo in volata Cattaneo
Nel 2012 vince con una fuga sul terribile Cuitu Negrù: arrivo mai più visto alla Vuelta
Nella carriera di Cataldo, oltre al Giro Baby, il tricolore crono fra i pro’ nel 2012, su Malori e Pinotti
Al Giro del 2019 vince la tappa di Como, battendo in volata Cattaneo
Nel 2012 vince con una fuga sul terribile Cuitu Negrù: arrivo mai più visto alla Vuelta
Nella carriera di Cataldo, oltre al Giro Baby, il tricolore crono fra i pro’ nel 2012, su Malori e Pinotti
Ti ricorda qualcuno?
Mi ricorda Vincenzo (Nibali, ndr), che all’inizio era così. Capace di inventarsi le classiche e nei Giri un mix di motore e fantasia. Chissà che Giulio non possa percorrere quella strada…
Invece della tua strada cosa diciamo?
Ho fatto 15 anni di professionismo, sempre in squadre WorldTour. Ho sempre fatto il massimo, qualche volta ho provato a fare la mia corsa e non sempre è andata bene. Ho corso accanto a grandi corridori, per cui è capitato che qualche possibilità mi sia stata preclusa.
Nel 2015 ha scortato Aru fino alla vittoria della VueltaNel 2015 ha scortato Aru fino alla vittoria della Vuelta
Che cosa intendevi poco fa dicendo di aver seminato bene?
Penso di essere un corridore che riesce a mantenere la serietà in gruppo, non sono uno che fa cavolate. Cerco di rispettare i compiti che ricevo e non c’è mai stato motivo di mettere in discussione il mio impegno e la mia serietà. Perché sono uno di cui ci si può fidare, che ha sempre fatto la vita del corridore…
Un po’ come Bennati, con cui ti sei incrociato per un anno alla Liquigas e che ha corso con la Movistar e prima ancora nel gruppo Trek?
Bennati è sempre riuscito a fare squadra. Sa cosa vuol dire lavorare per un leader e sa esserlo a sua volta. E’ sempre stato rispettoso del lavoro altrui e per questo ha sempre avuto la stima del gruppo. Sono certo che sarà un ottimo cittì.
Nicola Conci ha 24 anni ed è professionista da quando ne aveva venti. Il trentino fra i grandi c’è arrivato con lo zaino pieno di aspettative, perciò non stentiamo a credere che a un certo punto qualcuno possa aver detto: «Sì, vabbè, ma allora?». In effetti, limitandosi agli ordini di arrivo, ci sarebbe tutto per dire che le promesse siano cadute nel vuoto. Neanche una vittoria. Miglior risultato il sesto posto alla Coppa Sabatini del 2020 e il quinto in generale nella Coppi e Bartali dello stesso anno. Qualche fuga, una bella Sanremo lo scorso anno e poco più…
Nicola del resto non ha mai detto nulla, perciò un po’ tutti, senza sapere e a vario titolo, hanno parlato di fatica nel reggere la concentrazione e di scarsa determinazione. E lui zitto, assecondando le domande di chi cercava una spiegazione. Quando finalmente al suo posto parlò un amico comune, ugualmente Conci chiese di non scrivere nulla. Finché alla Coppa d’Oro di metà settembre ci raccontò tutto, pregandoci però di non dirlo: quando ci sono di mezzo salute e privacy, non hai grosse alternative. Ora però che il contratto con la Gazprom è stato firmato e che finalmente il trentino ha ripreso ad allenarsi, la vera storia delle sue difficoltà si può raccontare. E chi si era chiesto dove fosse finito, magari avrà la sua risposta.
Nei primi anni Conci ha continuato a crescere, poi il progresso si è fermato per motivi clinici ora (si spera) risoltiNei primi anni Conci ha continuato a crescere, poi il progresso si è fermato per motivi clinici ora (si spera) risolti
La prima fitta
La prima fitta la sentì nel 2018, al primo anno da professionista, ma pensò che fosse semplice mal di gambe. Così non era e le cose andarono peggiorando. La posizione sulla bici da crono divenne presto insopportabile e anche durante quella bella tappa col passo Manghen al Giro del 2019, quando passò in fuga davanti casa sulla strada verso Monte Avena in cui avrebbe lavorato per Ciccone, il dolore di colpo tornò a farsi sentire. Succedeva ogni volta in cui c’era da spingere a fondo.
«Ho impiegato più di un anno per decidermi a operarmi – racconta – perché tutto sommato nei primi due da pro’ pian pianino venivo migliorando. Forse stando bene sarei cresciuto più rapidamente e magari mi ha fregato il Covid, perché se nel 2000 si fosse corso normalmente, mi sarei deciso a farlo prima. Invece quest’anno il dolore si è accentuato e ho dovuto operarmi a metà stagione. Mi dispiace, perché se fossi stato bene avrei potuto puntare a un bel finale. E devo ringraziare la Trek-Segafredo, che avrebbe potuto chiedermi di non farlo, invece mi ha lasciato libertà».
