Martinez ha già scelto. Al Tour non si può rinunciare…

Martinez ha già scelto. Al Tour non si può rinunciare…

19.12.2025
5 min
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Si dice sempre che il primo anno è quello dell’apprendistato, quello che serve per prendere le misure. Per Lenny Martinez, che nel 2024 ha lasciato la Groupama per approdare alla Bahrain Victorious, è stato un anno ricco di emozioni, di momenti importanti soprattutto per definire chi realmente è il figlio d’arte transalpino, per darsi un ruolo.

Lenny viene da una stagione dove i giorni di gara sono stati ben 67, conditi da 4 vittorie, ultima proprio nella gara conclusiva dell’annata alla Japan Cup. Il suo bilancio non può essere che positivo: «Sono molto contento di quello che ho fatto. Non pensavo di vincere così tante corse World Tour davvero fantastiche, dalla Parigi-Nizza al Romandia fino al Delfinato, tutte prove con la crema del ciclismo attuale e io ho messo la firma su tappe prestigiose, ma non c’è stato solo quello. Essere 16 volte nella top 10, dall’inizio alla fine della stagione, credo che significhi molto, che dimostri la sua costanza ad alto livello. Sono davvero super felice, è stata una stagione di successo».

Il transaplino a braccia alzate alla Japan Cup, quarto successo stagionale con 32" su Baudin e Izagirre
Il transaplino a braccia alzate alla Japan Cup, quarto successo stagionale con 32″ su Baudin e Izagirre
Il transaplino a braccia alzate alla Japan Cup, quarto successo stagionale con 32" su Baudin e Izagirre
Il transaplino a braccia alzate alla Japan Cup, quarto successo stagionale con 32″ su Baudin e Izagirre
A 22 anni hai già due esperienze al Tour de France: quale dei due hai vissuto meglio e ti ha dato più soddisfazioni?

Sicuramente quello di quest’anno. E’ stato il miglior Tour de France per me, per i progressi che ho fatto, per essere stato protagonista in alcune tappe alle quali tenevo anche se non sono arrivati squilli come ci si poteva attendere. Ma penso che sarà ancora migliore nei prossimi anni, è chiaro che voglio incidere di più.

L’ultima edizione è stata più dura fisicamente o mentalmente?

Penso che mentalmente un grande giro sia molto lungo, molto difficile. Non mi riferisco solo al Tour, ho fatto anche la Vuelta e so di cosa parlo. E’ la corsa più dura della stagione, incide sicuramente su tutto il resto, ma anche se è un grande sforzo fisico, la differenza si vede proprio nella tenuta mentale.

Martinez durante il media day, tra appuntamenti Tv e fuoco di fila di domande sul futuro
Martinez durante il media day, tra appuntamenti Tv e fuoco di fila di domande sul futuro
Martinez durante il media day, tra appuntamenti Tv e fuoco di fila di domande sul futuroMartinez durante il media day, tra appuntamenti Tv e fuoco di fila di domande sul futuro
Martinez durante il media day, tra appuntamenti Tv e fuoco di fila di domande sul futuro
Come si affronta l’ansia di una corsa di tre settimane dove ci si attende molto da te?

Molto incide l’approccio che si ha. Mi dico semplicemente: do il massimo, faccio del mio meglio ogni giorno e se funziona, funziona. Altrimenti non avrò comunque rimpianti, sapendo di averci provato davvero. So che non è facile, che si si attende molto da me per il mio passato giovanile e per il fatto che si corre nella mia patria, ma tutto quel che posso fare è avere la consapevolezza di non aver trascurato nulla.

Ti capita mai di confrontare le tue esperienze con tuo padre?

Oh sì, credo che abbia passato la stessa cosa, l’ha già fatto. E a volte gli faccio domande a riguardo. A volte parliamo al telefono, e lui che ha sicuramente vissuto tutto sia in un ambiente diverso come la mountain bike, sia da professionista portandosi dietro la sua fama di atleta olimpionico, può ispirare anche me.

Al Tour c'era grande attenzione sul francese, visto come elemento promettente per la caccia alla maglia gialla
Al Tour c’era grande attenzione sul francese, visto come elemento promettente per la caccia alla maglia gialla
Al Tour c'era grande attenzione sul francese, visto come elemento promettente per la caccia alla maglia gialla
Al Tour c’era grande attenzione sul francese, visto come elemento promettente per la caccia alla maglia gialla
Hai lasciato una squadra con forte impronta francese per una multinazionale: perché questa scelta?

Volevo un cambiamento, crescere come persona, provare altre cose, andare all’estero, e lo dico in piena coscienza. E’ una scelta originata sicuramente dal discorso ciclistico ma non solo. Penso che provare cose nuove nella vita cambi davvero un uomo. Era un passaggio obbligato se volevo davvero crescere e credo che i frutti si stiano vedendo non solo dal punto di vista di vittorie e piazzamenti.

In un team francese, il Tour è vissuto con una pressione particolare?

Oh no, penso che sia lo stesso. Non cambia una volta che sei in sella, hai un compito a prescindere dalla maglia che indossi o dalla lingua che si parla nel team. E’ chiaro che per un francese il Tour ha un sapore particolare, i tifosi non ti chiedono altro che quello, ma sto davvero cercando di concentrarmi su me stesso, e fare le cose nel miglior modo possibile. So che ci sono aspettative, ma non devo pensarci e concentrarmi su quel che devo fare.

Puoi essere un corridore da corse a tappe, intanto per la classifica di quelle fino a una settimana?

Preferisco vincere le tappe. Almeno per ora, preferisco davvero puntare ai successi parziali. Forse un giorno cambierà. Preferirei vincere la classifica generale, è normale e vale per tutti, ma per ora adoro la sensazione di tagliare il traguardo davanti a tutti.

Lenny insieme ad Almeida, il loro duello ha infiammato l'ultimo Giro di Romandia
Lenny insieme ad Almeida, il loro duello ha infiammato l’ultimo Giro di Romandia
Lenny insieme ad Almeida, il loro duello ha infiammato l'ultimo Giro di Romandia
Lenny insieme ad Almeida, il loro duello ha infiammato l’ultimo Giro di Romandia
D’altronde nelle prove medio-brevi hai dimostrato che la classifica può anche essere un obiettivo, arrivando secondo…

Sì, è vero, avevo quasi vinto quella gara lottando alla pari con uno specialista come Almeida. Quindi penso che in futuro, forse, sarà possibile vincere gare come quella, lo spero davvero. Ma sono ancora giovane, so che serve tempo per crescere e imparare anche a gestire le corse in maniera diversa, se si ha quell’obiettivo.

Quali sono i tuoi obiettivi per la nuova stagione?

Non ho una corsa specifica nel mirino, a me interessa essere più forte dell’anno scorso, ottenere ottimi risultati, vincere gare importanti, questa è la cosa che conta. Il mio programma mi vedrà impegnato nelle corse francesi d’inizio anno, la Parigi-Nizza, le classiche ardennesi per poi passare dalle corse a tappe svizzere. Voglio davvero vincere, perché alzare le braccia in segno di vittoria è importante e per me vale più di tutto, sempre cercando di fare il meglio possibile.

Ma hai già scelto quale Grande Giro correre?

