Formolo votato alla causa di Mas. Ma la gamba sembra buona

14.06.2024
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Non si può dire che il Delfinato di Davide Formolo sia stato fortunato. O forse sì, vista la situazione. Il corridore della Movistar è stato coinvolto nella maxi caduta che ha poi portato alla neutralizzazione della terza tappa.

«Sono scivolato anche io quel giorno – racconta Davide – e per fortuna non ho riportato grossi danni, ma davvero non ci si capiva niente. Avete visto quel video che gira su internet? Lì si vedono solo gli ultimi che cadono, ma davanti ce n’erano già tantissimi. Si andava a 70 all’ora e come tocca i freni uno, giù tutti gli altri».

“Roccia” non perde però il suo classico buon umore e nonostante le botte resta positivo.

La grinta di Davide Formolo (classe 1992) alla 11ª stagione da pro’
La grinta di Davide Formolo (classe 1992) alla 11ª stagione da pro’
Quindi Davide cosa ti sei fatto?

Una bella grattata sul gluteo destro e un forte dolore al fianco e alla zona lombare. Quando vado in bici ancora si sente e sinceramente ad una settimana di distanza pensavo si facesse sentire meno.

E ora?

Mi sono allenato un po’ più piano, poi sono sceso a Roma un paio di giorni fa per le visite al Coni. Anche se prima bisogna iniziare a fare vedere qualcosa d’importante.  Scendo ogni 4 anni, dovrei farlo più spesso: Roma è bellissima. Magari dovrei venirci con la famiglia.

Al netto della caduta come stai?

Al Delfinato i primi due giorni devo dire molto bene. Il livello era alto e su quelle salite al 6 per cento si doveva spingere forte… Poi però se non sei al top, con il livello che c’è paghi. Ora l’italiano sarà un bel banco di prova. 

La Movistar in ritiro ad Andorra (foto Instagram)
La Movistar in ritiro ad Andorra (foto Instagram)
Quindi sarai al via in Toscana?

Normalmente sì, se non lo sarò è perché il dolore sarà così forte da non permettermi di pedalare. Ma non credo, dai. Anche perché a Roma ho approfittato anche per fare una tac, per scongiurare qualcosa di peggiore, e infatti sono emerse solo contusioni. Da parte mia sono contento di aver tenuto duro al Delfinato, perché comunque mi ha dato qualcosa in termini di condizione. Nonostante tutto, ne sono uscito più forte di come ci ero andato. E ho fatto bene a tenere duro e a non tornare a casa anzitempo.

E ora il Tour de France: come ci andrai?

Il mio compito sarà quello di aiutare Enric Mas e vado senza nessuna ambizione personale.

Mas è un leader, ma non dà le garanzie di un Pogacar…

Con Tadej se vogliamo era anche più facile, tanto era forte, per questo il mio compito sarà ancora più delicato ed importante. Stargli vicino, supportarlo sempre.

Come avete lavorato? E come sta Mas?

Bene, proprio prima del Delfinato siamo andati ad Andorra. E’ stato un bel ritiro. Utile per la gamba e per il gruppo. Ci siamo conosciuti meglio (Formolo e Mas quest’anno hanno corso insieme solo alla Tirreno, ndr) e abbiamo fatto un bel po’ di “acido” insieme. Non ci siamo tirati indietro.

Avete anche visto qualche tappa?

Sì, ne abbiamo approfittato per andare a vedere la tappa con l’arrivo in salita a Plateau de Beille.

Tirreno-Adriatico, si riconoscono appena (in basso a sinistra): una delle rare corse di Mas e Formolo insieme (foto Getty)
Tirreno-Adriatico, si riconoscono appena (in basso a sinistra): una delle rare corse di Mas e Formolo insieme (foto Getty)
Hai parlato di acido lattico e quindi di un certo tipo di lavori e hai detto che prima della caduta al Delfinato stavi bene: ma quindi la gamba per un colpaccio ce l’avresti?

Sì, certo che mi piacerebbe fare bene, se ci fosse la possibilità, ma non è la priorità. La priorità è Mas. Chiaro che se dovesse capitare l’occasione, non mi tirerò indietro… terreno permettendo.

A distanza di sei mesi, come è stato questo cambio di squadra?

Si ha sempre bisogno di un po’ di tempo per adattarsi, per ambientarsi ai nuovi metodi di lavoro. Ma io devo dire di aver trovato un gruppo molto ben organizzato, molto di più di quel che si possa immaginare. Sono precisi, presenti…

Cosa intendi per nuovi metodi?

Ogni squadra ha le sue modalità di lavoro, la sua filosofia… piccole variazioni. Qui per esempio la palestra, che io in passato avevo un po’ sottovalutato, è parte fondamentale della preparazione. Che poi sono queste cose che fanno la differenza: siamo tutti al limite, lottiamo per migliorare un 1-2 per cento e se sbagli qualcosa poi le differenze diventano grandi.

Sastre incorona Carlos Rodriguez. Al Tour per il podio?

13.06.2024
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Alla fine, zitto zitto com’è nel suo stile, Carlos Rodriguez è arrivato quarto al Criterium du Dauphiné. Lo spagnolo è un regolarista, ma di una sostanza potremmo dire alla Indurain, tanto per restare nella penisola iberica e scomodare un gigante. Una sostanza e un rendimento che non hanno lasciato indifferente neanche Carlos Sastre, che un Tour lo ha vinto: quello del 2008.

«Non ci sono molti corridori spagnoli di altissimo livello oggi – ha detto Sastre ad Europa Press – ma quelli che ci sono, sono davvero molto bravi. Penso a Carlos Rodriguez e a Juan Ayuso. Sono corridori combattivi, che entrano bene in gara e, nonostante siano giovani, hanno già esperienza. Non ho dubbi che lotteranno per darci di nuovo grandi gioie».

Carlos Sastre (classe 1975) ha vinto il Tour 2008, oggi ha un grande negozio di bici ad Avila
Carlos Sastre (classe 1975) ha vinto il Tour 2008, oggi ha un grande negozio di bici ad Avila

Avanti così

Dopo il suo ormai classico avvicinamento al Tour de France, il corridore della Ineos Grenadiers era andato al Delfinato con lo scopo di rifinire la preparazione. E forse ha reso anche meglio di quel che lui stesso si aspettava. Tanto che dopo la vittoria ottenuta nella tappa finale a Plateau des Glières (nella foto di apertura) è stato più loquace del solito.

