Giro di Lombardia 2025, Tadej Pogacar

Pogacar, la provocazione di Rowe, l’analisi di Archetti

26.11.2025
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Pogacar non avrebbe vinto il Tour con una bici di 10 anni fa, parola di Luke Rowe. Nel 2015, come per tutta la sua carriera, il gallese correva nel Team Sky. Un metro e 85 per 72 chili, l’attuale direttore sportivo della Decathlon Ag2R incarnava il modello del perfetto gregario di Froome e quell’anno, per la prima volta, lo scortò alla vittoria. Lo avrebbe fatto anche del 2016 e nel 2017. Aiutò Thomas nel 2018, mentre si ritirò nel 2019 quando il Tour lo vinse Bernal, nel primo anno in cui la squadra divenne Team Ineos.

Intervenendo al podcast Watts Occurring, di cui era ospite assieme al suo ex capitano Geraint Thomas, il gallese è finito a parlare di Pogacar e delle sue vittorie. E ha pronunciato le parole che sono rimbalzate sui social e decine di altre piattaforme giornalistiche.

«Siamo arrivati al punto in cui le bici aerodinamiche – ha detto – sono così leggere da usarle anche nelle tappe di montagna. Ho visto alcuni numeri, dei dati in galleria del vento, che confrontati con quelli delle bici che usavamo prima, danno differenze enormi. Si ottengono costantemente miglioramenti aerodinamici. Se mettessimo qualcuno come “Pogi” su una bici di sei-otto anni fa, il divario sarebbe enorme. I progressi che le bici hanno fatto negli ultimi anni sono enormi».

Che cosa succedeva nel mondo delle bici dieci anni fa? E quali differenze ci sono fra quelle di allora e le attuali? Rowe ha ragione? Scontato che ci siano stati dei progressi, quali sono stati i più incisivi? Lo abbiamo chiesto a Giuseppe Archetti, capo meccanico della nazionale, attualmente alla Lidl-Trek, dopo una carriera davvero lunga. Lui nel 2015 era alla IAM Cycling, primo approdo dopo gli anni della Liquigas e prima di arrivare alla Lampre e da lì alla UAE Emirates che ne derivò. Archetti conosce bene Pogacar, avendo lavorato anche con lui.

Che cosa c’era di diverso dieci anni fa rispetto ad oggi?

L’unica cosa diversa che ci può essere sono le ruote e le gomme. Perché Shimano ha ancora i gruppi elettronici come allora. I telai in carbonio sono di altra concezione, ma comunque erano in carbonio. Se andiamo a vedere, la grande differenza sono le ruote e le gomme.

Quali fattori nello specifico fanno la differenza?

Secondo me, il fatto di avere il canale più largo, usando i tubeless con le misure di adesso, può fare la differenza. Ci vengono dati dei numeri secondo cui al momento le ruote sono più performanti. Rispetto a quelle di dieci anni fa, invece di esserci i tubolari ci sono i tubeless. Al posto delle ruote da 15, ci sono quelle da 60. Questo è stato lo sviluppo più grande. Altro discorso sono invece le geometrie dei telai…

Abbiamo chiesto a Giuseppe Archetti, bresciano della Lidl-Trek, di guidarci nei miglioramenti tecnici degli ultimi 10 anni
Abbiamo chiesto a Giuseppe Archetti, bresciano della Lidl-Trek, di guidarci nei miglioramenti tecnici degli ultimi 10 anni
Vale a dire?

Il posizionamento dei corridori ha spinto a rivedere le misure. Gli assetti in sella sono stati stravolti. Una volta su 10 corridori, avremmo avuto 2 reggisella a zero gradi, ora ne abbiamo 8 perché sono tutti spostati in avanti. E’ tutto al limite e anche il freno a disco concorre…

Che cosa c’entra il freno a disco?

Può fare la differenza, però se ne potrebbe parlare a lungo. Sono convinto che a causa dei freni a disco si arriva sempre più vicini al limite. Si stacca all’ultimo momento e con il peso tutto in avanti, non hai margine per recuperare un errore.

Rowe dice che i telai aerodinamici fanno la differenza.

Io vedo che quando vanno in galleria del vento, l’ultima delle voci su cui indagano è la bici. Potrebbe sembrare un controsenso, in realtà significa che la differenza la fa quello che c’è sopra alla bici. Che poi abbiano fatto tutti questi nuovi disegni performanti, sempre da quello che risulta sulla carta, è un fatto. Veloci lo sono davvero, ma secondo me Pogacar vincerebbe anche con la Graziella. E’ lui che fa la differenza, non la bicicletta.

Andando a memoria, al Team Sky erano molto gelosi del grasso e dei lubrificanti che usavano…

Anche adesso stanno tornando di moda le catene cerate. E se prima erano cose per pochi, oggi sono uno standard acquisito: le hanno tutti. Per carità, le bici sono importanti, ma la verità è che vanno più forte perché tutti hanno il preparatore e il nutrizionista e perché sanno come gestirsi leggendo i watt. Si è alzato il livello di tutto il gruppo e le medie sono cresciute. Mi viene da ridere quando si enfatizza questo dato.

Perché?

Una volta partivano a 50 all’ora per 40 chilometri. Poi ne facevano 150 a 32 di media, infine gli ultimi 50 chilometri li volavano a 55 all’ora. Certo che oggi le medie sono più alte, perché tutti vanno più forte e tutti sono più preparati. In più partono forte e non mollano mail. E poi ci sono le biciclette. Sicuramente a livello meccanico qualcosa è migliorato, ma secondo me non è la bici che li fa volare. Anzi, secondo me le bici sono quelle che a volte li fanno cadere.

A livello di sensazioni quali sono le differenze del corridore nuovo quando riceve la bici per l’anno successivo?

La prima cosa che notano sono le ruote. Poi si parla del feeling con le gomme, che è una questione di abitudine. Perché se uno arriva da Continental e deve passare a Pirelli, ha bisogno di tempo per abituarsi. Quanto alla posizione in sella invece non ci sono grandi differenze.

Le nuove ruote Enve Pro con cui Pogacar ha dominato l’ultimo Tour de France (foto Alen Milavec)
Le nuove ruote Enve Pro con cui Pogacar ha dominato l’ultimo Tour de France (foto Alen Milavec)
Abbiamo parlato di ruote, i corridori sono concordi nel parlare soprattutto del perno passante.

Certo, perché la ruota è più rigida e puoi guidare diversamente. Puoi avere un controllo superiore sulla bici, ma comunque c’è sempre da spingere, a meno che non la porti a spasso. Di diverso ci sono anche i cablaggi, ora le bici funzionano meglio, però la grande differenza la fa il corridore là sopra. Se si sposta di 3 centimetri rispetto a come erano messi prima, i valori cambiano dal giorno alla notte.

Quindi la bici conta, ma non è così decisiva?

A livello di numeri ci sono bici migliori di altre, non discuto. Ma se metti Ciccone o Formolo sulla bici da crono di Pogacar, siamo certi che avrebbero dei miglioramenti così grandi?

Rowe ha ragione? Difficile dirlo, forse sì o forse no. Il margine di Pogacar sui suoi rivali è talmente ampio che i secondi persi quotidianamente per una bici meno scorrevole non basterebbero per annullarlo. Su tutti, ma non su Vingegaard. Forse con una bici di 10 anni fa, unitamente a una maglia e un casco meno aerodinamici del body e del MET attuali, il suo vantaggio sul danese non sarebbe più molto rassicurante. Sarebbe una corsa a handicap, del tutto anacronistica e improponibile. Si fa per parlare e far parlare, è chiaro. Ma qual è il senso di un confronto del genere?