Un’arteria ostruita
L’intervento ricorda quello di Aru per risolvere l’ostruzione dell’arteria iliaca, ma per operarsi Nicola è andato da un luminare olandese. Non è più stato possibile rimandarlo a causa di dolori lancinanti per i quali spesso Nicola ha dovuto rialzarsi o smettere di pedalare. Solo che lui, invece di spiegarlo, se lo è tenuto dentro. Al punto che gli stessi allenatori della Trek, preso atto della problematica, si sono spiegati come mai il suo rendimento non crescesse come si aspettavano. Forse anche per questo la squadra, pur avendogli comunicato che non avrebbe rinnovato il contratto, gli ha concesso di operarsi senza battere ciglio, perché potesse riprendere al meglio nella stagione successiva.
«L’intervento c’è stato ai primi di agosto – spiega – e in tutto sono stato fermo per due mesi, fra degenza e riabilitazione. Ma è andato bene e ora mi sento bello motivato. Posso spingere. Non sto facendo chissà quali sforzi perché siamo a novembre e non avrebbe senso fare grandi lavori. Perché non l’ho detto? Perché non mi piace raccontare le mie cose personali e perché così mi ha consigliato Maurizio (Fondriest, da sempre suo consigliere, ndr)».
La vittoria di San Vendemiano è stata una delle due perle della carriera da U23 di Conci dopo 13 vittorie da juniorLa vittoria di San Vendemiano è stata una delle due perle della carriera da U23 dopo 13 vittorie da junior
Quando adesso pedali ti viene mai il pensiero che il dolore possa tornare?
La paura è costante, credo sia un pensiero che non mi toglierò mai. Anche se andrò forte, so che in alcuni casi il problema è tornato. Per cui a fine stagione dovrò fare altre visite. Il tarlo da qualche parte c’è ancora…
Intanto però hai cambiato squadra, anche se i tuoi preparatori di prima hanno capito il perché del rendimento incostante…
Ho scelto di ricominciare da un’altra parte perché era giusto così. La Gazprom è una squadra solida, è arrivato Sedun a fare il responsabile per la performance e i materiali e l’esperienza fatta con l’Astana è molto importante. Mi aveva cercato anche la Eolo-Kometa, fa piacere che qualcuno abbia continuato a credere in me. Di solito a questo punto il commento è che con Eolo avrei fatto il Giro, mentre con Gazprom non si sa. Ed è anche il momento in cui rispondo chein questa fase della mia carriera sono in cerca di altro.
Che cosa adesso vuole Nicola Conci?
Senza dubbio voglio ritrovare sensazioni e prestazioni. Se devo staccarmi, voglio che sia perché non ce la faccio più, non perché la gamba mi impedisce di spingere. Penso che se le cose vanno come devono, il mio posto può essere nuovamente davanti, vicino a quelli che si giocano le corse. Devo dimostrare a me stesso che sto bene.
La crono e la sua posizione estrema sono stati per tutto il tempo grande fonte di doloreLa crono e la sua posizione estrema sono stati per tutto il tempo grande fonte di dolore
Primo ritiro in vista?
Il primo sarà a breve a Lonato del Garda per gestire le problematiche tecniche. Poi invece a dicembre andremo per 18 giorni a Calpe. E io nel frattempo vado in palestra ed esco in mountain bike, perché quassù in Trentino in questi giorni è davvero freddo. A Bergamo, dove vivo con la mia ragazza Alessia (anche lei di Pergine, ma trasferita in Lombardia per lavoro, ndr), ci sono almeno 5 gradi di più. Stamattina c’erano 6-7 gradi e a questo punto se non altro non vedo l’ora che nevichi per andare a farmi una sciata con le pelli sotto.
Hai mai pensato che non ci sarebbe stato un lieto fine?
Ci sono stati tanti momenti. Quando sei abituato a vederti in una certa posizione, ti assalgono i pensieri negativi che per fortuna sono passati. Adesso la testa è tutta sul nuovo inizio. Quest’anno mi sono fermato presto, l’ultima corsa è stato il campionato italiano a giugno. Ho ripreso da qualche settimana. Ho una gran voglia di spingere e di stare bene.
Balsamo non difenderà il tricolore. L'infortunio non è recuperato, così Elisa si allena sui rulli e in palestra. Ma i ricordi più belli sono ancora vivi
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Alla vigilia del Gran Premio di Formula 1 degli Stati Uniti, disputato a Austin lo scorso fine settimana, Pirelli e il team Trek-Segafredo hanno annunciato di aver rafforzato la loro partnership per il 2022. A sancire simbolicamente l’accordo hanno chiamato l’ex campione del mondo Mads Pedersen e la campionessa d’Italia Elisa Longo Borghini. Entrambi hanno avuto l’opportunità di effettuare un giro d’onore sul Circuit of The America, lo stesso che ha visto Max Verstappen trionfare su Lewis Hamilton.
Matteo Barbieri Head of Pirelli Cycling & Roger Gierhart Vice-President of Trek BicycleMatteo Barbieri Head of Pirelli Cycling & Roger Gierhart Vice-President of Trek Bicycle
La scelta della location non è stata casuale. Trek e Pirelli hanno infatti voluto sottolineare la matrice racing della loro partnership. Al termine del giro effettuato sul circuito di Austin Elisa Longo Borghini ha sottolineato il proprio orgoglio nel poter contare sul supporto di Pirelli.