«E’ una vittoria che aiuta molto a rafforzare la mia fiducia – ha detto Rodriguez – nell’ultima tappa abbiamo fatto un buon lavoro di squadra, stavo molto bene. In generale concludo questa gara in buona forma e con grande ottimismo per il futuro. Il buon lavoro fatto nella salita finale ha detto di una Ineos che funziona alla perfezione, tutto è andato secondo i programmi. La preparazione è stata buona».

Tra l’altro si parla non poco del grande feeling tra lui e Laurence De Plus, mentre Pidcock, altro capitano designato della Ineos Grenadiers al Tour, dal Giro di Svizzera non ha lanciato grandi segnali di amicizia. «Sono io quello che deciderà come voglio che sia il mio Tour», le sue parole.

Per Carlos Rodriguez ancora qualcosa da mettere a punto a crono
Per Carlos Rodriguez ancora qualcosa da mettere a punto a crono

L’erede di Sastre

Ma torniamo a Carlos Rodriguez. «Nel caso di Carlos – ha ripreso Sastre – l’anno scorso è stata un’esperienza unica per lui. Quest’anno arriva al Tour appunto con quell’esperienza che è stata estremamente importante, gli ha mostrato molte cose. Carlos è stato colui che è rimasto più vicino a Vingegaard e Pogacar e magari si è avvicinato ancora un po’».

In qualche modo i due Carlos si somigliano: entrambi amano andare di passo, non sono esplosivi, vanno molto forte a crono. Forse Rodriguez è un po’ più scalatore di Sastre, ma oggi poi queste etichette – cronoman, scalatore – contano poco quando si parla di classifica nei grandi Giri. Bisogna andare forte su tutti i terreni.

«Rodriguez è completo e come detto si è avvicinato a Vingegaard e Pogacar e per questo credo che in un modo o nell’altro potrà esserci», riferendosi presumiamo al podio. E ancora: «E’ emozionante vederlo in azione».

Podio possibile?

Davvero quindi Carlos Rodriguez può puntare al podio del Tour? Facciamo “due conti”. Da inizio anno ha mostrato grande solidità. La sua preparazione non ha avuto intoppi e tutto è filato secondo programma. E’ stato un crescendo rossiniano: trentunesimo al Gran Camino, ventottesimo alla Parigi-Nizza, secondo ai Paesi Baschi, primo al Romandia. E quarto al Delfinato.

Di certo Carlos Rodriguez fa parte della schiera di atleti subito alle spalle dei due ultimi dominatori del Tour. Come si è visto anche al Delfinato la lotta con Roglic è stata quasi alla pari. Molto simili in salita: più esplosivo Roglic quando stava bene, ma più solido Carlos alla distanza.

Lo spagnolo ha pagato qualcosa contro il tempo: ì deve crescere ancora un po’. Al Delfinato ha ceduto un minuto allo sloveno, ma solo nella crono aveva già perso 1’02”(abbuoni esclusi entrambe le parti).

E a proposito di Roglic, chi era sul posto ha notato che la defaillance dello sloveno indirettamente abbia dato un grande impulso a Rodriguez, rimasto del tutto stupito dalla controprestazione della Bora-Hansgrohe. «Sono stati fortissimi per tutta la settimana non immaginavamo di batterli», ha detto Carlos ai suoi. Un tarlo di ottimismo che chi lo conosce, assicura, ha messo in cascina pensando al Tour.

Fancellu al Delfinato: la sua prima corsa a tappe WorldTour

10.06.2024
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Il Giro del Delfinato concluso ieri è stata la prima corsa a tappe di categoria WorldTour per Alessandro Fancellu. Il corridore della Q36.5 Pro Cycling ha vissuto questa sua prima esperienza come un modo per crescere, imparare e per confrontarsi con i migliori corridori al mondo. Nella breve corsa a tappe francese, infatti, erano presenti molti dei protagonisti del prossimo Tour de France. A partire dal vincitore Primoz Roglic.

«E’ andata come da previsioni – dice da casa il comasco – è la corsa di più alto livello dopo il Tour de France. Lo ha dimostrato giorno dopo giorno, far risultato o semplicemente mettersi in mostra è impegnativo. Ma se riesci a fare qualcosa è perché te lo sei meritato e lo hai conquistato lottando

Eccolo a colloquio con Fortunato: il corridore dell’Astana, uscito dal Giro d’Italia, ha provato a tenere duro
Eccolo a colloquio con Fortunato: il corridore dell’Astana, uscito dal Giro d’Italia, ha provato a tenere duro
Da cosa si era capito che sarebbe stato complicato?

Direi fin da subito, dal primo arrivo in salita nella seconda tappa. Sono rimasto con i migliori e forse c’è un po’ di rammarico per non essere riuscito a fare la volata. Ma all’ultimo chilometro ero davvero senza gambe.

Ritmo elevato?

La salita l’abbiamo affrontata a ritmi folli (per percorrere i dieci chilometri finali del Col de la Loge il gruppo ha impiegato 18 minuti, velocità media 36 chilometri orari, ndr). La solidità dei corridori la si capisce dal fatto che in quella tappa con un arrivo in salita, anche se non estremamente impegnativo, siamo arrivati in 50

Fancellu nella sesta tappa ha visto muoversi corridori di primo piano e si è unito alla fuga
Fancellu nella sesta tappa ha visto muoversi corridori di primo piano e si è unito alla fuga
Non si staccava nessuno…

Peggio! Rimanevano attaccati anche i velocisti, quella tappa l’ha vinta Magnus Cort e Pedersen è rimasto con noi fino all’ultimo. 

Una bella misura per capire il tuo livello rispetto ai più forti al mondo.

L’idea era quella di capire quanto realmente vanno forte, è importante confrontarsi con i corridori di massimo livello. Il Delfinato e il Giro di Svizzera per la nostra squadra sono le corse più importanti in calendario. Partecipare è una bella esperienza e un onore, bisogna cercare di mettersi in mostra. Per far capire che l’invito è meritato.

Tu ci hai provato.

Entrare in una fuga è difficilissimo, ci va solamente gente con tante gambe e una super condizione. Io nelle prime quattro tappe non ci ho provato, sapevo che il terreno giusto sarebbe arrivato alla fine della corsa. Così dopo la frazione della maxi caduta ho provato ad andare in fuga. 

Ancora la sesta tappa, dopo essere stato ripreso ha provato a tenere duro ma ha pagato 13 minuti
Ancora la sesta tappa, dopo essere stato ripreso ha provato a tenere duro ma ha pagato 13 minuti
A proposito, vista da dentro com’è stata quella caduta?