Look, 795 Blade RS KG Edition

Look 795 Blade RS KG Edition: un omaggio a 40 anni di storia

21.11.2025
3 min
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Un omaggio a un ciclismo di un’epoca lontana ma che vive ancora nei ricordi e nelle emozioni degli appassionati, così Look fa rivivere lo spirito iconico di una delle sue biciclette di maggior successo: la KG86. Stiamo parlando della bici che ha vinto il Tour de France esattamente quarant’anni fa e che ora rivive in un’edizione speciale del modello 795 Blade RS. Questo modello omaggio prende infatti il nome di 795 Blade RS KG e presenta una colorazione speciale che riprende l’iconico telaio KG86

Telaio Look KG86
Ecco il telaio della Look KG86, realizzato con tubi in carbonio uniti attraverso congiunzioni in acciaio
Telaio Look KG86
Ecco il telaio della Look KG86, realizzato con tubi in carbonio uniti attraverso congiunzioni in acciaio

La storia che ritorna

Il modello KG86 di Look occupa un ruolo cruciale nella storia del ciclismo francese e non solo, e lo ha fatto grazie all’arrivo del carbonio. Si tratta, infatti, di uno dei primi telaio che ha utilizzato questo materiale innovativo che ha poi rivoluzionato il mondo della bicicletta

La nuova versione, svelata al pubblico pochi giorni fa, non solo ripropone l’esatta grafica del modello KG86, ma rafforza anche la posizione di Look come uno dei marchi pionieri dell’innovazione per quanto riguarda il ciclismo professionistico. Un orgoglio che si unisce all’eccellenza di telai “Made in France”. 

Look, 795 Blade RS KG Edition
La 795 Blade RS KG Edition è un omaggio a un modello iconico unito alla tecnologia moderna
Look, 795 Blade RS KG Edition
La 795 Blade RS KG Edition è un omaggio a un modello iconico unito alla tecnologia moderna

Iconica

La bicicletta Look KG86 fu utilizzata da Greg LeMond per conquistare il Tour de France nel 1986, un successo che segnò un punto di svolta per lo sport francese e il ciclismo in generale. Il design unico e rivoluzionario di questo modello prevedeva l’utilizzo di un set di tubi monoscocca in carbonio, saldati tra di loro attraverso congiunzioni in alluminio. Il risultato è una bicicletta ibrida: leggera, rigida e capace di assorbire al meglio le vibrazioni del terreno. La bilancia per la Look KG86 si fermava appena al di sotto dei 9 chilogrammi, un peso estremamente contenuto per l’epoca. 

A tutto questo si unirono anche le geometrie angolari e una grafica davvero audace, con un colore nero estremamente accattivante, al quale vennero affiancati richiami bianchi e rossi. 

Look KG86
Questa è la Look KG86 con la quale Greg LeMond vinse il Tour de France nel 1986
Look KG86
Questa è la Look KG86 con la quale Greg LeMond vinse il Tour de France nel 1986

Il ritorno

Con la 795 Blade RS KG Edition Look ha voluto unire passato e presente. La sua esclusiva grafica fonde motivi tricolore vintage e accenti argentati con una finitura in carbonio grezzo, mettendo in risalto il materiale che ha rivoluzionato le prestazioni ciclistiche e definisce il telaio moderno.

«La 795 Blade RS KG Edition – spiega Sébastien Coué, International Sales & Marketing Director di LOOK Cycle – è un omaggio a 40 anni di innovazione nel carbonio e a uno dei momenti più significativi del ciclismo. Nel 1986, Greg LeMond vinse il Tour de France con la LOOK KG86. Fu la prima vittoria in assoluto con un telaio in carbonio e cambiò per sempre lo sport. La grafica retrò e la finitura in carbonio a vista rendono omaggio alla nostra tradizione, mentre la piattaforma 795 Blade RS rappresenta l’apice delle nostre prestazioni aerodinamiche attuali, raggiunte grazie alla collaborazione con il Team Cofidis».

Prezzo della bici completa a partire da 8.390 euro, mentre per il solo telaio il prezzo è di 4.800 euro. 

Look

Tour de France 2025, Parigi, Tim Wellens, Tadej Pogacar, UAE Team Emirates

Il ginocchio di Pogacar, l’auto della Visma e il pericolo scampato

13.11.2025
4 min
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Probabilmente non sarebbe dovuta partire da Wellens. Ma quando il belga si è trovato davanti il giornalista de L’Equipe a Singapore, ha pensato bene di raccontarla tutta, aprendo la porta su due giorni di Pogacar al Tour che finora erano passati sotto silenzio. Tappe 17 e 18, si va verso le Alpi: nei giorni scorsi se ne è parlato in abbondanza, senza però mettere in relazione il giorno di Valence con il successivo.

«Nella tappa di Valence – ha raccontato Wellens (i due sono insieme in apertura) – Tadej mi disse: “Tim, abbiamo un problema, il ginocchio mi fa un male terribile”. Tanto che andò alla macchina del medico per farsi visitare. Dopo la gara andò in ospedale per degli esami, che hanno riscontrato un’infiammazione o qualcosa del genere. Nessuno lo sapeva! Ero convinto che si sarebbe ritirato. Ha sofferto molto. Avevamo dubbi sulla sua capacità di arrivare in fondo».

Valence è il giorno della seconda vittoria di Milan al Tour 2025, tappa nervosa con 1.660 metri di dislivello. Pioggia e freddo. Secondo qualcuno, la ricostruzione di Wellens non tiene conto di un episodio accaduto l’indomani, che invece spiega la tattica attendista dello sloveno sul Col de la Loze e i pochi sorrisi sulla cima.

Caos alla partenza da Vif

Prima dell’atteso traguardo alpino sulla montagna di Courchevel, che nel 2023 era costato a Tadej ogni sogno di gloria, è infatti accaduto qualcosa di insolito. Pogacar è stato vittima di un primo… incontro ravvicinato con la Visma. Eravamo alla partenza da Vif, piccolo comune nella regione dell’Alvernia-Rodano-Alpi. I pullman erano stati incolonnati in una strada stretta in cui, fra tifosi, ammiraglie e furgoni, non c’era davvero lo spazio per passare.

E proprio mentre si stava dirigendo verso la partenza, con un taping al ginocchio destro che il giorno prima non c’era, il campione del mondo ha tamponato in modo piuttosto rovinoso un’ammiraglia della Visma Lease a Bike. Tadej è finito col mento sull’auto e sul momento ci ha fatto una risata, mentre meno divertito è parso il suo addetto stampa Zhao Haojang, che pedalava accanto a lui e ha subito un colpo altrettanto secco.

«Ci stavamo dirigendo verso la linea di partenza – ha raccontato Pogacar – e stavamo pedalando dietro a quell’ammiraglia, forse un po’ troppo vicini. E all’improvviso, non so se volesse provare i miei freni e controllare se funzionavano, ha bloccato. Ma io non ero pronto perché davanti non c’era nessuno e infatti non capisco che necessità ci fosse di frenare così all’improvviso. In ogni caso va tutto bene, è andata peggio al mio amico Zhao».

Tour de France 2025, partenza da Vif, incidente di Tadej Pogacar con l'ammiraglia della Visma Lease a Bike (immagini ITV Cycling)
Si parte da Vif, Pogacar a ruota dell’auto Visma. Di colpo la frenata e il tamponamento (immagini ITV Cycling)

L’ attacco sulla Madeleine

In realtà, così raccontano dall’entourage della UAE Emirates, nell’urto Pogacar ha battuto anche il ginocchio destro. I corridori della Visma si sono affrettati a spiegare – soprattutto Vingegaard e Jorgenson – che non è così che avrebbero voluto prendere vantaggio. Sapevano però del problema iniziato a Valence e quel giorno hanno comunque attaccato a fondo sin dalla Madeleine.