La campionessa d’Italia ha così dichiarato: «Siamo orgogliosi di correre e di lavorare con i loro tecnici. Grazie all’uso intensivo ed esteso della tecnologia, che l’aziendamette nei suoi pneumatici da ciclismo, il lavoro di sviluppo è continuo e siamo sempre sicuri di poter contare sul materiale più avanzato. In aggiunta, è emozionante pensare che i nostri pneumatici da ciclismo sono progettati, prodotti e testati con la stessa tecnologia messa a disposizione dei piloti di Formula 1!».
Tanti i risultati raggiunti
L’accordo fra Pirelli e Trek-Segafredo ha avuto inizio nel 2020. Da allora sono stati davvero tanti e di prestigio i risultati ottenuti. In sole due stagioni la squadra americana ha riportato diverse vittorie importanti utilizzando i Pirelli P ZERO TM. Tra queste è sicuramente da ricordare la Parigi-Roubaix femminile, al debutto quest’anno e vinta da un’incredibile Lizzie Deignan. Nel successo dell’atleta britannica un ruolo fondamentale l’ha sicuramente avuto la scelta dei pneumatici.
Una sezione dei copertoni P ZERO Race TLR Una sezione dei copertoni P ZERO Race TLR
Per Pirelli le competizioni rappresentano un vero laboratorio a cielo aperto, dove poter sviluppare i prodotti che saranno poi messi a disposizione dei praticanti. In questo contesto, la partnership con gli atleti del team Trek-Segafredo risulta essere fondamentale, soprattutto per i feedback che ne derivano. Il primo pneumatico tubeless Pirelli per bici da strada, il P ZERO RACE TLR, è infatti il risultato diretto della collaborazione tecnica con la squadra.
Un roseo futuro
Per il 2022 in Pirelli si aspettano nuovi feedback dagli atleti del team Trek-Segafredo. L’obiettivo finale rimane sempre quello di realizzare prodotti in grado di soddisfare al meglio le aspettative dei praticanti.
Matteo Barbieri, responsabile di Pirelli Cycling, ha sottolineato questo aspetto: «La partnership con un’azienda leader come Trek e con gli atleti del team è cruciale per Pirelli. Lavoriamo per alzare ulteriormente il livello tecnologico dei nostri pneumatici cycling, progettati con la qualità e le prestazioni richieste dai professionisti. Con un’occhio di riguardo all’adattabilità e la versatilità necessarie per gli amatori. Ora la collaborazione continua e si amplia, a conferma della reciproca soddisfazione per il percorso fatto assieme finora».
Mads Pedersen ed Elisa Longo Borghini durante il loro giro d’onore sul circuito di Austin
Pirelli e Trek lavoreranno insieme anche nel 2022 dopo i risultati positivi raggiunti nella matrice racing
Mads Pedersen ed Elisa Longo Borghini durante il loro giro d’onore sul circuito di Austin
Pirelli e Trek lavoreranno insieme anche nel 2022 dopo i risultati positivi raggiunti nella matrice racing
Roger Gierhart, vicepresidente di Trek Bicycle, ha concluso con le seguenti parole: «Pirelli ha una storia pluridecennale nella produzione di pneumatici da competizione, vincenti. Siamo orgogliosi di lavorare con un’azienda che ha giocato un ruolo così importante nella ricca storia del ciclismo. Pirelli è un partner inestimabile per Trek-Segafredo, in particolare per il modo in cui lavora con i nostri corridori e il nostro staff, per realizzare prodotti che eccellono nel World Tour».
A conferma del rafforzamento della partnership con il team Trek-Segafredo, nel 2022 il logo Pirelli apparirà in posizione di rilievo sulle divise ufficiali sia della formazione maschile che di quella femminile.
Con Josu è un piacere parlare. Il capo degli allenatori della Trek-Segafredo ha la capacità di coinvolgere con i suoi ragionamenti. E se già con lui avevamo parlato della nuova preparazione di Nibali, mai come adesso, con due campioni del mondo italiani che approdano nella squadra americana, i suoi pensieri rivestono per noi una grande importanza. Elisa Balsamo e Filippo Baroncini, ciascuno con il suo bagaglio e la sua storia, dal 2022 saranno alla corte di Guercilena, per cui capire quale idea si è fatto colui che sovrintenderà alla loro preparazione potrebbe offrire una scheggia di futuro.
«Due ottimi corridori – dice nel suo italiano, probabilmente migliore del nostro spagnolo – di cui ho conoscenza diversa. Baroncini lo seguo da più tempo, Elisa invece l’ho conosciuta dopo il Lombardia in una giornata che abbiamo fatto tutti insieme, ma ho i report di chi l’ha osservata e ho visto i suoi test…».