Ah, il Tour de France, questo è certo…

Tour de Pologne 2025, Antonio Tiberi, quarto a Wieliczka

Liegi, meno altura e Tour: per Tiberi è iniziata la fase 2

18.12.2025
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Il 2026 di Antonio Tiberi ha il nuovo orizzonte del Tour. Dopo il quinto posto e la maglia bianca nel Giro 2024 del debutto, quest’anno una caduta e il morale a pezzi hanno portato al piazzamento fuori dai 15 che non rende giustizia. Il problema è che in questo ciclismo superveloce, non sono solo i bambini a crescere precocemente, bruciano come paglia anche le attese dei tifosi. Per cui Tiberi, che ha ancora 24 anni, da parte di molti è stato messo ingiustamente nel cestino.

In questi giorni di allenamento sulle strade di Altea, Antonio ha iniziato a costruire la prossima stagione. Le vacanze sono finite e quest’anno, per la prima volta, sono state vacanze vere, prima di ritrovarsi in famiglia e coltivare i rapporti che la vita nomade inevitabilmente allenta. Quando nel pomeriggio gli chiediamo di raccontarci i suoi programmi, il tono è rilassato e consapevole.

«Ci stiamo allenando bene – dice a bordo piscina – le sensazioni sono buone, quindi tutto procede bene. La temperatura anche verso l’interno non è male, magari qualche pioggerella ogni tanto. Finora non abbiamo visto giornate di sole pieno, però riusciamo a fare quello che abbiamo nel programma».

L'Hotel Cap Negret di Altea è nuovamente la base di partenza per la nuova stagione della Bahrain Victorious
L’Hotel Cap Negret di Altea è nuovamente la base di partenza per la nuova stagione della Bahrain Victorious
L'Hotel Cap Negret di Altea è nuovamente la base di partenza per la nuova stagione della Bahrain Victorious
L’Hotel Cap Negret di Altea è nuovamente la base di partenza per la nuova stagione della Bahrain Victorious
Sembra proprio che l’anno prossimo andrai al Tour…

Dobbiamo ancora fare il meeting per definire i particolari, però è così. Inizierò alla Valenciana, poi Tirreno, Liegi, Romandia, Delfinato e poi debutterò al Tour de France. L’obiettivo? Arrivare a Parigi. Ci sono stato per la prima volta quest’anno in vacanza e mi è piaciuta tantissimo. Per cui punto a tornarci per festeggiare la fine del Tour de France sui Campi Elisi.

Una scelta per evitare le troppe attese del Giro?

Sono curioso e anche contento di debuttare in Francia. Tanti, anche compagni di squadra, mi dicono che per la loro esperienza il Tour mi si addice più del Giro, quindi sono curioso di vedere se è vero. Mi piace sempre fare il Giro d’Italia, perché è la gara di casa. Però parlando con la squadra, abbiamo visto che è anche il momento giusto per andare in Francia. Da parte mia ho detto subito che sarei stato super contento e così abbiamo scelto.

Se pensi al Giro sono più i bei ricordi o quelli amari?

Sono passato dal 2024 in cui è andato tutto benissimo, al 2025 in cui è andato tutto stortissimo. Perciò tengo davanti i bei ricordi piuttosto che quelli del 2025. Anche se fino alla maledetta caduta di Nova Gorica, stava andando tutto come ci eravamo prefissati. Ero terzo in classifica, ed è vero che ancora non erano arrivate le vere tappe di montagna, però da quel momento i problemi fisici e muscolari hanno rimodellato le mie ambizioni. La condizione ha iniziato a scendere col passare delle tappe, ma fa tutto parte del nostro sport e quindi va accettato. Sono esperienze che in futuro torneranno utili.

Giro 2025: all’indomani della caduta di Nova Gorica, Tiberi ha avuto una bella reazione verso Asiago, poi sono cominciati i problemi
Giro 2025: all’indomani della caduta di Nova Gorica, Tiberi ha avuto una bella reazione verso Asiago, poi sono cominciati i problemi
Fra le esperienze c’è anche un 2025 pieno di troppi ritiri in altura e il senso che tu arrivassi alle corse già sfinito…

E’ sicuramente uno dei primi punti che abbiamo trattato nel mettere giù la bozza del prossimo anno, sia come preparazione sia come gare. La sensazione dell’anno scorso è stata quella di aver fatto troppa altura e aver spremuto troppo il fisico al di fuori delle gare. Spremi fuori gara, poi spremi in gara, spremi fuori dalla gara, poi spremi in gara e a un certo punto diventa troppo. Per questo nel programma l’altura è stata prevista in modo più specifico e mirato rispetto ai veri obiettivi.

Prima Bennati, poi Villa e probabilmente anche Amadio dicono che per fare bene nei prossimi mondiali, Tiberi deve fare più esperienza nelle corse in linea.

L’ho richiesto personalmente alla squadra, quando mi hanno chiesto qualche preferenza per il prossimo anno. Ho chiesto di correre più gare di un giorno, magari delle classiche. Per questo farò la Liegi, ma a inizio stagione anche il Trofeo Laigueglia, che è una classica, si corre in Italia e mi fa molto piacere. Poi, giustamente, avendo il Tour nel programma, le gare a tappe sono la parte principale.

Tour e basta oppure Tour e Vuelta?

Per adesso, direi Tour e basta. Poi magari si può pensare a qualche gara a tappe più breve o gare di un giorno. Dobbiamo ancora parlare di quello che accadrà dopo luglio, magari a gennaio saremo più precisi e comunque dipenderà dall’andamento della stagione.

Giro d'Italia 2025, giorno d i riposo, Cittadella, Franco Pellizotti, Damiano Caruso, Antonio Tiberi
Pellizotti in ammiraglia, Caruso e Tiberi sulla strada. La coppia si ritroverà anche al Tour?
Giro d'Italia 2025, giorno d i riposo, Cittadella, Franco Pellizotti, Damiano Caruso, Antonio Tiberi
Pellizotti in ammiraglia, Caruso e Tiberi sulla strada. La coppia si ritroverà anche al Tour?
Sei stato per due volte al Giro con Caruso: lo avrai accanto anche al Tour?

La certezza di Damiano è che, essendo il suo ultimo anno, vorrà fare molto bene al Giro. Detto questo, io mi auguro che non smetta, perché va ancora molto forte. Dopo il Giro, vedremo cosa dirà la squadra, perché non mi pare che lui abbia chiuso completamente la porta sul Tour.

Se parliamo del Tour, che cosa ti viene in mente?

Vincenzo Nibali, lo guardavo in televisione quando l’ha vinto. E poi mi ricordo di Voeckler e delle sue smorfie con la linguaccia. Il Tour l’ho sempre guardato in tivù e anche questo mi fa provare tanta grinta e gioia al pensiero di debuttare.

Curiosità: avete scelto il Tour dopo aver visto il percorso?

No, in realtà avevamo deciso prima, quando abbiamo fatto la chiamata con i capi per confrontare le idee che avevamo. Quando è uscito fuori il percorso c’è stata la conferma finale.

Che cosa ti piace del percorso?

Il fatto che la prima tappa sia una cronosquadre, una specialità che mi piace e che faccio sempre molto volentieri (in apertura Tiberi in azione al Tour de Pologne 2025, nella crono in cui ha conquistato il quarto posto, ndr). La modalità scelta è diversa dal solito: il tempo si prende sul primo e i distacchi di ciascuno diventano effettivi. Poi, come dicevo, l’arrivo in salita del terzo giorno rende la prima settimana più interessante. E poi le classiche salite del Tour e la doppia Alpe d’Huez alla fine.

Chiudiamo con la novità tecnica della nuova bici: cosa ti sembra?

Sono rimasto sorpreso in modo molto positivo. Ho provata la Bianchi per la prima volta qui in ritiro, ma l’avevo vista dal vivo quando abbiamo fatto il bike fit, dopo il Lombardia più o meno. E’ molto leggera, reattiva, scattante: un’ottima bici.