Non hanno ottenuto alcun tipo di risultato, in realtà, ma ecco spiegato perché quel giorno Pogacar abbia rinunciato a inseguire O’Connor, sia sembrato seccato con Vingegaard al punto da affiancarlo e guardarlo in faccia e nel finale sia scattato guadagnandogli altro margine. Senza una sola parola sull’accaduto che potesse suonare come una scusa.

Tour de France 2025, Col de la Madeleine, Matteo Jorgenson, Jonas Vingegaard, Tadej Pogacar
Sul Col de la Madeleine si scatena l’attacco della Visma Lease a Bike, anche se piuttosto spuntato
Tour de France 2025, Col de la Madeleine, Matteo Jorgenson, Jonas Vingegaard, Tadej Pogacar
Sul Col de la Madeleine si scatena l’attacco della Visma Lease a Bike, anche se piuttosto spuntato

«E’ stato un sollievo – ha ribadito Wellens – che non si sia arreso in montagna. Tutti si chiedevano perché non attaccasse, noi invece eravamo preoccupati per lui, fisicamente e anche mentalmente. Sono rimasto sorpreso nel leggere che non vedeva l’ora di tornare a casa, perché, tra noi, ci stavamo divertendo molto».

Tutti in attesa del piano della Visma: annunciato, tenuto nascosto, sussurrato e alla fine rimasto nel cassetto. Vingegaard ha spiegato perché pensa che il 2026 potrebbe avere un altro sapore, noi non vediamo l’ora che la giostra ricominci. Senza episodi e stranezze come quelle che vi abbiamo appena raccontato.

Tour de France 2025, Parigi, Montmartre, Wout Van Aert attacca, alle spalle c'è Tadej Pogacar

Parigi riapre ai velocisti? Bennati, Montmartre e la volata

11.11.2025
4 min
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«Se parliamo di Jonathan Milan – dice Bennati sicuro – secondo me c’è tutto il tempo per riorganizzare un inseguimento. Sicuramente qualcuno a Montmartre attaccherà, qualcuno farà anche la differenza. Il Van Der Poel della situazione, Van Aert (in apertura il suo forcing del 2025, ndr), Pogacar, Evenepoel, questi corridori qua. Però secondo me c’è il terreno per recuperare e per pensare a fare la volata. O comunque impostare la tappa per arrivare in volata».

C’è poco da fare: l’inserimento di Montmartre nel finale della tappa dei Campi Elisi fa storcere il naso ai velocisti, privati della ciliegina sulla torta dopo tre settimane sulle montagne del Tour. Quest’anno poi, le tre tappe precedenti hanno l’arrivo in salita in un crescendo rossiniano che sarebbe insopportabile senza la prospettiva di un’ultima chance. Forse per questo i tracciatori della Grande Boucle hanno rimescolato le carte del mazzo: Montmartre si farà, ma a 15 chilometri dal traguardo. Ben altra cosa rispetto ai tre passaggi del 2025, l’ultima a 6 chilometri dall’arrivo.

«E’ chiaro che dopo tre settimane – prosegue Bennati – le energie sono quelle che sono. Però in condizioni di asciutto sicuramente i velocisti possono pensare di giocarsi la volata».

Tour de France 2007, Parigi, Campi Elisi, podio, Daniele Bennati
Bennati ha vinto la tappa di Parigi al Tour del 2007, battendo in volata Hushovd e Zabel
Tour de France 2007, Parigi, Campi Elisi, podio, Daniele Bennati
Bennati ha vinto la tappa di Parigi al Tour del 2007, battendo in volata Hushovd e Zabel

Parigi 2025, fu vero spettacolo?

La precisazione sulla strada asciutta vale certamente un passaggio in più. L’anno scorso lo spettacolo fu incandescente, ma la neutralizzazione dei tempi nel circuito finale svilì parecchio la corsa alle spalle dei primi. Alla fine vinse Van Aert, che aggiunse i Campi Elisi all’iconica tappa delle strade bianche di Siena al Giro.

«Io non penso che pioverà anche l’anno prossimo – precisa Bennati – però questo non lo possiamo sapere. La strada bagnata da un certo punto di vista penalizza lo spettacolo, perché lo scorso anno alla prima accelerazione rimasero in sei e non fu bello per la tappa di chiusura in un palcoscenico così bello. Devo dire che da velocista, non è stato bello vedere i corridori da tutte le parti e gruppetti che si rilassavano per arrivare al traguardo. Obiettivamente se dovesse essere nuovamente così, preferirei il circuito classico. Non perché ero velocista e ho vinto su quell’arrivo, ma perché secondo me rendeva l’ultima tappa molto più adrenalinica».

Bastò un’accelerazione perché lo scorso anno a Parigi rimanessero in sei: dietro la tappa fu neutralizzata
Bastò un’accelerazione perché lo scorso anno a Parigi rimanessero in sei: dietro la tappa fu neutralizzata

Da zero a 100 in un attimo

L’ultima tappa del prossimo Tour misura 130 chilometri, che si porteranno a termine senza un dislivello di rilievo, fatta salva la salita di Montmartre. Ciò significa che i corridori, soprattutto i velocisti, avranno nelle gambe i circa 54.450 metri di dislivello delle tre settimane precedenti. Questo significa che l’ultima tappa piatta sarà una passeggiata di salute? No, sarà esattamente il contrario.

«La salita in sé non è durissima – annuisce Bennati – se la paragoni a qualsiasi muro del Fiandre è molto più leggera. Anche il pavé è abbastanza sconnesso, ma non troppo, quindi è abbastanza leggero. Però arrivi con tre settimane nelle gambe, per cui se il Pogacar della situazione vuole vincere l’ultima tappa, per i velocisti si fa comunque dura. Quelli di classifica hanno doti superiori di recupero rispetto a un velocista, quindi potenzialmente sono avvantaggiati.

«Tornando al discorso della tappa breve, per esperienza personale l’ultima tappa del Tour, del Giro o della Vuelta non è mai una passeggiata. Vieni da tre settimane molto impegnative e nei primi chilometri ci sono i festeggiamenti e un’andatura super blanda. Di conseguenza il ricordo che è sempre stato quello di una fatica tremenda quando si inizia ad accelerare sul circuito. Su un percorso del genere, sono sempre avvantaggiati corridori come Van Aert e Van Der Poel, anche se non sono scalatori. Perché il velocista ha provato a fare le volate e magari ha lottato per la maglia verde, quindi ha speso più di loro. Quindi per assurdo una tappa così corta potrebbe trasformare quella salitella in un bel problema. I velocisti dovranno mettere davanti tutti i compagni rimasti».

L’ultima tappa del Tour inizia con brindisi e saluti, ma questa volta Milan avrà la chance di giocarsi la volata
L’ultima tappa del Tour inizia con brindisi e saluti, ma questa volta Milan avrà la chance di giocarsi la volata

I velocisti ringalluzziti

Il senso però è che questa volta i velocisti potrebbero avere lo spazio per ricucire e giocarsi la volata. Magari non tutti, perché non tutti avranno le gambe per reggere quel tipo di accelerazione e il successivo inseguimento.

«Il Bennati che vinse a Parigi – dice il toscano, ricordando – negli ultimi giorni stava meglio rispetto alla maggior parte dei velocisti, perché probabilmente aveva un recupero migliore. C’è da capire se, correndo oggi, avrei messo davanti la squadra per fare Montmartre al mio ritmo, perché probabilmente il peso della corsa se lo prenderebbe Pogacar, soprattutto se vuole attaccare e provare a vincere. Magari per uno come lui 15 chilometri non sono una gran cosa, ma questo sarà un altro bel motivo per aspettare la corsa con grande curiosità».