Abbastanza terribile, fortunatamente sono riuscito a evitarla. Ne ho viste un po’ di cadute così: velocità alta, in discesa e appena tocchi i freni voli. Io non ho frenato e sono rimasto in piedi, facendo un po’ di slalom tra corridori a terra e bici. 

Difficile arrivare al traguardo contro corridori così?

La fuga non è mai arrivata alla fine. Segno di quanto si andasse forte e di come fossero pronti e preparati i migliori. 

In salita hai anche provato a tenere.

In tutte le tappe, era una prova per me stesso, per capire il livello. Il giorno in cui sono andato in fuga stavo bene e una volta ripreso ho provato a restare con i primi. La tappa dopo la condizione era ancora buona e sono rimasto con con i migliori staccandomi quando eravamo rimasti in 20. Non era tanto per un’ambizione di classifica ma proprio per capirmi, conoscermi. Sono rimasto soddisfatto, i primi 7-8 sono ingiocabili ma gli altri sono lì.

Nel 2024 il comasco ha corso anche per la prima volta al Nord, un’esperienza unica
Nel 2024 il comasco ha corso anche per la prima volta al Nord, un’esperienza unica
Questa è una stagione che ti sta dando anche tanta continuità…

Sì e ne sono molto felice. Sto facendo tante corse e alcune importanti, come le Classiche delle Ardenne. E’ stato il mio esordio in quel mondo e mi è piaciuto molto. Ho avuto un bel blocco di gare in primavera e questo mi ha permesso di essere più costante rispetto al passato. 

Appuntamenti così di alto livello ti servono per poter essere competitivo in altri appuntamenti?

Sicuramente. Ora farò un po’ di riposo e andrò direttamente al campionato italiano. Sono lista per il Giro di Slovacchia e a luglio correrò al Sazka Tour.

A Evenepoel manca un chilo per il top della forma

10.06.2024
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Il guaio di quando ti chiami Remco Evenepoel è che sei sempre sotto esame. Il belga aveva dichiarato con largo anticipo che il Delfinato sarebbe stata una gara di rientro e nulla più. Era scritto che in salita l’avrebbe pagata, ma la vittoria così larga nella crono ha confuso le carte e quando la maglia gialla non è riuscita a tenere il passo, è sembrato di assistere al crollo del grande leader della corsa.

Dopo le fratture al Giro dei Paesi Baschi, Evenepoel era curioso di sapere come avrebbe risposto in gara la spalla infortunata. Prima della crono ha detto di avere problemi nella posizione più aerodinamica e si è visto come è andata a finire. Nel resto dei giorni ha raccontato di avere bisogno di un massaggio supplementare dopo ogni tappa. E poi ha aggiunto di aver avuto più di una volta problemi agli occhi a causa dell’allergia. Allergia agli acari della polvere e ai pollini: il medico del team, dottor Janssen, dice che questo potrebbe essere un fattore del prossimo Tour, ma che sarà tenuto a bada con la dovuta terapia.

La cronometro ha dimostrato che la condizione c’è, ma c’è da lavorare
La cronometro ha dimostrato che la condizione c’è, ma c’è da lavorare

Il test della crono

Il giorno della crono è stato un passaggio ad altissima tensione: il momento di ritrovare la fiducia. Se ti chiami Evenepoel oppure Ganna e hai davanti una crono, ti è vietato fare finta di niente. Per questo chi l’ha osservato nelle ore precedenti la tappa di Neulise non ha potuto fare a meno di notarne l’estrema concentrazione. Eppure, nonostante quella prova di altissimo livello in cui Remco si è lasciato alle spalle Tarling e Roglic, al rientro in hotel appariva molto più provato. Racconta il diesse Tom Steels che dopo la recon del mattino sul percorso aveva gli occhi gonfi per l’attacco dell’allergia.

La considerazione che è scattata nell’entourage della Soudal-Quick Step è che se è stato capace di andare tanto forte in quelle condizioni, la settima tappa del Tour sarà un passaggio a suo favore. Da Nuit Saint Georges a Gevrey-Chambertin ci sono 25,3 chilometri su cui guadagnare il massimo possibile.

A Le Collet d’Allevard, Remco ha perso la maglia gialla, cedendo 42″ a Roglic
A Le Collet d’Allevard, Remco ha perso la maglia gialla, cedendo 42″ a Roglic

Sempre in controllo

Quello che era già noto e che è stato confermato dalle ultime tre tappe della corsa francese è che in salita le cose non vanno come dovrebbero. La nota positiva è che nei tre giorni le cose sono cambiate in modo abbastanza netto. La tappa di ieri, chiusa a 58 secondi da Carlos Rodriguez e 10 da Roglic, ha fatto segnare un passo in avanti. In ogni caso è stato evidente giorno dopo giorno che il belga non sia mai stato fuori controllo e che, al contrario, si sia gestito senza versare una sola goccia di sudore più del necessario.

«Soprattutto sabato – ha spiegato – ero davvero in difficoltà ed era importante concludere la tappa con buone sensazioni e fortunatamente ci sono riuscito. Ieri invece ho finito a soli 10 secondi da Roglic. Questo significa che anche lui ha momenti difficili. Per cui devo essere positivo. Non sono ancora al top in questo momento: forse all’85, massimo al 90 per cento. C’è ancora del lavoro da fare, ma il fatto di aver concluso concluso la corsa in crescita è molto positivo. Sono uscito dal Delfinato in condizioni migliori rispetto a quando l’ho iniziato».

Sabato a Samoens 1600 il giorno più duro: passivo di 1’46” da Roglic
Sabato a Samoens 1600 il giorno più duro: passivo di 1’46” da Roglic

Un chilo da perdere

Chiuso il Delfinato, per Evenepoel sono previsti ora tre giorni di riposo assoluto, che trascorrerà comunque in Francia, nel ritiro di Isola 2000. Remco ha già fatto grandi passi in avanti nelle ultime quattro settimane, ma sicuramente deve crescere ancora in vista del Tour. Il gradino che manca prevede anche la necessità di perdere un chilo. Il belga ha certo grande potenza, segno che in altura ha lavorato tanto, insieme però trasmette la sensazione di essere ancora su di peso. E siccome alla Soudal-Quick Step non si può fare nulla di sconveniente senza che Lefevere lo scriva nella sua rubrica di Het Nieuwsblad, è già successo che il manager belga abbia cominciato a parlarne.

«Dopo la caduta – ha detto Evenepoel, mettendo le mani avati – mi sono preso una pausa per tre settimane. Sono uno che può prendere due chili in un periodo del genere. Ma tutto questo sarà a posto prima dell’inizio del Tour».