Hai provato anche quella da crono?

Certamente e pur essendo una bici completamente diversa dalla Merida, mi sono trovato perfettamente in posizione sin dalle prime pedalate. E’ bastato riportare la posizione della vecchia bici e non abbiamo dovuto cambiare nulla. Pur essendo una bici da crono, è molto leggera e reattiva. Si sente che scorre bene.

Anche sulla bici da strada è bastato riportare le misure?

Dopo il Lombardia abbiamo fatto il bike fit sulla Merida e con quella mi sono allenato. Quando sono arrivato qui in Spagna, abbiamo riportato le misure sulla Bianchi e non ho dovuto aggiustare nulla. La cosa che ha reso più facile il lavoro del meccanico è il fatto che sella e il gruppo siamo gli stessi e questo ha tolto di mezzo altre complicazioni. Mi sono trovato molto bene anche con il manubrio, che è particolare e diverso rispetto a quello che usavamo. Però devo dire che è veramente comodo e permette una guida molto pronta e un ottimo feeling. Insomma, mi pare ci sia tutto per cominciare.

Un anno senza Cavendish. Che sogna un ciclismo nuovo

Un anno senza Cavendish. Che sogna un ciclismo nuovo

17.12.2025
5 min
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E’ passato ormai un anno abbondante da quando Mark Cavendish ha appeso la bici al chiodo. Solo simbolicamente, perché la bici è sempre sua compagna di vita, anzi ora ha riscoperto quei significati profondi, quell’amore incondizionato che è parte integrante del suo rapporto con le due ruote, sbocciato in tenera età e diventato quasi un’ossessione da adolescente.

Insieme alla sua famiglia: «Ora sto riscoprendo cose da fare con loro che mi sono perso prima...»
Insieme alla sua famiglia: «Ora sto riscoprendo cose da fare con loro che mi sono perso prima…»
Insieme alla sua famiglia: «Ora sto riscoprendo cose da fare con loro che mi sono perso prima...»
Insieme alla sua famiglia: «Ora sto riscoprendo cose da fare con loro che mi sono perso prima…»

Una mentalità da manager d’industria

«A 14 anni ho deciso che volevo diventare professionista e ho guardato a tutto quello che serviva. Non solo in bici, non solo il talento necessario. Io ho guardato anche a tutto il contesto: le lingue da imparare, l’alimentazione, i rapporti con tutte le parti di quel mondo».

Quello sguardo attento gli è rimasto, anzi sta costruendo ora su quello il suo futuro. Un futuro da imprenditore, che ha ancora contorni fumosi, ma sul quale intende investire tutto se stesso e non solo i guadagni – tanti – accumulati in vent’anni di attività. Proprio il discorso dei guadagni è diventato il tema di un’interessante intervista rilasciata al Financial Review dove l’ex iridato dell’Isola di Man ha detto la sua su come il mondo del ciclismo venga gestito, senza usare mezzi termini.

Cavendish insieme al presidente UCI Lappartient. L'ex iridato è molto critico sull'intero sistema ciclismo
Cavendish insieme al presidente UCI Lappartient. L’ex iridato è molto critico sull’intero sistema ciclismo
Cavendish insieme al presidente UCI Lappartient. L'ex iridato è molto critico sull'intero sistema ciclismo
Cavendish insieme al presidente UCI Lappartient. L’ex iridato è molto critico sull’intero sistema ciclismo

Perché non ispirarsi alla Formula 1?

«Il ciclismo è uno sport popolare che però deve cambiare alcune sue colonne portanti, senza per questo perdere fascino. E’ poco logico che i grandi campioni del ciclismo abbiano introiti così inferiori a quelli di altri sport che hanno una popolarità pari se non inferiore e questo dipende da come viene gestito. Io non so ancora come mettermi a disposizione di questo mondo, ma quel che so è che qualcosa deve cambiare, dobbiamo ispirarci ad altri modelli, ad esempio la Formula 1».

Nella sua disamina Cavendish affronta il tema con lo sguardo dell’imprenditore: «Il ciclismo nel suo complesso non sfrutta le sue potenzialità commerciali e di marketing, per questo voglio costruire qualcosa che abbia la possibilità di farlo. Non c’entra nulla con figure come i procuratori, credo invece che si possa ragionare per ridistribuire tutto quello che scaturisce dal nostro sport.

Una delle maglie a lui dedicate. Per il britannico i corridori dovrebbero guadagnare di più dal merchandising
Una delle maglie a lui dedicate. Per il britannico i corridori dovrebbero guadagnare di più dal merchandising
Una delle maglie a lui dedicate. Per il britannico i corridori dovrebbero guadagnare di più dal merchandising

I risultati non sono tutto…

«Il mio esempio, gli ultimi anni vissuti nell’ambiente sono la dimostrazione che serve un nuovo modo di concepire il nostro sport. Io pur invecchiando vincevo ancora, ma i team erano renitenti a investire su di me perché temevano che non vincessi più. Ma i risultati non sono tutto, il ciclismo è anche immagine da spendere con i media e su questo aspetto non si investe abbastanza».

Nel suo ragionamento, Cavendish individua nell’eccessivo legame con gli sponsor la causa di tanti problemi: «Il ciclismo potrebbe produrre autentiche superstar, ma non ha la spinta per capitalizzare sulla loro esistenza. La mia non è arroganza, è solo la constatazione che la mia immagine, la mia storia, attiravano sponsor e questo non è stato capito e sfruttato bene. C’erano molte persone che traevano profitto dal mio sudore più di me…».

L'ultima vittoria, a Saint Vulbas, Tour 2024. Il record di tappe è finalmente suo
L’ultima vittoria, la 35ª, a Saint Vulbas, Tour 2024: il record di tappe è finalmente suo
L'ultima vittoria, a Saint Vulbas, Tour 2024. Il record di tappe è finalmente suo
L’ultima vittoria, la 35ª, a Saint Vulbas, Tour 2024: il record di tappe è finalmente suo

Un legame troppo stretto con gli sponsor

Parole sferzanti, che mettono sotto accusa l’impostazione stessa del ciclismo attuale, con i ciclisti schiacciati tra procuratori e team, «che hanno sicuramente valori, ma rispetto ad altri sport, il ciclista guadagna quasi esclusivamente dalla squadra e le squadre campano in base agli sponsor che trovano, se non ci sono rischiano di fallire e gli esempi li abbiamo avuti. Ma i guadagni delle gare restano nelle tasche degli organizzatori, questo non va. Come anche il fatto che i team non ottengono nulla dai proventi televisivi come avviene in altre discipline».

Cavendish non ha ancora chiaro come reimmergersi nel mondo delle due ruote come imprenditore
Cavendish non ha ancora chiaro come reimmergersi nel mondo delle due ruote come imprenditore
Cavendish non ha ancora chiaro come reimmergersi nel mondo delle due ruote come imprenditore
Cavendish non ha ancora chiaro come reimmergersi nel mondo delle due ruote come imprenditore

Cercare altre fonti di guadagno per i team

Effettivamente uno studio sui guadagni del 2023 rivela che l’ASO ha ottenuto un dividendo di 350 milioni di euro dalle sue gare e alle squadre non è andata neanche una parte di questi introiti.

«Gli spettatori vengono alla gara per i corridori, spendono, c’è un grande flusso di denaro ma chi lo genera non ne acquisisce. Servono altre fonti di guadagno, per liberarsi dalla schiavitù degli sponsor. E’ in questo che dobbiamo prendere esempio dalla Formula 1, dalla sua capacità di trovare fonti di reddito alternative utilizzando l’immagine stessa delle stelle di questo sport e il richiamo che hanno».