La Trek ha seguito Balsamo anche a Leuven con il diesse Bronzini, che ha poi lasciato il teamLa Trek ha seguito Balsamo anche a Leuven con il diesse Bronzini, che ha poi lasciato il team
Allora partiamo da lei, campionessa del mondo delle elite: in proporzione la Alaphilippe delle donne…
E’ già al livello top, la conosciamo. Forte in pista e su strada, in un periodo del ciclismo in cui si riesce a brillare di qua e di là. Penso a Ethan Hayter, che tiene in salita, vince le volate di gruppo, poi arriva al mondiale su pista senza prepararlo troppo e vince un oro. Il passaggio per gli atleti dotati è facile. I discorsi di Wiggins sui tanti chili da perdere per me sono una cortina di fumo. Qualsiasi fisico ha un solo modo di dare il massimo. Se ti permette di combinare più specialità, vai bene ovunque. Sennò no.
Non la stai facendo troppo facile?
Non c’è niente di facile. C’è ad esempio un parametro distanza e ritmo. Se esci dal Tour de France e vai subito in pista, non hai un buon adattamento. Se fai pista fino a febbraio, alle prime classiche ti mancherà la distanza. Elisa dovrà fare una bella base, poi decideremo gli obiettivi e in base a quelli affineremo la preparazione.
Alla presentazione del Tour, Balsamo con il collega iridato Alaphilippe e PogacarAlla presentazione del Tour, Balsamo con il collega iridato Alaphilippe e Pogacar
Il suo tecnico Arzeni dice che potrebbe fare bene anche in corse più dure di quelle vinte finora.
Tutti i corridori, crescendo, acquistano più resistenza. Se già adesso in allenamento fa salite di 4-5 chilometri, in corsa potrà fare delle belle performance su scalate di 7-8 chilometri. Un range in cui rientrano tutte le corse delle ragazze, fatte salve alcune giornate di Giro e Tour. Ma al Brabante ha fatto vedere che tiene una giornata con dieci salite ripide e brevi, quindi ha le capacità di endurance per ripetere più volte lo sforzo. E al Womens Tour è arrivata seconda nella penultima tappa e ha vinto l’ultima.
Cosa significa?
Che non è andata in calando, ma ha la maturità fisica per emergere nelle ultime tappe. E poi su Elisa va detto che ha vinto ogni anno, questo è molto importante. Può vincere il Fiandre, perché lassù sembra trovarsi davvero bene. Mentre Freccia e Liegi potrebbero essere la sua sfida per i prossimi anni, per vedere dove può arrivare. Non sarà mai una scalatrice, ma in salita può migliorare. Di una cosa siamo certi…
La vittoria dell’ultima tappa al The Women’s Tour dimostra che Elisa ha il fondo giustoLa vittoria dell’ultima tappa al The Women’s Tour dimostra che Elisa ha il fondo giusto
Quale?
Può diventare un’atleta importante, di riferimento mondiale. Le altre big della squadra la proteggeranno e lei non avrà addosso la pressione delle gare. Parliamo di miglioramenti da fare nel medio periodo. E’ giovane, ma in questo ciclismo che mischia le junior con le elite, i suoi 24 anni sono abbastanza perché si possa emergere al top. Sei matura, anche sei hai tanta strada da fare.
Obiettivo Baroncini
Su Baroncini, Josu ha un’altra consapevolezza. Lo ha conosciuto direttamente da molto prima. Lo ha osservato. Ci ha parlato. Ed è rimasto colpito da diversi fattori del romagnolo iridato.
«A livello strutturale – dice e ride di gusto – Filippo è una bestia. E’ fortissimo. Non è solo un ciclista, è un atleta ed è molto completo. Avevamo già buoni riferimenti quanto ai suoi valori, ma la decisione di prenderlo è venuta da un report di Irizar, che da quando ha smesso è diventato il nostro talent scout. Per cui segue il Giro d’Italia U23, il Tour de l’Avenir, gli europei e i mondiali».
Prima del via della cronometro dei mondiali, Baroncini parlava di bici con De Kort e Irizar della TrekPrima del via della cronometro dei mondiali, Baroncini parlava di bici con De Kort e Irizar della Trek
Che report ha fatto?
Era al Giro U23 per seguire i nostri, quindi ad esempio Hellenmose che abbiamo preso dal Mendrisio. Solo che nel suo report a Guercilena e a me, a un certo punto è saltato fuori il nome di questo Baroncini, che aveva vinto la crono, ma capace di tirare ogni giorno per Ayuso. Non so se senza di lui, avrebbe vinto la maglia rosa tanto facilmente. Da quel feedback abbiamo cominciato a raccogliere informazioni. Abbiamo visto test. Abbiamo scoperto che il centro Mapei lo aveva già conosciuto. Abbiamo iniziato a parlarci e a giugno abbiamo finalizzato il discorso.
Amore a prima vista, insomma?
Il bello di “Baro” è che è forte da tutte le parti, pur dovendosi ancora sviluppare. Non lo prendi perché ha vinto il mondiale U23, insomma, in lui vediamo molto di più. Non per niente lo abbiamo fatto firmare prima. Lo avete guardato negli occhi?
Al mondiale ha corso pensando solo a questa azione. Lo aveva detto agli uomini Trek e ha vinto…Al mondiale ha corso pensando solo a questa azione. Lo aveva detto agli uomini Trek e ha vinto…
Vuole vincere!