Tour de France 2025, Parigi, podio Campi Elisi, Jonas Vingegaard, Tadej Pogacar

Vingegaard fra la voglia di Giro e la prigione del Tour

07.11.2025
5 min
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Quello che ci ha raccontato Marta Cavalli l’ha confermato Jonas Vingegaard. La sua visione del ciclismo è certamente estrema: il solo modo per partecipare è poter vincere. Ma il danese, che ha vinto la Vuelta dopo essere arrivato secondo al Tour, ha ben spiegato a L’Equipe perché sia stato importante vincere in Spagna. Non tanto per la vittoria di un Grande Giro in sé, quanto per la sensazione di aver ripreso la traiettoria spezzata dall’incidente al Giro dei Paesi Baschi 2024. E anche in questo caso, non tanto per la gravità dell’infortunio, quanto per ciò che ha significato essersi dovuto fermare per dei mesi.

«Ritrovare la condizione ha richiesto tempo – ha spiegato il leader della Visma-Lease a Bike – rimettermi in sella, ma soprattutto tornare al livello a cui ero prima della caduta. Credo di averlo ritrovato. Da quello che vedo nei miei dati, sono in grado di generare la stessa potenza di prima. Ma anche il ciclismo si evolve, quindi in un certo senso per tornare ai livelli di prima c’è voluto un anno e mezzo, in cui invece avrei potuto lavorare per progredire. Prima della caduta ero in forte crescita, stavo progredendo molto velocemente, quindi spero di essere tornato su quella traiettoria. Bisognerà vedere se migliorerò ancora e farò assolutamente tutto il possibile perché ciò accada».

Il ciclismo dei primi è un treno che va veloce, un gruppo costantemente in fuga. Essere costretto a scenderne significa aspettare il gruppo successivo, che va più piano. E per rientrare su quelli di testa c’è da fare una fatica non comune. Chi ci riesce torna a brillare, gli altri devono rassegnarsi. Per una semplice frattura dello scafoide, nel 2023 Pogacar perse il Tour de France. Non sono scuse, sono le regole del ciclismo che non aspetta.

Tour de France 2023, Morzine, Jonas Vingegaard, TAdej Pogacar
Il Tour de France 2023 vide Pogacar soccombere agli attacchi di Vingegaard, in salita e anche a crono
Il Tour de France 2023 vide Pogacar soccombere agli attacchi di Vingegaard, in salita e anche a crono

Il sogno del Giro

Che cosa ci sarà nel 2026 di Vingegaard? Il Tour resta lo snodo centrale e decisivo. Al contempo la vittoria della Vuelta ha fatto capire al danese e alla sua squadra che sia saggio monetizzare il lavoro portando a casa quel che Pogacar non ha in animo di raggiungere. Forse non è stato per caso che ai campionati europei Vingegaard abbia ammesso che gli piacerebbe cimentarsi nelle classiche e ha messo per la prima volta sul tavolo l’ipotesi del Giro d’Italia.

«Il 2025 – ha spiegato – è stato un’annata piuttosto buona. Non la migliore che abbia mai avuto, penso che il 2023 sia stato di gran lunga migliore. Ma arrivare secondo al Tour de France e vincere la Vuelta non è una brutta stagione. Il mio obiettivo era vincere in Francia, quindi da quel punto di vista non è andata bene. Alla fine potrei darmi un sette in pagella, forse un otto. Il ciclismo esiste anche oltre il Tour de France, anche se resta la gara più importante. Mi sono divertito anche nelle corse di una settimana (Vingegaard ha vinto la Volta ao Algarve ed è arrivato secondo al Delfinato, ndr). Ma non posso dimenticare di essere caduto alla Parigi-Nizza e quella commozione cerebrale mi ha messo fuori gioco e ha condizionato il seguito della primavera. Non abbiamo ancora definito il piano con la squadra, certo ho le mie idee e i miei desideri. Il Tour è così importante che sicuramente farà parte del calendario, vedremo se anche il Giro potrà essere incluso. Sarebbe fantastico. Vincere tutti e tre i Grandi Giri è il sogno di ogni ciclista. Quindi è qualcosa di molto importante, sarei molto felice di andare al Giro».

Vuelta Espana 2025, Bola del MUndo, Jonas Vingegaard, Matteo Jorgenson
Il successo alla Bola del Mondo ha incorniciato la Vuelta di Vingegaard: a Madrid l’inomani non si sarebbe corso
Vuelta Espana 2025, Bola del Mundo, Jonas Vingegaard, Matteo Jorgenson
Il successo alla Bola del Mundo ha incorniciato la Vuelta di Vingegaard: a Madrid l’inomani non si sarebbe corso

Il Tour non si molla

Il Tour non si molla: impossibile immaginare che il danese decida di saltarlo finché sarà uno dei pochi pretendenti credibili. Perché dovrebbe farlo? Con Pogacar è il solo a poter scavare un baratro rispetto alla concorrenza e non è detto che lo sloveno sia sempre inattaccabile. Un’intervista di Wellens pochi giorni fa ha rivelato che il campione del mondo abbia corso l’ultima Grande Boucle con forti dolori a un ginocchio e in squadra si sia anche temuto che potesse ritirarsi. Vingegaard era lì e sarebbe ancora lì per approfittare di ogni cedimento, indotto grazie ai suoi attacchi o dettato dalle circostanze.

«Salterei il Tour – ha spiegato – solo se capissi di non poter lottare per la vittoria. Penso che il Tour sia così importante che le squadre che abbiano un pretendente alla vittoria vogliono portarlo. Questo vale per me e immagino anche per Tadej. Anche se non volessimo andarci, penso che dovremmo comunque accettarlo. Questo non significa che non mi piaccia, intendiamoci, perché il Tour è qualcosa di immenso che ha il suo fascino. E’ molto più grande della Vuelta, non posso parlare del Giro. In Francia, arrivi sul podio per firmare e ci sono trenta giornalisti che vogliono chiederti qualcosa. Alla Vuelta, scendevo dal palco e pensavo: “Ce ne sono solo due, così mi piace”. E’ questo che rende il Tour così faticoso. I media, il protocollo, i trasferimenti, ma è anche ciò che lo rende speciale. Lo capisci solo quando ci sei dentro».

Campionati europei Drome et Ardeche, Jonas Vingegaard, Tadej Pogacar
Non capita spesso di vedere Vingegaard e Pogacar contrapposti fuori dal Tour: qui sono agli europei
Campionati europei Drome et Ardeche, Jonas Vingegaard, Tadej Pogacar
Non capita spesso di vedere Vingegaard e Pogacar contrapposti fuori dal Tour: qui sono agli europei

In questo incastro maniacale di ritiri e corse, Vingegaard ammette che farebbe fatica a programmare la Liegi, che pure gli piace, perché in quel periodo solitamente si trova in altura. Allo stesso modo, pur ammettendo il fascino del mondiale di Montreal, dice che se dovesse fare la Vuelta troverebbe difficile prevedere il viaggio in Canada. Una visione a scomparti ben divisi. C’è davvero posto per il Giro d’Italia nel suo calendario?

Meintjes

Il ritiro di Meintjes, esempio di un ciclismo forse in estinzione

31.10.2025
5 min
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Tra i tanti che hanno chiuso la propria carriera quest’anno, c’è anche Louis Meintjes, che rientra nella categoria dei corridori capaci di destare i giudizi più diversi. Considerando che è stato in attività, tra Professional e WT, dal 2013, c’è chi dice che è stato un buon piazzato e nulla più e chi lo considera comunque un riferimento dell’ultimo decennio. In fin dei conti ha portato a casa un titolo continentale (la prova in linea dei campionati africani su strada del 2015), tre top 10 al Tour de France e una decina di successi, anche dalle nostre parti.