Remco dovrebbe pesare circa 62,5 chilogrammi, quindi si tratta di perdere un chilo. Anche se a questo punto il medico della squadra avverte: dovrà perderlo in modo intelligente, soprattutto adesso che sarà impegnato in quota. E dovranno stare attenti che non cali troppo, perché questo è già successo in passato e non ha dato grandi frutti.

Nell’ultima tappa a Plateau de Glires, Evenepoel ha perso solo 10″ da Roglic
Nell’ultima tappa a Plateau de Glires, Evenepoel ha perso solo 10″ da Roglic

L’impatto col Tour

Il prossimo step nell’avvicinamento al Tour, concluso il periodo a Isola 2000, sarà la difesa del titolo di campione belga. A quel punto sarà tempo di chiudere la valigia. La Soudal-Quick Step si sposterà a Firenze dal mercoledì e da lì in avanti non passerà giorno senza che Evenepoel prenda le misure con la grandezza del Tour.

Il debutto nella Grande Boucle lascia il segno. Si scopre il livello stellare degli avversari. Si scopre la frenesia di finali come raramente accade nelle altre gare del calendario. E poi lentamente si prendono le misure. Uno dei fattori che faranno la differenza nella trama del Tour di Evenepoel sarà il tempo necessario ad abituarsi. I rivali ne hanno grande esperienza e c’è da scommettere che non gli faranno alcun favore.

La Boucle sul tetto d’Europa. Cassani ci racconta la sua Bonette

09.06.2024
7 min
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Quest’anno il Tour de France scalerà Cime de la Bonette, la strada carreggiabile più alta d’Europa. Un valico infinito, lungo, assolato, a cavallo fra le Alpi Marittime e quelle della Savoia, che svetta a 2.802 metri di quota. Lassù l’aria è davvero fina.

Cime spoglie, se vogliamo anche “calde” tanto si è in alto. Il luogo è meraviglioso, suggestivo. Aquile e ciclisti, servono coraggio e polmoni d’acciaio. Il valico “naturale” è a quota 2.715 metri, con l’anello aggiuntivo si arriva a 2.802.

Quarto ed ultimo transito del Tour sulla Bonette nel 2008: primo fu il sudafricano John-Lee Augustyn
Quarto ed ultimo transito del Tour sulla Bonette nel 2008: primo fu il sudafricano John-Lee Augustyn

Quattro passaggi

Il Tour de France solo quattro volte sulla Bonette. Lo fece per la prima volta nel 1962. E il primo a transitarvi fu uno scalatore mitico, Federico Bahamontes. Lo spagnolo si ripetè due anni dopo. Poi si dovette attendere 29 anni perché la Grande Boucle vi ritornasse. Quella volta il primo a transitare sulla cima fu Robert Millar, ma i protagonisti di quel giorno furono due: Davide Cassani e Laurent Fignon. E non lo furono per vittorie altisonanti o scatti memorabili. No, la Bonette in qualche modo li mise all corde. E di brutto.

Prima di immergerci in questa storia però, ci sembra doveroso fare una piccola e interessante precisazione. Si fa la Bonette, ma nonostante la sua quota – chiaramente il punto più elevato del Tour – non sarà il Souvenir Henri Desgrange, in memoria dell’ideatore della Grande Boucle. Perché? Perché se c’è il Galibier, il Souvenir Desgrange si assegna lassù. Quella era infatti la scalata più amata dallo stesso Desgrange e il Tour lo affronterà nella quarta tappa, al rientro in Francia dopo la Grande Depart italiana.

Il Gpm della Cime de la Bonette a 2.802 metri di quota
Il Gpm della Cime de la Bonette a 2.802 metri di quota

La resa di Fignon

E’ il 15 luglio 1993 e un solleone spacca le pietre sulle strade del Tour. La corsa affronta la sua undicesima tappa, da Serre Chevalier ad Isola 2000: 179 chilometri e 5.339 metri di dislivello. Tra l’altro gli ultimi 120 chilometri sono identici a quelli che si faranno il prossimo 19 luglio.

«Fu una tappa importante – inizia a raccontare Cassani con la sua innata passione – perché quel giorno praticamente si è conclusa la carriera di un grande come Laurent Fignon. Proprio lassù, in cima alla Bonette, Laurent mise piede a terra e smise di correre. Quello fu il suo ultimo giorno di gara da professionista. Si ritirò da ultimo». 

Fignon era soprannominato il “Professore” per i suoi occhialini tondi, per i suoi pensieri profondi. Pensieri che non mancarono neanche quel giorno: «Volevo vivere un momento di tristezza e di grazia senza dividerlo con nessuno», disse Fignon.

Davide Cassani in maglia a pois durante quel Tour del 1993
Davide Cassani in maglia a pois durante quel Tour del 1993

Cassani a pois

«Io invece – riprende Cassani – indossavo indegnamente la maglia pois! E proprio per quel motivo andai in fuga. Il giorno prima avevamo fatto il Galibier ed ero arrivato con la mia normale mezz’ora di ritardo. Il giorno dopo c’erano da fare l’Izoard, il Vars, la Bonette e la scalata finale ad Isola 2000. Era una delle tappe più dure del Tour. Ed era, mi sembra, la prima o la seconda volta che la tappa veniva trasmessa in diretta totale, era una novità.

«In quegli anni si partiva ancora abbastanza piano, quindi la prima salita la facemmo a velocità cicloturistica ed è per quel motivo che riuscii ad andare a fare la volata per prendere qualche punto per la maglia a pois. Al primo Gpm arrivai terzo e poi ebbi la malsana idea di continuare. Staccai tutti nella discesa successiva. Se in salita soffrivo, in discesa ero abbastanza bravo».

Cassani quindi tira dritto e va in fuga. In fuga da solo in maglia a pois e in mondovisione. Spinge, va avanti, ma chiaramente non è la sua tappa. Davide aveva altre qualità, ma non certo quella di essere uno scalatore.

«Ho sempre sofferto le tappe con queste salite e infatti quando ero sul Var è arrivato Ferretti (il suo direttore sportivo, ndr). Appena è arrivato “Ferron” mi disse: “Davide ma cosa stai facendo?”. E io: “Sono in fuga”».

Il Gpm si trova dietro questo monte. Il colle naturale (2.715 m) è nella parte bassa della foto. Con questa appendice supera lo Stelvio (2.758 m)
Il Gpm si trova dietro questo monte. Il colle naturale (2.715 m) è nella parte bassa della foto. Con questa appendice supera lo Stelvio (2.758 m)

Via Crucis

Ferretti gli dice senza troppi giri di parole che è matto. Gli ricorda delle sue difficoltà in certe tappe. La trattativa tra i due va avanti. «Ferretti alla fine mi convince e mi dice: “Mi raccomando Davide vai piano che è lunga”». E lui lo prende in parola. Ma di pari passo le energie per chi come Cassani non è uno scalatore, iniziano a scemare.