Giro di Lombardia 2025, Tadej Pogacar

Pogacar, la provocazione di Rowe, l’analisi di Archetti

26.11.2025
6 min
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Pogacar non avrebbe vinto il Tour con una bici di 10 anni fa, parola di Luke Rowe. Nel 2015, come per tutta la sua carriera, il gallese correva nel Team Sky. Un metro e 85 per 72 chili, l’attuale direttore sportivo della Decathlon Ag2R incarnava il modello del perfetto gregario di Froome e quell’anno, per la prima volta, lo scortò alla vittoria. Lo avrebbe fatto anche del 2016 e nel 2017. Aiutò Thomas nel 2018, mentre si ritirò nel 2019 quando il Tour lo vinse Bernal, nel primo anno in cui la squadra divenne Team Ineos.

Intervenendo al podcast Watts Occurring, di cui era ospite assieme al suo ex capitano Geraint Thomas, il gallese è finito a parlare di Pogacar e delle sue vittorie. E ha pronunciato le parole che sono rimbalzate sui social e decine di altre piattaforme giornalistiche.

«Siamo arrivati al punto in cui le bici aerodinamiche – ha detto – sono così leggere da usarle anche nelle tappe di montagna. Ho visto alcuni numeri, dei dati in galleria del vento, che confrontati con quelli delle bici che usavamo prima, danno differenze enormi. Si ottengono costantemente miglioramenti aerodinamici. Se mettessimo qualcuno come “Pogi” su una bici di sei-otto anni fa, il divario sarebbe enorme. I progressi che le bici hanno fatto negli ultimi anni sono enormi».

Che cosa succedeva nel mondo delle bici dieci anni fa? E quali differenze ci sono fra quelle di allora e le attuali? Rowe ha ragione? Scontato che ci siano stati dei progressi, quali sono stati i più incisivi? Lo abbiamo chiesto a Giuseppe Archetti, capo meccanico della nazionale, attualmente alla Lidl-Trek, dopo una carriera davvero lunga. Lui nel 2015 era alla IAM Cycling, primo approdo dopo gli anni della Liquigas e prima di arrivare alla Lampre e da lì alla UAE Emirates che ne derivò. Archetti conosce bene Pogacar, avendo lavorato anche con lui.

Che cosa c’era di diverso dieci anni fa rispetto ad oggi?

L’unica cosa diversa che ci può essere sono le ruote e le gomme. Perché Shimano ha ancora i gruppi elettronici come allora. I telai in carbonio sono di altra concezione, ma comunque erano in carbonio. Se andiamo a vedere, la grande differenza sono le ruote e le gomme.

Quali fattori nello specifico fanno la differenza?

Secondo me, il fatto di avere il canale più largo, usando i tubeless con le misure di adesso, può fare la differenza. Ci vengono dati dei numeri secondo cui al momento le ruote sono più performanti. Rispetto a quelle di dieci anni fa, invece di esserci i tubolari ci sono i tubeless. Al posto delle ruote da 15, ci sono quelle da 60. Questo è stato lo sviluppo più grande. Altro discorso sono invece le geometrie dei telai…

Abbiamo chiesto a Giuseppe Archetti, bresciano della Lidl-Trek, di guidarci nei miglioramenti tecnici degli ultimi 10 anni
Abbiamo chiesto a Giuseppe Archetti, bresciano della Lidl-Trek, di guidarci nei miglioramenti tecnici degli ultimi 10 anni
Vale a dire?

Il posizionamento dei corridori ha spinto a rivedere le misure. Gli assetti in sella sono stati stravolti. Una volta su 10 corridori, avremmo avuto 2 reggisella a zero gradi, ora ne abbiamo 8 perché sono tutti spostati in avanti. E’ tutto al limite e anche il freno a disco concorre…

Che cosa c’entra il freno a disco?

Può fare la differenza, però se ne potrebbe parlare a lungo. Sono convinto che a causa dei freni a disco si arriva sempre più vicini al limite. Si stacca all’ultimo momento e con il peso tutto in avanti, non hai margine per recuperare un errore.

Rowe dice che i telai aerodinamici fanno la differenza.

Io vedo che quando vanno in galleria del vento, l’ultima delle voci su cui indagano è la bici. Potrebbe sembrare un controsenso, in realtà significa che la differenza la fa quello che c’è sopra alla bici. Che poi abbiano fatto tutti questi nuovi disegni performanti, sempre da quello che risulta sulla carta, è un fatto. Veloci lo sono davvero, ma secondo me Pogacar vincerebbe anche con la Graziella. E’ lui che fa la differenza, non la bicicletta.

Andando a memoria, al Team Sky erano molto gelosi del grasso e dei lubrificanti che usavano…

Anche adesso stanno tornando di moda le catene cerate. E se prima erano cose per pochi, oggi sono uno standard acquisito: le hanno tutti. Per carità, le bici sono importanti, ma la verità è che vanno più forte perché tutti hanno il preparatore e il nutrizionista e perché sanno come gestirsi leggendo i watt. Si è alzato il livello di tutto il gruppo e le medie sono cresciute. Mi viene da ridere quando si enfatizza questo dato.

Perché?

Una volta partivano a 50 all’ora per 40 chilometri. Poi ne facevano 150 a 32 di media, infine gli ultimi 50 chilometri li volavano a 55 all’ora. Certo che oggi le medie sono più alte, perché tutti vanno più forte e tutti sono più preparati. In più partono forte e non mollano mail. E poi ci sono le biciclette. Sicuramente a livello meccanico qualcosa è migliorato, ma secondo me non è la bici che li fa volare. Anzi, secondo me le bici sono quelle che a volte li fanno cadere.

A livello di sensazioni quali sono le differenze del corridore nuovo quando riceve la bici per l’anno successivo?

La prima cosa che notano sono le ruote. Poi si parla del feeling con le gomme, che è una questione di abitudine. Perché se uno arriva da Continental e deve passare a Pirelli, ha bisogno di tempo per abituarsi. Quanto alla posizione in sella invece non ci sono grandi differenze.

Le nuove ruote Enve Pro con cui Pogacar ha dominato l’ultimo Tour de France (foto Alen Milavec)
Le nuove ruote Enve Pro con cui Pogacar ha dominato l’ultimo Tour de France (foto Alen Milavec)
Abbiamo parlato di ruote, i corridori sono concordi nel parlare soprattutto del perno passante.

Certo, perché la ruota è più rigida e puoi guidare diversamente. Puoi avere un controllo superiore sulla bici, ma comunque c’è sempre da spingere, a meno che non la porti a spasso. Di diverso ci sono anche i cablaggi, ora le bici funzionano meglio, però la grande differenza la fa il corridore là sopra. Se si sposta di 3 centimetri rispetto a come erano messi prima, i valori cambiano dal giorno alla notte.

Quindi la bici conta, ma non è così decisiva?

A livello di numeri ci sono bici migliori di altre, non discuto. Ma se metti Ciccone o Formolo sulla bici da crono di Pogacar, siamo certi che avrebbero dei miglioramenti così grandi?

Rowe ha ragione? Difficile dirlo, forse sì o forse no. Il margine di Pogacar sui suoi rivali è talmente ampio che i secondi persi quotidianamente per una bici meno scorrevole non basterebbero per annullarlo. Su tutti, ma non su Vingegaard. Forse con una bici di 10 anni fa, unitamente a una maglia e un casco meno aerodinamici del body e del MET attuali, il suo vantaggio sul danese non sarebbe più molto rassicurante. Sarebbe una corsa a handicap, del tutto anacronistica e improponibile. Si fa per parlare e far parlare, è chiaro. Ma qual è il senso di un confronto del genere?