Per Meintjes una stagione lunga ben 77 giorni di gara ma senza Top 10
Per Meintjes una stagione 2025 lunga ben 77 giorni di gara ma senza Top 10
Per Meintjes una stagione lunga ben 77 giorni di gara ma senza Top 10
Per Meintjes una stagione 2025 lunga ben 77 giorni di gara ma senza Top 10

Ognuno ha le sue opinioni, certamente Meintjes ha avuto una carriera movimentata, vivendo sulla sua pelle per un anno gli albori della UAE Emirates nata dalle ceneri della Lampre, l’epopea della Qhubeka (formazione di casa per lui) e la crescita dell’Intermarché, scegliendo di anticipare (e per certi versi favorire) la sua fusione con la Lotto. D’altronde la scelta di ritirarsi era maturata anche prima delle trattative fra i due team: «Credo che ci stessi pensando già da qualche anno e ora è semplicemente un buon momento».

Ma l’unione tra Intermarché e Lotto ha influenzato la tua decisione?

Non direi. Potrei sempre cercare qualche altro contatto se volessi, so che molte squadre mi avrebbero preso. Per me non è stato questo il fattore più importante per ritirarmi. Mi rendo conto che per molti corridori si prospetta una situazione difficile, non solo da noi. Alcune squadre hanno perso la sponsorizzazione. Quindi forse non è il momento più semplice per trovare un nuovo contratto, ma per me personalmente non è stato così.

Il 33enne di Pretoria è stato protagonista anche in Italia, vincendo il Giro dell'Appennino 2022
Il 33enne di Pretoria è stato protagonista anche in Italia, vincendo il Giro dell’Appennino 2022
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Ripensando alla tua carriera, sei soddisfatto di ciò che hai realizzato in 13 anni di ciclismo professionistico?

Sì, sono abbastanza contento. Per me non è mai stato così importante il risultato ottenuto in gara. Se non vincevo ma avevo fatto una buona corsa, avevo ottenuto un buon piazzamento, andava bene lo stesso. Quindi sono stato abbastanza fortunato da vincere quella decina di volte, anche gare importanti, ma per me era più importante dare il 100 per cento. Se sentivo di aver fatto tutto quel che potevo, per me andava bene. Quindi sì, se mi guardo indietro ora, penso di averci provato con tutte le mie forze e ne sono contento.

Qual è stato il risultato più importante della tua carriera?

Penso che la vittoria alla Vuelta sia stata molto bella (tappa di LEs Praeres nel 2022, ndr) perché è diverso quando ottieni un buon risultato, ma quando tagli il traguardo per primo, è qualcosa di veramente speciale. Ma anche arrivare tra i primi dieci al Tour de France è davvero speciale, solo che lo percepisci davvero uno o due anni dopo, ti rendi conto di che grande risultato sia stato. Sul momento, non provi la stessa sensazione. Quindi ora l’apprezzo, anche perché esserci riuscito tre volte considerando che è l’appuntamento principe della stagione, ha un grande valore.

Il podio della tappa di Les Praeres alla Vuelta '22. Questa è la sua vittoria più prestigiosa
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Il podio della tappa di Les Praeres alla Vuelta 2022. Questa è la sua vittoria più prestigiosa
Per molti anni sei stato l’icona del Sudafrica. Pensi che il numero di praticanti e il livello di attività siano migliorati da quando hai iniziato?

Penso che il nostro ciclismo attraversi fasi di alti e bassi, In questo momento forse non è al suo apice perché è un po’ difficile emergere non avendo grandi squadre in Sudafrica, quando avevamo la Qhubeka era comunque un canale privilegiato e dava risonanza alla nostra attività. Ma penso che il ciclismo, da quando ho iniziato a praticarlo, sia seguito da molte più persone ed è molto più popolare.

Da cosa lo capisci?

All’inizio molte persone non capivano che ero un ciclista professionista e che lo facevo per lavoro. Ma ora, se parlo con qualcuno in Sudafrica e gli dico che ero un ciclista professionista, capisce che è come nel calcio o in un altro sport, dove puoi avere una carriera completa ed economicamente fruttuosa.

Il sudafricano in maglia Lampre, 8°al Tour 2016, risultato bissato l'anno dopo e migliorato (7°) nel 2021
Il sudafricano in maglia Lampre, 8° al Tour 2016, risultato bissato l’anno dopo e migliorato (7°) nel 2021
Il sudafricano in maglia Lampre, 8°al Tour 2016, risultato bissato l'anno dopo e migliorato (7°) nel 2021
Il sudafricano in maglia Lampre, 8° al Tour 2016, risultato bissato l’anno dopo e migliorato (7°) nel 2021
Cosa farai ora?

Questa è una bella domanda, perché non lo so. Non ho ancora nessun piano. Prima voglio prendermi un po’ di tempo e riposarmi, per pensare davvero a quello che voglio fare. Non volevo prendere una decisione mentre ero ancora nel ciclismo ed ero stanco per tutte le gare. Ho bisogno di decantare da oltre un decennio immerso in una routine. Pensare davvero a cosa mi entusiasma ora, quale nuovo progetto sarebbe bello affrontare.

Un giovanissimo Meintjes ai mondiali in Toscana 2013, argento dietro Mohoric nella prova U23
Un giovanissimo Meintjes ai mondiali in Toscana 2013, argento dietro Mohoric nella prova U23
Un giovanissimo Meintjes ai mondiali in Toscana 2013, argento dietro Mohoric nella prova U23
Un giovanissimo Meintjes ai mondiali in Toscana 2013, argento dietro Mohoric nella prova U23
Molte persone hanno detto che il ciclismo è sempre più per i più giovani. Pensi che in futuro emergeranno sempre meno corridori che avranno oltrepassato la soglia dei 30 anni?

Credo proprio di sì, esempi come il mio diverranno sempre più delle eccezioni, anche perché i ciclisti iniziano prima. Dopo 10 anni ai massimi livelli, inizi a vedere le cose in modo diverso da come vedi la vita. Quindi se iniziano da giovani, probabilmente smetteranno anche da giovani. Inoltre, le squadre ora tendono a cercare il prossimo campione, quindi preferiscono rischiare e ingaggiare un nuovo giovane corridore e sperare che sia qualcosa di speciale piuttosto che continuare con il vecchio che sanno essere in grado di fare risultato. Forse non il miglior risultato, ma almeno è costante.

Presentazione Tour de France 2025, Parigi, Christian Prudhomme (foto A.S.O./ Maxime Delobel)

Tour e spettacolo: l’edizione 2026 è un’occasione sprecata?

28.10.2025
5 min
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Era molto più smaliziato il vecchio Leblanc, che quando decideva di favorire un corridore piuttosto di un altro, piazzava sul percorso del Tour degli ostacoli studiati in modo perfido. Chiedete a Bugno e Chiappucci come facevano gli organizzatori di allora per spianare la strada a Indurain. Piazzavano un prologo e due crono piatte da 60 chilometri e poi potevi fare le imprese che volevi in montagna, che tanto il passivo era pressoché insormontabile.