Ha un carattere competitivo. Gli piace la gara e non si fa schiacciare dalla pressione. Due giorni prima del mondiale, il giovedì sera siano andati a salutarlo. Ci ha detto che il percorso gli piaceva e che per vincere bisognava aspettare l’ultimo giro. Ci ha detto coma avrebbe corso e lo ha detto anche a Nizzolo, che era lì con noi. In corsa ci sono state due situazioni in cui poteva buttarsi dentro, perché sembravano importanti. Invece è rimasto freddo. Ha aspettato l’ultimo giro, ha attuato il suo piano e ha vinto il mondiale. Questi sono dettagli da cui vedi il carattere. E dentro ha tanto che ancora non si è visto.
Uno così va buttato subito dentro?
Faremo i programmi a novembre. Con i giovani comunque abbiamo sempre seguito un inserimento progressivo, con un’alta percentuale di gare non WorldTour oppure gare non troppo difficili. Come Uae Tour o Tour de Pologne in cui i big non ci sono. Con i giovani facciamo una periodizzazione a blocchi.
Che cosa significa?
I leader per il Giro o per il Tour hanno il loro calendario, fatto di poche corse tutte mirate al raggiungimento della condizione. Con i giovani non puoi farlo, perché mentalmente sono strutturati diversamente. Devono correre. Staccare. Recuperare. Correre e via così. Con Tiberi nel 2021 abbiamo fatto sei cicli brevi. L’importante è che imparino ad andare forte da febbraio a ottobre. Anche se Filippo ha un potenziale enorme, non cambieremo questo modo di fare.
Alla Coppa Sabatini, quarto dopo aver provato a vincere contro Colbrelli, Valgren e MosconAlla Coppa Sabatini, quarto dopo aver provato a vincere contro Colbrelli, Valgren e Moscon
Un po’ di Belgio?
Quello non mancherà, per lui vedo un approccio graduale con più gare di un giorno che a tappe. Le corse lassù vanno sempre sulle stesse strade, che lui dovrà conoscere a memoria prima di puntare alle grandi classiche. Ma se dovesse andare molto bene, già al primo anno potrebbe mettere il naso alla Gand, che delle tante è la meno dura.
Ci sarà un giorno in cui potrà fare la corsa?
Mi ha impressionato a Peccioli, dove ha fatto quarto perché ha cercato di vincere. Se voleva vincere, ha sbagliato tattica e gliel’ho detto. Ha attaccato da lontano. Ha chiuso un buco che non toccava a lui. Era in mezzo a corridori WorldTour di prima fascia, ma ha corso per vincere. Se fosse stato più prudente avrebbe potuto fare centro o arrivare secondo. Sono certo che nella gara giusta, proverà a fare qualcosa di bello. Quando hai quella testa, la paura non esiste.
Barbara Malcotti vuole riscattare un 2022 sottotono. Ha lavorato tanto ed è pronta per correre. E vuole tornare al Tour dove brucia ancora la squalifica
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Si fa un gran parlare di come i feedback dei professionisti servano per mettere a punto la produzione delle aziende che con loro lavorano. Questa volta però ci è venuto in mente di entrare nel vivo, approfittando della visita fatta nei giorni scorsi alla Santini di Lallio per raccontare la nascita della maglia gialla, ricordate?
E’ chiaro che equipaggiare uno squadrone come la Trek-Segafredo sia un lavoro importante e prestigioso al pari di realizzare le maglie di leader per le corse Aso e sponsorizzare le altre squadre presenti nell’orbita dell’azienda, ma il fatturato si fa con le persone… normali. Qual è il nesso fra il lavoro di vertice e quello meno esclusivo?
«La base di partenza è la stessa – dice Stefano Devicenzi del marketing – che si parli di una squadra di professionisti o di un team di amatori. Vengono qua. Li portiamo nel nostro atelier. Gli facciamo vedere i modelli a disposizione. E in base a quello che scelgono si allestisce la divisa del team. Chiaramente un team di professionisti andrà diretto sul top di gamme e su tagli che consentano di stampare il nome degli sponsor, mentre altri guarderanno a una fascia anche meno esclusiva».
La fornitura a qualsiasi team parte dai modelli presenti nel catalogo. Stefano Devicenzi del marketing Santini spiega…La fornitura a qualsiasi team parte dai modelli presenti nel catalogo. Stefano Devicenzi spiega
La lavorazione custom quindi tende a sparire anche per i campioni?
Con loro si fanno delle sedute di fitting, in cui i capi scelti si adattano alle misure e alle loro esigenze i tagli, le lunghezze, le misure, i fondelli. Per gli amatori questo non avviene, però magari dai la scelta fra due tipi di fondelli e si sceglie la soluzione economicamente più vicina alle esigenze, che comunque avrà sempre un elevato contenuto tecnico. Le esigenze sono ovviamente diverse, ma il punto di partenza è identico.
Sappiamo che la Trek-Segafredo ha al suo interno una persona che riporta a voi le esigenze dei corridori.
Esatto e all’interno della squadra hanno individuato 2-3 corridori particolarmente sensibili che sono in grado di valutare i vari capi. Se va bene a loro, va bene a tutti. I pro’ a volte possono avere qualche prodotto in anteprima, come i pantaloncini con i fianchi traforati usati per la prima volta alla Vuelta del 2018 per fare fronte a temperature altissime.