Look, 795 Blade RS KG Edition

Look 795 Blade RS KG Edition: un omaggio a 40 anni di storia

21.11.2025
3 min
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Un omaggio a un ciclismo di un’epoca lontana ma che vive ancora nei ricordi e nelle emozioni degli appassionati, così Look fa rivivere lo spirito iconico di una delle sue biciclette di maggior successo: la KG86. Stiamo parlando della bici che ha vinto il Tour de France esattamente quarant’anni fa e che ora rivive in un’edizione speciale del modello 795 Blade RS. Questo modello omaggio prende infatti il nome di 795 Blade RS KG e presenta una colorazione speciale che riprende l’iconico telaio KG86

Telaio Look KG86
Ecco il telaio della Look KG86, realizzato con tubi in carbonio uniti attraverso congiunzioni in acciaio
Telaio Look KG86
Ecco il telaio della Look KG86, realizzato con tubi in carbonio uniti attraverso congiunzioni in acciaio

La storia che ritorna

Il modello KG86 di Look occupa un ruolo cruciale nella storia del ciclismo francese e non solo, e lo ha fatto grazie all’arrivo del carbonio. Si tratta, infatti, di uno dei primi telaio che ha utilizzato questo materiale innovativo che ha poi rivoluzionato il mondo della bicicletta

La nuova versione, svelata al pubblico pochi giorni fa, non solo ripropone l’esatta grafica del modello KG86, ma rafforza anche la posizione di Look come uno dei marchi pionieri dell’innovazione per quanto riguarda il ciclismo professionistico. Un orgoglio che si unisce all’eccellenza di telai “Made in France”. 

Look, 795 Blade RS KG Edition
La 795 Blade RS KG Edition è un omaggio a un modello iconico unito alla tecnologia moderna
Look, 795 Blade RS KG Edition
La 795 Blade RS KG Edition è un omaggio a un modello iconico unito alla tecnologia moderna

Iconica

La bicicletta Look KG86 fu utilizzata da Greg LeMond per conquistare il Tour de France nel 1986, un successo che segnò un punto di svolta per lo sport francese e il ciclismo in generale. Il design unico e rivoluzionario di questo modello prevedeva l’utilizzo di un set di tubi monoscocca in carbonio, saldati tra di loro attraverso congiunzioni in alluminio. Il risultato è una bicicletta ibrida: leggera, rigida e capace di assorbire al meglio le vibrazioni del terreno. La bilancia per la Look KG86 si fermava appena al di sotto dei 9 chilogrammi, un peso estremamente contenuto per l’epoca. 

A tutto questo si unirono anche le geometrie angolari e una grafica davvero audace, con un colore nero estremamente accattivante, al quale vennero affiancati richiami bianchi e rossi. 

Look KG86
Questa è la Look KG86 con la quale Greg LeMond vinse il Tour de France nel 1986
Look KG86
Questa è la Look KG86 con la quale Greg LeMond vinse il Tour de France nel 1986

Il ritorno

Con la 795 Blade RS KG Edition Look ha voluto unire passato e presente. La sua esclusiva grafica fonde motivi tricolore vintage e accenti argentati con una finitura in carbonio grezzo, mettendo in risalto il materiale che ha rivoluzionato le prestazioni ciclistiche e definisce il telaio moderno.

«La 795 Blade RS KG Edition – spiega Sébastien Coué, International Sales & Marketing Director di LOOK Cycle – è un omaggio a 40 anni di innovazione nel carbonio e a uno dei momenti più significativi del ciclismo. Nel 1986, Greg LeMond vinse il Tour de France con la LOOK KG86. Fu la prima vittoria in assoluto con un telaio in carbonio e cambiò per sempre lo sport. La grafica retrò e la finitura in carbonio a vista rendono omaggio alla nostra tradizione, mentre la piattaforma 795 Blade RS rappresenta l’apice delle nostre prestazioni aerodinamiche attuali, raggiunte grazie alla collaborazione con il Team Cofidis».

Prezzo della bici completa a partire da 8.390 euro, mentre per il solo telaio il prezzo è di 4.800 euro. 

Look

Tour de France 2025, Parigi, Tim Wellens, Tadej Pogacar, UAE Team Emirates

Il ginocchio di Pogacar, l’auto della Visma e il pericolo scampato

13.11.2025
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Probabilmente non sarebbe dovuta partire da Wellens. Ma quando il belga si è trovato davanti il giornalista de L’Equipe a Singapore, ha pensato bene di raccontarla tutta, aprendo la porta su due giorni di Pogacar al Tour che finora erano passati sotto silenzio. Tappe 17 e 18, si va verso le Alpi: nei giorni scorsi se ne è parlato in abbondanza, senza però mettere in relazione il giorno di Valence con il successivo.

«Nella tappa di Valence – ha raccontato Wellens (i due sono insieme in apertura) – Tadej mi disse: “Tim, abbiamo un problema, il ginocchio mi fa un male terribile”. Tanto che andò alla macchina del medico per farsi visitare. Dopo la gara andò in ospedale per degli esami, che hanno riscontrato un’infiammazione o qualcosa del genere. Nessuno lo sapeva! Ero convinto che si sarebbe ritirato. Ha sofferto molto. Avevamo dubbi sulla sua capacità di arrivare in fondo».

Valence è il giorno della seconda vittoria di Milan al Tour 2025, tappa nervosa con 1.660 metri di dislivello. Pioggia e freddo. Secondo qualcuno, la ricostruzione di Wellens non tiene conto di un episodio accaduto l’indomani, che invece spiega la tattica attendista dello sloveno sul Col de la Loze e i pochi sorrisi sulla cima.

Caos alla partenza da Vif

Prima dell’atteso traguardo alpino sulla montagna di Courchevel, che nel 2023 era costato a Tadej ogni sogno di gloria, è infatti accaduto qualcosa di insolito. Pogacar è stato vittima di un primo… incontro ravvicinato con la Visma. Eravamo alla partenza da Vif, piccolo comune nella regione dell’Alvernia-Rodano-Alpi. I pullman erano stati incolonnati in una strada stretta in cui, fra tifosi, ammiraglie e furgoni, non c’era davvero lo spazio per passare.

E proprio mentre si stava dirigendo verso la partenza, con un taping al ginocchio destro che il giorno prima non c’era, il campione del mondo ha tamponato in modo piuttosto rovinoso un’ammiraglia della Visma Lease a Bike. Tadej è finito col mento sull’auto e sul momento ci ha fatto una risata, mentre meno divertito è parso il suo addetto stampa Zhao Haojang, che pedalava accanto a lui e ha subito un colpo altrettanto secco.

«Ci stavamo dirigendo verso la linea di partenza – ha raccontato Pogacar – e stavamo pedalando dietro a quell’ammiraglia, forse un po’ troppo vicini. E all’improvviso, non so se volesse provare i miei freni e controllare se funzionavano, ha bloccato. Ma io non ero pronto perché davanti non c’era nessuno e infatti non capisco che necessità ci fosse di frenare così all’improvviso. In ogni caso va tutto bene, è andata peggio al mio amico Zhao».