«E infatti – va avanti Davide – comincia la Bonette… lunghissima, infinita. I francesi hanno fatto anche questa appendice di un paio di chilometri per rendere il passo più alto rispetto allo Stelvio. Non finisce mai. Vado su col mio passo. Mi raggiungono i primi, i secondi, i terzi… mi raggiungono tutti. Arrivo in cima già stremato con 20 minuti di ritardo.

«A quel punto però riesco comunque a restare con un gruppo abbastanza numeroso. Mi butto giù in discesa, cerco di mangiare, di recuperare, ma quando comincia l’ultima salita è come se andassi contro un muro. Non vado più avanti. Mi ritrovo da solo con Domenico Cavallo, che era sulla seconda ammiraglia, il quale mi tiene informato sul tempo massimo».

Sulla Cima una targa commemorativa della strada della Bonette, nata per collegare Nizza a Briancon
Sulla Cima una targa commemorativa della strada della Bonette, nata per collegare Nizza a Briancon

La volata con Abdu

La situazione si fa complicata. Le energie non ci sono più. La Bonette si fa sentire anche dopo. Isola 2000 è lunga e anche gli altri del gruppo con cui scendeva dalla Bonette sono scappati in avanti. Poi bisogna sapere che una volta il tempo massimo era molto meno “gentile” rispetto ad oggi.

«Cavallo mi fa: “Dai Davide, perché rischiamo”. Io gli dico di farmi attaccare alla macchina, ma lui replica secco di no: “Siamo soli, ci beccano sicuro e ci mandano a casa. Prova ad attaccarti alla macchina di un’altra squadra”. Solo che non c’erano altre macchine! Eravamo soli».

«Cavallo era collegato con Ferretti sull’arrivo. Quando arriviamo a 5 chilometri dall’arrivo sempre Cavallo mi dice che manca un quarto d’ora al tempo massimo. “Ma come un quarto d’ora? – replico io – Non ce la faccio ad andare a 20 all’ora”. Lui mi conforta e mi dice che l’ultimo chilometro è in leggera discesa.

«Ad un certo punto mi riprende Abdujaparov. Impauriti entrambi da questo muro del limite, ci mettiamo sotto. Arriviamo all’ultimo chilometro che mancano ancora tre minuti. Ce la possiamo fare. Quando la strada spiana, parte la volata. Abdu davanti e io a ruota. Sembriamo il primo e il secondo. Abbiamo lo stessa voglia di vincere quello sprint. Un volatone! Primo Abdujaparov, secondo io. In realtà penultimo ed ultimo a 25 secondi dal tempo massimo».

Il profilo della scalata alpina: 22,9 km e pendenza media del 6,8%
Il profilo della scalata alpina: 22,9 km e pendenza media del 6,8%

Bonette infinita

Se questo è il racconto romantico di quel giorno, c’è poi l’aspetto più tecnico de la Bonette. Certe salite e certe quote ti scavano dentro. E anche se le pendenze non sono impossibili ti svuotano, ti presentano il conto. 

«Oggi si sa tutto – continua Cassani – noi della Bonette conoscevamo solo la lunghezza e il dislivello, nulla di più. Avevamo ancora dei rapporti lunghi: 39×23, il 25 al massimo, ma era quasi considerato un’onta montarlo. Anche quello la rese dura. Sia andava via a 60-70 rpm, non di più».

«Sapevamo di questa Bonette, lunga. L’avevamo studiata dal Garibaldi. Non l’avevo mai fatta ed è stata veramente una Via Crucis. Sapevo però di questo anello aggiuntivo in cima. Sono sempre stato curioso, ero andato a spulciare qualcosa, anche se la passione per la storia mi è venuta dopo.

«Mentre non mi è venuta quella per le salite! Pensate che l’ho rifatta solo l’anno scorso, 30 anni dopo, ma senza fare l’anello aggiuntivo. Mi è bastato quel 1993: una volta e stop!».

Anche il Giro è transitato quassù: era il 2016
Anche il Giro è transitato quassù: era il 2016

Tetto d’Europa

I numeri ufficiali del Tour dicono di una scalata di 22,9 chilometri al 6,8 per cento di pendenza media e massima del 10 in qualche breve tratto, per un dislivello che sfiora i 1.600 metri.

«Almeno – spiega Davide – è una scalata regolare. La sua difficoltà maggiore è quella di essere interminabile e chiaramente perché si arriva a 2.800 metri di quota. E questa si fa sentire, anche perché i chilometri sopra i 2.000 metri sono parecchi (12 per la precisione, ndr). E tornando alla mia scalata io soffrivo anche l’altura. Mi ricordo che ai mondiali in Colombia non andavo avanti».

Sarà un bel momento quello de La Bonette, il prossimo 19 luglio. E dopo questo racconto di Davide Cassani potremo godercelo ancora di più, non lasciandoci catturare “solo” da quel numerone: 2.802.

Vingegaard favorito al Tour? Matxin, spiegaci il tuo pensiero

09.06.2024
5 min
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Subito dopo il Giro d’Italia dominato da Tadej Pogacar con distacchi da tempi eroici, mentre da una parte c’era chi vagheggiava addirittura la caccia al “triplete” Giro-Tour-Vuelta, Joxean Matxin buttava acqua sul fuoco. Anzi, riproponeva un leit-motiv quasi inaspettato visto tutto quel che è successo in questa prima parte di stagione: «Il favorito del Tour? E’ sempre Jonas Vingegaard».

Vingegaard al Tour 2023 in giallo. C’è ancora incertezza sulla sua presenza al via a Firenze
Vingegaard al Tour 2023 in giallo. C’è ancora incertezza sulla sua presenza al via a Firenze

Sapendo quel che il danese ha passato (e sta ancora passando, anche se almeno è tornato in bici) dopo la rovinosa caduta nei Paesi Baschi, le parole del tecnico spagnolo hanno spiazzato un po’ tutti, tanto che ci si chiedeva se sapesse qualcosa di più rispetto allo strettissimo riserbo di tutto il team Visma-Lease a Bike intorno al campione uscente della Grande Boucle.