Indurain vinse cinque Tour, andando forte in salita, ma schiantando ogni anno i rivali nelle crono
Indurain vinse 5 Tour, schiantando i rivali nelle crono. Alle sue spalle nella foto, l’indimenticato fotografo italiano Sergio Penazzo
Indurain vinse cinque Tour, andando forte in salita, ma schiantando ogni anno i rivali nelle crono
Indurain vinse 5 Tour, schiantando i rivali nelle crono. Alle sue spalle nella foto, l’indimenticato fotografo italiano Sergio Penazzo

Dalla parte dei vincitori

Il Tour è sempre stato dalla parte dei vincitori, oppure li ha sempre resi imbattibili disegnando percorsi su misura. Il gigante spagnolo ha avuto campo libero per cinque anni. Poi decisero di aprire il ciclo di Ullrich, secondo nel 1996 e primo nel 1997. Però fecero male i conti e si trovarono tra i piedi quel genio di Pantani che, nonostante le crono interminabili, lo mise al tappeto con un paio di giornate ben fatte in montagna.

A quel punto battezzarono la ruota di Armstrong. Pantani in qualche modo se lo tolsero dai piedi e per sette stagioni si consegnarono all’americano, che era tanto più forte da non avere bisogno di percorsi su misura.

Dopo gli anni di Sky e del solo Nibali che trovò l’estro e il coraggio per interromperne la serie, la stessa superiorità adesso ce l’ha Pogacar, senza che si provi a rendergli la vita difficile con tracciati per lui meno comodi (posto che poi esistano davvero!). Eppure in Francia ora si dibatte sulla possibilità che Pogacar possa non farcela a centrare il quinto Tour.

Nel 1998 Pantani riuscì a spezzare il filotto della Telekom e chissà che non ci sarebbe riuscito anche con Armstrong…
Nel 1998 Pantani riuscì a spezzare il filotto della Telekom e chissà che non ci sarebbe riuscito anche con Armstrong…

L’insidia del Col de Sarenne

E’ quello che emerge leggendo gli articoli che L’Equipe ha dedicato alla Grande Boucle dopo la presentazione dell’edizione 2025 (la foto di apertura è di A.S.O./ Maxime Delobel).

«L’unico momento in cui potrebbe essere in difficoltà – dice Thierry Gouvenou, direttore tecnico del Tour – è durante la penultima tappa, quando affronteremo le salite più lunghe in alta quota. Con il Col de Sarenne, che è accidentato e non molto scorrevole, non potrà avere una giornata negativa, perché potrebbero volare minuti. Lo abbiamo già visto cedere in passato sulle lunghe salite, sul Granon e il Col de La Loze, ma la speranza è minima».

«Ogni volta che c’è una vetta importante – è il controcanto di Prudhomme – Pogacar vuole vincerla. Quindi immagino che quando vedrà l’Alpe d’Huez due volte, vorrà conquistarla, come i più grandi. Come Hinault insieme a LeMond, ma saranno passati quarant’anni. Non è un’impresa da poco».

Tadej Pogacar, Col du Granon 2022
Nonostante quanto detto da Gouvenou, il Pogacar attuale è ben più solido di quello che perse la maglia sul Granon nel 2022
Nonostante quanto detto da Gouvenou, il Pogacar attuale è ben più solido di quello che perse la maglia sul Granon nel 2022

I Pirenei spuntati

Sarebbe interessante entrare nelle stanze segrete e scoprire quanto la quinta vittoria di Pogacar piaccia agli sponsor del Tour e quanto siano tutti interessati che lo sloveno possa ottenerla e poi proseguire fino a cancellare le sette macchie di Armstrong.

Raccogliendo pareri qua e là, i giornalisti de L’Equipe evidenziano come lo stesso Christian Prudhomme abbia fatto notare che i Pirenei in avvio, poco dopo il via da Barcellona, sarebbero potuti diventare già un momento decisivo e per questo si è deciso di non spingere troppo sul gas. 

«Volevamo che il Tour – dice – andasse in crescendo. Abbiamo scelto di non renderlo subito difficile, anche se andremo sul Tourmalet. Volevamo che ci fosse una progressione attraverso i cinque massicci: Pirenei, Massiccio Centrale, Vosgi, Jiura e Alpi, con una penultima tappa con 5.600 m di dislivello. Qualunque sia la situazione, tutto può essere capovolto il giorno prima dell’arrivo finale».

E qui però sorge un dubbio: si punta allo spettacolo oppure allo stesso esito finale, con l’accortezza di chiudere il discorso soltanto alla fine e non nella seconda settimana?

Quanto sarebbe grande la suggestione di Evenepoel che si gioca il Tour in una crono a Parigi dopo l'oro olimpico?
Quanto sarebbe grande la suggestione di Evenepoel che si gioca il Tour in una crono a Parigi dopo l’oro olimpico?
Quanto sarebbe grande la suggestione di Evenepoel che si gioca il Tour in una crono a Parigi dopo l'oro olimpico?
Quanto sarebbe grande la suggestione di Evenepoel che si gioca il Tour in una crono a Parigi dopo l’oro olimpico?

Un occhio per Remco

Che cosa avrebbe fatto a questo punto il disegnatore con le mani libere? Avrebbe sfogliato la rosa dei partenti e si sarebbe reso conto che uno come Remco Evenepoel va utilizzato meglio. Non puoi consegnarlo alla sconfitta proponendogli percorsi che non gli si addicono. E allora, memore della crono dei mondiali, avrebbe messo sul percorso non solo la cronosquadre di 19 chilometri in partenza, ma altre due cronometro individuali ben più sostanziose dei 26 chilometri previsti nella terza settimana.

Una il martedì della seconda settimana, l’altra a Parigi. Avrebbe così dato a Evenepoel la possibilità di prendere vantaggio prima delle salite e messo Pogacar nella condizione di affrontare le montagne di rimonta. La resa dei conti finale nella cornice di Montmartre e dei Campi Elisi sarebbe stata irresistibile.

«C’è stato un vero cambiamento dal 2019 – dice Prudhomme – quando i corridori hanno iniziato a sfruttare quasi ogni salita, attaccando da ogni punto. Ovviamente, per l’organizzatore, non è il vincitore che conta, ma che ci sia una lotta il più a lungo possibile e che ci sia suspense».

Il 24 luglio 1989, la crono di Parigi ribaltò il Tour, consegnando la vittoria a Lemond per 8″. Il suo distacco da Fignon era di 50″
Il 24 luglio 1989, la crono di Parigi ribaltò il Tour, consegnando la vittoria a Lemond per 8″. Il suo distacco da Fignon era di 50″

La sensazione è che non sia così e che si sia voluto mantenere il solco fra Pogacar-Vingegaard e gli altri. Avere una crono a Parigi come quella che consegnò il Tour a Lemond per 8 secondi su Fignon nel 1989, ma all’indomani della doppia Alpe d’Huez, potrebbe cambiare tutto o celebrare ancora una volta la grandezza di Pogacar. Ma forse la possibilità di veder vacillare il vincitore predestinato è un rischio troppo grande nell’anno che potrebbe consegnarlo alla storia.

Presentazione Tour de France 2026

Tour 2026: Montjuic, una salita inedita e doppia Alpe d’Huez

24.10.2025
7 min
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II Tour de France ha svelato ieri il suo percorso 2026 al Palazzo dei Congressi di Porte Maillot, a Parigi. La Grande Boucle prenderà il via il 4 luglio da Barcellona, per concludersi il 26 luglio a Parigi, dopo 3.333 chilometri. Subito i Pirenei che passeranno rapidissimi. Poi un bel po’ di pianura, come ai vecchi tempi. Le montagne, prima del confermato circuito conclusivo di Montmartre in occasione della frazione finale.