Tour de France 2025, partenza da Vif, incidente di Tadej Pogacar con l'ammiraglia della Visma Lease a Bike (immagini ITV Cycling)
Si parte da Vif, Pogacar a ruota dell’auto Visma. Di colpo la frenata e il tamponamento (immagini ITV Cycling)

L’ attacco sulla Madeleine

In realtà, così raccontano dall’entourage della UAE Emirates, nell’urto Pogacar ha battuto anche il ginocchio destro. I corridori della Visma si sono affrettati a spiegare – soprattutto Vingegaard e Jorgenson – che non è così che avrebbero voluto prendere vantaggio. Sapevano però del problema iniziato a Valence e quel giorno hanno comunque attaccato a fondo sin dalla Madeleine.

Non hanno ottenuto alcun tipo di risultato, in realtà, ma ecco spiegato perché quel giorno Pogacar abbia rinunciato a inseguire O’Connor, sia sembrato seccato con Vingegaard al punto da affiancarlo e guardarlo in faccia e nel finale sia scattato guadagnandogli altro margine. Senza una sola parola sull’accaduto che potesse suonare come una scusa.

Tour de France 2025, Col de la Madeleine, Matteo Jorgenson, Jonas Vingegaard, Tadej Pogacar
Sul Col de la Madeleine si scatena l’attacco della Visma Lease a Bike, anche se piuttosto spuntato
Tour de France 2025, Col de la Madeleine, Matteo Jorgenson, Jonas Vingegaard, Tadej Pogacar
Sul Col de la Madeleine si scatena l’attacco della Visma Lease a Bike, anche se piuttosto spuntato

«E’ stato un sollievo – ha ribadito Wellens – che non si sia arreso in montagna. Tutti si chiedevano perché non attaccasse, noi invece eravamo preoccupati per lui, fisicamente e anche mentalmente. Sono rimasto sorpreso nel leggere che non vedeva l’ora di tornare a casa, perché, tra noi, ci stavamo divertendo molto».

Tutti in attesa del piano della Visma: annunciato, tenuto nascosto, sussurrato e alla fine rimasto nel cassetto. Vingegaard ha spiegato perché pensa che il 2026 potrebbe avere un altro sapore, noi non vediamo l’ora che la giostra ricominci. Senza episodi e stranezze come quelle che vi abbiamo appena raccontato.

Tour de France 2025, Parigi, Montmartre, Wout Van Aert attacca, alle spalle c'è Tadej Pogacar

Parigi riapre ai velocisti? Bennati, Montmartre e la volata

11.11.2025
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«Se parliamo di Jonathan Milan – dice Bennati sicuro – secondo me c’è tutto il tempo per riorganizzare un inseguimento. Sicuramente qualcuno a Montmartre attaccherà, qualcuno farà anche la differenza. Il Van Der Poel della situazione, Van Aert (in apertura il suo forcing del 2025, ndr), Pogacar, Evenepoel, questi corridori qua. Però secondo me c’è il terreno per recuperare e per pensare a fare la volata. O comunque impostare la tappa per arrivare in volata».

C’è poco da fare: l’inserimento di Montmartre nel finale della tappa dei Campi Elisi fa storcere il naso ai velocisti, privati della ciliegina sulla torta dopo tre settimane sulle montagne del Tour. Quest’anno poi, le tre tappe precedenti hanno l’arrivo in salita in un crescendo rossiniano che sarebbe insopportabile senza la prospettiva di un’ultima chance. Forse per questo i tracciatori della Grande Boucle hanno rimescolato le carte del mazzo: Montmartre si farà, ma a 15 chilometri dal traguardo. Ben altra cosa rispetto ai tre passaggi del 2025, l’ultima a 6 chilometri dall’arrivo.

«E’ chiaro che dopo tre settimane – prosegue Bennati – le energie sono quelle che sono. Però in condizioni di asciutto sicuramente i velocisti possono pensare di giocarsi la volata».

Tour de France 2007, Parigi, Campi Elisi, podio, Daniele Bennati
Bennati ha vinto la tappa di Parigi al Tour del 2007, battendo in volata Hushovd e Zabel
Tour de France 2007, Parigi, Campi Elisi, podio, Daniele Bennati
Bennati ha vinto la tappa di Parigi al Tour del 2007, battendo in volata Hushovd e Zabel

Parigi 2025, fu vero spettacolo?

La precisazione sulla strada asciutta vale certamente un passaggio in più. L’anno scorso lo spettacolo fu incandescente, ma la neutralizzazione dei tempi nel circuito finale svilì parecchio la corsa alle spalle dei primi. Alla fine vinse Van Aert, che aggiunse i Campi Elisi all’iconica tappa delle strade bianche di Siena al Giro.

«Io non penso che pioverà anche l’anno prossimo – precisa Bennati – però questo non lo possiamo sapere. La strada bagnata da un certo punto di vista penalizza lo spettacolo, perché lo scorso anno alla prima accelerazione rimasero in sei e non fu bello per la tappa di chiusura in un palcoscenico così bello. Devo dire che da velocista, non è stato bello vedere i corridori da tutte le parti e gruppetti che si rilassavano per arrivare al traguardo. Obiettivamente se dovesse essere nuovamente così, preferirei il circuito classico. Non perché ero velocista e ho vinto su quell’arrivo, ma perché secondo me rendeva l’ultima tappa molto più adrenalinica».

Bastò un’accelerazione perché lo scorso anno a Parigi rimanessero in sei: dietro la tappa fu neutralizzata
Bastò un’accelerazione perché lo scorso anno a Parigi rimanessero in sei: dietro la tappa fu neutralizzata

Da zero a 100 in un attimo

L’ultima tappa del prossimo Tour misura 130 chilometri, che si porteranno a termine senza un dislivello di rilievo, fatta salva la salita di Montmartre. Ciò significa che i corridori, soprattutto i velocisti, avranno nelle gambe i circa 54.450 metri di dislivello delle tre settimane precedenti. Questo significa che l’ultima tappa piatta sarà una passeggiata di salute? No, sarà esattamente il contrario.

«La salita in sé non è durissima – annuisce Bennati – se la paragoni a qualsiasi muro del Fiandre è molto più leggera. Anche il pavé è abbastanza sconnesso, ma non troppo, quindi è abbastanza leggero. Però arrivi con tre settimane nelle gambe, per cui se il Pogacar della situazione vuole vincere l’ultima tappa, per i velocisti si fa comunque dura. Quelli di classifica hanno doti superiori di recupero rispetto a un velocista, quindi potenzialmente sono avvantaggiati.

«Tornando al discorso della tappa breve, per esperienza personale l’ultima tappa del Tour, del Giro o della Vuelta non è mai una passeggiata. Vieni da tre settimane molto impegnative e nei primi chilometri ci sono i festeggiamenti e un’andatura super blanda. Di conseguenza il ricordo che è sempre stato quello di una fatica tremenda quando si inizia ad accelerare sul circuito. Su un percorso del genere, sono sempre avvantaggiati corridori come Van Aert e Van Der Poel, anche se non sono scalatori. Perché il velocista ha provato a fare le volate e magari ha lottato per la maglia verde, quindi ha speso più di loro. Quindi per assurdo una tappa così corta potrebbe trasformare quella salitella in un bel problema. I velocisti dovranno mettere davanti tutti i compagni rimasti».

L’ultima tappa del Tour inizia con brindisi e saluti, ma questa volta Milan avrà la chance di giocarsi la volata
L’ultima tappa del Tour inizia con brindisi e saluti, ma questa volta Milan avrà la chance di giocarsi la volata

I velocisti ringalluzziti

Il senso però è che questa volta i velocisti potrebbero avere lo spazio per ricucire e giocarsi la volata. Magari non tutti, perché non tutti avranno le gambe per reggere quel tipo di accelerazione e il successivo inseguimento.