Parlando con Matxin il suo pensiero è diventato chiaro, ma non senza qualche specifica che rende il tutto forse ancor più sorprendente: «Jonas ha vinto gli ultimi due Tour, è chiaro che in condizioni normali sarebbe il favorito. So bene quel che ha subìto, io sono anche andato a trovarlo in ospedale nelle ore successive all’incidente, era un atto doveroso e sentito. Non dimentichiamo che anche Tadej l’anno scorso era caduto e si era presentato al Tour con tanti dubbi sulle sue condizioni e sapete bene le conseguenze che ci furono».

Yates, terzo lo scorso anno si è detto entusiasta di ripetere l’esperienza, sempre al servizio di Pogacar
Yates, terzo lo scorso anno si è detto entusiasta di ripetere l’esperienza, sempre al servizio di Pogacar
Eppure l’incidente di Tadej non era così serio…

Ugualmente considerare il danese come favorito è una forma di rispetto dovuto, se sarà al via non lo farà certamente per essere un comprimario e avrà un peso notevole sull’evoluzione della corsa.

C’è anche un altro fattore che non viene molto considerato: se proviamo a rovesciare la medaglia, Vingegaard arriverà al Tour più fresco di Pogacar.

E’ vero. In questo momento è davvero difficile fare congetture sulla corsa francese, bisognerà vedere come starà lui e come staranno i rivali. Alcuni li stiamo vedendo all’opera al Delfinato, non sappiamo se Vingegaard farà qualche gara prima, magari anche solo per saggiare la gamba e riabituarsi al clima agonistico. E’ troppo presto per dare giudizi. Noi da parte nostra dobbiamo concentrarci su noi stessi mettendo da parte quel che è successo, sia in negativo con l’andamento del Tour e le difficoltà dello scorso anno, sia in positivo con la vittoria al Giro. E’ come se si cancellasse la lavagna, ora bisogna riscriverci sopra.

Per Ayuso compiti da luogotenente in salita per lo sloveno. La classifica sarà un obiettivo futuro
Per Ayuso compiti da luogotenente in salita per lo sloveno. La classifica sarà un obiettivo futuro
Ha stupito molto l’annuncio della squadra Uae al servizio di Tadej. Tutti leader, tutti specialisti delle salite salvo Politt. Non è una scelta azzardata?

Su questo voglio essere chiaro. Ho fatto un giro d’orizzonte fra tutti i corridori del team, tutti mi hanno detto che volevano fare il Tour. Con loro, Yates, Ayuso, Almeida in particolare sono stato inflessibile: al Tour le gerarchie saranno chiarissime, si corre per Pogacar, chi vuole essere della partita deve saperlo e mettere da parte le proprie ambizioni. Tutti mi hanno detto di sì, di essere pronti, anzi desiderosi di farlo, a quel punto è chiaro che corridori del genere sono il meglio che un campione possa richiedere al suo fianco.

Ma non sono corridori abituati a correre per aiutare, per costruire una finalizzazione altrui…

Hanno tutti un enorme rispetto per Tadej e non dimentichiamo che si tratta di gente che, quando sa qual è il suo obiettivo, lo finalizza. Guardate Almeida: lo scorso anno era partito per fare il Giro puntando al podio, alla fine lo ha conquistato. Io sono convinto che è la gente giusta per aiutare Tadej in ogni frangente.

Nel roster della Uae per il Tour Politt sarà chiamato a un super lavoro in pianura
Nel roster della Uae per il Tour Politt sarà chiamato a un super lavoro in pianura
Pogacar farà corse prima della partenza da Firenze?

No, abbiamo stabilito un programma diverso di allenamento. Sin da Roma e dalla conquista della maglia rosa abbiamo pensato che era fondamentale ricaricare le pile facendo tutto quel che serve e gareggiare non è fra queste opzioni.

Sia Tadej, che lo staff della Uae, tu stesso siete stati molto chiari nel declinare come impossibile quest’anno puntare al triplete. Ma secondo te, parlando per ipotesi, uno come Pogacar potrebbe provarci?

In un’altra stagione, più semplice nel suo sviluppo e quindi senza l’Olimpiade e un mondiale che è un target per lo sloveno, io credo di sì. Ma bisogna saperlo per tempo, programmare tutta la stagione in funzione di questo obiettivo. Inoltre vorrei sottolineare un aspetto: pensare alle tre gare nello stesso anno significa prevederne 5 in due stagioni, ossia in uno spazio di tempo di meno di 18 mesi. Obiettivamente non ne vale la pena per un corridore giovane come Tadej che ha ancora tanto da dare.

Pogacar in rosa. La possibilità di vederlo anche alla Vuelta è scartata a priori
Pogacar in rosa. La possibilità di vederlo anche alla Vuelta è scartata a priori
Pogacar a Parigi lo vedremo solo nella prova in linea o visto com’è andato al Giro potrebbe anche provare la cronometro?

Questa non è una mia competenza, decide la federazione slovena ma non dimentichiamo che il campione uscente è sloveno, un certo Primoz Roglic, è giusto che la preferenza spetti a lui considerando anche come va normalmente a cronometro. In questo comunque noi non abbiamo voce in capitolo…

Gaudu, un altro passo verso l’incertezza

08.06.2024
3 min
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Chissà se un giorno, ripensando alle scelte degli ultimi anni, Marc Madiot si darà la zappa sui piedi per averla data vinta qualche volta di troppo a Gaudu. Lo scorso anno lasciò a casa Demare dal Tour per richiesta dello scalatore e in un colpo solo perse il velocista e tornò a casa dalla Boucle con il nono posto.

Da quando nel 2016 vinse il Tour de l’Avenir, il bretone con gli occhiali è diventato il predestinato e purtroppo a un certo punto ha commesso l’errore di crederci. Il quarto posto nel Tour del 2022 sembrava lo squillo che anticipava la rivelazione, invece è rimasto un suono isolato. E mentre Pinot smetteva e Gaudu iniziava a pensare di avere il posto fisso, nella Groupama-FDJ sono esplosi i talenti di Martinez e Gregoire. E in breve di Gaudu in Francia si parla un po’ meno e si comincia a dubitare. A 28 anni resta un beniamino dei tifosi, ma le sue spiegazioni suonano ogni volta meno credibili.

Il passivo nella crono è stato pesantissimo, ma la sua posizione è palesemente da migliorare
Il passivo nella crono è stato pesantissimo, ma la sua posizione è palesemente da migliorare

Tre crolli pesanti

Nella prima tappa di salita del Delfinato, ieri sul traguardo a Le Collet d’Allevard, Gaudu ha subito un passivo di 1’31”. Ha ceduto a 4 chilometri dall’arrivo ed è arrivato sfinito. Oggi nell’arrivo di Samoens 1600 ha ceduto ai 4,5 dal traguardo, portando a casa un passivo di 2’18”. Sommando al pesante passivo di montagna i 4’07” subiti nella cronometro, si capisce che il suo avvicinamento al Tour non sia troppo in linea con le speranze. Eppure lui getta acqua sul fuoco, con una calma che col tempo è sempre meno credibile.