Esistono team di amatori che chiedono lo stesso standard dei pro’?
Ci sono, anche perché per regolamento i prodotti usati dai professionisti devono essere disponibili a tutti. Sul nostro sito abbiamo messo in vendita anche i body da crono, che costano cari, ma qualcuno li ha comprati. Abbiamo spesso a che fare con squadre di amatori così attenti, che dedicano tanto tempo anche alla realizzazione della divisa e quando li vedi potresti pensare che siano squadre pro’. In ogni caso, non è possibile accontentarli dal punto di vista sartoriale: quello si fa solo con i professionisti. La differenza è una sola…
I colori e il disegno delle maglie dei professionisti realizzate da Santini sono un grande richiamo per gli amatoriI colori e il disegno delle maglie dei professionisti realizzate da Santini sono un grande richiamo per gli amatori
Quale?
Il professionista pensa solo al risultato, anche a costo di stare scomodo. Però le loro richieste si valutano. Nizzolo ad esempio volle il silicone in fondo alla maglia, poi convinse anche Alafaci. Noi studiammo, invece di fare un anello di silicone, mettemmo degli insertini paralleli frammisti a tessuto e questa soluzione è inserita in catalogo, quindi a disposizione anche degli amatori.
Quindi il professionista viene preso a riferimento?
Completamente. Il tessuto rigato che si usa per ragioni aerodinamiche sulle maniche, ad esempio, è stato notato subito da persone appassionate e attente, che lo vogliono sulle loro maglie. Stanno attenti al taglio delle maniche, si informano. Allo stesso modo ci sono abitudini dei pro’ che vengono recepite anche quando non c’è una validità oggettiva. Passi il calzino lungo, ma anche l’uso del copriscarpe d’estate… Non so quanto possa giovare a un amatore. Anche il taglio più lungo dei pantaloncini… Se c’è richiesta, va accolta. Tutto quello che usano i professionisti si trova già in catalogo.
LA Sweat è una squadra californiana di sole donne: comanda il benessere della bici
La loro richiesta di abbigliamento è sì nel segno della tecnicità, ma anche del gusto e del comfort
Le ragazze del team si allenano regolarmente, ma senza l’assillo della prestazione
In LA Sweat corrono e si allenano donne di diversissime estrazioni
LA Sweat è una squadra californiana di sole donne: comanda il benessere della bici
La loro richiesta di abbigliamento è sì nel segno della tecnicità, ma anche del gusto e del comfort
Le ragazze del team si allenano regolarmente, ma senza l’assillo della prestazione
In LA Sweat corrono e si allenano donne di diversissime estrazioni
Proprio tutto?
Abbiamo realizzato una maglia invernale a maniche corte con un tessuto molto performante, da usare alle classiche del Nord in quelle giornate freddine a rischio pioggia (in apertura con Madsen al via della Roubaix 2021, ndr). Se non la usassero nei team, non so quanti la vorrebbero. Invece l’hanno vista e la ordinano. Senza il richiamo del team, non sarebbe stato possibile.
Forse anche senza internet tutto questo non sarebbe possibile.
Grande verità, anche se dobbiamo tenere l’equilibrio fra i rivenditori e il sito. Nei negozi si va e si compra quello che si trova, perché magari ordinarlo ha tempi lunghi. Su sito trovi esattamente quello che stai cercando e ti arriva a casa. I tempi sono cambiati. Stiamo anche lavorando per rinnovare la gamma dei colori e alcune linee perché ci sono in circolazione marchi molto commerciali che puntano su una produzione molto più modaiola rispetto alle linee classiche da ciclismo. Di sicuro il fatturato si fa con gli amatori. Quelli già navigati e quelli nuovi…
Quanti sono?
Tanti e venuti fuori dal post Covid. Magari gente che usa la gravel e che vuole un prodotto appetibile, anche se meno tecnico.
Ecco un esempio di scelta Santini fra due livelli diversi. Top e gamma mediaEcco un esempio di scelta Santini fra due livelli diversi. Top e gamma media
Gli uomini guardano Nibali e Ciccone, le donne guardano alla Longo Borghini o Paternoster?
Non troppo, in realtà. La ragazza che va in bici vuole un modello non di agonismo, ma di star bene. Wellness e fitness. Magari non il taglio da corridore, ma quello più elegante che non sminuisca la loro femminilità.
Quindi volendo riassumere, avere una squadra serve ancora?
Tantissimo, è uno strumento organico funzionale. A livello commerciale e di sviluppo del prodotto. Ma l’amatore ormai è molto informato e la squadra è una guida sia per i contenuti tecnici, sia per l’estetica. Sono mondi diversi, ma si parlano in continuazione…
Giornata di caldo torrido sul Garda. Vince ancora Marianne Vos, ma l'attacco della Longo nel finale parla di condizione in crescita. Segnali da Bastianelli
Puoi fare tutti i programmi che vuoi, certe volte la cosa migliore è fermarsi e prendersi il tempo che serve perché tutto torni a posto. E’ il motivo per cui in estate si è fermato Giovanni Visconti ed è il motivo per cui ha dovuto farlo anche Giulio Ciccone, nell’anno in cui avrebbe dovuto lasciare i primi segni importanti. Causa di tutto è stata la caduta della Vuelta, che sembrava cosa di poco conto e invece ha innescato reazioni imprevedibili.