«Il Bennati che vinse a Parigi – dice il toscano, ricordando – negli ultimi giorni stava meglio rispetto alla maggior parte dei velocisti, perché probabilmente aveva un recupero migliore. C’è da capire se, correndo oggi, avrei messo davanti la squadra per fare Montmartre al mio ritmo, perché probabilmente il peso della corsa se lo prenderebbe Pogacar, soprattutto se vuole attaccare e provare a vincere. Magari per uno come lui 15 chilometri non sono una gran cosa, ma questo sarà un altro bel motivo per aspettare la corsa con grande curiosità».

Tour de France 2025, Parigi, podio Campi Elisi, Jonas Vingegaard, Tadej Pogacar

Vingegaard fra la voglia di Giro e la prigione del Tour

07.11.2025
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Quello che ci ha raccontato Marta Cavalli l’ha confermato Jonas Vingegaard. La sua visione del ciclismo è certamente estrema: il solo modo per partecipare è poter vincere. Ma il danese, che ha vinto la Vuelta dopo essere arrivato secondo al Tour, ha ben spiegato a L’Equipe perché sia stato importante vincere in Spagna. Non tanto per la vittoria di un Grande Giro in sé, quanto per la sensazione di aver ripreso la traiettoria spezzata dall’incidente al Giro dei Paesi Baschi 2024. E anche in questo caso, non tanto per la gravità dell’infortunio, quanto per ciò che ha significato essersi dovuto fermare per dei mesi.

«Ritrovare la condizione ha richiesto tempo – ha spiegato il leader della Visma-Lease a Bike – rimettermi in sella, ma soprattutto tornare al livello a cui ero prima della caduta. Credo di averlo ritrovato. Da quello che vedo nei miei dati, sono in grado di generare la stessa potenza di prima. Ma anche il ciclismo si evolve, quindi in un certo senso per tornare ai livelli di prima c’è voluto un anno e mezzo, in cui invece avrei potuto lavorare per progredire. Prima della caduta ero in forte crescita, stavo progredendo molto velocemente, quindi spero di essere tornato su quella traiettoria. Bisognerà vedere se migliorerò ancora e farò assolutamente tutto il possibile perché ciò accada».

Il ciclismo dei primi è un treno che va veloce, un gruppo costantemente in fuga. Essere costretto a scenderne significa aspettare il gruppo successivo, che va più piano. E per rientrare su quelli di testa c’è da fare una fatica non comune. Chi ci riesce torna a brillare, gli altri devono rassegnarsi. Per una semplice frattura dello scafoide, nel 2023 Pogacar perse il Tour de France. Non sono scuse, sono le regole del ciclismo che non aspetta.

Tour de France 2023, Morzine, Jonas Vingegaard, TAdej Pogacar
Il Tour de France 2023 vide Pogacar soccombere agli attacchi di Vingegaard, in salita e anche a crono
Il Tour de France 2023 vide Pogacar soccombere agli attacchi di Vingegaard, in salita e anche a crono

Il sogno del Giro

Che cosa ci sarà nel 2026 di Vingegaard? Il Tour resta lo snodo centrale e decisivo. Al contempo la vittoria della Vuelta ha fatto capire al danese e alla sua squadra che sia saggio monetizzare il lavoro portando a casa quel che Pogacar non ha in animo di raggiungere. Forse non è stato per caso che ai campionati europei Vingegaard abbia ammesso che gli piacerebbe cimentarsi nelle classiche e ha messo per la prima volta sul tavolo l’ipotesi del Giro d’Italia.

«Il 2025 – ha spiegato – è stato un’annata piuttosto buona. Non la migliore che abbia mai avuto, penso che il 2023 sia stato di gran lunga migliore. Ma arrivare secondo al Tour de France e vincere la Vuelta non è una brutta stagione. Il mio obiettivo era vincere in Francia, quindi da quel punto di vista non è andata bene. Alla fine potrei darmi un sette in pagella, forse un otto. Il ciclismo esiste anche oltre il Tour de France, anche se resta la gara più importante. Mi sono divertito anche nelle corse di una settimana (Vingegaard ha vinto la Volta ao Algarve ed è arrivato secondo al Delfinato, ndr). Ma non posso dimenticare di essere caduto alla Parigi-Nizza e quella commozione cerebrale mi ha messo fuori gioco e ha condizionato il seguito della primavera. Non abbiamo ancora definito il piano con la squadra, certo ho le mie idee e i miei desideri. Il Tour è così importante che sicuramente farà parte del calendario, vedremo se anche il Giro potrà essere incluso. Sarebbe fantastico. Vincere tutti e tre i Grandi Giri è il sogno di ogni ciclista. Quindi è qualcosa di molto importante, sarei molto felice di andare al Giro».

Vuelta Espana 2025, Bola del MUndo, Jonas Vingegaard, Matteo Jorgenson
Il successo alla Bola del Mondo ha incorniciato la Vuelta di Vingegaard: a Madrid l’inomani non si sarebbe corso
Vuelta Espana 2025, Bola del Mundo, Jonas Vingegaard, Matteo Jorgenson
Il successo alla Bola del Mundo ha incorniciato la Vuelta di Vingegaard: a Madrid l’inomani non si sarebbe corso

Il Tour non si molla

Il Tour non si molla: impossibile immaginare che il danese decida di saltarlo finché sarà uno dei pochi pretendenti credibili. Perché dovrebbe farlo? Con Pogacar è il solo a poter scavare un baratro rispetto alla concorrenza e non è detto che lo sloveno sia sempre inattaccabile. Un’intervista di Wellens pochi giorni fa ha rivelato che il campione del mondo abbia corso l’ultima Grande Boucle con forti dolori a un ginocchio e in squadra si sia anche temuto che potesse ritirarsi. Vingegaard era lì e sarebbe ancora lì per approfittare di ogni cedimento, indotto grazie ai suoi attacchi o dettato dalle circostanze.

«Salterei il Tour – ha spiegato – solo se capissi di non poter lottare per la vittoria. Penso che il Tour sia così importante che le squadre che abbiano un pretendente alla vittoria vogliono portarlo. Questo vale per me e immagino anche per Tadej. Anche se non volessimo andarci, penso che dovremmo comunque accettarlo. Questo non significa che non mi piaccia, intendiamoci, perché il Tour è qualcosa di immenso che ha il suo fascino. E’ molto più grande della Vuelta, non posso parlare del Giro. In Francia, arrivi sul podio per firmare e ci sono trenta giornalisti che vogliono chiederti qualcosa. Alla Vuelta, scendevo dal palco e pensavo: “Ce ne sono solo due, così mi piace”. E’ questo che rende il Tour così faticoso. I media, il protocollo, i trasferimenti, ma è anche ciò che lo rende speciale. Lo capisci solo quando ci sei dentro».

Campionati europei Drome et Ardeche, Jonas Vingegaard, Tadej Pogacar
Non capita spesso di vedere Vingegaard e Pogacar contrapposti fuori dal Tour: qui sono agli europei
Campionati europei Drome et Ardeche, Jonas Vingegaard, Tadej Pogacar
Non capita spesso di vedere Vingegaard e Pogacar contrapposti fuori dal Tour: qui sono agli europei

In questo incastro maniacale di ritiri e corse, Vingegaard ammette che farebbe fatica a programmare la Liegi, che pure gli piace, perché in quel periodo solitamente si trova in altura. Allo stesso modo, pur ammettendo il fascino del mondiale di Montreal, dice che se dovesse fare la Vuelta troverebbe difficile prevedere il viaggio in Canada. Una visione a scomparti ben divisi. C’è davvero posto per il Giro d’Italia nel suo calendario?