Ieri c’erano tanti campioni a Parigi, ma meno rispetto al solito. La stagione è appena terminata e molti sono già in vacanza. Per dire, mancavano persino Tadej Pogacar e Jonas Vingegaard, vincitori delle ultime sei edizioni e già favoriti anche per la prossima maglia gialla. Noi ne parliamo con Stefano Garzelli. Ma prima diamo un occhio rapidissimo al percorso.

Presentazione Tour de France 2026
Christian Prudhomme è il direttore del Tour dal 2007 (foto Nice Matin)
Presentazione Tour de France 2026
Christian Prudhomme è il direttore del Tour dal 2007 (foto Nice Matin)

Le cinque catene montuose

Il 2026 segnerà il ritorno del Tour in Spagna, dopo le partenze da Bilbao (2023) e San Sebastian (1992). Barcellona offrirà uno scenario iconico, con la cronosquadre inaugurale davanti alla Sagrada Familia. Una scelta suggestiva ma anche complessa, perché il tracciato cittadino sarà tecnico e nervoso. La seconda tappa, con l’arrivo sul Montjuic, offrirà subito un terreno insidioso per chi non vuole perdere secondi preziosi.

Da lì, la corsa entrerà rapidamente in territorio francese per affrontare i Pirenei, primo banco di prova vero. Poi si scaleranno, nell’ordine, Massiccio Centrale, Vosgi, Giura e infine le Alpi. Un percorso che toccherà tutti e cinque i grandi massicci del Paese, rispettando la tradizione della “Francia in miniatura” voluta da Christian Prudhomme. L’arrivo al Plateau de Solaison, già teatro di duelli memorabili, precederà le due giornate regine sull’Alpe d’Huez. Nella 19ª tappa di sale dal versante classico di Bourg d’Oisans, nella 20ª dall’incantevole quanto selvaggio e duro Col de Sarenne. Queste due frazioni decideranno la Grande Boucle.

Mentre le crono saranno solo due: quella a squadre inaugurale di 19 chilometri, e quella individuale di 26 alla frazione 16.

La linea a Garzelli

Come accennato, passiamo la linea all’ex maglia rosa e oggi voce tecnica della Rai, Stefano Garzelli. Lui ha commentato gli ultimi Grandi Giri e conosce anche bene il tracciato francese e le sue insidie.

Stefano, insomma, cosa ne pensi?

E’ un Tour interessante, più o meno simile a quelli che abbiamo vissuto negli ultimi anni. Ci sono 53.000 metri di dislivello che non sono pochi. Un Tour duro, perché alla fine come cronometro hai solo una prova individuale, che tra l’altro è complicata, con salita e discesa: un dettaglio da non sottovalutare. La cronosquadre del primo giorno a Barcellona, poi, è un appuntamento da non prendere alla leggera.

Con la formula vista lo scorso anno alla Parigi-Nizza, quindi con il tempo preso individualmente…

Una formula interessante. Però quella di Barcellona è una cronosquadre complicata, piena di curve. Sono prove molto delicate: non vinci il Tour, ma puoi comprometterlo. Bisogna partire bene, con una condizione solida, come in tutte le grandi corse degli ultimi anni. E’ una prima settimana tecnica, difficile anche da gestire tatticamente: ci sarà da stare molto attenti.

E il Montjuic alla seconda tappa?

A livello di altimetria non è una tappa dura, però alla seconda giornata del Tour ogni dettaglio pesa. Il Montjuic è uno strappo dove prenderlo davanti è fondamentale. Sono quelle tappe che tutti temono: magari non succede nulla a livello di distacchi, ma la tensione è alta, le cadute sempre dietro l’angolo. Sono giornate molto, molto delicate come dicevo prima.

Presentazione Tour de France 2026, Pogacar
A Le Markstein Pogacar vinse nel 2023, ma quel Tour andò a Vingegaard. Fu una magra consolazione per lo sloveno
Presentazione Tour de France 2026, Pogacar
A Le Markstein Pogacar vinse nel 2023, ma quel Tour andò a Vingegaard. Fu una magra consolazione per lo sloveno
Abbiamo notato che torna ad esserci un buon numero di tappe per velocisti. Giusto così?

Cinque sono chiaramente destinate ai velocisti: quinta, settima, ottava, undicesima e dodicesima. Poi ce ne sono un paio miste, dove ci sarà battaglia fra sprinter e cacciatori di tappe. Togliendo Parigi, che ormai con Montmartre è diventata una frazione per attaccanti, è un buon numero per i percorsi moderni. E direi che va bene così, specie con quelle due in bilico.

Passiamo al nocciolo della questione: le salite. Okay la doppia scalata all’Alpe d’Huez e il fatto che Prudhomme abbia detto che si toccheranno tutte e cinque le catene montuose francesi, però non ci è sembrato così impossibile questo Tour nel complesso. Tu cosa ne dici?

E’ duro, ma non impossibile. La ventesima tappa, con oltre 5.500 metri di dislivello, è una di quelle giornate dove può succedere di tutto. Ci sarà questa doppia scalata all’Alpe d’Huez… Una tappa molto tosta, secondo me, è quella di Le Markstein. C’è anche quella inedita del Col du Haag: 11 chilometri con una pendenza media importante. Si scollina e non si scende, quindi è come un arrivo in quota, a meno di dieci chilometri dal traguardo. E siamo solo alla 14ª tappa. Anche la frazione successiva presenta tanto dislivello.

Però sono salite da Tour: poca pendenza…

Sono salite da Tour, è vero. Ma in questi ultimi anni, anche per via del dominio di Pogacar, abbiamo fatto fatica a valutare la difficoltà della Grande Boucle, perché ammazza tutto lui. I percorsi sono stati più o meno simili, ma lui cancella ogni strategia. Se non ci fosse Vingegaard vincerebbe con venti minuti sul secondo. Non ci sono tappe durissime, escluse le due o tre che abbiamo nominato, ma il dislivello non manca e alla lunga emerge sempre l’uomo di fondo. Paradossalmente, farebbe più caos una tappa piatta con arrivo secco in salita.

In totale 45 km contro il tempo (di cui 19 a squadre): poco margine per Remco per segnare differenze significative ai fini della classifica secondo Garzelli
In totale 45 km contro il tempo (di cui 19 a squadre): poco margine per Remco per segnare differenze significative ai fini della classifica secondo Garzelli
E delle crono cosa ci dici?

Mi incuriosisce quella individuale dopo il giorno di riposo: sarà una tappa molto delicata e impegnativa, sia altimetricamente che planimetricamente.

Ieri a Parigi hanno chiesto a Prudhomme se non fosse un Tour disegnato per Remco. Lui ha risposto che non è un Tour “anti qualcuno”. Tu, Stefano, a chi lo vedi più adatto?

A Pogacar! Se va come ha fatto finora, il percorso è perfetto per lui, duro o meno che sia. Non credo invece che favorisca Evenepoel: c’è una sola crono, dura ma non lunga, quindi non per i puri specialisti dell’aerodinamica. Se Pogacar va come nel 2024 o nel 2025, c’è poco da fare. Personalmente mi sarei aspettato meno divario fra lui e Vingegaard quest’anno, ma alla fine se la giocheranno ancora loro due. E voi chi vedete come terzo uomo?

Fai tu le domande! Per una suggestione ci viene in mente Seixsas…

Un po’ azzardato portare un ragazzo così giovane, con tutte le pressioni di essere francese al Tour. Un conto è il Delfinato, l’Europeo o il Lombardia, un conto è la Grande Boucle. I numeri contano, certo… Watt, VO₂ Max, soglia, ma il Tour è un’altra cosa. Serve una tenuta mentale e fisica mostruosa. Vedremo… Io dico Lipowitz.