«Il problema più evidente – ha spiegato il medico della squadra, Gaetano Daniele – nell’immediato sembrava il trauma contusivo al ginocchio destro e la ferita profonda, nella parte interna, causata dal dente di una corona, a cui si sono aggiunti altre contusioni, in particolare alla spalla destra. Gli accertamenti svolti in Italia hanno però evidenziato un trauma distorsivo, con conseguente risentimento a carico del legamento collaterale mediale. Un problema che, di fatto, ha imposto riposo assoluto per quasi tre settimane».
Il giorno prima di fermarsi, Ciccone era arrivato 5° a El Barraco, primo del gruppo dei miglioriIl giorno prima di fermarsi, Ciccone era arrivato 5° a El Barraco, primo del gruppo dei migliori
Punto e a capo
Punto e a capo, per questo la stagione si è fermata alla 16ª tappa della Vuelta, la prima corsa a tappe in cui sarebbe stato leader della Trek-Segafredo. Per lui, oltre al riposo, il programma alternativo alle corse ha visto trattamenti fisioterapici e una blanda ripresa degli allenamenti che da un lato hanno subito acceso le speranze di un ritorno alla piena efficienza, ma dall’altro hanno fatto propendere per la chiusura anticipata.
«Prima di pensare al 2022 – ha commentato l’abruzzese – il mio obiettivo è ristabilirmi completamente e conto di completare questa fase prima dell’inizio dell’off season, a novembre. Seguirà un lavoro più di testa, di programmazione e analisi, per rimettere insieme i pezzi della stagione conclusa e fissare i traguardi di quella nuova. Ho avuto la conferma di essere cresciuto, di aver fatto passi in avanti, ma soprattutto di avere ancora margine. Ho compreso meglio i miei punti deboli, sui quali devo lavorare, e quelli di forza, sui quali devo insistere».
Sfortuna anche a Tokyo per Ciccone, caduto e costretto al cambio di bici Sfortuna anche a Tokyo per Ciccone, caduto e costretto al cambio di bici
Un nuovo inizio
L’anno prossimo sarà più importante di quello appena concluso e sulle spalle di Giulio, al netto delle tutele che gli si vorranno concedere, la partenza di Nibali e l’assenza di un grande leader per le corse a tappe, potrebbe fare di lui il riferimento del team Trek-Segafredo.
«Per preparare il Giro e la Vuelta – ha detto – c’è stato un grande lavoro di squadra, del quale vado orgoglioso e felice. In primis con Josu, il mio preparatore, e poi con lo staff medico. C’è stato un lavoro di analisi e comprensione per capire dove indirizzare la crescita. Questa sarà la mia forza, il mio stimolo più grande. Non ho chiuso la stagione solo con performance deludenti. Di questo siamo convinti. Sarà il nuovo punto partenza».
Un anno importante
Eppure nell’ambiente, in questo mondo che ha perso la capacità di aspettare, serpeggiano da un po’ voci di sfiducia su un ragazzo che non può fare altro che piegare il capo e promettere di rifarsi. I suoi dati non sono deludenti, i risultati sì, ma sono legati a episodi incontestabili. L’allenamento fatto male puoi coprirlo con una scusa, ma certe cadute come fai a negarle?
Quarto nel tappone di Cortina al Giro d’Italia, Ciccone con ottime sensazioni anche sul GiauQuarto nel tappone di Cortina al Giro d’Italia, Ciccone con ottime sensazioni anche sul Giau
«E’ stata comunque una stagione importante – ha spiegato il coach Josu Larrazabal – perché il lavoro di analisi delle performance indica che ci sono stati progressi. Non siamo alla ricerca di alibi per la mancanza di risultati, un’analisi lucida e obiettiva deve tenere conto di tutti gli elementi. Al Catalogna ha avuto un problema alla schiena causato da un’infiammazione al ginocchio. Al Giro d’Italia, la caduta e l’infezione. Poi la trasferta a Tokyo, con la caduta. Infine la rincorsa della condizione alla Vuelta e un’altra caduta. Però sono emersi dei segnali positivi. Non vittorie né punti UCI, ma indicazioni fondamentali per un corridore che ancora non ha espresso il suo massimo potenziale. Ha imparato la gestione di un Giro come uomo di classifica ed è migliorato a cronometro, grazie all’aiuto di Trek. Questi sono dati misurabili che ci aiutano a comprendere la stagione e segnano il punto di ripartenza per il 2022».
Con le dita incrociate perché le cose prendano il corso voluto e sperando che la iella iniziata con il Covid nel 2020 si decida a lasciarlo in pace. I 27 anni bussano alla porta, l’età giusta per venire fuori e dimostrare che i margini ci sono e la sua non è una traiettoria in fase di stallo. Conoscendo il suo spirito, in questo momento di ripresa e riassetto, il dolore più grande gli arriva dall’orgoglio.
«Sapevo e ho sempre detto che a Tokyo non potevo essere la miglior Paternoster, per cui ringrazio Salvoldi per avermi dato fiducia. A un tratto ho pensato che non sarei andata. Magari i mondiali saranno un bel momento di riscatto».