«Potreste essere preoccupati per me – ha detto ieri – ma io non lo sono. L’anno scorso a quest’ora non avrei resistito neanche per 2 chilometri a questo ritmo. Non sono al meglio, ma questo non ha nulla a che vedere con quello che ho vissuto (i passaggi a vuoto del 2023, ndr). Un anno fa ho concluso il Delfinato a più di 25 minuti da Vingegaard, quest’anno forse sta andando anche meglio».

Gaudu è arrivato al Delfinato dall’altura: non ha ancora trovato il colpo di pedale (foto Groupama-FDJ)
Gaudu è arrivato al Delfinato dall’altura: non ha ancora trovato il colpo di pedale (foto Groupama-FDJ)

L’obiettivo del Tour

Resta da capire quanto a lungo i media e i tifosi francesi vorranno ancora crederci. Di sicuro stiamo vivendo un Delfinato insolito, con tanti leader ancora piuttosto indietro e altri che si nascondono. Soltanto Roglic sta spingendo sul gas, per la voglia tutta sua di ricostruirsi la sicurezza.

«Il distacco della crono – accenna Gaudu – non mi ha disturbato eccessivamente. Sono in preparazione e quindi non ancora al 100 per cento. E anche in salita ho dato tutto. Ovviamente mi sarebbe piaciuto mettermi alla prova con i favoriti, ma non essendo ancora al top, aspetteremo e ci concentreremo su quello che siamo venuti a cercare qui, cioè fare il meglio possibile. Non ci siamo posti obiettivi, vogliamo lavorare tanto con la squadra in salita».

La sua dote più grande sta nella capacità di convincersi che tutto sia ancora possibile anche quando il semaforo è palesemente rosso. Non si può dire che finora non abbia avuto occasioni, ma sganciandoci dalla ricerca francese di un futuro vincitore del Tour, chissà che per la sua carriera non sarebbe più logico convertirsi in supporto per un leader più concreto di lui. Al Tour mancano ancora tre settimane, ci sono tutti i margini per crescere. Ma siamo certi che davvero Gaudu abbia la determinazione e le gambe per sedere allo stesso tavolo degli altri leader?

Colnago Fleur-de-Lys, un tributo al Tour e a Firenze

07.06.2024
4 min
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FIRENZE – Colnago ha scelto l’elegante Sala dei Gigli, una delle stanze più belle di Palazzo Vecchio a Firenze, per presentare la bici ufficiale del prossimo Tour de France. Si tratta della Colnago Fleur-de-Lys, un’edizione speciale della C68 realizzata in 111 esemplari numerati, in omaggio alle 111 edizioni della corsa a tappe francese.

La scelta del capoluogo toscano come sede della presentazione, così come il nome della bici, non sono affatto casuali. Il prossimo 29 giugno Firenze ospiterà la partenza del Tour de France che per la prima volta nella sua storia ultra centenaria partirà dall’Italia. Il giglio, fleur-de-lys in francese, è invece l’emblema araldico che ha avuto un ruolo molto importante nella storia di Firenze e della stessa Francia.

A fare da “padroni di casa”, Nicola Rosin e Manolo Bertocchi, rispettivamente Amministratore Delegato e Head of Marketing di Colnago, che insieme hanno alzato il velo sulla Fleur-de-Lys.

Da sinistra Nicola Rosin e Manolo Bertocchi con Joelle Gyppaz e Gabriele Sirtori dell’ufficio marketing Colnago
Da sinistra Nicola Rosin e Manolo Bertocchi con Joelle Gyppaz e Gabriele Sirtori dell’ufficio marketing Colnago

Il bello in evidenza

«Colnago è sinonimo di bici belle che vincono corse. Questa volta ci siamo voluti concentrare sul bello». Sono state queste le parole con cui Manolo Bertocchi ha voluto presentare il progetto Fleur-de-Lys, arrivato in un anno molto importante nella storia del brand, che proprio nel 2024 festeggia i suoi “primi” 70 anni.

Scopriamo dunque qualcosa di più della Colnago Fleur-de-Lys.

Come anticipato si tratta di una edizione speciale di uno dei modelli più famosi di Colnago, la C68. Il giglio contraddistingue la bicicletta non solo per il nome, ma è riprodotto in serie sul tubo orizzontale in oro su un campo di foglia metallica color Bleu de France. La finitura in foglia viene applicata ogni volta a mano, con il risultato che la texture cambia da un telaio all’altro, rendendo ogni esemplare dei 111 realizzati semplicemente unico. 

La Colnago Fleur-de-Lys ha una colorazione speciale: Bleu de France
La Colnago Fleur-de-Lys ha una colorazione speciale: Bleu de France

Omaggio al Tour

La Colnago Fleur-de-Lys è un continuo omaggio al Tour de France, a partire dal portaborraccia,  modellato e stampato in 3D, che prende la forma del trofeo del Tour. Restando sempre in tema di componentistica, la bici presenta una speciale edizione limitata del manubrio Colnago CC.01, che ha un’incisione sul tappo del tubo di sterzo che richiama l’iconico logo del Tour de France. Sulla punta della forcella è possibile apprezzare il logo Colnago x TdF, così come l’indicazione del numero di serie della bici, da 0 a 111, a conferma che siamo di fronte ad una limited edition.

A dare ulteriore pregio alla Fleur-de-Lys la presenza di diversi componenti speciali, creati in collaborazione con alcuni partner tecnici con i quali Colnago maggiormente collabora. Si tratta di Prologo, Enve, Carbon-Ti, MyLime e CeramicSpeed.

A battesimo da Pogacar

La Colnago Fleur-de-Lys sarà simbolicamente tenuta a battesimo da Tadej Pogacar. Il fuoriclasse sloveno pedalerà con la Fleur-de-Lys numero 1 durante la presentazione delle squadre che parteciperanno al Tour de France in programma il 27 giugno. La sfilata delle squadre inizierà da Palazzo Vecchio, sede del Comune di Firenze, per poi raggiungere Piazzale Michelangelo.

Per chi lo desidera, ci sarà la possibilità di ammirare in anteprima la Colnago Fleur-de-Lys in occasione dei seguenti due eventi in programma sempre a Firenze: Pitti Immagine Uomo, dall’11 al 14 giugno, e Becycle dal 26 al 28 giugno.