Ci sta. E’ salito sul podio finale quest’anno…

E il fatto che dopo il podio di Parigi non l’abbiano quasi più fatto correre (ha inanellato pochissimi giorni di gara, ndr) mi è piaciuto. Se la scelta è stata fatta per farlo recuperare e crescere, è giusta. Ma, in soldoni, se la giocheranno ancora loro due, Vingegaard e Pogacar, secondo me.

Presentazione Tour de France 2026
Marion Rousse ha invece presenziato il Tour Femmes, in scena dall’1 al 9 agosto
Presentazione Tour de France 2026
Marion Rousse ha invece presenziato il Tour Femmes, in scena dall’1 al 9 agosto

Tour Femmes: c’è il Ventoux

In tutto ciò è stato presentato anche il percorso del Tour de France Femmes avec Zwift 2026, alla presenza della direttrice Marion Rousse. La corsa partirà dalla Svizzera, conterà nove tappe per un totale di 1.175 chilometri, record per la manifestazione. Le frazioni sono state così suddivise: tre pianeggianti, tre mosse, due di montagna e una cronometro individuale di 21 chilometri che avverrà nella quarta tappa.

La corsa toccherà tre grandi catene: Jura, Massiccio Centrale e Alpi, con un dislivello complessivo di 18.795 metri, altro primato. L’arrivo simbolo sarà quello sul Mont Ventoux, tanto caro alla nostra Marta Cavalli, vetta più alta del percorso (1.910 metri) e palcoscenico della settima tappa, destinata a diventare la “regina” di questa quinta edizione.

Attesa alle stelle per le beniamine di casa: la campionessa uscente Pauline Ferrand-Prevot, super gettonata ieri, e la svizzera Marlen Reusser, che correrà sulle strade di casa. L’ultima frazione, la più lunga con 175 chilometri tra Sisteron e Nizza, chiuderà un Tour Femmes sempre più completo e spettacolare, in perfetta sintonia con quello maschile.

Jonathan Milan, Lidl-Trek, Kampioenschap Van Vlaanderen 2025

Milan: un viaggio tra il verde del Tour e le ultime gare in Giappone

01.10.2025
5 min
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Jonathan Milan ha riallacciato il filo con la vittoria qualche settimana fa al Kampioenschap Van Vlaanderen con uno sprint di forza nel quale si è messo alle spalle Dylan Groenewegen e Tim Merlier. Smaltite le fatiche del Tour de France e la felicità per la conquista della maglia verde il ragazzone di Buja si era poi rimesso in gioco per il finale di stagione. Il cammino che ha portato fino alla conquista della maglia dedicata al miglior velocista è stato lungo e impegnativo. 

«Ero tornato in gara ad Amburgo – racconta Jonathan Milan – con l’obiettivo di riprendere la mano in vista del Lidl Deutschland Tour. I valori che avevo fatto registrare in allenamento erano buoni, anche se questo non si è tramutato in un risultato pieno. E’ mancata solamente la vittoria. 

Belgio a due facce

Successo che è poi arrivato alla prima delle tre gare previste in Belgio nel mese di settembre, infatti al Kampioenschap Van Vlaanderen il velocista delle Lidl-Trek è tornato ad alzare le braccia al cielo. Nelle giornate successive però non è riuscito a replicare la vittoria ottenuta sulle strade delle Fiandre. 

«Una volta arrivati in Belgio mi sentivo nella giusta forma – continua Milan – e ne ero felice, anche perché a fine stagione bisogna sempre fare i conti con le energie rimaste. Ero parecchio motivato, insieme al team ci eravamo dati l’obiettivo di raccogliere quante più vittorie possibile. Siamo partiti bene a Koolskamp con una bella volata. Purtroppo nei due giorni successivi non mi sono sentito bene, anzi nell’ultima gara delle tre previste ho preso l’influenza». 

Jonathan Milan, Lidl-Trek, Super8 Classic 2025
Nei giorni successivi Milan è stato vittima di un’influenza che ha condizionato le altre gare in Belgio, qui alla partenza della Super8 Classic
Jonathan Milan, Lidl-Trek, Super8 Classic 2025
Nei giorni successivi Milan è stato vittima di un’influenza che ha condizionato le altre gare in Belgio, qui alla partenza della Super8 Classic
Come si riparte dopo aver centrato l’obiettivo della stagione?

La maglia verde al Tour era il focus dell’anno, una volta raggiunto ero molto felice. Sono contento anche di come ho vissuto quell’esperienza: le tappe, le volate, le persone sulla strada. Mi sono divertito parecchio e penso che questo aspetto sia stato importante e che mi abbia dato una grande mano nel raggiungere l’obiettivo. 

Cosa ti è rimasto da questo Tour?

La consapevolezza di avere al mio fianco una squadra forte, continuerò a ringraziarli sempre per quanto fatto e per come mi hanno supportato nei momenti difficili. Ce ne sono stati, ad esempio qualche salita o fasi della corsa concitate, magari in televisione sono aspetti che si vedono di meno ma hanno fatto un grandissimo lavoro. Quando si raggiunge un obiettivo è sempre qualcosa appagante, magari sembra banale dirlo ma è veramente così. 

La conquista della maglia verde per Milan è stato il coronamento di un lavoro durato una stagione intera
La conquista della maglia verde per Milan è stato il coronamento di un lavoro durato una stagione intera
Ti scorrono in testa determinati momenti?

Prima di partire immagini tutto, studi ogni dettaglio, poi inizia la parte di preparazione nella quale ci si allena per settimane con un unico pensiero. Arrivare a Parigi e dire che siamo riusciti a portare a casa la maglia verde è stato qualcosa di molto emozionante.

E’ cambiato qualcosa in te? C’è una maggior consapevolezza nei tuoi mezzi?

No, è stato tutto uguale. Ogni volta che risalgo in bici c’è il solito mal di gambe che mi accompagna per i primi quattro o cinque giorni. Tirare fuori una buona condizione dopo le fatiche del Tour è stato importante. Il Lidl Deutschland Tour è stato un passaggio importante, ci sono stati dei momenti di difficoltà però sono felice di com’è andato. Diciamo che è stato un buon rodaggio per tornare alle corse. Duretto, devo ammetterlo, però siamo andati vicini alla vittoria. Vediamo il prossimo anno se riusciremo a fare meglio.

Jonathan Milan, Lidl-Trek, Deutschland Tour 2025
Milan è ritornato in corsa prima ad Amburgo e poi al Deutschland Tour ritrovando buone sensazioni, è mancata solamente la vittoria
Jonathan Milan, Lidl-Trek, Deutschland Tour 2025
Milan è ritornato in corsa prima ad Amburgo e poi al Deutschland Tour ritrovando buone sensazioni, è mancata solamente la vittoria
L’ultima trasferta in Giappone è come un capitolo conclusivo di una stagione che ti ha regalato cosa, oltre ovviamente ai successi su strada?

Che mi ha insegnato tanto a gestire impegni grandi come la preparazione di un Tour de France. Alla fine è stato un anno nel quale mi sono divertito tanto, non per le vittorie ma in generale. In squadra abbiamo condiviso tanti bei momenti, è stata una stagione veramente molto molto bella. Adesso ci saranno queste due ultime gare in Giappone dove cercheremo di andare a fare il meglio.

Riprenderai anche con la pista?

Ho già sentito il cittì Dino Salvoldi, ci siamo già sentiti un po’ più volte. Adesso parlerò anche con la squadra e andremo a vedere le date che ci saranno per quanto riguarda il calendario su pista. Gli ho già dato un occhio, però fra obiettivi su strada e pista si vorrebbe cercare di fare tutto ma è impossibile. Andremo a definire il tutto, sicuramente tornerò in pista ad allenarmi con il nuovo anno.