Meintjes

Il ritiro di Meintjes, esempio di un ciclismo forse in estinzione

31.10.2025
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Tra i tanti che hanno chiuso la propria carriera quest’anno, c’è anche Louis Meintjes, che rientra nella categoria dei corridori capaci di destare i giudizi più diversi. Considerando che è stato in attività, tra Professional e WT, dal 2013, c’è chi dice che è stato un buon piazzato e nulla più e chi lo considera comunque un riferimento dell’ultimo decennio. In fin dei conti ha portato a casa un titolo continentale (la prova in linea dei campionati africani su strada del 2015), tre top 10 al Tour de France e una decina di successi, anche dalle nostre parti.

Per Meintjes una stagione lunga ben 77 giorni di gara ma senza Top 10
Per Meintjes una stagione 2025 lunga ben 77 giorni di gara ma senza Top 10
Per Meintjes una stagione lunga ben 77 giorni di gara ma senza Top 10
Per Meintjes una stagione 2025 lunga ben 77 giorni di gara ma senza Top 10

Ognuno ha le sue opinioni, certamente Meintjes ha avuto una carriera movimentata, vivendo sulla sua pelle per un anno gli albori della UAE Emirates nata dalle ceneri della Lampre, l’epopea della Qhubeka (formazione di casa per lui) e la crescita dell’Intermarché, scegliendo di anticipare (e per certi versi favorire) la sua fusione con la Lotto. D’altronde la scelta di ritirarsi era maturata anche prima delle trattative fra i due team: «Credo che ci stessi pensando già da qualche anno e ora è semplicemente un buon momento».

Ma l’unione tra Intermarché e Lotto ha influenzato la tua decisione?

Non direi. Potrei sempre cercare qualche altro contatto se volessi, so che molte squadre mi avrebbero preso. Per me non è stato questo il fattore più importante per ritirarmi. Mi rendo conto che per molti corridori si prospetta una situazione difficile, non solo da noi. Alcune squadre hanno perso la sponsorizzazione. Quindi forse non è il momento più semplice per trovare un nuovo contratto, ma per me personalmente non è stato così.

Il 33enne di Pretoria è stato protagonista anche in Italia, vincendo il Giro dell'Appennino 2022
Il 33enne di Pretoria è stato protagonista anche in Italia, vincendo il Giro dell’Appennino 2022
Il 33enne di Pretoria è stato protagonista anche in Italia, vincendo il Giro dell'Appennino 2022
Il 33enne di Pretoria è stato protagonista anche in Italia, vincendo il Giro dell’Appennino 2022
Ripensando alla tua carriera, sei soddisfatto di ciò che hai realizzato in 13 anni di ciclismo professionistico?

Sì, sono abbastanza contento. Per me non è mai stato così importante il risultato ottenuto in gara. Se non vincevo ma avevo fatto una buona corsa, avevo ottenuto un buon piazzamento, andava bene lo stesso. Quindi sono stato abbastanza fortunato da vincere quella decina di volte, anche gare importanti, ma per me era più importante dare il 100 per cento. Se sentivo di aver fatto tutto quel che potevo, per me andava bene. Quindi sì, se mi guardo indietro ora, penso di averci provato con tutte le mie forze e ne sono contento.

Qual è stato il risultato più importante della tua carriera?

Penso che la vittoria alla Vuelta sia stata molto bella (tappa di LEs Praeres nel 2022, ndr) perché è diverso quando ottieni un buon risultato, ma quando tagli il traguardo per primo, è qualcosa di veramente speciale. Ma anche arrivare tra i primi dieci al Tour de France è davvero speciale, solo che lo percepisci davvero uno o due anni dopo, ti rendi conto di che grande risultato sia stato. Sul momento, non provi la stessa sensazione. Quindi ora l’apprezzo, anche perché esserci riuscito tre volte considerando che è l’appuntamento principe della stagione, ha un grande valore.

Il podio della tappa di Les Praeres alla Vuelta '22. Questa è la sua vittoria più prestigiosa
Il podio della tappa di Les Praeres alla Vuelta 2022. Questa è la sua vittoria più prestigiosa
Il podio della tappa di Les Praeres alla Vuelta '22. Questa è la sua vittoria più prestigiosa
Il podio della tappa di Les Praeres alla Vuelta 2022. Questa è la sua vittoria più prestigiosa
Per molti anni sei stato l’icona del Sudafrica. Pensi che il numero di praticanti e il livello di attività siano migliorati da quando hai iniziato?

Penso che il nostro ciclismo attraversi fasi di alti e bassi, In questo momento forse non è al suo apice perché è un po’ difficile emergere non avendo grandi squadre in Sudafrica, quando avevamo la Qhubeka era comunque un canale privilegiato e dava risonanza alla nostra attività. Ma penso che il ciclismo, da quando ho iniziato a praticarlo, sia seguito da molte più persone ed è molto più popolare.

Da cosa lo capisci?

All’inizio molte persone non capivano che ero un ciclista professionista e che lo facevo per lavoro. Ma ora, se parlo con qualcuno in Sudafrica e gli dico che ero un ciclista professionista, capisce che è come nel calcio o in un altro sport, dove puoi avere una carriera completa ed economicamente fruttuosa.

Il sudafricano in maglia Lampre, 8°al Tour 2016, risultato bissato l'anno dopo e migliorato (7°) nel 2021
Il sudafricano in maglia Lampre, 8° al Tour 2016, risultato bissato l’anno dopo e migliorato (7°) nel 2021
Il sudafricano in maglia Lampre, 8°al Tour 2016, risultato bissato l'anno dopo e migliorato (7°) nel 2021
Il sudafricano in maglia Lampre, 8° al Tour 2016, risultato bissato l’anno dopo e migliorato (7°) nel 2021
Cosa farai ora?

Questa è una bella domanda, perché non lo so. Non ho ancora nessun piano. Prima voglio prendermi un po’ di tempo e riposarmi, per pensare davvero a quello che voglio fare. Non volevo prendere una decisione mentre ero ancora nel ciclismo ed ero stanco per tutte le gare. Ho bisogno di decantare da oltre un decennio immerso in una routine. Pensare davvero a cosa mi entusiasma ora, quale nuovo progetto sarebbe bello affrontare.

Un giovanissimo Meintjes ai mondiali in Toscana 2013, argento dietro Mohoric nella prova U23
Un giovanissimo Meintjes ai mondiali in Toscana 2013, argento dietro Mohoric nella prova U23
Un giovanissimo Meintjes ai mondiali in Toscana 2013, argento dietro Mohoric nella prova U23
Un giovanissimo Meintjes ai mondiali in Toscana 2013, argento dietro Mohoric nella prova U23
Molte persone hanno detto che il ciclismo è sempre più per i più giovani. Pensi che in futuro emergeranno sempre meno corridori che avranno oltrepassato la soglia dei 30 anni?

Credo proprio di sì, esempi come il mio diverranno sempre più delle eccezioni, anche perché i ciclisti iniziano prima. Dopo 10 anni ai massimi livelli, inizi a vedere le cose in modo diverso da come vedi la vita. Quindi se iniziano da giovani, probabilmente smetteranno anche da giovani. Inoltre, le squadre ora tendono a cercare il prossimo campione, quindi preferiscono rischiare e ingaggiare un nuovo giovane corridore e sperare che sia qualcosa di speciale piuttosto che continuare con il vecchio che sanno essere in grado di fare risultato. Forse non il miglior risultato, ma almeno è costante.