Chiudiamo con una curiosità. Mentre si teneva la conferenza stampa di presentazione è arrivata al telefono di Nicola Rosin la notizia che già 110 Colnago Fleur-de-Lys erano andate in sold out. Ne resta ancora una …la numero 1, quella che userà Pogacar in occasione della presentazione delle squadre.

Sarà infatti messa all’asta da Sotheby’s durante il Tour. L’asta inizierà il primo giorno di riposo e terminerà una settimana dopo in occasione del secondo giorno di riposo.

Colnago

Da Roma a Parigi saltando il Tour: un po’ scelta e un po’ vendetta

04.06.2024
5 min
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Nel 2021 la sua scelta fece discutere. Alaphilippe allora indossava la maglia iridata conquistata a Imola e alla fine del Tour preferì non andare a Tokyo. Non tanto perché fosse impossibile abbinare le due corse (tanto che tutto il podio olimpico veniva diretto dalla Francia), quanto per trascorrere del tempo a casa con la compagna Marion e il figlio Nino nato il 14 giugno. Il gruppo si chiese se fosse una scelta indovinata, ma il francese tirò dritto rinunciando a un percorso su misura in una stagione che gli aveva dato la Freccia Vallone e la prima maglia gialla del Tour.

Quest’anno che è tornato abbastanza vicino ai suoi livelli migliori, con il Giro d’Italia che ha fatto impennare le sue azioni, Alaphilippe ha fatto l’esatto contrario. Niente Tour, dove avrebbe dovuto tirare la carretta per Evenepoel, e la scelta di puntare tutto sulle Olimpiadi. Che questa volta si corrono per giunta in Francia. E se Remco a inizio stagione aveva detto che della presenza di Julian non si faceva una malattia, adesso che l’ha visto nuovamente splendente, ha fatto sapere che lo riterrebbe un ottimo aiuto. Già, resta da vedere se lo stesso pensa Alaphilippe.

La firma sul Giro: ripartire dall’Italia ha cambiato forse la carriera di Alaphilippe
La firma sul Giro: ripartire dall’Italia ha cambiato forse la carriera di Alaphilippe

Nella lunga lista del Tour

Dopo il debutto italiano, è un fatto che il focus della sua stagione sia ormai spostato su ciò che accadrà da metà stagione in avanti, con le Olimpiadi, il mondiale di Zurigo e il Lombardia. Tuttavia durante il Giro e vista la vittoria di Fano, è parso che il suo programma stesse per cambiare, dato che la Soudal-Quick Step aveva inizialmente inserito il suo nome nella lunga lista del Tour. Andando ben oltre una semplice citazioni, scrive L’Equipe che in un paio di riunioni si era iniziato a dirgli che cosa ci si aspettasse da lui. Come se le critiche feroci indirizzate verso di lui da Lefevere fossero di colpo dimenticate, come se le prestazioni del Giro avessero lavato via ogni forma di acredine. E d’altra parte per uno dei francesi più rappresentativi degli ultimi anni andare al Tour avrebbe rappresentato certamente una riconciliazione con il suo pubblico.

La vittoria di Fano ha restituito ai tifosi un Alaphilippe finalmente cattivo
La vittoria di Fano ha restituito ai tifosi un Alaphilippe finalmente cattivo

La posizione di Voeckler

A quel punto tuttavia nella testa di Julian si è formata una nuova opinione: avrà modo di correre davanti ai francesi, ma indossando la maglia che Voeckler potrebbe assegnargli. Il tecnico della nazionale finora non si è sbilanciato, ma in un’intervista ha lasciato capire che il Tour dopo il Giro non sarebbe il percorso di avvicinamento più congeniale.

«Non si possono considerare le Olimpiadi come un obiettivo – ha detto a L’Equipe – dopo un Giro così massacrante corso quasi ogni giorno all’attacco e aggiungendo poi il Tour de France al servizio di un leader che correrà per la classifica la generale, con il dispendio fisico e l’usura mentale che ne deriva. Possiamo ragionare di andare ai Giochi solo se li consideriamo un obiettivo a sé stante. Oppure facendo il Tour gestendo i suoi sforzi, cosa che non sarebbe possibile se lavorasse per Evenepoel».

La fuga con Maestri e le gag dei giorni successivi sono state fra i momenti più godibili del Giro
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Mercato ancora aperto

Pertanto, quando lo ha chiamato per conoscerne le intenzioni, Lefevere si è reso conto che la decisione fosse già stata presa. E anche se Julian gli ha fatto presente che, essendo i suoi datori di lavoro, avrebbe rispettato qualsiasi scelta, neppure Patrick se l’è sentita di forzargli la mano. Se esiste una possibilità residua che Julian resti nella squadra belga, costringerlo a rivedere i suoi piani sarebbe stato probabilmente la spinta definitiva.

«Il dossier di Julian è ancora sul tavolo – ha detto il manager belga – il suo procuratore Dries Smets ha chiesto ancora una volta di parlarmi. Non ho idea se lo faccia per cortesia o per un vero interesse a restare. Il Giro ovviamente ha cambiato la situazione del mercato. Spero soprattutto di poter sedermi di nuovo con lui, faccia a faccia, senza intermediari e senza un accordo già scritto da proporgli. Solo una buona conversazione per chiarire le cose a livello personale e professionale.

«Julian è nella nostra squadra da quando aveva diciassette anni. Non dirò che è come un figlio, ma non fa molta differenza. Quello che è successo è successo. Ho detto quello che ho detto. Ma voglio assicurarmi che niente di tutto ciò rimanga. Se ci separeremo dopo questa stagione, mi piacerebbe che possiamo continuare a incontrarci e preferibilmente a guardarci negli occhi».

Nel 2021, saltate le Olimpiadi, Alaphilippe vinse il secondo mondiale. Anche Zurigo 2024 è nelle sue corde
Nel 2021, saltate le Olimpiadi, Alaphilippe vinse il secondo mondiale. Anche Zurigo 2024 è nelle sue corde

La scelta di Alaphilippe non è ancora ufficiale, dato che la formazione della Soudal-Quick Step per il Tour sarà annunciata dopo il Tour de Suisse. Ma se le cose rimarranno come sembrano, Voeckler potrà riavere a disposizione il campione che avrebbe tanto desiderato a Tokyo, che adesso ha tre anni di più. Se gliene avessero parlato due mesi fa, magari avrebbe fatto anche spallucce, ma davanti a questo Alaphilippe, ora pochi hanno il coraggio di non guardare.