Colline del Prosecco
Primo pomeriggio sulle colline trevigiane. A Ca’ del Poggio è stata appena presentata una serie di nuove tecnologie con le quali saranno confezionate le divise delle Fiamme Azzurre. Per questo nel resort in cima al celebre Muro si sono ritrovati gli atleti della Polizia Penitenziaria. Con Letizia, appunto, ma anche l’oro olimpico di Lamon, Scartezzini, Bastianelli, Cecchini e Guderzo.
Questa medaglia d’argento ha finalmente il sapore di un ritorno convincente
Salvoldi si è esposto molto portandola a Tokyo. Gli europei lo hanno in parte ripagato
Con le ragazze del quartetto argento agli europei nel suo stesso giorno
Questa medaglia d’argento ha finalmente il sapore di un ritorno convincente
Salvoldi si è esposto molto portandola a Tokyo. Gli europei lo hanno in parte ripagato
Con le ragazze del quartetto argento agli europei nel suo stesso giorno
Manca una settimana all’inizio dei mondiali pista di Roubaix, l’atmosfera è rilassata. E poi, dato che l’azienda che produce le divise ne realizza anche per l’automobilismo, agli atleti è stata offerta la possibilità di un giretto nell’auto di Giandomenico Basso, campione italiano rally. E qui l’adrenalina scorre più copiosa del Prosecco sulle colline che l’Unesco ha inserito nel suo patrimonio
Buio alle spalle?
I campionati europei hanno in qualche nodo segnato la svolta. A Tokyo le cose non sono andate come Salvoldi si aspettava e c’è da capire se la convocazione sia venuta a tutela dell’atleta da cui tanto ci si aspetta o non sia stata piuttosto per lei un’esposizione eccessiva che nel gruppo azzurro ha creato qualche tensione di troppo.
Agli europei un buono spirito di squadra: qui Paternoster gioisce per le compagne del quartettoAgli europei un buono spirito di squadra: qui Paternoster gioisce per le compagne del quartetto
«Lo ripeto – ammette la trentina – a Tokyo non c’era la miglior Letizia, non sono state le Olimpiadi il punto di ripartenza. Vedo piuttosto i campionati europei di Grenchen delle scorse settimane. Ora finalmente posso dire che il momento nero è finito. E posso dirlo in base alle mie sensazioni. Potrei anche dire che ho svoltato alle Olimpiadi, vista l’importanza dell’evento. Ma non sarebbe vero. Ora invece sono veramente felice e veramente serena. E quando hai queste due cose per la testa, puoi lavorare come vuoi e dove vuoi».
Argento preziosissimo
A Grenchen è arrivato finalmente il primo risultato tutto suo: l’argento nell’eliminazione che ha segnato il ritorno su un podio dopo due anni di buio. La risalita è stata lenta e non è ancora completa: il post Covid ha presentato un conto per lei carissimo.
La convocazione a Tokyo forse è stata prematura e ha creato tensioni in squadraLa convocazione a Tokyo forse è stata prematura e ha creato tensioni in squadra
«Faccio fatica a trovare quale sia stato il momento peggiore degli ultimi tempi – dice – ma penso i 40 giorni di febbre col Covid. Non vedevo via d’uscita, ho passato il momento più buio della mia vita. Adesso però si volta pagina e l’inverno che arriva sarà molto importante. Lavorerò con tanta costanza e non vedo l’ora di raggiungere in ritiro la mia Trek-Segafredo per il primo ritiro di dicembre in Spagna. Non toglierò la pista dalla mia vita, ma voglio concentrarmi per bene anche su strada».
Posto da ritrovare
Prima che si concludesse il carosello sull’auto da corsa, che Letizia ha apprezzato davvero tanto perché quando è scesa dalla Skoda bianca aveva gli occhi fuori dalle orbite per la felicità, la trentina ha lasciato la compagnia e si è diretta verso Montichiari, dove le altre azzurre la aspettavano per le sedute pomeridiane di lavoro. Forse si pensava che finito il Covid, il suo valore tornasse a galla rapidamente da solo. In realtà il recupero è stato lungo e solo ora si può cominciare a parlare di un’atleta ritrovata.
Sul finestrino della Skoda da rally, Paternoster e i nomi degli altri atleti presentiSul finestrino della Skoda da rally, Paternoster e i nomi degli altri atleti presenti
I mondiali saranno uno step da seguire con attenzione, ma la vera sfida sarà tornare al top il prossimo anno e riconquistare un posto importante in nazionale. Lei lo sa. Sa che nel frattempo altre individualità sono cresciute fino a toccare livelli altissimi.
Sorride. Dispensa serenità. E se fino a pochi mesi fa fa in fondo agli occhi potevi riconoscere il dubbio, ora sembra di scorgere la spensieratezza di un tempo.
Parola a Salvoldi. La via per Tokyo passa da un calendario ballerino. La pista ha un super gruppo, su strada abbiamo due punte: Longo Borghini e Bastianelli
Chiara Consonni a casa per la non convocazione a Tokyo segue in famiglia l'inseguimento d'oro del fratello Simone. Una vera esplosione di gioia e amore
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